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Poeti e intellettuali

IPERTESTO
APPROFONDIMENTO A
CULTURA

di fronte alla guerra


E IDEOLOGIE

Guerra-farmaco e guerra-rivolta
Vilfredo Pareto, prestigioso studioso italiano di scienze sociali e politiche, fin dal 1904
scriveva sulla rivista nazionalista “Il Regno” che la guerra è spesso un rimedio miracolo-
so, capace di risanare le società in crisi. A giudizio suo e di molti nazionalisti, l’Italia gio-
littiana era gravemente malata: la borghesia era corrotta e preoccupata unicamente di ac-
cumulare denaro, mentre il socialismo incombeva minaccioso e stava per conquistare il
potere. Secondo Pareto, «solo una guerra in cui fossero trascinate molte nazioni e che du- Paura del
rasse assai, potrebbe disturbare il corso regolare del fenomeno», cioè ricacciare indietro il socialismo
socialismo «almeno per un mezzo secolo».
Nel maggio 1914, questa tesi fu rilanciata da Giovanni Boine, un intellettuale decisamente
conservatore, che disprezzava la Rivoluzione francese: poiché erano stati messi al primo
posto i diritti dell’uomo, cioè il singolo individuo, la società era gradualmente sprofondata
in un opprimente «torpore egoistico». Solo una guerra avrebbe dato nuova forza a valo-

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ri come l’amor di patria, il senso della comunità, la dedizione disinteressata a un ideale
comune.
Il leader nazionalista Enrico Corradini condivideva perfettamente questa diagnosi: la
guerra avrebbe spinto gli italiani a darsi una classe dominante più dinamica e co-
1
raggiosa, che sarebbe finalmente uscita dalle paludi della politica giolittiana, fatta di
continue mediazioni e acquisti di voti alla Camera: una prassi che, secondo l’antide-

Poeti e intellettuali di fronte alla guerra


mocratico Corradini non era un processo degenerativo, bensì l’essenza stessa del sistema
parlamentare. Intorno al nuovo gruppo dirigente, l’intera nazione si sarebbe stretta per
affrontare l’emergenza bellica: tutto il Paese, dunque, sarebbe uscito dal conflitto pu-
rificato e rinnovato dalle fondamenta.

Umberto Boccioni,
Carica di lancieri, 1915
(Milano, Civiche
Raccolte d’Arte).
Boccioni, un noto
esponente del
movimento futurista,
con questo dipinto
intende dare una visione
positiva della guerra,
esaltando il coraggio
e la forza
di chi combatte.

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012


In Corradini e nei nazionalisti, la volontà di distruggere il sistema borghese era compensata
da un disegno politico costruttivo (sia pure di segno antidemocratico e antiparlamenta-
IPERTESTO
APPROFONDIMENTO A

re) e dal sogno di trasformare l’Italia in grande potenza; quando il tema della guerra di-
venne di moda negli ambienti intellettuali d’avanguardia, spesso la dimensione politica
passò in secondo piano e divenne un pretesto per esprimere esigenze e obiettivi di segno
completamente diverso, legati più a problemi personali che collettivi e nazionali. Nel caso
di Marinetti e di D’Annunzio, nazionalismo e individualismo continuano a coesiste-
re, anche se il primo è spesso una semplice copertura per il secondo. La guerra, si dice-
va, era un potente farmaco per la nazione, ma prima di tutto era un rimedio miracoloso
per l’individuo: infatti, essa permetteva di mettersi alla prova e di saggiare la propria tem-
pra spirituale; oppure, più semplicemente, rispondeva all’esigenza di uscire dalla vita quo-
tidiana, in cerca di emozioni forti e di trasgressione.
Sfrenata In un testo provocatorio e ambiguo, del 1915, il poeta ferrarese Corrado Govoni accettò
esplosione dell’io di gettare la maschera: la guerra, dichiarò senza mezzi termini o false giustificazioni politi-
che, è un’irripetibile occasione di libertà assoluta, di regressione alla pura animalità. In guer-
ra, tutti i divieti tradizionali saltano, è lecito quanto ordinariamente è vietato (a comincia-
re dal furto e dall’omicidio): mondo capovolto e assolutamente privo di norme – dice Go-
voni – la guerra è semplicemente bella perché selvaggia e sfrenata esplosione dell’io.

La guerra come rottura di tutte le regole DOCUMENTI


UNITÀ 3

Nel 1915, Corrado Govoni pubblicò un testo estremamente provocatorio, esagerato sotto tutti gli aspet-
ti. Non a caso, lo stesso autore lo avrebbe poi omesso da tutte le antologie post-belliche che raccol-
sero le sue poesie. Il tono è volutamente estremo: la guerra è bella – si dice – perché permette di spez-
zare tutte le catene del vivere civile.
2 […] più dei soldati,
Non è l’amore della famiglia impiccare il proprietario
della giustizia della civiltà e prenderti la sua bella figlia
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA

che ci spinge all’eccidio ed al massacro e godertela a sazietà


alla distruzione tutta ignuda sul suo letto,
ma il nostro oscuro istinto di conquista e di calda e tremante come l’uccellino
rapina che si tien prigioniero nella palma;
e di stupenda ribellione dopo, se ciò ti fa piacere,
contro tutte le false leggi della società, la puoi sgozzare
stato, religione: e gettare come uno straccio nel cortile
menzogne, menzogne, che i suoi cani
maschere, maschere; le lecchino il suo sangue blu.
perché solo la voracità l’insaziabilità Puoi riempirti le tasche di gioielli
sono le vere forze vive della creazione e regalarli tutti per un bacio
della vita. come un prodigo milionario
Saccheggia, stupra, ammazza, alla prima fanciulla scalza Quale effetto voleva
massacra, stupra, incendia, che incontri per la via. ottenere sul lettore
rovina, devasta, sconquassa, strazia! […] Ricordati: puoi far quello che vuoi. Govoni, scrivendo
Puoi compiere tutte le vendette, Bevi lo champagne, questi versi?
soddisfare ogni tua cupidigia. prendilo nelle più ricche cantine Confronta questo
Nessuno ti farà nessuna proibizione. senza che nessuno ti dica che sei un ladro; testo con quello di
Se vuoi entrare in una chiesa se incontri un viandante qualunque Papini riportato
a fracassar col calcio del fucile spaccagli il cranio a pag. 62. Quali
il ceffo muffido di qualche crocefisso, somiglianze trovi?
se te ne viene il capriccio,
nessuno griderà: Quali differenze?
ti sarà data una medaglia;
– Sacrilego! C’è una componente
Nessuno ti metterà in prigione. incendia una casa,
non sarai un incendiario ma un eroe. satirica? Si può
Puoi sfondare se ti aggrada parlare di testo
una porta con una tua spallata, A. CORTELLESSA (a cura di), Le notti chiare erano ambiguo,
salir le scale coi tappeti tutte un’alba. Antologia dei poeti italiani nella paradossalmente
senza pulirti dal fango le scarpe, Prima guerra mondiale, Bruno Mondadori, critico verso la
scannare i servitori pieni di bottoni Milano 1998, pp. 105-107 guerra?

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012


La guerra della retorica

IPERTESTO
A
Una volta effettivamente iniziata, la guerra fu presentata in modi molto diversi, dai vari Riferimento

APPROFONDIMENTO
poeti e intellettuali che scelsero di porla al centro della propria produzione letteraria. Ma- storiografico 1
rinetti e i futuristi scelsero di narrarla con forme espressive audaci e sperimentali, che ri- pag. 8
nunciavano alla sintassi (parole in libertà) e spesso facevano ricorso a una dislocazione mol-
to efficace dei segni (lettere, parole, numeri) sulla pagina.
Il testo finale, insomma, appariva spesso più simile a un’opera di grafica, che a una pagi-
na letteraria tradizionale; questo primo stratagemma riusciva a comunicare un’impressione
di caos, di confusione, tipica di ogni campo di battaglia, mentre l’abbondante uso di espres-
sioni onomatopeiche, invece, permetteva di rendere in modo efficace la dimensione so-
nora di una guerra in cui i motori e, ancor più, l’artiglieria avevano un posto più importante
delle voci umane. Marinetti fece i suoi primi esperimenti di narrazione bellica futurista
in occasione delle guerre balcaniche del 1912 (l’opera più celebre, intitolata Zang Tumb
Tumb uscì nel 1914); scoppiato il conflitto mondiale, dopo l’intervento italiano, Mari-
netti descrisse in questi termini e con questa strategia d’avanguardia anche la propria per-
sonale esperienza al fronte. Infine, nel 1921, pubblicò Alcova d’acciaio, un resoconto fu-
turista degli ultimi mesi di guerra, trascorsi – va precisato – non in trincea, ma a bordo
di un’auto blindata (l’alcova d’acciaio del titolo). Velocità, esplosioni, lampi: la guerra de- Eros e modernità
scritta da Marinetti è un’esperienza modernissima, ma non ha nulla di opprimente. An-
cora una volta, è una festa, all’insegna dell’appagamento assoluto dei sensi.
Di segno molto diverso il contributo letterario offerto da altri poeti, che si assunsero il com-
pito di rivolgersi al grande pubblico, per mantenerne salda l’adesione alla causa bellica, mal-
grado le crescenti difficoltà e i sacrifici che andavano moltiplicandosi. Gabriele D’Annun-

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zio occupa ovviamente il primo posto, in questo gruppo di poeti ufficiali. Con frequenza qua-
si mensile, il “Corriere della Sera” (schierato su posizioni accesamente interventiste fin dal «mag-
gio radioso») ospitò in prima pagina i Canti della guerra latina, in cui il poeta abruzzese fa-
ceva ampio uso di espressioni e formule di matrice religiosa. Così, il soldato caduto eroica- Immagini religiose
mente era paragonato a Cristo che si immola per la salvezza dell’umanità, mentre la guerra 3
è considerata una Passione; per parte sua, D’Annunzio si considera una specie di evangeli-

Poeti e intellettuali di fronte alla guerra


sta, di profeta o, come si diceva allora, di Vate della patria. Nello stesso tempo, però, D’An-
nunzio si guardò bene dal condividere coi soldati reali la terribile esperienza della trincea, pre-
ferendo dedicarsi a una specie di guerra privata, fatta di gesti clamorosi, destinati ad aumentare
il suo prestigio e la sua popolarità. Le imprese più famose del Vate furono compiute a bor-
do di aeroplani (voli su Trieste e su Trento, nel 1915; volo su Vienna, il 9 agosto 1918) e di
motosiluranti (attacco alla base navale austriaca di Buccari, l’11 febbraio 1918).

9 agosto 1918: aerei


italiani, sotto il
comando di
D’Annunzio, lanciano
volantini sul centro di
Vienna rivendicando la
libertà per le terre
irredente. La fotografia
immortala
i protagonisti di
quell’impresa in
procinto di partire per
la capitale austriaca.

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012


Tradizione Sul piano stilistico e linguistico, D’Annunzio introdusse poche innovazioni sperimentali:
e retorica anzi, nei Canti della guerra latina, il poeta fece ampio ricorso alla tradizionale terzina
IPERTESTO
A

dantesca. Una scelta molto simile fu compiuta anche da Vittorio Locchi, poeta oggi
APPROFONDIMENTO

semisconosciuto, ma notissimo, a livello popolare, in età fascista. Negli anni Venti, nu-
merose ristampe ebbe la sua opera più importante, una lunga Sagra di Santa Gorizia,
composta nel 1917, poco prima della morte dell’autore. In versi volutamente lonta-
ni da ogni sperimentalismo (e ispirati, infatti, alla poesia del Quattrocento), Locchi
celebra il soldato italiano impegnato nella conquista di Gorizia, e declama che la città
irredenta è bramata dal fante con desiderio: secondo il poeta, nelle trincee, i soldati
lanciano «richiami d’amore / all’amata proibita, / all’innamorata di tutti, / custodita
dai mostri».
Se ricordiamo che, nelle canzoni dei soldati reali, Gorizia era maledetta, e non chiamata
Amore («E le notti illusi ognuno la cercava, / alzandosi su i sacchi a terra; / e le parlava
allo scuro: “Amore dolce, mi vedi? / Amore dolce, mi senti?”», così scriveva Locchi), com-
prendiamo subito la distanza che separava questa retorica astratta dalla guerra ef-
fettiva. Del resto, la tragica realtà degli assalti in successione, ordinati da Cadorna senza
tener conto delle perdite, era trasfigurata da Locchi in una confortante immagine religiosa:
«Sembravano rosari, / che si sgranassero nell’ombra per un’eterna preghiera, / le lunghe
file dei fanti che salivano e che scendevano».

Poeti in guerra e poeti di guerra


Guerra vera Se, abbandonato il mondo retorico e fasullo degli scrittori di propaganda, ci avvicinia-
UNITÀ 3

e vissuta mo a quello dei poeti preoccupati di esprimere, grazie al verso, la propria personale espe-
rienza di guerra, può essere utile ricordare una distinzione operata da Umberto Saba, che
individuava due diversi soggetti: i poeti che fecero la guerra come soldati e i soldati che la
guerra fece poeti. Nel primo caso, si tratta di intellettuali che, già in precedenza, erano a
4 contatto con ambienti letterari; nel secondo, si tratta di figure che furono poeti per caso
e per poco tempo: spinti dalle condizioni del fronte a esprimere sulla carta le proprie pau-
re o le proprie emozioni, lo fecero in forma poetica, ma senza alcuna ambizione lettera-
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA

ria, o senza sentirsi parte di alcuna corrente artistica particolare. Tra costoro, il personaggio
più interessante è forse Giulio Barni, che diede voce al fante ordinario, spesso trascurato
dalla stampa a vantaggio di altre figure che sembravano più idonee a far volare l’imma-
ginazione (l’aviatore, l’ardito, il bersagliere) oppure che erano già entrate nella leggenda
per le loro caratteristiche di tenacia, coraggio e spirito di corpo (gli alpini).

La squadra aerea
di Gabriele D’Annunzio
lancia volantini sul
centro di Vienna che
inneggiano all’Italia
libera. Fotografia
del 9 agosto 1918.

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012


Sul versante dei poeti letterati, invece, spicca Giuseppe Ungaretti, il quale fece tesoro del-
la rivoluzione futurista, ma la piegò a nuove tematiche e a differenti finalità. In effetti, la

IPERTESTO
APPROFONDIMENTO A
punteggiatura è praticamente abolita, la sintassi ridotta all’essenziale, il verso tradiziona-
le suddiviso in brevi unità composte, al limite, di una sola parola, che proprio perché iso-
lata riacquista forza e significato. I versi più celebri sono forse quelli di Soldati (1918): «Si
sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie».
Proprio tali parole, tuttavia, pur esprimendo al massimo livello possibile la precarietà della
situazione del fante, che da un istante all’altro può essere colpito dal proiettile nemico, ci
permettono di capire che la guerra non è il nucleo più vero dell’opera di Ungaretti. Pur es-
sendo poesia nata in contesto di guerra, quella del primo Ungaretti ha in realtà per tema cen-
trale la condizione dell’uomo, il suo vivere in questo mondo. L’esperienza in trincea è una
situazione limite, che illumina e permette di capire l’intera vicenda umana, che pri- Desiderio di vivere
ma di tutto è minacciata dalla morte; riallacciandosi idealmente al Leopardi della Quiete dopo
la tempesta, Ungaretti ammette che – paradossalmente – è proprio l’esperienza del perico-
lo, l’aver percepito vicino il pericolo della fine, a rilanciare nell’uomo il desiderio di vivere,
che in condizioni ordinarie la noia e le delusioni avevano spento: «Non sono mai stato / tan-
to attaccato / alla vita»; così si conclude Veglia (1916), il cui spunto di partenza è la dram-
matica notte passata al fianco di un compagno massacrato dai colpi nemici.
Alla luce di tutto questo, quando l’uomo ha riscoperto appieno la propria fragilità (si pen-
si alla poesia Fratelli, 1916), l’esperienza dell’incontro degli altri – talvolta sopportati o
addirittura respinti come presenza nemica o molesta – ritorna a essere gratificante e po-

DOCUMENTI

UNITÀ 3
Poeti italiani di fronte alla guerra
Presentiamo qui sotto tre testi sulla guerra: Il tempo (1916), di Giulio Barni, Viatico (1916), di Clemente Rebora e Fratelli (1916)
di Giuseppe Ungaretti.
5
Il tempo Viatico Fratelli

Poeti e intellettuali di fronte alla guerra


Se il tempo diventa sereno O ferito laggiù nel valloncello Di che reggimento siete
il 10 faremo l’azione Tanto invocasti fratelli?
se il tempo diventa sereno… Se tre compagni interi
Cadder per te che quasi più non eri, Parola tremante
Ed i soldati scrutarono Tra melma e sangue nella notte
le stelle e il firmamento, Tronco senza gambe
pesarono respirando E il tuo lamento ancora, Foglia appena nata
il fremito del vento. Pietà di noi rimasti,
A rantolarci e non ha fine l’ora, Nell'aria spasimante
Ma il 9 si vide splendere Affretta l’agonia, involontaria rivolta
un cerchio intorno alla luna Tu puoi finire, dell'uomo presente alla sua
la luna era velata E conforto ti sia fragilità
d’un velo nuvoloso. Nella demenza che non sa impazzire,
Mentre sosta il momento, Fratelli
I soldati e gli ufficiali Il sonno sul cervello,
che stavan da 30 giorni Làsciaci in silenzio –
in attesa dell’azione Grazie, fratello
si guardarono l’un l’altro
si sarebbero baciati.

All’alba del 10 pioveva.


A. CORTELLESSA (a cura di), Le notti chiare erano tutte un’alba.
Antologia dei poeti italiani nella Prima guerra mondiale, Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. 245, 190

Quale rapporto si è creato tra soldati e ufficiali nel reparto militare descritto in Il tempo?
Commenta i due versi finali di Viatico: «Làsciaci in silenzio / Grazie, fratello».
Nella poesia Fratelli due gruppi di soldati si incontrano nella notte e si chiedono: «Di che reggimento siete fratelli?».
Perché, secondo te, la domanda rimane senza risposta?

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012


sitiva. In quel testo, la parola fratello/fratelli campeggia isolata, al
centro della riga, e riacquista quella freschezza e pienezza di sen-
IPERTESTO
APPROFONDIMENTO A

so che vengono subito dopo espresse mediante l’analogia con la «fo-


gliolina appena nata». Di nuovo, il pensiero corre a Leopardi e al-
l’accorato appello di solidarietà che egli lanciava a tutti gli uomi-
ni nella Ginestra; la guerra, in quest’ottica, appare semplicemen-
te stupida, visto che gli uomini, invece di uccidersi a vicenda, do-
vrebbero unirsi in una catena di solidarietà, che permetta loro di
lottare contro la Natura, vera responsabile della dura condizione
umana. Non a caso, in una nota del 1969, a commento dei suoi
testi di guerra, Ungaretti terrà a precisare: «Nella mia poesia non
c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di co-
Il poeta Giuseppe scienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’e-
Ungaretti (a destra strema precarietà della loro condizione».
nell’immagine)
fotografato in trincea A differenza di Leopardi, però, Ungaretti decise infine di avvicinarsi di nuovo alla re-
insieme a un compagno. ligione (1928). Sull’onda della guerra, una scelta simile fu compiuta anche da un al-
tro poeta, Clemente Rebora, che divenne sacerdote nel 1936. Secondo vari critici, quel-
la di Rebora è la nostra poesia di guerra più dura e più tragica: il vero equivalente ita-
La poesia di guerra liano della letteratura del disincanto inglese (Wilfred Owen e Siegfried Sassoon). In una
più realistica lettera del 1925, Rebora racconta la genesi dei suoi versi di guerra: «Quel tempo – scri-
ve – fu per me un soccombere sotto la croce… Io, malato e quasi delirante, scrissi di
getto in pochi giorni, mentre sentivo l’imminenza di Caporetto, nel tardo agosto-
settembre 1917… pagine le quali si riferivano a quel tremendo festino di Moloch…
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E da allora cominciò la mia conversione».


Il testo più drammatico, Viatico, presenta una vera scena di guerra, senza alcun abbel-
limento; nella terra di nessuno è rimasto un ferito, che ha perso le gambe e non può tor-
nare alla propria trincea. Tre soldati «interi» (cioè in grado di camminare) hanno tenta-
6 to di raggiungere il compagno, ma sono stati uccisi dal fuoco nemico. Di qui la terribi-
le conclusione: al ferito viene rivolto un accorato appello affinché soffra e muoia, in si-
lenzio. Le sue grida potrebbero spingere altri a uscire dalla trincea e farsi inutilmente am-
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA

mazzare; oppure, più semplicemente, potrebbero rendere ancora più angosciosa la con-
dizione di tutti i soldati che lo ascoltano impotenti.
Forse è ingeneroso il giudizio di chi afferma che, di fronte a Viatico, «anche il fante Un-
garetti rischia di apparirci un letterato compiaciuto» (G. Pozzi). Resta il fatto che siamo
di fronte a un testo terribile: al moribondo è negata l’ultima occasione di solidarietà; op-
pure, più precisamente, è chiesto un estremo e paradossale gesto di eroismo, naturalmente
molto diverso da quello celebrato dalla retorica tradizionale.

Un anno sull’altipiano
Riferimento Se l’angosciante poesia di Rebora può essere confrontata con quella di Owen, Un anno sul-
2 storiografico l’altipiano di Emilio Lussu è l’equivalente italiano di Niente di nuovo sul fronte occidentale,
pag. 9
del tedesco Erich Maria Remarque, e di Addio a tutto questo dell’inglese Robert Graves. L’o-
pera fu pubblicata nel 1938, a Parigi, nel momento in cui, come vedremo meglio più avan-
ti, il fascismo – che aveva monopolizzato la memoria della Grande Guerra – era al massi-
mo del suo potere: Mussolini aveva conquistato l’Etiopia e fondato l’Impero; il consenso de-
gli italiani al regime non era mai stato così elevato e così compatto. In Spagna era in atto
una violenta guerra civile, che minacciava il sorgere di un’altra dittatura simile a quelle in-
stauratesi in Italia e in Germania.
Emilio Lussu era nato nel 1890, ad Armungia, presso Cagliari, in Sardegna. Nel 1915 era
stato un fervente interventista, schierato su posizioni democratiche; arruolatosi volonta-
La brigata Sassari rio, era stato assegnato come ufficiale nella Brigata Sassari, uno dei pochi reparti di fan-
teria reclutati su base prevalentemente regionale (come gli alpini). Lussu combatté per tut-
ta la guerra, fu un ufficiale amato e stimato dai suoi soldati e fu più volte decorato per il
suo valore. Dopo la guerra, rifiutò subito il fascismo, fu arrestato e mandato al confino
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
nell’isola di Lipari; evaso nel 1929, fu tra i fondatori di Giustizia e Libertà, un movimento
di matrice democratica, che lottava contro il fascismo e si proponeva radicali cambiamenti

IPERTESTO
A
nell’assetto sociale e politico italiano, a favore delle classi popolari.

APPROFONDIMENTO
Nel momento in cui scrisse Un anno sull’altipiano, Lussu non si propose solo di riparare
a un proprio trauma privato, ma di lanciare diversi e precisi messaggi di tipo politico e mo-
rale. Innanzi tutto, occorre precisare il titolo e la materia del libro; anche se l’autore ha vis-
suto tutta la guerra, dal maggio 1915 al novembre 1918, la sua scelta è di concentrarsi su
un singolo periodo, di circa un anno (giugno 1916-luglio 1917), e su un singolo teatro
di guerra, l’altopiano di Asiago. La ragione di tale scelta, per ammissione dello stesso Lus-
su, risiede nel fatto che quel tempo relativamente breve e quel luogo furono ricchissimi di
vicende e di episodi. Se tanti drammi si erano compiuti in un unico anno di guerra e in
una sola trincea, chi legge dev’essere spinto a pensare quante tragedie si consumarono in
quattro anni di conflitto, su un fronte lungo quasi 700 chilometri.
Il vero bersaglio polemico di Lussu sono i generali, che oltretutto, a guerra finita, avreb-
bero poi ampiamente sostenuto le violenze dello squadrismo fascista e che, negli anni Tren-
ta, avrebbero condotto le brutali campagne del regime in Libia e in Etiopia. Certo, erro-
ri tattici clamorosi furono compiuti anche dagli alti Comandi inglese, francese o tedesco.
Tuttavia, secondo Lussu la più autentica specificità della guerra italiana era stato il disprezzo
per le vite dei contadini-soldati, che gli alti ufficiali mandavano all’assalto, condividendo
appieno la dottrina militare di Cadorna.
Sta in questo il vero nocciolo polemico (e po-
litico) del libro; l’autore non è un pacifista
ostile per principio (dopo la tragica lezione
del fronte) a tutte le guerre: in questo sen-

UNITÀ 3
so, Un anno sull’altipiano non è un libro an-
timilitarista. Uomo politicamente impegna-
to, Lussu sa che la guerra, spesso, è inevita-
bile per affermare una giusta causa: lo scon-
tro in atto in Spagna, al momento dell’usci- 7
ta del libro, non andava evitato a qualunque

Poeti e intellettuali di fronte alla guerra


costo, in nome del rifiuto etico della violen-
za. E così, negli ambienti antifascisti, nel 1938
molti pensavano che la guerra contro la Ger-
mania nazista e l’Italia fascista fosse una dura
necessità: prima o poi, sarebbe stato dovero-
so fermare con le armi Hitler e Mussolini.
La guerra sbagliata era quella di Cador-
na e dei suoi collaboratori: un conflitto condotto in modo arrogante, che non avrebbe por- Fotogramma del film
tato nessun vantaggio ai ceti popolari, e intanto avrebbe fatto pagar loro un prezzo di vite al- di Francesco Rosi
tissimo. Il tenente generale Leone è il vero eroe negativo del libro. I documenti militari lo de- Uomini contro (1970),
liberamente ispirato
finiscono «un soldato di provata fermezza e d’esperimentato ardimento»; per Lussu, invece, dal racconto di
è solo un cinico assassino dei propri soldati, che li lancia all’attacco delle posizioni nemiche Emilio Lussu
anche senza copertura dell’artiglieria, o che fa loro rischiare la vita in azioni dimostrative in- Un anno sull’altipiano.
sensate. I soldati lo odiano; gli ufficiali più assennati trovano abili stratagemmi per evitare di
eseguirne gli ordini più disumani (ad esempio, quello di punire con la fucilazione un solda-
to che, di sua iniziativa, aveva dato l’ordine di fermare la marcia del suo reparto); Lussu, da
parte sua, conclude che «i suoi occhi grigi e duri, sempre aperti, come quelli d’un uccello not-
turno di rapina» erano «gli stessi occhi, freddi e roteanti» che aveva visto nei volti dei folli, al
manicomio di Cagliari.
Il Lussu interventista non rinnega la propria scelta; anzi, ritiene che esista una strettissi-
ma continuità tra le motivazioni del 1915 (liberare le nazionalità oppresse) e quelle degli anni
Trenta (combattere il fascismo). La vera tragedia fu che una guerra in sé giusta (o per lo meno
inevitabile, che andava combattuta) era stata gestita in modo osceno da generali incompeten-
ti e criminali; il vero dramma, lascia intendere Lussu, era la classe dirigente italiana, pe-
rennemente inadeguata ai suoi compiti e preoccupata solo dei propri interessi di gruppo
dominante, e non dei più elementari bisogni degli italiani.
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
Riferimenti storiografici
IPERTESTO
APPROFONDIMENTO A

1 La guerra-festa di Marinetti
Nel 1921, Filippo Tommaso Marinetti pubblicò Alcova d’acciaio, la sua più importante opera futu-
rista ambientata nella Grande Guerra. In essa non c’è traccia di trincee o di insensati massacri di mas-
sa, accettati con rassegnazione: il testo è centrato sulle folli corse dell’autore a bordo di un’auto blin-
data (l’alcova d’acciaio del titolo), mentre la guerra si trasforma in una grandiosa esperienza sensoriale
e in un’appagante sospensione di tutte le regole. Di seguito leggiamo un brano del critico Mario Isnen-
ghi, esperto di produzione letteraria italiana a cavallo della Grande Guerra.
La notorietà consentì allo scrittore una libertà di movimenti che – seppur non paragonabile
a quella di D’Annunzio – lo portò comunque a compiere il servizio militare nelle forme indivi-
dualistiche, bersaglieresche, aggressive, colorite, meno lontane dalle sue personali esigenze e
più vicine alle forme avventurose e libertarie che – nel suo caso, come a maggior ragione in
quello di D’Annunzio – consentono di parlare quasi d’una guerra privata. Di una riduzione, cioè,
e d’una conformazione del fatto sociale alla misura e secondo i bisogni della dimensione indi-
viduale. Nell’Alcova d’acciaio non ci sono trincee e guerra di posizione, ma bersaglieri in bici-
cletta e auto blindate; non la spossante uniformità dei gesti e delle situazioni, ma le corse a per-
difiato del nuovo ordigno bellico lanciato allo
sbaraglio, all’inseguimento del nemico in
fuga; (l’azione si svolge nel 1918, tra le bat-
taglie di giugno e il 4 novembre, e la situa-
zione favorisce nel diarista un clima – nel
UNITÀ 3

complesso, raro – di entusiasmo ed apo-


teosi); non l’automatizzazione e la riduzione
della vita emotiva, riscontrate e approvate
da Gemelli nella normale vita di trincea,
8 l’annullamento individuale sofferto da Stu-
parich, da Alvaro; ma la pienezza, il trionfo
dell’individualità proiettata agli estremi li-
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA

miti di se stessa, secondo le speranze del


1915, in tanti altri casi rimaste invece tra-
volte e contraddette dalla realtà.
Qui c’è ancora spazio – come in
D’Annunzio e diversamente che nella
maggior parte dei diaristi e nella realtà
della guerra di massa – per le belle ge-
sta individuali, per la guerra come av-
ventura, record, spettacolo. Tutta la guerra – colta
proprio nei suoi aspetti di gloriosa devastazione – si tramuta per Marinetti in una colorita
Giacomo Balla, Canto e grandiosa polifonia spettacolare in cui egli è insieme spettatore e attore, regista e com-
patriottico in piazza parsa. E tutto il libro appare un’orgia incontinente di lampeggiamenti e di scrosci, in un’as-
di Siena, 1915, olio e senza assoluta di silenzio, di spazio interiore o di mezze tinte. Il futurista, cultore delle mac-
tempera su tela. Balla chine e della modernità, si trova perfettamente a suo agio tra questo turbinare di strumenti
prende parte, con diverse e d’ordigni d’ogni sorta che soddisfano la sua sete di progresso, il suo entusiasmo mec-
sue opere, alla
propaganda interventista canicista: in questa grande festa ginnica, tecnologica e sportiva che è per lui il conflitto
promossa dagli artisti europeo. Festa in senso psicologico – come abolizione delle norme e dissipazione d’e-
futuristi. Attraverso l’uso nergie – ; sociologico – come grandioso ciclo continuo di produzione e dispendio di beni
del colore e il modellarsi – ; politico – come modello di ordine nuovo nato dalla frattura violenta col passato. […]
delle forme, il pittore Nella rappresentazione ideologica e storica dei testi futuristi, la dinamica conflittuale risulta
restituisce la forza vocale igienica – agisce cioè da stimolo fisiologico – al tempo stesso per il fisico dell’individuo e
ed emotiva di una folla
della società: per l’uomo come ente naturale e per la società come ente sociale storica-
unita in un canto corale.
Al centro di questo mente determinato. [...]
movimento emergono, Il testo di Marinetti è anche esemplare per il carattere sistematico – anzi, ossessivo –
come potenti che vi assume la metafora erotica e sessuale nell’espressione della fortissima carica di vio-
parallelepipedi, i colori lenza dell’autore-combattente. Da un capo all’altro del volume, ogni benché minima
della bandiera italiana. pausa nei combattimenti oppure licenza è spesa in furibonde prove di agonismo sessuale.
[…] Ma la metafora sesso-guerra estende la sua presenza ad ogni pagina del volume; poi
F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012
ché non solo gli incontri d’amore di Marinetti e di altri, ogni macchina – come già le mi-
tragliatrici della Battaglia di Tripoli – ogni obice, ogni deflagrazione, ogni assalto richiamano

IPERTESTO
A
ed alludono alla violenza sessuale, a sensazioni sado-masochistiche. In effetti, il titolo è

APPROFONDIMENTO
pertinente e centrato. L’alcova d’acciaio è l’auto blindata con cui Marinetti – in un riandare
continuo d’echi e figurazioni lussuriose – perfora, percorre e possiede l’amatissimo corpo
della Femmina-Madre-Patria. «O Italia, o femmina bellissima viva-morta-rinata, saggia-
pazza, cento volte ferita e pur tutta risanata, Italia dalle mille prostituzioni subite e dalle mille Spiega le due
verginità stuprate ma rifiorite con più fascino di verde pensoso e di ombre pubiche. Sono espressioni
io, io il futurista che primo ti libero il petto baciandolo col mio delirante amore! Cosmica complementari
fusione del mio corpo col tuo! Ti sento, ti sento, ti sento! Ti prrrrendo, ti prrrrrendo, ti «guerra privata»
prrrrrendo!». […] e «conformazione
A parte l’intrecciarsi delle immagini erotiche con quelle tecnologiche, tipico degli scrit- del fatto sociale alla
misura e secondo
tori futuristi, la sovrabbondanza della fantasia erotica nell’Alcova d’acciaio esemplifica in ma- i bisogni della
niera estrema una condizione psichica che gli studiosi di psicologia hanno messo sovente dimensione
in rilievo: la contiguità degli istinti aggressivi e quindi l’affinità tra istinto bellico e istinto ses- individuale».
suale. Non ne mancano i riscontri nella nostra letteratura di guerra. E sarebbe ingiustificato Spiega l’espressione
far carico al futurismo d’una correlazione sconsacratrice tra sentimento patriottico e atto ses- «la guerra […]
suale, se è vero – come è vero – che proprio il mistico Locchi esprimerà in termini di con- si tramuta per
cupiscenza e presa di possesso carnale l’estremo, vittorioso assalto alla santa Gorizia: «Sei Marinetti in una
nostra! / sei nostra! / sembra gridare l’assalto. / La Città è apparsa, / apparsa a tutti nel piano, colorita e grandiosa
/ dalle vette raggiunte: / e tende le braccia, / e chiama, / lì, prossima, / tutta rivelata, / nuda polifonia
e pura nel sole / di ferragosto, / e libera! libera! ». spettacolare».
Anzi, proprio l’intonazione mistico-religiosa di fondo, intrecciandosi alla simbologia ses- In quali sensi la
suale, finisce per conferire alla Sagra di Santa Gorizia un sapore morboso e vagamente sa- categoria della
crilego, che è estraneo al mondo naturalistico e senza dio dell’Alcova d’acciaio. «Festa» è appropriata
per definire il rapporto

UNITÀ 3
M. ISNENGHI, Il mito della grande guerra. Da Marinetti a Malaparte, di Marinetti con
Laterza, Bari 1970, pp. 169-173 la guerra?

2 Un anno sull’altipiano: la genesi del libro 9


Emilio Lussu scrisse Un anno sull’altipiano dietro pressanti insistenze di Gaetano Salvemini. La ste-

Poeti e intellettuali di fronte alla guerra


sura e la pubblicazione del testo furono accompagnate da una fitta corrispondenza tra i due intellet-
tuali: Lussu spiegava le proprie scelte, Salvemini proponeva correzioni e interventi di vario tipo, fina-
lizzati anche alle traduzioni in lingue diverse da quella italiana. L’opera, infatti, doveva dimostrare tra
l’altro che non tutti gli italiani erano allineati su posizioni fasciste, ma che anzi le coscienze morali più
elevate e critiche si trovavano nel mondo degli esuli antifascisti.
Lussu ha combattuto la prima guerra mondiale per tutta la sua durata (tre anni e mezzo)
ma Un anno sull’altipiano racconta soltanto le vicende che lo videro impegnato sull’Altipiano
di Asiago (giugno 1916-luglio 1917). L’intenzione di limitarsi a questo segmento di guerra
è chiara fin dall’inizio. Dopo aver chiesto a Salvemini (lo stesso 8 agosto [1935, n.d.r.]) se
ha idee da proporgli (cosa che ripete anche in un’altra lettera), aggiunge: «Io penserei non
già di scrivere un libro, come sinora è stato fatto, dall’A alla Z, cioè dalla mobilitazione ge-
nerale all’armistizio, o quasi; ma un libro che sia limitato ad una zona d’operazione o a un
gruppo d’azioni; per esempio, l’Altipiano di Asiago 1916-1917. A me pare che potrebbe ve-
nirne fuori un libro italiano di interesse, anche perché io ho visto un’infinità di cose e fatto
un’infinità di sondaggi psicologici. Il fatto poi che io, che ho fatto tutta la guerra, non parlo
né del Carso, né della Bainsizza, né del Piave ecc., ma mi limito solo a un settore dove son
stato pochi mesi, mi pare possa dare al lettore l’impressione esatta del fenomeno durata im-
mensa della guerra, che è stato l’incubo più tragico per tutti i combattenti».
E il 18 agosto ritorna sull’argomento chiarendo inequivocabilmente il perché della scelta
di un limitato arco di tempo: «In quel periodo… ristretto per altro, – scrive – io ho visto tante
cose, che esse sono più che sufficienti a dare un quadro completo della guerra italiana». In
sostanza: il racconto di quell’anno di guerra può essere esemplare perché contiene tutto
quanto è degno che il lettore sappia su tutta la guerra. Ma la dichiarazione apre un problema
importante circa la natura di Un anno sull’altipiano come libro italiano. All’attributo Lussu af-
fida un significato semplice all’interno di un programma ambizioso. Cominciamo dalla bre-
vissima premessa alla prima edizione. Vi si legge che «Non esistono, in Italia, come in Fran-
cia, in Germania o in Inghilterra, libri sulla guerra». L’affermazione è stata da qualcuno mal
interpretata, come se Lussu ritenesse in pratica che nessun paese europeo aveva il suo au-

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012


Alcuni alpini sostano
in un rifugio in alta
IPERTESTO
A

quota durante
APPROFONDIMENTO

la prima guerra
mondiale.

tentico libro di guerra; in realtà nell’ellissi della sua comparazione intende sostenere la tesi
che manca alla sola Italia un vero libro di guerra, mentre altri paesi ce l’hanno. Il progetto
ambizioso di Lussu è quindi quello di scrivere il libro italiano, quello che mostri la vera na-
tura della guerra combattuta dagli italiani. […]
UNITÀ 3

Salvemini, forse convinto da Franco Venturi, invitò Lussu a espungere [togliere, n.d.r.] dal
volume il capitolo XXV, molto citato dagli studiosi, sulla riunione in cui gli ufficiali esprimono
i loro pareri sulla guerra. Il capitolo naturalmente rimane, e in una lettera del 1o dicembre 1937
Lussu ne difende la funzione ideologica, essenziale nel suo libro, e quella strutturale. La let-
10 tera è talmente importante che la riprodurremo ampiamente […]: «Io credo che, per un ex
combattente, quel capitolo non sia superfluo. Tu, a pag. 9 del tuo libretto inglese su Nello e
Carlo Rosselli ti soffermi su questa questione così importante per chi ha fatto la guerra. “Ab-
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA

biam fatto una sciocchezza a farla o abbiam fatto bene? Ci siam battuti per una causa giu-
sta o per un falso ideale?” Quel capitolo del mio libro vuol mettere la mia coscienza in pace.
In quella conversazione fra ufficiali, il comandante della X, cioè io, sostiene che, malgrado tutto,
la guerra bisognava farla. Io l’ho fatta con la coscienza di difendere una posizione di libertà
e di democrazia in Europa. […] Ed è per questo che io l’ho fatta fino all’ultimo, per quanto
Quale strategia l’osceno modo con cui la guerra veniva condotta, mi spingesse a scappare. Nella conver-
narrativa adotta sazione fra ufficiali, non mi pare proprio che la tesi di Ottolenghi [tenente collega di Lussu,
Lussu per offrire al che propone di sparare agli ufficiali e mettere fine alla strage, n.d.r.] sia quella che trionfi. La
lettore l’impressione sua opinione non è condivisa da nessun ufficiale, ed egli stesso d’altronde, fa la guerra va-
esatta del fenomeno lorosamente, malgrado la sua posizione sovversiva. Il sugo di quella conversazione, a mio pa-
durata immensa rere, non è fornito dalla tesi di Ottolenghi ma dalla frase del comandante della X: “Che sa-
della guerra? rebbe la civiltà del nostro paese e la stessa civiltà del mondo, se la violenza di un pugno di
Quale attualità briganti potesse scatenarsi impunemente, senza ostacoli e senza resistenza?” Così, o pres-
politica aveva, per s’a poco, perché io non ho qui presente il testo. I briganti, secondo la mia mentalità d’allora,
il Lussu interventista erano i tedeschi, oggi sono i fascisti tedeschi e italiani ecc. Sicché la morale attuale che sca-
democratico che
scriveva nel 1938, turisce da quella conversazione è che, se i fascisti scatenano una guerra, bisogna battersi
un’opera ambientata contro: e si debbono battere anche i rivoluzionari, i socialisti, i comunisti ecc. Io ho l’impres-
negli anni sione che quel capitolo, che tu mi proponi di sopprimere, è il solo che salvi la faccia del li-
1916-1917? bro. Perché tutto il libro è la critica spietata alla guerra-carneficina mostruosa. Quel capitolo
Secondo Lussu la dice: malgrado sia una carneficina mostruosa, bisogna farla, altrimenti i briganti vincono». […]
guerra era solo La lettera a Salvemini è esplicita: la guerra era un macello, ma eravamo convinti di do-
un’inutile strage verla fare; che è una cosa assai diversa dall’inutile strage, come altri l’avevano battezzata:
e una carneficina è stata una strage, naturalmente, ma necessaria. Così da una parte Lussu racconta in Un
mostruosa? Chi anno sull’Altipiano le radici del proprio interventismo e cerca di salvare la faccia introducendo
aveva condannato la conversazione del capitolo XXV, dove si fa giustificare dall’ufficiale della X Compagnia; dal-
il conflitto l’altra, una volta giustificatosi, è pronto per il racconto più diretto e spietato dei fatti.
chiamandolo,
appunto, «inutile G. FALASCHI, Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, in Letteratura italiana, diretta da A. ASOR ROSA, 15.
strage»? L’età contemporanea. Le opere 1921-1938, Einaudi, Torino 2007, pp. 609-612, 626-629

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

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