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a.a. 2014 ‐2015
Ultimo aggiornamento Marzo 2015
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Cap.1 Le produzioni alimentari primarie di origine Animale
Prima di una qualunque trattazione sul tema delle Produzioni Animali è necessario distinguere i
prodotti primari da quelli trasformati. I primi sono quelli che derivano direttamente dai cicli di
produzione e/o di allevamento animale, quali: latte, carne, uova (ivi comprese quelle/i di
provenienza ittica); i secondi sono quelli derivanti dai loro processi di trasformazione industriali,
artigianali o famigliari (formaggi, insaccati, prosciutti ecc). Nel corso delle lezioni, saranno trattate
uova e derivano non solo dagli animali di interesse zootecnico (domestici), ma anche da quelli di
interesse ittico (carni, bottarga, caviale ecc.) e carni di provenienza faunistico-venatorio, queste
I prodotti ittici (pesci teleostei, molluschi lamellibranchi ecc.) derivano sia dagli allevamenti che
dalla pesca.
Gli animali di interesse zootecnico, in generale, in base al tipo di sistema digerente si distinguono in
poligastrici e in monogastrici.
I poligastrici raggruppano quelle specie animali provviste di più “stomaci” (omaso, abomaso,
reticolo, rumine) come i bovini, gli ovini, i caprini, i daini, i caprioli , i cervi, le antilopi, i camelidi
ecc., mentre i monogastrici si identificano con quei genotipi provvisti di un solo stomaco, come i
suini (domestici e/o selvatici) i lagomorfi (conigli e lepri), gli equidi domestici come i cavalli, gli
asini, muli (selvatici, come zebre ecc.) a cui si aggiungono i canidi, i felini, i rapaci ecc. e gli avicoli
Le distinzioni anatomiche dell’apparato digerente dei due raggruppamenti animali, portano ad una
differenzazione fisiologica. Infatti i poligastrici di fatto sono degli erbivori, mentre i monogastrici
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La presenza del rumine nei poligastrici ed all’interno di questo di una ricca flora batterica composta
da batteri del gruppo amilolitici, lattobacilli e cellulosolitici, questi ultimi capaci di ricavare energia
dalla fermentazione della cellulosa presente nelle pareti delle cellule degli alimenti vegetali, e
trasformarla in energia batterica, liberano anche il succo citoplasmatico delle cellule composto da
acqua, da proteine grassi e zuccheri rendendolo attaccabile dagli enzimi proteolitici gastrici
(pepsina) ed enterici (polipeptidasi, ecc.) , amilolitici, lipolitici del succo intestinale. Nel rumine,
oltre alla flora batterica è presente anche una ricca fauna proteozoaria (protozoi). I batteri
generalmente appartengono e/o sono molto vicini al mondo vegetale, mentre i protozoi fanno parte
del mondo animale. I batteri oltre che di C, O, e H (zuccheri e polisaccaridi derivati dalle cellulose
ed emicellulose) per vivere e moltiplicarsi (aumentare la loro concentrazione per unità di misura, cc
o ml) necessitano anche di N che generalmente ricavano dalle proteine citoplasmatiche delle cellule
batterica.
I protozoi ivi compresi i ciliati invece, si nutrono sia dei residui delle cellule vegetali e delle
sostanze citoplasmatiche, rese libere dall’attacco batterico, sia dei batteri, aumentando di numero
per unità di volume. L’intero processo che si verifica a carico delle proteine vegetali trasformate dai
batteri prima in proteina batterica e dai protozoi poi in proteina protozoaria (animale simile) che
risulta possedere rispetto a quella vegetale e batterica una maggiore concentrazione di aminoacidi
essenziali, assume il nome di processo di Nobilizzazione proteica. Nei monogastrici erbivori, come
gli equidi (cavalli asini ecc.) e lagomorfi (conigli, lepri ecc.) la funzione del rumine viene assolta in
La carne: L’utilizzo della carne e degli altri prodotti animali da parte dell’uomo è un fatto “ab
antico”, poiché esso prima dell’avvento della pastorizia e dell’agricoltura poi, cacciava gli animali
per mangiarne le carni al fine di arricchire la propria dieta con proteine nobili, utilizzare le pelli per
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Oggi la carne di usuale consumo, deriva dalla macellazione delle specie animali sottoposte ad
allevamento. Subito dopo la macellazione, i muscoli che insieme allo scheletro dell’animale fanno
parte dell’apparato locomotore dell’animale diventano carne, ma, prima dell’insorgere del “rigor
mortis” essi sono molli e teneri se cotti, poiché le principali proteine miofibrillari actina e miosina
sono dissociate e la seconda è estraibile con soluzioni ad alta forza ionica. Con l’insorgere del
“rigor mortis” i muscoli diventano inestensibili e duri se cotti, per cui necessitano di un adeguato
periodo di riposo detto “frollatura” che assicurerà una tenerezza più o meno accentuata a seconda
del tempo e della temperatura utilizzata nel processo. In generale “la frollatura” si fa avvenire
mantenendo le mezzene o i quarti delle carcasse in cella frigo ad una temperatura tra 0 e 4° C, ad
una UR intorno al 30% e per un periodo di 3-14 giorni (a secondo della specie e dell’età animale).
interazioni e/o processi biochimici che avvengono durante la conservazione della carcassa, che
possono essere spiegati come il risultato dell’azione sinergica di tre sistemi proteolitici come quello:
delle calpaine, quelle delle catepsine lisosomiali e quello multi-catalitico (MPC), la cui azione
combinata durante la frollatura generano polipeptidi, peptidi, dipeptidi e aminoacidi liberi. Tali
processi portano ad una carne più tenera, succosa ma meno colorita. Inoltre a seconda del tempo e
delle condizioni di frollatura possono svilupparsi modeste concentrazioni di molecole e/o sostanze
aromatiche e/o odorose (chetoni aldeidi ecc.) capaci di conferirgli anche una maggiore
serbevolezza.
La frollatura deve essere fatta nei giusti modi e la carne deve essere consumata al suo “giusto tempo
organolettiche che per quelle bovine, indicativamente coincide con un periodo di 8-14 giorni.
Tempi di frollatura superiori e/o inferiori a quelli indicati possono essere applicati a carcasse di
ottima qualità protette da ottimi strati di grasso di copertura adoperando scrupolose cure ed
attenzioni per il mantenimento nella cella frigo delle giuste e costanti condizioni di temperatura, di
umidità ed aerazione.
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1.1 Qualità, Genuinità e Salubrità:
a) La genuinità è espressa dal concetto del minor intervento umano possibile e/o artifizio nel ciclo
e/o filiera di produzione di un certo alimento. Per cui quando si tratta di prodotti alimentari primari
come quelli di origine animale (carne, latte, uova, ecc), la genuinità è ascrivibile e/o correlabile a
quei sistemi produttivi ecocompatibili e/o ecosostenibili, identificabili con i semi-estensivi e/o semi-
bradi e/o rurali in cui gli animali oggetto di allevamento oltre ai benefici di vivere per la maggior
parte della giornata all’aria aperta, godono anche dei vantaggi di utilizzare alimenti naturali e/o
b) La salubrità di un prodotto animale primario o trasformato è rappresentato dal fatto che la sua
utilizzazione non deve arrecare danno alcuno alla salute del consumatore. In particolare non deve
essere fonte di patologie ascrivibili ad agenti patogeni (batteri o virus) che potrebbero essere
trasmessi dall’alimento all’uomo e nel contempo non deve originare disfunzioni metaboliche dovute
a carenze e/o ad eccessi di principi nutrizionali. Il primo caso fa riferimento alla presenza di alcuni
patogeni presenti nelle carni crude di suini ed equini come la trichinella, ed altri batteri e/o virus
presenti nelle carni e/o nel latte di animali infetti, che se consumate crude ma anche cotte (caso del
carbonchio o antrace) e/o non opportunamente risanate, possono infettare il consumatore. Per
questo, in Italia, però esiste un eccellente sistema di controllo sanitario affidato al servizio
veterinario della ASL che vigila non solo sui macelli ma anche sugli allevamenti, ove insieme ai
carabinieri del N.A.S. controllano che vengano rispettate tutte le normative nazionali, europee, sulla
sicurezza alimentare, sulla salute e sul benessere animale, nonché sui tempi di sospensione di
eventuali somministrazioni di farmaci. Si ricorda che in Italia è vietato l’uso degli stimolanti di
crescita (ormoni e/o sostanze ad azione ormonale). Della salubrità si occupa la Commissione
Europea di Microbiologia degli alimenti (ICMSF 1988). Le Autorità Sanitarie nazionali supportate
dalla legislazione e dalle esigenze del consumatore focalizzano l'interesse principalmente sulla
salubrità dei prodotti, per cui diversi programmi integrati per il controllo di qualità sono basati sul
sistema di controllo casuale nei punti critici (HACCP: Hazard, Analysis, Critical, Control Point)
che hanno come finalità la sicurezza dell'alimento. Il sistema HACCP è un sistema di approccio
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organizzato e sistematico capace di attuare e/o di migliorare il grado di garanzia di salubrità
microbiologica, fisica e chimica delle derrate alimentari, ed in genere è attuato ed elaborato per
c) Qualità: E’ utile ricordare che l’attuale consumatore, a causa delle mutate esigenze socio
economiche, presta maggiore attenzione alla relazione tra nutrizione e salute e si orienta con
maggiore frequenza verso alimenti, ivi compresi quelli di origine animale (carni, latte ed uova)
salubri, genuini e di qualità, poveri in grassi, ma ricchi in acidi grassi poliinsaturi (della serie ω3)
per i noti effetti sulla prevenzione delle disfunzioni cardio vascolari e non solo.
soddisfare le esigenze espresse e implicite (non espresse e/o esprimibili) del consumatore” per cui,
secondo questa definizione, l’intero sistema produttivo deve basarsi esclusivamente sul
consumatore, sulle sue esigenze, aspettative ed opinioni, a cui va attribuito un ruolo di primaria
importanza. Questa definizione presenta però un difetto di indeterminatezza che la rende non
facilmente applicabile a prodotti biologici, come gli alimenti di origine animale, ove alle proprietà
difficilmente quantificabili.
Si ricorda che alcuni organismi esercitano un ruolo di primaria importanza per la valutazione e
certificazione della qualità delle carni e di altri prodotti di origine animale come:
UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione) che rappresenta l'ente normatore nazionale
per l'Italia a livello comunitario ed è responsabile della concessione del marchio UNI ai
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Il sistema di qualità è formato da un comitato nazionale che detiene il marchio depositato e che
(standard) e ne esistono due tipi: nazionale e regionale. Solo in Inghilterra ed in Spagna esistono
L'omologazione del marchio registrato viene fornita dal Ministero dell'Agricoltura o dalle Agenzie
che operano sotto il controllo dell'Ente Nazionale del marchio e della certificazione.
La certificazione di conformità è una dichiarazione in cui si attesta che il prodotto è conforme alle
di qualità la conformità agli standard ISO 9001 ISO 9002 ISO 9003, che di fatto certifica la capacità
abbastanza varia, in quanto coinvolge diversi settori che vanno dalla produzione alla
commercializzazione degli animali, alla macellazione, alla lavorazione e stoccaggio delle carcasse
fino a coinvolgere la vendita della carne, la preparazione domestica e che in materia di sicurezza si
basano sul DL 155/97 e sul regolamento CEE 78/02 nei quali vengono riportati i principi ed i
etichettatura che, con il rispetto di tutta la normativa vigente nel settore, garantiscono non solo una
E’ comunque noto che la quantità e la qualità delle produzioni animali (carni, carcasse, latte, uova
• Fattori endogeni dell’animale come: il genotipo (specie e razza), il sesso e l’età dell’animale.
• Fattori esogeni quali: il sistema e/o tecniche di allevamento, l’alimentazione (ivi compresi i
promotori di crescita), le tecniche di trasporto del bestiame destinato al macello (carne), le modalità
di macellazione (carne), tecniche di mungitura (latte), sistema e/o tecniche di conservazione del
prodotto (, cella frigo o meno, congelamenti ecc. per carcasse) (velocità di refrigerazione a 4° C
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vale dopo la mungitura, per il latte al fine di evitare un eventuale sviluppo di colonie batteriche),
Per quanto riguarda poi i fattori endogeni all’animale, basti ricordare che esistono genotipi animali
(specie) le cui femmine sono deputate principalmente alla produzione di latte (bovini di razze da
latte come la Frisona, la Bruna Alpina ecc.) destinato in parte, sia al consumo (fresco o conservato
anche con l’ausilio di additivi come BHT o pastorizzato) sia alla trasformazione come quello delle
bufale, delle pecore e/o capre che viene generalmente avviato quasi tutto alla caseificazione per la
produzione di latticini freschi (mozzarelle, fior di latte ecc) e/o stagionati (formaggi da grattugia,
provoloni, caciocavalli ecc.). Sempre tra i fattori endogeni si ricorda l’incidenza del sesso. Infatti i
maschi di qualunque specie di mammifero non producono latte, e che nelle femmine si scatena la
lattazione a seguito del parto, che avviene alla fine del periodo di gestazione che è diverso da specie
a specie; gestazione che avviene dopo la fecondazione (monta). In tutti gli animali la prima
fecondazione (monta) può avvenire, ma non sempre si pratica negli allevamenti, con la comparsa
del primo estro o calore.che segna l’inizio della pubertà della femmina in cui si verifica anche la
prima ovulazione e la femmina acquista la capacità di generare figli, ovvero, diventa feconda.
In genere negli allevamenti controllati, le femmine nonostante il raggiungimento della pubertà non
si fanno fecondare al primo estro o calore, bensì si fanno “accoppiare” allorché hanno raggiunto un
peso vivo intorno ai ¾ di quello delle femmine adulte della stessa razza.
Ovviamente l’età della pubertà varia con la specie e all’interno di questa con la razza. Infatti
esistono razze precoci, mediamente precoci e tardive. Alle prime appartengono quelle razze
altamente produttive ed opportunamente selezionate, alle ultime in genere quelle autoctone e/o
selvatiche.
Si deve ricordare che la quantità e la qualità delle produzioni animali (carne, latte e uova) devono
trasformatori e lo stesso mercato) perché solo garantendo una solida produzione di ottima qualità, si
favorisce non solo il mercato e l’economia delle imprese agro-zootecniche ma anche l’industria di
trasformazione, poiché con materie prime di alta qualità e di sicuro approvvigionamento territoriale
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(riduzione delle spese di trasporto) si possono produrre prodotti trasformati di altrettanta qualità
In ogni caso ricordiamoci che ogni genotipo animale (specie o razza) è caratterizzata, ovvero porta
scritto nel suo DNA le sue capacità produttive come: i pesi vivi alle età tipiche, la sua
composizione in tagli delle carcasse, il rapporto magro, grasso e osso, la capacità quantitativa e
qualitativa di produzione del latte, ed una miriade di parametri di qualità come quelli fisici (pH,
colore, ecc.) chimici generali e speciali (% acqua, Proteine, grassi, ceneri, minerali, acidi grassi
ecc.) organolettici e sensoriali (parametri apprezzabili con tatto, vista, gusto ecc.)
1.2. Parametri quantitativi: Tra i parametri quantitativi per quanto riguarda la produzione della carne,
dell’animale a convertire l’alimento (dieta e/o razione) in massa corporea (peso vivo) ed è dato dal
secca, di unità foraggere ecc.) e l’incremento medio giornaliero del peso vivo (I.M.G.) ovvero
I.C.A.= C.M.G.A./ I.M.G. ovviamente quanto più basso è l’ I.C.A., tanto più è elevata la capacità
dell’animale di produrre carne (massa corporea) per unità di alimento. Tale concetto, ovviamente
Si ricorda altresì che l’I.M.G rappresenta la capacità dell’animale ad incrementare più o meno
velocemente il proprio peso vivo. Viene calcolato come rapporto tra la differenza di peso vivo tra
due pesate fatte in due periodi di vita successiva ed il periodo in giorni considerato, generalmente
di 30 giorni (es. P1 = peso inizio mese, P2 = peso fine mese) per cui I.M.G = P2-P1/ 30 (30 = giorni
del mese). Nel caso in cui l’ I.M.G per necessità dovesse essere espresso per l’intero periodo di
osservazione (es periodo di ingrasso, periodo nascita-macellazione ecc.) è sufficiente rilevare i pesi
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Generalmente il peso vivo viene espresso in Kg e la sua determinazione si ottiene come media
aritmetica di tre pesate effettuate al mattino e a digiuno per tre giorni consecutivi. Tale parametro
(peso vivo) alle età tipiche (nascita, svezzamento, pubertà, primo parto, prima monta, adulto,
massa dell’animale, ed è una sua caratteristica genetica, che non sempre è correlata positivamente
alla velocità di accrescimento. Infatti esistono animali di grande mole, ma che presentano una
limitata velocità di accrescimento e per questo basti pensare agli elefanti, ed animali di piccole
dimensioni ma dotati di alta velocità di accrescimento (come i brailers) cioè capaci di ottenere/
raggiungere il peso di adulti del genotipo (specie o razza) di appartenenza, in un tempo più o meno
breve. La velocità con la quale gli animali raggiungono il peso desiderato viene definita anche
precocità somatica ed è tanto più accentuata quanto più giovane è l’età di “maturazione”
dell’animale. L’incremento medio giornaliero, oltre che dal genotipo è influenzato dal sistema di
oltre alle caratteristiche nutrizionali della carne, intese come contenuto in principi nutritivi
(proteine, energia, vitamine, grassi, oligoelementi ecc.) ed al livello in colesterolo che, sono
strettamente dipendenti dal genotipo (specie, razza), a quelle tecnologiche come il pH che può
normalmente oscillare tra 5,4 e 5,8 a cui è strettamente legata la capacità di ritenzione idrica, ed a
quelle organolettiche intese come l'insieme delle proprietà della carne percepibili dal consumatore,
è necessario fare riferimento anche a quelle igieniche-sanitarie, poiché non esiste qualità senza
"sanità" del prodotto. Dette caratteristiche sono determinate da un insieme di microrganismi capaci
di alterare le carni allorquando trovano un ambiente favorevole con un pH tendente alla neutralità
e/o una temperatura di conservazione non idonea (alta). Questi microrganismi sono per la
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In generale con alcuni accorgimenti si possono contenere e/o prevenire variazioni negative della
glicogeno muscolare da cui dipende l'abbassamento del pH intorno a valori di 5,4-5,7 nelle prime 6
e/o fecali capaci poi di controllare lo sviluppo di colonie batteriche, è necessario che gli animali
e) evitare stress premacellazione che oltre ad essere causa di carni D. F. D. Aumenta la permeabilità
dell'intestino indi la possibilità dei batteri di entrare in circolazione e quindi nei muscoli.
minime presenze di sangue nei muscoli rallenta l'abbassamento della loro temperatura e nel
g) Conservare correttamente la carcassa ricordando che una buona refrigerazione richiede una
Si deve ricordare che nella carne sono sempre presenti dei microrganismi come clostridi, penicilli e
lieviti che possono sopravvivere a basse temperature, e che alte umidità possono favorire la crescita
attaccando la mioglobina, sviluppa "sulfoemoglobina" che porta al cattivo odore e dal colore
Le principali alterazioni che si verificano a carico della carne dovute ad errori operativi sono quelle
che si hanno a carico delle proteine che adopera degli enzimi (proteasi) del tessuto muscolare sono
scisse in peptidi, i quali, sotto l'azione delle peptidasi sono scisse in aminoacidi. Questi ultimi in
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opportune condizioni possono subire l'attacco batterico (soprattutto dai clostridi e dai
gruppo COOH porta alla produzione di CO2 ma lascia legato alla catena alifatica il gruppo
amminico con formazione della corrispondente ammina (R-NH2) responsabile del cattivo odore. I
la produzione di indolo, scatolo, H2S [(NH4)2 S] responsabili dell'odore nauseabondo delle carni
putride.
A seguito poi della deaminazione che libera il gruppo-NH2 (NH3), il restante radicale (dell’ex
aminoacido alifatico e/o aromatico) dà origine ad acidi alifatici (come l'acido lattico) responsabile
dell'acidificazione della carne. Molto spesso però, le muffe portano ad una carne di colore scuro, i
ossidativi portano verso un colore verde mentre di una certa fluorescenza del prodotto sono
macellazione, stoccaggio e trattamento delle carcasse e delle carni, rendono questo prodotto
inservibile per scopi alimentari poiché dannosi alla salute umana. In realtà, oggigiorno a parte gli
accorgimenti operativi a cui si ricorre durante le fasi di filiera, esistono altri che prevedono
trattamenti delle carni con conservanti quali nitriti, BHT, BHA, agenti chelanti, TBHQ ecc., oppure
la somministrazione in vita durante la fase di finissaggio e/o nel periodo immediatamente prima
della macellazione di sostanze antiossidanti come la vitamina E (1500 UI/d nei bovini) o di glicole
(500 ml/capo/d). La prima, utilizzata nel finissaggio, e capace non solo di prevenire fenomeni
ossidativi delle carni, ma anche di migliorare la stabilità degli acidi grassi insaturi (mono e poli
insaturi) ed i parametri correlati alla ritenzione idrica. Il secondo (glicole) somministrato il giorno
(sera) prima della macellazione, portando ad un aumento ematico di glucosio, e a un limitato calo di
glicogeno dei muscoli porta di fatto ad una ottimale riduzione del pH, di cui è nota l'influenza su
alcuni parametri di qualità delle carni. Il glicole riesce a migliorare anche gli indici a* del rosso, b*
del giallo ed L* della luminosità dal 5º al 6º giorno di conservazione. Il tutto senza alcuna
variazione sulle altre caratteristiche nutrizionali ed organolettiche della carne. Per cui, l'utilizzo di
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composti gluconeogenetici nella fase/i antecedente la macellazione sarebbe una strategia alimentare
rapida diminuzione del glicogeno muscolare come quelli autoctoni e/o semi selvatici.
colesterolo)
In genere, le carni ad alto contenuto in acidi grassi insaturi e di poliinsaturi in particolare sono
certamente più sensibili alle alterazioni, poiché in condizioni ambientali di conservazione e/o di
stoccaggio errate dagli agenti atmosferici con processi autocatalitici mediati dai radicali liberi
vengono trasformati in ossiacidi, idracidi con formazione di aldeidi, chetoni e alcoli, che incidono
negativamente sul colore, sulla consistenza e sul valore nutritivo nonché sulla sicurezza igienico
sanitario del prodotto. Per cui, i fosfolipidi delle carni, a causa della loro alta insaturazione sono
particolarmente sensibili ai processi ossidativi da cui derivano diversi composti che reagiscono con
l'acido tiobarbiturico come la malondialdeide dando origine ad una reazione cromatica la cui
intensità di colore viene usata per valutare il grado di ossidazione dei lipidi. La lettura finale fatta a
In realtà i processi ossidativi delle carni sono favoriti da quelli di lavorazione (disossamento,
macinazione, cottura, esposizione all'aria in condizioni non ottimali), che manomettono di fatto
l'organizzazione cellulare in alcune parti dei muscoli favorendo così l'azione di agenti pro-ossidanti
con gli acidi grassi insaturi. Infatti il Fe liberato dalla mioglobina durante la cottura e/o da altri
l'ossidazione dei grassi, fenomeni questi che continuano velocemente con produzione di composti
riscontrabili in tutti tipi i di carne sia riscaldata sia macinata. Questo fenomeno viene detto WOF
(Warner Over Flavour) e viene favorito anche sia dalla giunta di NaCl (cloruro di sodio o sale da
cucina), sia dalla conservazione in atmosfera modificata (80% di O2 e 20% di CO2) (Lanari et al.,
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Oltre alla TBARS, oggigiorno particolare attenzione si presta alla presenza di molecole derivanti
dall'ossidazione del colesterolo (COPS o prodotti di ossidazione del colesterolo) poiché questa
molecola i cui riflessi sulla salute umana sono alquanto noti è un normale componente del doppio
strato lipidico (lipoproteine) delle membrane cellulari dalla cui ossidazione derivano il 17-
al; 1995 citati da Paganini e Serafini 2006) accusati di promuovere quegli eventi che sviluppano le
lesioni aterosclerotiche. La formazione dei COPS dipende dal tipo di cottura. Infatti la bollitura, un
prolungato tempo di frittura o la cottura in forno a microonde, portano alla formazione di 20-
Inoltre dal grado di ossidazione della mioglobina dipende il colore delle carni ed in particolare del
colore rosso-porpora che la carne assume dopo la macellazione. Quando poi la mioglobina si ossida
in modo reversibile in ossi-mioglobina ove il Fe2+ è in forma ridotta, il colore diventa rosso
brillante, mentre quando il ferro del gruppo eme a seguito dell'esaurimento degli altri substrati
ossidabili si ossida a Fe3+ il colore diventa rosso scuro-marrone dovuto alla presenza di
metamioglobina che può reagire con l’H2O2 endogena con formazione del relativo complesso H2O2-
Come detto in precedenza l'ossidazione delle carni viene inibita da nitriti, dalle molecole di metalli
chelanti e dagli antiossidanti sintetici (BHT, BHA ecc.,) il cui impiego è sempre più limitato,
mentre, trova sempre maggiore diffusione l'uso di molecole naturali quali la vitamina E,
necessario ricordare però che gli animali vivi sono dotati di un sistema difensivo contro i perossidi.
Di questo sistema fanno parte la superossido dismutasi, la glutatione perossidasi, presenti nel citosol
e nella matrice mitocondriale e la ceruplasmina e la transferrina del plasma cellulare. Tale sistema
anti ossidazione diventa inefficace e/o insufficiente sia quando la dieta dell'animale contiene alti
livelli di perossidi, sia dopo la morte dell'animale, sia in soggetti stress-sensibili a causa dell'azione
di radicali liberi e del passaggio della creatina chinasi e piruvato chinasi dai tessuti al plasma dovuto
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al danneggiamento delle membrane cellulari (Buckley et al., 1995; Duthie et al., 1989 tutti citati da
La "puzza d’osso" rappresenta una profonda alterazione delle masse muscolari più sviluppate come
quelle delle cosce dei bovini e forse dei suini (prosciutti), caratterizzati da un insolito e sgradevole
d’osso" non è dovuta all'azione proteolitica dei clostridi o dei pseudomonas e si distingue da questi
per un pH moderato e per l'odore caratteristico. Trattasi di una anomalia quasi sempre stagionale,
manifestandosi frequentemente nelle stagioni calde (estate, primavera) e quasi ma in quelle fredde
(tardo autunno-inverno) e che rende le carni poco o non commerciabili anche se non pericolose dal
lato sanitario. Diversi autori concordano nel fatto che detta anomalia si verifica quando:
L'interesse verso la vitamina E, quale antiossidante, deriva dal fatto che è una vitamina liposolubile
che si deposita nelle membrane biologiche ove svolge la sua azione di contrasto ai radicali liberi,
biologiche. Si precisa che detta vitamina non è sintetizzabile dall'organismo animale per cui esso
deve assumerla attraverso l'alimentazione a cui si aggiunge sotto forma di α toferil-acetato (oleoso e
giallo) o di α-tocoferil-succinato (granuloso e bianco) e/o con prodotti più resistenti ai fenomeni
nel tenue e/o nel digiuno a seguito dell'azione delle esterasi si libera l’α-tocoferolo che passa nel
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sistema linfatico dove si lega ai chilocromi, trasferito nel circuito ematico e trasportato dalle
derivanti si depositano sulle pareti dei vasi sanguinei ove formano le placche sclerotiche.
Ovviamente per ottenere significativi risultati circa l'accumulo nei tessuti di questa vitamina (α-
tocoferolo) è necessaria somministrarla per un certo periodo di tempo più o meno lungo che è in
funzione del genotipo (specie e/o razza) nonché della concentrazione nella razione. Una carenza di
questa vitamina post-mortem nei muscoli può essere causato da grassi ossidati presenti nella razione
che di fatto rendono la carne più sensibile ai processi ossidativi. La carenza può essere ascritta alla
presenza di alimenti e grassi non freschi della razione, che possono portare ad un minore
grassi. Per questo, normalmente risulta necessario una significativa integrazione alimentare di
questa vitamina. La vitamina E, agisce sui lipidi neutralizzando i radicali liberi (superossidi,
idroperossidi, e idrossilici) che si formano a seguito dell'attività dei batteri neutrofili per il
metabolismo dell’O2, per l'attività di respirazione dei fagociti, per il metabolismo dell'acido
arachidonico che insieme ad agenti esterni raggi U. V., nitriti e nitrati fungono da catalizzatori per
L'azione antiperossidativa della vitamina E dei grassi è potenziata dalla vitamina C, che libera la E
La Vit C-radicale a sua volta torna attiva (ridotta) ad opera di un sistema ossido-riduttivo NADH+
dipendente.
L'ossidazione dei grassi oltre che dai radicali liberi, dall'alta concentrazione di insaturi e dal Fe non
I primi ad ossidarsi sono gli fosfolipidi dei microsomi e dei mitocondri, che conferiscono alla carne
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La vitamina E legandosi con la parte polare dei fosfolipidi della membrana cellulare, impedisce ai
radicali liberi (OH-) di rompere i doppi legami degli acidi grassi insaturi e poliinsaturi che si
L'azione antiossidante della vitamina E è svolta anche a livello delle lipoproteine ematiche
principale via di trasporto del colesterolo, le quali ossidandosi danno origine alle lipoproteine a
bassa densità (LDL) che depositandosi sulla parete dei vasi formano le placche eritomatose con
Comunque, l'azione della vitamina E quale antiossidante si estende a tutti i lipidi di membrana
aumentando la loro stabilità soprattutto quando essi sono sottoposti all'azione della H2O2-
Per una migliore e significativa azione antiossidante a carico della carne, è utile somministrare per
via alimentare la vitamina E all'animale. L'azione protettiva di questa vitamina inerente il colore
delle carni, varia con il livello di integrazione e con il tipo di muscolo, la cui composizione acidica
varia con il tipo di dieta. Una buona integrazione della dieta con α-tocoferil acetato riduce i COPS il
alla protezione data alla membrana delle cellule sia verso il congelamento che migliora la sua
permeabilità sia verso l'azione delle fosfolipasi, ove le perdite dei fosfolipidi di membrana, dovuta
all'azione degli enzimi anzi citati, portano ad una sostanziale riduzione della permeabilità e fluidità,
con conseguente aumento di questo parametro. La vitamina E, inoltre concorre a mantenere stabile
il colore della carne, a contenere i perossidi nei microsomi e nei mitocondri ed il TBARS, alla cui
riduzione e forse legato la “drip-losses” poiché le TBARS legandosi al gruppo -NH2 libero delle
Come già riferito in precedenza, la qualità dei prodotti alimentari ed in particolare per quelli di
ed ingiustificate convinzioni su possibili azioni negative sulla salute. Per quanto concerne poi le
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produzioni bovine (carne latte), queste risultano particolarmente ricche di acido bovinico
componente essenziale dell'acido linoleico coniugato (CLA) la cui concentrazione aumenta con
l'alimentazione verde e di cui si stanno studiando le azioni sulla salute umana, sull’aumento della
proteina corporea, sulla riduzione dei depositi adiposi, sulle funzioni immunitarie, su quelle
I CLA comprendono gli isomeri (posizionali e geometrici) dell'acido linoleico coniugato (C18:2
acido octadecadienico), che comprende per circa il 90% il cis-9 trans-11 del grasso dei ruminanti.
Tale isomero nei grassi vegetali non supera il 50% dei CLA totali. La principale caratteristica del
CLA rispetto al linoleico è quello di avere una struttura che pur avendo legami insaturi, non subisce
significativi e negativi cali delle attività biochimico-fisiologiche durante i processi di cottura e/o di
In realtà, gli effetti del CLA presenti nei prodotti animali (carne e/o latte) sulla salute possono
b) inibitore dello sviluppo tumorale di alcuni organi come quelli della cute e della mammella
d) prevenzione sull’aterosclerosi
I CLA sono presenti in percentuali significativamente alte nei prodotti di origine animale (latte e
carne) ed in particolare dei ruminanti, i quali sono sintetizzati nel rumine a partire dai loro
precursori. La loro sintesi è massima quando gli animali si alimentano di verde e/o nei pascoli ricchi
di essenze vegetali ad alto contenuto di PUFA (C 18: 2; C 18: 3) esterificati sotto forma di glicolipidi,
fosfolipidi e flavonoidi. Ovviamente la composizione acidica varia con la famiglia, con la specie
botanica e con lo stato fenologico della pianta che comunque sono sempre ricche di C 18: 2; C 18: 3,
mentre i semi oleosi di interesse zootecnico (lino, girasole, arachidi, soja, ecc.), contengono
18
trigliceridi ricchi di C 18: 3 ed di C 18:1 cis-9 che, nel rumine subiscono l'idrolisi da parte delle lipasi
I processi di bio degradazione degli acidi grassi insaturi sono operati da 2 gruppi di batteri ruminali,
il primo (A) di cui fanno parte i Butirrovibrio fibrisolvens che trasformano il C 18: 2 e l’α linolenico
in acido vaccenico (C 18:1 trans-11), il secondo che comprende anche i Fusocillus T 344 che
Questi processi si basano su 2 passaggi, il primo grazie all'azione della “linoleato isomerasi”
presente sulla membrana cellulare, isomerizza il C 18: 2 (acido linoleico) in CLA; il secondo è una
riduzione del CLA in acido vaccenico. Con la biodegradazione, l'acido grasso insaturo perde parte
dei doppi legami (somma di H2) porta alla sua di saturazione. Qualunque sia la partenza C 18: 2 o
C18: 3 il prodotto intermedio è comunque l'acido vaccenico a condizione però che il pH ruminale non
Il fatto poi che i prodotti alimentari derivati da animali (erbivori ruminanti) alimentati al pascolo
presentino alti valori di CLA rispetto a quelli allevati a stalla ed alimentati con razioni
durante il quale si verificano sia perdite di alte quantità di liquidi cellulari (acqua ecc.), sia
perossidazioni dei PUFA per effetto della luce e dell'aria (perdite indirette). Negli insilati poi sono i
substrato di attacco alla microflora ruminale per la produzione del CLA e dei loro precursori.
animale.
19
Tabella A. Livelli di CLA in alimenti di origine animale (da Paganini M., Serafini C. 2006-).
Carni di:
manzo 2,30
vitello 2,27
agnello
5,15
suino 0,49
pollo 0,76
Latte e derivati:
burro 0,30
taleggio 1,44
gorgonzola 1,71
20
Cap 2. LA CARCASSA E LA CARNE
Raggiunto il tempo e/o l’età di macellazione ovvero quando l’animale viene giudicato maturo per
peso vivo e/o perché a fine carriera, esso, viene portato al macello, abbattuto, prima mediante una
scossa elettrica, e/o con un colpo di pistola a capsula cava alla fronte (stordimento) immediatamente
sospeso per gli arti posteriori testa in giù, a cui segue il taglio delle giugulari per la fuoriuscita del
smaltimento. Il sangue raccolto può essere destinato alla produzione di farine e/o di fertilizzanti per
l’agricoltura. Una volta e non molti anni addietro, fino agli anni 50 – 60, in alcune comunità , quello
di alcune specie, ed in particolare quello dei capretti, degli agnelli e dei suini veniva destinato
all’alimentazione umana. Il sangue dei giovani ruminanti durante il dissanguamento veniva fatto
coagulare prima e bollito poi. Successivamente il coagulo veniva tagliato in pezzi e soffritto con
aglio – olio peperoncino e sale q.b.: piatto alquanto povero dal lato nutrizionale. Quello dei suini e
in particolar modo presso le famiglie rurali contadine del Sud-Italia veniva utilizzato per la
il sangue veniva defibrinato (si agitava con mano e/o cucchiai in legno), e successivamente cotto
molto lentamente (3-6 ore) in teglie di terra cotta con l’aggiunta di spezie (cannella, pepe, chiodi di
garofano), cioccolato abbondante e zucchero (1:1), la cottura procedeva fino ad ottenere una crema,
che serviva per preparare le sfogliatelle di sanguinaccio dolce tipico del carnevale e delle festività
pasquali.
In generale, dall’animale, una volta morto e dissanguato vengono tolte la pelle (scuoiatura nei
ruminanti), o (le setole, spellatura nei suini) o (le penne, spennatura negli avicoli), i visceri
addominali (di cui fanno parte l’intestino, lo/gli stomaco/i e la vescica) il fegato, quelli toracici,
come il cuore, i polmoni e la trachea che, nell’insieme al fegato assumono il nome di coratella e/o
corata. Ciò che resta rappresenta la carcassa. In realtà esistono diversi tipi di carcassa ed è in
relazione non solo al genotipo animale, ma in alcuni casi dipende dagli usi e consuetudini locali.
Tra le più note, ed adottate non solo dall’associazione Scientifica di Produzione Animale (ASPA)
21
a) la carcassa di tipo bovino: Per ottenere questo tipo di carcassa, dall’animale morto, dissanguato,
scuoiato ed eviscerato, vengono asportate la testa a livello dell’articolazione delle vertebre cervicali
atlante-epistrofeo, gli zoccoli e gli stinchi (ginocchio zootecnico per gli anteriori e calcagno per i
posteriori). Resta a far parte della carcassa parte della coda (destinata a diventare, poi, ossi buchi
b) La carcassa di tipo suino: si ottiene allontanando, dall’animale morto e dissanguato i peli e/o
setole, mediante immersione in acqua bollente per 2-3 minuti prima, e spazzolatura poi (con
spazzole rotanti e/o raschietti a mano), i visceri toracici e addominali come nei bovini, e gli
unghietti dei piedi (scarpe). La carcassa del suino differisce da quella bovina poiché è
omnicomprensiva della pelle (cotica), della testa, e degli zampetti (utili per le preparazioni dei
famosi zamponi)
c) la carcassa di tipo ovicaprino, questo tipo particolare di carcassa così come specifica la stessa
dicitura si riferisce agli ovini e caprini ed in particolare agli agnelli e ai capretti (max di 50 – 70 gg
di età) , ed è formata dal corpo dell’animale, dissanguato, scuoiato ed eviscerato. In alcuni casi e in
particolare nei soggetti da “latte”, della carcassa fa parte la coratella (fegato, cuore, polmone e
trachea) a cui in molti casi si aggiunge il grande omento (rezza) e tutto l’intestino tenue
La coratella e l’intestino opportunamente pulito in molte zone viene usata per la preparazione degli
involtini (fascetiddi, gnummariddi ecc, espressioni dialettali che indicano lo stesso preparato
“involtino” che si ottiene avvolgendo in una parte del grande omento una lista/ listello/pezzo più o
meno grande di fegato, di cuore, di polmone, condito con giuste dosi di prezzemolo, aglio, alloro
e/o di altri aromi a secondo usi e consuetudini locali. Il tutto fermato con stuzzicadenti o legato con
l’intestino dell’animale o con filo alimentare e, successivamente cotti/arrostiti alla brace. Il sale q.b.
per questo preparato si aggiunge alla fine della cottura ovvero al momento di servirlo a tavola. La
coratella può essere preparata anche in umido e le ricette in tal senso variano a seconda degli usi e
22
d) La carcassa avicola: questa invece è priva, di sangue, delle penne, del gozzo, delle viscere,
(intestino, cuore, fegato, ventriglio), mentre contiene, le zampe, la testa il collo. Quasi sempre il
fegato il cuore e il ventriglio (quest’ultimo ben pulito) vengono recuperati e destinati alla vendita
per il consumo diretto. In alcuni casi vengono usati per preparare il soffritto, in altri casi vengono
impiegati per la preparazione di ripieni da usare per la in cucina di avicoli domestici e/o selvatici. (Il
ripieno base è così preparato: 1 parte di viscere, fegato, cuore, polmone – 1 parte di pancetta di
maiale o di guanciale o di lardo aromatico, aglio prezzemolo e/o basilico, pangrattato e formaggio,
sale q.b. a cui a seconda dei gusti possono essere aggiunti altri aromi che vanno dalla cannella allo
zenzero fino all’uva passa, il tutto ben mescolato e omogeneizzato fino ad ottenere un impasto quasi
solido, che servirà a riempire la cavità toracica ed addominale dell’avicolo da sottoporre poi a
cottura).
Una volta ottenuta la carcassa dell’animale, entro 45’; 60’ dalla macellazione, ancora calda, va
pesata a caldo ed il relativo peso registrato su opportune schede in cui è riportata la metrica
dell’animale, il peso vivo alle età tipiche (macellazione compresa) l’azienda e/o zona di
allevamento e tutte le notizie di rintracciabilità e tracciabilità del prodotto. Una volta rilevato il peso
della carcassa a caldo (bovina o suina) essa viene divisa in due parti uguali. La divisione delle
carcasse avviene generalmente nel macello pubblico con l’ausilio di una sega elettrica. Il taglio è
effettuato in senso longitudinale, lungo la colonna vertebrale e divide la carcassa in due parti uguali
dette “mezzane”, (la somma dei pesi delle mezzene della stessa carcassa in genere corrisponde al
peso della stessa). Fatta questa operazione le mezzene vengono poste a riposare in cella frigo per 24
ore a 4° C. Il rapporto % tra il peso della carcassa a caldo e il peso vivo stallato dell’animale (tenuto
a digiuno per 24 ore) alla macellazione viene detta Resa di Macellazione (“R.M. a caldo” o
Dopo 24 ore di refrigerazione a 4° C, le mezzene dello stesso soggetto vengono pesate e registrate.
La differenza di peso tra carcassa a caldo e quella a freddo, rappresenta il calo di refrigerazione che
23
nelle carcasse di buona qualità non deve superare il 4-5 %. Il calo di refrigerazione è l’espressione
% del rapporto tra le perdite o calo di refrigerazione ed il peso della carcassa calda, ovvero:
Questo parametro di solito è più alto nelle carcasse provenienti da giovani soggetti (lattanti) e da
quelle di animali magri e malnutriti ovvero quei soggetti non ancora maturi per la macellazione.
La resa a freddo è l’espressione del rapporto tra il peso della carcassa fredda dopo 24 ore di
In formula:
In generale le rese variano dal 45-50 % al 65-85 % (a secondo della specie, dell’età, del sesso, dello
Quasi sempre, le mezzene delle carcasse dei bovini, visto le loro dimensioni o pesi alla
macellazione (che variano dai 2,5 ql nei vitelli da latte a carne bianca fino a 7-8 ql nei vitelloni da
carne o 10-15 ql nei tori o 4 – 8 ql nelle vacche) vengono divise in due parti o quarti (anteriore e
dell’articolazione di questa con la relativa vertebra. Con questa operazione la mezzena viene divisa
in un quarto anteriore che comprende l’arto anteriore comprensivo della spalla (dx o sx) della metà
del collo, della colonna vertebrale, dello sterno, delle costole e dei muscoli annessi. ed un quarto
posteriore di cui fanno parte la metà della colonna vertebrale (zona lombare), il coscio e i loro
muscoli annessi e quelli relativi alla zona addominale competente. Tale operazione si effettua non
solo per comodità di maneggiare pesi più leggeri, ma anche perché nel posteriore sono concentrati i
tagli migliori.
24
Nelle altre specie questa divisione non si effettua se non al banco di macelleria (come nel caso degli
ovicaprini e degli avicoli), raramente, e solo nel caso di grossi capi può essere fatta nei suini e in
particolare nei verri e nelle scrofe di fine carriera (dal peso vivo di 3 - 4 quintali).
Sempre tra i parametri quantitativi e qualitativi a livello delle carcasse è utile menzionare la loro
generale le misure più convenienti usate per la valutazione della conformazione delle carcasse sono
quelle della:
a) lunghezza del tronco rilevata dal punto mediano della faccia anteriore della vertebra atlante,
d) lunghezza della mezzena rilevata dal punto mediano del margine craniale della 1° costale a
e) profondità toracica determinata dal margine dorsale della 5° vertebra toracica nel punto di
articolazione con la 6°, al punto mediano del margine vertebrale della penultima sternale
f) lunghezza della coscia misurata dal malleolo mediale al margine craniale della sinfisi
pubica.
Queste misurazioni possono differire di poco e essere più o meno affinate a seconda della specie
animale, e comunque sono fatte sulle carcasse intere a freddo nei bovini suini e ovicaprini (dopo
Queste determinazioni metriche per la valutazione della conformazione della carcassa che è solo un
parametro di qualità, a cui segue lo stato di ingrassamento generale della stessa, la sua
composizione in tagli, e quella in magro, grasso e osso degli stessi. Sono quasi sempre preceduti
dalle misure somatiche sugli animali in vita, che in un certo qual modo danno una sicura
longilinei, ossidativi ecc. termini usati a secondo del genotipo e/o del tipo di valutazione) e su una
25
certa presunta qualità della carcassa. Le misure somatiche comunemente eseguite e riportate nella
a) l’altezza al garrese;
c) lunghezza della groppa, misurata come linea obliqua dalla punta dell’ala dell’ilo, al punto
e) altezza toracica, valutata dietro le spalle allo stesso livello del torace;
g) circonferenza toracica, rilevata dietro le spalle allo stesso livello della larghezza e dell’altezza
toracica;
h) lunghezza del tronco, determinata come linea obliqua della distanza tra l’articolazione scapolo
Dette misure sono effettuate tutte con il bastone misuratore di Lydtin, eccetto la circonferenza che
viene rilevata con nastro metrico misuratore centimetrato. Le figure di seguito riportate (ASPA;
1991) rendono in modo chiaro ed eloquente i punti di rilevamento di tutte le misurazioni anzi
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CARCASSE BOVINE
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29
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CARCASSE SUINE
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CARCASSE OVI-CAPRINE
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CARCASSE EQUINE
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Composizione in tagli della mezzena
Dopo la valutazione metrica di conformazione della carcassa e della mezzena refrigerata, questa
1. rene/i
La mezzena, una volta ripulita e tolettata dalla “base”, viene divisa in quarti (anteriore e posteriore)
effettuando un taglio tra l’ultima vertebra dorsale e la prima lombare, seguendo poi il margine
caudale della costola fluttuante fino al margine vertebrale per separare le parti o “quarti”.(Fig.3)
I quarti a secondo della specie vengono suddivisi in tagli. Tale suddivisione varia però con la specie
animale, così come esplicitato dalle figure riportate, e comunque adottate a livello nazionale e
Molto brevemente si ricorda che le mezzene degli animali vengono scomposte in tagli che non
sempre sono uguali per tutte le specie, infatti la mezzena bovina o quella equina (fig. 3) viene prima
divisa in due “quarti” l’anteriore e il posteriore, tramite un taglio trasversale a livello della
tredicesima vertebra. Operazione, questa che può essere fatta anche per i suini e gli ovicaprini.
Al quarto anteriore fanno parte, i tagli di: spalla, avambraccio, collo, bistecche 1-6; punta di petto;
Il quarto posteriore comprende i tagli di: lombata, addominale (o pancettone), coscio, e gamba
distale (gambone).
I tagli una volta separati e pesati, vengono sezionati in magro, osso, grasso (distinto questo in
sottocutaneo e peri-intramuscolare) ed altri tessuti (tendini, legamenti, vasi sanguigni ecc.) tutto
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diverse frazioni vengono pesate ed espresse in termini % per la valutazione della carcassa, ed avere
così precise indicazioni sia sulla carnosità della stessa, sia sulla sua adiposità. A livello scientifico i
muscoli vengono indicati con il nome latino (es. longissimus dorsi, lumborum; ecc), mentre a
livello commerciale è in uso una terminologia che può variare da regione a regione di cui si riporta
la più comune.
43
17 Sottospalla collo Bollito, fettine, arrosto, pizzaiola
Una volta che la mezzena è stata scomposta in “tagli”, questi vengono prima pesati e poi suddivisi
A) Bovine
Una volta effettuate tutte le misurazioni, si passa poi alla valutazione della carcassa, fatta in
punteggi possibili), così come riportato dall’ASPA (ISMEA – Roma 1991) a cui si rimanda.
“range” di variazione molto ampio perché dipende da un insieme di fattori endogeni ed esogeni
all’animale. Comunque si può stimare che la % di grasso nelle carcasse bovine possa variare dal 30
all’arto posteriore, al dorso, alle pareti toracico addominali, all’arto anteriore e regione cervicale
(collo); 2) il grasso interno come quello del bacino, perirenale, delle fasce addominali, toracico e
diaframmatici, costale, intercostale, pettorale (iniziale) e toracico; 3) i depositi cavitari. Alla fine
della valutazione si assegna il punteggio relativo così come riportato dall’ASPA (ISMEA - 1991) a
Classe 1 Questa raggruppa le carcasse molto magre, emaciate, i cui muscoli della coscia, del lombo
sono completamente scoperti di grasso e sono separati tra loro da sottili strati di tessuto connettivo.
Alla visita veterinaria vengono destinate solo all’industria e non al consumo diretto, in quanto le
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carni risulterebbero “tigliose, stoppose” e/o dure, poco succose e scarsamente saporite (una volta
Classe 2, A questa classe appartengono tutte quelle carcasse sui cui muscoli si nota un sottile strato
di grasso (intorno a 1 – 2 mm) a livello della coscia e della regione perirenale. In generale i muscoli
sono delimitati da connettivo ampiamente infiltrato di grasso. Il taglio di spalla presenta parziale
copertura adiposa (3-6 mm alla spina scapolare) mentre il collo è ancora scoperto. Anche le
carcasse di questa classe vengono destinate all’industria (carne in scatola) (bassa macelleria oggi
Classe 3 I muscoli delle carcasse di questa classe risultano quasi completamente coperti di grasso.
Nel quarto posteriore (coscio), si distinguono appena i glutei. La copertura adiposa è completa e si
estende senza interruzione, dai lombi al “trapezio” che si intravede appena. La spalla è ben ricoperta
di grasso, con infiltrazioni adipose. Lo spessore dell’adipe a livello scapolo-spinale oscilla tra i 10 e
i 15 mm. Discreti sono i depositi adiposi viscerali. I bordi delle costole presentano bande adipose.
Questa tipologia di carcasse è destinata alla macelleria per il consumo diretto ed adatta per la cucina
Classe 4 A questa classe appartengono le carcasse molto grasse, di solito di provenienza estera. In
queste, i cosci e i lombi sono completamente ricoperti di grasso così come lo sterno e i fianchi,
mentre, collo ed avambraccio sono in gran parte scoperti, al contrario della spalla che risulta coperta
da uno strato di grasso che varia dai 18 ai 25 mm. Il grasso copre gli spazi intercostali superando la
faccia interna delle costole. La carne di queste carcasse, destinate generalmente al consumo diretto,
risulta quasi sempre tenera, succulenta e gustosa anche se grassa. Per questo adatta agli arrosti e per
Classe 5 In questa classe sono raggruppate quelle carcasse eccessivamente grasse, in cui lo strato
adiposo si estende senza soluzione di contiguità per tutta la superficie, ovvero dal tendine di achille
45
Inoltre, nel caso di carcasse magre o molto magre (classe 1 e 2) la valutazione di conformazione
può avvenire senza tener conto delle loro adiposità. Mentre nel caso di carcasse grasse e molto
grasse (4 e 5) lo strato adiposo di copertura partecipa in modo significativo alla definizione della
conformazione, poiché esso si somma alla carne per la definizione del “tipo o modello” di carcassa
Per ulteriori approfondimenti per questi argomenti si rinvia a quanto riportato dall’ASPA (ISME.
1991)
B) Suine: Per tutte le attivtà industriali in cui viene coinvolta la carne suina e in particolar modo il
settore della trasformazione e della distribuzione nonché l’intera filiera del consumo del fresco, la
Dopo la macellazione, la divisione in mezzene delle carcasse suine e dopo i rilievi di conformazione
a caldo ed a freddo (a 4° per 24 ore in cella frigo), le mezzene vengono scomposte in tagli così
come indicato nelle figure 1 e 2. Sarebbe opportuno operare sull’intera carcassa ma per ragioni
economiche quasi sempre si opera su un certo numero di mezzene scegliendo quasi sempre quella
destra. Operazione valida purchè la divisione (fatta lungo la linea mediana della colonna vertebrale)
in mezzene della carcassa sia corretta e che le due siano di pari peso.
In generale i tagli ottenibili dalle mezzane/carcasse, (vedi foto) possono essere raggruppati in:
spalla.
Ai tagli di 3° scelta a prevalente base ossea appartengono la testa comprendente anche il cervello e
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1) Taglio della testa si ottiene con un taglio circolare netto e preciso lungo il collo a livello
dell’articolazione occipito-atlantoidea
2) Taglio di coscio (detto impropriamente prosciutto poiché diventa tale dopo salagione,
parallelo alle vertebre sacrali e a metà distanza tra questa e la sinfisi ischio pubica (vedi
intertarsica. La sua base scheletrica è composta dall’ala dell’ileo, dall’ischio, dal pube, dal
femore dalla tibia, dalla rotula, dal perone e dalle prime ossa tarsiche. La parte edibile è
costituita dalle masse muscolari annesse come i muscoli pelvi-trocanteriani, quelli della
coscia, della natica e della gamba. Il coscio dopo la refrigerazione (24 ore a 4° C) si rifila o
dell’ischio) parte dei muscoli adiacenti e sfilacciati, il grasso in eccesso, parte della cotica e
3) Taglio di lombata o carrè, ha come base scheletrica la parte lombare della colonna vertebrale
(dalla 7° alla 1° caudale) e l’osso sacro, e comprende tutti i muscoli dorso lombari superiori,
4) Taglio di coppa, comprende tutte le vertebre cervicali, quelle dorsali con le rispettive coste
costole e la parte dello sterno corrispondente a tutti i muscoli del collo, tutti gli intercostali e
la parte terminale dei muscoli lungo dorsali (longissimus dorsi). La cotica e il relativo grasso
5) Il taglio di spalla è formato dall’arto anteriore al completo. esso comprende i muscoli delle
regioni della spalla, dell’avambraccio, del braccio, le relative ossa, la cotica e il grasso
sottocutaneo.
6) Il taglio di pancetta è intermedio tra i tagli carnosi e quelli adiposi e comprende la zona
separandola con un taglio parallelo tra la linea dorso lombare e l’arto. E’ fatto dalla cotica,
dal relativo adipe sottocutaneo e dai tagli dei muscoli addominali. Prima di metterla in
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trasformazione si rifila, si squadra, e si toiletta, si allontanano le costole (residui) e la cotica.
ore a seconda dello spessore) e successiva stagionatura. Prima della vendita, viene
7) Il taglio di guanciale è formato dalla cotica, dal grasso di copertura ed eventuali infiltrazioni
muscolari, dell’area della guancia e della gola, per cui generalmente sono comprese anche le
ghiandole di questa regione, che una volta rifilato, salato e stagionato, conferiscono al
prodotto un sapore particolare rendendolo particolarmente adatto non solo al consumo tal
quale, associato a verdure ma anche per particolari “piatti” (ripieni per cacciagione e/o per la
8) La sugna, comprendente tutto il grasso addominale e quello proveniente dalla tolettatura dei
tagli grassi ed è generalmente sottoposta a fusione per ottenere lo “strutto” tanto caro ad
alcuni pasticcieri. Questo preparato fino agli anni 60 in molte famiglie contadine di molte
9) Il taglio di testa e quello degli zampetti, separati dal resto della carcassa fanno parte dei
cosiddetti tagli ossei, ed in un certo qual modo possono essere utilizzati direttamente in
cucina (per la preparazione della “pignata” e/o degli “zamponi”) e per la preparazione di
b1) Valutazione della carcassa suina, questa si basa sui parametri quantitativi, che le raggruppa in
funzione della loro composizione ed in particolare della percentuale di carne magra ottenibile. In
Italia la valutazione, per essere in linea con quella CEE la stima della quantità di carne magra va
effettuata con metodi strumentali e deve tener conto dell’esistenza nel nostro territorio di due classi
di suini. la prima è quella del suino leggero o da macelleria che viene macellato a un peso vivo
oscillante tra i 70-90 Kg e i 120 kg max. La seconda quella del suino pesante o da industria
(salumificio) che generalmente viene macellato ad un peso vivi superiore ai 150 – 160 Kg.
48
In Italia, per questa valutazione si usano i tre metodi riconosciuti dalla Commissione Comunità
Europea (C.C.E.). Due prevedono l’uso di strumenti automatici come il Fat-O-Meater (F.O.M.) ed il
Destran PG-100 (DEST), il terzo si basa sull’uso di una sonda ottica Introscope o Optical Probe
(OP) associato ad un calibro. A ciascuno di questi metodi sono associati due equazioni, una per le
carcasse a freddo del suino leggero e/o intermedio (50 – 120 Kg) l’altra sempre a freddo per quella
Va comunque precisato che tra i metodi proposti non vi sono rilevanti differenze sui risultati di
stima per il contenuto in carne magra della carcassa, e le differenze rilevate vanno comunque
accettate poiché una valutazione precisa si ottiene solo con la dissezione completa della stessa che
disponibilità di più metodi di valutazione è da ritenersi alquanto utile poiché consente ai macellai ed
agli operatori del settore di scegliere il metodo a loro più consono in relazione alle loro capacità
operative (n° suini macellati) scegliendo anche in relazione al costo la strumentazione più idonea.
Nei grandi macelli ovviamente si opterà per strumenti rapidi, automatici, dotati di alta affidabilità e
ripetibilità, mentre per le piccole e medie strutture (macelli) potrà essere più conveniente l’uso di
strumenti a sonda ottica Optical Probe (OP) dal costo sicuramente inferiore ai primi.
Gli apparecchi Fat-O-Meater (F.O.M.) ed il Destran PG-100 (DEST), sono strumenti a registrazione
automatica dei dati, consentendo la misurazione dello spessore del lardo e del tessuto muscolare
sfruttando la loro diversa capacità di riflessione della luce; mentre l’Introscope o Optical Probe è
una sonda ottica normale che permette all’operatore di misurare direttamente lo spessore del lardo.
Per la stima della % di carne magra (CEE) mediante l’impiego del FOM e/o del DEST le
misurazioni vanno fatte in punti ben precisi della carcassa e/o mezzena. In particolare quello del
lardo dorsale va fatto in due punti; il primo, tra la terzultima e la quartultima vertebra lombare (3-4
u.l.) a 8 cm dalla linea di divisione delle mezzene, mentre la misura dello spessore del “longissimus
dorsi” viene rilevata tra la terzultima e la quartultima costola (3-4 MLD) sempre a 8cm dalla linea
Quando si impiega la sonda ottica (O.P.), lo spessore del lardo dorsale si rileva in 2 punti:
49
a) Tra la terzultima e la quartultima costola (3/4 uc) a 8cm dalla linea di separazione delle
mezzene;
b) Spessore del lardo ivi compresa la cotenna misurato con calibro a livello di separazione
Le misurazioni espresse in mm vanno fatte su mezzene dopo 24 ore di refrigerazione in cella frigo.
Le equazioni per il calcolo della % di magro indicate dall’ASPA (ISMEA 1991) sono di seguito
riportate.
50
C) Ovicaprine: La valutazione delle carcasse ovi-caprine è di rilevante interesse non tanto per
all’interno della comunità Europea. Infatti, la quasi totalità della carne ovi-caprina prodotta in
Europa viene avviata al consumo diretto ad eccezione di insignificanti quantità che in alcune regioni
viene essiccata (miscisca) oppure utilizzata per produrre i “violini” (una specie di prosciutto ovino o
caprino) o impiegata nella preparazione “di carne in gelatina”. Questa si ottiene sottoponendo a
51
bollitura con giuste quantità di aromi, sale ecc. la carne di animali maturi, anziani e/o di fine
carriera, previa sgrassatura e dissossamento della carcassa. La carne semi cotta, viene ripresa in
fatta cuocere fino al punto giusto (le masse muscolari devono sfilacciarsi se sottoposte alla
pressione tra il pollice e l’indice), successivamente il tutto si pone in recipienti di terracotta, lasciato
anche se fino all’immediato dopoguerra era un piatto abbastanza ricercato proteico ed energetico.
La carne derivante dagli ovicaprini (ovini e caprini) si ottiene dalla macellazione di diverse
1) gli agnelli e i capretti da latte macellati tra i 45 e i 65 giorni di età, ed alimentati con solo
latte
2) gli agnelloni e i caprettoni leggeri abbattuti tra i 90 e i 120 giorni, (alimentazione solida)
4) i castratelli e i castrati (adulti): Trattasi di soggetti maschi castrati e macellati a età diverse. I
primi sono rappresentati da agnelli e capretti castrati in tenera età (nascita o entro i 30
giorni) e macellati a sei mesi di vita, i secondi sono soggetti maschi di fine carriera, che
Inoltre le preferenze alimentari dei consumatori variano da nazione a nazione e tra queste tra
regione e regione. Infatti quelli del Nord-Europa, orientano i consumi verso carni di soggetti maturi
(agnelloni e caprettoni in particolare) e di adulti (montoni, pecore ecc.), mentre in Italia ove il
consumo di queste carni è concentrato per la maggior parte nel Centro Sud prevale il consumo di
carni di animali giovani e/o da latte come l’abbacchio romano, l’inforchiato pugliese, lucano,
L’inforchiato oltre che essere agnellino in qualche regione come la “Lucania” era rappresentato solo
da capretti. Questa particolare categoria di animali veniva alimentata esclusivamente con latte
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materno e per evitare che potessero alimentarsi con gli alimenti residuati dagli adulti, una volta
Non vi è dubbio alcuno che le carni di questi soggetti siano particolarmente tenere, bianche e
succulente, ma presentano il grande svantaggio di essere sicuramente più ricche di acqua. Inoltre il
limitato peso vivo alla macellazione intorno ai 10-12 Kg, anche con una resa intorno al 60%
presentano carcasse leggere (max 6 Kg) con alta percentuale di osso, limitata percentuale di muscoli
ed alcune volte anche grasse. Tenuto conto che l’autoapprovvigionamento nazionale di carni ovi-
caprine ad oggi non supera il 60 % è facile rendersi conto che tali usanze incrementano
l’importazione di carni ovine dai paesi dell’Est Europa, dalla Nuova Zelanda, dall’Australia, dal
Sud America con esborso notevole di valuta pregiata. Ad aggravare la situazione, da questi Paesi si
importano animali maturi come gli agnelloni leggeri di 18-20 Kg di peso vivo (espressini) e/o
pesanti di 24 – 30 Kg (espressi) ed animali adulti. I primi due vengono venduti nelle macellerie
come agnelli i secondi come ovini. Per cui il nostro consumatore per avere buone probabilità di
consumare agnelli e/o capretti da latte deve orientare questi acquisti in coincidenza delle festività
Natalizie e Pasquali poiché queste specie (ovini e caprini) sono quasi sempre a riproduzione
La carcassa La carcassa degli ovicaprini si ottiene dalla macellazione delle diverse categorie
animali di queste specie tenuti a digiuno per 24 ore e fatti pervenire alla sala di macellazione con il
Della carcassa agnellina e caprettina fanno parte la testa, la coda, e la corata (cuore, fegato, polmoni
ed intestino vuoto), quella degli agnelloni, caprettoni e/o degli animali adulti è priva di corata e di
testa che viene distaccata a livello dell’articolazione occipito-atlantoidea e, come tutte, va pesata a
caldo e sottoposta a refrigerazione per 24 ore in cella frigo a 4° C max e ripesata per il calcolo del
calo di refrigerazione. Come per tutti gli animali, le misurazioni sulla carcassa per la valutazione
della conformazione, vanno generalmente precedute da quelle sull’animale in vita per la definizione
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del tipo morfologico (figg. 1 – 2 – 3 , ASPA – ISMEA 1991) Le misurazioni ant-mortem
1) altezza al garrese; 2) altezza alla croce; 3) lunghezza della groppa; 4) larghezza della groppa; 5)
altezza del torace; 6) larghezza del torace; 7) circonferenza del torace; 8) lunghezza del tronco; 9)
spessore della pelle, quest’ultimo espresso in cm e rilevato alla spalla a livello del garrese (spina
acraniana). Sulle carcasse appese e refrigerate vengono rilevate negli stessi punti di tutte le carcasse
animali le seguenti misure (fig. 2): 1) lunghezza del tronco 2) larghezza della groppa 3) larghezza
toracica 4) lunghezza della mezzena 5) profondità toracica 6) lunghezza e larghezza della coscia.
Per la valutazione di conformazione e del relativo stato di ingrassamento si assegna per ogni
regione della carcassa un punteggio che varia da 1 a 5, secondo le metodiche riportate per i bovini
(E.A.A.P.- C.E.E.). Oggi però per le carcasse degli ovi-caprini si può far riferimento ad altri
standard così come riportato in ambito E.A.A.P. Working Group in Carcass Evaluation (De Boer
1987).
Dissezione in tagli della carcassa ovi-caprina. Una volta preparata la carcassa, pesata sia a caldo che
refrigerata, si procede al calcolo delle rese % di macellazione e del calo di refrigerazione. Questi
parametri variano in ragione del genotipo (specie e/o razza) e nell’ambito della stesso con l’età, il
dell’animale che ovviamente dipende dal sistema e/o tecniche di allevamento, la quantità e qualità
Si precisa che la modalità di calcolo delle rese e del calo di refrigerazione è lo stesso di quello
Dalla mezzena refrigerata e pesata, per ottenere quella base da scomporre in tagli, si allontana da
essa il grasso pelvico, quello perirenale il rene ed eventualmente i testicoli. Una volta ricavata la
mezzena base, si procede alla sua scomposizione in tagli così come schematicamente indicati in
fig.3.
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2) il collo parte dall’articolazione occipito-atlantoidea e termina tra la settima vertebra cervicale e la
3) la coscia che ha come base ossea il sacro, il bacino (ileo, ischio, pube), il femore, la rotula, la
tibia-fibula ed il tarso, e tutti i muscoli annessi. E’ separata dalla lombata con un taglio netto a
iliopsoas ecc.) e si ottiene come un taglio tra l’ultima vertebra dorsale e la 1° lombare e tra l’ultima
6) le costolette che hanno come base ossea tutte le vertebre dorsali e 1/3 delle costole con tutti i
7) il petto è delimitato dalle costolette con un taglio che va dallo sterno all’estremità della costola
Oltre a questi tagli in alcuni casi si comprende quello di sella situato tra coscia e lombata.
I tagli, una volta pesati vengono scomposti in magro, grasso e osso, i cui pesi una volta registrati,
vengono usati per la valutazione della carcassa. Infatti, sommando i tessuti o meglio la carne il
grasso separato, e l’osso di tutti i tagli si ottiene quello dell’intera mezzena che darà l’esatta
Magro totale (MT) = Magro di spalla (MS) + Magro di collo (MC) + Magro di coscia (MC) +
Grasso totale (GT) = Grasso di spalla (GS) + Grasso di collo (GC) + Grasso di coscia (GC) +
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Grasso totale % o adiposità = Grasso totale (GT) / peso mezzena x 100
D) Equine
Come per tutte le altre specie, anche per gli equidi (cavalli, asini, muli ecc.) alla macellazione si
rileva il peso vivo a digiuno da 24 ore per singolo soggetto e, come procedura di macellazione si
adopera quella prevista dalle norme di polizia veterinaria, ovvero mediante l’uso di pistola a
capsula cava e successivo dissanguamento per taglio delle giugulari; indi si procede allo
ocipito-atlantoidea, a quello degli zoccoli, degli stinchi e della coda. La carcassa così ottenuta, viene
pesata (a caldo) e suddivisa in due mezzene le quali vengono poste in cella frigo a 4° C per 24 ore e
solidi pascolo, razioni alimentari materne ecc.) avviati al macello tra settembre – novembre.
c) Equini adulti e/o di fine carriera questa categoria comprende tutti i soggetti adulti (cavalli,
asini, muli ecc.) che per motivi aziendali vengono avviati al macello.
Ovviamente anche sugli equidi in vita, prima della macellazione e per gli stessi motivi riportati per
le altre specie e/o categorie animali si procede alla rilevazione delle misure somatiche, così come
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Data la sensibilità di questi animali particolarmente stressabili è consigliabile bendarli all’entrata
Come riportato in precedenza entro 1 ora dalla macellazione la carcassa (ancora calda) viene divisa
in 2 mezzene con un taglio longitudinale lungo la colonna vertebrale, che vanno immediatamente
pesate (la loro somma rappresenta quella della carcassa) per il calcolo della resa % a caldo. A
seconda delle categorie, le mezzene così ottenute passano nel locale di prerefrigerazione ove
sostano per 2 ore (puledri) e per 4 – 6 ore (adulti). Prima di scomporre in tagli le mezzene è utile un
Ai fini della valutazione della carcassa i rilievi metrici proseguiranno sulla mezzena (in genere la
dx) con le stesse modalità riportate per le altre specie e riguardano: 1) la lunghezza della carcassa 2)
conformazione è utile effettuarla sulla mezzena fredda (refrigerata) per la maggiore opacità del
grasso, utilizzando le procedure suggerite da Roy e Dumont e collocandole nella classe della griglia
Per quanto concerne la scomposizione in tagli della mezzena, il procedimento è quasi simile a
quello descritto per i bovini. Infatti dopo aver rilevato il peso della mezzena refrigerata, da questa si
allontana il rene, il grasso perirenale, quello pelvico, quello sternale ed il diaframma, i quali vanno
pesati e registrati. La mezzena così “tolettata” viene divisa in due quarti; anteriore e posteriore,
operando un taglio trasversale a livello del margine caudale della 6° vertebra toracica seguendo poi
a) Il quarto anteriore si scompone nel taglio di: 1) Spalla 2) Avambraccio 3) Collo 4) Bistecche
1-6 (sottospalla) 5) punta di petto; tutti i tagli descritti e quelli che descriveremo hanno le stesse basi
ossee e anatomiche descritte per la scomposizione delle carcasse degli altri animali.
b) Il quarto posteriore viene ripartito nei tagli di: 1) Pancia e puntine che comprende la zona
latero ventrale dell’addome ed i 2/3 distali che va dalla 7° alla 18° costola (ultime 12 costole e
muscoli compresi); 2) lombata (7°-18° vertebra ed 1/3 delle costole relative); 3) filetto
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comprendente i muscoli iliopsoas e psoas minor; 4) coscia (ossa e muscoli annessi); 5) Gamba
Comunque per meglio comprendere i “tagli” commerciali ed individuarli è estremamente utile fare
Punta:
Bollito - Arrosto
Ripiena.
Spalla:
Brasato - Scaloppine
Bollito.
Reale:
Arrosto - Spezzatino Goulasch - Bollito.
Controfiletto:
Bistecche - Carpaccio
Costate con osso All'inglese.
Filetto:
Ai ferri
Crudo olio e limone
Bourguignonne.
Diaframma o Pantina:
Fettine - Carè - Costate.
Scamone:
Ai ferri - Fettine
All'inglese.
Fesa:
Fettine - Scaloppine
Arrosto.
Noce:
Fettine - Scaloppine
Arrosto.
Sottofesa:
Cotolette - Brasato
1) Collo 11) Pancia o Costine Bollito.
2) Scannatura 12) Diaframma o Pantina Magatello:
3) Punta 13) Scamone Tonnato - Cotolette
4) Fusello di spalla 14) Fesa francese Costine:
Al forno - Alla griglia
5) Spalla o Spallotto 15) Noce
Bollito - Spezzatino
6) Brione 16) Sottofesa o Fesa di mezzo Al ragù.
7) Geretto di anteriore 17) Magatello Pesce:
8) Reale 18) Geretto posteriore Arrosto - Bollito
Brasato.
9) Controfiletto 19) Pesce
10) Filetto
In generale, per la valutazione delle conformazioni della carcassa di tutte le specie normalmente
viene adoperata una “griglia” composta da 5 classi, che vanno dalla peggiore (classe P) alla
migliore possibile (E) ovvero quella con il massimo sviluppo delle masse muscolari ottenibili. La
Classe E: conformazione “eccellente”, in questa classe vengono raggruppate quelle carcasse in cui
la gamba è molto arrotondata per l’ottima massa dei muscoli flessori ed estensori., le stesse
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presentano una coscia massiccia, spessa e dalla forma tondeggiante. Il profilo posteriore di queste
carcasse presenta la massima convessità. La loro groppa presenta muscoli ipertrofici, mentre sul
lombo e sul dorso emergono muscoli larghi, spessi e arrotondati. Le carcasse di questa classe inoltre
presentano spalle voluminose. Sono carcasse fornite da soggetti specializzati nella produzione della
carne come i vitelloni di razza piemontese e/o puledroni (18 - 24 mesi) di razza da tiro pesante ed
Classe U: conformazione molto buona a questa classe appartengono quelle carcasse con una
carnosità ben evidente, meno accentuati di quelli della precedente classe tipo quella della “doppia
groppa” e del “doppio dorso”. In queste carcasse le coscie presentano un profilo posteriore
convesso, con muscoli della zona latero mediano sviluppati, pieni e spessi. I glutei della groppa
sono sviluppati e sporgenti (doppia groppa) così come quelli dorso lombari (doppio dorso). La
spalla di queste carcasse è ben arrotondata, carnosa con estensori e flessori del braccio alquanto
Classe R : conformazione buona in questa classe vengono collocate quelle carcasse e/o mezzene
con una carnosità apprezzabile ma non eccessiva e/o notevole. Queste carcasse presentano una
gamba con estensori arrotondati che formano una chiara curvatura. Inoltre sulle facce latero –
mediane della coscia emergono muscoli ben formati che descrivono una leggera curvatura. Il profilo
posteriore della coscia è rettilineo ed i glutei seguono di poco la spina dorsale. I muscoli lombo
sacrali sono sviluppati al punto tale da mascherare i processi spinali della relativa colonna
vertebrale. Infine la spalla di questa classe di carcasse è carnosa con marcati arrotondamenti. Come
nel caso di soggetti dolico-mesomorfi, mesomorfi e/o di vitelloni di razze lattifere e/o F1 ben
preparati e ingrassati (vitelloni bruni, F1 (tori da carne x Bruna Alpina, tori da carne x Frisona,
Classe O: conformazione mediocre. Le carcasse e/o mezzene di questa classe, oltre a presentare una
gamba con estensori che disegnano una leggera curvatura, osservabile anche ai lati della coscia,
mostrano muscoli poco spessi che sembrano poco attaccati alle ossa. Inoltre il profilo della coscia è
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quasi rettilineo e subconcavo, e la zona interna mostra muscoli poco prominenti e/o piatti. Queste
carcasse presentano poi sia glutei poco sviluppati e pari al processo spinale dell’area del sacrale, sia
masse muscolari lombari poco sviluppate, ed arrotondati che riempiono appena la doccia dei
processi spino – costali della regione lombare, senza fornire alcun rilievo alla forma dell’area
lombare anche se appare alquanto armoniosa e rotonda. Il taglio di spalla di queste mezzene a causa
della poca carnosità sembrano un po’distaccate dalle costole, e la “spina” scapolare non si vede ma
si sente al tatto. In altre parole queste carcasse sono solo “accettabili” o “standard”.
Classe P: conformazione scadente. Di questa classe fanno parte quelle carcasse, abbastanza rare in
verità, sgambate, (gamba lunga), con muscoli senza spessore ed aderenti alla base ossea. Presentano
cosce scarne e piatte ad entrambi i lati e con profilo posteriore concavo. Le stesse presentano una
groppa con muscoli appiattiti e la spina sacrale alla punta è evidente. Inoltre presentano spalle
appiattite con masse muscolari separate dalla spina scapolare. In realtà queste carcasse sono fornite
da soggetti mal allevati, appartenenti a genotipi non specializzati alla produzione della carne e/o ad
(sviluppo) dell’adipe di copertura (sottocutaneo) e di quello depositato sulla parte dorsale dello
sterno (grasso sternale). In base all’entità dello sviluppo di questi due depositi adiposi, le carcasse
Nella classe 1 sono raggruppate tutte le carcasse molto magre, in cui i muscoli superficiali sono
molto evidenti, inoltre i loro confini (o delimitazioni) non presentano alcuno strato adiposo, ovvero
sono privi di grasso di infiltrazione perimuscolare. Per questo le carcasse sono di colore rosso
Inoltre, la base della coda, del lombo, della regione ascellare dello sterno e della grassella sono
prive di grasso. Queste carcasse provengono generalmente dalla macellazione di animali di fine
carriera e/o mal nutriti. Quando poi lo stato di dimagramento degli animali è molto evidente e le
loro carcasse sono evidentemente ossute, e cachessiche, queste, vengono addirittura sequestrate e
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avviate all’inceneritore. Le carcasse della classe 1 (molto magre) e di conformazione (scadente) una
volta (inizio novecento, fino agli anni 50-60? erano timbrate come “Animali di Bassa Macelleria”
ed erano destinate alla vendita ad un prezzo pari a circa 1/3 delle altre e generalmente destinate
all’alimentazione della povera gente. Oggi però la “bassa macelleria” è scomparsa anche se esiste la
macellazione di urgenza, le carcasse ottenute sono destinate quasi sempre all’industria per preparati
particolari.
La classe 2 a cui appartengono le carcasse magre per altro alquanto frequente, fanno parte quelle in
cui la superficie esterna è ricoperta solo parzialmente di grasso il quale non si presenta spesso in
nessuna regione. In questa tipologia, il grasso ricopre leggermente la parte superiore delle coscie e
della groppa, con un leggero ispessimento alla base della coda. Il velo di grasso si estende lungo il
lombo ed il dorso, senza mai estendersi sui fianchi e sul costato, scarso risulta nella zona ascellare e
della grassella ma, ben evidente a livello sternale. Poco sviluppato risulta il grasso perirenale.
Alla classe 3 o delle carcasse sufficientemente e/o abbastanza grasse, appartengono quelle carcasse
ricoperte tutte di grasso ad eccezione delle estremità degli arti (gamba); ben evidenti invece
risultano i depositi adiposi della groppa, del dorso, che diventano più sottili lungo la zona dei
fianchi e delle coste, ma che risultano spessi a livello del garrese, delle ascelle e dello sterno ove
presenta uno spessore di 3 – 5 cm. Queste carcasse presentano un grasso perirenale alquanto
corposo in cui le pareti del bacino sono completamente ricoperte di adipe di deposito. Sono quelle
carcasse di discreta e/o buona commerciabilità richieste dal mercato nord-ovest Europa.
Alla classe 4 o delle carcasse grasse fanno parte quelle carcasse che hanno uno strato adiposo molto
evidente tale da definirlo invadente, poiché forma depositi alquanto spessi sulla groppa, dietro le
coscie ed in alto della gamba; mentre le regioni dorsale e lombare sono ricoperte da uno strato
adiposo abbastanza spesso che si estende sui fianchi e sul costato. La zona retroscapolare è molto
grassa e l’adipe arriva fino al ginocchio zootecnico (gomito anatomico). In queste carcasse oltre a
notare ammassi di grasso molto spessi e ravvicinati nel bacino con reni ben ricoperti di adipe, si
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Alla classe 5 o delle carcasse troppo grasse appartengono quelle carcasse (equine e/o bovine e/o
formare una specie di corazza nella zona della groppa, del lombo, sui fianchi e sul costato. Lo strato
di grasso con spessore di diversi cm a seconda della zona lo si trova su tutta la carcassa, in
particolare quello sternale è particolarmente sviluppato e varia dai 10 ai 15 cm. Inoltre il bacino è
particolarmente invaso di grasso che si propaga a livello renale e perirenale (sebo). Queste carcasse,
normalmente derivano dalla macellazione di animali che hanno superato abbondantemente la giusta
E) Avicole
Come per tutti gli animali da macello, prima dell’abbattimento va rilevato il peso vivo alla
macellazione che deve essere quello stallato e/o a digiuno da almeno 12 ore o al massimo 24 ore.
Anche per gli avicoli per l’abbattimento si seguono le norme di Polizia Veterinaria. Dopo la
macellazione e successivo dissanguamento gli animali vengono sottoposti a spennatura che avviene
a caldo mediante immersione per 1-3 minuti in acqua bollente o attraverso il passaggio in corrente
di vapor acqueo a 100 – 110 °C per 1-3 minuti e successivo passaggio in spazzole rotanti per
vengono avviate al confezionamento per la distribuzione al dettaglio. Quello che resta da questa
operazione rappresenta la carcassa avicola (polli, dei tacchini, anatre, oche, faraone ecc), la quale va
refrigerazione la carcassa viene ripesata (peso a freddo), per il calcolo delle rese di macellazione (a
caldo e a freddo) e delle perdite di refrigerazione che si eseguono allo stesso modo visto per gli altri
animali.
La carcassa avicola, al contrario delle altre subisce una scomposizione in tagli relativamente più
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b) la zona posteriore composta dal groppone, cosce e sovracosce;
c) le ali, comprendente la zona dorsale e latero costale le cui costole vengono separate a livello dello
6) Petto con osso: corrisponde ai muscoli pettorali che hanno per base
il coracoide, la clavicola, lo sterno e l'appendice sternale, ha un peso
medio singolo complessivo non inferiore a gr. 300 e non superiore a gr.
500.
La valutazione di conformazione e/o di qualità (adiposità) di questa carcassa si esegue valutando sia
l’incidenza % di muscoli pettorali, dei cosci (fuselli) e sopracosci che quella del grasso addominale.
Per una più precisa valutazione, si considera anche la % di pelle e delle ossa dei singoli tagli.
a) broiler
b) rosters
c) capponi
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2.3.Valutazione delle qualità chimico – fisico e nutrizionali delle carni
“l’insieme delle proprietà capaci di soddisfare le esigenze espresse e non esplicitate dal
consumatore” ovviamente questa definizione di tipo generale si adatta con una certa difficoltà ai
prodotti biologici come la carne, il latte ecc. ove a parametri oggettivi facilmente quantificabili
precedentemente riportato, si ricorda che la qualità dipende da un insieme di parametri che sono
influenzati da fattori endogeni come il genotipo (specie e/o razza), il sesso, l’età degli animali ivi
compreso lo stato fisiologico (interi, castrati, gravide ecc.) ed esogeni all’animale come
l’alimentazione (quantità e qualità) ivi compreso i promotori di crescita, il sistema e/o le tecniche di
gastronomica. Tra i parametri fisici vanno annoverati la durezza, la coesione, lo sforzo al taglio, il
rilevabili per via ponderale a seguito cottura a tempi definiti ed a temperatura prefissata e costante,
a) Il pH (= - log [H+]) della carne e le sue variazioni post mortem assumono un particolare
significato nel determinismo della qualità. Questo parametro è dovuto alla presenza
dell’acido lattico derivante dal catabolismo intermedio del glucosio sia circolante (glicemia),
sia proveniente dall’idrolisi del glicogeno correlato allo “stress ant-mortem” dell’animale
soprattutto nelle carni suine destinate alla trasformazione. Infatti un veloce ed eccessivo
abbassamento del pH “post-mortem” (tendente verso l’acidità < 5,5), indica una glicolisi
muscolare veloce, che porta ad un alta concentrazione di acido lattico, che incide sulla
denaturazione delle proteine del muscolo che appare decolorato (pallido) ed acquoso
(molle). Tale anomalia è ascrivibile alle elevate quantità di ormoni dello stress (adrenalina e
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noradrenalina) liberate dal surrene nel torrente sanguigno, in seguito a stimoli di fattori
stressanti. In altre parole si tratta di carni PSE (Porcine Stress Syndrom) aventi basi
genetiche certe e individuate in un locus (hal, alotano), gene responsabile (h) autosomico
recessivo a penetranza incompleta. Queste carni denominate (P.S.E.) oltre che pallide (pale)
e molli (soft) presentano uno scarso potere di ritenzione idrica (per questo dette anche carni
essudative), sono poco gradite al consumatore (poichè alla cottura perdono gran parte del
peso iniziale) e del tutto inadatte alla trasformazione poiché presentano un alto e rapido calo
di altri prodotti stagionati, in quanto, il prodotto, a causa della veloce e rapida perdita di
acqua presenta una superficie grinzosa e scura ed internamente quasi sempre si formano
cavità che facilmente danno origine a processi di irrancidimento della sostanza grassa.
Questa anomalia è presente con una certa frequenza in alcune razze suine (Petrain, Landrace
Belga ed alcuni genotipi autoctoni) le cui carni (carcasse) vengono scartate dalla filiera dei
prodotti tipici (D.O.P., D.O.C. ecc) come il prosciutto di Parma, il S. Daniele ecc. Altra
anomalia da ricordare per le carni suine e non solo riconducibili all’azione del pH quando
questo tende a stabilizzarsi intorno a 7 è la “D.F.D”. Le carni che presentano questo difetto
hanno un colore scuro (Dark), sono molto sode (Firm) e molto asciutte (Dry). Questo
fenomeno è ascrivibile a una bassa glicolisi post-mortem e quindi ad una limitata o quasi
nulla liberazione di acido lattico. La scarsità o l’assenza di produzione di questo acido può
essere dovuta all’esaurimento del glicogeno indi di glucosio circolante a livello dei muscoli
diverso tempo prima della macellazione, ascrivibili con ogni probabilità ad un eccessiva
durata della stallatura (digiuno ant-mortem), o ad altri fattori di stress e/o di affaticamento
(O. Connor et al; 1993). In parole più semplici, le cause di questa anomalia è da ricercarsi
nella gestione degli animali nel periodo precedente la macellazione. Per quanto concerne le
carni suine, in alcuni casi, pur non rientrando in quelli testè riportati, si osserva un pH basso
(carni a basso pH). Queste, subito dopo la macellazione (carcassa calda) presentano valori di
pH normali (pH a caldo) ma dopo la refrigerazione (12 o 24 ore a secondo dei casi)
65
registrano una diminuzione superire alla norma attestandosi su valori tendenti all’acidità
(pH<5,5). Queste carni, però, rispetto a quelle P.S.E. sono meno essudative ma altrettanto
pallide e comunque sono poco indicate per la trasformazione. Tale anomalia scoperta per la
prima volta in suini di razza “Hampshire”, da cui il nome sembra ascrivibile all’alto “potere
glicolitico” del muscolo al momento della macellazione che con ogni possibilità può esser
tende ad essere correlato anche con la freschezza della carne. Il rosso, con diverse tonalità, è
il colore della carne, dovuto alla presenza di fibre rosse e/o di emoglobina. Infatti quella
cruda quasi sempre di colore rosso più o meno tendente al chiaro anche brillante, è più
marcato in quella bovina che in quella suina. Inoltre, in generale la carne bovina cotta è
quasi sempre più scura di quella suina, così come quella proveniente dai soggetti più anziani
rispetto a quella dei giovani, ed è sempre più scura di quella ottenuta dai soggetti iperattivi
giudizio complessivo del colore, molto importante risulta quello del grasso che ovviamente
varia con il genotipo (specie e/o razza), con l’età e con l’alimentazione con variazioni di
intensità che vanno dal bianco al giallo. Il colore giallo nelle carni fresche in particolare, è
da ascrivere all’alto contenuto di acidi grassi polinsaturi e/o alla presenza di caroteni e/o di
pigmenti simili. Tale colore più intenso nelle carni di quei soggetti alimentati con diete
contenenti tali molecole e/o di quelle allevate al pascolo (bovini podolici, ovini ecc.) rispetto
Il colore blu con le sue diverse sfumature è indice di carni vecchie e/o stantie in cui ad opera
dei batteri sono iniziati i processi di decomposizione con sviluppo di cadaverine, putrescine
ed altri prodotti.
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Normalmente il colore delle carni crude viene valutato oggettivamente con il sistema Hunter
e definito da tre indici colorimetrici. Il primo “L” indice di lucentezza, il secondo “a” indice
Il colore, parametro facilmente quantizzabile può essere rilevato sia durante la macellazione
sia dopo frollatura usando colorimetri (Hunterlab ecc,) o sonde a fibre ottiche. La
di avere una prima indicazione sul tipo di carne e di indicarle come PSE o DFD. Lo stesso
Nel sistema Hunter tridimensionale, l’indice “L” (asse delle luminosità) varia da zero
(colore nero) e 100 (colore bianco), l’indice “a” (asse del rosso) misura l’intensità del colore
rosso quando è positivo (+”a”) e quello del verde quando è negativo (-“a”); mentre l’indice
“b” (asse del giallo), misura l’intensità di questo colore quando è positivo (+b) e quella del
(www.Hunterlab.com)
Quando gli indici “a” e “b” presentano entrambi un valore zero, indicano che il colore della
carne è grigio.
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Inoltre, quando più elevati sono i valori di “L” e “b” (positivi), tanto più la carne è chiara
ma di colore giallastro, ovvero carni “PSE tendenti”; mentre, quanto più bassi (in senso
negativo) sono i valori di “L”, e più alti quelli dell’”a” tanto più la carne è rosso scura
In realtà con quanto testè detto, il problema del giudizio sul colore della carne è stato
poiché questi parametri come già riportato dipendono da un insieme di fattori tra cui l’età
dell’animale. Infatti un indice “L” molto alto è normale nelle carni di animali giovani
normalmente più acquose e luminose, mentre quelle dei soggetti adulti meno acquose, più
grasse, o di fine carriera sono normali alti indici del rosso “a” e, a secondo del loro stato di
ingrassamento indici del giallo “b” alquanto variabili che portano ad un colore dal rosso
brillante (“a” e “L”), e verdastro (- “a”, “L”=> 0 “b”=>0) quest’ultimi due esempi indicano
carni stantie e/o avariate macellate da parecchio tempo e conservate in condizioni climatico
– ambientali (T e UR) ed igienico sanitarie inadeguate. In realtà, utilizzando bene gli indici
“a”/”b”
in sostanza non è diverso dal rapporto “a”/”b” anche se varia in modo inverso ad esso
(Monetti 1997)
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c) Capacità di ritenzione idrica (WHC o WBC Water Holding o Binding Capacity) questo
parametro indica la quantità di acqua legata alle strutture proteiche della carne e per questo
non disponibile ed è comunque parte integrante dell’acqua totale della carne, questa in realtà
comprende sia la frazione dell’acqua legata che quella libera ovvero quella porzione di
La capacità di ritenzione idrica detta anche e impropriamente “acqua legata” è valutabile sia
bibula” previamente essiccati e pesati. La differenza di peso dei filtri prima e dopo lo
schiacciamento rappresenta la quantità di acqua liberata dalla carne ed assorbita dalla carta,
ovvero
Peso carta imbevuta (g) – Peso carta secca (g) = Acqua liberata (g)
100 - % Acqua libera = % Acqua legata o Potere di ritenzione idrica della carne
Oppure dopo schiacciamento si procede alla pesata del campione di carne schiacciato e
0,300 – peso campione schiacciato = peso acqua liberata e nel calcolo si procede come
prima
Oppure come più semplicemente si fa nei laboratori prima si procede alla determinazione %
dell’acqua totale e poi da questa si sottrae quella libera ottenendo così quella legata.
Oppure dopo lo schiacciamento i fogli di carta bibula vengono liberati dal campione, su essi
si noterà un alone la cui superficie è proporzionale alla quantità di acqua rilasciata dalla
carne.
69
Comunque una carne con un basso potere di ritenzione idrica indica una tendenza alla
Altro metodo per rilevare questo parametro è quello dello sgocciolamento (drip loss) che
Per questa procedura si usa un pezzo di “ Longissimus dorsi” lungo 25 mm ottenuto con un
carotometro prima pressato e poi sospeso per 24 ore a 4 °C in un contenitore che impedisce
perdita per evaporazione, successivamente, una volta pesato il contenitore vuoto, si rivela il
peso sgocciolato, la differenza tra i due pesi rappresentano le perdite per sgocciolamento,
seguito cottura, la quale può essere fatta a secco (forno microonde ventilato) o in umido (in
campione di carne. Le perdite qualunque esse siano vanno sempre considerate come fattore
peggiorativo della qualità della carne, poiché comportano perdite non solo di succosità, di
Fra altri parametri di una certa importanza è opportuno ricordare l’opacità, che dipende dal
livello di denaturazione delle proteine fibrillari e può essere valutato sia a caldo che a freddo
secondaria importanza).
70
Inoltre oltre ai parametri chimico-fisico testè menzionati e rilevabili per via strumentale si ricordano
altri che conferiscono al prodotto caratteristiche rilevabili dai sensi del consumatore e direttamente
1) La tenerezza della carne cotta o cruda è correlata alla quantità di tessuto connettivo, delle
contengono più collagene totale rispetto a quelle degli animali tenuti all’aperto a ciclo
aperto, i legami covalenti formanti da queste molecole sono più labili nei giovani tenuti
all’aperto e creano quindi una “minore resistenza o attrito” rispetto a quelli presenti nelle
carni degli animali allevati a regime stallino che come ricordato necessitano di una migliore
ed ottimale “frollatura”. Per quanto riguarda poi l’incidenza del tasso delle proteine
miofibrillari contrattili sulla tenerezza della carne, si ricorda che esso dipende poco dall’età
dell’animale poiché questo aspetto dipende dal quadro enzimatico del muscolo e dello stato
normalmente sono più teneri di quelli contratti (Giorgetti e Poli, 1991). Essa è apprezzata
dal consumatore sulla base degli atti masticatori e della resistenza o sforzo che la carne
rappresentata dalla succulenza ascrivibile all’impressione dei primi atti masticatori (quattro),
dovuto al più o meno rapido rilascio dei fluidi della carne; e la seconda dovuta alla
stimolazione, alla salivazione causata dalla più o meno rapida liberazione dei liquidi interni
e intracellulari.
In realtà tenerezza e succosità sono parametri strettamente correlati tra loro, poiché, più la carne è
tenera tanto più i succhi vengono facilmente liberati durante la masticazione. Per questo è doveroso
ricordare che la succosità della carne viene influenzata significativamente dalle modalità e dai tempi
di cottura e varia in modo inverso con le perdite di cottura. Infatti, quasi sempre, le carni poco cotte
71
sono quelle più succose (gli arrosti al sangue sono più gustosi e succosi di quelli ben cotti) e se
quelle di partenza sono poco grasse, quelle cotte risultano dure, (tigliose) e stoppose.
e) L’odore e il sapore (flavour) o aroma della carne deriva quasi sempre dalla sua frazione
adiposa e, soprattutto in quella cotta ove non solo è difficile una descrizione, ma anche
separarle dalle altre caratteristiche, poiché altre proprietà del sapore, sono la risultanza di
sensazioni odorose che diventano sempre più marcate con l’avanzare dell’età e/o lo stato
molte volte, l’odore e il sapore dipendono dalla composizione chimica della razione
alimentare dell’animale e/o dai componenti alimentari che ne fanno parte. Per questo basti
pensare allo sgradevole sapore e/o odore di derivazione ittica allorché gli animali vengono
alimentati con diete contenenti farina di pesce. Inoltre, i sapori fatta eccezione dei gusti base
Il vero sapore della carne si sviluppa con la cottura ove per effetto della temperatura
vengono liberate diverse molecole aromatiche e, come l’odore esso resta determinato
dall’età dell’animale, dal tipo di alimentazione (più marcato nei monogastrici) dal genotipo
(specie), dal sesso (nel maschio è più accentuato), dallo stato fisiologico (intero-castrato, in
attività sessuale ecc.), nonché dal tempo e dalle condizioni di stoccaggio (igienicità delle
con una sola parola, ma in italiano viene detto “aroma” che per la carne viene definito come
l’insieme di odori e sapori (Gran 1978) di cui possono far parte anche la tessitura e il pH.
L’aroma (flavour) è ascrivibile in modo prevalente al grasso della carne (e in minima misura
al muscolo) poiché l’adipe più del tessuto muscolare riesce ad “intrappolare” e/o legare gli
aromi originali da altri composti chimici di derivazione metabolica per poi liberarli durante
dall’ossidazione dei lipidi e dagli effetti della reazione che avviene tra aminoacidi e
composti carbonilici (Elmore et al, 2000). Inoltre l’aroma generale e la sua intensità, è
dovuta alla presenza e/o assenza di singoli aromi che possono essere gradevoli come: carni
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ovine, fegato, pollame, lesso, brodo, carneo, fruttato, erbaceo, grasso, olio, burro; oppure
sgradevoli come: animale (odore di bestiame in stalla), rancido, pungente, ammuffito, pesce,
stantio; ma può anche comprendere anche sapori definiti come, metallico, acido,
cacciagione, bovino, maiale (bacon), amaro, urina (rognone), dolce, crudo, menta,
appiccicoso, strano, strofinaccio, barbecue; ed odori come di cavolo, mosto, granaio, gomma
1999). Tra gli aromi vanno annoverati quelli che caratterizzano le carni dei diversi genotipi
(specie) tra cui quello “Sheepmeat” degli ovini “beefmeat” o “cawmeat” dei bovini,
“Goatmeat” dei caprini e “wildmeat” dei selvatici. questi particolari aromi e/o sapori sono
quelli che incidono significativamente sui consumi che in realtà fanno parte integrante degli
usi e consuetudini alimentari delle popolazioni umane su cui incidono anche i credi religiosi
(l’islam vieta il consumo di carni suine). Il particolare l’aroma delle carni ovine ha origine
provenienti dalla fermentazione ruminale della clorofilla e della lignina (Young et al 1997;
Panella et al 1995). Esso sembra incrementare con l’età dell’animale ed è più marcato nei
odore acre-acido-urinario ecc;) che nelle femmine. Inoltre anche gli acidi grassi a catena
Tra i parametri di qualità, quelli chimici generali, speciali e/o particolari rivestono
nell’aspetto delle esigenze non espresse e/o esprimibili quindi metaboliche del consumatore.
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Tra i parametri generali, la composizione chimica % della carne è importante perché
fornisce una idea generale sul suo contenuto (H2O), Proteico % (N x 6,2 ), lipidico %,
minerale % ed indeterminati %.
1) Acqua (H2O) Il contenuto in H2O totale della carne, com’è noto varia in base a tutti quei
in quelli dei soggetti vecchi e/o di fine carriera). Inoltre varia con lo stato di ingrassamento
degli animali indi con lo stato di infiltrazione lipidica a livello muscolare ovvero con il
lipidico della carne (muscolo), e positivamente al livello proteico. L’acqua totale, come già
accennato, si ripartisce in una frazione libera o non legata ed una quota intimamente legata
alla frazione proteica che costituisce la % di acqua legata. Quest’ultima aliquota è correlata
positivamente alle perdite per sgocciolamento e/o a quelle di refrigerazione, ovvero tanto
più essa è elevata tanto più alte sono le perdite. Inoltre dal contenuto acquoso dipende quello
della sostanza secca (l’acqua totale si ricava per essiccamento in stufa ventilata a 75 °C di
2) Sostanza secca La sostanza secca di un prodotto ed anche della carne è rappresentata dalla
E’ un parametro generale correlato al contenuto energetico (espresso in Kcal) e dipende sia dal
Infatti, mentre il contenuto energetico (E.G., E.M. e/o E.N.), dipende direttamente dal contenuto
lipidico, da quello glucidico, da quello proteico del prodotto ed in modo inverso dal contenuto in
minerali ed in acqua.
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3) Proteine totali (N x 6,25) Il contenuto in proteine totali è sicuramente tra i parametri più
importanti per la valutazione generale della qualità di un prodotto alimentare e della carne in
particolare. per questo basti pensare alle funzioni biochimiche e fisiologiche delle proteine
alimentari ed in particolar modo dei suoi costituenti base come gli aminoacidi (primari e/o
essenziali e secondari) per intuire la loro importanza come “elementi plastici” ovvero
altre parole si può affermare che con le proteine e/o aminoacidi che la compongono funziona
la parte anabolica o costruttiva del metabolismo di un essere vivente. Non meno importante
è il ruolo esercitato dal catabolismo proteico dall’utilizzo per fini catabolici degli aminoacidi
derivanti dalla scissione delle proteine strutturali e/o di quelle della quota proteica
alimentare in eccesso la quale porta alla formazione di cataboliti come l’urea, l’acido urico
(primati), ippurico (equidi), urocanico (canidi) ecc, anidride carbonica (CO2), acqua ed
energia (Kcal). Quando le proteine vengono utilizzate (bruciate) dall’organismo per scopi
energetici (catabolismo) esse forniscono circa 4,1 cal per grammo. Per maggiori
Kjeldhal che prevede prima la digestione di un grammo di sostanza in acido solforico (98%)
in presenza di catalizzatore (al nickel e al selenio), che blocca l’N proteico come (NH4)2 SO4
poi lo spostamento dell’NH3 e successivo blocco in una quantità nota di H2 SO4 N/10 o 1N
seguiti poi dalla titolazione con NaOH N/10 o 1N della quota eccedente di H2 SO4 N/10 o
trasformazione 0,875, fornisce la % di proteina grezza del campione che nelle carni fresche
4) Grasso totale o frazione lipidica grezza Il contenuto lipidico della carne e/o di un alimento
qualunque, riveste particolare interesse sia per le sue funzioni termoregolatrici, energetiche
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alimentari, sia per la sua influenza sulla conservabilità del prodotto dovuto alla sua frazione
insatura, poco stabile all’azione degli agenti atmosferici (H2O H2 O2 ecc) che si ossida
mediante estrattori soxlet e/o Twisselman che prevedono l’estrazione continua del grasso
con Etere etilico su un campione di 10 g, per circa 2-3 ore, utilizzando un bagnomaria a
temperatura di 40-50 °C. Ovviamente l’estratto va raccolto in un pallone tarato, ed una volta
La differenza tra il pallone vuoto con quello contenete il residuo, fornisce la quantità di
grasso grezzo presente nei 10 grammi di campione che, rapportato a 100 da la percentuale di
lipidi che nelle carni fresche varia dall’1 % al 5-15% ovviamente in relazione al taglio, allo
Inoltre, si deve far presente che il grasso, fra tutti i fattori chimici generali è quello che più
In realtà, a causa dei cambiamenti socio economici verificatosi negli ultimi 50-60 anni, i
consumatori italiani non gradiscono carni molto grasse, anche se una modesta quantità di
come una maggiore tenerezza, succosità, aroma e palatabilità (Jeremiah 1998 Saňudo et al
e/o di copertura, limita la disidratazione della carne quando essa viene sottoposta a
congelamento e non solo. Dato il non gradimento del consumatore di alimenti e/o di carni ad
alto contenuto calorico esso, nonostante le carni/ carcasse prodotte in Italia siano con bassi
5) Ceneri o minerali totali Per le carni è un dato abbastanza stabile e poco influenzato dai
fattori di variabilità anzi ricordati se non in casi estremi di malnutrizione e/o nelle carni di
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generale questo dato sulla carne cruda si aggira tra l’1,0 % e il 2,0 %. Esso si determina per
10 -12 %). In realtà questo dato rappresenta l’insieme di tutti gli elementi minerali della
carne presenti come carbonati (Me CO3), fosfati ((Me)2 (PO4)3), solfati (Me SO4), cloruri
(Me Cl), ecc; ove, Me rappresenta il simbolo generico degli elementi minerali (K, Na, Zn,
Cu, Fe, Mg, P ecc.). Da queste ceneri si parte poi per la determinazione dei singoli elementi
impiegando metodi sia di tipo ponderale (Ca, Mg) sia in assorbimento atomico (Zn++, Fe++,
Cu++ ecc.), sia in emissione di fiamma (Na+ e K+) che procedure spettrofotometriche (P).
glucidi le vitamine ecc. e, si ottengono per differenza a 100 della sommatoria degli altri dati.
Infine, si ricorda che per il trasformatore, la qualità del prodotto primario di partenza riveste
particolare importanza, poiché condiziona la genuinità e la qualità del trasformato che poi
Sui concetti di qualità e genuinità abbiamo già dissertato, per cui è utile fare qualche riferimento
La politica agricola comunitaria (P.A.C.) da alcuni anni sviluppa azioni di sostegno dei prodotti
tipici, riconoscendo in essi degli elementi per la valorizzazione delle produzioni agricole
comunitarie. Parallelamente, il mercato sta mostrando un interesse sempre maggiore per questi
prodotti. Sarebbe, quindi, molto interessante puntare alla valorizzazione di produzione di razze e
anche la valorizzazione delle zone di origine, spesso a volte marginali,. Bisogna tener presente,
però, che il successo risiede anche nella razionale conduzione del processo, in modo da scongiurare
la comparsa di imitazioni che cercano di trarre vantaggio dal nome del prodotto originale, con la
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perdita di specifiche caratteristiche e vanificando, di conseguenza, la tipicità. Lo sviluppo e la
valorizzazione dei prodotti tipici tradizionali passa, quindi, attraverso la valutazione ed il recupero
delle loro caratteristiche, (nutrizionali e gastronomiche) con l’identificazione di quelle che possono
avere una particolare valenza per il sistema agricolo e per i consumatori. In particolare, si deve tener
conto sia della relazione tra il prodotto e il genotipo animale e le sue tradizioni; sia tra il legame del
determinato agro-ecosistema è alla base del concetto di tracciabilità. Secondo la definizione UNI
EN ISO 9000, per tracciabilità si intende “la capacità di risalire alla storia, all’utilizzazione o
all’ubicazione di ciò che si sta considerando”. E’ il processo che segue il prodotto nel percorso della
filiera e fa in modo che, ad ogni stadio attraverso cui esso passa, vengano lasciate opportune
informazioni (tracce). Per rintracciabilità, invece, si intende il processo inverso, che deve essere in
di individuare lo strumento tecnico più idoneo a identificare le “tracce”. I due processi, comunque,
sono strettamente interconnessi e basati su un sistema che in genere viene definito come
tracciabilità. Quest’ultima, a sua volta, comprende sia la tracciabilità interna sia quella di filiera. La
prima è riferita al processo interno a ciascuna azienda e si concretizza in una serie di procedure atte
a risalire alla provenienza dei materiali, al loro utilizzo ed alla destinazione dei prodotti. L’altra
deriva dall’insieme dei sistemi di tracciabilità interna uniti da efficienti flussi di comunicazione. E’
un processo che necessita, quindi, del coinvolgimento di tutte le figure che hanno contribuito alla
L’elevato valore commerciale dei prodotti tipici è in funzione del loro stretto legame con un sistema
tracciabilità genetica, ossia la possibilità di esaminare un campione di carne e/o prodotto zootecnico
e stabilire con certezza specie e la razza di appartenenza attraverso l’analisi del DNA. Nonostante
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siano notevoli i progressi in tal senso, non ha ancora una sicura attendibilità e, comunque, risulta
molto costosa. La tracciabilità alimentare, invece, può trovare concrete possibilità applicative. E’ da
ricordare che il valore commerciale ad oggi raggiunto di alcuni prodotti suini tipici è dovuto al loro
forte legame con il territorio e ad un processo produttivo alternativo a quello utilizzato nella
suinicoltura intensiva. La sicurezza di ciò è data, da una parte, dalla concreta possibilità di stabilire
il regime alimentare cui sono stati sottoposti gli animali in funzione della presenza e della quantità
di alcune molecole organiche (ad esempio alcuni acidi grassi) nelle loro carni, dall’altra,
Il concetto di qualità, a differenza del passato, assume maggiore importanza per il fatto che non
viene considerata solo la qualità del “prodotto”, ma anche quella di “processo”. Pervenire ad una
visione del genere presuppone una politica basata essenzialmente su tre azioni fondamentali:
strutture ed è in grado di seguire le procedure che possono portare a prodotti di alta qualità.
che regolino tutte le fasi della produzione, della trasformazione industriale e della
norme obbligatorie: definite dagli enti pubblici tramite leggi o decreti e prevedono un
norme volontarie: sempre più diffuse, applicate dai produttori che, insieme, le stabiliscono e
le sottoscrivono. In questo caso, vengono stabiliti degli autocontrolli da parte degli stessi,
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3. Creazione del marchio di qualità. Una volta creato, il marchio deve essere riconosciuto da
Dopo aver discusso della qualità, della tracciabilità e dei parametri chimici generali, è opportuno
fare qualche riferimento a quelli particolareggiati ed in particolare a quelli che rivestono particolare
Infatti, le moderne acquisizioni dell’attuale dietologia, per la salute umana attribuiscono una grande
importanza alla composizione in acidi grassi saturi ed insaturi del grasso della dieta e al loro
rapporto, alla valutazione dell’indice aterogenico e trombogenico. Infatti sia in generale che in
particolare la conoscenza della composizione acidica degli alimenti della dieta ci consente sia di
valutare la pericolosità dell’alimento in base alla presenza di acidi grassi saturi”pericolosi” come il
laurico (C12:0), il miristico (C14:0) e forse il palmitico (C16:0) accusati di favorire la formazione di
lipoproteine a bassa densità (LDL) e l’accumulo nei vasi sanguigni di pericolose placche
eritromatose che sono la causa principale di molte disfunzioni cardiovascolari; sia la presenza di
acidi grassi “protettivi” come i poliinsaturi della serie ω3 ed ω6 (n3 o n6 secondo la denominazione
C20:5ω3), decosapentenoico (DPA, o C22:5ω3) e il decosaenoico (C22: 6 ω3) che favoriscono non solo
la formazione di lipoproteine ad alta densità (HDL) che prevengono la formazione delle placche
ematica (Euser et al, 1996) ma anche di molecole ad attività antinfiammatorie. Questi ultimi acidi
grassi (poliinsaturi) sono particolarmente presenti nel grasso delle carni ittiche ed in particolare in
quelle del pesce azzurro, ma sono abbastanza limitati nell’adipe degli animali a sangue caldo
(bovini, ovicaprini e suini), ove sono presenti in quantità significative gli acidi grassi saturi. Però
per effetto delle tendenze alimentari del moderno consumatore, negli ultimi decenni sono aumentati
studi e ricerche finalizzate a conoscere e modificare con le tecnologie di allevamento e/o con
l’alimentazione, entro i limiti consentiti dal genotipo animale, la composizione acidica del grasso
delle carni, il cui risultato è stato l’ottenimento di carni con un grasso avente un maggiore e
favorevole rapporto tra la frazione satura ed insatura e/o poliinsatura. Al fine di una valutazione
80
oggettiva, sono stati adottati degli indici di qualità quali: l’indice di aterogenicità (IA), di
trombogenicità (IT) (Ulbrich e Southgate, 1991), ed il PCL (Plasma Cholesterol Lowering); il PCE
(Plasme Cholesterol Elevating) il PCL/PCE (Reiser e Schorland 1990) nonché il valore nutritivo
81
IA= (aSI+bSII+cSIII)/(dP+eM+fM’), dove:
SI, SII, SIII = C 12:0, C14:0, C16:0; P = (ω-3 + ω-6); M=C18:1cis9; M’=MUFA;
a,c,d,e,f,=1; b=4
Valore nutritivo = acido stearico (C18) + acido oleico (C18:1cis9) / acido palmitico (C16:0)
Secondo Ulbricht T.L.V. e Southgate D.A.T. 1991. Coronary heart disease: Seven dietary
factors-Lancet 338:985-992
Aterogenic Index = AI
: : :
AI =
Thronbogenic Index = TI
: : :
TI =
. : . .
utilizzando colonne capillari in vetro silicato di 60mt con fase stazionaria in ciano propile. Per
In realtà bisogna anche far presente che la composizione acidica del grasso delle carni, dipende in
primis dal genotipo animale il quale fissa i limiti entro il quale esso possa variare per effetto del/ei
sistema/i di allevamento, dell’età, del sesso e della alimentazione ed in particolare alla quantità e
qualità della frazione grassa, anche se questa è più marcata nei monogastrici e nei preruminanti e
meno nei ruminanti adulti, ove la flora ruminale provvede a saturare gran parte degli acidi grassi
82
insaturi provenienti dalla dieta, anche se una parte significativa di questi passa inalterata la barriera
ruminale e raggiunge il lume intestinale ove viene assorbita e veicolata poi dal sangue al tessuto
adiposo (Birckestaff et al. 1975; Avery e Baily, 1995; Saňudo et al; 2000). Ma per giustificare la
quantità di acidi grassi insaturi e poliinsaturi depositati nei diversi tessuti adiposi, bisogna ricordare
anche le azioni degli enzimi delta-9-deidrogenasi e di altri simili presenti nei villi intestinali che
deidrogenano gli acidi grassi saturi rendendoli insaturi e/o polininsaturi, che al pari di quelli
provenienti dalla dieta vengono convogliati nel torrente sanguigno e destinati al metabolismo
dell’organismo, per essere usati per scopi energetici (catabolismo) o essere depositati (sintesi) nelle
Altre determinazioni a carico del grasso possono riguardare la frazione fosfolipidica, quella
triglicerica ecc.
A carico della frazione proteica, interessanti sono le determinazioni della quota miofibrillare e
sarcoplasmatica e della loro composizione aminoacidica delle diverse quote proteiche dei muscoli e
dei liquidi circolanti (fisiologica) che portano a conoscenza dei livelli di aminoacidi essenziali e
non, che poi di fatto determiniamo il Valore Biologico della proteina della dieta espressa dalla
seguente formula:
metabolismo è rappresentato da quello dei muchi degli enzimi delle cellule di sfaldamento ecc. ed è
ed è quello che l'animale emette con le urine anche quando è a digiuno proteico.
83
Cap. 3 CONSISTENZA BESTIAME, CONSUMI E PRODUZIONI
Dopo aver dissertato sui parametri di qualità, di genuinità è utile riportare in modo sintetico, la
consistenza nazionale del bestiame, i consumi dei prodotti primari (carne, latte, uova) e trasformati
(insaccati, latticini ecc.) questo per avere un’idea sulle quantità nazionali di prodotto da avviare al
Quando si parla poi di sistemi produttivi, di tracciabilità, rintracciabilità, di genuinità e qualità dei
prodotti, è sempre utile avere un quadro completo tra la produzione e i consumi per meglio
inquadrare il problema. Nelle nazioni tecnologicamente avanzate il sistema agricolo a seguito dello
sviluppo tecnologico e della meccanizzazione agricola e delle procedure operative negli altri settori
(industriale, tecnologico, terziario ecc.) dal dopoguerra in poi ha ridotto sia il n° degli addetti, sia la
sua incidenza % sul PIL totale. A conferma di ciò basti pensare all’Italia in cui il PIL del comparto
agricolo (come materie prime), rispetto a quello nazionale si aggira intorno al 2,2 %, ma sale al 10%
circa quando si considera l’intera filiera (MIPAF 2009). Per meglio comprendere l’andamento
economico di questo comparto è utile ricordare che l’Italia è autosufficiente solo per circa il 73 %,
mentre il resto dei consumi viene importato dai paesi CEI e da quelli Extra Europei. Il basso tasso
del bestiame che negli ultimi decenni ha subito una profonda crisi, dovuta sia alle note vicende
sanitarie (BSE, afta epizoica, blu tongue, influenza aviaria ecc.) che hanno inciso negativamente sui
consumi e sull’economia delle imprese zootecniche, sia alla minore disponibilità della popolazione
imprenditoriale poco disposta a sacrifici sociali ed economici, in quanto l’attività zootecnica non
solo non sempre garantisce sicuri guadagni ma impone sicuramente dei sacrifici perché
l’allevamento del bestiame, al contrario di altre attività (agricola), impegna senza soluzione di
discontinuità tutti i giorni dell’anno, per cui i giovani sono sempre meno disponibili per questo
settore.
84
TABELLA CONSISTENZA NAZIONALE BESTIAME
Al fine di una migliore comprensione degli andamenti economici si riportano si riportano i consumi
caprina selvaggina
anno Kg
autoapprovvigionamento
discosta quello del settore avicolo e cunicolo al fine di limitare l’esborso di valuta pregiata per
quello dei loro effettivi (n° di capi) e/o razionalizzando gli stessi applicando loro sistemi e/o
tecniche intensive e/o ecocompatibili, tenendo però sempre al massimo grado possibile la salubrità,
85
3.1. FATTORI DI VARIABILITA’DEGLI ASPETTI QUANTI-QUALITATIVI DELLA
Come già accennato i diversi aspetti quanti qualitativi della produzione della carne sono determinati
tra i primi ricordiamo il genotipo animale come la specie di appartenenza (es. Bovini, ovini, caprini,
suini, conigli, pesci, avicoli ecc.) ed all’interno di questo la razza di appartenenza (es bovini frisoni,
bruni; ovini leccesi, gentile di Puglia, Suffolk, ecc; caprini Maltesi, Jonici, Cachemire, Mohair;
suini Landrace, Large White, neri del centro sud-Italia;ecc; equini T.P.R., Murgesi, Percheronne
Fra i secondi si riportano, il sistema di allevamento (brado, semibrado, semi-intensivo, intensivo e/o
stallino), l’alimentazione intesa sia come quantità atta a soddisfare le necessità nutrizionali-
produttive e sia come qualità dei singoli alimenti e principi nutritivi facenti parte della razione
presentazione del piatto e abbinamento con altre portate), anche in relazione agli usi, consuetudini
locali delle popolazioni e della stagione (periodo temporale come la primavera – estate – inverno –
autunno).
1) Il genotipo animale è un fattore di particolare importanza sia per gli aspetti quantitativi della
produzione sia per quelli qualitativi. Infatti dal lato quantitativo le produzioni fornite dalle
diverse razze della stessa specie sono diverse, così come quelle ottenibili dalle diverse specie.
E’ arcinoto che specie animali diverse all’interno della stessa categoria presentano pesi vivi
più leggero di un vitellone da carne ma sicuramente pesa di più di un suino (leggero di 6-9
mesi) ecc. Inoltre anche all’interno dello stesso genotipo (specie), esistono razze che alla stessa
età di macellazione presentano pesi vivi diversi (razze da carne e/o da latte) in relazione alla
86
loro precocità somatica. Per questo basti pensare ai vitelloni da carne come i Chianini,
Piemontesi, marchigiani, Charolaise, Limousine, Blue Belga ecc.che alla stessa età di
macellazione presentano pesi superiori a quelli frisoni, guersey, bruni ecc. I primi rispetto ai
secondi forniscono soprattutto carcasse meglio conformate e con superiore incidenza % di tagli
Quanto detto pone in evidenza che l’indirizzo produttivo (carne, latte, lavoro, lana, uova ecc.)
meglio definito come specializzazioni produttive delle razze animali, riveste un ruolo
fondamentale nel determinare la quantità e la qualità delle produzioni. Per questo sono state
create razze in cui prevale una sola produzione come quelle a prevalente attitudine alla
produzione del latte, della carne [bovini, ovi-caprini da lana (ovini), delle uova (avicoli)],
quelle a duplice attitudine (carne e latte, carne e lana, carne, lavoro ecc.) in cui due attitudini
produttive sono più o meno equivalenti, e quelle a triplice attitudine (carne, latte, lavoro; o
carne, latte e lana) ove le tre capacità produttive sono più o meno pari, generalmente presentate
da quelle razze o meglio raggruppamenti etnici o razze popolazioni autoctone e/o locali.
Le differenze tra i diversi genotipi, e/o tra i diversi raggruppamenti di razze (e/o popolazioni)
viene rimarcata dai diversi pesi vivi da loro ottenibili alla stessa età di macellazione e/o
alimentare (ICA) dalla loro diversa conformazione, composizione in tagli delle carcasse,
sull’incidenza del grasso del magro e dell’osso dei tagli che la compongono e dalla qualità
chimico nutrizionale delle carni e, come detto in precedenza dal diverso flavour delle carni.
2) Il sesso. Anche questo fattore partecipa significativamente nel determinare più gli aspetti
quantitativi che quelli qualitativi della produzione, poiché è noto che i maschi non producono
latte ma solo carne, lana (ed attività sessuale) o lavoro (buoi, cavalli da tiro, muli ecc. tutti
generalmente castrati, domati e addestrati). All’interno del sesso particolare importanza assume
lo stato fisiologico dell’animale. Infatti le femmine prepubere non producono latte, poiché la
lattazione si scatena a seguito di una gestazione che si conclude con il parto, e la quantità di
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latte prodotto varia (oltre che con il genotipo) anche con l’ordine di parto, la durata della
lattazione e l’alimentazione.
Infatti la quantità di latte prodotto aumenta dalla 1° alla 3° lattazione e diminuisce con il
progredire della stessa (curva di lattazione) che presenta il picco di massima produzione nei
primi due – tre mesi, per stabilizzarsi al quarto per poi decrescere fino ad azzerarsi uno-due o
tre mesi prima del parto successivo. Inoltre, si ricorda che i maschi presentano rispetto alle
femmine una maggiore velocità di accrescimento e che queste in genere maturano prima dei
maschi. Inoltre i maschi interi, rispetto ai castrati oltre a presentare i migliori incrementi
grasse, ma con carni dotate di sapori particolari come quello ircino (becchi ) e/o urino sessuale
(stalloni, verri ecc.). Mentre, i castrati, pur evidenziando minori accrescimenti, peggiori indici
di conversione, forniscono carcasse più grasse con carni più succulente, più succose, ma
soprattutto privi di odori ircini e/o sessuali di specie che le rendono più accette al consumatore.
3) L’età. Anche l’età dell’animale alla macellazione influenza i diversi aspetti quantitativi e
qualitativi. Infatti è noto che all’interno della stessa specie e/o razza, il peso vivo varia con l’età
di macellazione dell’animale, dal quale dipende poi il peso della carcassa, le rese di
macellazione, quelle dei tagli e dei muscoli (e/o di carne) ottenibili dalla loro dissezione in
magro, osso e grasso. Non solo, ma con l’avanzare dell’età decrescono gli incrementi
grasso perché con l’avvicinarsi del peso dei giovani a quello medio che caratterizza gli adulti
l’alimento viene convertito in depositi adiposi (lipogenesi) che presenta un rendimento limitato
tendente allo zero allorquando l’animale non è più in grado di accrescersi e/o di ingrassarsi.
L’età dell’animale incide anche su alcuni parametri fisici e/o chimici come la durezza, la
resistenza, le perdite di cottura. Infatti le carni degli animali giovani (lattanti) rispetto a quelle
degli adulti in generale oltre ad essere più tenere, meno resistenti, presentano anche maggiori
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acquose più proteiche e meno grasse, e comunque il tutto dipendente dallo stato di
ingrassamento .
L’età dell'animale, a parità di alimentazione ha effetti immediati sul peso vivo, e sul contenuto
idrico è lipidico. Questi due aspetti sono strettamente correlati con la succulenza della carne e con il
potere di ritenzione idrica. Con l’aumento dell’età, dopo il raggiungimento della maturità somatica,
si ha un lieve aumento delle rese alla macellazione, dovuto principalmente sia all’aumento delle
masse muscolari sia del tessuto adiposo. Anche il tessuto adiposo presenta un andamento crescente
con l’avanzare dell’età dell’animale. In particolare nel suino, si è notato che alla nascita presenta
depositi adiposi che non superano il 2% della sua massa corporea (Le Dividich et al., 1991). Con
perirenale, inter e intramuscolare, è dovuto all’iperplasia degli adipoticiti. Tra il primo e il secondo
mese di vita, detto aumento è determinato principalmente da iperplasia; tra il secondo e il quinto
mese gli adipociti, oltre a incrementare nel numero, vanno incontro a ipertrofia; oltre il quinto mese
di vita gli accumuli adiposi sono dovuti quasi esclusivamente a ipertrofia. Diversi autori (Hood e
Allen, 1977, Nurnberg e Wegner 1990 e Nurnberg et al., 1998) hanno osservato che l’aumentata
adiposità del grasso di copertura è causata dall’incremento del diametro degli adipociti in tutti e due
gli strati; tale incremento è massimo tra 100 e 180 giorni di età, per poi diminuire tra 180 e 220
giorni. Ma nulla toglie che il tessuto adiposo può essere influenzato anche dal tipo genetico, dal
management e dal livello alimentare (Hauser et al., 1997; Hood, 1982). In allevamento estensivo, la
maturità dei depositi adiposi risulta fortemente influenzata dalle condizioni climatiche e dalla
capacità di adattamento del genotipo animale alle variazioni ambientali (Nurnberg et al., 1998.
L’età dell’animale influisce anche sulla qualità dei grassi, e sul contenuto in colesterolo totale che
presenta una maggiore concentrazione nei soggetti giovani ed in quelli molto anziani. Anche il
tessuto muscolare subisce l’influenza dell’età; infatti, le fibre variano di diametro, a seconda dei
muscoli. Persino il collagene viene influenzato dall’età, che si riduce nei soggetti anziani ma che
diventa però più insolubile per la formazione dei legami crociati tra le catene peptidiche. Questo si
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traduce in una riduzione della tenerezza della carne con l’auvanzaree dell’età. Infine anche la
conformazione del corpo dell’animale si modifica, osservando uno sviluppo maggiore del quarto
Tra i fattori estrinseci all’animale capaci di incidere significativamente sulla quantità e qualità delle
4) Il sistema di allevamento, inteso come un insieme di tecniche applicate atte a favorire gli aspetti
ciclo produttivo. Tra i sistemi in uso si citano quelli comunemente più usati anche con sfumature
a) Intensivo e/o stallino, è un sistema con cui si allevano un numero di animali di gran lunga
superiore alla capacità portante del territorio ovvero un carico bestiame (n° di capi per ettaro
di territorio) maggiore a quello consentito, maggiore sarà il carico bestiame per ettaro di
territorio, tanto più intensivo sarà il sistema e tanto maggiore sarà la quota di
(stalle, ovili, porcilai, pollai ecc.) in cui la stabulazione può essere fissa o libera (posta fissa
o libera). Nella stabulazione a posta fissa l’animale, (generalmente bovini), viene tenuto
sempre nello stesso posto (luogo) della stalla detta “posta” a mezzo di strumenti di
elevato e tale da prevedere l’uso di microcips impiantati nel sottocute del singolo animale, e
giornalmente in base al peso vivo del soggetto, alla quantità di latte prodotto o di
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accrescimento medio giornaliero, la quantità di concentrato, perché la quota base di foraggi
viene distribuita alla mangiatoia e/o corsia di alimentazione con appositi carri. In altri casi
(intensivo) si pratica l’unifeed (piatto unico), che non è altro che un miscuglio
opportunamente dosato di fieni, foraggi, insilati (di mais o di sorgo o di orzo) e di mangimi
controllo sia sanitario dell’animale sia quali-quantitativo delle produzioni, sia riproduttivo
degli estri (SE), quelle di inseminazione strumentale (I.S. o F.A.) indi la programmazione
dei parti. Inoltre l’applicazione di queste tecniche ci consente di conoscere con esattezza la
genealogia dei nascituri che di fatto poi incidono sul processo selettivo, che è tanto più
spinto quanto minore è il numero di riproduttori usati, ma per questa disamina si rimanda
all’apposito paragrafo. La sincronizzazione degli estri e quindi dei parti ci consente di fatti
di programmare le produzioni (carne e/o latte) per poterli avere disponibili nei periodi di
mercato più favorevoli (come per esempio disporre di un maggior numero di “agnelli da
latte” durante le “festività natalizie e/o pasquali e/o nel periodo di maggior flusso turistico
ecc.). Inoltre l’allevamento intensivo o a regime stallino, può essere praticato anche a “posta
libera” ovvero l’animale all’interno del ricovero, in genere capannoni (stalle, ovili, porcilaie,
ecc.) non è più contenuto ma è libero di muoversi e può in alcuni casi disporre di recinti
(paddox) esterni. Con l’allevamento intensivo a regime stallino, l’animale viene protetto
dalle avversità climatiche (pioggia, freddo, neve ecc.), viene sganciato completamente
climatico ambientali, consentendoci così una costante e lineare produttività aziendale. Con il
altamente qualificata, anche se di numero limitato comporta però un lavoro che si esplica quasi del
tutto al coperto (capannoni, stalle, magazzini, uffici ecc.). Nell’allevamento intensivo sono previsti
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a seconda dell’indirizzo produttivo e della specie animale allevata oltre alla zona di stabulazione,
una sala parto (porcilaie), concimaie, o digestori per la produzione di biogas ecc. L’allevamento
intensivo è indicato per quelle razze altamente specializzate per la produzione del latte (bovine da
b) Semibrado o semi-intensivo è un sistema in cui gli animali generalmente sono in parte tenuti
all’aperto quando utilizzano i pascoli di giorno ed in parte al chiuso quando la sera rientrano
nei ricoveri aziendali (stalle, ovili, porcilaie ecc.) in cui possono ricevere un’integrazione
alimentare. Su questo sistema possono essere applicate le tecniche per il controllo della
superficie e dalla produttività foraggera del territorio. Ovviamente quanto più si supera il
carico bestiame per ettaro, tanto maggiore dovrà essere la quota di integrazione alimentare
giornaliera che l’animale riceverà generalmente la sera al rientro o al mattino prima di uscire
dai ricoveri o al momento della mungitura se questa è di tipo meccanica. Al contrario del
Infatti, possono essere sufficienti vecchi locali di allevamento come stalle, ovili, porcilaie ecc., più
o meno ristrutturati, ove possono essere installati in appositi vani anche mungitrici meccaniche, sale
parto, o ricavare al loro interno aree alimentari di integrazione in corsia doppia o singola.
economiche del titolare dell’azienda. Tale sistema particolarmente adatto per quelle realtà aziendali
che dispongono di vaste aree destinate al pascolo ove altre attività colturali troverebbero difficile
applicazione per la natura del terreno. Con l’allevamento semibrado gli animali godono sia di tutti i
benefici fisici e fisiologici che comporta l’utilizzo dei pascoli (ginnastica funzionale dovuta al
movimento, ingestione di erbe verdi ricche di flavonoidi, di nutrienti ecc.) sia dell’integrazione
alimentare (quando richiesta), sia dei ricoveri dalle intemperie climatiche. Tale sistema, per il
semplice fatto che gli animali rientrano sempre nei ricoveri, consente sempre e comunque un buon
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grado di controllo sia sanitario e sia nutrizionale-produttivo, e può essere adattato anche per quei
c) L’allevamento brado. Con questo sistema gli animali vengono tenuti quasi sempre liberi sia
nei pascoli che nei boschi ed è adatto per quei genotipi animali autoctoni dotati di alta
rusticità, frugalità, resistenza alle patologie del luogo (basti pensare alla piroplasmosi degli
ovini trasmessa dalle zecche ecc.) ed alle intemperie climatico-ambientali della zona. Tra i
genotipi animali adatti a questo sistema si menzionano i bovini podolici, gli ovini
Altamurani (in via di estinzione) i Leccesi, i Gentile di Puglia, i “Suini neri” del centro sud-
Italia come la cinta senese, il nero di Nebrodi, di Sicilia, di Calabria, di Lucania ecc.
maschi nei periodi naturali di riproduzione che ovviamente dipendono dalla specie. L’unico
controllo che generalmente viene effettuato è quello del n° di maschi da riproduzione per
100 femmine pubere (in grado di riprodursi) e del periodo nel quale questi vengono immessi
nelle greggi o nelle mandrie. In genere il n° di maschi per 100 fattrici dipende dal genotipo
(es 4-5 montoni ogni 100 pecore, 3-4 becchi per 100 capre; 3 tori per 100 vacche ecc.).
Le strutture richieste sono sempre di scarso valore poiché sono sufficienti opportune recinzioni con
filo spinato o recinti mobili fatti con cavo elettrico in cui passa una corrente a basso voltaggio
(bovini) o da rete metallica di 1,5 - 2 m di altezza a maglia sciolta medio-larga (5x5 cm o 5x10 cm)
per ovicaprini, oppure al limite vecchi locali in cui richiuderli la sera. Come si può osservare si
tratta di un sistema anche a limitato investimento di capitali iniziali, in cui l’azione dell’uomo si
risolve nella sorveglianza del bestiame, nel prelievo della quota eccedente il carico bestiame per
ettaro (che poi sarebbe la produzione) ove, anche l’eventuale integrazione alimentare si effettua solo
calcolato in relazione alla produttività dei pascoli soprattutto nel sistema stanziale. In genere
l’allevamento brado viene praticato nelle aree interne montane e/o sub montane quasi
esclusivamente per la produzione della carne (linea madre – figlio e/o vacca vitello, giumenta-
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puledro, pecora-agnello ecc.) e poco per la produzione del latte bovino, ma viene praticato ancora in
per meglio evidenziare l’incidenza del sistema di allevamento sulla qualità-quantità di carne, basti
ricordare che a parità di genotipo come i vitelloni podolici allevati a completo regime stallino,
rispetto a quelli tenuti in recinti a cielo aperto ed a quelli allevati allo stato brado di pari età, sono
più pesanti, con migliori rese di macellazione e presentano carcasse con una superiore incidenza di
tagli di 1° qualità che risultano più grasse e con una minore % di ossa (Marsico et al., 2008). Inoltre
la loro carne risulta meno rossa più tenera, con maggiori perdite di cottura, con superiori livelli di
acqua e lipidi ma con minore % di proteine, di acidi grassi poliinsaturi della serie ω3 e ω6. Il sistema
di allevamento agisce anche sugli aspetti quanti-qualitativi della produzione di carne dei
monogastrici e per questo basti pensare che la carne dei suini allevati in porcilaia risulta più rossa e
con un pH leggermente più acido rispetto a quella dei soggetti allevati in recinti a cielo aperto. (Di
Bisogna considerare che qualunque sia il genotipo animale considerato l’allevamento all’aperto e/o
allo stato brado, per effetto della libertà di movimento di cui l’animale gode, esso consuma per
scopi energetici (brucia calorie) parte dell’energia alimentare che poi difatti si traduce in una
peggiore conversione alimentare, minori incrementi giornalieri e pesi vivi finali. Inoltre le carcasse
ottenute dalla macellazione degli animali “bradi” sono generalmente meno grasse e più carnose.
Anche sulla produzione quanti-qualitativa del latte, incide in modo significativo il sistema di
allevamento . Infatti il latte prodotto da bovine podoliche allevate con il sistema estensivo e/o
brado, rispetto a quelle in allevamento confinato nei periodi di abbondanza alimentare ovvero
quando utilizzano i pascoli primaverili – estivi, risulta più abbondante e più grasso (Marsico et al.,
1993. Ditrana et al., 1993) e non solo, ma lo stesso è anche più ricco di licopeni derivanti ad una
dieta vegetale composta da una variegata flora erbacea spontanea del momento.
In generale questo sistema di allevamento può essere sia di stanziale sia transumante.
Lo stanziale, si pratica in una sola zona, mentre quello transumante si pratica in più aree.
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spostamento da una zona a un’altra, distanti tra loro, delle mandrie, dei greggi, delle morre. Tale
1. verticale quando le mandrie e/o le greggi si spostano dalla pianura alla montagna (in genere
2. orizzontale , quando lo spostamento non prevede grandi dislivelli altimetrici (es. dalla
murgia sud orientale a quella nord occidentale o arrivano alla fascia vegetazionale).
In generale nella transumanza di tipo verticale (pianura-montagna) famosa era la transumanza che
si effettuava dalle pianure pugliesi ai monti abruzzesi, che nel regno delle due Sicilie (Borbonico)
aveva portato alla creazione della “mena delle pecore o “dogana” di Foggia. In questi spostamenti le
Oggigiorno quei pochi allevatori che praticano la transumanza, spostano gli animali con autocarri,
autotreni ecc., mentre nei tempi passati lo spostamento avveniva a piedi e durava a secondo della
distanza anche 1 mese. In questo particolare tipo di allevamento, gli animali vengono trasferiti in
montagna o alta collina in piena primavera (dal 15 maggio al 15 giugno) per poi tornare in pianura
alla fine dell’estate inizio autunno (a seconda delle zone e dell’andamento climatico). Se non fosse
per i disagi di tipo socio-economico degli addetti al settore che questo sistema provoca, la
transumanza dal punto di vista tecnico è alquanto utile in quanto il territorio e/o i pascoli per un
certo periodo di tempo “riposano” ed hanno il tempo necessario sia per il ricaccio delle nuove
essenze vegetali, sia per metabolizzare le deiezioni animali (feci – urine), sia per diminuire la carica
ectoparassiti come gli acari delle rogne, gli artropodi come le zecche portatori della piroplasmosi
(piscia sangue). Inoltre, oltre a trovarsi su pascoli rigogliosi e abbondanti, gli animali, trovandosi
per un certo periodo a quote superiori dal livello del mare e quindi immersi in un atmosfera più
rarefatta, per compensare la minore quantità di ossigeno trasportato dal sangue dovuto alla sua
minore concentrazione nell’aria, aumentano il n° dei globuli rossi nel sangue. Tutto ciò, consente
all’animale, quando torna in pianura, un migliore metabolismo che nelle femmine partorite si
estrinseca sia con una maggiore produzione di latte sia con nascite di redi più forti, e più robusti.
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Mentre su quelle di monta autunnale migliora significativamente i parametri riproduttivi (fertilità e
fecondità). Nella transumanza orizzontale gli animali pur godendo dei positivi effetti dei nuovi e
riposati pascoli, godono meno dei cosiddetti effetti altimetrici. Oggigiorno la transumanza a piedi o
tradizionale viene fatta ancora da pochi allevatori lucani, calabresi e pugliesi, ed in molti “comuni”
si festeggia con “sagre” queste tradizioni. L’allevamento nomade o senza terra è quasi del tutto
scomparso. Era praticato da piccoli e medi allevatori che non disponevano di proprietà terriera, per
cui erano costretti a continui spostamenti per far pascolare il proprio bestiame.
L’alimentazione. In merito a questo fattore è utile ricordare un antico detto zootecnico che così
recita: “la razza entra dalla bocca” in cui risalta la grande importanza che l’alimentazione dal lato
quantitativo e qualitativo, riveste nel determinare tutti gli aspetti produttivi. Questo però non deve
indurci a pensare che tutto possa dipendere da questo fattore poiché bisogna sempre tenere presente
i limiti che il genotipo animale impone non solo sugli aspetti quantitativi della produzione, ma
anche su quelli qualitativi della stessa. In altre parole l’alimentazione può definirsi come il
carburante che permette alla macchina animale (genotipo, specie e/o razza) di estrinsecare al
massimo le proprie funzioni produttive che porta scritto nel proprio DNA (in metafora macchina da
corsa), ma ciò, sarebbe impossibile senza un adeguato sistema di allevamento (ambienti e/o strada)
pretendere di correre un gran premio (produzione di latte e/o carne ecc.) con una ferrari (genotipo:
frisona, charolait, Bruna alpina ecc.) ponendo nel suo serbatoio del gasolio (alimentazione
grossolana), ed al posto del circuito di Monza (capannoni e stalle razionali) pretendere di correre su
una mulattiera e/o tratturo, ed al volante (gestione) al posto del pilota di F1 (allevatore qualificato)
un trattorista (allevatore poco preparato o un generico addetto di stalla). Ciò vuol dire che per ogni
genotipo animale (specie e/o razza) e per ciascun indirizzo produttivo (latte, carne, uova ecc.) è
necessaria una giusta ed equilibrata alimentazione capace di soddisfare tutte le esigenze nutrizionali
ambientali del proprio bestiame. In realtà gli effetti dell’alimentazione, sulla qualità della
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produzione sono diversi e in funzione della specie e nell’ambito della stessa dipende dai gruppi
produzione. Infatti una carenza più o meno significativa di qualunque principio nutritivo della dieta
in termini di SS, di aminoacidi, di proteine ecc. produce prima una diminuzione o calo e poi arresto
delle produzioni (accrescimenti, produzione del latte, contrazione dell’ovodeposizione ecc.). Inoltre,
è necessario far presente che, anche se esistono risposte comuni o generali da parte degli animali
agli stimoli provenienti dalle diverse tipologie alimentari; esse sono diverse tra monogastrici (suini,
avicoli ecc.) e ruminanti (bovini, ovicaprini ecc.). Infatti nei monogastrici al contrario dei
poligastrici, la qualità dei componenti della dieta hanno effetti più diretti sulle caratteristiche
composizionali e/o sensoriali del prodotto finale, poiché nei ruminanti l’azione dei componenti
della razione viene in parte “filtrata” e/o “attenuata” dall’attività della “flora” e della “fauna”
ruminale. Come anzi accennato resta da stigmatizzare però che l’alimentazione entro certi “limiti”
ha un’azione più diretta sulla quantità della produzione e in misura più contenuta anche se molto
significativa sulla qualità. Infatti essa ha una azione più diretta e significativa sulla adiposità della
carcassa, sulla % di grasso del latte e/o sulla consistenza del guscio delle uova (per effetto del
livello di Ca alimentare) e meno sui parametri sensoriali del prodotto se non in casi particolari e/o
estremi come l’odore di pesce stantio nelle carni di monogastrici alimentate con diete contenenti
quantità più o meno elevate di prodotti e/o di sottoprodotti ittici, o il sapore amarognolo del latte
indi dei formaggi quando le fattrici (vacche, pecore e/o capre) si alimentano di “fieno greco” o di
Comunque la letteratura sugli effetti alimentari sulla quantità e qualità delle produzioni è
In particolare, nei suini, l’alimentazione è uno dei fattori esogeni che più di tutti influenza la qualità
della carcassa e della carne. Gli studi effettuati sulla fisiologia e sulla biochimica dell’organismo
animale, insieme a quelli inerenti la nutrizione, hanno portato a tecniche alimentari con un giusto
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sviluppo fatto con alimenti più idonei alla dieta di un animale, come i cereali, oppure come
l’utilizzo di vitamine e di antibiotici capaci di incidere positivamente sulle rese o sullo stato
sanitario generale ecc.. Nel programmare l’alimentazione dei suini all’ingrasso, bisogna stabilire,
fin dall’inizio, il tipo di suino che si vuole produrre e regolarsi di conseguenza. Nell’ambito del
nostri mercati la grande maggioranza viene assorbita dai salumifici che li trasforma in prodotti
stagionati di notevole pregio commerciale: prosciutti crudi, coppe stagionate, salumi di qualità.
Per produrre un suino che possegga le caratteristiche richieste per le citate produzioni tipiche,
occorre che esso raggiunga il peso minimo di 140-160 kg. Infatti, a pesi più bassi le carni risultano
troppo acquose, non sufficientemente mature, mentre i cosci non riescono a raggiungere il peso
richiesto per essere trasformati in prosciutti. Ma l’industria non vuole solo carni mature, vuole
anche carni magre; infatti sia il lardo che la sugna trovano un limitato impiego e quindi sono mal
remunerati.
Per produrre quindi molta carne e poco grasso si può intervenire anche attraverso l’utilizzo di razze
o incroci adatti a tale scopo, oltre ovviamente ad una corretta alimentazione che è di fondamentale
importanza. Per stimolare la produzione dei muscoli, bisogna intervenire soprattutto nella prima
fase di sviluppo del suino con una dieta ad alto livello energetico e ricca di sostanze proteiche in cui
siano presenti tutti gli aminoacidi indispensabili nelle percentuali richieste; d’altra parte però nel
finissaggio per evitare un eccessivo accumulo di grasso, occorre limitare il livello energetico della
dieta. L’adozione di questi criteri permette di ottenere sia carcasse di qualità sia maggiori
incrementi nel periodo in cui l’indice di conversione è più favorevole con ovvi vantaggi economici.
Per valutare l'incidenza del tipo di allevamento dell'alimentazione sulle performance produttive dei
suini autoctoni sono stati effettuati diversi studi. Tra questi troviamo le ricerche sviluppate da Liotta
et al., (2004) sul suino Nero siciliano, che hanno seguito in due gruppi di animali omogenei per
numero, sesso, età (3-4 mesi) e peso vivo (39±2kg). Il primo gruppo è stato allevato all’aperto e
alimentato con prodotti del sottobosco, (come radici, tuberi, ghiande, frutti spontanei ecc.) ed a una
parziale integrazione alimentare; mentre l’altro (PA) sempre allevato all’aperto ma alimentato con
mangime commerciale. Gli animali sono stati macellati a 80 kg, sui quali sono stati registrati tutti i
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rilievi post mortem, e quelli di composizione in tagli delle carcasse e il loro contenuto in tagli grassi
e tagli ossei. I dati ottenuti hanno rilevato che gli animali del primo gruppo hanno raggiunto il peso
alla macellazione dopo 250 giorni l’altro dopo 160 giorni dall’inizio del ciclo. Gli autori hanno
osservato notevoli differenze sulla resa di macellazione, sullo spessore del lardo dorsale a favore dei
soggetti del primo gruppo. Non hanno rilevato invece differenze significative per quanto riguarda
Chiofalo et al., (2005) per conoscere l’effetto della somministrazione di vitamina E sulle
caratteristiche qualitative della carne del suino Nero siciliano hanno usato due gruppi di suini
omogenei per peso vivo ed età, chiamati rispettivamente “CTR” e “Vit. E”. Gli animali sono stati
nutriti con frutti spontanei, del sottobosco con integrazione di concentrato (3% del peso vivo). Ogni
15 giorni, i maiali del gruppo Vit.E sono stati trattati con una somministrazione per via
intramuscolare di l-α acetato di tocoferile (200U.l/head). Dopo la macellazione fatta all’età di 250
giorni, sono state determinate le caratteristiche fisiche, chimiche e acide del muscolo Lungissimus
dorsi. I risultati hanno evidenziato un colore ed una stabilità ossidativa migliori nel gruppo Vit.E,
mentre i valori di forzo al taglio tra i due gruppi erano quasi simili. Nessuna valida differenza è
stata osservata sia a carico della composizione chimica delle carni, sia sulle concentrazioni delle
diverse classi di acidi grassi, saturi e di polinsaturi, invece a carico dei monoinsaturi si osservano
inferiori % nel gruppo trattato con vitamina E. Inoltre il rapporto UFA/SFA è risultato più basso nel
gruppo vit. E rispetto al gruppo non trattato. Infine l’indice trombogenico e l’indice aterogenico,
che servono a valutare la qualità dietetica della carne sono risultati quasi simili nei due gruppi.
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5) Livello proteico della dieta.
Il livello proteico della dieta non solo incide significativamente sugli aspetti quanti-qualitativi delle
produzioni, ma in particolar modo sugli incrementi giornalieri, sulle rese di macellazione nonchè
sulla composizione delle carcasse. Infatti, razioni a bassa % di proteine oltre a portare a minori
incrementi, portano ad avere carcasse con minore % di tagli carnosi e con maggiori quantità di tagli
adiposi, evidenziando un minore rapporto carne/grasso. È noto però che non è sufficiente parlare di
livello proteico, poiché non tutti gli alimenti contengono lo stesso livello di aminoacidi
indispensabili per cui è necessario utilizzare le materie prime in opportuna combinazione fra loro
per equilibrare i livelli di aminoacidi essenziali ( mais, orzo, avena, farina di carne, di pesce, ecc.).
Infatti tra i 20 aminoacidi che compongono le proteine, 10 sono essenziali per l’uomo ed il suino.
Tra questi particolarmente importanti sono il triptofano, la lisina e la metionina. Ricerche (Becker et
al., 1954) hanno dimostrato che la lisina, la metionina e il triptofano sono aminoacidi che non
sempre sono oggetto d’integrazione nella preparazione delle comuni miscele alimentari del suino.
Quando però, si usano razioni alimentari in carenza, anche di poco, di uno di questi aminoacidi, si
nota una diminuzione della crescita. Le esigenze di proteine e lisina nei suini appena svezzati
sembra aggirarsi rispettivamente intorno al 20-24% e all’1% (Rutledge et al., 1961; Lloyd e
Crampton, 1961) mentre quando si impiegano diete in cui i livelli di questi amminoacidi superano i
fabbisogni nei cinghiali portano a carcasse più grasse senza alcun miglioramento sugli aspetti
produttivi. (Marsico et al., 2002). Dopo che le proteine sono state digerite ed i singoli aminoacidi
assimilati, il loro metabolismo viene considerato in stato di equilibrio dinamico fra le plasma
proteine del sangue e quelle del protoplasma cellulare dei vari tessuti, organi e dell’emoglobina.
Così, nei vari tessuti le proteine sono continuamente sintetizzate ed accumulate. Inoltre da parte
dell’organismo vi è una continua perdita di esse. La sintesi delle proteine dell’organismo coinvolge
molti fattori, come energia, sali minerali e vitamine. Risulta quindi importante che gli aminoacidi
richiesti per costruire una particolare proteina, devono essere presenti non solo in giusta misura ma
anche nella giusta sequenza chimica (Eggert et al., 1953). Così in teoria, si afferma che la carenza o
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assenza di un solo aminoacido limita la sintesi delle proteine. La carenza induce disturbi di varia
natura, come anoressia parziale o totale, riduzione nell’assunzione di cibo, perdita di proteine nei
secreti ed emorragie, eccessivo calo del livello di proteine nei tessuti e infine incapacità
identificati molti aminoacidi fra quelli necessari al suino tra cui spicca la Lisina che è anche definito
limitante primario. In condizioni naturali normali e di alimentazione invece non sono stati osservati
a) Origini,
Com’è noto il genere umano fin dalla preistoria ha utilizzato i prodotti di origine animale,
infatti, l’uomo primitivo (Homo Neanderthalensis prima e Homo Sapiens poi) prima
dell’avvento della pastorizia e dell’agricoltura poi, cacciava gli animali non solo per sfamarsi
con le loro carni ricche di proteine di alto valore biologico (ovvero ricche di aminoacidi
essenziali e/o di limitanti primari come la lisina), ma anche per utilizzare le loro pelli per
coprirsi e/o ripararsi dalle intemperie e le loro ossa per costruirsi attrezzi utili alla vita
giornaliera e/o monili per adornarsi. Con l’avvento dell’”Homo sapiens” e con l’esplosione
demografica della sua popolazione, dovuta anche alla sua superiore intelligenza di
raccoglitore poiché le disponibilità alimentari erano collegate alle alternanze stagionali. Infatti,
in alcuni e particolari periodi dell’anno (inverno, estati torride e/o siccitose) le risorse
alimentari tendevano ad azzerarsi, non solo come animali da cacciare perché questi migravano,
ma anche come frutta verdura ed altro a produzione stagionale. Per questo e soprattutto per
di prede non sempre la caccia dava esito positivo che, tra 6.000 e 10.000 anni a.c. e forse più
avanti che ebbero inizio le prime forme di domesticazione ed anche se primitive forme di
allevamento. Esse ebbero inizio con la domesticazione degli ovini selvatici, progenitori degli
101
attuali da cui ebbe inizio la pastorizia., che garantiva una sicura disponibilità durante tutto
l’arco dell’anno non solo di alimenti di alto valore biologico come carne e latte ma anche di
pelli ed ossa. Successivamente furono addomesticate altre specie ed ebbero inizio alcune forme
granella di facile conservazione e capaci altresì di garantire una riserva energetica alimentare
nei periodi avversi. Con il passare dei secoli e con la domesticazione degli attuali animali
domestici (ovini, bovini, caprini, equini, avicoli ecc.) si è sempre più perfezionato il sistema di
allevamento adattandolo sempre più all’evoluzione del genotipo animale fino a raggiungere
l’attuale grado tecnologico imprenditoriale modellando nel tempo le produzioni in base alle
esigenze della popolazione umana. Oggigiorno, l’allevamento animale con i suoi sistemi e/o
impresa completamente meccanizzata e specializzata in una o più linee produttive. Per questo
basti pensare agli allevamenti per bovine da latte ove la produzione della carne (vitelli) è una
necessario solo perché inizia la lattazione dopo il parto che di solito dura convenzionalmente
305 giorni, oppure negli allevamenti avicoli per la produzione delle uova, o alle aziende
suinicole specializzate nella produzione del suino leggero (80-90 Kg p.v.) o di quello pesante
(> 150 – 160 Kg), o quelle per la produzione di broilers. Non tutti gli allevamenti però sono di
questo tipo, ma vi sono altri che curano due linee di produzione (latte e carne, uova e carne,
ecc.) ed altri ancora con tre indirizzi (lana, latte, carne, ecc.) in cui il grado tecnologico e di
all’indirizzo produttivo. Infatti, tanto più è spinta la specializzazione produttiva del genotipo
animale allevato, tanto più alta è la meccanizzazione, più sofisticate ed elevate sono le tecniche
impiegate, affinché il genotipo animale venga posto nelle condizioni ideali per estrinsecare le
102
In altre parole, l’ambiente, le tecnologie di allevamento, l’alimentazione la meccanizzazione
rappresentano il mezzo che consente al “motore” animale (genotipo) di mettere a nudo le sue
potenzialità.
b) Tecniche
Da parte degli allevatori sta sempre più crescendo l’interesse sul tema del benessere animale
(animal welfare) che coinvolge problematiche riguardanti sia l’ambiente in cui vengono ospitati
gli animali, sia l’alimentazione a cui vengono sottoposti, nonché le strutture di ricovero, il
commercio degli stessi e il loro trasporto. Tutto questo ha enorme riflesso sulle performance e
sulla qualità delle carni, ciò porta a dover scegliere oculatamente le modalità di allevamento tra
risultati a cui questi potrebbero portare. La normativa posta a protezione dei suini in
allevamento, che vede disciplinata la gestione di tutte le categorie di animali nelle loro diverse
normativa sui suini è riportata dal DLgs 534 del 1992 (promulgato in recepimento della
Direttive 88 e 93 del 2001). Gli aspetti toccati nel dettaglio dalla normativa sono
principalmente costituiti dagli spazi, dalla tipologia delle pavimentazioni, dagli elementi
necessari per garantire una buona socialità degli animali e a favorire il comportamento
illuminazione dei locali (almeno 40 lux per un minimo di 8 ore/al giorno) e alla riduzione dei
rumori (intensità< 85 dB). A tali norme si è affiancata, dal 2005, una serie di reports scientifici
commissionati all’Authority Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) che si sono tradotti in
ben cinque “Opinions” riguardanti le tematiche del benessere in relazione alla castrazione dei
lattonzoli, del benessere in funzione della disponibilità di spazio e del tipo di pavimentazione,
103
del benessere dei suini all’ingrasso in funzione della stabulazione e del management, del
benessere dei riproduttori e dei suinetti in allattamento e dei rischi associati alla morsicatura
della coda. Questo apparato normativo e consultivo testimonia l’enorme interesse che
l’argomento “benessere” riscuote in ambito comunitario. Il “bisogno” esplorativo del suino può
essere ritenuto come la sintesi di tre elementi fondamentali: ricerca del cibo, soddisfacimento
della curiosità generata da elementi sconosciuti e infine sottrazione dell’individuo ad uno stato
di noia (Studnitz et al., 2007). Per soddisfare tale bisogno, la legge prescrive che vengano
come paglia, foraggi, torba, compost, sabbia e rami. Infatti il suino ama grufolare, per cui
spazi è un altro elemento capace di influenzare il benessere animale. Infatti in sua mancanza, è
facile notare un aumento di aggressività o di apatia dell’animale. Se c’è spazio, il suino può
giacere in decubito laterale, che rappresenta una delle sue posizioni preferite per il sonno e
effettuare una chiara ripartizione della superficie disponibile in aree funzionali deputate alla
disponibilità idrica dell’animale, la quale deve essere pienamente soddisfatta. A tal proposito il
DLgs 53/2004 impone che a partire dalla seconda settimana di età, ogni suino deve poter
disporre in permanenza di acqua fresca “ad libitum”. La carenza o l’insufficienza di acqua può
provocare cattivo sapore/odore della stessa con conseguente abbassamento del livello di
salute dei suini; si pensi agli abbeveratoi con acqua stoccata in serbatoi dove si possono avere
fenomeni di proliferazione batterica, che possono aumentare i casi di ulcere gastriche nei suini,
104
rispetto a quelli che ricevono acqua corrente derivante da fiumi e pozzi (Robertson et al., 2002).
Infine anche l’alimentazione liquida, molto diffusa nel nostro Paese, viene seguita da norme, le
quali prevedono il rispetto della massima igiene relativa sia alla pulizia degli impianti, sia alla
salubrità della frazione liquida per evitare un aumento di diarree e patogeni. Il concetto di
benessere non si limita alle sole fasi allevamento ma sono estese a tutte le operazioni
Il trasporto e la macellazione sono operazioni alle quali tutti i suini d’allevamento sono
contatto con ambienti nuovi, caratterizzati da condizioni ambientali e sociali diverse da quelle
d’allevamento, nei quali non possono alimentarsi, abbeverarsi e muoversi con i tempi e le
modalità conosciute in precedenza. Ovviamente, sia nel trasporto che nella macellazione
importanti due momenti, sono oggetto di attenzioni particolari, da parte dell’opinione pubblica.
Negli ultimi 25 anni la protezione dei suini durante il trasporto e la macellazione è stata oggetto
di numerosi interventi legislativi della Ue che sono stati recepiti dal nostro ordinamento. Tra
queste norme troviamo il Decreto Legislativo n° 532/92, che recepisce la direttiva 91/628/CEE
e i Regolamenti 1255/97 e 411/98, nel quale è previsto per il loro trasporto l’utilizzo di mezzi
dotati di chiusura ermetica e capaci di mantenere temperature prestabilite. Ma, per migliorare il
educare il personale, utilizzare delle strutture idonee ed usare buone pratiche condivise da
incontro a stress dell’animale, che a sua volta può portare ad un eccessivo affaticamento e
quindi al fenomeno delle “carni strapazzate” (DFD) e/o alla sindrome delle carni pallide, soffici
in quest’ultimo caso, la sistemazione nelle aree di sosta. La macellazione include la sosta negli
105
appositi box, la movimentazione degli animali all’interno dell’impianto fino alla trappola di
stordimento, nonché l’applicazione delle tecniche che rendono incosciente l’animale prima
della morte. Se tali operazioni non vengono effettuate correttamente in modo da assicurare le
migliori condizioni possibili, le conseguenze sono estremamente gravi come: mortalità, perdita
di peso, minore resistenza agli agenti patogeni, deprezzamento della carcassa e dei tagli a causa
della presenza di lesioni e di ematomi con relativo peggioramento della qualità della carne. Il
calo di peso, connesso al trasporto, si traduce in una rilevante perdita economica. Nei suini la
perdita di peso durante viaggi, anche di breve durata, si attesta tra il 4 e il 6% del peso vivo.
Anche la presenza di lesioni e contusioni sulle carcasse, causate da bruschi contatti con le
strutture di contenimento o dai mezzi coercitivi usati per movimentare gli animali,
rappresentano una perdita economica, oltre a testimoniare una scorretta pratica delle operazioni
destinato alla stagionatura, nonché della qualità della stessa carne che può risultare fortemente
abbassamento del pH, provocando una maggiore denaturazione delle proteine muscolari che
porta ad un peggioramento della qualità della carne, come la diminuzione della capacità di
ritenzione idrica e la colorazione pallida. Inoltre è convinzione diffusa che quanto più il viaggio
è di breve durata tanto minore è lo stress che subiscono gli animali. Questo è vero se le
condizioni di trasporto sono ottimali in termini di densità di carico, di caratteristiche del mezzo
aumento dello stress degli animali. Gli studi effettuati sui trasporti di suini di durata inferiore
alle 8 ore evidenziano che gli animali recuperano in un paio d’ore lo stress dovuto al carico,
infatti, essi si coricano rapidamente. Ciò può avvenire solo se lo spazio a disposizione per
ciascun capo è adeguato a quanto previsto per legge, ossia non meno di 0,425 m2 per 100 kg di
peso vivo. Un altro momento delicato è quello che si verifica durante lo scarico in macello.
106
Questo comprende due fasi: la sosta del veicolo prima dello scarico e l’effettiva uscita dai piani
di carico. La prima fase dovrebbe essere molto breve per la difficoltà di mantenere condizioni
ambientali adeguate nel mezzo fermo. La seconda, che coincide con l’uscita dai piani di scarico
è un’operazione che risulta fisicamente stressante al pari di quella del carico e riguarda soggetti
che potrebbero essere già provati da cattive condizioni di viaggio. Di solito è buona pratica
aiutarsi con delle rampe con inclinazione ridotta per facilitare lo scarico. Successivamente è
prevista una fase di sosta pre-macellazione per allentare lo stress. All’interno dell’area di sosta
essere inferiore a due ore. Solo i soggetti che presentano evidenti segni di sofferenza è prevista
la macellazione immediata. Un altro punto critico è dato dalla movimentazione dei suini dal
box di sosta al punto di applicazione dello stordimento. In questa fase bisogna evitare lo
spostamento contemporaneo di un alto numero di capi perché creano difficoltà di entrata nel
“restrainer”. La pratica più usata per lo stordimento è l’elettronarcosi perché risulta rapida e di
facile esecuzione. Il posizionamento della pinza sulla testa dell’animale deve essere preciso in
altro metodo è l’utilizzo di CO2 all’interno di gabbie singole o multiple, nel quale il gas supera
irritazione alle mucose, sensazione d’asfissia e sofferenza respiratoria. Ciò causa una forte
irritazione dell’animale che incomincia battere contro le pareti della gabbia che porta ad
echimosi lacero-contuse e lesioni muscolari e ossee. Il sistema di CO2 discontinuo non presenta
107
basso. Subito dopo segue la spelatura e la preparazione della carcassa, taglio della testa e dei
piedi, allontanamento dei visceri delle frattaglie. La carcassa a questo punto viene divisa
longitudinalmente, in due mezzene. Negli animali di grande mole (bovini, equini ecc.) ogni
mezzena è divisa in due quarti, anteriore e posteriore. I quarti a loro volta, in macelleria,
vengono divisi in pezzi anatomici di varia forma e costituzione, detti “tagli”. I tagli possono
essere distinti in tre categorie a seconda della loro qualità: “tagli di prima, di seconda e di terza
scelta”. I tagli di “prima” sono quelli delle parti posteriori dell’animale, coscio e lombata.
Quelli di seconda sono quelli della gamba e della spalla. Infine i tagli di terza scelta sono quelli
del collo, dell’addome e la parte distali degli arti, anteriori e posteriori. Rispettando tutte le
norme previste, la probabilità di gustare carne di qualità risulta essere decisamente alta.
108
Cap.4
I parametri che incidono sulla qualità della carne dopo la macellazione, e che influenzano
soprattutto la scelta del consumatore, sono correlate principalmente alle caratteristiche fisiche e
psico-sensoriali come:
il colore;
la tenerezza;
la ritenzione dell’acqua;
la succosità;
il sapore e l’aroma.
Partendo dall’acquisto della carne, è noto che il primo fattore considerato dal consumatore è lo
spessore del muscolo, infatti al fine di migliorare l’aspetto, la velocità di cottura, la tenerezza e il
gusto della carne, il muscolo deve essere tagliato in senso trasversale alla direzione delle fibre. Per
cui le dimensioni e la superficie della fetta di carne sono funzione dello spessore del muscolo e non
La tenerezza è solo un fattore potenziale quando si acquista la carne dal macellaio. Un buon
processo di cottura è specifico per ogni tipo di carne e deve essere adattato al tipo di muscolo ricco
o povero in collagene ma anche al livello di reticolazione (età del collagene). Con un contenuto
basso di collagene insolubile, caratteristico delle carni di animali giovani, un breve periodo di
cottura in umido è sufficiente per ottenere una carne tenera; quando l’età dell’animale e la quantità
di questo collagene aumentano, per ottenere una buona tenerezza è necessario aumentare i tempi
frollatura e di cottura.
a) Il colore della carne risulta essere uno degli aspetti visivi che più condizionano la scelta
109
reversibilmente l’ossigeno trasportato dal sangue attraverso l’emoglobina dei globuli
rossi. Il colore della mioglobina è un rosso vivo, visibile quando la carne è appena
tagliata. Ma con il passare delle ore, si può notare un cambiamento del colore che tende
ad oscurire a causa del processo di ossidazione del Fe. Il colore è un carattere facilmente
rilevabile, seppure in modo impreciso, con un esame visivo. Esso deve essere misurato
b) La tenerezza può essere definita come l’attitudine della carne a lasciarsi tagliare. Nella
determinazione della tenerezza concorrono diversi fattori, sia genetici che ambientali, ma
questa fase sono legati all’abbassamento dei valori del pH della carne e alla presenza di
piuttosto sommario, anche se le carni più scure in genere sono fornite da animali più
vecchi e risultano meno tenere, mentre la grana grossa è sinonimo di tessitura grossolana.
superficie della carne, dipende dal fatto che le carni a grana fine sono più succulente e più
tenere. Si può affermare che i fattori che determinano la tenerezza sono tantissimi e tra i
sarcomeri, le dimensioni (diametri, aree, perimetri) delle fibre dei muscoli, la consistenza
Durante uno studio effettuato da Nanni Costa L. (2009) sulla valutazione dell’effetto
dell’età alla macellazione sulle caratteristiche qualitative del muscolo Longissimus toraci
110
maggiore età è meno chiara e più rossa (>contenuto di grasso intramuscolare) e presenta
minori perdite di cottura dopo un giorno dalla macellazione. Invece la carne dei soggetti
macellati a 7 mesi presenta minor sforzo al taglio, per cui risulta dotata di una maggiore
tenerezza, ma solo a 1 e a 3 giorni post mortem. Dopo sei giorni questa differenza
scompare. Ciò pone in evidenza che gli effetti negativi sulla tenerezza delle carni, dovuta
all’aumento dell’età, possono essere ridotti o annullati con una buona frollatura.
importanza, in quanto influisce sull’aspetto della carne cruda, sul suo comportamento
della carne dal liquido circostante con conseguente aumento di peso. Sia il rigonfiamento
dalla specie, dal sesso, dall’età, dallo stato di salute, d’ingrassamento e dalle modalità di
trasporto degli animali da cui provengono le carni. Infine, si può affermare che i muscoli
che presentano un alto contenuto di grasso intramuscolare tendono ad avere una elevata
Da quanto anzi riportato, si può affermare che il colore, il potere di ritenzione dell’acqua, la
tenerezza sono caratteristiche legate al pH. Infatti le carni al momento della macellazione
presentano un pH neutro che si modifica poi nelle prime ore di refrigerazione mediante glicolisi
anaerobica. La trasformazione del glicogeno in acido lattico e l’accumulo di questo all’interno dei
rimane del glicogeno, il processo di formazione dell’acido lattico si arresta poiché a tali valori di pH
per inattivazione degli enzimi glicolitici e per inaccessibilità del glicogeno agli attacchi enzimatici,
111
viene chiamato pH finale. A temperatura ambiente la demolizione enzimatica avviene quasi
dell’intensità del colore e ovviamente anche un aumento delle capacità di ritenzione dell’acqua nel
muscolo fresco.
Quando si passa all’utilizzazione della carne, vengono considerati altri aspetti importanti, a seconda
Considerando in primis il consumatore, si può affermare che i parametri ai quali fa riferimento per
effettuare la sua scelta, oltre a quelli visti in precedenza, sono: il valore nutritivo, la succosità e il
sapore. Il consumatore comunque è sempre alla ricerca di un giusto compromesso tra prezzo e
qualità, ma è tramite l’aspetto della carne cruda, il suo comportamento durante la cottura e la sua
Per quanto concerne l’aspetto nutritivo il consumatore tiene di solito presente soltanto il tenore in
grasso, attualmente quasi sempre valutato come fattore negativo. In realtà tramite l’ingestione di
carne, si assimilano principi nutritivi, quali gli amminoacidi, le vitamine, i minerali, gli acidi grassi
ecc. La carne è un alimento plastico e presenta un alto valore nutritivo, perché consente la
reintegrazione rapida delle materie azotate che l’organismo consuma nei processi vitali e durante il
ossiemoglobina. Il residuo 5% circa comprende grassi (che possono giungere anche al 30% nei
vitamine, del complesso A e B nonché le basi puriniche (creatina, creatinina, xantina, ipoxantina),
l’acido lattico, l’acido urico, il glucosio, il glicogeno (che durante la maturazione e la frollatura,
Le proteine di origine animale presentano una maggiore digeribilità rispetto a quelle di origine
vegetale. Questo è legato sia alla presenza nella cellulosa delle cellule vegetali, sia al fatto che le
112
l’organismo umano non è in grado di produrre, per cui possono essere solo assimilati tramite
Le vitamine che vengono fornite tramite il consumo di carne sono invece quelle appartenenti al
(cobolamina). La vitamina B12 è assimilabile solo attraverso la carne, in quanto non è presente nelle
cellule vegetali. Attraverso la carne è possibile apportare, anche se in modeste quantità, le vitamine
L’importanza che le vitamine rivestono sono da imputare all’azione che esse svolgono nei processi
energetici, nel mantenimento dei tessuti dell’organismo, nella crescita, nel metabolismo delle
proteine ecc..
La carne apporta diversi minerali, tra questi figurano, il calcio, il fosforo, il ferro, il potassio, lo
zinco, il selenio ecc., che sono indispensabili per i processi metabolici nonchè, per la sintesi del
collagene, per il mantenimento del tessuto osseo, per la crescita, per le funzioni immunitarie.
Infine, la presenza dei grassi risulta necessaria perché oltre a fornire energia al nostro organismo,
provvedono alla costruzione delle membrane cellulari, entrano nella biosintesi di alcuni ormoni, e
veicolano le vitamine liposolubili come la vitamina A, D ed E. Il loro contenuto nelle carni (S.T.Q.)
suine si aggira intorno al 5%, mentre nel muscolo non supera l’1,5%.
Da questo si evince che la carne è una componente importante nell’alimentazione umana. Ed è una
cottura ed è influenzata dalla glicolisi post mortem e dalla marezzatura della carne (grasso
un’iniziale secrezione salivare che induce una sensazione di succosità che presto è seguita
Ed infine un altro fattore che influisce sulla scelta del consumatore è il sapore e l’aroma della carne.
Il sapore della carne dipende dalla combinazione di decine di fattori legati alla composizione della
113
estremamente variabile così da determinarne il gusto. Durante la cottura le proteine si compattano
ed eliminano l'acqua, è per questo che una cottura prolungata rende la carne dura. Cuocere la carne
al punto giusto è una operazione che appare semplice, invece è complessa perché le fibre muscolari,
l'acqua dei tessuti e il collagene richiedono temperature diverse per dare un prodotto che sia cotto
alla perfezione, ovvero tenero, saporito e profumato. Durante la cottura la mioglobina si scompone
cosicché la carne da colore rosso passa al grigiastro. È possibile anche pretrattare la carne per averla
più tenera; infatti si può tritarla per ottenere polpette e hamburger o batterla con un pestello. Questi
procedimenti scompongono la struttura delle fibre muscolari rendendole più morbide e più facili da
masticare.
Dopo qualche giorno la carne cotta può risultare sgradevole a causa della diversa composizione
degli acidi grassi che compongono il grasso. Infatti, la carne di pollo e di maiale riscaldata sono
meno gradevoli di quelle di vitellone e di agnello, questo perché la composizione del grasso
intramuscolare è strettamente correlato con il genotipo animale. Infine anche l’età dell’animale
riveste un ruolo importante sul sapore della carne. Infatti con l’avanzare dell’età dell’animale, si va
incontro ad una intensificazione del sapore, che può risultare sgradevole se il soggetto è molto
vecchio. Inoltre, chi si occupa di vendita o di trasformazione della materia prima considera altri
parametri quali: il calo di peso, l’attitudine a subire una frollatura ottimale, un idoneo abbassamento
del pH, un aumento della tenerezza, ecc. Per il macellaio riveste importanza anche la conservabilità
del prodotto e la possibilità di ricavare tagli della forma e delle dimensioni richieste dal
deve ricordare che il grado di accettabilità dipende anche dal rapporto qualità/prezzo. Per cui la
qualità di una derrata alimentare in tutta la filiera risulta necessaria ed essenziale per progettare,
produrre, far progredire l’impresa. La valutazione della qualità del prodotto e/o della carne può
essere fatta in punti e momenti diversi della filiera, ed interessa i diversi soggetti che ne fanno
114
4.1
Il muscolo è il risultato dell’assemblaggio di una serie di cellule che sono in grado di contrarsi e
sviluppare uno sforzo. Il muscolo è avvolto dal tessuto connettivo (perimisio) che si lega
direttamente o attraverso i tendini e le aponeurosi alle ossa per il movimento. La trasformazione del
muscolo in carne avviene dopo la morte dell’animale, realizzata secondo vari procedimenti
Nella prima il sistema nervoso rimane eccitabile per circa un’ora e mezza e perde la sua flessibilità.
Nella seconda fase invece si manifesta il rigor mortis, dove il muscolo perde elasticità fino a
diventare rigido. Infine la terza fase è rappresentata dal pieno rigor mortis, quindi il muscolo
diviene rigido e ogni movimento diventa impossibile. I cambiamenti meccanici sono associati alle
modificazioni biochimiche nella composizione del muscolo. Con la progressiva perdita nelle riserve
energetiche (ATP, glicogeno) e nelle condizioni di anaerobiosi (la circolazione del sangue è cessata)
gli ioni (H+) accumulati nelle fibre muscolari inducono una diminuzione del pH da 7 nel muscolo a
5-5,5 al raggiungimento del rigor mortis. È molto importante la qualità della carne che questo
processo si realizzi lentamente nelle 12-24 ore successive alla macellazione. In condizioni normali
dopo l’inizio del “rigor mortis”, segue un periodo chiamato invecchiamento della carne. Durante
questa fase i processi enzimatici sono attivi, e modificano la struttura del muscolo in quanto si ha
una idrolisi delle proteine del sarcomero, (unità motoria della fibra muscolare) che porta ad un
progressivo miglioramento della tenerezza. La manifestazione delle anomalie non genetiche della
carne, sono causate o favorite dallo stress a cui l’animale è sottoposto prima della macellazione. Le
cause che provocano stress sono molteplici e che agiscono a livello fisico: (dolore e ferite);
straordinaria degli animali e cambiamenti climatici); di malattie cliniche e/o subcliniche (stress da
malattie).
115
Carne PSE Carne normale Carne DFD
Fonte: www.aaporcinos.com.ar/
a) Carni PSE
L’acronimo PSE sta per carni “pallide, soffici ed essudative”. Il suino è un animale che è
particolarmente sensibile a questa miopatia. Nei suini la “PSE” è associata alla Sindrome di Stress
Suina (PSS), condizione analoga all’ipertermia maligna dell’uomo. Entrambi le sindromi sono di
tipo ereditario e vengono causate da un difetto nel canale di rilascio del calcio a livello del reticolo
sarcoplasmatico del muscolo. Uno dei geni ritenuti responsabile delle sindromi PSE e PSS è stato
identificato come il “gene dell’alotano”, il quale deve il proprio nome al fatto che la sua presenza
come gene recessivo conferisce all’animale un’elevata sensibilità all’inalazione di questo gas
anestetico “alotano”. Gli animali che manifestano sensibilità all’inalazione di questo gas (individui
PSS), presentano rigidità muscolare, un aumento della temperatura corporea, fino a giungere nei
casi estremi alla morte dell’animale. I suini sensibili al gas alotano, mostrano una scarsa capacità di
reazione nei confronti degli eventi stressori, una mortalità relativamente elevata durante le fasi di
pre-macellazione (soprattutto durante il trasporto al macello) ed una notevole incidenza di carni con
caratteristiche PSE.
In particolare, nella PSE, lo stress premacellazione è responsabile del rilascio di catecolammine (in
particolare adrenalina e noradrenalina) nel circolo ematico con conseguente aumento della
del depauperamento delle riserve di glicogeno muscolare. Più in particolare, le condizione di stress
116
acuto di breve durata in prossimità della macellazione, predisporrebbero alla manifestazione della
temperatura muscolare conducono ad una parziale denaturazione delle proteine muscolari, che
comporta una diminuzione delle loro capacità di legame con le molecole di acqua. A seguito di tale
evento il naturale processo di contrazione muscolare dovuto a quello del tessuto connettivo nel
periodo post mortem determina l’espulsione del fluido non trattenuto dalla matrice proteica negli
spazi extracellulari. In questa fase durante la lavorazione della carne, il liquido contenuto negli
spazi extracellulari si riversa verso la superficie con formazione di essudati (drip). Il colore pallido
tipico delle carni PSE sarebbe invece attribuibile ad una maggiore predisposizione della superficie
della carne a diffondere (scattering) la luce incidente. Questo comportamento è stato attribuito alla
differenza tra gli indici di rifrazione del sarcoplasma e delle miofibrille (il colore diviene tanto più
pallido quanto maggiore è la differenza tra i due indici di rifrazione). Quando lo “scattering” è
elevato, la quantità di luce assorbita dalla carne dovuta all’importanza degli emopigmenti
nell’assorbimento selettivo di luce verde (responsabile della tipica colorazione rossa) diminuisce, la
carne assume una tonalità meno rosso e più gialla. Oltre a questo i bassi valori di pH (5.5)
Generalmente i tipi genetici più predisposti a generare carni PSE, presentano un maggior sviluppo
c) Carni DFD
Nella produzione di carni DFD (Dark Firm Dry o Asciutte Sode e Scure) intervengono una serie di
eventi capaci di generare stress più o meno acuti e protratti nel tempo, che sono responsabili
dell’esaurimento e/o deplezione delle riserve di glicogeno muscolare che impedisce la realizzazione
tale che il pH finale, misurato a 24-48 ore post mortem rimane invariato rispetto al pH iniziale ( a
117
15-45 min. post mortem), le condizioni di rigor mortis vengono profondamente modificate e si
realizza una scarsa denaturalizzazione della matrice proteica che mantiene un’elevata capacità di
ritenzione idrica. Queste carni si presenteranno dure, scure e asciutte. Sono conosciute anche sotto il
nome di “carni strapazzate”, perché dovuta all’eccessivo affaticamento dell’animale nelle fasi
Questa anomalia è stata scoperta nei suini di razza Hampshire e per questo motivo le carni che la
manifestano vengono denominate “tipo di Hampshire”. È simile alla PSE, ma si differenzia da essa
del tessuto muscolare al momento della macellazione. La carne si presenta acida, infatti a 24 ore il
pH è molto basso (al di sotto di 5.5), il colore è leggermente più chiaro, non manifesta segni
118
Cap. 5 Gli Animali di interesse zootecnico e le loro produzioni
Nello scenario mondiale odierno, gli animali domestici e/o di interesse zootecnico, ivi compresi
quelli ittici e di interesse faunistico venatorio per le loro capacità di produrre alimenti primari,
pellami ecc., rivestono un ruolo di primaria importanza per l’economia di regioni, nazioni o di
continenti. Tra le produzioni di primario interesse citiamo la carne, il latte, le uova, invece tra le
secondarie e per questo non meno importanti ricordiamo le fibre tessili animali (lana e peli come
quelli d’angora ecc.) le pelli, i vari sottoprodotti della macellazione (sangue ecc.) e della
trasformazione (farine animali, sieri, ecc.). Ovviamente ci interesseremo delle produzioni alimentari
primarie e degli animali da cui originano, delle loro capacità produttive, della loro biologia e del
loro grado di specializzazione produttiva dovuta al grado di selezione genetica operata dall’uomo.
Come già accennato in precedenza, gli animali sulla base del loro apparato digerente li avevamo
suddivisi in poligastrici o ruminanti (sprovvisti degli incisivi superiori) a cui appartengono quei
genotipi (specie) che presentano un apparato gastrico suddiviso in 4 cavità, di cui 3 prestomaci
(rumine, reticolo e omaso) ed uno stomaco ghiandolare (vero), tutti completamente funzionanti
dopo lo svezzamento, (bovini, ovicaprini, camelidi, giraffe ecc.) e monogastrici con arcate dentarie
complete a cui appartengono tutte le specie provviste di un solo stomaco. Ovviamente le varie
specie, in base alle abitudini alimentari, indi al tipo di apparato digerente vengono raggruppate e/o
classificate come:
a) Erbivori cui fanno parte tutte quelle specie la cui dieta è esclusivamente costituita da
vegetali, salvo eccezioni di casi patologici e/o di denutrizione grave che porta alla
(feci, carogne, scarpe ecc.). A questa categoria appartengono tutti i ruminanti come i
bovini, i bufalini, gli ovicaprini, i camelidi le giraffe ecc. ed alcuni monogastrici come
gli equidi (cavalli, asini, zebre, muli ecc) e i lagomorfi (conigli, lepri) la cui funzione
ruminale viene in un certo qual modo sostituita in parte dall’attività dell’intestino cieco.
119
b) Omnivori di cui fanno parte alcuni monogastrici la cui dieta è in parte costituita da
lombrichi, larve, uova, nidiacei di uccelli, topi, arvicole carogne ecc.) utilizzate quasi
sempre allo stato brado o semibrado e/o di farine di carne ecc. come i suidi (suini e
cinghiali) avicoli (polli, tacchini, fagiani, faraone ecc.), animali tutti che sottoposti ad
formulati, le cui materie prime sono scelte e controllate sia dal lato qualitativo sia da
origine animale e di cui fanno parte tutti i predatori diurni e notturni come i felini (tigri,
leoni, gatti ecc.) i rapaci diurni (aquile, falchi ecc.) e stringidi notturni (gufi civette ecc.).
Dal lato produttivo questo gruppo di animali riveste una scarsa importanza, per cui non
saranno trattati, ma sono particolarmente importanti dal lato faunistico ambientale per il
La conoscenza dei parametri biologici del proprio bestiame da parte dell’operatore e/o imprenditore
a) il peso/i alla nascita del/i piccolo/i che dipende/no dalla specie, razza e dal n° dei nati per
parto. Esso è correlato agli incrementi medi giornalieri ed al peso vivo alle età tipiche
quasi sempre nell’intervallo dei pesi del genotipo (specie e/o razza) di appartenenza.
120
b) peso/i allo svezzamento: è comunque dipendente dal peso vivo alla nascita e dei fattori
che lo influenzano e varia con il genotipo animale e con le capacità materne ovvero dalla
quantità e/o qualità del latte prodotto dalla madre e dalle cure che essa è in grado di dare
ai propri figli.
primo detto naturale e consiste nel graduale allontanamento da parte della madre del
figlio, la cui età varia con il genotipo (specie) animale (8-10 mesi bovini, equini, 3-4
mesi ovi-caprini, suini ecc.) ed è caratteristico degli allevamenti bradi e/o estensivi.
Il secondo detto precoce praticato negli allevamenti di tipo intensivo e/o semi-intensivo
con un grado tecnologico medio alto ed alto; infatti, viene applicato sia negli
allevamenti suinicoli ove i lattonzoli vengono allontanati dalle scrofe entro trenta giorni
cui gli agnelli e/o i capretti vengono slattati intorno a 30 giorni di età i primi e 40-50
giorni di età i secondi. Mentre negli allevamenti di bovini da latte, i vitelli vengono
allontanati dalle vacche subito dopo la fase colostrale (12-24 ore dalla nascita) per poi
d) Pubertà: rappresenta l’età in cui le femmine di ogni specie e/o razza presentano il primo
estro (calore) che coincide con la prima ovulazione in cui esse acquistano la capacità di
riprodursi. Nei maschi coincide con l’età in cui producono nemaspermi maturi (mobili e
vitali). La pubertà dei maschi non va confusa con l’istinto genesico che coincide con i
primi tentativi di accoppiamento operate dal giovane soggetto nei confronti delle
121
e) Fertilità: rappresenta la capacità di concepimento della femmina e/o del maschio poiché
l’animale può essere pubere ma non fertile. Infatti anche se in estro e si accoppia, non
e3) per sterilità e/o scarsa concentrazione di nemaspermi vivi e vitali nell’eiaculato.
ma le cause di infertilità femminile e/o maschile sono molteplici e non trattabili in questa di samina
In sintesi la fertilità rappresenta il rapporto tra il n° delle femmine risultate gravide rispetto a quelle
Infatti non sempre tutte le femmine pubere messe in accoppiamento (o monta), vengono
fecondate, per cui un certo numero alquanto limitato però non vengono coperte o
montate. Anche qui le cause sono diverse e vanno dai calori silenti (estri con limitate
manifestazioni esterne e/o ormonali) della femmina che non viene individuata dal
mandria, nel gregge e/o sul territorio (allevamento brado e/o popolazioni selvatiche). In
g) Prolificità non rappresenta altro che il n° dei nati per femmina partorita e qualora
122
Si ricorda che il n° di femmine partorite, generalmente è quasi sempre inferiore a quello delle
gravide, in quanto alcune di queste varie per cause o concause, non portano a termine la gestazione.
Infatti alcune possono abortire per traumi, per malnutrizione, altre possono presentare un
h) Estro e ciclo estrale. L’estro o calore si identifica generalmente con il periodo in cui la
femmina risulta fertile perché avviene l’ovulazione che, a secondo della specie può
avvenire nel colmo dell’estro o verso la sua fine (giumenta) o essere addirittura indotta
animale, se la femmina non viene fecondata l’estro compare ciclicamente, (ciclo estrale).
In tutte le specie il ciclo estrale è composto da 4 fasi dette: proestro, estro, metaestro e
diestro. Anche la durata del ciclo generalmente pari ad un ciclo lunare (28 giorni), varia
dell’accoppiamento (zigote) prima e feto poi per completare il suo sviluppo all’interno
dell’utero. Essa inizia con il concepimento (inizia con lo sviluppo cellulare dello zigote
del feto (parto) La durata della gestazione è strettamente dipendente dal genotipo
(specie) animale e all’interno di questo, poco dall’età della fattrice, dal n° di feti,
123
Specie Comparsa Ciclo Durata Durata della Ricompars Inizio Numero
animale 1° estro estrale in dell’estro gravidanza a dei calori sfruttamento dei nati
femmine per parto
fecondate
Cavalla 12-18 mesi Primavera e 3-10 d. 11 mesi 336 3 -8 giorni 36 mesi stallone Uno
36-48 mesi femmine
autunno giorni dopo il
ogni 21-28 parto
d.
Bovina 10-15 mesi ogni 20-22 1-3 d. Nove mesi Tre-otto 18-20 mesi tori Uno
18-24 mesi femmine
d. 270 giorni settimane
dal parto
Scrofa 4-6 mesi ogni 3- 4 2-5 d. Quattro mesi 35 giorni 10-14 verri e 8-12
(suini) sett. dopo lo scrofette
slattamento
dei
lattonzoli
Ovini 6-8 mesi ogni 17 -21 3 d. 143-145 Autunno Alla maturità Uno-due
d. giorni ogni 17 20 sessuale primo
giorni anno
Caprini 7-10 mesi ogni 17 -21 1-3 d. 140-145 Inizio Al primo estro Uno-tre
autunno giorni autunno utile dal nono
inverno fine estate mese in poi
settembre-
marzo
Coniglia 6-7 mesi ogni 17-21 1-3 d. 1 mese Uno-cinque Dal sesto mese in 4-12
d. giorni dal poi
parto
Cane 7-9 mesi 2 volte anno 2-3 sett 63 giorni Quattro Maschio al 2-12 a
primavera e mesi secondo anno seconda
autunno femmina al terzo della razza
anno
Gatto 10 mesi 2 – 3 volte 3-15 d. 60 giorni Ogni tre Primo anno 4-6*
anno mesi
* Nascono ciechi
124
j) Pesi vivi alle età tipiche: Per quanto concerne questo parametro, è necessario fare
riferimento all’età:
L1 : alla nascita
L2 : allo svezzamento
L4 : alla macellazione
Ovviamente a ciascuna età com’è noto, nelle normali condizioni di allevamento e di sviluppo
corrisponde un peso vivo che è funzione del genotipo (specie e/o razza) del sesso così come
riportato in precedenza. Per questo basti pensare alla diversità di peso esistenti fra le diverse razze
bovine che vanno dai 12 – 15 ql dei tori Chianini ai 3-2-4 ql delle bovine Jersey; ai 60-300 Kg dei
suini, ai 35 – 100 C.a Kg degli ovi-caprini, ai 2-7 Kg delle razze cunicole, ove a fianco delle razze
Con il termine “riproduzione” si intende l’insieme degli atti e delle tecniche operati dagli uomini e
dagli animali aventi come finalità sia l’incremento demografico di una certa popolazione animale
sia la trasmissione del patrimonio genetico alle popolazioni successive. In realtà esistono due tipi di
sistemi riproduttivi, il primo riguarda le popolazioni animali allo stato selvatico ed il secondo quello
degli animali sottoposti ad allevamento. Tutte le specie animali poi, in base al tipo di riproduzione
un maschio feconda due o più femmine e non ha alcun ruolo nella cura della prole di cui si
occupano esclusivamente le femmine. La poligamia riguarda la maggior parte delle specie animali
di interesse zootecnico: i ruminanti come i bovidi (bovini e bufalini), gli ovini, i caprini, i non
ruminanti come i suidi (suini e cinghiali), i lagomorfi (conigli e lepri), gli avicoli (tacchini, polli
125
ecc.) gli equidi (cavalli e asini) e gli erbivori poligastrici selvatici (daini, cervi, gazzelle, gnù), quelli
monogastrici (zebre, asini selvatici ecc.) e tra questi i carnivori predatori (leoni, leopardi, ghepardi
ecc.).
La monogamia che può essere permanente e durare tutta la vita o stagionale (temporanea) in genere
è presente nella maggioranza dei casi nelle specie avicole selvatiche come i rapaci diurni e notturni
(falchi, poiane, aquile, barbagianni civette, gufi ecc.), o come nei granivori tipo i passeracei
(passero domestico, fringuelli, cardellini ecc.) e/o gli insettivori (pettirossi, merli ecc.) e nelle specie
formazione della coppia eterosessuale (un maschio e una femmina) all’inizio della stagione
riproduttiva che prevede da parte del maschio la conquista e la difesa di un proprio territorio, il
corteggiamento della femmina, la costruzione del nido e/o della tana e l’accoppiamento. In genere
la coppia conduce vita comune ove entrambi i genitori provvedono alle cure parentali e alla difesa
sia della prole che del territorio di riproduzione. Con lo svezzamento dei giovani la famiglia si
separa e ciascun individuo conduce vita a parte. Le coppie si riformano alla stagione riproduttiva
successiva, e in genere tra soggetti appartenenti a famiglie diverse, ma possono essere formate da
individui della stessa famiglia quando la densità di popolazione della specie è molto bassa.
La monogamia permanente invece riguarda quelle specie in cui una volta formatesi la coppia
riproduttiva, i due soggetti restano insieme per tutta la vita, e se per disgrazia uno dei due dovesse
morire l’altro resta solo fino alla morte è il caso di alcune specie di pappagallini (inseparabili), e dei
colombi domestici (ma questi si rifanno una vita in caso di separazione). In questa sede non
ritenendo opportuno approfondire le motivazioni etologiche dell’argomento per cui si rimanda alla
Negli allevamenti degli animali di interesse zootecnico nella stragrande maggioranza dei casi la
riproduzione è basata sulla poligamia fatta eccezione di pochi casi come la riproduzione forzata di
coppia delle lepri, delle starne e/o pernici. E’ opportuno precisare che allo stato selvatico le starne e
126
Come anzi accennato, la poligamia è il tipo di riproduzione praticata negli allevamenti, e questo è
un fatto molto importante dal lato economico per le imprese del settore, poiché esclusa la
produzione della carne i maschi (quelli non destinati alla macellazione) rappresenterebbero un
aggravio economico poiché essi non producono né latte, né uova, ma al limite come negli ovini
merinizzati un vello che per peso e qualità è superiore a quello delle femmine; ma, considerato
l’attuale valore economico delle lane italiane, il mantenimento in allevamento di un numero di arieti
considerazione, poiché anche in presenza di condizioni favorevoli del prezzo della lana, un maschio
rappresenta sempre e comunque un aggravio economico. Una deroga a questo principio può essere
fatta solo in presenza di “grandi” riproduttori da sfruttare come “donatori di seme” allorché si
maschi utili ai fini di una corretta riproduzione da mantenere in un’azienda zootecnica è in funzione
del genotipo animale (specie e/o razza) e dalle tecniche di riproduzione che sono parte integrante
del sistema di allevamento. Per questo, la riproduzione può essere di tipo naturale con monta
(accoppiamento) libera, ovvero lasciata al caso in cui un n° proporzionato di maschi viene lasciato
libero nelle mandrie (bovine), nelle greggi (ovini e caprini), branchi (equidi) o morre (suini), di
accoppiarsi con le femmine quando queste entrano in estro (calore); o controllata ovvero, il
personale addetto, una volta individuata la/e femmina/e in calore, questa/e viene/vengono portata/e
dal/i maschio/i per l’accoppiamento (monta). Nella “monta” libera che, per altro viene praticata nei
sistemi bradi e/o al massimo nei semibradi, se da una parte essa ci consente una riduzione di
manodopera dall’altra non ci permette sia di conoscere la genealogia del nascituro limitando così il
progresso di selezione, poiché ci è dato sapere con esattezza solo la madre e le sue ascendenti; sia
una programmazione dei parti. Nel caso, in cui si pratica la monta a mano, pur in presenza di un
maggior impiego di manodopera con ovvi risvolti (aggravi) economici, questa ci consente non solo
attraverso una equilibrata programmazione del numero di femmine da far montare evitando monte
ripetute della stessa fattrice, poiché allo stato libero, il maschio una volta individuata una femmina
127
in calore, non l’abbandona finché essa è in estro tralasciando le altre con vistosa “fallanza”, per cui
la femmina non coperta per essere fecondata deve ritornare in calore (dopo 20 -28 d.) con ovvia
Ovviamente, in entrambi i casi il n° di maschi per 100 fattrici varia con il genotipo (specie e/o
razza), con il vigore sessuale dei maschi e con il tipo di riproduzione impiegato, anche se nella
“monta libera”, il numero di riproduttori è superiore di 2 - 3 unità rispetto alla “monta controllata”.
In generale nella monta naturale libera il n° di maschi per 100 femmine anche con le dovute
mentre nella monta a mano, il numero dei maschi si riduce significativamente e il n° di femmine da
assegnare ad un maschio pur con le dovute variazioni sono riportate nello schema seguente:
stagione di monta
alle18.00
128
alla mezzanotte
ore
Le frequenze indicate valgono per riproduttori maturi, poiché per i giovani è indicata una frequenza
minore.
Nella monta controllata per individuare le femmine in calore, molte volte, anzi, quasi sempre è
necessario utilizzare un maschio esploratore (o Ruffiano) di solito un soggetto con “deviazio penis”
o provvisto di un grembiule “anti penetrazione” posto nella zona ventrale anti peneale, e di un
tampone colorato applicato nella regione sternale che al momento della simulazione della monta
colora la femmina facilitando così l’opera degli addetti, che una volta catturata e/o isolata la portano
E’ necessario ricordarsi che è sempre la femmina che deve essere condotta nell’area di riproduzione
del maschio e non viceversa questo per problemi etologici comportamentali che rendono più sicuro
strumentale, detta impropriamente fecondazione artificiale (I.S. o I.A.) Tale tecnica è praticata negli
allevamenti tecnologicamente più evoluti e specializzati dal punto di vista produttivo, come nel caso
delle aziende bovine da latte, e/o da carne (allevamenti intensivi), nel settore dell’allevamento
129
L’inseminazione strumentale è una tecnica di riproduzione avanzata, che ci permette sia di
conoscere con esattezza la genealogia (madre, padre ecc.) del neonato, sia di ridurre enormemente il
n° di riproduttori, a tal punto che il seme di pochi e selezionati maschi è sufficiente per servire più
Il primo di ordine economico dovuto alla riduzione e/o assenza di maschi in allevamento, il secondo
di tipo genetico poiché con la riduzione del n° di riproduttori si accelera il progresso selettivo della
produzione. Tale tecnica però richiede personale altamente qualificato, un laboratorio attrezzato e si
a) Raccolta dell’eiaculato, che viene eseguito con l’ausilio di una vagina artificiale, alla cui
la femmina della stessa specie del maschio. Per la raccolta, si porta il maschio dalla
femmina e/o dal manichino, provvisto di vagina artificiale e quando il maschio salta sulla
femmina, l’operatore devia il pene nella vagina artificiale ove si deposita l’eiaculato, il cui
b) Valutazione dell’eiaculato; una volta raccolto l’eiaculato esso viene trasferito in laboratorio
dell’inositolo, della glicerofosfato (GPL), quella del K+, Na+, Ca2+, Mg2+ e Cl- così come da
tabella riportata da B. Hafer e E. S. E. Hafer (2000) ed adottate da Lake nel testo di Bell,
130
Caratteristiche e componenti chimici del seme dei maschi di interesse zootecnico
Toro Ariete Verro Stallone Gallo
Volume dell’eiaculato
5-8 0,8-1,2 150-200 60-100 0,2-0,5
(ml)
Concentrazione
nemaspermatica 800-2000 2000-3000 200-300 150-300 3000-7000
(milioni/ml)
Sperma /eiaculato
5-15 1,6-3,6 30-60 5-15 0,06-3,5
(bilioni)
Motilità
40-75 60-80 50-80 40-75 60-80
nemaspermatica
% di nemaspermi
morfologicamente 65-95 80-95 70-90 60-90 85-90
normali
Proteine (g/100 ml) 6,8 5.0 3,7 1,0 1,8-2,8
pH 6,4-7,8 5,9-7,3 7,3-7,8 7,2-7,8 7,2-7,6
Fruttosio 460-600 250 9 2 4
Sorbitolo 10-140 26-170 6-18 20-60 0-10
Acido citrico 620-806 110-260 173 8-53 assente
Inositolo 25-46 7 -14 0 380-630 20-47 16-20
Colina
100-500 1100-2100 110-240 40-100 0-40
glicerofosforilata (GPC)
Ergotionina 0 0 17 40-110 0 -2
Na 225 +/- 13 178 +/- 11 587 257 352
K 115 +/- 6 89 +/- 4 197 103 61
Ca 40 +/- 2 6 +/- 2 6 26 10
Mg 8 +/- 0,3 6 +/- 0,8 5-14 9 14
Cl 174-320 86 260-430 448 147
Bell, Freeman, eds, Physiology and Biochemistry of the Domestic Fowl. New York: Accademic
Press, 1971; and from Foote, Gilbert, Mean values of chemical components (mg/100 ml +/_ S.E.)
unless otherwise indicated.
131
Ovviamente la forma normale degli spermatozoi varia con la specie animale.
c) Fase di preparazione delle dosi da inseminazione: Questa è una fase molto delicata e bisogna
preparazione del “mestruo diluitore” che è una soluzione acquosa contenente tutti i principi
chimici riportati per il liquido spermatico ed avente concentrazioni simili a quelle indicate
nell’eiaculato, con aggiunta però di alcune sostanze (antibiotici) con funzione batteriostatica
(battericida). Il controllo delle concentrazioni dei principi chimici del mestruo riveste
particolare importanza sia per il controllo della pressione osmotica del mezzo sia per la
nutrizione dello spermatozoo che determina poi la sopravvivenza dello stesso, atteso che le
cellule germinali maschili hanno limitate riserve energetiche al loro interno e quindi un
aspettativa media di vita molto limitata, ma, comunque sufficiente per compiere la risalita
delle vie genitali femminili fino all’incontro con l’ovocellula, alla lisi della sua parete ed
all’ingresso nel citoplasma, ovulare, per dare poi inizio alla divisione cellulare che porterà
prima alla formazione dello zigote e poi a quella del feto. Una volta preparato il “mestruo
è di gran lunga inferiore a quella dell’eiaculato, e comunque varia in funzione della specie.
A tal punto, le “paiette” sono pronte per essere impiegate al momento o congelate in azoto
Ovviamente l’impiego della I.S. o I.A., trova il migliore e razionale impiego allorquando si pratica
la sincronizzazione degli estri (S.E.) poiché come in precedenza accennato ci consente anche la
programmazione dei parti in un lasso di tempo relativamente breve (2-5 giorni). Essa consiste
concentrazione di progesterone dipende dal genotipo animale (bovine, pecore, capre ecc.). impianto
che viene rimosso dopo 12 -14 giorni a cui può far seguito una iniezione di gonadotropina serica
(300 – 500 – 1000 U. I.). Il progestageno (progesterone o suoi derivati) ha il compito di arrestare il
132
ciclo sessuale delle femmine trattate nella fase di proestro mentre la gonadotropina scatena l’estro e
l’ovulazione. Al trascorrere del 14° giorno con la rimozione del “pessario vaginale” o
“sottocutaneo” la femmina riprende il ciclo normale. Infatti quasi tutte quelle trattate (ca. 80 %) nel
volgere di 24 – 48 max presentano l’estro (vanno in calore) e quindi pronte per essere fecondate,
fecondazione che può essere fatta con monta naturale (o meglio controllata), oppure può avvenire
descrizione operativa si rimanda ai testi specializzati. La monta naturale può essere fatta liberando
semplicemente 1 o più riproduttori nel gruppo delle sincronizzate, ma con questa pratica si
rischiano dei ritorni di calore (femmine non fecondate) per le cause accennate in precedenza,
oppure organizzando dei box di monta (box eros) con all’interno un solo riproduttore, al quale
vanno condotte una per volta le femmine in estro, le quali una volta fecondate vengono subito
allontanate dal maschio e portate in un recinto all’uopo allestito. la frequenza dei salti (o monte) a
cui un maschio può essere sottoposto giornalmente varia sia con la specie, sia con la razza, che con
il vigore sessuale del soggetto e con la sua età. Con l’accoppiamento, la gestazione che termina con
il parto e con la nascita dei piccoli, inizia la fase di allevamento, che, come avevamo già riportato
può concretizzarsi in tre sistemi. Per completare questo argomento è opportuno definire, altri
L’intervallo parto-monta che è rappresentato dal n° di giorni che intercorre dal parto della fattrice
alla comparsa del 1° estro, varia con la specie e con lo stato nutrizionale delle fattrici. Infatti, basti
ricordare che nella giumenta il primo calore compare dopo 3 – 10 giorni dal parto e dura da 3 a 10
giorni. In questa specie si deve ricordare che l’ovulazione avviene 1 – 2 giorni prima della fine
dell’estro, per cui l’accoppiamento o monta deve avvenire secondo un preciso calendario ovvero a 3
a 5 e 8 giorni dalla comparsa del calore. Mentre nella scrofa (suini) specie ad anaestro da lattazione
il calore compare 3 – 8 giorni dopo lo slattamento (svezzamento) dei lattonzoli il cui allattamento in
allevamento controllato dura circa 30 giorni. Invece nella bovina anche se in lattazione (e/o in
allattamento) l’estro compare dopo 30-50 giorni circa dal parto, anche se per quelle da latte
133
modo da dare il tempo necessario all’utero di ritornare alle normali dimensioni per assumere a
L’interparto non è altro che il tempo (mesi, giorni o anni) che intercorre tra un parto e quello
successivo. Anche questo parametro è dipendente dal genotipo animale (specie e/o razza) indi dalla
durata della gestazione, della lattazione e dallo stato clinico nutrizionale della fattrice. Infatti,
l’interparto della giumenta si aggira intorno ai 12 – 13 mesi, quella della bovina da latte risulta di 14
Questi parametri biologici, al pari degli altri precedentemente riportati, a cui sono direttamente
della lattazione (inizio e fine), la quantità di latte prodotto nonché il n° di nati per anno indi il n° di
soggetti da avviare al macello (per la produzione della carne), la quota di rimonta o di riproduzione
che rappresenta il n° di soggetti destinati all’allevamento ed è quasi costante per quasi tutte le
specie allevate escluse le avicole e, mediamente si aggira intorno al 20% della consistenza bestiame
aziendale. Questa quota ovviamente rimpiazza quella di fine carriera ovvero il n° di capi che
annualmente vengono tolti dalla produzione per raggiunti limiti di età in quanto poco produttivi, ed
Altro parametro di rilevante interesse economico aziendale risulta la durata della lattazione, che per
quasi tutti gli ungulati (ruminanti e monogastrici) di interesse zootecnico, varia sia con il sistema di
allevamento sia con la specie. Infatti allo stato brado nei suini dura intorno ai 4 mesi che coincide
poi con la durata dell’allattamento, nei bovini dura circa 8 – 10 mesi, e negli ovicaprini 4 – 5 mesi.
Mentre nei suini in allevamento controllato, intensivo e/o semi-intensivo, l’allattamento dura max
30 d, negli ovicaprini max 50 – 60 d (produzione di soggetti da latte), nelle bovine da latte giusto la
fase colostrale (1 – 5 d) poiché subito dopo i vitelli vanno in allattamento artificiale. Dopo la fase
di colostrale o di allattamento, le bovine, le pecore o le capre passano alla produzione del latte. La
lattazione che rappresenta tutto il periodo di produzione del latte a partire dopo la fase colostrale,
negli allevamenti ovi-caprini e bovini ha una diversa durata. Infatti nelle bovine da latte la
lattazione convenzionale dura 305 giorni, a partire dal 5° giorno dal parto, mentre nelle pecore e
134
nelle capre, sempre dal 5° giorno la lattazione varia da 150 - 220 giorni. La lattazione presenta un
andamento curvilineo, infatti la quantità di latte prodotto aumenta a partire dal 2° giorno dal parto
per raggiungere il massimo della produzione intorno al 2°-3° mese per poi decrescere gradualmente
fino all’asciutta (arresto di produzione di latte) che si verifica 2-3 mesi prima del parto successivo.
Curva di lattazione
135
Cap. 6 Le principali razze animali da carne
Come già accennato, la produzione della carne deriva dalla macellazione di diverse specie animali
sottoposte ad allevamento e sacrificate a precise età dopo un periodo più o meno lungo di ingrasso.
Ovviamente la capacità di produrre carne dipende come più volte detto dal genotipo animale (specie
e/o razza) per cui, nell’ambito delle diverse specie è utile riportare delle notizie su quelle razze
animali a prevalente attitudine alla produzione della carne allevate in Italia e/o utilizzate come razza
illimitatamente fecondi tra loro e caratterizzati al loro interno da un insieme di caratteri morfo
Per semplicità di esposizione , anche se oggigiorno a causa sia di un mercato sempre più
globalizzato sia di una tecnologia di allevamento sempre più perfezionata che rendono difficoltosa
una qualunque classificazione, le razze in base alla capacità di espandersi e/o conquistare nuovi
territori, possono essere suddivise in topolite e/o autoctone e in cosmopolite e/o alloctone; oppure in
base alla culla o area geografica continentale, in Europee, Americane, Asiatiche, medio-orentali,
Tra le principali razze italiane da carne e/o prevalente attitudine alla produzione della carne si
italiane anche se prevale di gran lunga la produzione del latte si ricorda la Bruna Alpina, per la
buona capacità produttiva dei suoi vitelloni. Le prime cinque razze sono promosse e difese dal
consorzio 5R, esse derivano tutte dalla Podolica dalla quale sono state ottenute con un sapiente e
profondo lavoro di selezione, a queste nostre pregiate razze, si aggiungono quelle di provenienza
estera come la Limousine, la Charolaise francese, l’Ereford anglo americana, la Blu Belga, bovini
dalla gobba o zebù del centro e sud America (Brasile e Argentina in particolare) ed altre di cui
136
CHIANINA, Il Bovino Chianino per la sua mole è considerato la gigante della specie
Utilizzazione e/o impieghi seme dei tori Chianini è utilizzato nell’I.S. per
137
MARCHIGIANA
ibridi (F1)
139
ROMAGNOLA
141
PODOLICA
Tra 900 e 1200 nei maschi e fra 700 e 900 gr/d nelle
Accrescimenti medi giornalieri
femmine
Resa di macellazione Intorno al 56-60 % nei maschi e fra i 50-55 % nelle femmine
scamorze.
142
Foto da www.uniba.it/ricerca/dipartimenti/produzioneanimale/ricerca-
scientifica/foto_scanzano_045.jpg/view
particolarmente frugale, rustica e adattabile ai diversi ambienti pedoclimatici. Non presenta alcuna
anche di quelli delle aree marginali. Il suo principale sistema di allevamento è quello brado e/o
143
LIMOUSINE
Area di maggior allevamento Francia (provincia di Limoges) dal clima continentale rigido
a) nascita 35-45
b) svezzamento 250-350
c) macellazione 450-550
144
Toro di razza Limousine da www.ruggenenti.it/L%20arazza%20limousine.htm
ALTRE NOTIZIE UTILI: Rustica, adattabile a qualunque sistema e/o ambiente di allevamento.
E’ allevata con ottimi risultati anche in Italia in diverse regioni. ottimi nuclei si trovano in Basilicata
(PZ) i quali sono allevati allo stato semibrado e/o brado stanziale e/o transumante. La transumanza è
di tipo verticale.
Bibliografia
www.agraria.org/razzebovinecarne/limousine.htm
www.bovinilimousine.com
145
BLEU BELGA
e) nascita 40-45
f) svezzamento 250-350
g) macellazione 450-600
latte e non
146
Toro di razza Bleu Belga da
www.agraria.org/razzebovinecarne/blancbleubelga.htm
ALTRE NOTIZIE UTILI: Presenta problemi al parto (50% tagli cesarei). In Italia i tori sono
impiegati nella produzione degli ibridi F1. Nelle regioni caldo-aride la razza e anche gli ibridi, mal
si adattano all’allevamento brado e/o semibrado. per questo quasi tutti i prodotti di incrocio sono
allevati a regime stallino. Il toro Bleu Belga e il suo seme si consiglia di utilizzarlo per fecondare
Bibliografia
www.agraria.org/razzebovinecarne
147
ABERDEEN ANGUS
i) nascita 35-42
j) svezzamento 250-350
k) macellazione 450-550
soggetti da macello
148
Toro di razza Aberdeen Angus da www.agraria.org/razzebovinecarne
ALTRE NOTIZIE UTILI: E’ diffusa in tutto il mondo, ottima adattabilità al pascolo, resistente alle
verminosi, presenta un’alta facilità al parto. La vacca è dotata di buona fertilità e longevità. Poco
allevata in Italia. Il seme dei tori Angus è utilizzato per la fecondazione di vacche matricine e/o di
Bibliografia
www.agraria.org/razzebovinecarne
http://it.wikipedia.org/wiki/Aberdeen_Angus
149
CHAROLAISE
m) nascita 45-50
n) svezzamento 200-300
o) macellazione 400-650
150
Toro di razza Charolaise da www.agraria.org/razzebovinecarne
ALTRE NOTIZIE UTILI: Per la sua rusticità, per l’ottima produzione di carne anche di qualità, per
la sua facile capacità di ambientamento è diffusa in molti paesi europei ed extra europei (razze
alloctone). E’ diffusa anche in Italia: razza fertile e feconda. Nella produzione degli F1, a causa
della grandezza del cranio dei vitelli può creare difficoltà al parto e per questo si consiglia di
utilizzare il seme di tori Charolaise solo su vacche matricine e/o di fine carriera di non elevato
valore genetico e/o economico. In Basilicata (Pz) esistono dei nuclei allevati in purezza.
Bibliografia
www.agraria.org/razzebovinecarne
http://it.wikipedia.org
151
HEREFORD
Uniti
q) nascita 35-40
r) svezzamento 250-350
s) macellazione 400-550
152
Toro di razza Hereford da www.agraria.org/razzebovinecarne
ALTRE NOTIZIE UTILI: La razza presenta pochissimi problemi al parto, dotata di buona fecondità
e fertilità è particolarmente adatta ai sistemi estensivi o semiestensivi. Per la facilità al parto, per
l’ottima attitudine al pascolamento e all’allevamento brado e/o semibrado può essere utilizzata con
successo nella produzione degli F1 con le razze autoctone, così come avvenne nelle americhe
Bibliografia
www.agraria.org/razzebovinecarne/hereford.htm
153
BOVINI ZEBUIDI
Area di maggior allevamento Brasile, Argentina, paesi africani e del sud-est asiatico
Età di macellazione (mesi) 12-15 come animale sacrificale e 18-20 come soggetti da carne
Utilizzazione o impiego Carne - nei paesi in via di sviluppo anche lavoro e latte
quantità di latte.
ALTRE NOTIZIE UTILI: E’ un bovide che nella stragrande maggioranza dei casi è caratterizzato
da un grande accumulo di grasso al livello del garrese, da una giogaia abbastanza pronunciata, da
una pagliolaia alquanto sviluppata, da orecchie grandi e pendenti e da corna di varie forme e quasi
154
sempre diverse dai bovini europei. Il suo mantello poco spesso e rado lo rende poco adatto ai climi
freddi; infatti la sua area di diffusione è rappresentata dalle nazioni centro-sud americane (Brasile
ed Argentina) e da quelle tropicali e sud tropicali dell’Africa e dell’Asia. Dall’incrocio con i bovini
europei si ottiene una prole interfeconda, ed i loro ibridi (F1 in particolare) presentano un eccellente
malattie. In questi bovidi sono presenti numerose razze con aspetti produttivi quanto-qualitativi
diversi. In India (Indù) sono animali sacri. Per altre popolazioni (asiatiche e africane) sono animali
di sopravvivenza poiché capaci non solo di produrre accettabili quantità di latte e di carne, ma di
essere utilizzati ancora con successo nei lavori agricoli e nel tiro medio-leggero lento. A causa delle
diversità razzologiche, i parametri produttivi e biologici sono molto variabili per cui, anche per la
non incisiva importanza per l’economia delle Nazioni Occidentali Europee e Mediterranee si
Bibliografia
www.agraria.org
http://it.wikipedia.org
www.mille-animali.com/animali/mammiferi/zebu.php
155
Cap. 7 L’ALLEVAMENTO
7.1 I BOVINI.
Come già accennato in precedenza, la produzione della carne deriva dalla macellazione dalle
diverse categorie e specie animali; quella bovina si ottiene dalla macellazione: dei vitelli lattanti di
5-6 mesi di vita (vitelli a carne bianca) di 250-350 Kg p.v., dei vitelloni leggeri dal peso di 400-500
kg, dei vitelloni pesanti di 600-800 kg; dei castrati o manzi dal peso di 450-800 Kg; dalle giovenche
da ingrasso dal peso di 350-450 Kg; dalle scottone vitelle sessualmente mature ma mai coperte,
In generale, prima di avviare alla macellazione un qualunque animale esso deve essere “preparato”
“maturo” ovvero deve raggiungere il giusto rapporto magro/grasso affinché presenti carcasse di
buona qualità e carni sapide, succulenti, tenere, dal buon valore biologico e capaci di soddisfare le
esigenze del consumatore. Per questo essi vanno sottoposti ad ingrassamento per il tempo
In realtà l’allevamento del vitello destinato alla produzione della carne, si effettua in due fasi, quella
allevamenti di razze lattifere, la cui produzione principale è rappresentata dal latte, il vitello viene
allontanato dalla madre subito dopo il parto ed al quale viene somministrato il colostro (materno o
di stalla al secchio o con bottiglia provvista di tettarelle di lattice per 5-8 giorni (tanto dura la fase
colostrale della bovina) per poi essere sostituito da un succedaneo del latte materno sciogliendo in
acqua a 37-38°C 150-200 g di farina lattea in modo da ottenere un’emulsione di grasso, proteine,
zuccheri e minerali dalla concentrazione simile a quella del latte bovino. Tale tecnica viene detta
allattamento artificiale (A.A.) e dura generalmente dai 6 agli 8 mesi a seconda se i vitelli devono
essere macellati come soggetti a carne bianca o se devono essere prima svezzati e poi ingrassati. Il
passaggio dalla alimentazione lattea a quella solida è detta svezzamento. Esso può essere graduale,
o brusco; naturale o precoce. Comunque deve essere fatto quando il rumine, il reticolo, lo stomaco
156
è quello praticato dalle vacche fattrici in allevamento brado o semibrado; in cui il vitello seguendo
la vacca abitua gradualmente il suo apparato digerente ad utilizzare gli alimenti solidi (fieni,
foraggi, erbe ecc.) sia con il progredire dello sviluppo del rumine e dei suoi simbionti (batteri e
protozoi), sia con le modificazioni del sistema enzimatico digestivo dello stomaco ghiandolare e
dell’apparato enterico. Lo stomaco, ghiandolare l’unico presente nei lattanti secerne la chimosina,
che trasforma la caseina del latte alimentare in paracaseinato di calcio, che precipita e si rende
attaccabile dalla pepsina gastrica prodotta dalle ghiandole del fondo gastrico sotto forma di
pepsinogeno (inattivo) ed attivato in pepsina dall’HCl in esso presente. La pepsina con la sua
insieme agli altri principi nutritivi passano nell’intestino dove subiscono l’azione dei secreti biliari
(azione batotona sui grassi), degli enzimi pancreatici (polipeptidasi, lipasi, amilasi) e di quelli
aminoacidi, i monosi, i pentosi, gli acidi grassi ecc. rendendoli assorbibili dai villi intestinali per
finire nel torrente sanguigno prima, ai tessuti ed alle cellule poi, per alimentare quel complesso di
attività metaboliche (anabolismo e catabolismo) dell’essere vivente. Con il progredire dell’età del
neonato, si ha il graduale sviluppo dei prestomaci e del rumine, (che nei vitelli risulta completo tra 8
e 10 mesi di vita) e della sua infestazione batterica e protozoaria, capace di fermentare la cellulosa
delle pareti delle cellule vegetali rendendo disponibili i contenuti endocellulari per tutti i processi
biologici (mobilizzazione delle proteine) e digestivi. Stesso fenomeno si verifica per i soggetti in
A.A. purché vengano messi a loro disposizione dal 2° - 3° mese alimenti solidi (fieno, concentrati,
acqua ecc.). All’età di 8 - 10 mesi del vitello, la vacca, per altro quasi sempre gravida, e per
l’avvicinarsi dell’asciutta e del nuovo parto, riduce drasticamente il numero delle poppate
bruscamente il vitello dalla madre all’età prestabilita (8-9 mesi) senza consentirgli nessuna poppata.
Mentre quello precoce consiste nell’allontanamento del vitello dalla madre ad una età più giovane
in genere 5 - 6 mesi. Ma quando si attua tale pratica è necessario fornire al vitello per circa 60 - 90 d
157
una giusta dieta di transizione o di svezzamento, per poi passare al razionamento da ingrasso,
L’ingrasso dei vitelli, viene generalmente praticato a regime stallino a posta libera o in recinti a
abbeveratoi. In entrambi i casi i vitelli sono liberi di muoversi e comunque di praticare una adeguata
e benefica ginnastica funzionale, in più in quella a cielo aperto si associa il favorevole effetto sul
benessere animale e sulla qualità della carne dell’utilizzo dei pascoli, che incide favorevolmente
anche sul costo finale del prodotto. Per quanto concerne le dimensioni delle stalle e/o dei recinti di
158
7.2 I SUINI
Anche per i suini per la suddivisione razzologica vale quanto detto per i bovini. La produzione di
carne suina deriva per la stragrande maggioranza da allevamenti a completo regime stallino ove
sono allevati suini di razze di provenienza estera come la Larghe White, la Landrace, la Petrain, la
Duroc ecc. e solo in minima parte da allevamenti rurali semiestensivi e/o ecocompatibili delle aree
interne e/o marginali che utilizzano genotipi autoctoni come la Cinta senese, la Mora, il Nero di
Puglia, di Lucania, di Calabria, dei Nebrodi e/o di Sicilia. Trattasi di genotipi autoctoni
particolarmente rustici, frugali, dotati di discreta prolificità, buona fertilità e fecondità, capaci di
accettabili prestazioni produttive ma di alta qualità. Per non appesantire la trattazione con notizie
zoognostiche, biometriche e sui parametri biologici dei diversi genotipi suini presenti sul mercato,
si riportano i dati solo per quei gruppi etnici di maggior interesse economico - produttivo. I dati
riportati nelle schede che seguono, servono per comprendere meglio l’importanza e l’origine della
produzione, anche perché, l’aspetto inerente la valutazione della qualità delle carcasse e delle carni
che interessa il trasformatore è stato già trattato in precedenza. In realtà, la dipendenza dell’aspetto
qualitativo del prodotto dai fattori di variabilità (allevamento, alimentazione ecc.) come già
accennato è meno marcato, rispetto a quello quantitativo, ove essi hanno un’azione più incisiva ed
evidente. Per questo basti pensare all’influenza dell’alimentazione (come quantità e qualità) sulla
velocità di accrescimento, sull’adiposità delle carcasse, sulla produzione quantitativa del latte, delle
uova, sull’indice di conversione alimentare ecc. Per questo, per i suini, si ritiene utile riportare
almeno per sommi capi notizie utili sia sui sistemi di allevamento sia sulla loro alimentazione.
Come già accennato i sistemi di allevamento dei suini sono di tipo intensivo-stallino e semi-
intensivo o semibrado. Il primo intensivo-stallino è quello a tutt’oggi più praticato, da cui deriva la
stragrande produzione di carne, e che negli ultimi tempi si è evoluto ad impresa di tipo industriale,
al pari degli allevamenti avicoli e cunicoli, tutti facenti parte degli allevamenti animali “senza terra”
ed inquadrati in attività industriali. In realtà i sistemi di produzione suinicola sono sia a ciclo aperto
159
Nel ciclo aperto si attuano solo una o due fasi di allevamento come la riproduzione, l’ingrasso. Nel
caso di un allevamento in cui si pratica la sola fase di riproduzione, la struttura produce soggetti
lattonzoli e/o suinetti svezzati o magroncelli per poi cederli ai cosiddetti centri di ingrasso. In questo
tipo di allevamento troviamo solo scrofe e/o scrofette (quota di rimonta) da riproduzione e verri e/o
razionali, in cui le condizioni ambientali (climatiche T, UR, ricambi aria, ecc.) sono severamente
controllate (T 18-20 °C; UR 65-70 % c.a., 5-6 m3/ora come ricambio di aria ecc.). Questa tipologia
di allevamento può praticarsi anche in un solo locale, purchè di giuste dimensioni. In genere esso è
1) Attesa calore - fecondazione o centro “eros” il quale è suddiviso in box, alcuni riservati ai
verri, gli altri alle scrofe, provenienti sia dal settore maternità, dopo lo svezzamento dei
lattonzoli sia dal settore quota di rimonta (scrofette al primo accoppiamento). Si ricorda però
che i verri devono essere alloggiati in box singoli, e sono le femmine in estro che devono
2) Una volta fecondate le femmine vengono alloggiate nei box del reparto di gestazione, ove
trascorrono l’intero periodo di gravidanza (che dura 114 - 116 giorni) e 7 - 8 giorni prima
del parto vengono spostate nelle gabbie parto del reparto di maternità.
allontanati bruscamente dalle scrofe (slattati e/o svezzati) e trasferiti nei box del reparto
svezzamento, ove sosteranno per circa 60 giorni per poi essere venduti e/o trasferiti ai centri
di ingrasso.
4) Una parte degli svezzati, viene allevata come quota di rimonta (pari al 20% delle femmine
e/o dei verri accasate/i) sarà trasferita nel settore rimonta ove resteranno per tutto il periodo
razza) quando saranno spostate nel reparto “eros”, insieme alle scrofe provenienti dalla
160
Per il calcolo dei posti scrofe e/o dei soggetti in allattamento è utile far riferimento alle formule
Infatti il n° di dei posti-scrofe del settore “eros” (PF) è calcolabile dalla formula:
In cui
S = n° di scrofe presenti
Po = Tempo di sosta delle scrofe nel settore (svezzamento, fecondazione, più il periodo che le
1,1 è il cosiddetto fattore correttivo di sicurezza e/o di elasticità pari a circa il 10%
Quello del settore gestazione, che di fatto è a base di box collettivi e/o gabbie individuali, a seconda
della scelta dell’imprenditore, per il calcolo del n° di posti PG, si utilizza la precedente formula in
cui Po (periodo di occupazione) coincide con la durata della gestazione (114 - 116 giorni), detratti
∙ ∙
PG = Posti Gestazione P0 = 114-116 d ∙ 1,1
Mentre per il calcolo dei posti del settore maternità, in cui le fattrici sostano per pochi giorni “ant
sanitario. Questi posti-strutture generalmente sono le cosiddette “gabbie parto” che consentono la
convivenza di soggetti di mole (scrofe di 300-400 Kg) diversa (suinetti e/o lattonzoli di 1 - 20 Kg),
(necessaria ed essenziale ai lattaroli per le prime due settimane di vita) distributori differenziali di
mangime (pre-starter per i lattonzoli a partire dal 15° giorno di vita; e miscele per allattamento delle
161
ove
ove vi rimarranno fino al momento della vendita o al loro trasferimento nel reparto ingrasso o al
loro eventuale trasferimento in quello dei riproduttori. Esso può disporre di box a terra, e/o di
gabbie sopraelevate e/o di gabbie flat - tecto, e, per calcolare il n° dei posti si può usare la formula:
ove
Il settore rimonta, ospita le femmine della quota di rimonta (pari al 20% della consistenza delle
scrofe accasate) proveniente dallo svezzamento e vi sostano fino al trasferimento nel settore di
attesa fecondazione (eros) per essere fecondate per la prima volta. Per il calcolo dei posti scrofa di
il cui risultato va maggiorato del 15 - 20 % di posti, in relazione alle scrofette che possono essere
scartate prima della monta, le quali vengono avviate al macello previo un breve periodo di ingrasso
in appositi box.
162
Tenendo conto che il n° delle scrofe che momentaneamente vengono scartate o riformate dopo il 5°
parto, si aggira intorno al 20% delle consistenza delle femmine accasate, un pari numero di scrofette
Se un allevamento fosse così organizzato, sarebbe a ciclo aperto e destinato alla produzione di
soggetti da macello e/o da riproduzione a seconda del genotipo animale presente e utilizzato in
allevamento.
Un altro allevamento a ciclo aperto, sarebbe quello in cui si pratica solo la fase di ingrasso dei suini,
i quali a fine ciclo vengono venduti ai macellatori. Questa tipologia è sicuramente la più semplice e
la meno impegnativa, in quanto può essere praticata in un solo capannone suddiviso in box multipli,
corsia di servizio per la distribuzione degli alimenti. Per il calcolo dei posti si può utilizzare la
formula:
Ovviamente per quanto concerne i dati tecnici di costruzione, i relativi modelli e/o soluzioni tecnico
operative si rimanda il tutto ai testi di costruzioni rurali ed alla letteratura del settore.
A prescindere dalla tipologia del ciclo e del sistema di allevamento, va sempre previsto e/o
considerato sia un reparto a “se stante” con funzione di quarantena ed infermeria, sia un deposito
attrezzi; nonché un magazzino scorte alimentari, uno spogliatoio per il personale di servizio, i
servizi igienici, uffici, cella frigorifera (per depositare eventuali carcasse ecc.).
L’altra tipologia di allevamento detta a “ciclo chiuso” che oltre a praticare lo svolgimento di tutte le
fasi anzi citate può prevedere sia la macellazione dei soggetti, sia la trasformazione delle carcasse in
prodotti (prosciutti, insaccati ecc.) sia la vendita al pubblico delle carni fresche e/o trasformate.
Questo sistema, anche se sicuramente più impegnativo dal lato tecnico economico operativo in
quanto prevede non solo sostanziosi investimenti strutturali (capannoni, mattatoi, celle frigo, sale di
163
trasformazione ecc.) ed impiego di una manodopera altamente qualificata e differenziata (allevatori,
certamente più conveniente, poiché dalla filiera vengono eliminati non pochi passaggi (come gli
devono sempre e comunque ottenere un guadagno per il proprio lavoro, che ad ogni passaggio il
costo del prodotto incrementa, il tutto a scapito dell’allevatore prima e del consumatore poi. Con
l’applicazione del ciclo chiuso o integrato che dir si voglia, si accorcia la filiera, si realizza in un
certo qual modo il km zero, si standardizzano i costi, ed il prodotto finito diventa sicuramente più
tracciabile e rintracciabile poiché tutte le fasi produttive e di trasformazione sono raggruppate nello
stesso spazio e in un arco temporale sicuro e definito con ovvi vantaggi del consumatore che potrà
godere di un prodotto più sicuro e di qualità certificata, a costi standard. Inoltre come già accennato
in precedenza, una minima quota di produzione suinicola, deriva da una tipologia di allevamento
che sino agli anni 50 era abbastanza diffuso che è stato sostituito di fatto da quello intensivo -
intensivo e/o di tipo ecocompatibile, che negli ultimi tempi, a causa sia delle mutate esigenze socio-
economiche dei consumatori, sia per la maggiore attenzione che essi pongono alla relazione tra
nutrizione e salute che di fatto li portano ad orientarsi verso alimenti genuini, salubri e di qualità, a
cui si aggiungono le attenzioni verso il benessere animale e le esigenze di gestione e protezione del
allevamento, che impiegavano e impiegano tuttora quei genotipi animali autoctoni rustici, frugali,
mediamente precoci, dotati di una discreta prolificità, capaci di accettabili produzioni ma di alta
qualità. Questo tipo di allevamento una volta generalizzato sul territorio Italiano ed Europeo oggi si
pratica nelle aree interne a produttività marginale della media-alta collina e/o della bassa-media
montagna della catena appenninica e coinvolge anche le aree interne montane e sub-montane delle
numerosità variava e varia tuttora in relazione all’estensione aziendale e, all’interno di queste, alle
164
superfici boschive e/o pascolative e alla disponibilità di sorgenti o punti acqua. La cui consistenza
variava e/o varia da pochi capi ( 1 - 2 scrofe a 100 e più fattrici) ed era così organizzato:
La “morra” o gruppo di scrofe fattrici (primarecce, matricine e scrofette da rimonta) che di giorno
erano e/o sono tenute al pascolo (bosco, prati, coltivi pst-raccolta) con rientro serale nei ricoveri.
Questi una volta erano costituite da grotte sotterranee scavate in zone “tufacee” e/o di rocce
“arenaria” facilmente modellabile e puntellabile (con le stesse tecniche usate per le gallerie), oggi,
però fatti da locali vecchi ma riadattati o all’uopo progettati e/o costruiti, ove gli animali possono
ricevere un integrazione alimentare serale e non solo nei periodi avversi, ma anche per facilitarne il
raduno serale di tutti i soggetti (riflessi condizionati). A questo gruppo di femmine si sommavano
un certo numero di verri (1 ogni 20 - 25 femmine) che venivano “imbrancati” nel periodo delle
monte. Ovviamente le “grotte ricovero” e/o i locali (porcilaie) così come quelli di tipo intensivi
precedentemente descritto erano suddivisi in reparti e/o box singoli (per le scrofe partorienti) ed in
stalletti e/o box collettivi per gli svezzati, per i magroncelli e/o i magroni e per l’ingrasso.
All’approssimarsi del parto, (8- 10 giorni prima dell’evento) le scrofe venivano e/o vengono
alloggiate nei relativi box che insieme alla prole vi restavano e/o restano fino alla 4°- 6° settimane
post-partum. Dall’ottavo giorno dal parto la/e scrofa/e di giorno seguivano/seguono la morra al
pascolo e al rientro serale (facilitata dalla voglia di riunirsi alla prole rimasta in box)
formata da orzo in granella, mais, favino e quando disponibile da siero del caseificio aziendale
(questo la mattina all’uscita dal ricovero). Con tale pratica, anche i lattonzoli (suinetti) subiscono
uno “svezzamento” graduale, in quanto già dalla 2° settimana iniziano per imitazione della madre a
consumare l’alimento solido. In questo tipo di allevamento lo slattamento e/o svezzamento dei
suinetti avviene tra la 7a - 6a settimana, quando vengono completamente separati dalla/e madre/i,
la/e quale/i entro otto dieci giorni va/vanno in “calore” (presenta/no l’estro) allorché viene/vengono
parti/anno/scrofa. Tutti i suinetti, svezzati, i cui maschietti (per evitare gravidanze indesiderate)
venivano e tuttora vengono castrati o quando sono sotto scrofa (prima settimana di vita) oppure tra
165
il 60° - 90° giorno. Questi poi, costituiscono un gruppo o “morra” (o di magroncelli e magroni) a
parte, che fino a 7 - 8 mesi di vita una volta superata la fase di magroncello e di magrone, per un
appositi locali con diete a base di miscugli e/o miscele e/o di mangimi composti integrati
d’ingrasso, gli animali venivano/vengono venduti alle famiglie rurali contadine, e ai macellai, per la
vendita diretta delle carni e ai macellatori trasformatori per la produzione di prosciutti, insaccati ed
A fianco a quest’ultimo tipo di allevamento resiste ancora quello di tipo rural-contadino e/o di tipo
famigliare che consiste nell’ingrassare uno o più soggetti (max 3-4) magroni e/o magroncelli
(acquistati dai riproduttori) per la produzione di quella miriade di prodotti di altissima qualità
Senza voler entrare nei dettagli della Etnografia Zootecnica in modo molto sintetico ed in apposite
166
LARGE WHITE
Area di maggior allevamento In tutto il mondo
Inghilterra. Contee di York, Lincon e Norfolk.
Origini Deriva da Suini locali incrociati con riproduttori
cinesi e siamesi
Accrescimenti giornalieri gr/d 600 - 800
n° nati per parto 10 - 12
n° di lattonzoli svezzati/anno 20
n° parti per anno 2 – 2,2
Pesi vivi alla nascita (Kg) 0,800 - 1,200
Pesi vivi allo svezzamento(Kg) 25 - 30
Pesi vivi alla macellazione Kg) 70 - 90, 150 -180
Pesi vivi adulti (Kg) 400 (scrofe) 500 (verri)
Età di macellazione (mesi) 6 - 8, 10 - 12
Età di svezzamento (giorni) 30 giorni max (allev. Industriale)
Età 1° accoppiamento e relativo peso 8 - 9 mesi 90 - 100 Kg
Resa di macellazione 80 - 85 %
Tipologia di allevamento Stallino
Allevata in purezza ed utilizzata come razza
Utilizzazione incrociante per il miglioramento delle razze
locali
Pubertà (età, mesi) 6 - 8 mesi
carne (sia in purezza che incrociata) Si presta
Indirizzo produttivo molto bene per la produzione del suino pesante
(>150 Kg) italiano da destinare al salumificio
Carcasse di suino leggero (80-90 kg) da
macelleria per il consumo diretto
Produzione tipica Carcasse di suino pesante (>150 Kg) per
l’industria di trasformazione
Prosciutti (Parma, S. Daniele ecc.) Insaccati
Aspettativa utile media di vita in allevamento 3 - 4 anni max (poi avviato al macello)
results.html
ALTRE NOTIZIE UTILI: E’ una razza, che ha dato origine a diverse altre razze con caratteristiche
167
LANDRACE
Danimarca e in quasi tutto il mondo.
Area di maggior allevamento
Cosmopolita come la Large White
1870 - 1915 come prodotto di incrocio tra verri
Origini Large White e scrofe Danesi, meticciamento e
selezione
Accrescimenti giornalieri gr/d 800 - 1100
n° nati per parto 10 - 14
n° di lattonzoli svezzati/anno 20-22
n° parti per anno 2 – 2,5
Pesi vivi alla nascita (Kg) 800 - 1200
Pesi vivi allo svezzamento(Kg) 25 - 35
Pesi vivi alla macellazione Kg) 80 - 90 e 150 - 180
Pesi vivi adulti (Kg) 300 - 400 (scrofe), 400 - 500 (verri)
Età di macellazione (mesi) 7 - 9 e 12 - 14
Età di svezzamento (giorni) 30
Età 1° accoppiamento e relativo peso 8 - 9 mesi e 90 - 100 Kg
Resa di macellazione 80 - 85 %
Tipologia di allevamento Stallino, ciclo chiuso e/o ciclo aperto
Come razza incrociante per migliorare la
Utilizzazione produttività di ceppi autoctoni e per la creazione
di marche industriali
Pubertà (età, mesi) 6-8
Indirizzo produttivo carne
Carcasse di suini leggeri per la macelleria
Produzione tipica Carcasse di suini pesanti per il salumificio
Prosciutti, insaccati e altro
Aspettativa di vita utile media di allevamento 3 - max 4 anni (poi riformato)
ALTRE NOTIZIE UTILI: Classico suino a siluro. Suino cosmopolita, presenta caratteristiche
morfologiche diverse a seconda della nazione di allevamento. La scrofa presenta non meno di 12
capezzoli. La selezione da tempo mira ad eradicare la sindrome P.S.E., anche se non è possibile
168
SUINI NERI DELL’APPENNINO CENTRO MERIDIONALE
Nero di Puglia, Nero di Lucania, Nero di
Gruppi etnici e/o razze popolazioni
Calabria e di Sicilia
Area di maggior allevamento Sud-Italia, Puglia, Lucania, Calabria e Sicilia
Variabili con il genotipo, il sistema di
Accrescimenti giornalieri gr/d
allevamento 300-600
n° nati per parto 6-8
n° svezzati per parto 6,5-7,5
n° parti per anno 2- 2,2
Dipendono dal genotipo e/o raggruppamento
Pesi vivi alla nascita (g) accrescimenti medi etnico razzologico e dal sistema di allevamento
giornalieri 700-900
Pesi vivi allo svezzamento(Kg) 15 -20
Pesi vivi alla macellazione Kg) 90-160
Pesi vivi adulti (Kg) 100-180
Età di macellazione (mesi) 9-15
Età di svezzamento (giorni) 30
Età 1° accoppiamento e relativo peso 10-12 3/4 di quello di un adulto
Resa di macellazione Intorno 78-85%
Stallino, semi brado ma i genotipi sono
particolarmente adatti all'allevamento estensivo,
Tipologia di allevamento
per la loro alta capacità di pascolamento e
esempio per la resistenza agli eritemi solari.
Allevata con sistema semi brado, per l'utilizzo
Utilizzazione
dei pascoli, del sottobosco e dei relativi frutti
Pubertà (età, mesi) 7-9
Indirizzo produttivo Carne
Carcasse di qualità, per la produzione di
Produzione tipica insaccati, di prosciutti e di trasformati tipici dei
luoghi di allevamento
169
PIETRAIN
Area di maggior allevamento Francia ed Europa
Dall'incrocio tra la Baycaux, con suini
Origini Berkeshire e Tamwort inglesi e successivo
meticciamento e selezione
Accrescimenti giornalieri gr/d 400-600
n° nati per parto 10-12
n° di lattonzoli svezzati/parto 8,5
n° parti per anno 2 – 2,5
Pesi vivi alla nascita (g) 700-1000
Pesi vivi allo svezzamento(Kg) 20-25
Pesi vivi alla macellazione Kg) 80-90
Pesi vivi adulti (Kg) media maschi 180-250
Età di macellazione (mesi) 6-8 max 10
Età di svezzamento (giorni) 30
Età 1° accoppiamento e relativo peso Otto-nove mesi 80-90 kg
Resa di macellazione 80-87%
Tipologia di allevamento Stallino, intensivo
Utilizzata nella formazione di molti ibridi
Utilizzazione europei per la produzione di carcasse suine da
macelleria
Pubertà (età, mesi) Sei-otto mesi
Indirizzo produttivo Carne
Carcasse carnose di qualità, da macelleria per il
Produzione tipica
consumo diretto
Aspettativa utile media di allevamento Tre max quattro anni poi riformati
N.B. Per la descrizione morfologica della razza è sufficiente osservare le foto.
ALTRE NOTIZIE UTILI si distinguono ceppi Francesi, Belgi tutti ottimi per la produzione del
suino leggero. Alla presunta moderata velocità di accrescimento presenta come particolarità la
ipermuscolarità del treno posteriore che si concretizza nel carattere della “doppia groppa” o
“coulard”. Nei suini Piètrain è tutt'oggi frequente la P.S.E., che ha determinato in Italia l'esclusione
della razza pura nella produzione del suino pesante da destinare all'industria di trasformazione.
Rispetto alla Landrace ed alla Large White presenta una superiore carnosità del 6-8%. Rispetto alla
mole presenta un cuore non proporzionato che sembra sia causa di decessi per collasso
cardiocircolatorio quando l'animale viene sottoposto a stress.
170
HAMPSHIRE
Area di maggior allevamento Stati Uniti
Da razze europee giunte nel continente
Origini
americano a seguito dei coloni
Accrescimenti giornalieri gr/d
n° nati per parto 10-12
n° di lattonzoli svezzati/anno 20
n° parti per anno 2
Pesi vivi alla nascita (g) 600-800
Pesi vivi allo svezzamento(Kg) 18-25
Pesi vivi alla macellazione Kg) 80-90
Pesi vivi adulti (Kg) 200-300
Età di macellazione (mesi) Sei-otto
Età di svezzamento (giorni) 30
Età 1° accoppiamento e relativo peso 9-10; 80-90
Resa di macellazione 80-85
Tipologia di allevamento Semibrado - Stallino
Generalmente allevata in purezza o incrociata
Utilizzazione per la produzione del suino leggero. Si presta
bene all'allevamento estensivo
Pubertà (età, mesi) Sei-otto
Indirizzo produttivo Carne
Produzione tipica Carne di qualità e magra per il consumo diretto
Aspettativa utile media di vita allevamento Tre-quattro poi riformato
N.B. Per la descrizione morfologica della razza è sufficiente osservare la foto
171
CASERTANA o PELATELLA
Sud Italia ed in particolare nelle province di
Area di maggior allevamento Napoli Caserta Avellino Benevento Salerno e
Frosinone
Origini Antica già nota ai tempi di Roma Imperiale
Accrescimenti giornalieri gr/d 400-500 g/d
n° nati per parto 6-8
n° di lattonzoli svezzati/parto 5-7
n° parti per anno 2
Pesi vivi alla nascita (g) 700-800
Pesi vivi allo svezzamento(Kg) 15-25
Pesi vivi alla macellazione Kg) 80-120
Pesi vivi adulti (Kg) 150-200
Età di macellazione (mesi) 10-12
Età di svezzamento (giorni) 30
Età 1° accoppiamento e relativo peso 10-11 mesi; 70-80 kg
Resa di macellazione 80 - 82%
Stallino, ma una volta estensivo, familiare e/o
Tipologia di allevamento
semi intensivo
Allevata per la produzione della carne e per
Utilizzazione essere incrociata con soggetti di razze più
produttive
Pubertà (età, mesi) 9-10
Carne per l'utilizzazione diretta ma anche per la
Indirizzo produttivo
produzione di insaccati
Produzione tipica Insaccati
Aspettativa utile media di allevamento 6-7 anni
ALTRE NOTIZIE UTILI: Razza autoctona, rustica, resistente dotata di buona fertilità, di discreta
prolificità, e di media mole. La cute grigio ardesia, quasi priva di setole a livello della gola presenta
due protuberanze epidermiche detti “bargiglioni”. Una volta era allevata dai mandriani di Podoliche
che oltre ad alimentarsi del pascolo e dei frutti di bosco (ghiande ecc. ) utilizzavano anche il siero
delle cagliate. La percentuale di carne magra delle carcasse di questa razza non supera il 59-60%.
172
MEISHAN
Area di maggior allevamento Cina
Cina e sud-est asiatico si è evoluta da suini
Origini
locali
Accrescimenti giornalieri gr/d
n° nati per parto 13-16
n° di lattonzoli svezzati/parto 12-14
n° parti per anno 1-2
Pesi vivi alla nascita (g) 600
Pesi vivi allo svezzamento(Kg) 15-20
Pesi vivi alla macellazione Kg) 60-100
Pesi vivi adulti (Kg) 250 le scrofe 200 i verri
Età di macellazione (mesi) Dipendente dalle zone 4-9-12
Dipendente dal sistema di allevamento e dalla
Età di svezzamento (giorni)
zona (da 30 a 120 giorni)
Età 1° accoppiamento e relativo peso Quattro-cinque mesi 40 - 60 kg
Resa di macellazione 78-80%
Tipologia di allevamento Rurale e semi brado
Utilizzata nei programmi di produzione per il
Utilizzazione miglioramento della prolificità e della precocità
di molti ibridi commerciali
Età alla pubertà (età, mesi) Tre mesi le femmine quattro-cinque i maschi
Carne e grasso. Carne magra non oltre il 35%
Indirizzo produttivo
della carcassa di magroncelli
Produzione tipica Carcasse per il consumo diretto
Aspettativa utile media di allevamento n.p.
173
Cap. 8 PRODUZIONI AVI-CUNICOLE O DI ANIMALI DI BASSA CORTE
Fino all’immediato dopo guerra, gli avicoli (polli, tacchini, anatre, oche, faraone ecc.) insieme ai
conigli erano denominati animali di bassa corte, il cui allevamento era complementare alle attività
agro - aziendali e nel caso di produzioni rurali e/o famigliari rappresentavano una scorta di proteine
nobili a costi limitati (uova e carni). Successivamente come per gli altri allevamenti animali si sono
trasformate in vere e proprie attività imprenditoriali di tipo industriale dando luogo agli allevamenti
“senza terra” che hanno dato un forte impulso alla produzione di carni il cui grado di auto-
approvvigionamento negli avicoli supera il 106% e toccato il 99 - 100 % quello dei conigli e della
selvaggina anche se per quest’ultima (selvaggina) il fabbisogno nazionale viene soddisfatto per
sia in ambito rurale-contadino, basato non solo sull’allevamento di galline per la produzione
di uova, ma anche sulla produzione di avicoli (polli, tacchini, faraone ecc.) per sopperire al
della carne e/o delle uova ad ibridi commerciali, (tipo quelli allevati a livello industriale), a
femmine (galline, tacchini, faraone, anatre ecc.) che presentano l’istinto alla cova (chiocce).
Esso è un carattere omozigote dominante autosomico dovuto al gene I , e l’istinto alla cova
si manifesta sia quando è presente sotto forma di omozigote dominante (I I) sia quando è
presente come eterozigote (I i); mentre l’istinto alla cova non si manifesta quando è sotto
forma di omozigote recessivo (i i) così come nel caso delle ovaiole ove la frequenza del
carattere (istinto alla cova I I e I i) per motivi economici, per selezione è stata ridotta quasi a
174
zero in quanto, in queste popolazioni il carattere è sotto forma di omozigote recessivo (i i).
Questi allevamenti, condotti con poca razionalità, praticati sia in recinti a cielo aperto, che in
pollai e/o locali all’uopo riadattati e molte volte condotti insieme ad altre specie come
forniscono alla famiglia una certa e sicura quantità di uova e carne bianca, considerata
tracciabilità. Come si osserva dalle foto in questi allevamenti si possono aggiungere conigli
all’allevamento in colonia.
Come quasi tutti i genotipi autoctoni quelli avicoli le cui femmine sono portatori di geni
responsabili dell’istinto alla cova (I I e I i), presentano una ovodeposizione più contenuta
poiché ai 21 giorni di cova (uova gallina) si deve sommare il 6-100 giorni, periodo questo in
ai cui testi si rimanda per gli eventuali approfondimenti l’allevamento delle specie avicole
per la produzione della carne e delle uova è prettamente di tipo industriale. Esso si basa su:
175
4) incubazione di uova destinate alla produzione di polli da carne (broilers e rosters)
L’allevmento di ovaiole per la produzione delle uova da consumo a parte la tipologia rural-
famigliare contadina appena accennata, generalmente viene praticata con il sistema intensivo sia in
gabbie singole e/o multiple, disposte in piani su sostegni a piramide per evitare alle galline dei piani
superiori di defecare su quelle allocate nelle gabbie dei livelli inferiori, sia a terra con lettiera
attraverso gli autoalimentatori e gli abbeveratoi automatici. L’allevamento in gabbie può essere a
posta singola (una gallina per gabbia) o multipla 3-6 capi per gabbia), in cui la superficie di gabbia
per soggetto si aggira intorno ai 35-40 cmq. La base della gabbia (tutta in rete metallica zincata la
più igienica) è inclinata di 5° per favorire la discesa dell’uovo nel ripiano di raccolta, il quale nei
grandi allevamenti (dai 5000 capi in sù) può essere provvisto di nastro trasportatore che
uova nella sala di lavorazione e stoccaggio dove gli addetti provvedono alla selezione, scarto di
uova non adatte alla vendita, pezzatura delle uova, al loro confezionamento e alla loro distribuzione.
17% di proteina grezza, al 2-3 max 5 % di grasso grezzo, al 2-3 % di fibra grezza, al 6-7 % di ceneri
di cui il 5-6% di Ca (da CaCO3 e da Ca2(PO4)3) e con un contenuto di 2700-2850 cal/ Kg (a secondo
della stagione) di E.M. Questo tipo di allevamento poiché presenta un alto grado di igienicità
dovuto al tipo di gabbia e/o della loro disposizione, è particolarmente adatto per la produzione delle
di vita produttiva utile di una ovaiola non supera quasi mai i due anni. Questo è ascrivibile al fatto
che le galline come tutti gli avicoli tra la fine dell’estate dell’anno successivo a quello della nascita,
vanno in muta ovvero cambiano le vecchie penne per sostituirle con quelle nuove per affrontare
meglio i rigori invernali. In questo periodo la gallina arresta la ovodeposizione, divenendo di fatto
antieconomico il suo mantenimento in allevamento. Inoltre non tutte le galline accasate presentano
176
la “muta” contemporaneamente, bensì lo fanno in modo scalare, aumentando così lo stillicidio
economico, poiché il/i soggetto/i indipendentemente dalla deposizione delle uova mediamente
consuma dai 120 ai 150 gr di mangime al giorno. Però conteggiando i costi di una nuova pollastra,
il suo periodo di non produttività, il suo consumo alimentare e i costi generali di una operazione di
ricambio dalla cui somma vanno detratti i ricavi di una eventuale gallina di fine carriera
(generalmente non superiori ai 1,5 € / capo), molti allevatori propendono per il mantenimento in
allevamento di un altro anno di quelle galline con alle spalle un anno di ovodeposizione. Ma per
evitare lo stillicidio della cosiddetta “muta” dilazionata delle galline, le migliori vengono sottoposti
a programmi di “muta forzata”, che possono basarsi sulla restrizione di mangimi e/o di acqua per un
periodo prestabilito (2-6 giorni). Con questo sistematutti gli animali arrestano la ovodeposizione e
danno inizio alla caduta delle vecchie penne. La sospensione dell’acqua non deve mai superare i 2
giorni, mentre quella della miscela può essere protratta fino al 6° giorno. Dopo il tale periodo viene
ripristinata al distribuzione alimentare. Dopo 8-10 settimane allorché le galline hanno sostituito la
vecchia livrea, inizia una nuova ovodeposizione. La produttività media (uova deposte per 100
galline accasate) delle galline sottoposte a programmi di muta forzata, anche se depongono uova di
pezzatura superiore è inferiore a quella di 1° ovodeposizione (che non supera mai 70 - 75 uova
gr, pezzatura a cui tutti gli allevatori tendono sia per la commerciabilità, sia per comodità di
imballaggio. Pezzature inferiori a 50-55, 45-50 e/o superiori ai 60-65 sono commerciabili a prezzi
produzione di polli da carne (broilers, rosters ecc.) sia in quello delle ovaiole per la produzione di
uova da incubazione.
Nell’allevamento del pollo da carne, l’uso della “batteria” o “gabbie” di qualunque materiale (reti
metalliche, plastica ecc.), comunque disposte (sospese su piani paralleli, su più piani sfalsati) sono
comunque sconsigliati, poiché gli animali sono comunque sottoposti a “stress” con poche possibilità
177
di movimento e spesso per riposarsi, complice il loro peso vivo, con il petto, sono costretti ad
adagiarsi con il petto sul fondo rigido della gabbia; ciò, porta quasi sempre alla formazione di
“vesciconi” a livello della carena (sterno) con deprezzamento della carcassa ed in particolare del
prese per il ricircolo dell’aria, generalmente avviene su lettiera “permanente” a base di paglia o di
segatura o truciolati di legno, che viene rimossa alla fine di ogni ciclo di produzione, allorché il
l’allevamento dei broilers, inizia con l’ingresso dei “pulcini” di una settimana di età nel capannone
Esso è articolato in due fasi, la prima di 4 settimane, in cui vengono alimentati con un mangime
seconda, anch’essa di circa 4 settimane e comunque dura fino alla macellazione. Nella seconda fase
il contenuto proteico della miscela si riduce di un paio di punti % mentre resta più o meno invariato
Con questo sistema, nonostante l’alta densità di allevamento, (6-7 capi mq) gli animali (non essendo
in gabbia) hanno la possibilità di muoversi sull’intera superficie del capannone, con ovvi benefici
sul benessere animale collegati alla possibile “ginnastica funzionale”. Inoltre, i polli, poggiandosi
sulla lettiera (più o meno morbida) o su appositi posatoi e non su una rete rigida, non presentano a
L’allevamento delle galline per la produzione delle uova da incubazione destinate alla
produzione dei broilers e/o per quella delle pollastre “ovaiole per l’uovo da consumo”, inizia con
l’immissione (accasamento) delle pollastre e/o dei galletti di 16 mesi di vita, ad una densità di 5 - 6
capi/mq.
femmine, varia con il genotipo animale (da uova o da carne) e comunque oscilla da 1 a 15 a 1 a 20
178
(1 gallo ogni 15 - 20 galline). Ovviamente, i capannoni adibiti alla produzione di uova da
incubazione oltre alle normali prese per il ricircolo dell’aria (ventilatori, aspiratori ecc. a 3 - 6
“rastrelliere nido” a fondo piano o inclinato ove la/e gallina/e vanno a deporre le uova. Questo tipo
di allevamento oltre ai vantaggi già menzionati allorché si è parlato dei “broilers” è indispensabile
per i noti fatti riproduttivi, anche se non consente di conoscere la genealogia del/i pulcino/i.
Il nido a fondo inclinato, è utile quando la “rastrelliera nido” è provvista di “nastro convogliatore”
che porta le uova nelle sala di lavorazione e/o stoccaggio. L’alternativa a questo sistema sarebbe
quello delle gabbie multiple pensili, ove troverebbero “accasamento” 6 - 7 galline e 1 gallo, che a
parte una maggiore igienicità delle uova e un migliore I.C.A. (n° di uova prodotte /Kg di mangime)
Le uova fecondate comunque prodotte, per dare il proprio frutto devono essere incubate.
Senza voler approfondire l’argomento per il quale si rimanda ai testi specifici, l’incubazione può
essere naturale (fatta da galline covanti) o artificiale, fatta con macchine capaci di mantenere la
incubazione) non si può non parlare di qualità, definita da parametri quantitativi, fisici e chimico
nutrizionali.
1) dell’uovo
2) del guscio
3) del tuorlo
4) dell’albume
a) guscio/uovo totale
c) tuorlo uovo
179
e le misure di:
1) larghezza
2) lunghezza
4) altezza del tuorlo e dell’albume (cm) (misurato con regolo di cime - “HAUG”)
5) Indice di Hangh (misurato con regolo di cime - “Haugh”) = rapporto tra
A questi parametri quantitativi, si devono considerare quelli qualitativi sia del tuorlo, sia
dell’albume, come:
1) Umidità
2) Proteine
3) Grassi
4) Ceneri
Il peso delle uova, come anzi accennato varia con il genotipo animale (specie) potendo oscillare da
15 - 16 gr della quaglia a 600 - 800 gr dello struzzo, con la razza (30-35 gr galline bamtam a 65 - 70
g delle ovaiole con 55-60 g come peso standard) con l’età della gallina, l’ordine di ovodeposizione
(1°, 2°, ecc.) con il suo periodo (inizio e/o colmo), con la alimentazione, con il sistema di
colmo dell’ovodeposizione mediamente oscilla tra 55-60 g in cui il guscio si aggira intorno ai 6,5
gr, quello del tuorlo varia dai 14 ai 17 gr e quello dell’albume si attesta intorno ai 35 -37 gr.
Per quanto riguarda i diversi rapporti si ricorda che quello del guscio/uovo mediamente ottiene un
valore intorno a 11, quello albume/uovo non supera 60 e quello tuorlo/uovo generalmente si attesta
tra 27 e 29 (Gallo 1972). Inoltre la lunghezza dell’uovo della pezzatura indicata è in media di c.a.
58 mm e la larghezza mediamente non supera i 43 mm, misure queste che incidono e/o determinano
Gli altri parametri oggettivi e/o quantitativi di qualità delle uova fresche (deposte da 12 - 24 ore),
anch’essi dipendono dai fattori citati, nonché dal tempo e dalle condizioni climatico ambientali di
180
conservazione. Tra i parametri di qualità facilmente quantizzabili, risulta l’altezza dell’albume,
correlato al grado di adesione e/o coesione al tuorlo e che varia con la stagione di deposizione ed
oscilla da c.a. 9.00 (inverno - primavera) a c.a 8.00 (estate) che in sostanza indica il grado di
freschezza dell’uovo, inteso questo come il tempo intercorso dalla deposizione al momento di
consumo. Infatti tanto minore è l’altezza dell’albume tanto più “stantio” o “vecchio” è l’uovo. A tal
proposito, non sempre le uova deposte da “poco” possono considerarsi “fresche” se le condizioni
climatico - ambientali di stoccaggio sono pessime (alta temperatura > ai 25 -30 °C ed umidità
relativa U.R. troppo bassa < al 55 - 60 % o troppo alta > a 70 - 75 %) Per quanto riguarda la
Tuorlo Albume
Parametri questi, che determinano il contenuto calorico dell’uovo, a cui devono sommarsi il
contenuto in colesterolo totale e le sue frazioni in H.D.L. (lipoproteine ad alta densità) e quelle in
L.D.L. (lipoproteine a bassa densità). Se da un lato l’uovo come il latte a causa dell’alto contenuto
in principi nutritivi sono da considerarsi come alimenti ideali per l’alimentazione dei neonati,
dall’altro, a causa della presenza di particolari componenti nutrizionali come il C12:0; il C14 ed il
C16:0, accusati di far incrementare la frazione ematica dell’ L.D.L., ne sconsigliano l’uso massiccio
nell’alimentazione degli adulti o delle persone con problemi epatici e con disfunzioni cardio
vascolari e circolatorie.
Per quanto concerne poi la produzione delle carni avicole ottenute dall’allevamento dei polli
(broilers e/o rosters), dei tacchini, delle faraone, dei palmipedi (oche, anatre ecc.) e degli animali di
interesse faunistico venatorio (fagiani, starne, pernici ecc.), le tecniche di allevamento sono quelle
della classica avicoltura imprenditoriale e/o industriale, basate sulla produzione delle uova, sulla
181
loro incubazione artificiale in incubatrici (foto che possono essere di piccole, medie, e grandi
dimensioni, la cui capacità di incubazione oscilla tra le 100 uova di gallina fino a 100-500 mila ed
oltre a secondo del modello di macchina), sull’allevamento dei pulcini e su quello dei gruppi di
Senza volerci addentrare nelle tecniche di allevamento ben codificate da anni di lavoro e riportate in
appositi trattati a cui si rimanda per i dovuti approfondimenti, per le nostre finalità basti ricordare
che gli aspetti quanti-qualitativi della produzione di queste carni, al pari delle altre ottenute
dall’allevamento di altre specie, sono influenzate dagli stessi fattori di cui abbiamo riferito in
precedenza.
A differenza delle carcasse delle altre specie animali ed in particolare per quanto riguarda la loro
composizione in tagli, quella del pollo e/o degli avicoli, risulta in un certo qual modo più semplice.
Infatti quella degli avicoli così come si evince dalle foto è composta da pochi tagli di cui si
b) sopraccoscio (femore, muscoli e cute annessi) ischio e metà delle colonna sacro-caudale con
c) petto e busto. Da questo taglio si separano i muscoli pettorali per la preparazione delle
fettine (e “cotolette”)
182
d) ali
La carcassa degli avicoli si ottiene dalla macellazione dell’animale, dal suo dissanguamento, dalla
dall’allontanamento dei visceri (gozzo, intestino, ventriglio e fegato), di questi, solo il ventriglio ed
il fegato vengono recuperati, lavati, imballati (inscatolati) in appositi contenitori coperti con una
pellicola in PVC per alimenti ed avviati alla vendita. Le carcasse così ottenute, vengono lavate,
asciugate, imballate in contenitori di polistirolo, prima stoccate in celle frigo e poi avviate alla
distribuzione.
Negli avicoli, detti anche animali a carni bianche, nella stragrande maggioranza dei casi, il grasso si
deposita sia a livello addominale, sia a livello sottocutaneo e cutaneo facilmente separabile prima e
dopo cottura; per queste sono considerate magre e particolarmente indicate nell’alimentazione dei
bambini, degli anziani, dei degenti e di tutti coloro che presentano problemi dietetico nutrizionali;
poiché oltre al buon rapporto tra le diverse frazioni dei componenti nutrizionali (proteine, vitamine,
aminoacidi, acidi grassi essenziali ecc.), sono anche di facile preparazione gastronomica e si
Per questo basti pensare che tagli di scarto (testa, collo, piedi, ali, groppone ecc.) a prevalente base
ossea, si prestano bene nella preparazione dei brodi da cucina per pasta, risotti, minestroni ecc, sia
183
da soli che associati ai tagli ossei delle altre specie. Inoltre si ricorda che i tagli di coscio (fuselli) e
di sopracoscio si prestano bene per preparati in padella, arrosti, oppure in umido, e per questo la
esso ottenibili per la preparazione delle cotolette che per la semplicità di preparazione (basta
sottoporle a cottura a secco in padella per poi condirli con sale (q.b.) ed un filo di olio extra vergine
preparare.
Per quanto concerne le qualità chimico nutrizionali delle carni, ivi comprese quelle avicole si fa
Proteine Grassi
Acqua Ceneri indeterminati
grezze grezzi
Infine per avere un idea generale dell’andamento delle produzioni di latte e carne in Italia, basta
184
PRODUZIONI ANIMALI 2008 (ISTAT 2009)
Bovina (ivi compresi quelli importati ed allevati in Italia) 8635 (x 1000) ql.
Ovicaprina (ivi compresi quelli importati ed allevati in Italia) 411 (x 1000) ql.
Suina (ivi compresi quelli importati ed allevati in Italia) 15.740 (x 1000) ql.
Equina (ivi compresi quelli importati ed allevati in Italia) 117 (x 1000) ql.
185
Cap. 9 LA PRODUZIONE DI CARNI OVINE E CAPRINE
Questa particolare produzione, come in precedenza accennato deriva principalmente (70% c.a.)
dalla macellazione degli agnelli e dei capretti lattanti di 40-60 giorni di età dal peso vivo di 12-15
kg, da quella degli agnelloni e caprettoni leggeri di 100-120 giorni di età, di castratelli e castrati
(20%) di 20-28 kg, di entrambe le specie e di animali di fine carriera. Poiché la produzione
nazionale nonostante i limitati consumi pro capite/anno della popolazione italiana che si aggira
intorno a 1,5 kg, non supera il 60% del fabbisogno, si ricorre a massicce importazioni sia dei paesi
dell'Est Europa sia Extra Europei. In generale, tale operazione riguarda principalmente giovani
animali vivi, di diverso peso vivo come soggetti di 18-20 kg di peso vivo (espressini) o quelli di 24-
28 kg (espressi) ed in misura minore animali adulti (pecore, capre, montoni ecc.) ivi compresi quelli
In Italia, al contrario delle altre nazioni europee non esistono genotipi (razze) autoctone
specializzate per la produzione della carne ad eccezione della Bergamasca e di qualche altro ceppo
Detta produzione è fornita da razze a duplice attitudine come la Comisana (latte e carne) e da quelle
a triplice attitudine come la Gentile di Puglia (lana, carne e latte ) e le merinizzate in genere
(Sopravvisana ecc.) e da quelle specializzate per la produzione del latte (Sarda). Ovviamente, la
qualità della carcassa ottenuta dipende strettamente dai fattori riportati in precedenza.
186
Foto Marsico, Mastrosimone: Carcassa ovina (agnellone) eccessivamente grassa. Foto Marsico
Mastrosimone: ovini.
187
Comunque, avendo già dissertato sia sul/i sistema/i e tecniche di allevamento, di seguito si riportano
le schede riassuntive sulle principali razze ovine e caprine con prevalente attitudine alla produzione
188
Bergamasca
Area di origine e di allevamento altopiano del Musone e delle valli Bergamasche allevato
nella provincia di Bergamo
Sistema di allevamento semi estensivo, estensivo, brado-transumante fine
primavera-inizio autunno: Tra le province lombarde,
emiliane e piemontesi. Tra i pascoli prealpini alpini e in
pianura
Area di diffusione dalla zona di origine alle Marche, Umbria, Abruzzo,
Veneto ecc.
Frequenza dei parti Due parti max 3 in due anni
Produzione di latte sufficiente per la prole
Produzione di lana vello di mediocre qualità, di tipo moscio-merinizzato,
bianco 3-2,5 kg vello sudicio dell'ariete 2,0-2,5 kg vello
sudicio della pecora
Fertilità 95%
Prolificità 148%
Fecondità 90%
Età media al primo parto 13 mesi
Pesi vivi alle età tipiche (nascita singolo) Nascita: maschio 4,5 kg femmina 4,0 kg
45-50 giorni: maschio 17-20 kg femmina 15-18 kg
90-110 giorni: maschio 30-32 kg femmina 28-31 kg
sei mesi: maschio 48/50 kg femmina 40 45 kg
primo anno: maschio 74-76 kg femmina 65-68 kg
Pesi vivi alle età tipiche (nascita gemellare) Nascita: maschio 3-3,5 kg femmina 3,0 kg
45-50 giorni: maschio 15-17 kg femmina 14-15 kg
90-110 giorni: maschio 28-30 kg femmina 26-29 kg
sei mesi: maschio 43-45 kg femmina 40-43 kg
primo anno: maschio 70-75 kg femmina 62-68 kg
Peso adulti maschio 100-110 kg femmina 80-84 kg
Altezza al garrese: montone 82-86 cm pecora 81-84 cm
Altezza alla groppa: montone 86-87 cm pecora 80-82 cm
Circonferenza toracica montone 102-109 cm pecora 100-110 cm
Resa media alla macellazione Agnelli 58-65% adulti 55-60%
Produzione tipica Agnello pesante (latte e pascolo di 180-200 giorni)
189
Gentile di Puglia o Merino italiana
190
Sopravvisana
Area di origine e di allevamento Lazio. È stata ottenuta per incrocio tra la pecora Vissana
ed arieti Merinos spagnoli e Rombonillet a cui sono
seguiti i Gentile di Puglia. Dal Lazio si è diffusa in tutta
l'Italia centrale (Umbria, Marche, Toscana e Abruzzo)
Sistema di allevamento È allevata principalmente con sistema semi-estensivo
transumante, e stanziale. Ben si adatta sia agli allevamenti
rural-famigliari che in medi e grandi greggi
Frequenza dei parti Due-tre parti ogni due anni
Produzione di latte 50-60 kg al secchio, resa in formaggio 20-23% a cui si
aggiunge l’8-10% in ricotta. Il contenuto in grasso varia
dal 6% al 12% in relazione alla stagione, all'ordine di
parto e all'alimentazione.
Produzione di lana Ottima per la tessitura, compete in qualità e quantità con
quella della Gentile di Puglia. Tosa unica.
6,5 kg vello sudicio ariete 4,5 kg vello sudicio pecora
Fertilità 90% 92%
Prolificità 135%
Gemellarità 25%
Fecondità 95-98%
Età media al primo parto 15-18 mesi
Pesi vivi alle età tipiche (nascita singolo) Nascita: maschi 4,0 kg femmine 3,0 kg, 45 giorni: maschi
15 kg femmine 13 kg, 90-100 giorni: maschi 24 kg
femmina 22 kg, sei mesi: maschi 35 kg femmina 28 kg,
un anno: maschio 48 kg femmina 37 kg
Pesi vivi alle età tipiche (nascita gemellare) Nascita: maschi 3,0 kg femmine 2,7 kg, 45 giorni: maschi
14,0 kg femmine 12 kg, 90-100 giorni: maschi 22,5 kg
femmina e 19,0 kg, sei mesi: maschi 35 kg femmina 28
kg, 1 anno: maschi 47,5 kg femmina 37,0 kg
Peso adulti Ariete 55-66 kg pecora 40-50 kg
Altezza al garrese: Maschi 63-71 cm femmine 63 cm
Altezza alla groppa: maschi 68-71 cm femmine 64 cm
Circonferenza toracica maschi 87-93 cm femmine 78-87 cm
Resa media alla macellazione Abbacchio: 60-64%; agnelloni leggeri: 60-64%; adulti di
fine carriera: 44-50%
Indirizzo produttivo attuale lana, latte, carne
Produzione tipica Agnello da latte (abbacchio romano) I.M.G. 240-280
I.C.A. 5,0-5,5 canestrati ricotte.
191
Appenninica
192
Altamurana
193
Leccese
194
Ariete di razza Leccese da www.agraria.org/ovini/leccese.htm
old.politicheagricole.it/SettoriAgroalimentari/Zootecnico/Ovini/Latte/c_leccesealtamura.htm
195
Comisana
196
Ile de France
197
Berrichonne du Cher
Area di origine e di allevamento Ottima razza da carne francese, ottenuta incrociando ovini
locali con Merinos e con razze inglesi del Kent, del
Disley ed in ultimo con la Southtown. Allevata nel Bassin
Parisien francese. Meno adattabile della Ile de France in
Italia viene importata dal secondo dopoguerra.
Sistema di allevamento Semi-intensivo estensivo. In Italia si adatta poco
all'ambiente meridionale. Sensibile al piroplasma e agli
ecto-parassiti (zecche, rogne eccetera) e agli endo-
parassiti (Strongili gastro-intestinali)
Frequenza dei parti Tre parti in due anni
Produzione di latte Sufficiente per l'agnello
Produzione di lana Lana di tipo Merinos, buona per qualità e quantità. Vello
sudicio dei maschi 5,0 kg, quello delle pecore intorno a
4,0 kg di poco inferiore alla Ile de France; meno pregiata
della Gentile.
Fertilità Come le razze da carne merinizzate 85-90%
Prolificità 125-140%
Fecondità Come le razze da carne merinizzate
Età media al primo parto Intorno ai 15 mesi
Pesi vivi alle età tipiche (nascita singolo) Nascita: maschi 4,2 kg femmine 3,7 kg, 45-50 giorni:
maschi 18 kg femmine 16 kg, 90 100 giorni: maschi 30
kg femmina 28 kg
Pesi vivi alle età tipiche (nascita gemellare) Nascita: maschi 3,5-3,7 kg femmine 3,0-2,5 kg, 45-50
giorni: maschi 15 kg femmine 14 kg, 90-100 giorni:
maschi 28 kg femmine 25 kg
Peso adulti arieti 80-90 kg, pecore 55-60-70 kg
Altezza al garrese: Più o meno come l’Ile de France
Altezza alla groppa:
Circonferenza toracica
Resa media alla macellazione Giovani 60-62% adulti 55-60%
Indirizzo produttivo attuale Produzione della carne. Utilizzata in Italia quale razza
incrociante per la produzione degli F1 da macello
Produzione tipica Carne di qaulità
198
Suffolk
Area di origine e di allevamento Inglese. Deriva da pecore Norfolk incrociati con arieti
Sout-thown. Allevata in Scozia, Irlanda, Galles. Molto
apprezzate in America. Ottima pascolatrice, richiede
pascoli ricchi ed abbondanti. Di grande mole
Sistema di allevamento Estensivo, brado. In Italia importata nel secondo
dopoguerra come razza incrociante. Presenta difficoltà di
ambientamento come tutte le razze nord-europee
Frequenza dei parti -
Produzione di latte Sufficiente per i redi
Produzione di lana Mediocre per quantità e qualità anche se di tipo
merinizzato
Fertilità -
Prolificità -
Fecondità -
Età media al primo parto -
Pesi vivi alle età tipiche (nascita singolo) Nascita: maschio 4,0 kg femmina 3,5 kg
Pesi vivi alle età tipiche (nascita gemellare) Nascita: maschio 3,5 kg femmina 3,0 kg
Peso adulti arieti 100-110 kg, pecore 75-80 kg
Altezza al garrese: -
Altezza alla groppa: -
Circonferenza toracica -
Resa media alla macellazione Giovani 60-65% adulti 55-62%
Indirizzo produttivo attuale In Italia è utilizzata per la produzione degli F1 da carne
con pecore autoctone locali. Migliora significativamente
la produzione di carne sia in peso, sia come
conformazione e qualità della carcassa.
Produzione tipica Carne, agnello pesante bianco
199
Sarda
in-sardegna-ovini/index.aspx?m=53&did=413
200
Massese
Area di origine e di allevamento Pecora a vello nero, quasi sempre provvista di corna.
Autoctona originaria di Massa, allevata in Toscana,
Emilia, Liguria, in piccoli e medi allevamenti di pianura
collina.
Sistema di allevamento Stanziale, semi-semi brado, semi-semi intensivo anche
transumante
Frequenza dei parti Si tende a tre parti in due anni
Produzione di latte Al secchio da 70 a 200 l per lattazione, con un titolo in
grasso del 6,0-6,5% e una percentuale di proteine intorno
al 5-5,5% con una resa in formaggi freschi del 18-20% da
grattugia 14-15%
Produzione di lana Scarsa per quantità e qualità, bitosa. Peso del vello
sudicio: 1,5-2,2 kg nell'ariete e 0,8-0,9 kg nelle pecore
Fertilità 95%
Prolificità 135%
Fecondità 95% (frequenza parti 1 anno; tre parti in due anni)
Età media al primo parto 16 mesi
Pesi vivi alle età tipiche (nascita singolo) Nascita: maschi 4,5 kg femmine 4,0 kg,
45-50 giorni: maschi 13,5 kg femmine 12,5 kg,
un anno: maschi 65 kg femmine 45 kg.
Pesi vivi alle età tipiche (nascita gemellare) Nascita: maschi 3,5 kg femmine 3,0 kg, 45-50 giorni:
maschi 12,5 kg femmine 11,0 kg, un anno: maschi 55 kg
femmine 40 kg
Peso adulti arieti 80-85 kg pecore 60-65 kg
Altezza al garrese: Ariete 85-86 cm pecora 76-77 cm
Altezza alla groppa: - -
Circonferenza toracica ariete 95-98 cm pecora 90-95 cm
Resa media alla macellazione Giovani intorno al 60%, adulti tra i 45% e il 50%
Indirizzo produttivo attuale Principalmente per la produzione di latte secondariamente
per la carne derivante dalla macellazione degli agnelli da
latte
Produzione tipica Formaggi freschi e da grattugia, agnello da latte
Razza Massese da
http://portale.provincia.ms.it/wai/stampabile.asp?IDCategoria=2102&IDSezione=9786&IDOggetto
=7068&Tipo=NEWS
201
9.2 I Caprini
La capra domestica per la sua ottima capacità di produzione di latte e carne è detta anche la vacca
dei poveri. La capra (capra hircus) è un piccolo ruminante appartenente all'ordine degli ungulati. È
un artiodattilo, cavicorno, quasi sempre provvisto di barba e corna più o meno sviluppate, di
appendici cutanee del sottogola (tettole o bargigli). Sembra derivare dalle capre selvatiche come la:
“capra aegagrus o egagro” dell'Asia minore con lunghe corna, “capra prisea” dell'Europa
meridionale, “ capra falconieri o Markor” del Kashmir con corna a spirale e mantello con pelo
lungo.
Sembra che sia il primo ruminante addomesticato (circa 10.000 anni a.C.). È un animale frugale,
rustico, dotato di alta prolificità, fertilità e fecondità. È da considerarsi tra i ruminanti più redditivi
per la produzione di latte poiché è capace di fornire per unità di peso vivo fino a 40 volte il proprio
Data la sua voracità, frugalità e resistenza si adatta molto bene a tutti i sistemi e tecniche di
allevamento ivi compresi quelli di tipo intensivo stallino ed alla mungitura meccanica. La
consistenza del patrimonio caprino italiano si aggira intorno ai 900.000 capi ed è concentrato nelle
Alpine o europee di cui fanno parte la Saanen e quelle razze popolazioni che popolano le
nostre Alpi.
Asiatiche di cui fanno parte quelle razze come la capra d’Angora a pelo lungo, seboso,
Come tutte le razze in base alla statura si raggruppano in grandi, medie e nane. L’attitudine
produttiva prevalente è il latte cui segue la carne per alcune le fibre tessili. La produzione della
carne deriva principalmente dalla macellazione dei capretti lattanti di 40-60 giorni di vita, dai
202
castrati, dai soggetti di fine carriera e comune a tutti gli indirizzi produttivi, a cui in alcune razze di
origine asiatica può essere aggiunta la produzione di fibre animale tessile (kachemire e mohair).
La maggior parte della popolazione di questa specie, in molte nazioni, a causa delle condizioni
popolazioni caprine assumono il nome dell'area di allevamento. Della capra, in realtà hanno parlato
e ne parlano diversi autori, poiché oltre al latte e alla carne utilizzati per scopi alimentari (formaggi
freschi, stagionati, carne ecc.) fornisce pellami che con il nome di “ capretto” non solo trovano uso
generalizzato (pelletteria e rilegature), ma anche specifico a livello locale (ghirba degli arabi), e
pelo che, tosato raccolto è pettinato trova il giusto utilizzo nella produzione di stoffe, tappeti e
quello più scadente (ordinario e lungo) può essere utilizzato per farne cordami.
In Italia, a parte poche e distinte razze come l'Alpina, la Saanen, la Maltese, la Jonica, la
popolazioni meticce derivanti da incroci locali che hanno assunto ed assumono tuttora il nome della
regione / area di allevamento. In generale la capra per le sue peculiari caratteristiche di rusticità,
semi-estensivo anche se non mancano esempi di allevamento intensivo a regime stallino ove
vengono allevate razze selezionate e produttive sulle quali vengono applicate le più moderne
“scolostrati”, e la sincronizzazione degli estri e dei parti. Tra le razze caprine allevate in Italia ed
Jonica, la Maltese, la Saanen è la Sarda di cui si riportano le caratteristiche produttive nelle schede
che seguono.
203
Camosciata delle Alpi
www.consorzioallevamentorazzecaprinesvizzere.ch/capra-camosciata-delle-alpi
204
Garganica
205
Girgentana
Area di origine e di allevamento Media mole con corna sviluppate a cava turaccioli.
Originaria del Medioriente ed allevata in Sicilia nella
provincia di Agrigento (Girgenti antica) si è diffusa anche
in Calabria
Sistema di allevamento In allevamenti di media consistenza (20-100 capi) con
sistema stallino e/o semi-stallino
Frequenza dei parti 1 all'anno massimo 3 in 2 anni
Produzione di latte Varia con l'ordine di lattazione e con la alimentazione ed
oscilla tra i 300 e 400 l
Produzione di pelo -
Fertilità 95% - 98%
Prolificità 190%-180%
Fecondità 95% - 98%
Età media al primo parto 15 mesi
Pesi vivi alle età tipiche (nascita singolo) Nascita: maschi 3,5 4,0 kg femmine 3,5-3,8 kg,
50-60 giorni maschio 10-11 kg femmine nove-10 kg,
90-100 giorni maschi 13-14 kg femmina 12-13 kg,
sei mesi: maschio 19-20 kg femmine 18-20 kg,
1 anno: maschi 26-28 kg femmine 24-26 kg
Pesi vivi alle età tipiche (nascita gemellare) Nascita: maschi 2,0-3,2 kg femmine 2,8-3,0 kg, 50-60
giorni maschi 9,0-11 kg femmine 8-9 kg, 90-100 giorni:
maschio 12-13 kg femmine 10-12 kg, 6 mesi maschio 17-
19 kg femmina 16-18 kg, un anno: maschi 26-28 kg
femmine 23-25 kg
Peso adulti becchi 60-65 kg capra 40-50 kg
Altezza al garrese: Maschi 80-85 cm femmine 75-80 cm
Altezza alla groppa: maschi 75-80 cm femmina 72-80 cm
Circonferenza toracica maschi 95-99 cm femmina 85-95 cm
Resa media alla macellazione 55-60% nei capretti 45-55 % negli adulti
Indirizzo produttivo attuale Produzione di latte al 4-5% in grasso e dalla 4-4,4% in
proteina
Produzione tipica Latte per la produzione di formaggi stagionati e freschi e
carni di capretti da latte
Razza Girgentana: Femmina e piccolo da www.lafattoriadeglianimali.com/animali.html
Maschio da www.tier-fotos.eu/name/tier-bild/6902/kategorie/Haus-
+und+Nutztiere~Ziegen~Girgentana-Ziege.html
206
Jonica
207
Maltese
Area di origine e di allevamento Vello bianco con peli lunghi, testa nera e orecchie nere e
pendule. Origine dal versante medio-orientale del
Mediterraneo. Si è diffusa in Sicilia e in tutte le regioni
meridionali.
Sistema di allevamento Si adatta facilmente ai diversi sistemi di allevamento per
cui è allevata a regime stallino, semi-stallino e/o semi-
brado
Frequenza dei parti Uno all'anno massimo 3 in 2 anni
Produzione di latte Varia con l'ordine di lattazione, con l’alimentazione ed
oscilla tra i 400 kg ed i 500-550 kg.
Produzione di pelo -
Fertilità 95%
Prolificità 180%
i parti gemellari sono di norma con circa il 25% dei
trigemini
Fecondità 95% - 98%
Età media al primo parto 15 mesi
Pesi vivi alle età tipiche (nascita singolo) Nascita: maschi 3,5-4,0 Kg femmine 3,0-4,0 kg,
50-60 giorni: maschi 10-12 kg femmine 9-11 kg,
90-100 giorni: maschi 13-14 kg femmine 12-13 kg,
6 mesi: maschi 20-24 kg, femmine 18-20 kg,
1 anno: maschi 29-30 kg femmine 27-28 kg
Pesi vivi alle età tipiche (nascita gemellare) Nascita: maschi 3,0 -3,5 kg femmine 2,5-3,0 kg, 50-60
giorni: maschi 9-11 kg femmine 8-9 kg, 90-100 giorni:
maschi 12-13 kg femmine 10-11 kg, sei mesi: maschi 20-
22 kg femmine 18-20 kg; un anno: maschi 26-28 kg
femmine 25-26 kg
Peso adulti becchi 70 kg capre 45 kg
Altezza al garrese: becchi 80-88 cm capre 65-75 cm
Altezza alla groppa: becchi 80-85 cm capre 65-75 cm
Circonferenza toracica becchi 90-105 cm capre 85-95 cm
Resa media alla macellazione 58-60% capretti, 45-55% adulti
Indirizzo produttivo attuale Produzione di latte al 5-5,2% in grasso e dalla 4-4,5% in
proteine
Produzione tipica Formaggi caprini freschi e/o stagionati e carne di capretti
da latte
208
Sarda
Per le altre razze allevate all'estero e/o presenti in Italia in piccoli nuclei come la: Toggemburg,
Appenzele, Poitivini, Nubiana, Angora, Murciana, Kashmir e Alpina si rimanda agli specifici testi di
zootecnica speciale.
209
Cap. 10 Il latte
Premessa
Il latte è il secreto della ghiandola mammaria di tutti i mammiferi e viene prodotto a seguito del
parto. Rappresenta l'alimento ideale per tutti i neonati. Esso viene consumato/poppato dai redi dalla
nascita fino allo svezzamento che rappresenta la fase del passaggio definitivo dall'alimentazione
Il latte é una emulsione acquosa di grasso e proteine, e, senza alcun aggettivo che segue detta
parola, essa si riferisce per norma a quello bovino. Le specie animali di interesse zootecnico
allevate per la produzione del latte sono la bovina, l’equina, la bufalina, l’ovina e la caprina, il cui
caseificio per produrre vari tipi di formaggi o alla cosmetica come quello equino). Attualmente, il
latte maggiormente consumato fresco o trattato (pastorizzato, sterilizzato ecc.) è quello bovino;
invece quello ovino, caprino e bufalino insieme a buona parte di quello bovino viene avviato alla
caseificazione per la preparazione di formaggi freschi (mozzarelle, fior di latte, provole, ecc.,) o
stagionati (canestrati, parmigiano, ecc.,). Quello equino (di giumenta ed asina), per la particolare
composizione chimico-nutrizionale molto vicino a quello umano (donna) un tempo non molto
lontano veniva impiegato anche nell'alimentazione neonatale dei bambini, e per le sue particolari
proprietà disintossicanti nell'alimentazione dei minatori, dei degenti e nella prevenzione dei tumori
intestinali. Il latte equino (asina o cavalla), nei tempi antichi (Cleopatra, Messalina, Lucrezia
Borgia, ecc.) lo utilizzavano per bagni rigeneratori della cute e della bellezza femminile.
Oggigiorno, trova largo impiego anche nella cosmesi. A mero scopo esemplificativo viene di
seguito riportata la composizione chimica media del latte di donna e delle specie di maggior
interesse zootecnico.
210
Composizione chimica del latte
12,50-
Residuo secco 18,27 11 - 17 8,80-11,70 9,30-11,5 11,7-12,90
13,00
È doveroso segnalare che recentemente si è verificata una certa evoluzione a carico della
produzione e della caratterizzazione qualitativa di questo prodotto soprattutto in funzione della sua
destinazione; ovvero ( consumo diretto, produzioni casearie e lavorazioni industriali). Infatti, con la
liberalizzazione dei mercati, gli allevatori italiani si trovano a competere con quelli delle nazioni
C.E.E. i quali, con le imposizioni delle quote di produzione, immettono, sul mercato italiano,
quantità significative di latte a prezzi più competitivi. Bisogna però altresì ricordare che diversi
aspetti quanti-qualitativi della produzione del latte sono controllate dal patrimonio genetico
dell'animale, e che diversi fattori ad essi estrinseci (alimentazione, sistema e/o tecniche di
allevamento ecc.,) sono quelli che pongono il genotipo animale nelle condizioni ideali (e/o avversi)
di estrinsecare o meno le proprie capacità produttive scritte nel suo D.N.A. I giusti fattori estrinseci,
correttamente applicati, qualora fossero associati ai giusti programmi di miglioramento genetico e/o
tecniche avanzate di riproduzione (I. S., Embryo tranfest, sessaggio intrauterino degli embrioni
211
Infatti, é necessario tenere presente che la varianza del carattere "produzione" quale fattore
quantitativo poligenico è ascrivibile al genotipo per il 36% c.a. e che, quella del tasso lipidico varia
dal 36%-38% mentre quello a carico delle proteine risulta più variabile (25%-36%). In modo
allegorico il tutto sta a significare che una ferrari, per poter correre a 200-300 km/ora (vacca da 150-
200 ql. di latte/lattazione) necessita non solo della giusta quantità e qualità di carburante, alimenti
Fattori di variabilità
Come per la produzione della carne, diversi fattori endogeni o intrinseci ed estrinseci all'animale
il sesso
lo stato fisiologico;
1. il sistema di allevamento
2. l’alimentazione
Genotipo
Infatti, è noto che tutti i mammiferi producono più o meno quantità di latte necessario e sufficiente
per l'alimentazione dei propri figli. Alcune specie, ceppi e razze, però, dall'uomo sono stati
plasmati e sfruttate per produrre latte sia per alimentazione sia per scopi economici. Tra queste,
figurano la specie bovina, la bufalina, l’ovina è la caprina ed in questi ultimi tempi si comincia a
212
pensare anche con un certo successo anche a quella equina (asine e giumente). All'interno di queste
specie, nel corso dei secoli (dalla domesticazione avvenuta tra i 4000 ed i 6000 a.C.) l'uomo
sfruttando la variabilità genetica esistente all'interno di ciascuna specie, con sapiente opera di
selezione ha creato razze più o meno specializzati alla produzione di latte, in cui le femmine
producono quantità di latte sicuramente superiore alle esigenze dei redi. Per questo basti pensare ad
alcune razze bovine come la Frisona, la Bruna Alpina, la Gersey, la Guernsey, e la Ayrshire, a
quelle ovine come la Sarda, la Comisana, ecc., o a quelle caprine come la Saener, la Camosciata
delle Alpi, l’Alpina, la Maltese, la Jonica ecc., tutte a prevalente produzione di latte. Le
caratteristiche produttive delle razze maggiormente allevate nel nostro territorio è nelle nazioni
Sesso
Questo parametro, al pari del genotipo (razza) riveste particolare importanza poiché è a tutti noto
che i maschi, pur incidendo significativamente nei processi di selezione, non producono latte che è
una prerogativa delle femmine. E a tutti chiaro, che la lattazione (produzione di latte) inizia con il
parto e prosegue per un tempo più o meno lungo e comunque per tutto il tempo necessario al redo di
acquisire la capacità digestiva per utilizzare alimenti solidi, che in termine tecnico si chiama "fase
di svezzamento". Questo periodo più o meno prolungato varia con la specie e con il sistema e/o le
tecniche di allevamento usate dall'impresa. Esso può essere naturale (tardivo) o precoce, di cui si è
In allevamento, al contrario di quanto avviene nelle popolazioni selvatiche poligame e/o monogame
che esse siano, in cui rapporto tra i sessi e di 1 a 1, esso, nelle specie poligame, domestiche e di
allevamento (bovini, ovini, caprini, suini, equini, polli ecc.,), il numero dei maschi da riproduzione
a prescindere dal tipo di produzione, proprio per la limitata capacità produttiva e per i costi di
femmine allevata (mandria, gregge, branco ecc.,). Nel caso poi si pratica l'inseminazione
strumentale (I.S.) o artificiale che dir si voglia (I. A.) essi tendono a scomparire dalla stalla poiché il
seme proviene da opportuni centri ove sono tenuti i maschi di alto pregio genetico e di provata (per
213
via ascendente e per via collaterale) capacità migliorative per la produzione in oggetto (latte, carne,
ecc.).
L'età dell'animale.
Nella produzione del latte, questo fattore ha una certa incidenza poiché le femmine giovani e non
prepubere non producono latte, poiché come anzi accennato la lattazione si scatena a seguito del
parto. L'età al primo parto ovviamente dipende dalla specie, dalla razza e dalla sua precocità.
All'interno della stessa lattazione la produzione quantitativa del latte, (escluso i primi 5 giorni o fase
colostrale) aumenta con l'avanzare del tempo fino ad un massimo (picco di lattazione) per poi
diminuire più o meno gradualmente fino all'asciutta o momento in cui cessa la secrezione di latte.
La quantità di latte prodotto, generalmente cresce con l'ordine delle prime lattazioni (prima,
seconda, terza) per poi diminuire (con l'inizio della quarta) con l'avanzare dell'età. Per questo, le
femmine restano in allevamento finché il loro mantenimento risulta economico dopo di che a fine
carriera vengono sostituite dalle giovani che rappresentano la cosiddetta quota di rimonta.
Stato fisiologico
Questo è un fattore collegabile all’età dell'animale, in quanto le femmine prepubere, e/o comunque
non ancora in lattazione perché per una causa qualunque non gravide (sterpe), o si trovano alla fine
dell'ultima fase di lattazione (asciutta), non producono latte, a cui si aggiungono le femmine di fine
214
carriera. Allo stato fisiologico e collegabile anche quello nutrizionale e sanitario dell'organismo
animale, poiché i soggetti malnutriti che presentano carenze alimentari o sono debilitati da eventi
Fattori estrinseci
Sistema di allevamento
Questo fattore, a parità di tutti quelli strettamente collegati all'animale, è senz'altro tra quelli
ambientali che incide maggiormente, poiché in alcuni casi come nel sistema estensivo-brado o semi
riflesso l'alimentazione dell'animale sia dal lato quantitativo che da quello qualitativo che di fatto
Alla disponibilità alimentare ed alla sua qualità, si associano i diversi fattori climatici ambientali
come la temperatura, la ventosità, la piovosità e la natura del territorio intesa come fertilità e
La temperatura
temperature prossime o al di sotto dello zero, incremento la quota catabolica ovvero la distruzione
dei principi nutritivi per fini energetici (termoregolazione). In questo processo l'organismo per
compensare l’elevata richiesta di calore utile per equilibrare e mantenere costante la temperatura
corporea dovuta alle basse temperature, "brucia" prima le molecole glucidiche alimentari poi quelle
lipidiche (grassi alimentari prima e di deposito corporeo poi) ed infine utilizza anche quelle
proteiche (aminoacidi alimentari e quelli provenienti dal catabolismo endogeno). Alle alte
ventilazione polmonare (atti respiratori per minuto) con la quale disperde anche vapor acqueo
(H2O), sia facendo ricorso alla sudorazione (solo in quegli animali provvisti di ghiandole
sudoripare). Questo fenomeno, infatti, è spiegabile con il fatto che il sudore (molecole di H2O),
emesso dalle ghiandole sudoripare, si trasforma in vapor acqueo assorbendo energia o calore dal
215
corpo, il quale subito dopo l'evaporazione accusa una sensazione di refrigerio (la fronte dell'uomo
dopo una sudata risulta fredda). Questo fattore, a causa dei fenomeni anzi descritti, limita di fatto la
disponibilità di energia alimentare aumentando la dispersione di calore che può definirsi come
stagionale a cui si associa non solo il vento (ventosità) del territorio, la cui velocità e/o direzione
accentua e/o limita gli effetti della temperatura, ma anche l'umidità, che insieme ai precedenti
determina la piovosità del territorio e la barometria della zona (pressione generalmente misurata in
ecto Pascal o millimetri di mercurio mHg). Così ad esempio nei nostri territori, perturbazioni
caratterizzate da basse pressioni associati a venti provenienti da sud-ovest e/o sud-est provocano
eventi piovosi più o meno significativi, così come quelle perturbazioni dovute a basse pressioni
provenienti dal Nord-est che si scontrano con quelli di sud-ovest a basse temperature, portano a
nevicate più o meno copiose. Eventi questi che agiscono sia direttamente sia indirettamente
Un'alta velocità dei venti, associata alle alte temperature e basse umidità determinano un clima
caldo arido caratteristico dei territori desertici che hanno selezionato genotipi vegetali ed animali
(cammelli, dromedari ecc.) particolarmente resistenti a questi ambienti, al pari di quelli di tipo
freddo o della tundra siberiana egualmente aridi e freddi ove vivono bene il bue muschiato, le renne,
i caribù ecc.) ovviamente, nei sistemi più o meno razionalizzati e/o tecnologicamente più avanzati
come quello intensivo di tipo stallino, e semi-intensivo o semi-stallino, l'azione diretta e/o indiretta
di questi fattori risulta più o meno attenuata e comunque sotto il diretto controllo dell'uomo e/o dei
suoi artifizi e/o tecnologie operative, in cui l'animale viene in parte (nel caso del semi-intensivo) o
del tutto sganciato (sistema stallino) dai fattori ambientali e posto nelle migliori condizioni affinché
esso possa estrinsecare tutte le sue capacità produttive (riportate nel suo DNA).
Nel caso della produzione di latte, con fattori climatico ambientali avversi come alte e/o basse
temperature, eccessiva ventosità ecc., si verifica prima un arresto dell'incremento produttivo qualora
216
esistesse, una stasi poi, ed un decremento più o meno rapido della stessa produzione che, si porta
prima ai limiti minimi, per arrestarsi del tutto nei casi più estremi.
Nel sistema estensivo e/o semi-estensivo, a parità degli altri fattori e nelle stesse condizioni
alimentari, il fatto che l'animale sia libero di muoversi a proprio piacimento in spazi sicuramente
maggiori, consuma superiori quantità di energia alimentare che sottrae alla quota di produzione. In
L’alimentazione
Per quanto riguarda la produzione quantitativa e qualitativa del latte, oggigiorno, per alcune specie,
bovina in particolare, disponiamo di una vasta gamma di informazioni utilizzabile per controllare la
quantità e qualità di latte prodotto. Ma notevoli sono le difficoltà applicative nella pratica aziendale
poiché le conoscenze nutritive dei foraggi e dei concentrati nonché quelle concernenti il giro
metabolico coinvolto nella produzione del latte non sempre sono adeguati e sufficienti. Comunque è
noto che l'alimentazione deve sopperire alle esigenze di mantenimento della bovina, a quelle
relative alla produzione di latte, ed eventualmente a quelle dovute alla gestazione (gravidanza
periodo in cui si sviluppa il feto) le cui esigenze diventano significative a partire dal 7º mese in poi
di gravidanza.
Le esigenze alimentari, subiscono variazioni più o meno significative, con il variare del sistema di
allevamento, con le condizioni ambientali, con l'ordine di lattazione, con la quantità di latte
Com'è noto, il latte prodotto, oltre a quello utilizzato dai redi, generalmente viene destinato sia alla
trasformazione in formaggi freschi e/o stagionati, sia all'alimentazione umana come prodotto fresco
(refrigerato e/o sterilizzato) o come alimento a lunga conservazione. Il latte, una volta munto e
La qualità del latte dipende come anzi riportato da fattori endogeni ed esogeni all'animale, e tra
questi una menzione particolare spetta alla modalità di mungitura che può essere manuale o
meccanica.
217
Generalmente la mungitura manuale è ancora usata negli allevamenti ovi-caprini ed in quelli di
bovini autoctoni allevati in modo brado estensivo e semi-brado o semi-intensivo, in cui è previsto
un massiccio uso del pascolo. Nella mungitura a "mano", le pecore e/o le capre in lattazione,
vengono spinte in un passaggio obbligatorio a forma di imbuto (mungitoio), alla fine del collo è
seduto il pastore mungitore con il secchio di latte "con collo a mezza luna", davanti al quale si
"ferma" (anche con mezzi di contenimento adeguati) l'animale, e dal suo retro l'operatore stringe
Con questa tecnica, nonostante tutti gli accorgimenti possibili l'igienicità del prodotto è sempre a
rischio, poiché possono verificarsi cadute di peli, di polvere e/o pulviscolo di stalla, caccole, schizzi
di urine ecc. Inoltre, un addetto non riesce a mungere più di 50-60 capi ora, con aggravio di costi
ascrivibili alla manodopera. A questi svantaggi, si contrappone il vantaggio del controllo giornaliero
di tutti i soggetti in produzione. Per quanto concerne le bovine invece, queste vengono prima
"fermate" con lazzi e/o corde dal vaccaro, e da questi poi appastoiate negli arti posteriori.
lateralmente all'animale inizia la mungitura spremendo con una certa delicatezza ma ritmicamente i
capezzoli provocando la fuoriuscita del latte dalla mammella e la sua caduta nel secchio.
La mungitura delle bovine autoctone, come la Podolica, non sempre risulta facile, poiché non
rilasciano il latte se non al proprio vitello, per questo i mungitori operano sempre in sua presenza.
Anche in questi allevamenti però la mungitura meccanica comincia ad avere un certo successo
soprattutto per l'igienicità del latte e per la rapidità delle operazioni, poiché a secondo del numero
dei posti animali (da 6-12-24) si possono mungere da 100 a 200 capi ora, con uno o due addetti.
Non vi è dubbio che anche con questo tipo di mungitura non solo assicura una superiore igiene del
latte ma vi è un controllo individuale dei singoli soggetti, rispetto a quella manuale richiede
superiori investimenti.
La mungitura meccanica generalmente è praticata sia negli allevamenti di bovine da latte a regime
stallino o semi-stallino sia in quelli gli ovi-caprini con un buon grado tecnologico, che comunque
devono possedere dei locali idonei, ove piazzare la mungitrice, energia elettrica per il
218
funzionamento delle pompe, acqua potabile per il lavaggio dell'impianto prima e dopo la mungitura,
ed idonei refrigeratori.
Il latte, dalla stalla passa agli opifici che lo preparano per il consumo diretto oppure lo trasformano
in burro e formaggi vari. Dalla lavorazione del latte si ricavano anche una serie di sottoprodotti,
quali il latticello e il siero, utilizzati per l’alimentazione animale. I prodotti lattiero-caseari sono
difatti eccedentari all’interno dell'Unione Europea, soprattutto per quanto riguarda il latte e il burro,
e per questo la C.E.E. ha adottato misure restrittive come le quote di produzione massima garantita
elevate sono le importazioni sia per il consumo alimentare sia per la trasformazione. Nel nostro
Paese il consumo di latte è notevolmente inferiore a quello di tutti gli altri Stati Europei e quello di
burro risente della concorrenza dell’olio di oliva e di altri grassi vegetali. La produzione italiana di
formaggi non è sufficiente a coprire il fabbisogno interno per cui, se si escludono alcuni formaggi
tipici, quali il Grana, il Pecorino e il Provolone, che vengono anche esportati, bisogna ricorrere
219
Classificazione del latte
o delattosato: è un latte speciale che contiene il 75% di lattosio già scomposto in glucosio e
galattosio. Il latte delattosato permette agli individui che non digeriscono il lattosio di
I primi trattamenti sul latte al fine di garantire la sua salubrità iniziano nell’azienda zootecnica, ove
materiale estraneo in esso presente (peli, pezzi di escrementi, residui di mangime ecc.). Essa viene
eseguita facendo passare il latte attraverso un filtro (ad esempio della semplice ovatta). Alla
serale e la successiva). Il latte dalla temperatura di 38° C viene portato velocemente a 4° C allo
scopo di impedire lo sviluppo di batteri acidificanti mesofili (sebbene nella mammella di una vacca
sana il latte sia praticamente sterile, dopo la mungitura esso può contenere 100.000 microrganismi
totali per millilitro). Sebbene il raffreddamento del latte dopo la mungitura riduca lo sviluppo dei
psicrotrofa produce lipasi e proteasi esocellulari (le lipasi resistono alla pastorizzazione a 100° C
per molti minuti mentre le proteasi resistono ai trattamenti UHT). Gli effetti negativi provocati dalle
lipasi e dalle proteasi sono: la gelificazione del latte, la comparsa del gusto di rancido (lipolisi) e del
220
gusto amaro (lipolisi e proteolisi). Filtrazione e refrigerazione fanno sì che allo stabilimento
(caseificio o centrale del latte) giunga un prodotto (latte) batteriologicamente idoneo e senza un
eccessivo aumento di acidità. Giunto allo stabilimento lattiero caseario il latte prima di essere
Nella filtrazione il latte viene riscaldato intorno a 50° C al fine di abbassare la viscosità ed
eliminare eventuali odori. Successivamente viene fatto passare attraverso una serie di filtri fatti da
tessuto fitto o da cellulosa. In realtà la filtrazione è poco diffusa e al suo posto si preferisce usare la
centrifugazione in quanto ha il vantaggio di essere più veloce. Si utilizza una centrifuga a piatti
dello stesso tipo di quella utilizzata per la scrematura del latte munita di 40-80 piatti che girano ad
ultrasuoni, di radiazioni ultraviolette o di raggi gamma) o di tipo chimico (acqua ossigenata, ecc.).
In Italia è vietato il risanamento mediante mezzi chimici, per il latte alimentare viene usato soltanto
il risanamento termico. Con le alte temperature si eliminano i batteri patogeni e non patogeni al
fine di rendere il latte più conservabile. L'abbassamento della carica batterica ad una data
temperatura è funzione sia della durata del trattamento, sia della carica batterica iniziale, casi come
riportato nella fig. 1 ove nella ascisse è riportato il tempo e nelle ordinate il logaritmo del numero di
cellule batteriche.
221
Fig.1 - Andamento della distruzione dei microrganismi a temperatura costante (il numero dei
In definitiva per ottenere un latte con una carica batterica finale bassa, esso deve essere trattato
termicamente per un tempo tanto più lungo quanto più alto è il numero iniziale di batteri per cc.
L'abbassamento della densità batterica può essere ottenuto anche intervenendo sia sul tempo sia
sulla temperatura, ossia, si può ricorrere a temperature basse per tempi lunghi o a temperature alte
E’ necessario osservare che nel grafico il tempo è in scala logaritmica per cui, a un piccolo
Nel grafico la linea meno marcata (a) rappresenta invece i punti tempo-temperatura che causano nel
latte la stessa alterazione. Dalla stessa si evince che per ottenere un risanamento senza alterazioni è
necessario usare valori di tempo e di temperatura che stanno a destra del punto di incontro delle 2
rette.
Negli stabilimenti lattiero-caseari però si preferisce utilizzare alte temperature per periodi di tempo
222
La pastorizzazione mira a eliminare soprattutto i batteri patogeni ma lascia una certa percentuale di
batteri non patogeni, per cui il latte si può conservare soltanto per qualche giorno.
Con il risanamento UHT si eliminano sia i batteri patogeni sia quelli non patogeni ma non si
disattivano i loro enzimi, per cui la conservabilità è limitata a 3 mesi in quanto, dopo tale periodo,
inattivano anche gli enzimi. In tal modo il latte si può conservare per circa un anno (infatti dopo un
Pastorizzazione
La pastorizzazione è un metodo che serve per eliminare i batteri patogeni e ridurre quelli non
patogeni e fa si che il latte possa essere conservato a 4° C per circa 4 giorni. Questo trattamento
fatto a temperature inferiori a quella di ebollizione altera poco il latte, il quale deve essere
raffreddato il più rapidamente possibile poiché il calore causa alterazioni alle proteine e al lattosio.
Per la verifica di una buona pastorizzazione si procede alla ricerca e al dosaggio dell’ Escherichia
coli. Tale batterio, pur non essendo patogeno è tra quelli più termoresistenti per cui la sua assenza
Questo trattamento non distrugge però le spore e i batteri termodurici (mesofili, termofili e
psicrofili). Per quanto testè detto si deduce che non si può pastorizzare un latte con un alto tasso
batterico poiché la distruzione della carica batterica dei batteri lattici, si creano le condizioni per lo
Subito dopo la pastorizzazione bisogna raffreddare il latte a 4° C in pochi secondi, poiché un lento
raffreddamento sviluppa batteri termodurici e la carica batterica s’innalzerebbe più alta di quella
iniziale, a cui si associa anche la coagulazione del latte (causata dallo sviluppo della popolazione
223
La pastorizzazione bassa o classica in cui il latte viene riscaldato a 63° C per mezz'ora, non viene
1. Bassa produttività poiché il latte viene riscaldato in cisterne le quali devono essere riempite
2. Riscaldamento non uniforme (sebbene nella cisterna il latte venga sottoposto a continua
agitazione).
4. Perdita di CO2 in seguito alla continua agitazione, che di fatto porta a innalzamento del pH
Nella pastorizzazione alta il latte viene riscaldato per circa 10-30 secondi a una temperatura tra
72° C e 90° C. La scelta dei 2 parametri tempo-temperatura viene fatta in base alla carica batterica:
Un tempo questo tipo di pastorizzazione veniva realizzata nei cosiddetti scambiatori tubulari ossia
in una serie di serpentine con pareti riscaldanti che presentavano i seguenti inconvenienti:
Oggi si usano perciò gli scambiatori a piastre. Essi sono formati da numerose pareti (dette
piastre). Su una faccia della piastra scorre latte ed in quella opposta circola acqua calda o vapore (in
senso opposto a quello del latte). Il latte all'uscita degli scambiatori entra nella camera di sosta
(chambrage) o di termostatizzazione in cui esso viene mantenuto per un certo tempo per ridurre la
La carica batterica standard per legge non deve superare il limite di 30.000 unità per millilitro.
224
I coliformi devono risultare inferiori a 0,3 in 4 unità campionarie e inferiori a 12 in una unità
campionaria.
La prova della fosfatasi consiste nella controllare la presenza della fosfatasi alcalina. Tale enzima è
presente naturalmente nel latte crudo e si inattiva a una temperatura leggermente superiore a quella
necessaria per distruggere l'Escherichia coli. Di conseguenza se l'enzima risulta inattivo significa
che si sono raggiunte temperature sufficienti a distruggere l'Escherichia coli (e quindi i patogeni).
Per cui nei latti correttamente trattati la prova della fosfatasi deve sempre essere negativa.
superiori a quelle che si usano abitualmente per distruggere i patogeni. Una determinazione di
perossidasi negativa deve quindi far sospettare che il latte era fortemente inquinato tanto che per
risanarlo sono state necessarie temperature e tempi elevati. Da quanto detto ne consegue che la
Sterilizzazione
affinché esso possa essere conservato a temperatura ambiente fino a 6-8 mesi.
Esso non può essere conservato per un periodo maggiore perché si riattivano alcuni enzimi ed
bottiglia di vetro).
2. omogeneizzazione
225
Classificazione del latte in base al contenuto in grasso
Una volta valutato il contenuto % in grasso ed operato una sua eventuale scrematura si ottengono
La scrematura avviene mediante l'utilizzo di centrifughe costituite da una serie di piatti sovrapposti
Il latte potrebbe essere scremato anche mediante la tecnica dell'affioramento dei grassi ma ciò
contenuto in grassi rispetto alle creme ottenute per centrifugazione). Negli allevamenti estensivi-
bradi in tempi non molto lontani, questa operazione avveniva lasciando riposare per una notte il
latte in recipienti abbastanza larghi dove in superfice affiorava la crema che una volta separata essa
La centrifugazione del latte ad altissimo numero di giri (8000-10.000 giri/min) detta battofugazione,
permette di allontanare il 99,99% dei microrganismi, poiché essi hanno un peso specifico diverso da
quello dei componenti del latte. La tecnica presenta vantaggi e svantaggi. Il vantaggio è
rappresentato dall’allontanamento delle cellule e con esse degli endoenzimi e tossine. Lo svantaggio
è che i patogeni con basso peso specifico possono rimanere nel latte per cui, non essendo garantita
la loro totale assenza, la battofugazione non viene utilizzata. L'ideale sarebbe sottoporre il latte
prima a pastorizzazione (per eliminare i patogeni) e poi a battofugazione per eliminare cellule e con
Omogeneizzazione
L'omogeneizzazione è un processo fisico a cui si sottopone il latte allo scopo di ridurre i globuli di
grasso a particelle con diametro minore di 0,5 μm (contro i 3-6 μm dei globuli originari). Grazie
all'omogeneizzazione si ottiene un latte stabile, in cui con il passare del tempo non si verifica
226
l'affioramento della crema. Il latte si considera omogeneizzato se, lasciato a riposo per 48 ore, non
L'omogeneizzazione viene effettuata inviando il latte sotto pressione (100-200 bar) verso un ugello,
e facendolo finire in una camera a pressione atmosferica. La forte depressione in aggiunta all'azione
meccanica di una punta metallica su cui il latte va a urtare, provoca la rottura dei globuli di grasso.
Allo scopo di rendere il latte più fluido e il flusso più rapido, il processo viene effettuato a una
temperatura di circa 50° centigradi ottenendo così una deodorazione per allontanamento delle
sostanze volatili.
L'affioramento della crema, (linea crema) non può aver luogo sia per la riduzione di diametro dei
globuli, sia per l’aggregazione che si verifica a seguito del riscaldamento tra globuli di grasso e le
micelle caseiniche. In tal modo aumenta la densità e l'idratazione del grasso che impediscono
2. il latte è più digeribile (grazie alla riduzione di dimensioni dei globuli di grasso).
sono protetti dalle lipasi da una membrana e con l'omogeneizzazione tale membrana si
rompe). Rischio questo che comunque si riduce poiché il latte viene anche sterilizzato,
227
Sistemi di sterilizzazione
Esistono diversi metodi di sterilizzazione e a secondo del sistema utilizzato varia la conservabilità
del latte.
Il latte a media conservazione (UHT) pur essendo sterile si conserva solo per 3 mesi perché
contiene gli endoenzimi delle cellule batteriche morte. Tali endoenzimi inducono proteolisi e
coagulazione (il latte confezionato nei cartoni, dopo la scadenza, si presenta coagulato).
Il latte a lunga conservazione (in bottiglia di vetro) si conserva per circa 12 mesi grazie al
trattamento termico più energico che disattiva gli endoenzimi batterici. Trascorsi 12 mesi si verifica
la cosiddetta reazione di Maillard, ossia alterazioni chimiche a carico di proteine e lattosio (il latte
Webster o Storck). Tale sistema prevede la circolazione continua delle bottiglie in diversi stadi. Il
primo stadio contiene acqua calda (preriscaldamento), il secondo vapore a 120-130° C in cui 2º
raffreddamento serve per bloccare le alterazioni chimiche a carico di proteine e lattosio innestate
dall'alta temperatura. Per i 3 stadi del processo occorrono 40-60 minuti. Il costo economico del
Nella sterilizzazione UHT di tipo indiretto si usano gli stessi impianti descritti per la
temperatura di 140-150° C per 2-5 secondi. Dopo la sterilizzazione UHT indiretta il latte viene
228
a) metodo Languilharre: in cui il latte viene nebulizzato in un ambiente con vapore ad alta
pressione e temperatura;
Nel primo metodo Languilharre il latte viene prima preriscaldato a 60-70° C in uno scambiatore
a piastre e poi viene nebulizzato nella cosiddetta camera d’iniezione con vapore a 180° C a 6-7
atm. In questa, istantaneamente, il latte si riscalda e il vapore si raffredda. Una parte del vapore,
però, condensa e provoca un annacquamento del latte. La miscela latte, acqua, vapore passa poi
nella camera di espansione in cui la pressione e tale da consentire l'evaporazione della stessa
delle sostanze volatili responsabili di odori sgradevoli). Dopo tale trattamento il latte, come al
Anche nel 2º metodo (nebulizzazione del vapore nel latte) inizia con un preriscaldamento a 60-
70° C. del latte il quale viene poi convogliato verso una piccola camera di compressione in cui
viene miscelato con vapore a 6-7 atm a 180° C. Esso si riscalderà da 70 a 150° C mentre il
vapore si raffredderà da 180 a 150° C. Una parte di questo condenserà e quindi anche in tal caso
latte. Il raffreddamento per condensazione rimuoverà sia l'acqua acquisita nella precedente
camera sia le sostanze volatili responsabili di cattivo odore. Ancora una volta, per bloccare la
reazione tra zuccheri (lattosio) e proteine, si ricorrerà ai trattamenti descritti, a cui seguirà il
raffreddamento.
Nel caso della sterilizzazione UHT di tipo diretto (a differenza degli altri tipi di sterilizzazione
descritti) l'omogeneizzazione viene fatta alla fine del trattamento in quanto, se venisse fatta
et al.,1989).
229
LA PRODUZIONE DEL LATTE.
Per quanto riguarda i sistemi e le tecnologie per la produzione del latte, essi si inquadrano in
quello generale di tutte le produzioni animali primarie con tutti i parametri di qualità e i fattori
riferimento alla produzione di latte bovino ed in particolar modo alle razze specializzate a
questa produzione ed al fine di evitare una prolissa trattazione si ritiene utile riportare le schede
Nascita 35-40
Svezzamento 200-280
Interparto 15 mesi
230
Resa di macellazione 59-60% 58-59%
231
Vacca di razza bruna da http://old.politicheagricole.it/SettoriAgroalimentari/Zootecnico/Bovini/b_Bruna.htm
232
Nome della razza: FRISONA ITALIANA
Consistenza della popolazione 60% della popolazione dei bovini da latte (Italia)
3-4.000.000 di capi
Nascita 35-45
Svezzamento 260-300
Macellazione 400-500
Interparto 15 mesi
233
Attitudine alla mungitura meccanica ottima
Produzione media per lattazione 60-70 ql con punte di 120-130 ql (media di stalla)
(305 giorni)
234
Vacca di razza Frisona italiana da www.cialombardia.org/fattoriascuola/L-razze.htm
235
Nome della razza: JERSEY
Nascita 30-35
Macellazione 250-350
236
Produzione media per lattazione 40-45 ql
-Produzione di latte
Utilizzazione e/o impieghi
-Utilizzata per migliorare la produzione di latte
(titolo di grasso) nelle altre razze da latte
237
Nome della razza: GUERNSEY
Nascita 30-35
Svezzamento 150-200
Macellazione 250-350
238
Attitudine alla mungitura meccanica buona
-Produzione di latte
Utilizzazione e/o impieghi
-Utilizzata come base incrociante con tori da
carne
239
Composizione chimica del Latte
Come già detto il latte e la sua composizione chimica generale e particolare riveste grande
importanza sia per l’alimentazione dei neonati che nell’industria casearia e di riflesso
sull’alimentazione umana. Tra i componenti organici del latte figurano certamente i grassi e le
proteine.
La biosintesi del grasso del latte interessa sia gli acidi grassi che derivano dalla dieta, sia quelli
sintetizzati ex novo dalle cellule della ghiandola mammaria a partire Acetil CoA.
Nei ruminanti il sito di accumulo dei lipidi è il tessuto adiposo, mentre per gli animali in lattazione
il sito maggiormente attivo per le biosintesi degli acidi grassi è la ghiandola mammaria (Vernon et
al., 1988).
La sintesi degli acidi grassi ha due origini; la prima è dovuta alla sintesi citoplasmatica, ed è tipica
dei tessuti ad elevata attività metabolica, la seconda, non meno importante, è quella mitocondriale,
In particolare, la sintesi degli acidi grassi a catena corta e media, ovvero fino a 16 atomi di carbonio
avviene nel citoplasma, e coinvolge 2 enzimi: il primo l’Acetil CoA carbossilasi (AC C), che a
partire dall'acido acetico porta alla formazione del malonin-CoA; il 2º l'acido grasso sintetasi (FAS)
catalizza la condensazione ciclica del malonin-CoA con molecole di acetato e/o β-idrossibutirrato
(Chilliard et al., 2000). Da qui, nella ghiandola mammaria, a differenza di quanto avviene in altri
tessuti, per successive condensazioni si ha l'allungamento della catena carboniosa che può
continuare fino alla formazione di acidi grassi a 14 o 16 atomi di carbonio. Si ricorda però che
l'acido palmitico (C 16:0) non può essere convertito ad acido stearico (C 18:0). Bisogna ricordare
però, che negli altri tessuti, subentra la sintesi mitocondriale che può Cocarbossilare (convertire)
l’acido palmitico ed allungarlo fino a 22 atomi di carbonio. Nei microsomi gli acidi grassi con
240
Gli acidi grassi liberi, ovvero quelli non esterificati (NEFA) a media e lunga catena (con 14 e/o 16
atomi di carbonio o più) provenienti dai lipidi della dieta o dalla mobilizzazione delle riserve
corporee presenti nel torrente ematico, possono essere utilizzate nei tessuti, così come quelli
presenti nei chilocromi e nelle VLDL, previa azione dell'enzima LipasiLipoProteica (LPL)
Inoltre, gli acidi grassi insaturi a 18 atomi di carbonio (acidi linoleico e α-linolenico), che
elongati, per dare origine (come precursori) agli acidi grassi polinsaturi a lunga catena della serie
ω3 ω6. In particolare l'acido α-linolenico è il precursore della serie ω 3, mentre l'acido linoleico
della serie ω 6, i cui metaboliti rientrano nella biosintesi di molecole biologicamente importanti.
L'acido linoleico è presente soprattutto negli oli vegetali e costituisce rispettivamente il 77% e il
56% degli acidi grassi presenti nell'olio di cartamo e dei semi di soia ma, con concentrazioni più
limitate ma ugualmente importanti è presente anche nei prodotti primari di origine animale (latte,
carne, uova). L'acido linoleico è importante sia come componente strutturale della membrana
cellulare (lipoproteine di membrana) sia come precursore di acidi grassi con catena carboniosa oltre
tipo 1 e 2.
Sostanzialmente gli acidi grassi sono costituiti da una catena carboniosa (generalmente alifatica,
tendenzialmente lineare e solo in alcuni casi ramificata) al cui estremo è presente un solo gruppo
carbossilico (-COOH).
La lunghezza della catena alifatica determina poi le caratteristiche chimico-fisiche dell'acido grasso.
Per cui in base alla lunghezza della catena carboniosa gli acidi grassi si suddividono in:
a) Acidi grassi a catena corta con un numero di atomi di carbonio minore di 14;
La presenza o meno di doppi legami all'interno della catena carboniosa, incide sulla temperatura di
fusione degli acidi grassi stessi che possono essere suddivisi in:
241
1) Acidi grassi saturi quando nella catena carboniosa non sono presenti doppi legami.
(Esempio: acido caprilico C 8:0, acido palmitico C 16:0, acido stearico C 18:0);
2) Acidi grassi insaturi quando in essa sono presenti uno o più doppi legami: monoinsaturi
come il palmitioleico C16, Oleico C18:1 ecc, (MUFA) se nella catena è presente un solo
doppio legame e polinsaturi (PUFA) se in essa sono presenti più doppi legami (linoleico C
Alcuni insaturi, sono detti anche essenziali, poiché non sintetizzabili dall'organismo e devono
essere necessariamente assunti con la dieta, Essi svolgono e/o sono essenziali per importanti
funzioni metaboliche, i quali possono essere classificati anche in funzione della posizione del
ω 3 l'ultimo doppio legame presente sul 3º carbonio dal -COOH (esempio: acido
ω 9 l'ultimo doppio legame si trova sul nono carbonio dal -COOH (esempio acido
oleico C 18:1).
Com'è noto il latte, rispetto ad altri prodotti contiene un superiore livello di acidi grassi saturi.
Questi presentano un potere aterogeno (alzano la colesterolemia) variabile. Tra i più pericolosi
perché capaci di elevare LDL ematico, secondo la letteratura figurano il miristico (C 14:0) ed il
laurico (C 12:0) a cui si aggiunge forse il C 16:0. Lo stearico (C 18:0), invece non provoca
disfunzioni cardiovascolari pur essendo saturo, è poco o nulla aterogeno poiché viene rapidamente
utilizzato dall'organismo.
Anche gli acidi grassi a corta e media catena facilmente catabolizzabile per fini energetici sono
privi di potere aterogeno. Infatti una volta convogliati nel sangue confluiscono nel fegato e qui
metabolizzati per cui non incidono sia sulla concentrazione di lipoproteine ematiche, sia sulla
242
L'apporto giornaliero consigliato di acidi grassi saturi deve essere compreso tra il 7 e il 10% delle
calorie totali. Nella tabella seguente sono riportati i principali acidi grassi saturi, le loro
caratteristiche chimiche, il loro nome IUPAC, e gli alimenti in cui sono maggiormente presenti.
Negli alimenti gli acidi grassi insaturi possono essere presenti in forma cis oppure trans (figura 3)
ma generalmente prevalgono i cis. Tuttavia nella carne e nel latte dei ruminanti come (bovini, ovini
e caprini) esiste una bassa percentuale di acidi grassi insaturi in forma trans che si sono formati nel
243
rumine grazie all'azione di determinati batteri, gli acidi grassi trans sono presenti anche nei prodotti
Figura 3
L'attenzione rivolta agli acidi grassi trans (Trans Fatty Acid) è dovuta alle negative implicazioni che
il loro uso comporta sulla salute del consumatore. Essi infatti favoriscono l’incremento del
colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (LDL) a cui associano una diminuzione della
concentrazione delle lipoproteine ad alta densità (HDL). Per cui un continuo ed elevato consumo di
acidi grassi trans aumenta il rischio delle disfunzioni cardiovascolari (aterosclerosi, trombosi, ictus,
L'apporto giornaliero consigliato di questa frazione acidica si aggira intorno al 20% del fabbisogno
calorico totale. In natura i monoinsaturi più diffusi sono l’oleico ed il palmitoleico. In particolare il
primo è molto diffuso nell'olio d'oliva con effetto ipocolesterolemizzante poiché aumenta i livelli di
244
Acidi Grassi Polinsaturi (PUFA)
L'apporto calorico giornaliero consigliato ascrivibile ai PUFA si aggira intorno al 7% delle calorie
totali. Tra i più importanti PUFA dal lato biochimico nutrizionale figurano certamente gli acidi
grassi essenziali della serie ω3 e ω6. Questi differiscono tra loro per la posizione del primo doppio
legame ove gli ω-6 presentano il primo doppio legame in corrispondenza del 6º atomo di carbonio,
Gli ω-3 presentano il primo doppio legame in corrispondenza del 3º atomo di carbonio della catena
Questi, nel grasso del latte sono presenti in bassa concentrazione; infatti il loro rapporto in questa
materia prima e più basso di quello trovato in altri alimenti come le margarine (Gurr, 1998).
Di seguito nello schema sono riportati le forme dell'α-linolenico (18: 3 ω-3) dell'acido linoleico (18:
2 ω-6).
245
Tali acidi vengono definiti essenziali perché il nostro organismo non è in grado di
sintetizzarli del tutto e/o in quantità sufficiente al nostro metabolismo per cui devono essere
assunti con la dieta. Il rapporto consigliato ω-6/ ω-3 è di circa 1: 5 e l'apporto minimo
indicato è dello 0,1% delle calorie totali per gli ω-6 e dello 0,5% delle calorie totali per gli
Nello schema che segue è riportato l’utilizzo e la destinazione ed i relativi prodotti da essi
derivanti.
246
Rapporto ottimale Ω6 / Ω3 = 1:5 tollerato 1:10
principale precursore delle prostaglandine della serie 3 (che hanno attività antiaggregante
Il DHA da solo svolge invece una funzione di rilievo nella retina (costituendo l'80% dei
PUFA che la compongono) i quali garantiscono la rapida trasmissione della luce. Inoltre
DHA e ARA (acido arachidonico) sono importanti componenti strutturali dei lipidi di
membrana, molto diffusi nel sistema nervoso centrale. Infatti il 50% del peso secco del
(ARA).
Dal metabolismo degli acidi grassi ω-6 ed ω-3 derivano prostaglandine, trombossani,
247
Queste sostanze sono importanti per la formazione delle membrane cellulari, partecipano
alla coagulazione del sangue e favoriscono la guarigione delle ecchimosi lacero-contuse e/o
ferite.
Una alta carenze in acidi grassi ω-6 porta a: lesioni cutanee, anemia, aumento
ferite, aumentata suscettibilità alle infezioni, diarrea, ritardo di crescita nell'età evolutiva,
Una carenza di acidi grassi ω-3 invece è caratterizzata da: sintomi neurologici, ridotta
funzionalità visiva, lesioni cutanee, ritardi di crescita, alterazioni delle capacità cognitive,
248
Acidi grassi trans-insaturi
lavorazione a caldo per rendere solidi gli oli vegetali, che a temperatura ambiente sono
liquidi.
Questo perché i doppi legami trans rendono la catena carboniosa più stabile degli isomeri
cis, quindi le loro proprietà fisiche si avvicinano a quelle degli acidi grassi saturi. Questi
(trans) derivano anche dall'azione dei batteri del rumine, sugli acidi grassi insaturi, che poi
passano inalterati nell'intestino ove vengono assorbiti per poi essere convogliati alla
cardiovascolari.
I CLA (conjugated linoleic acid), sono isomeri geometrici dello stesso acido grasso ovvero il
linoleico con doppi legami, le cui possibili varianti sono riportate nello schema che segue:
249
I coniugati dell'acido linoleico (CLA) più importanti sono quelli che presentano i doppi legami in
posizione 9-11, o 10-12 ed assumono sia la forma cis che trans. Gli isomeri dell'acido linoleico
coniugato a cui si attribuiscono le maggiori attività biologiche sono il cis-9, trans-11 e il trans-10,
cis-12 CLA.
Secondo alcuni autori (Romeo 2001; Look e Garnsworthy; 2003) gli effetti dei CLA sulla salute
3) prevengono l'arteriosclerosi;
Il grasso del latte così come nelle carni è il principale responsabile dell’aroma (sapore ed odore)
tipico del latte delle diverse specie. Inoltre nei grassi sono intrappolati anche la maggior parte degli
aromi che derivano dagli alimenti assunti dagli animali quali ad esempio gli aromi delle essenze
pascolative montane (Mele et al., 2005). Si ricorda che il grasso durante la caseificazione, viene
quasi interamente inglobato nella cagliata, che di fatto poi l'influenza la resa in formaggio, il
processo di caseificazione e gli aspetti nutrizionali, sia mediante il potere energetico sia per la
natura degli acidi grassi che la compongono. Il lipidi sono quelli che subiscono le maggiori
variazioni durante la lattazione. Infatti subito dopo il parto (fase colostrale) la loro percentuale è
abbastanza alta per poi scendere e normalizzarsi dopo 5-10 giorni per poi assestarsi definitivamente
entro 50-60 giorni in rapporto inversamente proporzionale alla produzione. Con il procedere della
250
lattazione, la % di grasso, anche in relazione al tipo di alimentazione tende ad aumentare. Lo scarto
tra i valori (minimo e massimo) può arrivare al 30%. Inoltre il latte della mungitura serale e più
grasso rispetto a quello del mattino. Queste variazioni hanno ovviamente una notevole influenza sul
comportamento alla caseificazione del latte ed in particolare sulla stagionatura, sul contenuto di
Questo parametro è fortemente condizionato da diversi fattori sia genetici che ambientali. Infatti è
nota la differenza tra le specie e le razze, ma anche all'interno della stessa razza, vi sono soggetti
con caratteristiche migliori di altri. Questo fatto per mezzo della selezione consente di migliorare gli
l'alimentazione che incide sulla presenza dei precursori di sintesi mammaria del latte, sulla quale
l'allevatore può intervenire al fine di ottimizzare la produzione entro i limiti che il genotipo animale
consente.
Tra i principali fattori endogeni di variazione produttiva (quantità e qualità di latte prodotto)
figurano la specie e la razza; a cui fa seguito l'ordine di parto, stadio di lattazione, infatti, il colostro
minor contenuto in acidi grassi a media e corta catena. Inoltre negli allevamenti pascolanti, si
sommano altri fattori, come la stagione di parto. Infatti il latte di soggetti di parto primaverile, che
dispongono di pascoli migliori, il rapporto tra saturi e insaturi e il contenuto in acidi grassi a corta e
Con l’alimentazione (fattore estrinseco) è possibile modificare entro limiti che il genotipo consente
sia la quantità che la qualità dei grassi presenti nel latte. Infatti agendo sulla composizione della
razione di base (variando il rapporto foraggio/concentrato, qualità dei foraggi, presenza di foraggi
verdi nella razione), integrando la razione con fonti lipidiche di diversa natura, si possono
migliorare le caratteristiche tecnologiche, nutrizionali e dietetiche del latte indi dei prodotti caseari.
Nella capra in lattazione rispetto a quanto osservato nella bovina da latte, è stato evidenziato con
numerose prove che con un'idonea integrazione lipidica della dieta si può aumentare la quantità di
251
grasso presente nel latte senza compromettere sia la concentrazione proteica, sia la capacità di
La coagulazione del latte, riveste un ruolo particolarmente importante sia per glia aspetti fisiologici
della digestione, sia per quelli che riguardano la caseificazione. La coagulazione, finalizzata alla
produzione dei formaggi normalmente avviene intorno ai 38 °C, previa aggiunta di “caglio”, il
quale non è altro che una soluzione di “pepsina gastrica” ricavata dallo stomaco degli agnelli o dei
capretti o dei vitelli lattanti. Dopo circa 20-30 minuti dall’aggiunta del caglio, il latte coagula. Il
coagulo di colore bianco, non è altro paracaseinato di calcio in cui è inglobato quasi tutto il grasso,
pone nelle “fuscelle” (una volta fatte di giunco ora di plastica per alimenti per una migliore
igenicità) e si pigia per allontanare sia il siero che per dare forma destinata. Nel siero restano le
albumine, le globuline, gli amminoacidi liberi, il lattosio, parte dei minerali ecc. Il coagulo può
essere utilizzato per la produzione dei formaggi stagionati da grattugia, o previa acidificazione per
la preparazione dei prodotti a pasta molla (fiordilatte, mozzarelle, ecc.) da consumare freschi o
stagionati (caciocavalli ecc.). Dal siero ottenuto con questo procedimento, se sottoposto a
riscaldamento a 80-90 °C, affiorano le albumine che compongono la “ricotta”. Qualora però il latte,
venisse prima bollito, poi raffreddato a 38-40 °C ed infine aggiunto “caglio”, il coagulo che si
forma, oltre a contenere paracaseinato di Calcio e grassi, contiene anche le albumine. Questo
coagulo, una volta raccolto infustellato e allontanato il siero, da origine al cosiddetto “Cacioricotta”,
ottimo quello stagionato di capra da usare grattugiato come condimento nei piatti. Il siero ricavato
con questo procedimento, generalmente viene smaltito o riciclato nell’alimentazione dei suini
(beveroni).
Le qualità tecnologiche e casearie del latte assumono significati diversi in base al tipo di
trasformazione, alle condizioni di formazione della cagliata, al grado di acidificazione della massa
fondamentale nella produzione dei formaggi a pasta dura, a lunga stagionatura (o periodo di
252
maturazione). Infatti secondo Mariani et al., (2002) nella coagulazione mista a carattere
prevalentemente presamico, il complesso micellare del latte tende a mantenere inalterate le sue
proprietà, da cui dipendono poi buona parte delle caratteristiche reologiche della cagliata.
e) una ottimale attitudine alla coagulazione, intesa questa, sia come una buona reattività al
caglio, sia come alta capacità di rassodamento della cagliata, e conseguente buona capacità
di contrazione ed eliminazione del siero, ciò in modo da ottenere una massa caseosa
fondamentale per il normale avvio dei processi fermentativi che si verificano durante la
Gli aspetti quanti-qualitativi della caseina e le loro variazioni incidono sia sulla resa sia su
Le diverse frazioni che costituiscono la caseina (αs1, αs2, β e k) delle diverse specie, pur
entrando nella formazione delle micelle in un rapporto piuttosto costante possono subire
variazioni tali da incidere sul grado di dispersione del sistema micellare e, di conseguenza, sulle
proprietà dell'intero complesso caseinico, sia sull'andamento della fase enzimatica sia di quella
fisico-chimica della coagulazione presamica del latte. Il sistema è particolarmente sensibile alle
variazioni di contenuto della k-caseina, che è particolare sulla struttura miscelare del latte (più
k-caseina = micelle più piccole). La distribuzione delle caseine variano significativamente con il
La frazione colloidale del latte è formato, essenzialmente dalle caseine e da una piccola quantità
253
Quest’ultimo, associato alle caseine, è indispensabile per la costruzione e l’integrità del colloide
La composizione, le proprietà e la struttura del sistema micellare del latte, derivano dalle
interazioni tra le diverse componenti (concentrazione, ripartizione e tipo genetico delle caseine;
fosfato di calcio colloidale; calcio caseinato; eccetera) che sono in stretto rapporto con la fase
I latti con superiori contenuti di micelle di piccole dimensioni tendono a coagulare in minor
tempo e a fornire coaguli dotati di maggior forza, in grado di rassodare più velocemente.
L'acidità influenza in misura determinante la coagulazione del latte, sia nella prima sia nella
seconda fase. Il ruolo primario spetta al pH i cui valori sono negativamente correlati con quella
formazione del coagulo, nonché, entro certi limiti, anche la sua capacità di eliminazione del
siero. Al progressivo abbassamento dell'acidità (latti ipoacidi, carenti di fosforo e/o di caseina)
La qualità tecnologico-casearia del latte, (difficile da mantenere entro certi limiti di idoneità,
dovrebbe essere salvaguardata con ogni mezzo) rappresenta uno dei cardini della produzione dei
formaggi a pasta dura. In realtà nel lungo periodo per un insieme di cause e concause il latte,
purtroppo, tende ad impoverirsi di caseina, a cui si associa anche una diminuzione della
determinano un calo dell'acidità del latte, a cui fa seguito un adeguato incremento delle
primaria della ridotta reattività presamica del latte. Fra gli altri fattori si segnalano la minore
concentrazione delle varianti caseiniche, l'aumento dei cloruri e soprattutto l'incremento della
proteasi alcalina.
quale si richiede un notevole sforzo metabolico, che se pur dotato di adeguato potenziale
254
genetico, e quasi sempre in difficoltà per mantenere le condizioni di equilibrio funzionale dei
particolare per quanto riguarda il contenuto minerale. Infatti, l'aumento dei cloruri va posto in
L'incremento degli enzimi proteolitici sono ascrivibili ai disordini secretori e, soprattutto, alle
mastiti, sia attraverso l'aumento delle cellule polimorfonucleate in grado di liberare enzimi, sia
mediante un maggior passaggio diretto dal sangue al latte del sistema proteolitico
(plasminogeno-plasmina), le cui componenti attive sono strettamente associate alla caseina. Alla
sempre più presenti nel latte in rapporto alle condizioni igieniche della mungitura, etc. Tra
questi, il sistema “proteasi alcalina” tende a minare l'integrità della micella e la rende meno
reattiva nei confronti del caglio. Tutto ciò concorre a peggiorare gli aspetti tecnologici della
caseificazione, con negativi riflessi sia della resa industriale sia di quella commerciale, dovuto a
Il rapporto che esiste tra contenuto di caseina e resa in formaggio insieme a quello che intercorre
tra le proprietà della caseina (allo stato nativo), comportamento tecnologico e qualità dei
casearie del latte, attraverso l'allevamento la diffusione dei genotipi animali autoctoni e/o da
tempo ben inseriti sul territorio, capaci di dare migliori produzioni dal lato quantitativo e
qualitativo.
255
I LIPIDI DEL LATTE DI CAPRA
La frazione lipidica contenuta nel latte di capra come quella delle altre specie, con la dovuta
presenti in grande maggioranza nel "core" del globulo e da fosfolipidi, glicolipidi e steroli (1-
3%) che sono parte integrante della membrana del globulo. Questa ripartizione che rimane
pressocché inalterata nel corso della lattazione è del tutto simile a quella riportata per il latte di
vacca (Cerbulis et al., 1982). Il core del globulo di grasso e costituito da molecole apolari
lipidi polari come i glicolipidi (8,5%) e i fosfolipidi (44,7%), sia i lipidi apolari i come i
I lipidi polari determinano le principali frazioni di fosfolipidi che sono contenute nel grasso del
Contenuto in fosfolipidi del latte di capra (g/100g di fosfolipidi). (Mele,et al., 2005).
Un esempio di composizione acidica completa del latte di capre francesi alimentate al pascolo è
256
Il livello e la composizione acidica del latte di capra dipende anche dal contenuto e dalla qualità
della frazione lipidica della razione alimentare. L'integrazione alimentare di fonti lipidiche per capre
da latte viene utilizzata anche per porre rimedio al fenomeno di inversione delle percentuali tra
grasso e proteina che si verifica nei casi in cui la % di grasso scende al di sotto della % di proteina
che porta ad una diminuzione delle rese di caseificazione (Morand-Fehr et al., 1984a;1984b).
Grafico: Relazione tra quantità di grasso aggiunta nella dieta e incremento di grasso nel latte (dati
riferiti all'intera lattazione) (Cannas A., Pulina G. 2008)
LA COMPONENTE AZOTATA
Com’è noto le principali proteine del latte sono sintetizzate dalla ghiandola mammaria a partire sia
dagli aminoacidi liberi del torrente sanguigno sia da quelli sintetizzati dalla ghiandola mammaria
che sintetizza quelli non essenziali a partire dal glucosio, acetato, ecc.
Secondo Greppi, et al., (2005) la quantità di proteine del latte è correlata al logaritmo del peso
corporeo del soggetto in lattazione.
Nel latte di capra si riscontrano sei proteine principali, quattro caseine e due sieroproteine. La
frazione proteica del latte caprino, analogamente a quella di latte di altre specie di interesse
zootecnico è prevalentemente costituito da caseine che rappresentano l'80% delle proteine totali, di
questa frazione fanno parte anche i biopeptidi (BP). I livelli proteici dipendono da fattori endogeni
ed esogeni all'animale. La frazione proteica in generale può essere suddivisa in: proteine con punto
isoelettrico ad un pH di 4,6 (e quindi precipitano) e proteine che non precipitano a questo pH. Le
prime sono le caseine e, quantitativamente, rappresentano circa l'80% del totale delle proteine, le
seconde sono le sieroproteine, e costituiscono il restante 20%. In minore percentuale sono presenti
sia le immunoglobuline (pari a 1-2% della Sostanza Azotata Totale o S.A.T.) con attività
immunologica, le quali passano dal sangue al latte, sia le sostanze azotate non proteiche (5-7% della
S.A.T.), sono piccole molecole appartenenti a molte famiglie chimiche, la più abbondante è l'urea,
257
ma si trovano anche aminoacidi liberi, basi azotate e alcune vitamine del gruppo B). Così come
esemplificanto di seguito:
Composizione del latte umano, vaccino e caprino (Greppi G.F., Roncada P. 2005)
Proteine totali 10 34 33
Glucidi 70 48 51
Lipidi totali 38 37 29
Azoto non
3.2 2.5 3.2
proteico
P (mg) 15 96 105
258
Composizione delle frazioni proteiche della latte umano, vaccino e caprino
Sieroproteine
Esse rappresentano il 17% delle SAT, sono costituite da lattoalbumine, lattoglobuline,
sieroalbumine e immunoglobuline (le prime 2 originano dalla ghiandola mammaria, mentre le altre
provengono direttamente dal sangue). Tra le sieroproteine si ritrova la β-Lattoglobulina (51% delle
proteine del siero), α-Lattoalbumina (25% delle proteine del siero); entrambe dotate di
polimorfismo (β-Lattoglobulina, α-Lattoalbumina).
L’α-Lattoalbumina è una sieroproteina, importante per i processi di sintesi del lattosio ed è
indispensabile per l'enzima lattosio-sintetasi (Liberatori, 1972). Di questa frazione esistono 2
varianti: la A e la B, di cui la prima è più frequente (Moioli B. et al., 1998).
259
β-Lattoglobulina (β-Lg)
La struttura della β-Lattoglobulina (β-Lg) è costituita da 8 foglietti beta che vanno a costituire il
cosiddetto calice ma non è ancora chiaro il suo ruolo biologico anche se diverse ipotesi la mettono
in relazione al trasporto di molecole lipofile.
Esse partono dalla considerazione che la β-Lg mostra un'elevata omologia con la RBP (Retinol
Binding Protein) che trasporta il retinolo nel sangue, e che ipotizzano un coinvolgimento della β-Lg
nel trasporto del retinolo nell'intestino dei neonati.
Riguardo gli acidi grassi è stato rilevato in vitro una differente affinità con la β-Lg; in particolare si
legano più facilmente al calice l'acido palmitico, stearico, oleico e laurico.
Il legame degli acidi grassi con la β-Lg incrementa la resistenza della stessa alla degradazione
proteolitica, indicando che queste molecole sono importanti fattori di stabilizzazione della struttura
(Perez e Calvo, 1995).
Caseine
Rappresentano circa 1'80% delle SAT, hanno due importanti caratteristiche, vengono tutte elaborate
dalla ghiandola mammaria, e precipitato al loro punto isoelettrico a pH 4.6. Per le caseine si
riscontrano quattro frazioni: α (30%), β (47%), k (7,4%), γ (15,6%), che come le sieroproteine
esistono varianti dipendenti dal genotipo animale (varianti genetiche).
L' analisi delle varianti e la scoperta della correlazione tra queste e le caratteristiche chimico-fisiche
ha assunto una grande importanza ai fini selettivi.
260
Le α-Caseine
Queste si suddividono in 2 fazioni: α S1 (costituita da 199 aminoacidi) e α S2 (costituita da 208
aminoacidi).
Particolare attenzione va rivolta al locus dell’ α S1-caseina che viene identificato come "geni ad
effetto maggiore" con notevoli ripercussioni sulle caratteristiche quanti-qualitative del latte di capre
dipendente dal corredo genetico dell'animale. (Martin et al., 2002).
I latti con genotipo forte alla α S1 caseina si contraddistinguono per migliori attitudine alla
trasformazione, sintetizzabili in:
1. un maggiore contenuto in Ca e quindi una maggiore attitudine alla coagulazione enzimatica;
2. diametro micelle caseiniche inferiore e quindi una consistenza del coagulo più elevata;
3. minor tempo impiegato nell'inizio della formazione del coagulo.
Per l’α S2 -Caseina anch'essa di dipendenza genetica, i pochi studi hanno evidenziato l’esistenza di 7
alleli al locus dell’ α S2 -Caseina (A, B, C, D, F, 0) associati con almeno 3 livelli quantitativi della
proteina corrispondente: nullo (α S2 -Caseina 0), intermedio (α S2 -Caseina D) e normale (gli altri 5
alleli).
β-Caseina
Questa caseina a causa dei suoi diversi gradi di fosforilazione, determina differenze di risposta alle
tecniche di trasformazione del latte. Tali differenze sono ascrivibili all'assenza di chinasi che
impedisce la fosforilazione della caseina sintetizzata dalla mammella, (Mercier, 1981).
Nella β-Caseina si distinguono 2 gruppi elettroforetici la β1 e la β2 che differiscono fra loro poiché
presentano 6 e 5 gruppi fosforilati rispettivamente (Galliano et al., 2004).
Da studi condotti sulle proprietà di coagulazione è emerso che il latte prodotto da individui
omozigoti β-Caseina 0/0 oltre a presentare i tempi di coagulazione 3 volte superiori rispetto al
valore normale mostrano sia una consistenza del coagulo più ridotta, sia una resa in formaggio
(caciotta) inferiore (Chianese et al., 1993, Pena et al., 1998).
k-Caseina
Questa variante è dovuta ad un polimorfismo genetico legato al locus del k-Caseina (Prinzenberg et
al, 2005). Le varianti alleliche più frequenti riscontrate in capre italiane, francesi e spagnole sono le
A e B che differiscono probabilmente per la sostituzione di un residuo aminoacidico. Le capre con
variante B presentano una maggiore produzione di caseina (Caravaca et al., 2008).
La distribuzione percentuale delle singole frazioni caseiniche, non solo è strettamente dipendente
dal genotipo ma come per tutte le sostanze sintetizzate da un organismo dipende anche da fattori
ambientali capaci di fornire le migliori condizioni affinché il potenziale genetico venga estrinsecato
nel latte, (l'ereditabilità delle proteine è più elevata rispetto a quella dei grass)i.
Si ricorda che i fattori capaci di incidere sulle caratteristiche tecnologiche del latte sono legati alla
quantità di caseine e alla distribuzione percentuale delle singole frazioni ma, nell'ambito delle stesse
261
alla loro qualità. Infatti un elevato rapporto β/αs Caseine riduce il tempo di coagulazione (Storry et
al., 1983).
I minerali e le vitamine
I minerali e le vitamine presenti nel latte provengono solo dal sangue.
La concentrazione dei primi, è differente fra sangue e latte poiché alcuni di questi non
diffondonoattraverso l’epitelio mammario, ma sono trasferiti nel lume alveolare con dei meccanismi
di trasporto attivi (pompe).
Le concentrazioni di Na, K e Cl del latte riflettono i livelli intracellulari mentre quelli del Ca, del
Mg e del P sono diversi da quelli del sangue e comunque dipende dalla specie.
Infatti il latte caprino rispetto a quello umano e bovino presenta superiori concentrazioni di K
(Rodriguez et al., 1999) e minori contenuti di Na, per cui appare più adatto per l'alimentazione di
soggetti con problemi di ipertensione (Zoppi et al., 1993).
La composizione minerale del latte di capra, dipende dal contenuto in minerali presenti degli
alimenti, dalle riserve corporee dell'animale e al grado di efficienza di assorbimento dei diversi
elementi (Musalia et al., 1989).
La concentrazione delle diversi minerali nel latte di capra è abbastanza stabile nel corso della
lattazione ad eccezione del K che manifesta notevoli fluttuazioni (Park e Chukwu, 1988).
Il contenuto (mg/1) totale e solubile dei principali elementi minerali presenti nel latte di capra e
pecora sono riportati(De la Fuente et al., 1997 in alimentazione della capra da latte. Ed Avenue
Media 2005) a cui si rimanda.
Per quanto concerne il contenuto vitaminico del latte di capra, rispetto a quello umano si osserva un
inferiore livello in vitamine A, acido ascorbico e vitamina B12.
262
10.1 FATTORI DI VARIABILITA’ DELLA QUALITA' DEL LATTE DI CAPRA
Come per tutte le altre specie, anche nelle capre, la quantità e la qualità del latte secreto sono
condizionate dalle attività di sintesi degli alveoli mammari ed in modo particolare da fattori
endogeni ed esogeni.
In questo paragrafo, per meglio estrinsecare i concetti riportati in precedenza, faremo riferimento al
latte di capra, per i possibili e positivi effetti che questa specie può avere nelle economie delle aree
interne.
Tra i fattori endogeni, quelli genetici come per le produzioni di tutte le specie d’interesse zootecnico
sono fattori ereditari depositati nel D.N.A. del soggetto che controlla sia 1'attitudine a produrre
quantità più o meno elevate di latte, sia quella qualitativa con più o meno alti contenuti e rese annue
di questo o di quel componente.
Altro aspetto importante è la frequenza con cui si manifestano specifici alleli all'interno dei loci
relativi alle varie frazioni caseiniche che poi vanno a svolgere un ruolo preponderante sia in termini
di qualità nutrizionale che in maggior misura sui parametri tecnologici, (resa, consistenza ecc..)
condizionando il reddito economico dell'imprenditore. Questa proprietà spiega 1'esistenza di più
forme o varianti diverse di una stessa proteina che sono di tipo ereditario. Le varianti si distinguono
per una diversa composizione molecolare che può essere dovuta alla sostituzione di uno o più
aminoacidi all' interno delle catene peptidiche oppure alla delezione di una catena polipeptidica.
Queste variazioni possono assumere particolare significato se la sostituzione di un aminoacido
essenziale avviene nei confronti di uno non essenziale.
Le differenze quantitative tra le varianti genetiche delle singole proteine, anche se quasi sempre
molto piccole, possono influire in maniera diretta o indiretta sulle proprietà tecnologiche e nutritive
del latte.
Fisiologici
Nelle capre, come in tutti gli animali da latte la composizione del prodotto risente anche dello stato
nutrizionale e di salute dell' animale.
Varie forme patologiche e comunque fenomeni infiammatori sono spesso causa di riduzioni della k-
Caseina, del fosforo e dell' acidità, con peggioramento della caseificabilita del latte (Bertoni G.,
2000).
Da un punto di vista quantitativo il parto gemellare garantisce una maggiore produzione di latte,
anche se sembra abbastanza ininfluente per quello che riguarda le caratteristiche dello stesso.
L'ordine di parto, (indi l’età riferita al numero di gravidanza e di parti), e 1'andamento della
lattazione possono influire sulle caratteristiche qualitative del latte sia in termini di componenti
principali che in termini di attitudine alla caseificazione (Zumbo A. et al., 2006).
263
Infatti in capre Camosciate allevate in regime semiestensivo con alimentazione prevalentemente a
pascolo naturale sono state osservate variazioni a carico dei principali componenti del latte nel
corso delle diverse settimane di lattazione come evidenziato in Tabella (Del Pra A., et al 2010).
Il contenuto di calcio e fosforo è elevato all'inizio della lattazione, diminuisce nel corso di questa
per poi aumentare poco prima dell' asciutta.
A parità di stadio di lattazione, l'ordine di parto, cui e associata 1'età dell'animale, sembra
influenzare significativamente il tenore in grasso e proteine e, parallelamente ad un incremento di
quest'ultimi, si assiste ad una flessione del tenore in lattosio.
Con il progredire del numero di lattazioni si ha un aumento del contenuto in cellule somatiche;
dovuto alla crescente alterazione del tessuto epiteliale della mammella che comporta una
modificazione della funzionalità secretorie.
264
Fattori esogeni, tra questi la razione alimentare dal lato quanti-qualitativo nella capra e nelle altre
specie d’interesse zootecnico, risulta molto importante, poiché è capace di modificare la
composizione del latte. Infatti, agendo sul contenuto di energia, sul livello nutritivo, su quello in
proteine e fibre o sul tipo di alimenti che compongono la dieta, è possibile orientare la
composizione chimica e nutritiva del latte entro i limiti che il genotipo animale ci consente.
Sull'alimentazione viene posta la massima attenzione non solo dagli allevatori, desiderosi di fare
estrinsecare al meglio le potenzialità produttive dei loro animali, ma anche dai consumatori, attenti
ad evitare che la dieta possa modificare le caratteristiche nutrizionali ed organolettiche del latte e
dei suoi derivati.
Dall’alimento derivano i principi nutritivi che sono i precursori, diretti o indiretti, dei principali
costituenti del latte. La relazione che esiste tra principi alimentari e composizione chimica del latte
e comunque molto complessa a causa delle trasformazioni che avvengono nel rumine, dell'influenza
di alcuni ormoni e dei processi di sintesi che avvengono negli alveoli della ghiandola mammaria. Di
seguito è riportato uno schema del processo di trasformazione dell'alimento in latte con indicazione
degli stadi in cui e possibile agire per ottenere una variazione nella composizione del latte (Morand-
Fehr P. et al., 2007). Dal quale è possibile notare che solo attraverso 1'alimentazione (quantità,
composizione e frequenza dei pasti) e possibile variare la percentuale dei componenti del latte.
Infatti, una volta che l'alimento viene ingerito la possibilità di controllo da parte di un fattore
esterno è molto limitata. A questo stadio, infatti, e solamente possibile intervenire sulle
fermentazioni ruminali e, in misura minore, sull'assorbimento intestinale mediante l'uso di additivi.
Gli ormoni giocano un ruolo importante nel controllo di molti aspetti della sintesi del latte ma non
sembrano avere un ruolo significativo nel mediare gli effetti della nutrizione sulla sua
composizione.
Agendo sul livello di fibra o carboidrati strutturali, sul rapporto foraggio/concentrato, sul tenore
proteico, lipidico della dieta e sul livello di ingestione si può modificare la composizione del latte e
la quantità prodotta.
265
Conversione dell'alimento in latte e possibile controllo esterno della sua composizione in vari stadi
(Sutton, 1989).
La fibra. L'influenza della quantità e qualità della fibra o dei carboidrati strutturali presente nella
razione sulla percentuale di grasso del latte è stata ampiamente accertata.
Un sufficiente apporto di carboidrati strutturali è condizione essenziale per promuovere la motilità
del rumine, per favorire un' abbondante salivazione capace di mantenere il pH dell'ambiente
ruminale a valori adeguati per un'ottimale proliferazione microbica, per produrre una sufficiente
quota di Acidi Grassi Volatili (AGV) che rappresentano la principale fonte di energia e di composti
carboniosi utili alla sintesi del latte (Morand-Fehr P. 2005).
Variazioni del contenuto di carboidrati strutturali causa differenze nel consumo di alimento e nella
produzione del latte. Infatti esiste una negativa correlazione fra produzione di latte e percentuale di
fibra grezza del foraggio ed una correlazione positiva tra produzione di latte ed energia netta del
foraggio (Morand-Fehr P. 2005).
La concentrazione in fibra della razione influenza la percentuale di grasso del latte. Una razione in
cui i foraggi rappresentino la quota prevalente della sostanza secca totale sarà la migliore garanzia
per la sintesi di una sufficiente quantità di acetato, indispensabile e fondamentale precursore della
sintesi del grasso nel latte, e di un favorevole equilibrio tra acetato, butirrato e propionato a livello
ruminale. Infatti, qualora la produzione di AGV dovesse spostarsi a favore di una maggiore sintesi
266
di propionato, come avviene in razioni con basso tenore in fibra ed elevato livello in amidi, si crea
una situazione favorevole alla produzione di grasso corporeo con conseguente calo della
percentuale lipidica del latte (Antongiovanni M. 2004).
La lunghezza del foraggio rappresenta uno dei primi fattori responsabili della variazione di grasso
nel latte; infatti, per mantenere un adeguato tenore in grasso, una parte della fibra deve essere lunga
e strutturata (la lunghezza di trinciatura del foraggio deve essere superiore a 0,6-0,8 cm). La
dimensione minima delle particelle alimentari capaci di stimolare la ruminazione ha un ruolo molto
importante nell' alimentazione dei ruminanti: razioni eccessivamente ricche di fibra lunga limitano
1'ingestione, a causa della bassa velocità di degradazione ruminale e dell'elevato effetto di
ingombro della fibra stessa (Morand-Fehr P. 2005).
Rapporto foraggio/concentrato
In alcuni sistemi di allevamento 1'allevatore tenta di migliorare la produzione di latte modificando il
rapporto foraggio/concentrato della dieta, molto spesso aumentando l'integrazione con concentrato
per coprire le richieste energetiche di animali molto produttivi. Quando le capre ricevono foraggio
prodotto in azienda, i concentrati vengono usati per correggere il contenuto energetico, proteico e
minerale della razione. In generale, con foraggi di elevata qualità è possibile mantenere un più alto
rapporto F/C; viceversa, se il foraggio è scadente, per sostenere la produzione di latte si deve
ricorrere ad una quota maggiore di concentrato (Martin P. et al., 1988).
L'integrazione con concentrato, anche quando riduce il consumo di foraggio, generalmente aumenta
l'ingestione di sostanza secca e di energia. Diversi risultati sperimentali hanno evidenziato che al
diminuire del rapporto foraggio/concentrato diminuisce la produzione di latte ed aumenta il peso
corporeo, evidenziando una ripartizione dell'energia alimentare sempre più spinta verso
l'ingrassamento con il crescere della quantità di carboidrati non strutturati (Non Structural
Carbohydrates o NSC) della razione. Infatti, l'uso di razioni con elevate concentrazioni di NSC
incrementa la produzione di propionato nel rumine, il quale determina sia una notevole attività
gluconeogenetica, sia una stimolazione della produzione di insulina e quindi una stimolazione della
lipogenesi ed una diminuzione della lipolisi, con effetti positivi sulla deposizione di grasso corporeo
e negativi sulla produzione di latte. Questi eventi metabolici sono responsabili delle variazioni nella
composizione in acidi grassi del latte (Martin P. et al., 1988).
La dieta fornita all'animale è in grado di modulare la composizione di acidi grassi del latte, è
accertato che il rapporto foraggi/concentrati, influenza la microflora ruminale e di conseguenza la
proporzione di Acidi Grassi che si ritrovano nel latte (Sanz Sampelayo et al., 2007).
L’interazione tra genotipo (αS1-Caseina) e l'apporto quanti-qualitativo alimentare, sulle
caratteristiche del latte e sulla produzione, sono state studiate da Schmidely et al., (2002); De La
Torre et al.,(2009); Avondo et al., (2009).
267
Inoltre quando l'ingestione di energia aumenta senza modificare il rapporto foraggio/concentrato,
aumenta la percentuale degli acidi grassi a catena corta e quella dell'acido palmitico, mentre
diminuisce quella del C18:0 e C18:1. Risultati opposti si ottengono quando nella razione aumenta il
livello dei concentrati e diminuisce quella dei foraggi. Infatti, l'aumento di concentrati nella dieta
determina una riduzione della percentuale di acido acetico nel rumine con conseguenti importanti
effetti sul profilo acidico del latte. Invece, in caso di ipoalimentazione energetica si ha un'intensa
mobilizzazione dei lipidi di riserva, ricchi in acidi grassi C18 e di conseguenza aumentano le
percentuali di acido stearico nel latte.
La riduzione del rapporto foraggio/concentrato nella dieta provoca un abbassamento del livello
lipidico del latte, la cui entità varia in funzione della fermentescibilita dei carboidrati che
costituiscono gli alimenti.
Secondo Chiofalo et al., (1991) l'apporto in carboidrati non strutturali (amidi e zuccheri) non
influenza le caratteristiche di coagulazione del latte. Tuttavia, nel latte di pecore verso la fine della
lattazione un aumento della concentrazione energetica delle razioni migliora significativamente la
caseificabilità del latte (Serra et al., 1995). Secondo altri autori (Pirisi et al., (1995) e Martini et al.,
1999) 1'aggiunta di un mangime, a basso tenore in NDF, alla dieta a base di pascolo, migliora le
attitudini casearie del latte di pecore. Inoltre l’uso di granelle fioccate rispetto a quelle frantumata
nell’alimentazione della pecora da latte, migliora la coagulabilità del latte, la produzione, il
contenuto in grassi ed in sostanze azotate totali. Infatti l'impiego di cereali fioccati rispetto a quelli
macinati o spezzettati produce un miglioramento sia del tempo di coagulazione (r) sia di quello di
formazione del coagulo (k20) (Bianchi et al., 1994).
Recentemente è stato messo in evidenza un positivo effetto della dieta con supplemento in selenio e
Vitamina E sull'attitudine alla coagulazione del latte di capre di razza Jonica (Tufarelli e Laudadio,
2011).
268
nella mammella).
La presenza di acidi grassi saturi determina un modesto incremento del livello di grasso nel latte,
mentre gli insaturi favoriscono la riduzione (MacLeod et al., 1972).
L'aggiunta di grassi nella razione, a causa dei processi di idrogenazione degli acidi grassi che
avvengono nel rumine influenza poco il profilo acidico dei lipidi del latte. Piante oleose, ricche in
acidi linoleico e linolenico, aumentano la percentuale di acidi stearico ed oleico ma riducono quella
degli acidi a catena medio-corta, (miristico e palmitico). Il pascolo generalmente ricco di acidi
grassi polinsaturi (PUFA), influenza il profilo acidico del latte favorendo il loro accumulo (PUFA)
che, in questa situazione alimentare forse sfuggono alla bioidrogenazione ruminale (Mele et
al.,2005).
Per minimizzare la biodegradazione degli insaturi a livello ruminale, sono state introdotte tecniche
che permettono ai grassi della dieta di by-passare il rumine senza interferire sulle fermentazioni
ruminali.
269
(Bertoni, 1993).
In definitiva, razioni con un rapporto energia/proteine bilanciato sia in termini di quantità che di
cinetiche di degradazione ruminali, ottimizzano le fermentazioni batteriche e massimizzano la
crescita microbica per unità di sostanza organica fermentata, ed evitano perdite urinarie di energia e
di azoto sotto forma di urea e, consentono così di utilizzare in modo ottimale l'azoto alimentare per
la sintesi delle caseine.
Livello di ingestione
In genere, la dieta di base delle capre è rappresentata da uno o più foraggi verdi (pascolo) o
conservati (fieno, insilati, pellettati) offerti ad libitum o in modo controllato a cui a seconda dei casi
si sommano concentrati. L'influenza della natura del foraggio (specie, varietà, numero di taglio,
stadio vegetativo o tecnica di conservazione ecc..) sulla produzione di latte caprino, dipende dal
consumo di foraggio e dal suo contenuto energetico. Le leguminose (erba medica, trifoglio rosso) e
il loglio italico sono i foraggi che presentano una maggiore ingestione volontaria e favoriscono una
maggiore produzione di latte.
Anche la tecnica di conservazione dei foraggi incide sulla produzione di latte che migliora quando
vengono consumati foraggi verdi e fieno sotto forma di pellet. Inoltre, quando l'alimentazione è
basata sul solo utilizzo di insilati di mais, la produzione si riduce al 5 al 14% mentre, i fieni di
leguminosa di media qualità determina una riduzione che varia dal 15 al 25%.
Il livello proteico del latte, al contrario della percentuale del grasso sembra essere poco influenzato
dalla modalità di conservazione del foraggio. L’uso di insilati di mais e foraggi verdi rispetto al
fieno incrementano la percentuale di grasso del latte.
Nei diversi sistemi di allevamento, il livello di ingestione di sostanza secca o di energia ingerita è il
principale fattore che influenza la produzione del latte e la sua composizione. Un alto livello di
ingestione, specialmente ad inizio lattazione, determina un incremento della produzione del latte.
Negli animali in lattazione un alto livello di ingestione, dovuto ad un miglior valore nutritivo degli
alimenti o ad un maggior apporto di concentrato, permette di ottenere un latte più ricco di proteine,
e specialmente in caseine, e più povero di grasso.
Mentre, in caso di ipoalimentazione energetica, si riduce la percentuale di proteine per
massimizzare quelle di grasso e delle proteine del latte, poiché da un lato si devono favorire le
fermentazioni acetiche a livello ruminale con diete ricche di foraggi, dall'altro, utilizzare
integrazioni lipidiche by-passanti (by pass), al fine di fornire acidi grassi insaturi a lunga catena
senza influire negativamente sulle fermentazioni ruminali, poiché nel latte la percentuale di grasso e
la sua qualità sono influenzate dall'alimentazione. Infatti, animali ipoalimentati nel tempo, non solo
dimagriscono, ma riducono subito la quantità e la qualità del latte, anche se i contenuti in lattosio, in
calcio, in sodio, in potassio, cloro e dei micro elementi sembrano non risentire in modo
270
significativo.
Fattori ambientali
Tra i fattori esogeni, il clima, ( ovvero la temperatura, l’umidità, il fotoperiodo, la ventosità e
altitudine), è senza dubbio uno di quelli che influisce sia direttamente che indirettamente sulle
caratteristiche quanti-qualitative del latte, poiché condiziona la disponibilità del pascolo ed il
comportamento alimentare degli animali.
Infatti la disponibilità idrica rappresenta un fattore limitante delle risorse foraggere che di fatto si
riflette sulle produzioni zootecniche, così come le alte temperature che limitano l’attività di
pascolamento, che per favorirla, si fanno pascolare gli animali di notte, i quali mostrano buone
performances sia per quantità di latte prodotto che per la qualità dello stesso. La temperatura
ambientale è tra i fattori che influiscono sull'acidità del latte, infatti durante i periodi più caldi dell'
anno essa aumenta.
Inoltre l'altimetria, la localizzazione dell' allevamento e la stagione del parto, influenzano le
caratteristiche quanti-qualitative del latte. Infatti, il diametro dei globuli di grasso, la percentuale
dello stesso e la concentrazioni dei CLA rispetto agli acidi grassi saturi sono superiori nel latte
primaverile degli allevamenti di altura rispetto a quello di pianura il quale contiene maggiori livelli
di sostanza secca, proteine, grasso, fosforo e acido α-linolenico. Il latte di pianura, rispetto a quello
di collina si distingue per un maggior contenuto di cellule somatiche, per una più alta carica
batterica, per una superiore resa di ricotta e per cali in formaggio. Le produzioni di latte invernali e
quelle di collina, per le migliori caratteristiche fisico-chimiche e nutrizionali, risultano più idonee
per la trasformazione.
271
peculiare; un livello di colesterolo più basso rispetto a quello di animali allevati in stalla, mentre più
alto è il contenuto in vitamina A ed E.
La tecnica di mungitura (manuale o meccanica) influenza la qualità del latte, infatti se non effettuata
a fondo si ha una diminuzione della quantità di grasso, in quanto il latte di sgocciolamento ha un
tenore lipidico fino a 2 volte superiore a quello inizio mungitura.
Una 3ª mungitura giornaliera (verso metà giornata) non incide significativamente sulla
composizione chimica del latte e sulla quantità prodotta. Inoltre la distanza fra due mungiture non
ha alcun effetto sulla qualità del latte (max 12 ore fra la mungitura della mattina è quella della sera).
In particolare ad incidere significativamente sugli aspetti quanti qualitativi della produzione del latte
è sicuramente il genotipo animale (specie e/o razze). Per questo basti ricordare le quantità di latte
prodotte dalle diverse specie e la relativa composizione chimica generale e speciale e, non solo ma
all'interno della stessa specie i livelli produttivi e qualitativi dovuti alle razze ed all'interno di questa
le variabilità individuali. Gli effetti del polimorfismo al locus della α s1-Caseina sulla produzione
del latte, sulla sua composizione, sulle proprietà di coagulazione e della resa in formaggio sono stati
studiate su capre di Alpine (Remeuf, 1993; Grosclaude, 1994; Mahe, 1993; Vassal, 1994, Barbieri,
1995; Ricordeau, 1996; Martin, 1999; Ricordeau, 2000), su razze caprine italiane (Pizzillo et al.,
1996; Meggiolaro et al., 2000), razze norvegesi (Vegarud et al., 1999), spagnole (Diaz, 1993; Diaz
et al., 1994; Angulo et al., 1996; Sanchez et al., 1998; Analla et al., 2000) e su varie razze in USA
(Clark e Sherbon, 2000 b).
I cui risultati possono essere riassunti come segue:
(a) non esiste alcuna differenza tra i genotipi rispetto alla produzione di latte;
(b) esistono differenze significative per quanto riguarda l’ α s1-Caseina, il contenuto totale di
caseina e proteina;
(c) è stato trovato, in alcuni lavori, un effetto significativo del polimorfismo sulle percentuali di
grassi, non facile da spiegare;
(d) il latte prodotto da genotipi definiti "forti" produce un latte con proprietà di coagulazione
migliori (coagulazione più veloce e migliore consistenza della cagliata) rispetto ai genotipi
"intermedi", che presentano migliori proprietà dei genotipi "deboli";
(e) le rese in formaggio di differenti genotipi sono ordinati nello stesso modo come per le proprietà
della cagliata. Un possibile inconveniente dei genotipi "forti" e "intermedi" è stato rilevato sul
sapore del formaggio. Formaggi fatti con il latte di questi genotipi manifestano un più ridotto
sapore di specie rispetto ai genotipi "deboli", dovuto alla relazione esistente con i diversi profili
272
degli acidi grassi. Tuttavia non si è certi se questo effetto sia dovuto al polimorfismo del gene alla α
s1-Caseina o alla lipolisi degli acidi grassi durante la stagionatura.
273
Cap 11. CENNI DI ALIMENTAZIONE E NUTRIZIONE ANIMALE
Premessa
E’ necessario anzitutto ricordare che tutti gli esseri viventi appartenenti al regno animale sono
eterotrofi, ovvero non sono capaci di sintetizzare sostanza organica (materia vivente) a partire da
elementi semplici come l'acqua, gli elementi minerali (N, C, O, eccetera) e da radiazioni solari
(luce), capacità questa riservata al mondo vegetale che sintetizza sostanza organica (proteine, grassi,
polisaccaridi eccetera) attraverso il processo di fotosintesi clorofilliana, per questo dette autotrofi.
Pertanto gli animali per compiere il proprio ciclo vitale (nascita, accrescimento, riproduzione
eccetera) devono ingerire e/o assumere dall'esterno sostanze e/o principi alimentari (acqua, proteine,
grassi, zuccheri, minerali eccetera) attraverso il/i processo/i di alimentazione e nutrizione. Come
fondamentali del comportamento degli eterotrofi superiori (animali, uomo compreso), ovvero, la
ricerca del cibo, l'istinto di sopravvivenza che si manifesta con svariati modi di difesa, e gli atti di
riproduzione ed attrazione sessuale. Di questi comportamenti quello prioritario è quello della ricerca
medesima. In realtà, l'organismo animale, così come noi lo vediamo nel suo complesso rappresenta
patrimonio "genetico" (genotipo) ed "estrinseci" dovuti all’azione dei fattori dell'ambiente in cui
esso nasce, cresce e compie il suo ciclo vitale. Tra questi, la disponibilità e la qualità dell'alimento è
sull'accrescimento, sia sui diversi aspetti quanti-qualitativi delle produzioni degli animali, i quali
con il diminuire delle disponibilità alimentari, prima diminuiscono le loro produzioni (latte, carne,
uova ecc.), poi sia quelli riproduttivi, sia quelli di difesa immunitaria, che porta il soggetto/i dalla
depravazione dell'appetito prima, alla cachessia poi, ed in ultimo alla morte del soggetto. In realtà si
può affermare che l'alimentazione rappresenta il "carburante" capace di far muovere la "macchina
animale" e che le prestazioni di quest'ultima sono scritte nel suo "motore e meccanica intrinseca"
ovvero nel suo "corredo genetico DNA". Dette prestazioni vengono estrinsecate solo con la giusta
274
alimentazione, con idonei sistemi e tecnologie di allevamento sviluppati in ambienti idonei ed
applicati da personale altamente qualificato. Detto questo, si può senza ombra alcuna affermare che
l'importanza dell'alimentazione è pari a quella del genotipo e dei fattori ambientali considerati nel
loro insieme.
L'alimentazione animale rappresenta quella branca della zootecnica che si occupa dello studio degli
alimenti è delle esigenze alimentari degli animali in relazione alle età, alla produzione e detta le
regole per l'uso di fieni, foraggi, mangimi, attraverso la somministrazione di diete e/o razioni
La nutrizione degli animali domestici e/o selvatici, riguarda l'insieme dei fenomeni fisiologici
incontro i diversi principi nutritivi (acqua, proteine, grassi, glucidi, minerali eccetera) contenuti
nella razione alimentare. Quando prevalgono i fenomeni anabolici e/o di sintesi l’animale si
accresce, ingrassa, produce (latte, carne, uova ecc.), mentre quando sono quelli catabolici a
Pertanto l'alimentazione (somministrazione e/o ingestione della razione) e il primo atto della
nutrizione e si inquadra nei processi digestivi di assorbimento e metabolici dei principi nutritivi
assorbiti, che hanno luogo nelle cellule degli organi a cui sono destinati.
1. Fattore capace di esaltare le capacità produttive degli individui, poiché è elemento fondamentale
secrezione del latte, l'accumulo di grasso e le stesse prestazioni lavorative (produzione e/o
consumo di energia) sono tutti processi basati sull’assimilazione e sul metabolismo dei diversi
(biosintesi). Per cui, si può certamente dire che attraverso la giusta alimentazione corrispondente
alle esigenze dell'organismo animale risulta possibile evidenziare tutte le prestazioni produttive
275
2. Fattore sanitario e di prevenzione di diverse patologie.
Infatti quando gli animali sono sottoposti, per cause diverse, a restrizioni e/o carenze alimentari
dal lato quantitativo e/o qualitativo (deficitari di alcuni principi nutritivi, di aminoacidi, di
vitamine, di minerali ecc.), essi manifestano turbe funzionali, alterazioni dello stato di salute,
abbassamento dei poteri immunitari, che portano all'arresto produttivo, riproduttivo e dalla
facilità di contrarre infezioni dovuto questo ad un forte abbassamento del livello di γ-globuline
circolanti.
economica dell'alimentazione poiché un animale malnutrito produce poco e male, gli alimenti
In realtà, anche nelle migliori condizioni nutrizionali con somministrazione di razioni adeguate
dal lato quanti-qualitativo alle esigenze nutrizionali degli animali, l'incidenza del costo
alimentare su quello del prodotto finito si aggira intorno al 50% ed incrementa con il
Sono definiti alimenti quell'insieme di sostanze vegetali (piante, semi verdi o secchi) ed animali
(parti e/o scarti e/o residui) e/o prodotti derivanti dalla loro lavorazione e/o trasformazione, che gli
vengono utilizzate sia per la sintesi e la produzione di organi e tessuti (accrescimento, riequilibrio
cellulare, accumuli di riserve energetiche come grassi di deposito, ecc.) sia per la produzione di
energia (chilocalorie) o termogenesi ottenuta dal catabolismo dei principi nutritivi necessari per
Ogni alimento o sostanza alimentare è composto da un insieme più o meno equilibrato di principi
1) L'acqua: componente essenziale di ogni organismo vivente ed il cui contenuto varia con la
specie animale e/o cultivar vegetale; con l'età animale e/o lo stadio vegetativo della pianta,
276
con il tessuto (muscolo, osso, grasso eccetera) e/o parte della pianta (foglie, semi, stelo,
tronco ecc.). Esso svolge funzione essenziale di veicolazione di tutte le sostanze in essa
disciolte o solubilizzate.
2) Proteine. Sostanze fondamentali per la vita dell'intera biosfera sono polimeri di principi più
detti aminoacidi. Il loro numero è di circa 21 come le lettere dell'alfabeto, con i quali l'organismo
attraverso il metabolismo (dal greco μεταβολή = trasformazione e/o cambiamento) scrive i testi
della vita.
4) Glucidi o zuccheri. Nel mondo vegetale (cariossidi) sono la quota prevalente molto meno
nell'organismo animale. Sono presenti come polimeri (cellulosa, amido, glicogeno eccetera)
di glucidi semplici esosi o pentosi o come monosaccaridi (glucosio ematico, galattosio, ecc.)
o come disaccaridi (saccarosio, lattosio, ecc.). In generale hanno funzione energetica. Alcuni
polisaccaridi come la cellulosa che incrostata di lignina (fibra grezza) hanno anche funzione
di sostegno pari a quello dello scheletro osseo degli animali, ma che durante i fenomeni
5) Minerali (ceneri). In genere hanno funzione biogena (Ca, P, K, Na, ecc.). Nell'organismo
animale per la stragrande maggioranza sono depositati nello scheletro osseo, che insieme
nell’osseina partecipano alla formazione degli osteoni. Gli altri come (N, O, C, H, S) sono
quelli primari o plastici e li troviamo come componente degli amminoacidi delle proteine
277
Essi possono essere suddivisi in:
chimica quantitativa.
b) microelementi di cui fanno parte quelli dosabili con tecniche di microanalisi. (Ni, Co, Zn,
Cu, ecc.)
D che origina dai tessuti adiposi sotto l'azione delle radiazioni solari. In genere, a seconda
a) Idrosolubili a cui appartengono quelle che si sciolgono in acqua in genere quelle del
gruppo B.
b) Liposolubili a cui appartengono quelle solubili nei grassi (oli) come la vitamina A e D.
Circa le funzioni fisiologiche biochimiche dei principi nutritivi citati, si rimanda ai normali testi di
nutrizione ed alimentazione.
Prima di iniziare questa trattazione è utile una rapida classificazione degli alimenti, poiché in base
c) Concentrati
d) Non concentrati
e1) industriali (fettucce di bietola, trebbie di birra, pastazzi di agrumi, residui della lavorazione delle
Cariossidi, ecc.)
278
f) fibrosi a cui appartengono le paglia, i fieni, le stoppie e i residui di potatura,
g) proteici di cui fanno parte le farine di carne, di pesce, e le farine di estrazione di semi oleosi
a) la composizione chimica
b) la digeribilità
c) la relazione nutritiva
e) il contenuto vitaminico
f) l'appetibilità
g) la conservabilità
I dati analitici necessari per la valutazione chimica degli alimenti sono quelli prescritti dall'art. 11 L
4) fibra grezza
5) ceneri
6) estrattivi inazotati
279
d) 5,7 per grano, avena, segale, piselli, fave, veccia arachidi
oltre ai parametri anzi citati, anche se con minore frequenza ma certamente estremamente
importanti riguardano le indagini sulla composizione aminoacidica della proteina, su quella acidica
del grasso e/o il/i contenuto/i in grassi saponificabili, in lignina, in pentosani e/o il livello dei singoli
minerali (Ca, P, Zn, Cu, Co ecc.) presenti nelle ceneri, nonché il contenuto di talune vitamine.
Campionamento
analisi, il quale deve essere rappresentativo dell'intera massa da valutare che, spesse volte supera le
sottoposta ad analisi chimica darà una risposta e/o giudizio d'analisi non rispondente al vero, da cui
le logiche conseguenze (negative) del giudizio finale e dei pessimi risultati derivanti dall'uso di
quella massa alimentare. Per quanto anzidetto il prelievo del campione è un'operazione di estrema
importanza che merita sicuramente un cenno sulla modalità di prelievo, e le procedure, difatti
Quando si tratta di foraggi verdi è necessario procedere a prelievo mediante sfalcio di una superficie
saggiare.
Per ogni sfalcio si procede alla pesata della massa verde ricavata, poi, tutta la massa verde ricavata
da diversi sfalci si mescola accuratamente. Da questa massa così ottenuta in diversi punti si
prelevano 3 - 4 campioni di peso non inferiore ad 1 - 2 kilogrammi, detti prelievi si mescolano tra
di plastica sottovuoto in cui sarà posto il cartellino recante la data di prelievo, la località, tipo di
alimento ad esempio:
280
finalità: "indagine conoscitiva"
La conservazione sottovuoto del campione è utile per evitare sia le perdite di acqua per evapo-
Il campione così preparato va inviato immediatamente al laboratorio di analisi o conservato per non
Quando si tratta di foraggi secchi come fieni e/o paglie si procede anzitutto a prelievi di campioni in
diversi punti della massa in modo da ottenere un campione dal peso di circa 1% dell'intera massa da
inviare al laboratorio. Per i foraggi secchi (fieni, paglie, ecc.) e per le cariossidi (semi) al di sotto del
15% di umidità non è necessario il sottovuoto purché l’analisi venga espletata entro 5-6 giorni dal
prelievo. Stessa procedura si usa per gli insilati, e per le granaglie ma per i primi è opportuno l'uso
del sottovuoto. Quando si deve campionare un prodotto alimentare fresco, come il latte o le carni, le
procedure sono leggermente diverse. Quando si tratta del latte, la campionatura può essere fatta sia
alla mungitura per singolo soggetto, sia sul latte di massa o di stalla. La campionatura di latte per
singolo soggetto (vacca, capra, pecora ecc.) risulta utile e indispensabile nei processi di selezione
e/o ne i controlli sanitari (esempio ricerca di latti mastitici, ricerca di residui farmacologici,
fitosanitari ecc.) quella di massa indicata principalmente all'inizio dei processi di trasformazione. I
controlli di ingresso servono sia per accertamenti di salubrità del prodotto (n° cellule somatiche,
punto crioscopico, N-proteico, NN proteico eccetera) sia per il pagamento del latte in base alla
Nel campionamento individuale è necessario prelevare un campione pari a 100-200 cc del latte della
mungitura del mattino previa sua accurata miscelazione, ed un campione del latte serale di pari
volume da mettere in opportuni contenitori che possono essere di vetro o di plastica. L'etichetta
281
numero di matricola: 7502 S
età dell'animale: 5
Per il campionamento di massa, è opportuno, a seguito agitazione, prelevare della massa 4-5
campioni di 1-2 lt o quantomeno un numero pari al numero dei contenitori per poi mescolarli, da cui
ricavare poi il campione di 1 lt circa da inviare al laboratorio con l'etichetta sulla quale saranno
specificate:
contenitore numero: 4
Per quanto riguarda le tecniche analitiche dei diversi parametri di qualità si procede ad un semplice
accenno rinviando il tutto ai testi di chimica analitica specifici del settore. Si ricorda comunque che
1. acqua (acqua % o umidità) si ottiene per essicamento in stufa del campione a 105° C fino a peso
% 100 100
5. ceneri, per incenerimento in muffola a 550° centigradi fino a peso costante di un campione di
6. fibra grezza (cellulosa-lignina) metodo Whende e per le frazioni fibrose (ADF; NDF; cellulosa,
lignina eccetera) metodo Wan Soest, oppure il metodo Metha per la sola lignina.
7. Estrattivi inazotati (amidi ecc.) per differenza; vero a 100 ovvero 100 - % H2O - % proteine
A queste determinazioni, una volta nota la composizione chimica percentuale e tenendo conto dei
Tale parametro, può essere espresso come energia lorda (Cal/Kg o Kcal) e può essere valutato
1 g di fibra grezza equivale a 4,1 cal, per cui un alimento che presenta una composizione come
quella riportata:
grasso grezzo 2%
ceneri 3%
283
ovvero 4100 kcal / Kg
zootecnico contiene una certa quantità di E.L., essa non viene tutta utilizzata poiché vi sono delle
perdite di trasformazione che variano con la specie animale, con la razza e con l'indirizzo produttivo
(latte e/o carne) e che può essere sintetizzata come nello schema riportato:
E. persa per
meno
E.L. m
meno
Energia fecale E: D.
meno
E. persa con l’urina Energia digestione e
Kcal Energia muchi Energia E. persa per catabolismo esogeno metabolizzabile fermentazione
della enzimi batteri digeribile E. persa per i gas di fermentazione (CH4) (E.M.) Azione dinamico
razione ecc E. persa per il catabolismo endogeno specifica degli
alimenti (A.D.S.)
Energia produttiva
a) Accrescimento- ingrasso
b) Latte, feti, uova, lana
c)Lavoro e calore conseguente
Energia
netta Energia mantenimento
E. N. a) Metabolismo basale
b) Attività fisiologiche
c) Termoregolazione
EL contenuta nelle feci: calorie 20.000 pari al – (pari al 30% dell’ E.L. ingerita) =
b) Energia contenuta nei gas di fermentazione e/o digestivi: calorie 3500 + Energia urinaria: calorie
d) Energia spesa per lavoro di digestione, assimilazione, azione dinamico specifica (ovvero costo
Questa quota di energia della razione è quella che l'animale utilizza per il suo mantenimento e le sue
attività produttive e rappresenta il valore nutritivo della razione che può essere espresso come Kcal
284
di energia netta (o nella sua espressione unitaria come UF Leroy, latte, carne, ecc.) metabolizzabile
o lorda.
granella al 10% di umidità o di 2,5 kg di fieno di prato stabile ricco di Fleum pratens e di altre
corrisponde a circa 720 kcal, 3 kg equivalgono a circa 2160 kcal. Tale valore non è mai costante
poiché varia leggermente con l'indirizzo produttivo (latte, carne, mantenimento) con il livello
nutritivo e con il genotipo. Infatti il miglior rendimento energetico si ottiene quando l’E alimentare
viene utilizzata per il mantenimento in lieve stato di iponutrizione dell’animale (2200 kcal) il
peggiore (1960 kcal) nell’ingrasso e/o accrescimento (produzione di carne). In realtà il metabolismo
basale o dispendio minimo energetico o produzione minima di calore di un animale nelle 24 ore
necessarie alle sue attività vitali di base, si stabilisce in via sperimentale in camera climatica
B. È più alto nei piccoli animali ove questo rapporto è più alto, poiché la superficie del corpo
favorisce la dispersione del calore prodotto. La superficie disperdente si può calcolare secondo la
formula di Mech:
Sm2 = KP 2/3
e P rappresenta il peso vivo degli animali mentre l'esponente 2/3 sta a significare che mentre la
superficie corporea varia in modo quadratico delle diminuzioni lineari, il P varia in ragione cubica.
In realtà secondo Benedict la precedente formula o quella della legge delle superfici disperdente di
Mech rappresenta una semplice approssimazione all'interno di una specie e non risponde affatto
285
quando si considera il MB per metro quadro di superficie di animali diversi così come risulta a dai
Dopo una serie di calcoli ed espressioni matematiche Brody da dati sperimentali dimostrò che
l'espressione più esatta del M. B. dei mammiferi applicabili dal topolino all'elefante era data
dall'espressione:
ottenibile in condizioni ideali e non reali. Poiché normalmente l'animale è immerso in un ambiente
reale con escursioni termiche anche significative (-10 + 35-40° C), si muove normalmente,
mangia, digerisce, si riproduce ecc. e anche se non lavora (sottoposto sforzi) il dispendio energetico
286
Valutazione chimica-fisiologica degli alimenti
Come anzi accennato una delle determinazioni più importanti per la valutazione chimica è quella
della proteina grezza. Questa determinazione tuttora usata universalmente non è proprio esatta dal
lato chimico poiché determina l’N totale e non quello proveniente dalle sostanze proteiche vere e
proprie. Infatti nell’N totale e compresso non solo quello proteico ma anche quello non proteico
(NNP) come quello degli aminoacidi liberi, quello ammidico, quello delle basi azotate, quello dei
composti ammoniacali ecc. Il metodo usato è il Kjelthal di cui abbiamo già accennato
riguarda la valutazione della composizione aminoacidica della proteina alimentare e non solo,
poiché com'è noto vi fanno parte 21 aminoacidi di cui 10 sono definiti essenziali per l'uomo e per
quasi tutti i monogastrici (suini e polli, per questi ultimi sono 11; infatti nei polli nella massima fase
di sviluppo corporeo e/o nel massimo delle produzioni, si aggiunge l'arginina). Si ricorda che gli
aminoacidi essenziali sono: arginina, fenilalanina, isoleucina, istidina, leucina, lisina, metionina,,
treonina, triptofano, valina e tirosina, i cui fabbisogni per le singole specie animali e i contenuti nei
Un aminoacido (a.a.) è definito essenziale per un determinato organismo vivente quando dallo
stesso non è sintetizzato e/o le quantità di sintesi sono inferiori alle esigenze dello stesso. Gli a.a.
essenziali si distinguono in limitanti primari e secondari. I primi sono quelli (come la lisina) che
qualora fossero inferiori alle esigenze metaboliche dell'organismo, inibiscono l'utilizzo di tutti gli
altri poiché le loro basse (insufficenti) quantità bloccano le principali reazioni metaboliche. La
essenziali incidono di fatto sul valore biologico della stessa, di cui abbiamo accennato in
oppure si può valutare il V. B. con il metodo del punteggio chimico di una proteina (x) con il
V. B. = 13,74 + 1,0747 x
oltre che con il V. B. la proteina contenuta negli alimenti facenti parte delle razioni e/o diete
animali, può essere stimata e/o valutata con metodi biologici e chimici.
Nei metodi biologici si assume come criterio base il valore di accrescimento registrato dagli animali
(ratto o pulcino) o il bilancio netto dell’N; in quelli chimici si tiene conto del contenuto in
aminoacidi essenziali della proteina da valutare rispetto al livello di aminoacidi essenziali di una
In realtà, il V. B. così come espresso nelle precedenti formule, rappresenta il rendimento o grado di
utilizzazione della proteina in esame. Infatti quando si dice che il valore della proteina x è pari
all'80% per l'accrescimento, significa che nell'80% dell’N delle proteine digeribili viene utilizzato
dall'organismo per scopi anabolici (accrescimento). Oltre che dalla natura della proteina (animale o
conservazione e i trattamenti a cui la proteina viene sottoposta, come la cottura degli alimenti che
denatura la proteina (indi abbassa il V. B.) o la tostatura che inibisce alcuni fattori anti-nutrizionali
e/o anti-tripsinici (come nel caso della soia). Comunque i metodi più rapidi e semplici si basano su
gli incrementi di peso vivo registrati su gruppi omogenei (età, peso, sesso, razza) di ratti e/o pulcini
come:
indicando con Bc l'incremento dei pulcini del gruppo 2) e Ba quello dei pulcini del gruppo 3)
G. P. V. = Bc /Ba x 100
288
ove Bc = incremento medio del peso dei soggetti del gruppo 1 (dieta basale) -
incremento medio del peso dei soggetti del gruppo 2 (3% proteina da valutare)
b) Coefficiente di efficienza proteica (protein efficiency ratio P. E. R.), generalmente usato sui ratti
e si può definire come l'incremento di peso degli animali ∆P per unità di peso delle proteine
e può essere riferito sia alla proteina grezza sia a quella digeribile.
Per quanto riguarda poi le altre frazioni azotate che vengono inglobate dal metodo Kjeldhal che
differiscono dalla natura dell’alimento che per opportunità distinguiamo in 4-5 grandi classi:
Per gli alimenti riportati alla lettera a) il metodo Kjeldhal e quanto mai appropriato, in quanto essi
non contengono significative quantità di N non proteico, mentre in quelli indicati alla lettera b) in
particolar modo quando sono sfarinati e possibile una frode basata sulla aggiunta di urea
o di altre sostanze azotate non proteiche come (nitrati, solfati di ammonio, urea, contaminanti
azotati ecc.) che di fatto alterano il dato analitico. Queste forme di N (dette indifferenziato), in dosi
limitate non sono significativamente dannose, anzi nei poligastrici (ruminanti) ed in particolar modo
nella preparazione dei mangimi composti integrati (punto c) l'uso dell’urea in dose dell'1-3% delle
289
miscele è stato frequentemente usato. Comunque il livello di N indifferenziato rispetto a quello
Totale non deve essere mai superiore al 33%. Nei casi anzi riportati per una corretta determinazione
acqua (scioglie l'urea, i nitrati eccetera) e precipitare le proteine con CuSO4, filtrare, lavare e sul
filtrato procedere con il Kjeldhal. Anche per quanto riguarda le carni ed i prodotti trasformati
freschi o stagionati industriali ove normalmente si aggiungono conservanti (nitriti, nitrati eccetera) è
necessario prima solubilizzare queste fonti di N e poi procedere alla normale determinazione.
Altro parametro di valutazione di un alimento è rappresentato dalla Relazione Nutritiva e/o rapporto
calorie / proteine.
Si definisce Relazione Nutritiva o rapporto calorie / proteine di un alimento di una razione e/o dieta,
il rapporto tra la sommatoria della percentuale degli Estrattivi inazotati, della Fibra grezza e dei
grassi digeribili le percentuali delle proteine digeribili presenti nello/a stesso/a ovvero:
% % % ,
%
essa esprime, nell'ambito dell'utilizzazione energetica dei principi nutritivi da parte dell'organismo
animale, il numero di calorie fornite dai carboidrati (estrattivi inazotati e fibra) e dai grassi digeribili
Detto valore (R. N.) può essere definita stretta, media e larga. Media quando assume valore intorno
a 6-7, stretta quando è inferiore a tale valore e larga quando è superiore. In altre parole il valore è
stretto nel caso di alimenti ad alto contenuto proteico (soia, carne, ecc.), larga quando le proteine
digeribili sono molto basse e l’alimento è molto fibroso o eccessivamente il ricco di amidi (paglia, i
290
Digeribilità
Con tale termine in generale si intende il grado di utilizzazione digestiva dei principi nutritivi di un
Esso consiste in una ordinata successione di reazioni idrolitiche dovuti al corredo enzimatico
digestivo dell'animale come la saliva e i succhi gastrici, succo pancreatico ed enterico al termine
delle quali i polimeri proteici, l'amido e gli altri poliosi vengono scissi in aminoacidi, in glucosio ed
altri zuccheri semplici. Mentre i grassi vengono prima emulsionati e poi scissi in acidi grassi ed altri
componenti semplici (glicerina ecc.), comunque, senza entrare nello specifico, in modo
a) Bocca: gli alimenti vengono più o meno triturati a secondo del tipo di apparato boccale.
Ad esempio nei ruminanti avviene una prima triturazione alquanto grossolana all'atto
ritorna in bocca a seguito di rigurgito dopo una fermentazione ruminale (in cui viene
alimentari come le proteine e i grassi non subiscono alcuna scissione poiché le ghiandole
dell'apparato boccale non secernono enzimi proteolitici e lipolitici, ma solo delle amilasi
tempo di contatto tra enzima e polimero glucidico è molto breve, (pari al tempo di
nello stomaco ghiandolare detta amilasi viene inattivata dalla pH gastrico (che oscilla da
b) stomaco ghiandolare: questo organo oltre all’HCl che determina il pH, secerne sotto
Ca++ presente nel latte, la precipita come paracaseinato di Ca, che a sua volta viene
291
idrolizzata dalla pepsina gastrica secreta anch'essa come pro-enzima (pepsinogeno che
semplici e/o più lineari di medio peso molecolare. Nello stomaco degli adulti, è presente
per la stragrande maggioranza pepsina (secreta come pepsinogeno e attivata per mezzo
organo (stomaco) non producono lipasi e i grassi passano nell'intestino quasi del tutto
inalterati.
(colon ascendente, trasverso discendente), cieco e retto. Nel tratto duodenale, attraverso
le papille major e minor si immette il dotto epatico (coledoco) che porta la bile (secreta
dal fegato) e quello pancreatico (che immette il secreto del pancreas). Nel tenue si
scissi in disaccaridi (saccarosio, lattosio, galattatosio), che poi vengono scisse in monosi
(glucosio, fruttosio eccetera) ad opera delle disaccaridasi (saccarasi, lattasi ecc.) secreti
dalle ghiandole intestinali. Sempre in questo tratto, ad opera delle esterasi (lipasi)
pancreatiche, vengono scissi i grassi in acidi grassi e glicerina (glicerolo), tale processo è
preceduto dall'azione batotona della bile epatica, che abbassa la tensione superficiale dei
stomaco e derivanti dalla lisi della pepsina e chimosina, nell'intestino vengono attaccati
fosforico.
292
Ovviamente, non tutte le sostanze alimentari ingerite, vengono idrolizzate ed assorbite
dall'intestino, ma una quota parte non viene attaccata e/o assorbita e pertanto la ritroviamo nelle
feci. La quota digerita data dalla differenza tra la quota ingerita e quella escreta (presente nelle feci),
rappresenta l’assorbito:
apparente dell'alimento che è leggermente diverso (generalmente inferiore) da quello reale (Dr %),
poiché nel primo (apparente), nelle feci sono conteggiate anche i batteri, i muchi, gli enzimi e le
cellule rivenienti dallo sfaldamento epiteliale dell'intestino, comunque e sempre presenti anche con
l'animale a digiuno proteico. Poiché queste frazioni di sostanze, per la quasi totalità sono sostanze
La digeribilità dipende dal tipo di apparato digerente dell'animale (ruminante o monogastrico) dal
genotipo animale (razza), dal tipo di alimento, dalla sua composizione chimica ed in particolare dal
contenuto di fibra grezza e dal livello di lignina in essa contenuta che, ovviamente dipende dallo
stadio vegetativo e dal tipo e essenza vegetale. Si ricorda, che nessun animale superiore nel proprio
(componente essenziale della parete delle cellule vegetali) in monosi. La stessa però come in
precedenza accennato viene fermentata ad opera dei batteri cellulosolitici presenti nel rumine dei
ruminanti e nel cieco dei monogastrici erbivori (conigli, equidi ecc.) i quali liberano anidride
carbonica, metano ed utilizzando l'energia prodotta per il loro metabolismo. Dalla fermentazione
della cellulosa e degli altri polisaccaridi ad opera della microflora batterica oltre ai gas anzi citati, si
liberano anche acidi grassi volatili (A. G. V.) come l’acetico, il propionico e il butirrico.
La digeribilità (digestione) degli alimenti dipende così come già accennato non solo dal tipo di
apparato digerente dipendente dalla sua anatomia (e/o ripartizione in organi) e quindi dalla presenza
e/o sviluppo prestomaci (reticolo-rumine-omaso) presenti nei ruminanti e/o dallo sviluppo
dell'intestino cieco dei monogastrici erbivori, ma anche dal tipo ed intensità dei fenomeni di
293
degradazione (fermentazione) e metabolizzazione dei carboidrati e delle proteine alimentari operata
sia dalla ricca flora batterica presente nel rumine e nel cieco che si moltiplica attivamente, sia
dall'altrettanto importante presenza di fauna protozoaria. Per quanto riguarda l'importanza di questi
fenomeni basti ricordare che in 1 cc di liquido ruminale sono presenti da 2 a 10 miliardi di batteri e
300-500.000 protozoi ciliati, che essendo di dimensioni superiori hanno una massa pressoché
uguale. Infatti secondo Bryant (1970) citato da Borgioli (1995) la biomassa ruminale sarebbe
formata dal 48,5% di batteri, dal 51% di protozoi ciliati e dallo 0,5% di altri organismi. Per quanto
concerne la composizione della flora batterica ed in particolare all'azione e/o al tipo di substrato
succinico. L’acetico lo ritroviamo nel liquido ruminale, mentre il succinico viene in gran
carbonica e H2. Questo gruppo di batteri che fermentano la fibra grezza, sono la
stragrande maggioranza della flora batterica presente nel rumine degli adulti avente una
quando la dieta è a base di cereali (mais, sorgo ecc.) dando origine ad alte concentrazioni
294
c) Lattobacilli. (bastoncelli Gram-positivi) di cui fanno parte i lactobacillus plantarum
brevis, acidophilus ed altri, fermentano il lattosio del latte nei lattanti in fase di
nell’alimentazione lattea a quella solida, anche quando gli animali vengono alimentati
con fieni, insilati e cereali, sono presenti altri microrganismi che originano acido lattico,
il quale viene poi fermentato da altri batteri tipo Propionibacterium ed altri che
dei Methanobacterium ruminantium (pari a circa l'8-10% dell E.D. della razione).
Oltre alla flora batterica testé riportata, nel contenuto ruminale è presente una ricca fauna
Sono tutti dei simbionti commensali, e si nutrono degli zuccheri presenti negli alimenti,
inglobano anche granuli di amido e gli stessi batteri. Batteri e protozoi con il foraggio
fermentazione della cellulosa) passano nell’abomaso ove vengono uccisi dall'acidità del
succo gastrico (pH =2,10 - 3,5) e digeriti dalle proteasi gastriche, prima e pancreatiche
La stima della digeribilità, può essere fatta direttamente in vivo sull'animale oppure in vitro, oppure
può essere valutata in modo indiretto con l'equazione di Axelsson o di Hallsworth citati dal Borgioli
(1995), che stimano la digeribilità di un alimento per specie basato sulla percentuale di fibra grezza
contenuto nella S. S. Per ulteriori approfondimenti dell'argomento si rimanda ai testi del settore.
alimento o razione diminuisce al crescere della percentuale di fibra grezza in essa contenuta. La
295
digeribilità (indi il coefficiente) può essere riferita alla sostanza secca (S. S.= Sostanza Tal quale -
acqua), alla sostanza organica (S. O. = SS - Ceneri), alla proteina grezza (P. G.) (o a quella pura), al
grasso grezzo (E. E.), Alla fibra grezza (F. G.), agli estrattivi inazotati (E.I.) e comunque a tutti i
La sommatoria dei principi nutritivi digeribili di un alimento e/o razione rappresentano le sostanze
nutritivi digeribili (S. N. D.) che possono essere espressi in termini percentuali (S. N. D.%) oppure
Appetibilità
Anzitutto va precisato che esso dipende da un insieme di meccanismi fisiologici che intervengono
sia a livello nervoso, come i centri ipotalamici dell'appetito della sazietà, sia a livello chemiostatico
mediante le variazioni di livello della glicemia o della concentrazione di acetati e/o di corpi
chetonici, sia dalle condizioni fisiologiche in cui si svolge la digestione indi alla velocità di
pratica poiché la quantità totale di alimento ingerito, dipende in gran parte dal più o meno spiccato
grado di appetibilità. Essa può essere valutato dal consumo "ad libitum” di un alimento nell'unità di
tempo che per altro dipende anche dalle caratteristiche organolettiche (sapore ed odore) che
incidono sull'appetito attraverso la stimolazione salivare e della produzione dei succhi gastrici,
fenomeno questo, poco sviluppato nei ruminanti e negli erbivori in genere, in cui il manifestarsi
dell'appetito dipende dalla peristalsi e dal tono gastrico. Anche l'abitudine al consumo di un
determinato alimento influisce sull'appetibilità e costituisce uno dei fattori capaci di influenzarla
poiché favorisce nell'animale lo sviluppo di un riflesso condizionato favorito dalla natura fisica ed
organolettica (sapore e odore) dell'alimento. Per questo, quando in una razione alimentare per varie
Conservabilità
Rappresenta il fattore che indica la capacità e/o propensione di un alimento ad essere conservato.
Infatti la stragrande maggioranza degli alimenti non viene utilizzata immediatamente (perché
eccedente) e deve essere conservato per un periodo di tempo più o meno lungo. È il caso degli
296
alimenti verdi destinati all'alimentazione animale dei prodotti freschi che essi producono (latte e/o
carne). I primi (foraggi verdi) vengono conservati previo essiccamento (fieni) e/o trattamenti
(trinciatura, pressaggio ecc.) come gli insilati; i seguenti (prodotti animali freschi), a causa delle
quantità prodotte non è possibile consumarli immediatamente e per conservarli per un periodo di
tempo più o meno lungo e in necessario sottoporli a trattamenti (latte pastorizzato ecc.) oppure
trasformarli in altri prodotti (formaggi, insaccati, scatolette ecc.) che per i dovuti approfondimenti
Azione dietetica
somministrazione di un alimento per un periodo più o meno lungo e comunque di durata nota. In
sono rimandati alla letteratura del settore anche se per il momento è opportuno fare un breve cenno
su:
1) azione su funzione digerente. Questa funzione si esplicita a livello della peristalsi intestinale
e della compattezza delle feci. Infatti il foraggi secchi ricchi di fibra, (verdure e altri alimenti
nei monogastrici come maiali e primati) al contrario dei mangimi concentrati incrementano
(generalmente solide) e limitano la digeribilità della dieta. Alcuni concentrati però come
cruscami, panelli di lino e farina d'orzo sono addirittura ritenuti "rinfrescanti" in quanto
2) Azione sulla produzione del latte. Trattasi di un insieme di azioni alquanto complesse di
alimenti freschi (come le erbe verdi di pascolo) ed i foraggi verdi di alta qualità che incidono
favorevolmente sugli aspetti quanti-qualitativi della produzione del latte e su alcuni suoi
297
Agiscono favorevolmente su questi aspetti i panelli di cocco, di lino e gli ottimi pascoli
mentre incidono negativamente altri alimenti come le polpe di bietole, il fieno greco, le
3) Azione sulla qualità del grasso. Di questo abbiamo già parlato in precedenza ed in
particolare per quanto concerne l'incidenza del grasso alimentare sulla quantità e qualità dei
colore bianco del grasso di deposito suino (lardo, pancetta ecc.) assume per il consumatore
italiano, il quale non gradisce il colore tendente al giallognolo ed untuoso (anche se è indice
di ricchezza di acidi grassi insaturi) che lo rendono facilmente sensibili all'azione degli
agenti atmosferici (umidità temperatura) che se fuori controllo portano alla formazione di
4) Azioni tossiche e/o nocive. Queste possono evidenziarsi quando si usano alimenti scaduti,
ammuffiti, avariati e/o inquinati (da semi e/o piante velenose) o diversamente contaminati
Valore nutritivo
alimento ed alimento circa la loro efficienza produttiva tra le diverse specie e/o razze e/o
categorie di animali a cui lo stesso viene somministrato, può senz'altro definirsi sia, come la
quota di Energia Netta (E. N.) da esso fornito ed utilizzato dai soggetti riceventi per il
mantenimento e le produzioni (latte, carne, uova ecc.) di cui abbiamo già riferito in precedenza,
sia come valore di trasformazione o produttivo dell'alimento per una specifica produzione.
Quest'ultima definizione, anche se più vicino alla mentalità dei tecnici e degli allevatori è
Per la determinazione di questo parametro (V. N. o valore nutritivo) possono essere utilizzate
due metodi:
298
1) Empirico: ovvero basato sul confronto di alimentazione condotte su gruppi di animali
omogenei per sesso, età, numero, razza ed indirizzo produttivo, che tendono a valutare in
quantità di alimento, oppure l'energia netta (E. N.) mediante il bilancio materiale ed
energetico dell'animale.
senz'altro è il primo metodo di carattere scientifico e si basa sul potere calorico degli alimenti in
base all'energia (calorie) rilasciate dai principi nutritivi digeribili nell'organismo animale che di
seguito si riporta:
da questi dati, come unità di misura si è scelto quello degli zuccheri (idrati di carbonio o l'amido)
che rilasciano 4100 kcal/Kg, valore equivalente a quello delle proteine digeribili. Per i grassi,
invece per riportarli alla stessa unità di misura è necessario moltiplicarlo per il coefficiente di 2,25 =
9,3/4,1.
In realtà il valore energetico medio di 1 g di proteina e di circa 5,65 kcal/g però, quando i suoi
componenti (aminoacidi) vengono bruciati (catalizzati) il 25% c.a. della loro energia viene dirottata
299
per la sintesi dell'urea (catabolita principale delle proteine), da cui la quota energetica disponibile
V.N. = 89,00
Questo metodo, pur avendo basi scientifiche, alla verifica sperimentale non risultò esatto perché
non teneva conto di un insieme di fattori quali la specie, l'indirizzo produttivo ed il livello di fibra
grezza e/o dell'effetto che genera nell'animale la composizione chimica e la natura dell'alimento.
Il metodo precedente (Wolff e Lehman) citato da Borgioli, semplice e basato su fatti scientifici ma
limitato ai fenomeni digestivi trovò accettabili consensi tra gli addetti al settore, finché Kelner non
dimostrò l'inadeguatezza. Infatti, nel primo (potere energetico), non si teneva conto che l'organismo
consuma una quota significativa di sostanze nutritive digeribili per ottemperare alle esigenze
energetiche dovuto al lavoro fisiologico digestivo (L. F. D.), all'azione di stimolo sull'utilizzazione
metabolica dell'energia (metabolismo energetico) dei principi nutritivi assorbiti, da cui la deduzione
che il V. N. di un alimento non può essere identificato in funzione delle SND anche se viene
comunemente usato in America i cui manuali riportano oltre alla composizione chimica grezza le
S.N.D. (o T.D.N.)= % proteina dig +% Estr. inaz. dig. + % Fibra grezza dig. + % grassi dig x 2,25
testi specifici, poiché trattasi di metodologia sperimentale fatta su gruppi di vacche da latte di cui
uno alimentato con diete a base di fieno normale, e l'altro in cui quest’ultimo era sostituito con fieno
300
alimentazione e sostituzione ben precisi di quantità note di 2 fieni (5 kg). In entrambi periodi e per i
Il metodo Kellner (citato da Borgioli) delle Unità Amido si basa sul bilancio materiale dell’N e del
Infatti, il Kellner scelse dei bovini adulti di 600-650 kg, li mise in camera climatica respiratoria e
somministrò loro una razione a base di foraggi che poteva empiricamente considerarsi di
mantenimento in quanto gli stessi animali non subivano significative variazioni di peso. Quando poi
rilevò tutti i dati necessari per il bilancio dell’N e del C, notò che gli animali avevano accumulato
una certa quantità di grasso nel proprio organismo. Per meglio comprendere il fenomeno,
successivamente alla dieta base in modo sequenziale si aggiunse una quantità nota di amido, di
proteine, di grassi allo stato puro. In tal modo attraverso il bilancio materiale di N e C poté stabilire
la quantità di grasso che si depositava nell'organismo quale conseguenza della somministrazione dei
che poi di fatto rappresentano il potere adipogenetico di detti principi nutritivi. Per la sequenza di
stabilirono i rispettivi coefficienti adipogenetici (c.a.) dei principi nutritivi che risultarono:
301
c.a.
Foraggio
U. A. T. = 37,94
relativo bilancio materiale si osserva e Kellner lo notò immediatamente, che le U. A. così calcolate
non corrispondevano a quelle realmente determinate con il bilancio, le quali risultano sicuramente
inferiori, e notò che le differenze tra teorico e reale dipendevano dalla natura dell'alimento e dal suo
302
contenuto in fibra grezza, ed erano ascrivibili all'energia richiesta per il lavoro di digestione e di
I rapporti tra UAR / UAT rappresentano i coefficienti di valore (C.V.) o di produttività (C. P.).
A seguito poi di una serie di bilanci fatti su una trentina di alimenti di diversa natura, furono
Alimento con contenuto in fibra grezza > del 16% detrarre 0,58 U. A./ Kg di fibra
Alimento con contenuto in fibra grezza > del 16 - 14 % detrarre 0,53 U. A./ Kg di fibra
Alimento con contenuto in fibra grezza > del 12 - 14 % detrarre 0,48 U. A./ Kg di fibra
Alimento con contenuto in fibra grezza > del 10 - 12 % detrarre 0,43 U. A./ Kg di fibra
Alimento con contenuto in fibra grezza > del 8 - 10 % detrarre 0,38 U. A./ Kg di fibra
Alimento con contenuto in fibra grezza > del 6 - 8 % detrarre 0,34 U. A./ Kg di fibra
Alimento con contenuto in fibra grezza > del 3 - 5 % detrarre 0,29 U. A./ Kg di fibra
In realtà il metodo delle U. A. non è scevro di critiche poiché di fatto sottostima il V. N. dei foraggi
in Valore di Energia Netta accumulata sotto forma di grasso dall'animale. In realtà l’U. A.
rappresenta l’E. N. di 248 g di grasso pari a 2360 kcal. Tale valore varia con il genotipo animale
(specie, razza) ed in relazione alla capacità di accumulo adiposo come di seguito riportato:
303
Da tali osservazioni, furono proposte una serie di unità come l'Unità Kellner corrispondente a 2500
Kcal nette di grasso (WKg) o le Unità Latte (equivalenti all'energia alimentare richiesta per
E’ un metodo sperimentale basato sul calcolo del metabolismo energetico fatto su animali posti in
camera calorimetrica respiratoria, in cui l’E.N. viene misurata in modo differenziale. Infatti gli
animali tenuti in camera calimatico-respiratoria a cui viene somministrata una certa razione e
misurato il corrispondente metabolismo energetico (E), successivamente alla razione viene aggiunto
una quantità nota dell'alimento da studiare e calcolato il nuovo metabolismo energetico (E’).
Per cui, la quantità di energia apportata dalla quantità del nuovo alimento sarà data da Mt - (E’- E)
in cui Mt rappresenta l’E. M. Del nuovo alimento e la differenza E’- E rappresenta l'incremento
metabolico o extracalore. Da ciò emerge che l’E. N. di un alimento corrisponde alla sua E. M.
detratta dell’energia spesa per la digestione, l’assorbimento e l'azione dinamico specifica (a.d.s.)
relativa all'aggiunta dell'alimento ed alla sua utilizzazione metabolica. Per i dati specifici relativi
In definitiva possiamo affermare che i metodi usati per la determinazione del V. N. degli alimenti
animali sono quello delle U. F. (scandinavo), basato sulla capacità di trasformazione in latte, e
quello delle U. A. (kellner) che si basa sulla conversione dell'alimento in grasso, e quello dell’E. N.
che stabilisce il contenuto di questa nell'alimento. Comunque tutti trovano una comune espressione
nell'energia contenuto nel kilogrammo dell'orzo e nel kilogrammo dell'amido allorché vengono
trasformati in latte o grasso (carne) che comunque assumono valori diversi a secondo della sua
Dai dati della tabella è possibile ricavare i coefficienti di conversione dall'una all'altra unità.
304
1 U. A. = 1,43 U.F.; 1 U. F. = 0,70 U. A.
dall’alimento, in questa sede è necessario sottolineare solo che il valore nutritivo massimo di un
alimento si evidenzia solo se esso entra a far parte di una razione bilanciata idonea per il genotipo
(razza e/o specie) animale e per la specifica produzione (latte e/o carne) ovvero quando è in grado
di fornire i principi nutritivi nelle quantità richieste per la specifica produzione in modo da garantire
l'ottimale funzionamento del metabolismo materiale ed energetico ovvero il mantenimento del suo
Ma, senza alcun approfondimento, si ricorda che le diete e/o le reazioni per gli animali sono
generalmente fatte da due o più alimenti, caratterizzati da composizioni chimiche anche molto
peggiorare quella di altri, fenomeni questi che prendono il nome di Effetti Associativi.
Per esigenze nutritive, si intende l’insieme dei principi nutritivi che l'animale deve ingerire per
Netta, di proteine digeribili, di grassi digeribili, di vitamine, di minerali eccetera; che esso consuma
per tutte le attività fisiologiche-metaboliche necessaria al suo mantenimento in vita normale, e nelle
Quando si parla di fabbisogni energetici, in precedenza abbiamo accennato all'Energia Lorda (E.
L.), intesa come quantità di calore espresso in Kcal o cal o MKcal sprigionato da una quantità
standard (1 g), 1 kg di alimento quando esso viene bruciato in bomba calorimetrica (calorimetro)
mentre quella digeribile (E. D.) è rappresentata dalla differenza tra E. L. e quella fecale (E. F.)
ovvero:
E. D.= E. L.-E. F., mentre per quanto riguarda la quota metabolizzabile (E.M.) e quella netta (E. N.)
si rimanda a quanto riportato in precedenza. Stesso discorso vale per tutti i principi nutritivi oggetti
305
della presente trattazione come le proteine grezze, e di grassi grezzi che possono essere ricondotti al
seguente schema:
La QUOTA NETTA è quella che l’animale usa nel suo turnover metabolico di mantenimento e per
quello relativo alla produzione (latte, carne e/o accrescimento, lavoro ecc.).
Per cui, le esigenze nutritive dei fattori di razionamento degli animali sono individuate e soddisfatte
da:
1) Valore nutritivo globale della razione (U. A., U. F., E. M., o E. N.).
2) Contenuto in proteine digeribili individuato nel valore minimo proteico che deve essere
a) MANTENIMENTO
b) PRODUZIONE
Mantenimento
La conoscenza, indi la determinazione della quota del fabbisogno dei singoli principi nutritivi e
della quota energetica di mantenimento di un animale è di fondamentale importanza sia dal lato
teorico sia nella corrente pratica di razionamento. Infatti, gli animali, in ogni caso vengono
alimentati sia per produrre carne e grasso (accrescimento), sia per produrre latte o altre produzioni
(lavoro), sia per sopperire alle esigenze di quei processi fisiologici vitali, sempre presenti anche
306
quando gli animali sono al riposo produttivo (senza accrescimento e/o zero produzione di latte) ed
quota parte della razione. Queste esigenze in pratica si definiscono quota di mantenimento della
1) Energia dovuta per le funzioni fisiologiche di base come la respirazione, circolazione linfatico-
e/o esigenze energetiche del metabolismo basale (M. B.) che come in precedenza riportato
corrisponde a:
2) Energia spesa a seguito dell'ingestione della dieta, come il lavoro (indi il dispendio) di
digestione, di utilizzo metabolico dei principi nutritivi (azione dinamico specifica) e dell'attività
Da quando anzi esposto, appare evidente che il fabbisogno nutritivo in condizioni ordinarie di
mantenimento è sicuramente superiore a quello delle condizioni metaboliche basali (M. B.), poiché
in quanto gli animali sono a digiuno, in completo riposo (decubito) ed immessi nell'intervallo di
In altri termini, anche se con tutte le difficoltà tecniche operative nel determinare il consumo
energetico basale, esso si può definire come fabbisogno nutritivo di mantenimento (F.M.) la quota
di E. M. che assicura l'equilibrio del bilancio materiale ed energetico dell'animale, quando in esso
non esiste alcuna funzione di interesse economico zootecnico. Il fabbisogno totale di mantenimento
è stato valutato in vivo su animali adulti sia in condizioni di digiuno sia alimentati.
307
Dalle elaborazioni di dati personali e di altri autori Brody (1945), cit dal Borgioli (1995), trovò che
grosso modo, il F. M., segue più o meno la stessa legge esponenziale di quello Basale, e che
l'esigenza in sostanze nutritive digeribili della dieta può essere ottenuta applicando la formula:
140 ∙
da cui si evince che l’E.D. di una dieta di mantenimento (E. D.m) equivale a circa il doppio del
metabolismo basale
. . 2 2 ∙ 70
Per cui, noto tale valore si può ottenere la quantità di S. N. D. (Sostanze nutritive digeribili) pari a
4,4 kcal/g o, l’E. M. Della dieta tenendo presente che 1 kg di S. N. D. corrispondono a 4000 kcal
I valori ottenuti in camera climatica respiratoria (condizioni ambientali più o meno standards) per i
bovini indicano un'esigenza di E. M. per Kg di P 0,75 (peso metabolico) diverso in funzione dell'età,
Da quanto testé riportato si può concludere che il V. N. della dieta e/o razione di mantenimento non
superiore negli animali di piccola taglia (topo, criceti, agnelli ecc.) rispetto a quelle di grande mole
(bovini, elefanti ecc.), ove il rapporto tra S/V (S= superficie corporea, V= volume) e a favore della
superficie per cui l'animale disperdere più facilmente il calore corporeo (che deve essere integrato
per la propria termoregolazione). Con elaborazione più o meno simili di dati sperimentali riferiti
308
però a vacche da latte Axelsson cit. Dal Borgioli (1995),giunse alla seguente equazione di stima per
Ma l'equazione generale di Brody per il M. B. a digiuno non fornisce dati validi per tutte le specie,
(secondo Kellner) e di sostanza secca delle diverse specie si rinviano alle tabelle riportate dal
Borgioli (1995). Comunque, per stimare il fabbisogno nutritivo in U. F. delle bovine da latte è utile
o considerare un fabbisogno medio di 0,7 UF/q.le di Pv per bovine di 600 kg, di 0,75 UF/q.le di Pv
per soggetti superiori ai 600 kg e di 0,75 UF/q.le di Pv per animali inferiori a 600 kg (500-550 kg)
di peso vivo.
In Francia, per ricavare l’E. N. Una volta calcolata l’E.M. sulla scorta di 117 kcal P0,75 si moltiplica
Comunque, a prescindere dal tipo di equazione, per i valori inerenti i fabbisogni di U. F. delle
Fabbisogno proteico
E’ noto che le proteine, a causa del loro "giro metabolico" si trovano in uno stato dinamico in
sintesi (anabolismo) che interessano anche gli acidi ribonucleici (R. N. A.). Da questo continuo
turnover (ricambio) delle sostanze e/o componenti delle cellule hanno origine i cataboliti (prodotti
309
di scarto) azotati che vengono eliminati dall'organismo con l'urina, (composti purinici in
prevalenza), i quali formano la quota di azoto (N) endogeno urinario (acido urico, ippurico,
urocanico ecc.) detta quota costante urinaria e che grosso modo rappresenta il valore e/o tasso di
usura delle proteine e degli acidi nucleici di un dato organismo, che incrementa con l'avanzare
dell'età (invecchiamento). Alla quota costante urinaria si somma quella variabile dovuto al
catabolismo degli aminoacidi alimentari che non sono stati utilizzati per scopi anabolici
(costruzione e/o sintesi di tessuti, latte, uova ecc.) poiché in eccesso alla capacità del genotipo
animale considerato, bensì per fini catabolici (produzione di energia conseguente alla deaminazione
prima e catabolismo energetico poi, del relativo acido e/o radicale alifatico R-COOH). A
cataboliche della catena alifatica o aromatica indi dell'acido carbossilico che ne deriva (R-COOH),
la quota di N endogeno che mediamente viene espulsa per kilogrammo di peso metabolico (Pv 0,75)
è pari a:
0,175 g/Kg P0,75 nei vitelli svezzati (fino a 150 kg di peso vivo)
alla quota endogena urinaria, si somma quella metabolica fecale dovuta agli enzimi ed ai muchi
intestinali a cui si somma quella quota di N batterico che l'animale espelle anche in condizioni di
digiuno proteico. Questa quota, nei ruminanti è stata determinata per via sperimentale ed oscilla tra
4,6 e 4,8 g di N per kilogrammo di sostanza secca ingerita pari a circa il 3% se espressa in proteina
grezza.
Da ciò si può desumere che sommando l’N endogeno urinario è quello metabolico fecale
moltiplicato per 6,25 e dividendo il risultato per 0,7 (quota di utilizzazione proteica dei ruminanti)
310
Ma al fine pratico e applicativo e per un corretto razionamento si rimanda a quanto riportato nei
testi di nutrizione sui fabbisogni in proteine digeribili per le diverse categorie di animali, da cui
risulta però che i fabbisogni proteici per kilogrammo di peso vivo, decrescono al crescere del peso
dell'animale.
Mentre recenti dati francesi indicano 3,25 g/Kg P0,75 per i bovini e 2,64 g/Kg P0,75 di proteina
Per i fabbisogni dei principali elementi minerali come il Ca, il P, il Mg, il K, ed Na anche se
abbastanza indicativi poiché riferiti a bovini di circa 500 kg di peso vivo o riguardanti le perdite
Na K Mg Ca P
Bovini 10 50 3,0 18 25
Ovini 8 20 3,5 20 30
In realtà, il fabbisogno reale di Ca e di P degli animali adulti è circa il doppio di quello indicato. In
manze in accrescimento il fabbisogno di calcio supera di circa il 40% quello indicato, mentre, per
quanto concerne i fabbisogni vitaminici (sia di quelle liposolubili che di quelle idrosolubili) si
Ovviamente ai fabbisogni di mantenimento, come per tutti gli altri principi nutritivi vanno sommati
quelli inerenti la produzione (carne inteso come accrescimento giornaliero) e il latte (inteso per
311
Produzione di carne (accrescimento medio giornaliero)
Com'è noto, la produzione della carne è basata sui fenomeni fisiologici e biochimici che regolano i
contemporaneamente. Ma, bisogna ricordare che il mantenimento degli animali giovani, come i
vitelli (entro i 4 mesi) e dei lattonzoli (suini) rispetto agli adulti sono superiori di 4 e 5-6 volte
(iperplasia).
Sono processi che non avvengono in modo disgiunto, bensì contemporaneamente e la loro intensità
si verifica in tappe diverse. Per cui dell'accrescimento si possono considerare 2 aspetti come:
struttura degli organi che compongono il corpo e che si esprime in via definitiva tra la
costellazione ormonale che comprendono il tireotropo, gli ipofisari (A-B) ecc. quelli cortico-
surrenali, gli estrogeni ecc. Questo processo evolutivo, si evidenzia sia con l'esame
morfometrico delle diverse regioni (e/o parti e/o organi) alla macellazione dell'animale, sia
y = b xa
ove y =peso dell'organismo e/o regione
b) extra uterino o post-natale (quello considerato ai fini dell'impresa zootecnica dalla nascita
dp/dt = KP (A-P)
ove dp = incremento di peso nell'intervallo di tempo t (t1-t2)
detta formula ideata da Robertson è in realtà un modello matematico che non rappresenta
nell'insieme i fenomeni biochimici fisiologici dello sviluppo corporeo, anche se la curva che
la prima che comprende il periodo nascita-pubertà, in cui l'accrescimento indi la forza che lo
313
determina in condizioni normali sembra non essere condizionata da fattori ambientali, per
cui secondo Brody (1945) riportate da Borgioli (1995) l'accrescimento è quasi proporzionale
P = A e Kt
ove P= peso alle età t considerata
all'istante considerato. Il valore di K è alto in quelle specie con ciclo vitale breve che
"autodecellerato" poiché entrano in gioco i fattori condizionanti che sono sia ambientali sia
parametro A-P (differenza di peso tra quello dell'età adulta e quello ottenuto al tempo
P= A-B e -Kt
ove B= costante di integrazione data da (A-P) e Kt
A= peso di adulto
per cui si può ritenere in generale che la velocità e/o capacità di crescita è una funzione
genetica che varia con la specie, con la razza nonché con l'individuo.
K= logP2-LogP1
dei pesi rilevati entro l'intervallo di tempo (1 settimana,1 mese,1 anno eccetera)
oppure con
314
ovvero con il rapporto tra l’I.M. ed il peso medio del periodo, ottenendo così l'accrescimento
relativo
digeribili. Si ricorda non solo che, la massima intensità della sintesi proteica coincide con la
giovane età e decresce con l'avanzare di quest'ultima e può essere valutato in base al
contenuto proteico di 1 kg di accrescimento dell'animale che nei bovini oscilla tra 190 e 160
g (animali grassi o magri), per cui, ricordando che il V. B. medio delle proteine nei
ponderale varia fra 270 e 230 g, a cui devono sommarsi 3 g/d di proteina per kg di Pv0,75.
Per quanto riguarda poi le esigenze relative agli altri principi nutritivi, ivi compresi quello minerale
e vitaminico delle diverse specie e/o categorie animali, pur rimandando ai testi specializzati si
ricorda che le esigenze alimentari degli animali in accrescimento sono caratterizzate da:
a) Alto valore nutritivo della razione, nei confronti del p.v. e comunque compreso tra 2 e 4 volte il
315
Ingrasso
modo intensivo capace di favorire un deposito di adipe sicuramente superiore a quello che si ottiene
nella fase di accrescimento normale, e comunque superiore a quello delle carcasse di animali magri
L'ingrasso può essere fatto a tutte le età dell'animale, per cui è necessario distinguere un
ingrassamento di animali giovani da uno di animali adulti (e/o anche di fine carriera) che con un
Negli animali giovani, i fabbisogni alimentari, si identificano con quelle riportati in precedenza
Detta razione però, sarà sicuramente superiore a quella di un normale accrescimento, e che avrà la
In pratica la produzione della carne e del grasso nelle specie bovina e/o suina, normalmente si
svolge in 2 fasi successive l'una all'altra. La prima tende ad ottenere un buon accrescimento degli
animali a carne magra, fatta con razioni il cui contenuto energetico (E. M.) non supera di molto i
fabbisogni degli animali. La seconda mira a superiori depositi adiposi (ingrassamento vero e
proprio) ed è fatta con razioni il cui contenuto di E. M. o il livello nutritivo (L. N.) supera di gran
lunga le esigenze alimentari degli animali. Detto livello nutritivo (L. V.) È dato dal rapporto tra l’E.
che normalmente dovrebbe essere pari a 2-2,5. Il tutto espresso secondo l'equazione di Lofgreen e
Garret (1968) riportate dal Borgioli (1995) riferita ai bovini in accrescimento ed ingrasso.
,
A) Mantenimento (E.N. Kcal) = 77 ∙ 77 √
B) Accrescimento ingrasso
316
1) Maschi castrati (EN Kcal) = (55 g +6,84 g2) P0,75
comunque nei testi di nutrizione animale sono riportate le tabelle dei fabbisogni di
accrescimento e d'ingrasso delle diverse categorie e/o specie di animali di interesse zootecnico
Negli animali adulti, di cui fanno parte i soggetti appartenenti a diverse specie e razze (vacche,
tori, pecore, montoni, capre, becchi, scrofe e verri anche di fine carriera), la somministrazione di
razioni di alto L.N. (2-3 volte superiore alle esigenze di mantenimento) portano ad un modesto
accrescimento del tessuto muscolare per ipertrofia delle fibre muscolari (abbastanza
metabolismo degli idrati di carbonio (zuccheri), dei lipidi (grassi alimentari), e delle proteine
così come estrinsecato anche dai coefficienti adipogenetici di Kellner che qui ricordiamo:
In realtà, negli animali adulti (ruminanti), la dieta e/o razioni è quasi sempre totalmente basata su
alimenti vegetali (fieni, foraggi, cariossidi di cereali e/o leguminose) il cui contenuto % dei lipidi è
alquanto modesto per cui l'apporto energetico e la relativa lipogenesi deriva per la stragrande
maggioranza dagli idrati di carbonio (amido, cellulosa e/o fibra). A tal proposito si ricorda che il
317
Pertanto, i fabbisogni nutritivi dei soggetti adulti all'ingrasso, sono basati sulla quota di
mantenimento a cui si aggiunge quella di produzione che è funzione della velocità di ingrasso e
a cui bisogna considerare il fabbisogno proteico di 100-150 g di proteine digeribile per quintale di
peso vivo.
318
Esempio di razionamento:
_______________________________
6,00 UF totali
di stalla, per non sbagliare si usano, 100 g proteine digeribili x (ogni U. F.)•
Ma per meglio orientarsi e per dati più precisi è opportuno far riferimento ai testi del settore ed alle
relative tabelle.
319
11.2 Produzione del latte
Le specie domestiche in cui la produzione di latte ha assunto un valore economico di impresa sono
la bovina, la bufalina, la ovina e la caprina anche se oggi un certo discorso comincia a farsi intorno
al latte prodotto dalle femmine degli equidi (giumente ed asine). Va ricordato comunque che la
condizione basilare per la buona crescita dei piccoli di ogni specie mammifera è un'ottima
produzione di latte materno. Per cui senza considerare gli aspetti fisiologici che portano alla
a3) gravidanza (ultimi 3 mesi) = 7º mese si considera una produzione fittizia dei 3 kg latte/giorno
Si considerano solo i fabbisogni degli ultimi 3 mesi, poiché le esigenze nutrizionali asservibili al
Totale 8,70 UF
320
Qualora però il latte non fosse al 3,4% di grasso (1 UF = 3 kg latte al 3,4% in grasso = 1 kg di orzo
in granella o di 2,5 kg di fieno di prato stabile ricco di Phleum pratense e di altre graminacee) ma
con un titolo diverso da quello di definizione, il suo valore energetico e valutabile secondo la
g = % di grasso
E (di 100 g di latte) Kcal = 304,8+ (114,1 × 4,5) = 304,8 + 513,05 = 817,85
I fabbisogni idrici delle diverse specie dipendono sia dalle condizioni climatiche sia dal tipo di
alimentazione (secca o umida). Le funzioni fisiologiche biochimiche dell'acqua sono note a tutti e,
Bisogna ricordare però che l'acqua è l'elemento maggiormente presente nell'organismo vivente
(circa 65% del peso vivo degli animali adulti è circa il 75% del protoplasma cellulare).
Essa è il solvente in cui si disperdono tutte le molecole, (ioni liberi delle cellule, del sangue, dei
secreti cellulari ghiandolari, e delle urine). Le sue caratteristiche chimico-fisiche come l'alto potere
dielettrico capace di ionizzare le molecole polari, e l'alto "calore specifico" che gli permette di
accumulare "energia termica" o calore derivante dalle reazioni cataboliche (catabolismo) gli
Inoltre, l'acqua è il veicolo di tutte le molecole dei principi nutritivi assorbiti e dei cataboliti
(prodotti residuali non utili all'organismo) che l'organismo elimina con l'urina.
Infine, essa partecipa ad una miriade di reazioni intra ed extra cellulari (idrolasi, ossido riduzioni,
idratazioni ecc.), ed è anche un prodotto terminale della catena respiratoria, (ove si sviluppa energia
321
ed acqua). Come fatto finale ma certamente non meno importante fa parte dei liquidi sinoviali delle
Per cui, di seguito si riportano alcuni dati di fabbisogno idrico per i bovini, gli equini ed i suini.
Bovini
Vitelli prime 6 settimane in allattamento 6,5 litri per kilogrammo di sostanza secca di
artificiale polvere di latte o di altro sostituto
Equini
Ovini e caprini
322
3,5-4 litri/giorno/Kg sostanza secca della
Pecore e capre in lattazione
razione
Suini
A prescindere dallo stato fisiologico e/o dal tipo 2,5-5 litri/giorno/Kg sostanza secca della
di razionamento razione
Per tutte le specie e/o categorie animali è sempre utile che l'acqua di abbeverata sia disponibile e
fresca in ogni momento e che l'assunzione stessa non subisca alcuna limitazione in altri termini "ad
libitum".
323
Cap. 12 RICHIAMI DI GENETICA ANIMALE
La genetica secondo Bateson (1906), "rappresenta lo studio dell'eredità e delle variazioni". Essa
indaga sui fenomeni che regolano l'eredità dei caratteri di un individuo da una generazione all'altra,
non solo, ma anche delle loro variazioni individuali e della comparsa di nuovi caratteri nella
Secondo il Borgioli, riportato dalla Balasini (2003) la moderna genetica è caratterizzata da:
a) dal tipo di trasmissione dei caratteri individuali da una generazione animale ad un'altra;
c) dal loro meccanismo di azione, dall'inizio della vita del soggetto al manifestarsi del
carattere.
La stessa autrice, riporta la definizione di Magliano dell'individuo che "rappresenta" una unità a sé
stante con caratteri propri, che potranno essere simili e/o diversi da quello di un altro ma mai uguali.
Per cui, secondo tale concetto, ogni soggetto è dotato di una propria individualità più o meno
differente da quella degli altri individui della stessa specie e/o popolazione e/o razza; da cui la
morfologici, fisiologici, funzionali biochimici e psicologici (carattere del soggetto), da cui discende
Prima di procedere nella trattazione dei diversi argomenti di genetica è utile ricordare che gli
1) Regno animale
a) la classe
b) la sottoclasse
c) l'ordine
d) la famiglia
324
e) il genere
f) la specie
La genetica zootecnica si occupa con particolare attenzione del genere, della specie, di cui fanno
È utile altresì ricordare che per genere si intende un gruppo sistematico di specie affini come nel
caso dei cavalli e degli asini, o come quello dei bovini e degli zebù e/o come nel caso del cammello
e del dromedario.
Mentre per famiglia si intende l'insieme di due o più generi dotati tra loro di una certa affinità, come
ad esempio, cavallo, asino, zebre (equidi), o come il bufalo, il bovino, gli zebù, gli ovini e caprini
(cavicorni). Si rammenti anche che per specie deve intendersi quell'insieme di individui e/o soggetti
dotati di una certa somiglianza morfologica e fisiologica capaci di riprodursi all'infinito e dando
Infatti tutti bovini riproducendosi anche casualmente tra loro danno discendenti fecondi, così come
gli ovini, i caprini, i cavalli, gli asini ecc. Al contrario, non danno figli la riproduzione tra bovini e
325
bufali, come pure montone e capra e tra becco e pecora, ma danno prole feconda bovino (bos
taurus) per zebù (taurus indicus), mentre l'accoppiamento tra stalloni asinini con la giumenta
(femmina di cavallo) e viceversa stallone cavallino con l’asina, danno sì origine ad una prole (mulo
nel primo caso e bardotto nel secondo) ma entrambi sterili. All'interno della/e "specie", però
esistono un insieme e/o gruppo di animali che si distinguono dagli altri per alcune particolari
Però all'interno della razza, le caratteristiche morfo-funzionali che la distinguono dall'insieme dei
soggetti della specie, non sono invariabili ma possono variare sia con l'azione selettiva operata
dall'uomo, sia con l'azione dei fattori ambientali. In realtà, sia con la selezione, naturale o
programmata fatta dall'uomo, sia con la comparsa delle mutazioni anche di tipo casuale, nonché
sotto l'azione delle interazioni dei fattori ambientali, ha origine la "differenziazione genetica" che
porta poi ad una progressiva variazione dell'espressione somatica originaria della popolazione e/o
Per cui, a fenotipi più o meno uguali possono corrispondere genotipi diversi. A tal punto però si
rende necessario chiarire il significato di alcuni termini che nella trattazione ricorreranno con una
a) Fenotipo: rappresenta l'aspetto esteriore (o somatico) dell'individuo che noi vediamo, ovvero
l'insieme dei caratteri morfologici, fisiologici e funzionali, quale logica espressione dei
b) Genotipo: è l'insieme dei caratteri di cui l'animale è dotato allo stato potenziale depositati
nei geni che si trovano nei suoi cromosomi e la cui estrinsecazione (risposta) somatica e/o
fenotipica dipende sia dalla trasmissione dei caratteri, sia dall'interazione che essi incontrano
326
alimento, di strade idonee= di stalle ecc.) rappresenta il corollario capace di far estrinsecare
ecc. in cui gli animali vengono tenuti) che condizionano e/o influenzano in modo più o
d) Ecotipo: prodotto e/o animale/i derivato per selezione naturale da un territorio e/o ambiente,
selezione ambientale).
ideato dall'uomo e da esso ottenuto per precisi e definiti scopi produttivi (qualità e quantità),
modificazione nell'espressione dei geni originali, che quando danno origine a caratteri
g) Ceppo/i: gruppo di individui più o meno numerosi appartenenti alla stessa specie, ad una
stessa razza della stessa specie, ma che da essa si distinguono per l'intensità espressiva di
preciso territorio.
327
i) Alloctona: razza formatosi per selezione in un altro territorio ma allevata in un altro diverso
da quello di origine.
j) Culla o area di origine: territorio e/o area ove è avvenuta la creazione e/o evoluzione della
razza.
l) Razze cosmopolite: razze e/o genotipi capaci di essere allevati e/o colonizzare territori
m) Razze topopolite: razze e/o genotipi incapaci di essere allevati in territori diversi da quelli di
origine.
n) Individuo: organismo e/o unità a se stante dotato di propri caratteri che possono essere
alquanto simili ad un altro ma mai completamente uguali tra loro. Esso è il risultato
ambientali che incidono su esso e portano ad un insieme di variazioni che formano poi il
"paratipo".
(nucleare), all'interno del quale si trovano sia i filamenti o granuli di "cromatina" che si
dispone a reticolo con maglie più o meno larghe (reticolocromatico) fatto dal nucleoprotidi
(istoni e proteine non istoniche) e da acidi nucleici (deossiribonucleico o D.N.A.), sia una
328
citosina. La molecola finale di D.N.A. e di forma spirale ad elica ed è costituita da un
r) Gene/i frammento/i più o meno grande di D.N.A.. avente una specifica e particolare
sequenza di nucleotidi.
(mitosi e/o meiosi). Sono formati da due filamenti disposti a spirale. Essi sono disposti a
coppie uguali (omologhi) per forma, dimensione contenuto di geni (alleli) fanno eccezione i
t) Cariotipo: numero dei cromosomi e/o delle coppie di alleli , nelle quali, la forma e/o aspetto,
sono uguali in ciascuna di esse ed è caratteristico della specie del quale costituisce il
cariotipo dell'individuo.
Si ricorda che tutte le cellule somatiche possiedono lo stesso numero di cromosomi uguali in tutti i
tessuti, disposte in coppia omologhe e forma il suo corredo cromosomico "diploide" (2n), che
deriva per metà dal padre (n) e per metà dalla madre (n).
Vi sono due gruppi di cromosomi, il primo, quello degli autosomi che controllano le funzioni
biochimiche delle cellule e/o dell’organismo, il secondo, quello degli eterosomi o cromosomi
sessuali che controlla il determinismo del sesso e sono diversi dagli autosomi.
I cromosomi dei due gruppi sono uguali per forma, numero e struttura; mentre le cellule germinali o
gameti (spermatozoi e ovuli) hanno un corredo cromosomico "aploide" (n) poiché il loro nucleo ha
un solo allele per coppia cromosomica ma, con la formazione dello zigote (a seguito della
omologhi (quello autosomico ovvero quello destinato al controllo somatico) mentre gli
329
eterocromosomi X e Y che determinano il sesso, qualora nello zigote si forma la coppia XX esso
In realtà la manifestazione dei caratteri somatici altro non sono che l'espressione dei "geni" che
vengono trasmessi da padre e madre ai figli e/o alle loro discendenze attraverso la riproduzione e
sono allocate nei cromosomi che in linea di massima si dividono in autosomi (quelli depositari dei
geni che controllano l'espressione somatica) e quelli sessuali (eterocromosomi) responsabili della
determinazione del sesso. Alcuni caratteri quantitativi di un animale, come la mole, il peso,
l'altezza, la produzione di latte, la precocità eccetera, non sono l'espressione di un solo gene bensì la
risultanza dell'azione di un insieme di geni da cui il carattere poligenico; Altri ancora come quelli di
tipo qualitativo come il colore degli occhi, dei capelli, del pelo, forma della cresta dei polli ecc.
Senza voler entrare nello specifico, si ricorda che le cellule somatiche si moltiplicano per divisione
diretta o amitosi che consiste in una rapida divisione della cellula madre in 2 cellule figlie uguali
per grandezza e patrimonio genetico e per via indiretta o mitosi o cariocinesi, che generalmente si
articola in profase, metafase, anafase e telofase che porta la cellula originaria a dividersi in 2 cellule
distinte ma uguali che a loro volta si divideranno sempre con lo stesso processo.
spermatozoi e/o gli ovuli che a seguito della fecondazione e della loro successiva unione portano
alla formazione dello zigote con corredo diploide (2n = n materno + n paterno) proprio della specie
di appartenenza hanno origine prima per moltiplicazione mitotica e poi, per divisione "meiotica"
che, per i nemaspermi avviene nei tubuli seminiferi dei testicoli (epididimo) detta "spermatogenesi"
e per gli ovuli nelle ovaie femminili detta "ovogenesi". Entrambi i processi sono caratterizzati da
una fase moltiplicativa per mitosi che in un caso porta alla formazione di spermatogoni (2n)
nell'altro caso di ovogoni (2n). A questo segue la divisione "meiotica" che da ogni spermatocida di
330
Parentela: due individui si dicono parenti quando hanno in comune parte del corredo genetico,
ovvero quando questa condivisione è superiore a quella media della popolazione e/o della specie di
appartenenza.
Si ricorda, che all’interno della stessa specie, di una popolazione panmittica gli individui
condividono sempre gran parte del corredo genetico, quindi esiste una certa somiglianza genetica
(ovini, caprini, bovini, ecc.) per cui la parentela porta ad un aumento della somiglianza e/o alla sua
espressione fenotipica.
Per cui nella popolazioni panmittiche a riproduzione casuale esiste sempre un grado di parentela,
che è molto basso in quelle con numero di individui tendenti all’infinito, ma che aumenta con il
diminuire della loro consistenza numerica ove la riproduzione tra consanguinei (cugini, fratelli e
Detto questo, si può dire che la parentela genetica esistente tra due individui che hanno in comune
uno o più ascendenti si può esprimere come probabilità che essi abbiano in comune un numero di
geni superiore alla media della popolazione che in formula diventa: R = (½)n+n1
♂A x ♀ BxC♂
n° di figli AB + AB BC
1° 2° figlio
Poiché i figli AB sono portatori di ½ del corredo del padre e ½ della madre R = (1/2) n+n1
per entrambi il numero di generazioni è pari ad 1, per cui R = (1/2)1 ovvero (1/2) = 0,5.
Questo coefficiente esprime di fatto la probabilità che i due soggetti condividono lo stesso
patrimonio genetico, mentre la restante parte del genotipo, ha una probabilità di somiglianza non
331
L’esempio testé riportato rappresenta il caso di parentela diretta o fratelli pieni.
Nel caso in cui la madre B abbia avuti figli con il maschio A e con quello C, il grado di parentela tra
Eredità
tipici di specie o di razza che di fatto rappresenta la forza di conservazione naturale della
Nel triangolo, gli unici due parametri che possono variare sono l’ambiente e l’alimentazione, per cui
un loro spostamento, in senso negativo o positivo portano ad una differenziazione fenotipica del
soggetto: C
Alimentazione Ambiente
A B
Eredità
La variabilità
Rappresenta il grado di differenziazione esistente anche tra individui, figli degli stessi genitori.
Ogni soggetto (stessa specie, stessa razza, stessa linea) è diverso, anche se di poco, da un altro ad
eccezione dei gemelli monovulari (stesso ovulo fecondato e diviso in due). Si definisce variabilità
di un carattere la differenza esistente tra individui all’interno della stessa popolazione. Infatti per un
dato carattere (es. peso, statura, produzione di latte, velocità di accrescimento, ecc.) all’interno di
uno stesso genotipo (specie e/o razza), stessa famiglia, ecc. non esistono per lo stesso carattere
poligenico due individui uguali eccezion fatta per i gemelli monovulari. La frequenza del carattere,
rispetto alla media dello stesso si distribuisce in modo Gaussiano e intervallo di distribuzione del
332
Ereditabilità
Quantità di un determinato carattere che può e/o che viene trasmesso da una generazione (genitori)
Nella popolazione (stessa specie, razza, linea con riproduzione libera) si distinguono:
Caratteri principali o tipici della specie che si trasmettono senza sostanziali variazioni tra
generazione e generazione;
Caratteri individuali che non differiscono in modo significativo da quella di specie ma sono
di intensità diversa da soggetto a soggetto e la prole può essere diversa dai genitori.
3. Meccanismo di azione di tali fattori dall’inizio del soggetto (zigote) fini all’età adulta con la
La determinazione del sesso è attribuita non agli autosomi bensì agli eterocromosomi o cromosomi
Protenor (=insetto in cui è stata studiata) in cui il corredo cromosomico diploide della femmina é
Drosophila (=insetto dell'aceto D. melanogaster in cui è stata studiata) osservato anche negli
animali e nell'uomo in cui il sesso eterogametico é quello del maschio dovuto alla presenza del
cromosoma X e Y mentre quello della femmina risulta omogametico ascrivibile alla presenza del
Tipo Abraxas (A. grassuloriata una farfalla) in cui l'eterogametia è del sesso femminile ovvero:
333
LEGGI MENDELIANE
Prima legge della DOMINANZA soggetti ottenuti dalla riproduzione di due razze o varietà
diverse per una o più caratteri, presentano evidente un solo carattere presente sulla coppia
allelomorfa, mentre l’altro allele non si manifesta. Il primo è dominante l’altro è recessivo.
I caratteri e/o la loro espressione sul genotipo dei discendenti possono manifestare un solo
carattere (espressione) nel caso che questo (legge della dominanza) sia controllato da un
mantello, ecc.).
2. Parziale (solo parte del carattere) es.: macchiatura del vello Karakul x vello
3. Intermedia (gli F1 sono a metà tra padre e madre) es.: L. Black (nero) x Endel
i cromosomi ALLELI.
334
A dominante a recessivo
1 omozigote dominante
1 omozigote recessivo
1 eterozigote dominante
Maschio Suffolk acorna x femmina Dorsett = F1 maschi con corna; F1 femmine acorna
DOMINANZA INTERMEDIA
F1 = B x b (B = bianco; b = nero)
F1 = Bb (grigio)
B BB Bb
b Bb bb
DOMINANZA PARZIALE
Si ha quando l’espressione del carattere è solo parziale. Es. colore del mantello dei suini
F2
MASCHI B N
FEMMINE B BB BN
N NB NN
335
Seconda legge della DISGIUNZIONE o SEPARAZIONE dei caratteri parentali della F2
riproduzione tra individui F1 differenti per due o più coppie di caratteri, ogni coppia, nella
trasmissione alla discendenza si comporta in modo indipendente dalle altre, in modo che
nella F2 sono presenti tutti i caratteri secondo tutte le combinazioni possibili e con una
distribuzione statistica di (3+1)n ove n= numero dei caratteri (valida per caratteri
monogenici).
336
L’INCROCIO è un metodo di riproduzione che si ottiene facendo riprodurre due soggetti di una
stessa specie e/o razza, avente un grado di somiglianza genetica e/o di parentela inferiore a quello
medio della popolazione di appartenenza. In realtà esistono diversi tipi di incrocio e sono:
A) Incrocio industriale o di prima generazione. Esso è praticato e/o finalizzato solo alla
produzione degli F1e sfrutta il fenomeno dell’eterosi o lussurogiamento degli ibridi. Questi
generalmente non vengono fatti riprodurre tra di loro e non hanno altro destino riproduttivo.
In genere si pratica per migliorare la produzione della carne (qualità e quantità) e del latte.
Nel campo delle produzioni animali si hanno diversi esempi come la riproduzione tra:
- Toro di razza frisona per bovina Bruna Alpina da cui si ottengono soggetti femminili
dotate di alta capacità lattifera superiore alle razze di origine (fenomeni che scompaiono
toro Bruno per vacca Frisona fa lo stesso risultato. Nel primo caso gli F1 sono detti Preti
cavallo).
Entrami sono sterili, ma venivano prodotti per ottenere soggetti da utilizzare per lavori
C) Di sostituzione, è il metodo che si impiega per sostituire una razza (autoctona) con un’altra
(alloctona). Un esempio di questo tipo è rappresentato dalla sostituzione della Podolica con
la Bruna Alpina che poi ha dato origine alla Bruna di Puglia e all’attuale Bruna.
337
TEORIE SULL’EREDITÁ
Le teorie sono:
nelle gonadi e nelle cellule seminali (ovuli e spermatozoi) che alla fecondazione (zigote), si
morfo-funzionale.
tropoplasma o plasma nutritivo fluido e sede dei processi e degli scambi materiali
(citoplasma);
caratteri (geni).
EREDITÁ ANCESTRALE
È chiaro che il patrimonio ereditario dell’individuo non deriva completamente (in toto) dai
genitori ma dall’intera serie dei suoi antenati, ovvero per ½ dai genitori, per ¼ dai nonni, per 1/8 dai
338
Genitori Nonni Bisnonni Trisavori
1. SOMA o MORFOPLASMA (organi e tessuti) destinati ad esaurirsi con la fine del ciclo
specifico.
Continuità materiale del Plasma germinativo con la generazioni nella linea germinale e
339
ATTUALE TEORIA DELL’EREDITÁ BASATA SUI GENI E CROMOSOMI
organismi viventi.
cromosomi (2n).
1. Corredo cromosomico degli individui è 2n, ovvero formato da gruppi di cromosomi (coppie)
equivalenti per forma, per struttura e numero i quali sono per metà di ordine materna e per
metà di ordine paterna(n+n=2n) secondo lo schema che porta alle cellule germinali.
2. I cromosomi mantengono la propria individualità anche oltre le fasi cariocinetiche per cui
Il cromosoma, quale struttura endo-nucleare, è visibile solo nelle fasi (meiosi e mitosi) è formato da
Il DNA è un polimero la cui successione dei nucleotidi porta alle molteplici combinazioni e/o
ordinamenti delle basi azotate. Queste molecole polimeriche sono disposte a spirale in
(tripletta) purinica e/o purimidinica con proteine, viene considerato depositaria delle
340
proprietà GENETICHE(=GENE). Il processo che porta alla formazione delle cellule
mentre il processo che porta al dimezzamento del corredo cromosomico da2n ad n assume il
DIPLOTENE con filamenti doppi e spessi con cromosomi visibili e appaiati (i filamenti si
seguito l’interfase con divisione della cellula con 2n in n. A questa segue la 2^ anafase divisione
A seguito della meiosi si possono avere fenomeni di associazione di geni sui filamenti di D.N.A.
del crossing-over
Aa
Cc
aA
Cc
aA
CC
341
SPERMATOGENESI OVOGENESI
Spermatociti di 1°
Ovociti di 1° ordine
ordine
Prima divisione
Spermatociti di meiotica
2° ordine
1° corpuscolo Membrana
polare pellucida
Ovocita
secondario
Corona radiata
Seconda divisione
meiotica
spermatidi 2°
corpuscolo ovuli
polare
Quando lo
spermatozoo entra nel
l’ovulo si ha la
fecondazione
Spermatozoi Spermatozoi maturi Unione di un
maturi fecondazione pronucleo
maschile Y
con quello
femminile X
Spermatozoi maturi
Zigote di sesso maschile
342
SI RICORDA CHE:
a) La separazione dei cromosomi in due gruppi in n, ciascuno può avvenire a caso in tutti i
modi possibili, il che porta al fatto che nei gameti si troveranno cromosomi di origine
b) I cromosomi dei gameti non sono necessariamente identici a quelli del soggetto che li ha
generati, poiché durante la meiosi possono verificarsi scambi fra parti da cromosomi
originari (crossing-over).
c) La manifestazione dei caratteri ereditari è dovuta è dovuta, in gran parte, all’azione dei geni
d) I geni sono ordinati (disposti) in modo lineare nel filamento di cromatide di ogni
cromosoma. Ciascun gene occupa un definito posto detto LOCUS in un altrettanto definito
e preciso cromosoma.
e) I membri di ciascuna coppia di geni posti su cromosomi alleli si separano alla meiosi
quando si formano i gameti, per cui ogni gamete possiede solo una serie di gene.
f) Il gene può essere dominante quando, anche se presente solo su un allele, manifesta il
carattere sul fenotipo (GG, Gg) o recessivo quando per manifestarsi deve essere presente in
g) La spermatogenesi avviene nelle gonadi maschili (didimo) ove si formano gli spermatozoi
h) L’ovogenesi avviene nelle ovaie (follicolo o oforo) il cui ovulo una volta maturo, l’azione
degli estrogeni provoca lo scoppio del follicolo o oforo e la caduta dell’ovulo maturo nelle
343
LA VARIABILITÁ
Si definisce variabilità di un carattere, la differenza esistente tra individui all’interno di una certa
Infatti, per un dato carattere (es. peso, statura, produzione di latte, velocità di accrescimento, ecc.)
all’interno di uno stesso fenotipo (specie, razza o stessa famiglia), non esistono per lo stesso
carattere poligenico due individui uguali, eccezion fatta per i gemelli monovulari e/o per i cloni. La
loro frequenza, rispetto alla media dello stesso carattere, si distribuiscono in modo Gaussiano.
campo di variabilità
344
Esempio di Produzione di latte di una popolazione di 15 vacche podoliche
Media 23,69
Il numero di osservazioni rappresenta il n° dei rivelamenti che nel nostro caso corrisponde alle
Lo scarto quadratico medio -N (osservazione) è il quadrato della differenza tra la media (23,69) e
l’osservazione:
esempio n° 2: 23,69-10,9=(12,79)2…
345
esempio n° 10: 23,69-28,0= (-4,31)2…
Varianza = 2
o VX = ∑ - N 1-15 )2/n-1
Nel nostro caso le osservazioni sono 15, poiché la somma degli scarti della media è sempre
La radice quadrata della Varianza (σ2) del carattere rappresenta la deviazione standard s = σ =
variabilità = C.V. = σ/
Il grado di ereditabilità del carattere h2 = σ24(genetico) / σ2g + σ2A (ambientale), rappresenta la quota parte
Il differenziale selettivo (Δs), rappresenta la differenza del carattere tra la sua media all’interno
della popolazione e quella del gruppo di selezione. Ad esempio, la media della produzione di latte
di una popolazione (razza) bovina è 50 q.li per lattazione, quella del nucleo di selezione è pari a 65
Il Δs diventa sempre più alto quanto minore è il numero dei soggetti del gruppo di selezione.
Infatti se si vuole incrementare la produzione di latte, si devono allevare i/le figli/e di quei soggetti
che producono in assoluto le maggiori quantità di latte, nel nostro caso quelle vacche con
produzione 30-32 q.li di latte/lattazione (4 vacche), che rappresentano il massimo scarto della media
(6,31 ~ 8,31) la cui media 31,25, mentre quella della popolazione p = 23,69.
346
Δs = 31,25 – 23,69 = 7,56 per cui, tenuto conto che l’h2 per il latte si aggira intorno al 36% il Δp =
7,56 x 0,36 = 2,75 ovviamente rappresenta l’incremento teorico di produzione realizzabile ad ogni
generazione selettiva.
347
INDICE
Cap 1 Le produzioni alimentari primarie di origine Animale 2
1.1 Qualità, Genuinità e salubrità 5
1.2 Parametri Quantitativi 9
1.3 Caratteristiche igienico sanitarie 10
1.3a TBARS 13
1.3b Puzza d’ossa 15
1.3c L'acido linoleico coniugato (CLA) e sue azioni 17
Cap 2 La carcassa e la carne 21
2.1 La resa di macellazione 23
2.2 Valutazione delle carcasse 44
Valutazione delle qualità chimico‐fisico e nutrizionali
2.3 64
delle carni
2.4 La tracciabilità dei prodotti e i marchi di qualità 77
Cap 3 Consistenza bestiame, consumi e produzioni 84
Fattori di variabilità degli aspetti quanti‐qualitativi della
3.1 86
produzione di carne
Cap 4 I parametri qualitativi delle carni “POST MORTEM” 109
4.1 Anomalie della carne 115
Cap 5 Gli Animali di interesse zootecnico e le loro produzioni 119
5.1 Parametri biologici degli animali 120
5.2 La riproduzione e tecniche riproduttive 125
Cap 6 Le principali razze animali da carne 136
Cap 7 L’allevamento 156
7.1 I Bovini 156
7.2 I Suini 159
Cap 8 Produzioni avi‐cunicole o di animali di bassa corte 174
348
Cap 9 La produzione di carni ovine e caprine 186
9.1 Gli Ovini 186
9.2 I Caprini 201
Cap 10 Il Latte 210
10.1 Fattori di variazione della qualità del latte di capra 263
Effetto del genotipo e dell’alimentazione sulla qualità
10.2 272
del latte e sui parametri lattodinamografici
Cap 11 Cenni di alimentazione e nutrizione animale 274
11.1 Gli alimenti 276
11.2 Produzione del latte 320
Cap 12 Richiami di genetica animale 324
Indice 348
349