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9/11/2020 Girolamo Mercuriale, De arte gymnastica

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MAURO UBERTI

«Dell'esercizio della voce, e prima della vociferazione e del


canto»1
HIERONYMUS MERCURIALIS FORLIVENSIS
Colloquio in omaggio al primo medico dello sport
Olimpiadi Invernali -Torino 2006
26-28 Gennaio 2006
Università di Torino - Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo

Ho scoperto Girolamo Mercuriale nel corso delle mie ricerche sulla vocalità antica. La musica è una forma di
comunicazione artistica che ha bisogno di interpreti: se in un'esecuzione musicale il codice esecutivo non è coerente con il
codice compositivo la comunicazione diminuisce, diminuisce la comprensibilità della musica eseguita, subentra la noia e la
conseguenza è il rigetto di tutta una parte della nostra cultura. Il tipo di voce impiegato nel canto fa parte del codice
esecutivo e quindi il recupero delle musiche vocali antiche implica il recupero delle tecniche vocali opportune; ne consegue
la necessità di una ricostruzione fatta con un sistema d’indagini, che comprende lo studio dei testi di medicina antichi e fra
questi, ovviamente, anche il De arte gymnastica. In quest'occasione ne prenderò in esame i capitoli dedicati al respiro ed
alla vociferazione, che sono argomenti riguardanti appunto la vocalità.

Nel terzo libro del suo trattato il Mercuriale parla delle


"esercitazioni del corpo" che non rientrano nell'atletica vera e
propria, "ma di tutte quelle di cui abbiamo pensato che occorresse
trattare perché, anche se non propriamente almeno comunemente,
meritano di essere chiamate esercitazioni e perché per nessun
motivo devono essere escluse dalla ginnastica"2. Fra queste la
coibizione del respiro3 e la vociferazione4 che riprenderà nel sesto
libro, dove, come già avrà fatto nel quinto per quelle atletiche,
parlerà degli effetti delle singole esercitazioni.

Ai nostri occhi moderni la coibizione del respiro come esercizio


ginnico può suscitare qualche perplessità - anche se il Mercuriale
riporta le informazioni di Galeno e Celio Aureliano secondo i quali
i migliori allenatori la ponevano fra i loro esercizi - e si sarebbe
tentati di giudicarla una pratica fondata più su credenze che su
conoscenze. Si dà il fatto, però, che i quattro atleti avvolti in fasce
dell’incisione relativa a questo capitolo richiamino alla mente
fotografie come quella qui riprodotta, tratta da un manuale di fisio-
terapia toraco-polmonare5 e a questo punto si è indotti a rileggere
il capitolo con minore supponenza.

Si scopre così che, accanto a spiegazioni fisiologiche,


oggettivamente ingenue per i nostri occhi - ma le sole che a quel
grado di sviluppo della scienza il buon senso potesse dare - il
Nostro espone i risultati di un'analisi della meccanica respiratoria
impressionante per la sua modernità. L’analisi, inoltre, che egli fa
delle quattro figure6 - direttamente copiate dal suo amico Pirro
Ligorio7 da bronzi di proprietà del Principe di Ferrara (esistono
ancora, da qualche parte, queste statuette?) apre un altro spiraglio
sulle capacità d’osservazione e di deduzione del Mercuriale, questa
volta in base alla sua incredibile cultura umanistica, che la mancanza di spazio ci costringe a richiudere immediatamente.
Dell’utilità atletica, e non solo terapeutica, dell’uso di fasce per irrobustire i muscoli respiratori sarà bene lasciar giudicare
gli esperti; comunque è certo che, secondo quanto egli dice chiaramente, la coibizione del respiro non era praticata ai suoi
tempi e proprio per questo la riscoperta dell’esercizio assume l’aspetto di un’intuizione in qualche modo profetica.
Vedremo invece che altre pratiche antiche dovevano essere ancora - o nuovamente - in uso e che, dai documenti rimasti, è

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difficile capire se, quanto e quando esse lo fossero. In un'epoca come


la nostra, nella quale un atteggiamento scientistico c’impedisce
sovente di affrontare gli oggetti delle nostre ricerche con atteggiamento
scientifico - cioè senza pregiudizi - è facile cadere nel tranello di
rigettare in blocco la medicina antica in quanto giudicata a priori non
scientifica. Se per secoli i malati si sono affidati ai medici pagando le
loro prestazioni benché questi non disponessero delle nostre
conoscenze e dei nostri farmaci, ciò significa che i risultati dovevano
valere in qualche misura il denaro sborsato (salva, ovviamente, la
speranza al di là dei risultati). Il modo corretto di prendere in esame
l'argomento sarebbe quello di sperimentare quei metodi e capirne
davvero, ex adiuvantibus, le potenzialità e i limiti. Girolamo
Mercuriale non può porsi questo problema perché ai suoi tempi la
medicina moderna è ancora in gestazione ed egli è inevitabilmente
tributario di quella antica. Egli però non l'accetta in modo acritico;
sottopone a verifica le affermazioni degli autori e quando la sua
esperienza non le conferma le confuta8. Quando poi ritiene che la
medicina antica non abbia preso in sufficiente considerazione un
argomento lo sviluppa per conto suo ed è il caso della vociferazione.

È da considerare anzitutto il fatto che il Mercuriale prende in esame la


vociferazione come esercitazione ginnica; il De arte gymnastica,
infatti, non è un trattato di medicina della ginnastica, ma un trattato
della ginnastica come medicina e, in particolare, di quella parte della
medicina conservativa che egli chiama, seguendo Ippocrate, profilassi
o igiene. Per lui la vociferazione è il "non ultimo dei servizi dati alla
vita umana dalla respirazione"9 e non sarà il caso di pretendere che
egli sappia già ciò che avrebbero pubblicato dopo la stampa del suo
testo Girolamo Fabrizi d’Acquapendente10 - il cui trattato di anatomia
appare nel 1601, anno dell’ultima edizione del De arte gymnastica
prima della morte dell’A. - o scoperto Denis Dodart11 e Antoine Ferrein12 più di un secolo dopo. Nel settimo capitolo del
terzo libro, intitolato Della vociferazione e del riso, egli ritiene di poter individuare due sole categorie di persone che
anticamente s’impegnassero specificamente nella produzione della voce: coloro che esercitavano l'arte teatrale -
comprendendo nella categoria i banditori, i coristi, gli attori tragici e comici e i concorrenti delle gare di canto - e i medici
che si occupavano di ginnastica. Il capitolo è un compendio dell’uso professionale della voce presso gli antichi, che solo
con una doppia cultura, medica ed umanistica, era possibile realizzare. Ci sono poi alcune sue osservazioni che colpiscono
come altrettante intuizioni. Dice infatti13: "Si riferisce a questo [argomento della vociferazione] ciò che racconta Plinio al
libro xxxiv, cap. xviii14, che cioè il Principe Nerone, cantando dopo essersi posto sul petto una piastra [di piombo] dimostrò
la validità [del procedimento] per sviluppare le voci". Questa notizia storica — che al liceo aveva suscitato le nostre risa —
era già stata ripresa pochi anni prima da un altro medico, Giovanni Camillo Maffei, il quale era anche musicista e filosofo,
in una "lettera sul canto"15. La sua testimonianza ha valore sia per le sue qualifiche professionali, sia per la sicurezza
dell’affermazione: "E per dimostrare quanto sia buono l’animo, che tengo di servire, et aiutare, fino à scilinguati à questa
bellissima impresa, ecco che soggiongo i più belli, e sicuri rimedii per fare buona voce ch’ho potuto nella mia professione
raccorre. Assai giovevole rimedio à far buona voce, è l’usare spesse volte gli argomenti, onde Nerone al quale tanto
dilettava la musica, non avea à sdegno (come riferisce Suetonio tranquillo16) l’usargli per poter più dolcemente cantare.
Buono anco rimedio è il tenere una piastra di piombo nel stomacho, si come anco il medesimo Nerone facea". La causa
delle nostre risa di liceali era l’ignoranza dei fenomeni fisiologici ed acustici che presiedono alla fonazione: il rinforzo della
voce ricercato da Nerone non era da intendersi come rinforzo di muscoli, ma come fenomeno complesso, risultante
dall’accentuazione della componente addominale della respirazione, dal conseguente maggiore sprofondamento della
laringe nell’inspirazione e quindi dell’allungamento del canale vocale, dall’abbassamento delle frequenze di risonanza di
questo e quindi dal rinforzo delle componenti basse della voce, che si risolveva finalmente in una maggiore propagazione
della stessa nei teatri all’aperto dell’epoca. Mercuriale non sapeva tante cose che ora sappiamo noi, ma evidentemente la
sua esperienza e la sua capacità di osservazione supplivano parecchio. In particolare l’informazione apre uno spiraglio sui
metodi di formazione di una categoria di professionisti della voce, i cantanti da chiesa - a quei tempi non esisteva ancora il
cantante da teatro - ai quali incombeva il compito di riempire di suono le cattedrali e dei quali vedremo più avanti.

Mercuriale dimostra di essere molto attento all’uso del corpo e alle sue problematiche nelle diverse professioni, sia nella
lettura degli antichi che nell’osservazione della vita quotidiana. Quando, nel sesto libro17, giunge a parlare del pianto come
esercitazione vocale fa riferimento a Cicerone18: "Cicerone ha lasciato scritto che gli atleti nell’esercitarsi erano soliti
gemere come se cercassero solidità" e il pensiero va alle arti marziali orientali così come a discipline atletiche occidentali
quale, per esempio, il getto del peso, in cui l’emissione della voce ha il doppio significato di collaborazione allo sforzo da
parte dei muscoli respiratori e d’ammortizzamento dello sforzo stesso sfruttando la funzione sfinterica della laringe.
Quando poi passa a parlare degli effetti della coibizione del respiro e della vociferazione egli, sia pure dopo aver citato

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Avicenna, osserva che i trombettieri, i cantori e i sacerdoti del suo tempo sono categorie soggette all’ernia. Le ernie
conseguenti allo sforzo dei trombettieri, possono apparire ovvie; meno quelle delle altre due categorie professionali.
Un’indagine da me compiuta presso amici foniatri non ha dimostrato la consapevolezza da parte della medicina attuale
dell’associazione tra la professione di cantante e l’ernia; i direttori di coro — almeno quelli attenti - invece la conoscono
benissimo: il corista che si assenta per essere operato d’ernia lascia un posto vuoto nel coro e il direttore, che deve
rimediare alla sua assenza, acquisisce un’esperienza corrispondente a quella del Mercuriale. Meno evidente parrebbe il caso
dei sacerdoti, cioè dei predicatori. In tempi in cui non esistevano microfoni e altoparlanti i predicatori dovevano riuscire a
farsi sentire comunque da tutti i fedeli e pertanto si ponevano i pulpiti a metà delle navate delle chiese in modo che la voce
dovesse propagarsi soltanto per metà della loro lunghezza. Con tutto ciò i predicatori erano sottoposti ad un grande
impegno vocale e quando la loro meccanica respiratoria non era ottimale lo sforzo si risolveva in "ernie o altre crepature19".
La stessa osservazione sarà fatta ancora nel 1713 da Bernardino Ramazzini20, il quale, al capitolo "Le malattie dalle quali
sono solitamente travagliati i maestri di canto, i cantori e altri di questa categoria" del De morbis artificum, cita non solo il
Mercuriale, ma anche "il nostro Falloppio" e conferma con la sua esperienza che: "Non si può trovare alcun tipo d’esercizio
tanto salutare e tanto innocuo che, facendone un uso smodato, non produca gravi danni e questo lo provano a sufficienza di
persona i maestri di canto, i cantori, gli oratori sacri, i monaci e anche le monache, a causa dell’incessante cantar salmi
nelle chiese, gli avvocati abbaiatori, i banditori, i lettori, i filosofi che nelle scuole disputano fino alla raucedine e
quant’altri per i quali il canto e la pratica della voce hanno il ruolo di mestiere. Questi dunque solitamente diventano per lo
più sofferenti d’ernia…".

Non è stato agevole isolare dal testo e riunire organicamente — se pure ci sono riuscito - queste poche note. Il riferimento
scientifico del Mercuriale è la medicina antica e noi, che l’abbiamo rimossa dal nostro sapere relegandola al rango di alta
stregoneria, abbiamo difficoltà ad accettare che nel xvi secolo essa costituisca ancora il fondamento della scienza in uso.
Nel suo discorso il riferimento teorico agli antichi è intimamente connesso con la sua pratica di medico ed è difficile capire
se parli solo dei primi o se si riferisca anche alla seconda. Che le citazioni degli antichi coincidano o non coincidano con la
sua esperienza appare chiaramente soltanto quando lo dice esplicitamente o quando le confuta in base alla pratica. Nei casi
come quello della piastra di piombo di Nerone, per esempio, senza una testimonianza coeva sarebbe stato impossibile
capire che egli parlava di una pratica in uso.

Il riferimento all’autorità degli antichi, quasi che l’autore non sia in grado di affermare qualcosa soltanto in virtù della
propria, è un modo di procedere nelle trattazioni che si ritrova anche altrove. Sempre nelle mie ricerche sulla vocalità antica
mi sono imbattuto ne L’arte de’ cenni di Giovanni Bonifacio21, trattato di mimica il cui frontespizio, almeno in quel caso, è
molto chiaro: "Nella prima [parte] si tratta de i cenni, che da noi con le membra del nostro corpo sono fatti, scoprendo la
loro significatione, e quella con l’autorità di famosi Autori confirmando". Quando si va a leggere la mimica dei personaggi
dei quadri del suo tempo alla luce del trattato si scopre che i gesti con i quali i pittori hanno rappresentato l’espressione
delle emozioni corrisponde perfettamente alle sue descrizioni; però il Bonifacio sente il bisogno di attribuirsi una sorta di
marchio di garanzia "confirmando", appunto, ciò che dice "con l’autorità di famosi Autori". Il tono del Mercuriale è invece
quello di chi, citando gli antichi, cita conoscenze scientifiche sicure; tuttavia per noi l’incertezza sui suoi riferimenti
rimane.

Altro problema per la sua comprensione è che nel suo discorso osservazioni correttissime anche da un punto di vista
moderno sono intimamente legate con interpretazioni dei fenomeni, date secondo il grado di sviluppo della scienza del suo
secolo; di qui la difficoltà di estrarne quanto ci pare di più avanzato rispetto al tempo, evitando di fargli dire ciò che
vorremmo noi e che egli non ha mai pensato di dire. Non resta quindi che augurarci che questo "Colloquio in omaggio al
primo medico dello sport" sia soltanto il primo atto di una rivisitazione approfondita di tutta l’opera di Girolamo Mercuriale
con un sistema d’indagini che permetta di capirne il valore.

Note

1
. Il titolo della comunicazione corrisponde a quellodel capitolo del De arte gymnastica, relativo alla vociferazione, nella traduzione fatta dal sacerdote Rinaldo
da Forlì nel 1856.

2. Girolamo Mercuriale. De arte gymnastica, Giunta, Venezia, 1601, p.132.


3. Id., "Tutti i dotti, in realtà, sanno che questa si fa quando si tendono e si contraggono tutti i muscoli del torace, che si hanno attorno alle coste, in modo che
l’espirazione desiderata non possa essere portata a compimento" (pp.152-153).
4. Id., "Fra i molti altri servizi necessari alla vita umana, prestati dal respiro, la vociferazione non tiene l’ultimo posto. La quale non è altro che una percussione
veemente dell’aria che Aristotele e Galeno, nei famosi scritti pubblicati sull’argomento, provarono essere tanto materia, quanto agente e forma, fornita o dalla
sola respirazione o, almeno, non senza di essa" (pp. 156-157).
5. Gladys Storey, La riabilitazione funzionale respiratoria nella pratica clinica, Edizioni Medico Scientifiche, Torino, 1979, cap. "L'impiego di una fascia per
irrobustire i muscoli respiratori" (pp.139-142); ma anche, e.g., F. Viglione, Manuale di fisioterapia toraco-polmonare, Edizioni Minerva Medica, Torino, 1959,
cap. "Esercizi respiratori localizzati" (pp. 120-122).
6. G. Mercuriale, op. cit., p. 154.
7. Le 26 incisioni del trattato sono di Pirro Ligorio, su disegni di Cristoforo Coriolani (NUC, Library of congress, Washington, 1983, v. 377, p.24).
8. G. Mercuriale, op. cit., libro iv: cap. ii, "Confutazione dell'opinione di coloro i quali condannano l'esercitazione da parte dei sani…"; cap. iii,
"Disapprovazione di coloro i quali ritengono che tutti debbano esercitarsi"; cap. iv, "Si biasimano coloro che volevano che si esercitasse soltanto chi vi fosse
abituato".

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9. Op. cit., p. 156.
10. Girolamo Fabrizi d’Acquapendente, De locutione et ejus instrumentis, Pavia, 1601.
11. Denis Dodart, Sur la cause de la voix de l'homme et de ses différents tons, Paris, 1700.
12. Antoine Ferrein, Mémoire de l'Académie royale des Sciences, séance du 15 novembre 1741, Paris, 1754.
13. G. Mercuriale, op. cit., p.160.
14.Caio Plinio, Naturalis Historia, xxxiv, 50 (!): "Nero, quoniam ita placuit diis, princeps, lamna [plumbi] pectori inposita sub ea cantica exclamans alendis
vocibus demonstravit rationem".
15.
Giovanni Camillo Maffei, Delle lettere del S.or Camillo Maffei da Solofra libri due, lettera al conte d’Alta Villa, Napoli, 1562, ripubblicazione moderna in:
Nanie Bridgman, Giovanni Camillo Maffei et sa lettre sur le chant, "Revue de musicologie", xxxviii, Société Française de Musicologie, Paris, 1956, pp.3-34.
16.Svetonio Tranquillo, Vita Neronis, xx: "ipse meditari exercerique coepit neque eorum quicquam omittere, quae generis eius artifices vel conservandae vocis
causa vel augendae factitarent; sed et plumbeam chartam supinus pectore sustinere et clystere vomituque purgari et abstinere pomis cibisque officientibus."
17. G. Mercuriale, op. cit., p. 288.
18. Marco Tullio Cicerone, Tusculanae disputationes, II, 56. "Nec vero umquam ne ingemescit quidem vir fortis ac sapiens, nisi forte ut se intendat ad
firmitatem, ut in stadio cursores exclamant quam maxime possunt. Faciunt idem, cum exercentur, athletae, pugiles vero, etiam cum feriunt adversarium, in
iactandis caestibus ingemescunt, non quod doleant animove succumbant, sed quia profundenda voce omne corpus intenditur venitque plaga vehementior".
19. G. Mercuriale, op. cit., p. 284.
20. Bernardino Ramazzini, De morbis artificum, Pavia, 1713 (edizione moderna a cura di Giorgio Cosmacini: Bernardino Ramazzini, Le malattie dei lavoratori,
Teknos, Roma, 1995, p. 229).
21. Giovanni Bonifacio, L’arte de’ cenni con la quale formandosi favella visibile, si tratta della muta eloquenza, che non è altro che un facondo silenzio,
Vicenza, 1616.

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