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Racconti

di gente giusta
Prefazione
Tino Casali - Presidente Nazionale ANPI
FEGATO LIBRI EDITORE
SAVERIO TOMMASI

Racconti di gente giusta

A Beatrice
Questo libro
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stampa giugno 2008
Prefazione
Racconti di gente giusta

I Partigiani d’Italia hanno sempre


creduto nel futuro e nella possibilità
di un riscatto democratico e solidale
per il nostro Paese. Ideali coltiva-
ti durante gli inverni durissimi e le
estati aride dei venti mesi della Lotta
di Liberazione dal nazifascismo. Valori
che hanno poi trovato forma e sostanza
nella Costituzione repubblicana grazie
al sacrificio di un intero popolo del
quale oggi, sempre più spesso, si tenta
di calpestare la dignità ritrovata of-
fendendo la memoria della Resistenza e
dei suoi protagonisti.
Rievocare in palcoscenico le trage-
die che hanno insanguinato l’Italia di-
viene così sinonimo di impegno civile.
L’episodio narrato da Saverio Tommasi in
Racconti di gente giusta, per esempio,
è un evento a lieto fine perché a San
Giorgio a Colonica si salvarono dalla
Prefazione

furia tedesca e delle camicie nere don-


ne, vecchi e bambini ma andò altrimenti
a Sant’Anna di Stazzema, a Marzabotto,
alle Fosse Ardeatine e nelle centinaia
di eccidi perpetrati dal Sud al Nord
Italia, stragi di massa elette a stra-
tegia di guerra per annientare i ci-
vili. Persone semplici che chiedevano
solo pace e serenità, di tornare a casa
dalle proprie famiglie e riprendere a
coltivare le campagne. A decenni di di-
stanza sono pochi i responsabili che
hanno dovuto rispondere alla giustizia
ma questa è, come suole dire, un’altra
storia.
In questa occasione, mi preme invece
sottolineare la promessa rappresentata
dai tanti giovani che si sono iscritti,
numerosi, alla nostra Associazione e ai
quali noi anziani combattenti della li-
bertà passiamo ora il testimone.
L’invito che rivolgiamo alle nuove
Racconti di gente giusta

generazioni è dunque di arricchire e


difendere la preziosa democratica me-
moria dell’antifascismo perché quando a
imporsi sono dittatura, violenza e cru-
deltà non ci sono vincitori né vinti,
siamo tutti perdenti.

Il Presidente Nazionale ANPI


Tino Casali
Prefazione

Epigrafe per una lapide a “ignominia”

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi
da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo
sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
Più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
Racconti di gente giusta

che volontari si adunarono


per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
Piero Calamandrei - 1952
Prefazione
Racconti di gente giusta

Il testo è scritto con accento fioren-


tino-vernacolare, cui si deve la sin-
tassi “traballante” e la punteggiatura
non sempre stilisticamente corretta, ma
che ben riproduce la parlata dei vecchi
abitanti della campagna toscana, i cui
racconti sono stati la base di partenza
per la costruzione del testo drammatur-
gico.

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Saverio Tommasi

Abitavano il monte, la pendi-


ce, lassù poco distante da qua.
Erano gente semplice, la figlia non voleva
fare l’attrice e il maschio aveva smesso di
studiare per aiutare il babbo (anche se gli
sarebbe piaciuto, continuare a studiare).
Si alzavano alle cinque (prima del gallo
che quello canta alle sei, alle volte anche
alle cinque ma soprattutto alle sei), e lavo-
ravano la terra.
Gente strana e contadina e affamata,
che queste tre cose spesso vanno insie-
me.

Nel giardino c’avevano un fico, che a pri-


mavera faceva quei frutti, che voi direte...
(L’ATTORE BIASCICA RUMOROSAMENTE, COME ASSAPO-
RANDO UN GUSTO E CERCANDO LE PAROLE ADATTE)

...“dolci come il miele”, e invece la verità è


che quei fichi lì non li volevano neanche i
maiali, come si dice dalle nostri parti (an-
che se i maiali non ci s’hanno). Ma questa

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Racconti di gente giusta

famiglia che vi ho raccontato prima, a quel


fico che invece vi sto raccontando adesso,
era parecchio affezionata; non mi chiedete
perché, ma succede che la gente, la brava
gente, s’affeziona a quello che ha, anche
se quello che ha è poco.
Cristo l’avrebbe tagliato il fico cattivo,
loro invece no, perché c’erano affezionati,
e qualcuno dice perché comunque gli face-
va ombra.
Successe che l’albero invecchiò, sem-
brava un vecchio di cent’anni con la barba
e tutti dicevano a quella famiglia: taglia-
telo che tanto è secco, tempo due mesi
e cade morto stecchito. E loro invece no,
duri come le pietre se lo tenevano stretto
e non ci pensavano nemmeno.
Sapete com’è finita? Che in quella fa-
miglia sono tutti morti e il fico campa an-
cora.

Se non fosse una tragedia ci sarebbe da

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Saverio Tommasi

ridere, a pensare che ora sono tutti sepolti


proprio intorno a quel fico lì, che la gente
diceva: “Appena la guerra finisce si leva la
terra, si tirano su le casse e si portano al
cimitero”, invece il fico l’ha abbracciati, sì,
ha fatto franare la terra, le casse sono fini-
te a quindici metri e a dissotterrarle hanno
provato ma ha vinto il fico, questo vecchio
di 100 anni con la barba che “zitto zitto”
seppellisce anche noi.
Io non so se è vero, a me lo hanno rac-
contato.

Buonasera. Benvenuti. Io sono Saverio


Tommasi (anche il cognome!)
Questa sera racconterò delle storie,
come facevano una volta i vecchi, e lo fa-
rebbero anche oggi se si stessero a senti-
re; intorno al fuoco, anche se il fuoco quel-
lo vero non c’è, c’è questo, (L’ATTORE INDICA
UNA TORCIA ACCESA) ma è come se ci fosse

(io lo vedo). Racconto delle storie perché i

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Racconti di gente giusta

protagonisti che le potrebbero raccontare


non ci sono più, o ci sono ma sono un po’
stanchi, e allora le racconto io, perché la
memoria è un ingranaggio collettivo, che
vuol solo dire che “è una cosa di tanti”, e
per farla funzionare è meglio essere pa-
recchi, per fortuna ci siete anche voi.
“Memoria”, questa parola, lo sapete?
Deriva da una radice sanscrita (m-a-n,
man!), e significa “pensare”. E io racconto
delle storie per continuare a pensare.

Buon ascolto. Benvenuti e buon ascol-


to, benvenuti sì, anche se a dirla tutta mi
dispiace parecchio, che non sono preciso e
tante cose non me le ricordo. I nomi non
me li sono mai ricordati, ma ora è peggio,
qualche volta mi scordo anche le facce e al-
lora le disegno (io sono bravo a disegnare),
ma succede qualche volta che mi sembra
che i disegni siano troppo scuri, e uguali,
e a guardarli dopo che li ho disegnati, non

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Saverio Tommasi

è facile che le riconosco le facce, anche se


le ho disegnate io, e allora penso: mamma
mia quanto sono vecchio, fra poco muoio,
però muoio contento, perché le cose le ho
viste e le ho imparate, e qualcuno mi ha
chiesto di raccontarle, e allora vi ringrazio,
grazie, grazie, grazie ve lo dico ora perché
magari dopo sono commosso o non me lo
ricordo (più probabile).
Buon ascolto e imparate, se pensate ci
sia da imparare, o buonanotte, se vi piglia
sonno.
Posso confondere nomi e qualche volta
facce, ma mai le opinioni. In questo rasso-
miglio tutto alla mi’ nonna.

C’avevo una nonna che sapeva le sto-


rie.
Una di quelle nonne che si incontrano
nelle fiabe, con i capelli bianchi, i fornelli
accesi e il bagno sporco (solo un po’), ma
ci teneva: “Figlioli non insudiciatelo!”

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Racconti di gente giusta

E noi le si diceva: “Per non sporcare il


bagno si piscerà in giardino!”
I bambini c’hanno proprio la faccia to-
sta, ma questa è un’altra storia.
Anche il nome della nonna è una sto-
ria: si chiamava Guglielmina, perché era il
nome della capra, che quando la mamma
sua (che era la bisnonna mia), non ave-
va più latte e Guglielmina era piccola, lo
allungava con quello della Guglielmina, la
capra che stava in cortile.
E se mi chiedete: “ma perché alla tua
nonna gli avevano messo il nome di una
capra?” Vi posso raccontare quello che
raccontava lei, nonna Guglielmina la nar-
ratrice di storie a cui debbo la passione.
Vedete, quando fuori faceva fresco (da
noi si chiamava all’imbrunire e forse anche
da voi si chiama così), una sera la non-
na lo raccontò, perché gli avevano mes-
so nome Guglielmina; perché in casa, che
fosse arrivata la femmina, erano tutti con-

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Saverio Tommasi

tenti (contentissimi!) ma non di più che


se avessero vinto una capra alla festa del
paese, e perciò le avevano messo lo stesso
nome che avevano messo alla capra che
avevano vinto alla festa del paese, l’anno
prima.

Nonna Guglielmina aveva un quadro.


Non ci vedeva più, la nonna, ma diceva
che quel quadro profumava.
Ve la voglio raccontare tutta, a me
sembrava solo sudicio: un paio di volte, mi
scuserete, ero piccino e non lo sapevo, l’ho
annusato per davvero, starnutito (etcì!) e
ricordo che sulla polvere sopra la cornice
scrivevo il mio nome, e nonna Guglielmina
diceva: “statte buono” che neanche ci ve-
deva… e infatti non ho mai capito come fa-
cesse a vedermi, mentre scrivevo il nome
mio sul quadro suo.
Ma la nonna sentiva gli odori, e diceva
che con il profumo di quel quadro gli tor-

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Racconti di gente giusta

nava in mente qualcosa, e che se fossi sta-


to più grande me l’avrebbe anche detto,
cos’è che gli tornava in mente, ma ora non
poteva per rispetto alla mia mamma (che
era la figlia sua), ma che appena crescevo
me l’avrebbe raccontata, quella storia che
le tornava in mente sentendo il profumo
del quadro.
Però io sono cresciuto troppo tardi, e
nonna Guglielmina non c’era più.
Bisogna dire che però ne sapeva così
tante di storie che infatti me ne raccontava
dell’altre, e io le chiedevo: “ma chi te l’ha
detto?”
E lei mi guardava, non ci vedeva eppu-
re mi guardava negli occhi precisa, anche
questo non ho mai capito come facesse (e
siamo già a due o tre cose che di mia non-
na non ho mai capito), e sorrideva: “L’ho
visto”. Non era vero, non l’aveva visto, le
storie gliele raccontava la gente che cono-
sceva, ma per lei era come averle viste.

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Saverio Tommasi

9 settembre 1943
“Caro figliolo, è bello osservare la gente
che gioisce, purtroppo però si tratta di gioia
effimera che durerà solo poche ore. Devi
sapere che le truppe tedesche da questo
momento invaderanno l’Italia, ci aspetta-
no tempi di dura guerra, anche perché con
i tedeschi ci saranno i fascisti venduti al
loro soldo che sfogheranno la loro rabbia
di perdenti contro i propri fratelli”.

I barbieri delle barberie dicono sempre


tante fesserie, e quello me lo aveva detto
il barbiere della barberia vicino casa mia,
e avrei voglia di giocare a fare rima fino a
domani mattina, ma questa volta no, per-
ché il barbiere della barberia vicino casa
mia aveva ragione, e non c’è riso e non c’è
scherzo in questo quadro che più lo penso
e più mi va di traverso.

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Racconti di gente giusta

TAMBURO

8 settembre 1943, un giorno prima.


E’ pomeriggio, tardi. Sono le 19:30 pas-
sate. Al Caffè c’è uno strano odore, qual-
cuno ha mischiato il profumo dei dolci con
il sapore del sigaro toscano. Succede an-
che questo, al “Caffè”. Che qualcuno giochi
ancora a carte: “Briscola!”
Lo conoscete? E’ un gioco di carte delle
nostre parti… e “Bestia”? Questo non c’era
contadino che non lo conoscesse: da 4 a 7
giocatori con un mazzo di 40 carte italiane
(le tradizionali), asso re cavallo fante don-
na e poi tutte le altre, si fa una smazzata
che determina la dichiarazione e il gioco
della carta, bisogna far la presa tirando di
seme, e chi fa la presa prende il piatto,
basta aver deciso la posta, pronti? Attenti!
Via! Il giocatore che inizia deve bussare,
altrimenti non è “Bestia”, è un altro gioco…
poveri ragazzi d’oggi, vi siete persi a non

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Saverio Tommasi

conoscere la “Bestia”… anche la guerra vi


siete persi, beati voi, poveri ragazzi (sì,
ma noi, che s’era piccini), con la guerra
lì, che apri la porta e la vedi (“buonasera
signora guerra!”), sappiate che era brutta,
una signora proprio brutta parecchio, che
in guerra si moriva, ma non si moriva e
basta, c’era fame e paura di uscire, e tutti
insieme come qui, stasera, non era tanto
bene ritrovarsi!

RIDE

Dicevo dell’8 settembre. Ora ricomincio,


non vi preoccupate, con i vecchi non do-
vete avere fretta. Noi s’arriva, ma senza
fretta, che di corse e grida ci se n’ha piene
le palle. Ecco, i vecchi dicono le parolacce;
non è vero, non tutti (come i giovani, del
resto!) e allora vedete che giovani e vecchi
non sono mica tanto diversi, anche se noi
s’è fatta la guerra e voi no, beati voi.

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Racconti di gente giusta

Insomma, per farla breve al “Caffè”


c’era Gino Bechi che cantava “Una strada
nel bosco”.
Non era proprio al “Caffè”, era alla ra-
dio, ma la radio era al “Caffè”, e perciò al
“Caffè” c’era anche Gino Bechi.
Silenzio. Le trasmissioni si interrompo-
no. Ancora silenzio. Questa volta anche
dentro il Caffè, tutti zitti, la pausa è lun-
ga, saranno 30 secondi che Gino Bechi ha
smesso di cantare, ma è troppo presto per
il bollettino di guerra, quello viene dato
alle 20:00 in punto.
Alle 19:43 fu Giovanni Battista Arista,
lo speaker dell’E.I.A.R, ad annunciare che
il maresciallo Badoglio stava per inviare un
messaggio alla Nazione. Passa una man-
ciata di secondi. I vecchi, che allora erano
giovani e oggi sono vecchi (pochi vecchi,
perché i più sono “belle-e-che-morti”),
smettono di giocare a carte. Basta “Bestia”

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Saverio Tommasi

basta “Briscola”. C’è il maresciallo Badoglio


che annuncia la firma dell’armistizio con le
forze Anglo-Americane. Poi quelli della ra-
dio registrano il messaggio e lo mandano
ogni 15 minuti.

L’ATTORE RECITA, A MEMORIA, PARTE DEL MESSAGGIO

“Il Governo italiano, riconosciuta l’impos-


sibilità di continuare l’impari lotta contro
la soverchiante potenza avversaria, nel-
l’intento di risparmiare ulteriori e più gravi
sciagure alla Nazione, ha chiesto un armi-
stizio [...] (eccetera eccetera eccetera).
La richiesta è stata accolta [...] (eccete-
ra eccetera eccetera).
Ogni atto di ostilità contro le forze an-
glo americane deve cessare da parte delle
forze italiane in ogni luogo; esse però rea-
giranno ad eventuali attacchi da qualsiasi
altra provenienza”.

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Racconti di gente giusta

L’ATTORE RIPETE FRA SÉ

“Esse reagiranno ad eventuali attacchi da


qualsiasi altra provenienza”… (GUARDA IL PUB-
BLICO, SORRIDE) Al barbiere della barberia vi-

cino casa mia questa frase non era piaciuta.


Vedo la gente si alza e va in strada, e in
strada incontra altra gente, e insieme for-
mano tanta gente, che parla, qualcuno
esulta, timidamente, altri suonano a diste-
sa le campane delle pievi e delle città.

L’ATTORE ESULTA, BRACCIA IN ALTO, RIDE

Viva le radio e le galene, quelle vecchie


radio fatte a mano, con la cuffia e il cristal-
lo di solfuro di piombo contenente argenti-
te... Non vi stupite, che in Toscana lo sanno
tutti: “Contadino scarpa grossa e cervello
fino” … Viva! Viva! hanno dato questa no-
tizia, finalmente, finalmente! Alcuni tede-
schi capiscono e si arrendono così, diretta-

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Saverio Tommasi

mente, altri mangiano e bevono insieme ai


nostri: “Morgen, ubermorgen…!”
Non si capisce nulla, anzi sì, si capisce
che anche loro vogliono andare a casa.

La gente pensa che lassù in alto avran-


no stabilito dei patti per cui le truppe ger-
maniche si ritirino pacificamente dalla pe-
nisola, mentre gli anglo americani, appena
sbarcati, occuperanno i presidi delle grandi
città e di ogni altro centro strategico ita-
liano.

Badoglio fugge da Roma alle 5:00 del


9 settembre, non da solo, la lunga fila
di automobili è composta dal Re, dal fi-
glio Umberto e alcuni ministri. Arrivano a
Pescara; al porto di Ortona c’è una Corvetta
pronta a salpare (non per fare la rima,
ma la Corvetta si chiamava “Baionetta”),
e salpò a mezzanotte in punto, direzione
sud; a poca distanza un incrociatore leg-

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Racconti di gente giusta

gero di scorta. Alle 14:00 del 10 settembre


la Baionetta attracca al molo di Brindisi. I
passeggeri sono scampati alla cattura del-
le truppe tedesche e ora, dietro la linea del
fuoco, cercano di organizzare il “Regno del
Sud”.
Hitler, Adolf Hitler, ordina a Kesserling e
Erwing Rimmel di attuare i piani predispo-
sti contro gli italiani: sono quattro.
Cattura completa della flotta.
Eliminazione definitiva dell’esercito ita-
liano.
Liberazione di Mussolini.
L’ultimo ha come fine l’occupazione,
da parte dell’esercito tedesco, della città
di Roma, e la ricostituzione di un nuovo
governo fascista sotto il controllo della
Germania.
I soldati italiani avevano paura. Tutti
s’aveva paura. Ce n’erano 900.000 di sol-
dati italiani fuori dai confini che avevano

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Saverio Tommasi

paura (e c’erano pure quelli che non sape-


vano niente e continuavano a combattere
a fianco dei tedeschi, ma avevano paura
anche loro, questo non c’è scritto da nes-
suna parte ma io lo so); altri cercavano di
tornare a casa, e poi c’erano quelli che si
misero a fianco dei popoli occupati e com-
batterono con loro; e quelli che proprio la
paura non si può descrivere, e infatti nem-
meno ci provo, che vengono catturati e
trasportati nei campi di concentramento.

Poi c’erano le divisioni militari dentro i


confini, e c’era una nonna che portava il
nipote a un muro di pietre vicino casa al
di là del pozzo, e da quel muro si vedeva il
quercione (c’è anche il nome di un posto,
che si chiama “Il Quercione”, ma quello lì
non c’entra niente), noi al di là del muro
di pietre vicino a casa al di là del pozzo si
chiamava “il quercione” perché c’era una
grande quercia, ma ora non c’è più la quer-

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Racconti di gente giusta

cia e anche se la voleste andare a ritrovare


è difficile, perché non c’è più neanche il
muro di pietre, il pozzo s’è prosciugato e
la casa l’hanno venduta (ma non so a chi);
la guerra è finita e non credo vi interessino
queste cose vecchie, ma io ve le raccon-
to, cosa me ne frega a me di quello che
vi interessa a voi, anch’io sono vecchio e
queste cose sono un po’ anche mie.
La memoria non è buona per niente,
ma raccontavo che il nipote stava in piedi
sul muro di pietre vicino a casa al di là del
pozzo dove c’era la quercia grande-gran-
de, e sotto di lei questa nonnina insieme
alle sue amiche (le amiche della nonnina),
e tutte avevano tanti vestiti (chissà da
dove l’avevano tirati fuori, io in casa tut-
ti quei vestiti insieme non l’avevo mai vi-
sti), e avevano tanti soldati intorno che si
spogliavano dalle divise e loro che gli da-
vano pantaloni, giacche e camicie; e così
per due giorni, dal 9 settembre 1943 all’11

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Saverio Tommasi

settembre 1943.
Povere mamme e nonne e zie, ognu-
na sperava che da qualche altra parte nel
mondo, qualche altra mamma e nonna e
zia, facesse la stessa cosa con il loro omi-
no, che era in giro per la guerra e c’aveva
tanta paura, anche ora che sembrava fini-
ta e invece non era finita, aveva ragione il
barbiere della barberia vicino casa mia.

TAMBURO

Il giorno dopo Hitler realizza il piano primo,


“Mussolini libero”.
Dall’aeroporto di Pratica di Mare si alza-
no in volo dieci alianti con novanta uomini
a bordo; gli alianti vengono trainati da al-
trettanti “Heinkel 126”, rotta Gran Sasso,
dove si trovava la prigione del Duce, su un
altopiano di duemila metri. Agenti e cara-
binieri difendono la prigione, ma all’arrivo
degli alianti si arrendono senza opporre

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Racconti di gente giusta

resistenza e consegnano Mussolini ai te-


deschi.
I cineoperatori della propaganda filma-
no l’evento.
Questo avveniva il 12 settembre, ma la
notizia alla gente italiana fu data il 13 set-
tembre.
Passano cinque giorni, e da Radio
Monaco parla Mussolini: “Ripresa della
guerra a fianco dei tedeschi, dei giappo-
nesi e degli altri alleati, affinché siano eli-
minati tutti i traditori e sia cancellata con
il sangue la pagina più obbrobriosa della
nostra storia”. Il duce parlava con voce
stanca, ma ora capirono tutti.

Ecco perché aveva ragione il barbiere


della barberia vicino casa mia, a dire che
non c’era niente da festeggiare; solo i fa-
scisti erano contenti, perché il 23 settem-
bre Mussolini annunciò la costituzione del-
la nuova Repubblica Sociale Italiana, con

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Saverio Tommasi

sede di governo a Salò, sul lago di Garda.


Dagli elenchi ufficiali cercarono di rintrac-
ciare i militari che dopo l’armistizio si erano
dati alla fuga, e fu da questo momento che
molti uomini, per non indossare la divisa
con le insegne “repubblichine” e combat-
tere accanto ai tedeschi, preferirono darsi
“alla macchia”, sui monti, insieme ai primi
partigiani, che qualcuno, addirittura, ave-
va già costituito la sua base fra i boschi.
Vietano di riunirsi in assemblea e ascol-
tare radio clandestine, in particolare Radio
Londra, quella era “propio proibita” (come
si diceva noi).
I tedeschi non facevano “storie”: la di-
serzione veniva punita con la morte.
In bocca al lupo, compagni partigiani!

COLPI DI TAMBURO

Vi ricordate delle due Guglielmine, la non-


na e la capra (ma soprattutto la capra)?

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Racconti di gente giusta

C’è anche una storia di mucche, che


non parla di partigiani, ma di un pittore che
aveva lo spirito di un partigiano e di una
mucca che aveva lo spirito di una mucca
(del resto era una mucca).
La storia inizia con il pittore e la mucca
arriva solo alla fine, perciò io comincio dal
pittore, che abitava a Tòsina.
Tòsina si pronuncia con l’accento sulla
“o”, perché dicono sia di origine etrusca e
gli etruschi dicevano Tòsina, perché a loro
l’accento cadeva sulla terz’ultima sillaba.
Strana gente gli etruschi, infatti oggi non
ce n’è più nemmeno uno.
Gli americani avevano messo il coman-
do in una villa in vetta al poggio, e il pitto-
re di Tòsina ci andava tutti i giorni e faceva
ritratti agli ufficiali, che lo pagavano dan-
dogli da mangiare.
Per arrivare alla villa percorreva una
strada che era una mulattiera e scorreva
in mezzo al bosco. Il bosco era minato, lui

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Saverio Tommasi

lo sapeva e tutti lo sapevano, che i tede-


schi in ritirata l’avevano minato e avevano
minato anche la mulattiera, ma lì non c’era
pericolo perché ci erano passati gli smina-
tori, e allora cammina tranquillo il pittore,
e per mano porta il figliolo, che gliel’aveva
detto tante volte, il pittore al figliolo: “Non
entrare mai nel bosco che ci sono le mine,
e se entri: “Bum!” ci salti sopra.
E il figliolo rispondeva: “Sì, babbo, ho
capito, nel bosco ci sono le mine”.
Il fatto è che mentre camminavano
sentirono un lamento nel bosco, e il pitto-
re dallo spirito partigiano disse: “Io vado,
tu aspettami qui”. E il figliolo rispose: “No
babbo, te non vai, mi hai appena detto
che c’è pericolo, e che appena uno entra:
“Bum!” salta sulla mina”.
E il babbo: “No, devo andare perché c’è
qualcuno che sta male, tu aspettami qui”.
Hai voglia il bambino a urlare, giù il bab-
bo dentro al bosco... gli adulti ai bambini

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Racconti di gente giusta

non gli danno mai retta e fanno male, per-


ché appena dentro al bosco: “Bum!” morì
su una mina; lui lo sapeva che c’erano, ma
aveva sentito un lamento ed era andato lo
stesso, il pittore con lo spirito partigiano.
Più tardi scoprirono che i lamenti erano
quelli di una mucca.
Ecco perché c’entrava la mucca.
Di capre e mucche, è fatta la storia.

Quella che vi racconto ora si svolge a


parecchi passi da qui. Parecchi-parecchi,
ed è una storia che alla fine non c’è nem-
meno un morto.
...E allora perché ve la racconto?!
...Perché si devono raccontare solo le
storie con i morti? Allora su, da bravi, sta-
te zitti che ora ve la dico.
Si svolge nel paesino dove abitavo io,
ma si sarebbe potuta svolgere a … (L’ATTORE
NOMINA TRE O QUATTRO LUOGHI PROSSIMI A DOVE SI

35
Saverio Tommasi

SVOLGE LO SPETTACOLO)
e magari ce n’è stata
per davvero una simile, che però voi non
sapete.
Parto dall’inizio (anche perché se partis-
si dalla fine sarebbe già finita, invece parto
dal principio, così sta per iniziare).

E’ la storia di due operai (uno di fon-


deria), due contadini, due tessitori, un
medico condotto, Mario il napoletano tra-
piantato a S. Giorgio a Colonica dopo il
matrimonio (cosa dite?! Essere napoletani
non è un lavoro?! Certo, e neanche tra-
piantati a S. Giorgio dopo il matrimonio è
come fare l’operaio o il contadino, ma di
questo napoletano altro non me lo ricordo,
e dunque lui per me è Mario il napoleta-
no, quello trapiantato a San Giorgio dopo
il matrimonio).
Ma questa è anche la storia di un ragaz-
zo di sedici anni, e di un soldato italiano il
cui nome non si conosce, perché quando

36
Racconti di gente giusta

lo catturarono gli chiesero: “Te chi sei?” E


lui rispose: “Soldato italiano”; (infatti era
un militare di quelli spogliati, di quelli che
la mi’ nonna Guglielmina, insieme alle sue
amiche, rivestiva dietro il muro di pietre
vicino casa al di là del pozzo, ma questo ve
l’ho “belle-che-detto”).

La storia inizia che c’era il sole nel cielo


e sulle strade del paese, e in giro c’era-
no tre gruppi di brave persone che poi di-
ventano un solo gruppo di brave persone,
perché i tedeschi li catturano e li mettono
tutti insieme. Ora cerco di spiegarveli que-
sti gruppi, un po’ così come mi viene.
Partiamo dal gruppo primo, che ancora
non era un gruppo ma solo una coppia, in-
fatti erano un uomo e un ragazzo che sta-
vano andando a prendere un po’ di pane a
S. Giorgio.
Perché andavano a prendere il pane a
S. Giorgio? Perché erano le cinque, cin-

37
Saverio Tommasi

que e mezza, sei, non me lo ricordo tanto


bene. Un certo Rosati Giorgio li incontra e
dice: “Attenti, che ci sono voci che ci sia
un tedesco morto”. Ma loro non ci badano,
perché sempre meglio un tedesco morto
che uno vivo, e poi quel giorno la fame era
parecchia. Questo che sto per dire nean-
che ci sarebbe bisogno di dirlo, ma sicco-
me a me importa poco di ciò che sarebbe
da dire e da non dire, io ve lo dico: cari
ragazzi, e anche ragazze, la fame l’è una
brutta bestia ed è compagna della guerra,
mettetevelo a mente e non scordatevelo
più.
Per farla breve a questo Rosati Giorgio
danno retta solo dopo, a pancia piena,
vanno dalla zia e uno dei due fa: “Oh zia,
dove gli è lo zio?”
“Nell’orto con Gigi!”
E vanno nell’orto: “Zio, c’hanno detto
che c’è un tedesco morto, sta’ attento”.
Lo zio era un tipo giudizioso, e dice:

38
Racconti di gente giusta

“Non c’è mica da perdere tempo” e posa la


vanga a terra.
Ora dovete sapere che quel tedesco
morto c’aveva tanti amici tedeschi, vivi,
che proprio in quel momento tutti insieme
avevano circondato il campo, escono dal-
la saggina, li pigliano e li portano tutti e
quattro in un’aia, un lastrico (insomma noi
si chiamava l’aia, voi non lo so ma conta
come la si chiamava noi perché voi non
c’eravate); e lì nell’aia c’erano altre perso-
ne “belle-e-che-prese”, quelle del secondo
gruppo, fra cui il Travallini e due che di la-
voro risolavano le scarpe.

E il terzo gruppo? Stava all’ombra di


un fico (che non era quello di prima dei
morti sepolti intorno ma un po’ ci rasso-
migliava), e questo terzo gruppo giocava a
carte e i giochi erano invece proprio quel-
li che vi dicevo prima; arrivò la Leontina,
e vi dico subito che era una brava donna

39
Saverio Tommasi

la Leontina, ma c’aveva veramente trop-


pa paura davvero, e quando se n’usciva
dicendo: “Ci sono i tedeschi!” nessuno le
credeva.
Anche quel giorno arrivò e disse: “Ci
sono i tedeschi!” E siccome quel detto che
dice “se i bischeri volassero sarebbe sem-
pre buio” un po’ di ragione ce l’ha, nes-
suno le diede retta. Invece i tedeschi ar-
rivarono, così armati che sembravano in
guerra (infatti era proprio una guerra), li
presero e portarono tutti nella piazzetta di
“Moncino”. Tutti, ma non il medico condot-
to, ancora non c’era.

Poi li scelgono un po’ così, non c’aveva-


no mica un criterio, uno o l’altro era ugua-
le, e se qualcuno avesse chiesto: “Perché
proprio io?” nessuno gli avrebbe saputo
rispondere.
Li misero tutti in fila, e l’ufficiale disse:
“Un camerata morto, tutti kaput”.

40
Racconti di gente giusta

Intorno c’avevano gente, e tanta gente


insieme forma il popolo e il popolo tutto
insieme incazzato che non vi dico, urla,
sbraita, fa paura, e allora i tedeschi spara-
rono alcuni colpi in aria per mandarli via,
ma il popolo insieme è coraggioso e nes-
suno se ne andò; allora portarono i prigio-
nieri davanti a una fossetta. Sì, quelle più
piccine si chiamavano fossette, quelle più
grandi invece fosse, e correvano queste
fosse e fossette inframezzo al paese e poi
sfociavano nell’Ombrone o nel Bisenzio. Ci
scorreva l’acqua buona, mica quella poco
buona; e c’erano pure i pesci, e in pae-
se c’era una fossa più grande che tutti gli
anni veniva seccata facendo le ture, e con
le vanghe si tirava la melletta e si trovava-
no l’anguille, ma anche i gamberi, i lucci,
le tinche, lo so, non ve lo sareste mai im-
maginato!
Ora l’anguille non ci sono più, e non ci
sono più nemmeno i gamberi, e non c’è

41
Saverio Tommasi

più nemmeno l’acqua, e quando c’è… pro-


vatela voi a bere!

RIDE

Anche i ranocchi c’erano, s’andava a pi-


gliarli con la mazzanchera la notte, con una
citilena con il carburo gli si faceva lume, e
con il forchettone… zac! Se ne inventava di
quelle nere!
“Di quelle nere”, per chi non lo sa, vuol
dire “di quelle che non potete immaginar-
vi!”

Ma soprattutto ci piacevano i gamberi,


ce n’erano di quelli piccini che noi si chia-
mavano “sterzino”, i gamberi quando cam-
minano tornano indietro… sono tutti grulli
i gamberi, non lo sanno che si cammina
dall’altra parte e camminano all’indietro, e
sbagliano! O forse a sbagliare siamo noi, e
un giorno si scoprirà che c’hanno ragione

42
Racconti di gente giusta

i gamberi!
Sono strani i gamberi, come i vecchi,
che allora erano giovani, in piedi davanti
alla fossetta con cinque tedeschi con il mi-
tra puntato. Se la fanno addosso. Proprio
tutta quanta addosso che sembravano dei
vecchi incontinenti, e invece erano dei gio-
vani che se la facevano addosso dalla pau-
ra.
E proprio in quel momento i tedeschi of-
frono a tutti una sigaretta, neanche a dirlo
doveva essere l’ultima.
Non si può dire se la stessero godendo,
arrivò il comandante della gendarmeria te-
desca, il quale riferì che il tedesco morto,
probabilmente era stato ucciso da un suo
commilitone dopo una lite per una biciclet-
ta, e allora: “Sospendete l’esecuzione”.

Era stato Don Ottorino Carlesi, parro-


co di San Giorgio, a convincere il coman-
dante della gendarmeria tedesca a riman-

43
Saverio Tommasi

dare l’esecuzione, raccontando della lite


fra commilitoni, anche se il tedesco mor-
to c’era per davvero, lo disse il prete che
glielo portarono a far vedere: l’era proprio
morto sparato e ammazzato; lui gli det-
te pure l’ultima benedizione, quella che i
cristiani chiamano “l’estrema unzione”. Io
sono cristiano, ma per questo Papa non
c’ho tanta simpatia, e per fargli dispetto la
chiamo “l’ultima benedizione”; sono strani
i vecchi, vero?

Quel che tutti sapevano, e che sanno


anche oggi, è che gli aveva sparato qual-
cuno che non era tedesco; altro dire però
non voglio perché tempo n’è passato pa-
recchio e poi poteva finire anche peggio,
solo vi dico che gente che pensa poco
prima di fare le cose c’è sempre stata, e
come si dice dalle nostre parti, c’è gente
che se fosse “lunga quanto bischera ber-
rebbe dalle grondaie”.

44
Racconti di gente giusta

Dove s’era?
Ah, l’esecuzione rimandata. Non sospe-
sa, rimandata, peggio.
Li portano tutti in un magazzino in via
del Ferro, in una zona in cui oggi c’è un asi-
lo, e spero che questa storia a quei bam-
bini gliela raccontino, appena saranno un
po’ più grandi, ma anche ora, che i fascisti
è bene imparare a conoscerli da piccini.
Intanto c’era uno che guardava dalla fi-
nestra, e guardava, e a forza di non toglie-
re gli occhi lo videro anche i tedeschi, e che
fecero i tedeschi? Presero anche lui, che
di lavoro faceva il medico condotto; ecco
come s’aggiunge un protagonista a questa
storia di cui nessuno avrebbe voluto esse-
re protagonista ma di cui tutti lo erano, e
ancora non riuscivano a sortircene, perché
dopo la fossetta e dopo l’ultima sigaret-
ta, ora gli stavano portando in questo ma-
gazzino; ancora non ve l’ho detto ma sto
per dirvelo ora, non era un magazzino che

45
Saverio Tommasi

conteneva attrezzi da lavoro, o mangia-


re, o magari vuoto, perché ci sono anche
i magazzini vuoti che aspettano di essere
riempiti; quello no, era il magazzino del
Biancalani, un magazzino pieno di bare,
perché il lavoro del Biancalani era di fare
le bare e perciò c’erano bare dappertut-
to, e qualcuno di loro ci scherzava anche:
“Domani siamo tutti qui!” E si mettevano
per lo scherzo a diacere sul coperchio.
Ma ai tedeschi non piaceva scherzare,
e a ognuno di loro ordinarono di scrivere
il proprio nome su ogni cassa da morto.
C’era chi lo scriveva lento, che gli sembra-
va di prolungare la vita di piccoli pezzettini
di tempo (ve l’ho detta poetica ma erano
secondi, nient’altro); così tutti lo scrisse-
ro proprio sul coperchio, “che non s’aves-
se a vedere”! Poi a ognuno fu ordinato di
sdraiarsi dentro la bara e chiusero anche
qualche coperchio, e si vedeva il nome,
e si sapeva che sotto c’era una persona,

46
Racconti di gente giusta

viva dentro la bara da morto, ma nessu-


no fiatava perché i tedeschi erano pronti
a sparare, e poi… dentro le bare io non ci
sono mai stato ma me lo immagino, l’aria
è poca, e meno fiati e più campi.

Era sera e s’era fatto quasi buio, e a


ognuno una minestrina in corpo.
Il Biancalani avvicina gli undici e dice
due cose.
La prima: don Ottorino stava trattando
con i tedeschi e sarebbe venuto a confes-
sarli, se non ci fossero state più speran-
ze (non un gran conforto ma meglio che
niente, o forse meglio niente, io in quelle
situazioni non ci sono stato e di esprimere
pareri e sentimenti non me la sento).
La seconda notizia: sotto il pavimento
passava una fognatura che avrebbero po-
tuto, chi lo sa, forse, usare come via di
fuga.

47
Saverio Tommasi

A proposito voglio raccontarvene una


interessante, che in qualche maniera c’en-
tra anche con la fognatura e le fughe, per-
ché si tratta del gabinetto.
Quegli undici che furono presi si guar-
darono negli occhi e dissero pressappoco
così: “Ragazzi, la situazione è quella che è.
Se qualcuno di noi fa la fuga, per esempio
mentre la sentinella lo porta nel campo a
fare i bisogni suoi (ecco che c’entra il ga-
binetto), e questo salta il muro, ci sono
le maglie, c’è la saggina, si pena poco a
sgattaiolare, anche di fronte alla sentinel-
la. Ecco,” dissero guardandosi sempre ne-
gli occhi, “vuol dire che non s’apre più la
porta e non sorte più nessuno, che per via
d’uno poi fucilano tutti gli altri”. E per il
bisogno? C’era un foglio di giornale, la fa-
cevano lì, rizzavano il foglio, la buttavano
di sotto e rimettevano il foglio a posto.

E mentre loro erano lì con la minestrina

48
Racconti di gente giusta

in corpo, il terrore nel cervello, le lacrime


agli occhi e la merda nel giornale, c’erano
le mamme, le zie, la Vittoria, la Delma,
tutte insieme andate dal maresciallo a
mettersi in ginocchioni, a piangere e ba-
ciargli i piedi, me l’hanno detto a me e non
si fatica per niente a credergli.

Il gruppo dentro il magazzino ci stette


due notti; raccontano che passò un aereo,
ma non di quelli che la gente sopra l’aereo
fa così con la mano, saluta perché va in
vacanza, torna, questo non si sa, quello
che si sa è che l’aereo che passò quella
notte non era di quel tipo, ma di quello che
c’ha le mitraglie, e infatti iniziò a mitraglia-
re, e chi me lo ha raccontato sorrideva, ma
mi disse che quel giorno lì non sorrideva
mica, e che ci stette parecchio, dopo, sen-
za sorridere.
Alle due della notte arrivò un camion.
“Ovvia, ci portano via!” invece no, s’era-

49
Saverio Tommasi

no fermati a chiedere un’informazione alla


sentinella.
Tre ore più tardi, infatti erano le cinque,
arrivò un plotone di tedeschi (mamma mia
che paura!) ma le guardie spiegano che
non c’è da avere paura perché è il cambio
della guardia, e loro contenti, quasi li rin-
graziano per quella notizia, ma c’era poco
da ringraziarli, perché non so se ve lo ri-
cordate ma stavano per ammazzarli.
All’alba arrivò il prete, e a uno per uno
dice: “Vuoi confessarti?”
“Confessarmi?” gli disse uno, “c’ho ven-
titré anni e non ho mai fatto niente di così
male per morire in questa maniera”, e non
si confessò, dicendo che secondo lui Iddio
l’avrebbe perdonato lo stesso. Per farla
breve non si confessò nessuno.
Arriva mezzogiorno, e con il mezzodì
arriva il comandante della gendarmeria,
che entra e dice: “Cinque di voi saranno
liberati, chi vuole essere liberato non ha

50
Racconti di gente giusta

che da fare un passo in avanti; su, forza,


un passo avanti e cinque sono liberi, forza,
allora? Oh, cinque, avanti, siete sordi?”
Non si mosse nessuno, e qualcuno disse:
“Tutti a casa o tutti morti”. E il comandan-
te della gendarmeria tirò allora fuori una
pistola, una di quelle pistolacce brutte che
non si usano nemmeno per ammazzare i
maiali, e infatti Giacinto gli disse: “Allora
non ci fucila, lei ci ammazza”. Il coman-
dante la guardò, prese la pistola e la rimi-
se nel fodero; poi iniziò a chiacchierare,
sembrava tornato tranquillo, chiacchierava
come se lui non dovesse morire, infatti a
morire dovevano essere quegli altri, mica
lui. Chiacchierò per un’ora e mezzo, poi se
ne andò e i prigionieri ricominciarono la
loro attività: aspettare che l’ammazzasse-
ro. Ma non l’ammazzarono, il comandante
aprì la porta e disse: “Tutti a casa, tutti a
casa”.
Qualcheduno svenne, l’emozione fu pa-

51
Saverio Tommasi

recchia, ma non troppa, ci stava tutta.


Era il 25 luglio 1944 e s’era appena con-
cluso un incubo lungo 36 ore.

MUSICA

S’erano salvati anche senza confessar-


si, il Signore gli aveva voluto bene lo stes-
so (secondo me anche un po’ di più; ma se
fra di voi stasera c’è un prete, se per pia-
cere fa finta di non aver sentito quello che
invece ho appena detto, gli sono grato).
I giorni dopo fecero una colletta, ognu-
no dava quello che poteva, altrimenti non
era una colletta, ma l’era un pagamento, e
a Don Ottorino regalarono due lampadari
in ferro battuto. Ci sono ancora, se entrate
in Chiesa potete vederli, almeno fino a che
il Papa non se li vende.

Questa che v’ho detto era la storia che


si svolse qui, a S. Giorgio a Colonica.

52
Racconti di gente giusta

Ve l’avevo detto che in questa storia


i morti non c’erano; poteva finire anche
peggio, è finita così, grazie!

APPLAUSI

Questa storia contiene all’interno un’al-


tra storia; non è ufficiale, lo dicono le voci
di paese, forse non è vero ma io credo che
sia vero.
C’era Erina, la bella Erina che era di-
ventata amica del capo della gendarmeria
tedesca, Heinrich Parm. Amica per bene,
nel senso che c’avevano una simpatia, ora
non vorrei far la storia morbosa tanto mi
avete capito.
In paese si racconta che era stato gra-
zie a lei se l’avevano liberati tutti e un-
dici; certo il prete aveva dato una mano,
ma secondo il paese a liberarli era stata
l’Erina, che non si sa cosa avesse detto al
capo della gendarmeria tedesca, ma qual-

53
Saverio Tommasi

cosa doveva avergli detto, se l’avevano li-


berati.
Dove non arrivano i preti arrivano le
donne!
Adesso le cose la gente se l’è scordate,
ma allora in paese la sapevano bene questa
storia, sentite perché: dopo la Liberazione
un gruppo di giovani cani sciolti, puniva
quelli che chiamavano i collaborazionisti
del regime: mica cose gravi, gli facevano
roba tipo “la rapa”, specie alle donne, e
questi quattro o cinque volevano prendere
anche Erina, saltare il cancello e andare a
pigliarla su in camera, che lei era lì e ve-
deva la scena, con il babbo con un forcone
che la difendeva da terra e lei piangeva, e
arrivò tanta gente, un piccolo popolo che
la protesse e la rapa non ci fu; si salvò
Erina, ma per poco, perché le prese una
malattia e a ventidue anni è morta.

Io mi sento di dire grazie al prete, gra-

54
Racconti di gente giusta

zie a Erina… e grazie al popolo, che vuole


un po’ dire anche grazie a tutti, che fra
tutti e il popolo ci siete voi che siete qui
stasera. Grazie.

APPLAUSI

Mi viene a mente una storiella piccina


picciò, breve, ve la racconto poi si va a
letto per davvero.
La storiella inizia con una domanda: le
conoscete le vecchie di Siena? Io sono di-
ventato come una di loro.
La mia nonna Guglielmina diceva che
alle vecchie di Siena, per fargli raccontare
una favola, bisognava dargli 10 centesimi.
A quel punto cominciavano a parlare, e
parla, parla, parla… finché non gli davi al-
tri 20 centesimi, non smettevano di chiac-
chierare!
V’è piaciuta? A me, quando l’ho sentita,
m’è garbata parecchio!

55
Saverio Tommasi

Ora zitti, e fermi per piacere. Questo


l’accendo, s’aspetta che finisca in silenzio
e poi ci si dice: “Buonanotte!”
Va bene?

L’ATTORE ACCENDE UN BASTONCINO DI LEGNO E

ASPETTA CHE FINISCA DI BRUCIARE, POI GUARDA IL

PUBBLICO

“Buonanotte”!

56
Racconti di gente giusta

Lettere di condannati a morte del-


la Resistenza italiana (stralci)

Armando Amprino, 20 anni, meccanico


Carissimi genitori, parenti e amici
tutti,
devo comunicarvi una brutta noti-
zia. Io e Candido, tutt’e due, siamo
stati condannati a morte. Fatevi co-
raggio, noi siamo innocenti. Ci han-
no condannati solo perché siamo par-
tigiani. Io sono sempre vicino a voi.
Dopo tante vitacce, in montagna, dover
morir cosí... Ma, in Paradiso, sarò vicino
a mio fratello, con la nonna, e pregherò
per tutti voi. Vi sarò sempre vicino, vi-
cino a te, caro papà, vicino a te, mammina.
Vado alla morte tranquillo assistito dal
Cappellano delle Carceri che, a momen-
ti, deve portarmi la Comunione. Andate
poi da lui, vi dirà dove mi avranno

57
Saverio Tommasi

seppellito. Pregate per me. Vi chiedo


perdono, se vi ho dato dei dispiaceri.
Dietro il quadro della Madonna, nella
mia stanza, troverete un po’ di denaro.
Prendetelo e fate dire una Messa per me.
La mia roba, datela ai poveri del paese.
Salutatemi il Parroco ed il Teologo, e
dite loro che preghino per me. Voi fate-
vi coraggio. Non mettetevi in pena per
me. Sono in Cielo e pregherò per voi.
Termino con mandarvi tanti baci e tanti
auguri di buon Natale. Io lo passerò in
Cielo. Arrivederci in Paradiso.
Vostro figlio Armando
Viva l’Italia! Viva gli Alpini!

Paolo Braccini, anni 36, docente uni-


versitario
Gianna, figlia mia adorata,
è la prima ed ultima lettera che ti
scrivo e scrivo a te per prima, in que-
ste ultime ore, perché so che seguito

58
Racconti di gente giusta

a vivere in te. Sarò fucilato all’al-


ba per un ideale, per una fede che tu,
mia figlia, un giorno capirai appieno.
Non piangere mai per la mia mancanza, il
tuo Babbo non morrà mai. Egli ti guarde-
rà, ti proteggerà ugualmente: ti vorrà
sempre tutto l’infinito bene che ti vuole
ora e che ti ha sempre voluto fin da quan-
do ti sentì vivere nelle viscere di tua
Madre. So di non morire, anche perché la
tua Mamma sarà per te anche il tuo Babbo:
quel tuo Babbo al quale vuoi tanto bene,
quel tuo Babbo che vuoi tutto tuo, solo
per te e del quale sei tanto gelosa.
Riversa su tua Madre tutto il bene che
vuoi a lui: ella ti vorrà anche tutto
il mio bene, ti curerà anche per me,
ti coprirà dei miei baci e delle mie
tenerezze. Sapessi quante cose vorrei
dirti ma mentre scrivo il mio pensiero
corre, galoppa nel tempo futuro che per
te sarà, deve essere felice. Ma non im-

59
Saverio Tommasi

porta che io ti dica tutto ora, te lo


dirò sempre, di volta in volta, colla
bocca di tua Madre nel cui cuore entrerà
la mia anima intera, quando lascerà il
mio cuore.
Tua Madre resti sempre per te al di
sopra di tutto.
Vai sempre a fronte alta per la morte
di tuo Padre.

Antonio Brancati, anni 23, studente


Dispiacente tanto se non ci rivedremo
su questa terra; ma ci rivedremo lassù,
in un luogo più bello, più giusto e più
santo.
Antonio

Bruno Frittaion, anni 19, studente


Edda
voglio scriverti queste mie ultime,
e poche righe. Edda, purtroppo sono le

60
Racconti di gente giusta

ultime sì, il destino vuole così, spero


ti giungano di conforto in tanta triste
sventura.
Edda, mi hanno condannato alla morte,
mi uccidono; però uccidono il mio corpo
non l’idea che c’è in me. Muoio, muoio
senza alcun rimpianto, anzi sono orgo-
glioso di sacrificare la mia vita per una
causa, per una giusta causa e spero che
il mio sacrificio non sia vano anzi sia
di aiuto nella grande lotta. Di quella
causa che fino a oggi ho servito senza
nulla chiedere e sempre sperando che un
giorno ogni sacrificio abbia il suo ri-
compenso. Per me la migliore ricompensa
era quella di vedere fiorire l’idea che
purtroppo per poco ho servito, ma sem-
pre fedelmente.
Edda il destino ci separa, il destino
uccide il nostro amore quell’amore che
io nutrivo per te e che aspettava quel
giorno che ci faceva felici per sempre.

61
Saverio Tommasi

Edda, abbi sempre un ricordo di chi ti


ha sempre sinceramente amato. Addio a
tutti.
Addio Edda

Bruno Parmesan, anni 19, meccanico


tornitore
Caro Papà e tutti miei cari di fami-
glia e parenti,
muoio contento perché lassù in cie-
lo rivedrò la mia adorata mamma. Sento
che mi chiama, mi vuole vicino come una
volta, per consolarmi della mia dura
sorte. Non piangete per me, siate for-
ti, ricevete con serenità queste mie
parole, come io sentii la mia sentenza.
Ore mi separano dalla morte, ma non ho
paura perché non ho fatto del male a
nessuno; la mia coscienza è tranquilla.
Papà, fratelli e parenti tutti, sia-
te orgogliosi del vostro Bruno che
muore innocente per la sua terra.

62
Racconti di gente giusta

Vedo le mie care sorelline Ida ed Edda


che leggono queste ultime mie parole:
le vedo così belle come le vidi l’ulti-
ma volta, col loro dolce sorriso. Forse
qualche lacrima righerà il loro volto.
Dà loro coraggio, tu Guido, che sei il
più vecchio.
Quando finirà questa maledetta guerra
che tanti lutti ha portato in tutto il
mondo, se le possibilità ve lo permet-
teranno fate che la mia salma riposi
accanto a quella della mia cara mamma.
Auguri a voi tutti miei cari fratel-
li, un buon destino e molta felicità.
Perdonatemi tutti del male che ho fat-
to.
Vi lascio mandandovi i miei più cari
baci.
Il vostro per sempre,
Bruno

63
Saverio Tommasi

Giancarlo Puecher Passavalli, anni


20, dottore in legge
Perdono a coloro che mi giustizia-
no perché non sanno quello che fanno
e non sanno che l’uccidersi tra fra-
telli non produrrà mai la concordia.
A te Papà l’imperituro grazie per ciò
che sempre mi permettesti di fare e mi
concedesti. Gino e Gianni siano degni
continuatori delle gesta eroiche del-
la nostra famiglia e non si sgomenti-
no di fronte alla mia perdita. I mar-
tiri convalidano la fede in una Idea.
Ho sempre creduto in Dio e perciò ac-
cetto la Sua volontà. Baci a tutti.

Roberto Ricotti, anni 22, meccanico


Tu che mi hai dato le uniche ore di
felicità della mia povera vita...! a te
io dono gli ultimi miei battiti d’amo-
re... Addio Livia, tuo in eterno...
Roberto

64
Racconti di gente giusta

Lorenzo Viale, anni 27, ingegnere


alla Fiat di Torino
Dunque, non addio, ma arrivederci in
una vita migliore. Ricordatevi sempre di
un figlio che vi chiede perdono per tutte
le stupidaggini che può aver compiuto,
ma che vi ha sempre voluto bene.
Un caro bacio ed abbraccio
Renzo

65
Appunti partigiani, taccuini di guerra.
Racconti di gente giusta raccoglie storie di militanza
civile e morale della seconda guerra mondiale.
L’attore è in piedi accanto a una sedia di legno quasi
sfondata, in terra due torce e una lampada a olio. Intorno
fascine di legno.
L’attore è solo, l’attore è sempre solo.

Il modo migliore di pensare ai morti è pensare ai vivi.


Sandro Pertini

Saverio Tommasi è attore, scrittore e un centinaio di altre


cose, non tutte interessanti.
Il suo pensatoio è: www.saveriotommasi.it

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