IPERTESTO
APPROFONDIMENTO A
CULTURA
Guerra-farmaco e guerra-rivolta
Vilfredo Pareto, prestigioso studioso italiano di scienze sociali e politiche, fin dal 1904
scriveva sulla rivista nazionalista “Il Regno” che la guerra è spesso un rimedio miracolo-
so, capace di risanare le società in crisi. A giudizio suo e di molti nazionalisti, l’Italia gio-
littiana era gravemente malata: la borghesia era corrotta e preoccupata unicamente di ac-
cumulare denaro, mentre il socialismo incombeva minaccioso e stava per conquistare il
potere. Secondo Pareto, «solo una guerra in cui fossero trascinate molte nazioni e che du- Paura del
rasse assai, potrebbe disturbare il corso regolare del fenomeno», cioè ricacciare indietro il socialismo
socialismo «almeno per un mezzo secolo».
Nel maggio 1914, questa tesi fu rilanciata da Giovanni Boine, un intellettuale decisamente
conservatore, che disprezzava la Rivoluzione francese: poiché erano stati messi al primo
posto i diritti dell’uomo, cioè il singolo individuo, la società era gradualmente sprofondata
in un opprimente «torpore egoistico». Solo una guerra avrebbe dato nuova forza a valo-
UNITÀ 3
ri come l’amor di patria, il senso della comunità, la dedizione disinteressata a un ideale
comune.
Il leader nazionalista Enrico Corradini condivideva perfettamente questa diagnosi: la
guerra avrebbe spinto gli italiani a darsi una classe dominante più dinamica e co-
1
raggiosa, che sarebbe finalmente uscita dalle paludi della politica giolittiana, fatta di
continue mediazioni e acquisti di voti alla Camera: una prassi che, secondo l’antide-
Umberto Boccioni,
Carica di lancieri, 1915
(Milano, Civiche
Raccolte d’Arte).
Boccioni, un noto
esponente del
movimento futurista,
con questo dipinto
intende dare una visione
positiva della guerra,
esaltando il coraggio
e la forza
di chi combatte.
re) e dal sogno di trasformare l’Italia in grande potenza; quando il tema della guerra di-
venne di moda negli ambienti intellettuali d’avanguardia, spesso la dimensione politica
passò in secondo piano e divenne un pretesto per esprimere esigenze e obiettivi di segno
completamente diverso, legati più a problemi personali che collettivi e nazionali. Nel caso
di Marinetti e di D’Annunzio, nazionalismo e individualismo continuano a coesiste-
re, anche se il primo è spesso una semplice copertura per il secondo. La guerra, si dice-
va, era un potente farmaco per la nazione, ma prima di tutto era un rimedio miracoloso
per l’individuo: infatti, essa permetteva di mettersi alla prova e di saggiare la propria tem-
pra spirituale; oppure, più semplicemente, rispondeva all’esigenza di uscire dalla vita quo-
tidiana, in cerca di emozioni forti e di trasgressione.
Sfrenata In un testo provocatorio e ambiguo, del 1915, il poeta ferrarese Corrado Govoni accettò
esplosione dell’io di gettare la maschera: la guerra, dichiarò senza mezzi termini o false giustificazioni politi-
che, è un’irripetibile occasione di libertà assoluta, di regressione alla pura animalità. In guer-
ra, tutti i divieti tradizionali saltano, è lecito quanto ordinariamente è vietato (a comincia-
re dal furto e dall’omicidio): mondo capovolto e assolutamente privo di norme – dice Go-
voni – la guerra è semplicemente bella perché selvaggia e sfrenata esplosione dell’io.
Nel 1915, Corrado Govoni pubblicò un testo estremamente provocatorio, esagerato sotto tutti gli aspet-
ti. Non a caso, lo stesso autore lo avrebbe poi omesso da tutte le antologie post-belliche che raccol-
sero le sue poesie. Il tono è volutamente estremo: la guerra è bella – si dice – perché permette di spez-
zare tutte le catene del vivere civile.
2 […] più dei soldati,
Non è l’amore della famiglia impiccare il proprietario
della giustizia della civiltà e prenderti la sua bella figlia
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
IPERTESTO
A
Una volta effettivamente iniziata, la guerra fu presentata in modi molto diversi, dai vari Riferimento
APPROFONDIMENTO
poeti e intellettuali che scelsero di porla al centro della propria produzione letteraria. Ma- storiografico 1
rinetti e i futuristi scelsero di narrarla con forme espressive audaci e sperimentali, che ri- pag. 8
nunciavano alla sintassi (parole in libertà) e spesso facevano ricorso a una dislocazione mol-
to efficace dei segni (lettere, parole, numeri) sulla pagina.
Il testo finale, insomma, appariva spesso più simile a un’opera di grafica, che a una pagi-
na letteraria tradizionale; questo primo stratagemma riusciva a comunicare un’impressione
di caos, di confusione, tipica di ogni campo di battaglia, mentre l’abbondante uso di espres-
sioni onomatopeiche, invece, permetteva di rendere in modo efficace la dimensione so-
nora di una guerra in cui i motori e, ancor più, l’artiglieria avevano un posto più importante
delle voci umane. Marinetti fece i suoi primi esperimenti di narrazione bellica futurista
in occasione delle guerre balcaniche del 1912 (l’opera più celebre, intitolata Zang Tumb
Tumb uscì nel 1914); scoppiato il conflitto mondiale, dopo l’intervento italiano, Mari-
netti descrisse in questi termini e con questa strategia d’avanguardia anche la propria per-
sonale esperienza al fronte. Infine, nel 1921, pubblicò Alcova d’acciaio, un resoconto fu-
turista degli ultimi mesi di guerra, trascorsi – va precisato – non in trincea, ma a bordo
di un’auto blindata (l’alcova d’acciaio del titolo). Velocità, esplosioni, lampi: la guerra de- Eros e modernità
scritta da Marinetti è un’esperienza modernissima, ma non ha nulla di opprimente. An-
cora una volta, è una festa, all’insegna dell’appagamento assoluto dei sensi.
Di segno molto diverso il contributo letterario offerto da altri poeti, che si assunsero il com-
pito di rivolgersi al grande pubblico, per mantenerne salda l’adesione alla causa bellica, mal-
grado le crescenti difficoltà e i sacrifici che andavano moltiplicandosi. Gabriele D’Annun-
UNITÀ 3
zio occupa ovviamente il primo posto, in questo gruppo di poeti ufficiali. Con frequenza qua-
si mensile, il “Corriere della Sera” (schierato su posizioni accesamente interventiste fin dal «mag-
gio radioso») ospitò in prima pagina i Canti della guerra latina, in cui il poeta abruzzese fa-
ceva ampio uso di espressioni e formule di matrice religiosa. Così, il soldato caduto eroica- Immagini religiose
mente era paragonato a Cristo che si immola per la salvezza dell’umanità, mentre la guerra 3
è considerata una Passione; per parte sua, D’Annunzio si considera una specie di evangeli-
dantesca. Una scelta molto simile fu compiuta anche da Vittorio Locchi, poeta oggi
APPROFONDIMENTO
semisconosciuto, ma notissimo, a livello popolare, in età fascista. Negli anni Venti, nu-
merose ristampe ebbe la sua opera più importante, una lunga Sagra di Santa Gorizia,
composta nel 1917, poco prima della morte dell’autore. In versi volutamente lonta-
ni da ogni sperimentalismo (e ispirati, infatti, alla poesia del Quattrocento), Locchi
celebra il soldato italiano impegnato nella conquista di Gorizia, e declama che la città
irredenta è bramata dal fante con desiderio: secondo il poeta, nelle trincee, i soldati
lanciano «richiami d’amore / all’amata proibita, / all’innamorata di tutti, / custodita
dai mostri».
Se ricordiamo che, nelle canzoni dei soldati reali, Gorizia era maledetta, e non chiamata
Amore («E le notti illusi ognuno la cercava, / alzandosi su i sacchi a terra; / e le parlava
allo scuro: “Amore dolce, mi vedi? / Amore dolce, mi senti?”», così scriveva Locchi), com-
prendiamo subito la distanza che separava questa retorica astratta dalla guerra ef-
fettiva. Del resto, la tragica realtà degli assalti in successione, ordinati da Cadorna senza
tener conto delle perdite, era trasfigurata da Locchi in una confortante immagine religiosa:
«Sembravano rosari, / che si sgranassero nell’ombra per un’eterna preghiera, / le lunghe
file dei fanti che salivano e che scendevano».
e vissuta mo a quello dei poeti preoccupati di esprimere, grazie al verso, la propria personale espe-
rienza di guerra, può essere utile ricordare una distinzione operata da Umberto Saba, che
individuava due diversi soggetti: i poeti che fecero la guerra come soldati e i soldati che la
guerra fece poeti. Nel primo caso, si tratta di intellettuali che, già in precedenza, erano a
4 contatto con ambienti letterari; nel secondo, si tratta di figure che furono poeti per caso
e per poco tempo: spinti dalle condizioni del fronte a esprimere sulla carta le proprie pau-
re o le proprie emozioni, lo fecero in forma poetica, ma senza alcuna ambizione lettera-
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
ria, o senza sentirsi parte di alcuna corrente artistica particolare. Tra costoro, il personaggio
più interessante è forse Giulio Barni, che diede voce al fante ordinario, spesso trascurato
dalla stampa a vantaggio di altre figure che sembravano più idonee a far volare l’imma-
ginazione (l’aviatore, l’ardito, il bersagliere) oppure che erano già entrate nella leggenda
per le loro caratteristiche di tenacia, coraggio e spirito di corpo (gli alpini).
La squadra aerea
di Gabriele D’Annunzio
lancia volantini sul
centro di Vienna che
inneggiano all’Italia
libera. Fotografia
del 9 agosto 1918.
IPERTESTO
APPROFONDIMENTO A
punteggiatura è praticamente abolita, la sintassi ridotta all’essenziale, il verso tradiziona-
le suddiviso in brevi unità composte, al limite, di una sola parola, che proprio perché iso-
lata riacquista forza e significato. I versi più celebri sono forse quelli di Soldati (1918): «Si
sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie».
Proprio tali parole, tuttavia, pur esprimendo al massimo livello possibile la precarietà della
situazione del fante, che da un istante all’altro può essere colpito dal proiettile nemico, ci
permettono di capire che la guerra non è il nucleo più vero dell’opera di Ungaretti. Pur es-
sendo poesia nata in contesto di guerra, quella del primo Ungaretti ha in realtà per tema cen-
trale la condizione dell’uomo, il suo vivere in questo mondo. L’esperienza in trincea è una
situazione limite, che illumina e permette di capire l’intera vicenda umana, che pri- Desiderio di vivere
ma di tutto è minacciata dalla morte; riallacciandosi idealmente al Leopardi della Quiete dopo
la tempesta, Ungaretti ammette che – paradossalmente – è proprio l’esperienza del perico-
lo, l’aver percepito vicino il pericolo della fine, a rilanciare nell’uomo il desiderio di vivere,
che in condizioni ordinarie la noia e le delusioni avevano spento: «Non sono mai stato / tan-
to attaccato / alla vita»; così si conclude Veglia (1916), il cui spunto di partenza è la dram-
matica notte passata al fianco di un compagno massacrato dai colpi nemici.
Alla luce di tutto questo, quando l’uomo ha riscoperto appieno la propria fragilità (si pen-
si alla poesia Fratelli, 1916), l’esperienza dell’incontro degli altri – talvolta sopportati o
addirittura respinti come presenza nemica o molesta – ritorna a essere gratificante e po-
DOCUMENTI
UNITÀ 3
Poeti italiani di fronte alla guerra
Presentiamo qui sotto tre testi sulla guerra: Il tempo (1916), di Giulio Barni, Viatico (1916), di Clemente Rebora e Fratelli (1916)
di Giuseppe Ungaretti.
5
Il tempo Viatico Fratelli
Quale rapporto si è creato tra soldati e ufficiali nel reparto militare descritto in Il tempo?
Commenta i due versi finali di Viatico: «Làsciaci in silenzio / Grazie, fratello».
Nella poesia Fratelli due gruppi di soldati si incontrano nella notte e si chiedono: «Di che reggimento siete fratelli?».
Perché, secondo te, la domanda rimane senza risposta?
mazzare; oppure, più semplicemente, potrebbero rendere ancora più angosciosa la con-
dizione di tutti i soldati che lo ascoltano impotenti.
Forse è ingeneroso il giudizio di chi afferma che, di fronte a Viatico, «anche il fante Un-
garetti rischia di apparirci un letterato compiaciuto» (G. Pozzi). Resta il fatto che siamo
di fronte a un testo terribile: al moribondo è negata l’ultima occasione di solidarietà; op-
pure, più precisamente, è chiesto un estremo e paradossale gesto di eroismo, naturalmente
molto diverso da quello celebrato dalla retorica tradizionale.
Un anno sull’altipiano
Riferimento Se l’angosciante poesia di Rebora può essere confrontata con quella di Owen, Un anno sul-
2 storiografico l’altipiano di Emilio Lussu è l’equivalente italiano di Niente di nuovo sul fronte occidentale,
pag. 9
del tedesco Erich Maria Remarque, e di Addio a tutto questo dell’inglese Robert Graves. L’o-
pera fu pubblicata nel 1938, a Parigi, nel momento in cui, come vedremo meglio più avan-
ti, il fascismo – che aveva monopolizzato la memoria della Grande Guerra – era al massi-
mo del suo potere: Mussolini aveva conquistato l’Etiopia e fondato l’Impero; il consenso de-
gli italiani al regime non era mai stato così elevato e così compatto. In Spagna era in atto
una violenta guerra civile, che minacciava il sorgere di un’altra dittatura simile a quelle in-
stauratesi in Italia e in Germania.
Emilio Lussu era nato nel 1890, ad Armungia, presso Cagliari, in Sardegna. Nel 1915 era
stato un fervente interventista, schierato su posizioni democratiche; arruolatosi volonta-
La brigata Sassari rio, era stato assegnato come ufficiale nella Brigata Sassari, uno dei pochi reparti di fan-
teria reclutati su base prevalentemente regionale (come gli alpini). Lussu combatté per tut-
ta la guerra, fu un ufficiale amato e stimato dai suoi soldati e fu più volte decorato per il
suo valore. Dopo la guerra, rifiutò subito il fascismo, fu arrestato e mandato al confino
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
nell’isola di Lipari; evaso nel 1929, fu tra i fondatori di Giustizia e Libertà, un movimento
di matrice democratica, che lottava contro il fascismo e si proponeva radicali cambiamenti
IPERTESTO
A
nell’assetto sociale e politico italiano, a favore delle classi popolari.
APPROFONDIMENTO
Nel momento in cui scrisse Un anno sull’altipiano, Lussu non si propose solo di riparare
a un proprio trauma privato, ma di lanciare diversi e precisi messaggi di tipo politico e mo-
rale. Innanzi tutto, occorre precisare il titolo e la materia del libro; anche se l’autore ha vis-
suto tutta la guerra, dal maggio 1915 al novembre 1918, la sua scelta è di concentrarsi su
un singolo periodo, di circa un anno (giugno 1916-luglio 1917), e su un singolo teatro
di guerra, l’altopiano di Asiago. La ragione di tale scelta, per ammissione dello stesso Lus-
su, risiede nel fatto che quel tempo relativamente breve e quel luogo furono ricchissimi di
vicende e di episodi. Se tanti drammi si erano compiuti in un unico anno di guerra e in
una sola trincea, chi legge dev’essere spinto a pensare quante tragedie si consumarono in
quattro anni di conflitto, su un fronte lungo quasi 700 chilometri.
Il vero bersaglio polemico di Lussu sono i generali, che oltretutto, a guerra finita, avreb-
bero poi ampiamente sostenuto le violenze dello squadrismo fascista e che, negli anni Tren-
ta, avrebbero condotto le brutali campagne del regime in Libia e in Etiopia. Certo, erro-
ri tattici clamorosi furono compiuti anche dagli alti Comandi inglese, francese o tedesco.
Tuttavia, secondo Lussu la più autentica specificità della guerra italiana era stato il disprezzo
per le vite dei contadini-soldati, che gli alti ufficiali mandavano all’assalto, condividendo
appieno la dottrina militare di Cadorna.
Sta in questo il vero nocciolo polemico (e po-
litico) del libro; l’autore non è un pacifista
ostile per principio (dopo la tragica lezione
del fronte) a tutte le guerre: in questo sen-
UNITÀ 3
so, Un anno sull’altipiano non è un libro an-
timilitarista. Uomo politicamente impegna-
to, Lussu sa che la guerra, spesso, è inevita-
bile per affermare una giusta causa: lo scon-
tro in atto in Spagna, al momento dell’usci- 7
ta del libro, non andava evitato a qualunque
1 La guerra-festa di Marinetti
Nel 1921, Filippo Tommaso Marinetti pubblicò Alcova d’acciaio, la sua più importante opera futu-
rista ambientata nella Grande Guerra. In essa non c’è traccia di trincee o di insensati massacri di mas-
sa, accettati con rassegnazione: il testo è centrato sulle folli corse dell’autore a bordo di un’auto blin-
data (l’alcova d’acciaio del titolo), mentre la guerra si trasforma in una grandiosa esperienza sensoriale
e in un’appagante sospensione di tutte le regole. Di seguito leggiamo un brano del critico Mario Isnen-
ghi, esperto di produzione letteraria italiana a cavallo della Grande Guerra.
La notorietà consentì allo scrittore una libertà di movimenti che – seppur non paragonabile
a quella di D’Annunzio – lo portò comunque a compiere il servizio militare nelle forme indivi-
dualistiche, bersaglieresche, aggressive, colorite, meno lontane dalle sue personali esigenze e
più vicine alle forme avventurose e libertarie che – nel suo caso, come a maggior ragione in
quello di D’Annunzio – consentono di parlare quasi d’una guerra privata. Di una riduzione, cioè,
e d’una conformazione del fatto sociale alla misura e secondo i bisogni della dimensione indi-
viduale. Nell’Alcova d’acciaio non ci sono trincee e guerra di posizione, ma bersaglieri in bici-
cletta e auto blindate; non la spossante uniformità dei gesti e delle situazioni, ma le corse a per-
difiato del nuovo ordigno bellico lanciato allo
sbaraglio, all’inseguimento del nemico in
fuga; (l’azione si svolge nel 1918, tra le bat-
taglie di giugno e il 4 novembre, e la situa-
zione favorisce nel diarista un clima – nel
UNITÀ 3
IPERTESTO
A
ed alludono alla violenza sessuale, a sensazioni sado-masochistiche. In effetti, il titolo è
APPROFONDIMENTO
pertinente e centrato. L’alcova d’acciaio è l’auto blindata con cui Marinetti – in un riandare
continuo d’echi e figurazioni lussuriose – perfora, percorre e possiede l’amatissimo corpo
della Femmina-Madre-Patria. «O Italia, o femmina bellissima viva-morta-rinata, saggia-
pazza, cento volte ferita e pur tutta risanata, Italia dalle mille prostituzioni subite e dalle mille Spiega le due
verginità stuprate ma rifiorite con più fascino di verde pensoso e di ombre pubiche. Sono espressioni
io, io il futurista che primo ti libero il petto baciandolo col mio delirante amore! Cosmica complementari
fusione del mio corpo col tuo! Ti sento, ti sento, ti sento! Ti prrrrendo, ti prrrrrendo, ti «guerra privata»
prrrrrendo!». […] e «conformazione
A parte l’intrecciarsi delle immagini erotiche con quelle tecnologiche, tipico degli scrit- del fatto sociale alla
misura e secondo
tori futuristi, la sovrabbondanza della fantasia erotica nell’Alcova d’acciaio esemplifica in ma- i bisogni della
niera estrema una condizione psichica che gli studiosi di psicologia hanno messo sovente dimensione
in rilievo: la contiguità degli istinti aggressivi e quindi l’affinità tra istinto bellico e istinto ses- individuale».
suale. Non ne mancano i riscontri nella nostra letteratura di guerra. E sarebbe ingiustificato Spiega l’espressione
far carico al futurismo d’una correlazione sconsacratrice tra sentimento patriottico e atto ses- «la guerra […]
suale, se è vero – come è vero – che proprio il mistico Locchi esprimerà in termini di con- si tramuta per
cupiscenza e presa di possesso carnale l’estremo, vittorioso assalto alla santa Gorizia: «Sei Marinetti in una
nostra! / sei nostra! / sembra gridare l’assalto. / La Città è apparsa, / apparsa a tutti nel piano, colorita e grandiosa
/ dalle vette raggiunte: / e tende le braccia, / e chiama, / lì, prossima, / tutta rivelata, / nuda polifonia
e pura nel sole / di ferragosto, / e libera! libera! ». spettacolare».
Anzi, proprio l’intonazione mistico-religiosa di fondo, intrecciandosi alla simbologia ses- In quali sensi la
suale, finisce per conferire alla Sagra di Santa Gorizia un sapore morboso e vagamente sa- categoria della
crilego, che è estraneo al mondo naturalistico e senza dio dell’Alcova d’acciaio. «Festa» è appropriata
per definire il rapporto
UNITÀ 3
M. ISNENGHI, Il mito della grande guerra. Da Marinetti a Malaparte, di Marinetti con
Laterza, Bari 1970, pp. 169-173 la guerra?
quota durante
APPROFONDIMENTO
la prima guerra
mondiale.
tentico libro di guerra; in realtà nell’ellissi della sua comparazione intende sostenere la tesi
che manca alla sola Italia un vero libro di guerra, mentre altri paesi ce l’hanno. Il progetto
ambizioso di Lussu è quindi quello di scrivere il libro italiano, quello che mostri la vera na-
tura della guerra combattuta dagli italiani. […]
UNITÀ 3
Salvemini, forse convinto da Franco Venturi, invitò Lussu a espungere [togliere, n.d.r.] dal
volume il capitolo XXV, molto citato dagli studiosi, sulla riunione in cui gli ufficiali esprimono
i loro pareri sulla guerra. Il capitolo naturalmente rimane, e in una lettera del 1o dicembre 1937
Lussu ne difende la funzione ideologica, essenziale nel suo libro, e quella strutturale. La let-
10 tera è talmente importante che la riprodurremo ampiamente […]: «Io credo che, per un ex
combattente, quel capitolo non sia superfluo. Tu, a pag. 9 del tuo libretto inglese su Nello e
Carlo Rosselli ti soffermi su questa questione così importante per chi ha fatto la guerra. “Ab-
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
biam fatto una sciocchezza a farla o abbiam fatto bene? Ci siam battuti per una causa giu-
sta o per un falso ideale?” Quel capitolo del mio libro vuol mettere la mia coscienza in pace.
In quella conversazione fra ufficiali, il comandante della X, cioè io, sostiene che, malgrado tutto,
la guerra bisognava farla. Io l’ho fatta con la coscienza di difendere una posizione di libertà
e di democrazia in Europa. […] Ed è per questo che io l’ho fatta fino all’ultimo, per quanto
Quale strategia l’osceno modo con cui la guerra veniva condotta, mi spingesse a scappare. Nella conver-
narrativa adotta sazione fra ufficiali, non mi pare proprio che la tesi di Ottolenghi [tenente collega di Lussu,
Lussu per offrire al che propone di sparare agli ufficiali e mettere fine alla strage, n.d.r.] sia quella che trionfi. La
lettore l’impressione sua opinione non è condivisa da nessun ufficiale, ed egli stesso d’altronde, fa la guerra va-
esatta del fenomeno lorosamente, malgrado la sua posizione sovversiva. Il sugo di quella conversazione, a mio pa-
durata immensa rere, non è fornito dalla tesi di Ottolenghi ma dalla frase del comandante della X: “Che sa-
della guerra? rebbe la civiltà del nostro paese e la stessa civiltà del mondo, se la violenza di un pugno di
Quale attualità briganti potesse scatenarsi impunemente, senza ostacoli e senza resistenza?” Così, o pres-
politica aveva, per s’a poco, perché io non ho qui presente il testo. I briganti, secondo la mia mentalità d’allora,
il Lussu interventista erano i tedeschi, oggi sono i fascisti tedeschi e italiani ecc. Sicché la morale attuale che sca-
democratico che
scriveva nel 1938, turisce da quella conversazione è che, se i fascisti scatenano una guerra, bisogna battersi
un’opera ambientata contro: e si debbono battere anche i rivoluzionari, i socialisti, i comunisti ecc. Io ho l’impres-
negli anni sione che quel capitolo, che tu mi proponi di sopprimere, è il solo che salvi la faccia del li-
1916-1917? bro. Perché tutto il libro è la critica spietata alla guerra-carneficina mostruosa. Quel capitolo
Secondo Lussu la dice: malgrado sia una carneficina mostruosa, bisogna farla, altrimenti i briganti vincono». […]
guerra era solo La lettera a Salvemini è esplicita: la guerra era un macello, ma eravamo convinti di do-
un’inutile strage verla fare; che è una cosa assai diversa dall’inutile strage, come altri l’avevano battezzata:
e una carneficina è stata una strage, naturalmente, ma necessaria. Così da una parte Lussu racconta in Un
mostruosa? Chi anno sull’Altipiano le radici del proprio interventismo e cerca di salvare la faccia introducendo
aveva condannato la conversazione del capitolo XXV, dove si fa giustificare dall’ufficiale della X Compagnia; dal-
il conflitto l’altra, una volta giustificatosi, è pronto per il racconto più diretto e spietato dei fatti.
chiamandolo,
appunto, «inutile G. FALASCHI, Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, in Letteratura italiana, diretta da A. ASOR ROSA, 15.
strage»? L’età contemporanea. Le opere 1921-1938, Einaudi, Torino 2007, pp. 609-612, 626-629