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Laura Bassi; donne, genere e

scienza nell’italia del Settecento


di Marta Cavazza
collana diretta da Marco Beretta

Laura Maria Caterina Bassi Veratti occupa uno spazio unico nella storia della scienza e
dell'educazione nel mondo occidentale: fu la prima donna a ottenere, nel 1732,
dall'Università di Bologna, una laurea in filosofia e una cattedra onoraria, ma stipendiata, di
'philosophia universa', cioè di filosofia naturale.
Lo scopo di Marta Cavazza nel testo proposto è quello di mettere in luce le reazioni della
comunità scientifica settecentesca, locale e internazionale, all'entrata in scena della giovane
"filosofessa" e il ruolo da lei effettivamente svolto nell'ambiente accademico bolognese.

Laura Bassi non fu soltanto una donna dotta, fu una "dottrice" e una "lettrice": il suo sapere
fu ufficialmente e pubblicamente riconosciuto fin dal 1732 dalle autorità civili e accademiche
bolognesi attraverso una laurea dottorale in filosofia, un posto nell'Accademia delle Scienze
e una cattedra stipendiata nello Studio della città. Questi ultimi erano incarichi onorari, che la
assimilavano solo parzialmente ai colleghi uomini, ma tali non saranno il posto di academica
benedettina, ottenuto nel 1745, e quello di professore di fisica sperimentale nell'Istituto delle
Scienze, conferitole nel 1776. Bassi è quindi l'unica donna vissuta prima dell'Ottocento per
la quale si possa parlare, senza anacronismi, di carriera scientifica e accademica.

La vita pubblica di Laura Bassi può essere divisa in due parti.

Nella prima parte, che va dal 1732 al 1745, il suo ruolo, assegnatole da altri, ma da lei
brillantemente svolto, è quello della donna prodigio. Viene definita «meraviglia del suo sesso
e decoro della patria» e anche, più colloquialmente, «un mostro in filosofia». Un monstrum,
una meraviglia così rara da riverberare la sua fama sulla città che le ha dato i natali e ha
saputo valorizzarne le doti. Il frequente accostamento a Minerva ne fa quasi una
personificazione di Bologna, a sua volta spesso rappresentata come Felsina Athena.
Il primo scopritore dei talenti dell'adolescente Laura, Gaetano Tacconi, medico di famiglia,
nonché professore dello Studio, la preparò in segreto all'esibizione pubblica del suo sapere,
insegnandole le tecniche dell’argomentazione e della disputa scolastica. Qualcuno parlò e
tutti vollero verificare di persona le voci che correvano. Negli anni successivi Laura
continuerà a «dare spettacolo di sé», in luoghi pubblici come il teatro anatomico o l'Istituto
delle Scienze, oppure nei salotti aristocratici della città.

Nel 1732, tre miniature (Archivio di Stato di Bologna, Insignia degli Anziani) furono dedicate
a Laura Bassi:

1. Discussione delle tesi di Laura Bassi, miniatura di Leonardo Sconzani


2. Conferimento della laurea a Laura Bassi, miniatura di Leonardo Sconzani
3. Prima lezione pubblica di Laura Bassi, miniatura forse di Leonardo Sconzani
Dietro queste iniziative c’era in realtà un unico regista: Prospero Lambertini, il futuro papa
Benedetto XIV, allora arcivescovo di Bologna, che fu tra i primi a esaminare la giovane Bassi
e rimase per tutta la vita il suo più potente e convinto protettore. Nel caso della borghese
Bassi la famiglia d'origine rimase defilata e la notorietà e il prestigio derivanti dal suo
ingegno e dalla sua dottrina non vennero usati per fini di potere privati, ma per rilanciare in
Europa il nome di Bologna e richiamare l'attenzione sulle sue istituzioni culturali.
L'operazione ebbe successo: non si veniva più a Bologna solo per vedere le pitture dei
Carracci, di Guido Reni e del Guercino, ma per discutere di metafisica, di fisica o di
astronomia con la giovane «bolognese filosofessa» e per assistere alle sue lezioni e ai suoi
esperimenti.
In città le critiche non mancarono. Da un lato si avanzavano insinuazioni sulla moralità della
"dottoressa", dall'altro si esprimevano riserve sulle cariche che le erano state attribute, in
particolare sulla lettura filosofica stipendiata. Data la scarsità delle risorse disponibili, si
temeva una diminuzione delle possibilità di carriera dei laureati maschi. Il senato aveva
specificato che si trattava di un onore e un premio alle fatiche della «giovane vergine
dottoressa», la quale, ratione sexus, a causa del suo sesso, era autorizzata a far lezione
nell'Archiginnasio solo con il permesso dei superiori. Laura Bassi riuscì a superare i limiti
che le erano stati prescritti e a ritagliarsi uno spazio proprio, mise in atto una serie di
strategie che non mancarono di sfruttare a suo vantaggio la rete di relazioni che la sua
posizione le assicurava, a cominciare dalla protezione del papa. Senza l'intervento
determinate di Benedetto XIV non sarebbe, per esempio, mai riuscita ad ottenere, nel 1745,
il posto di accademica benedettina, che rappresentò in qualche modo il riconoscimento della
sua partecipazione attiva alla comunità scientifica.

Esso sancì l'inizio della seconda parte della sua vita pubblica, una fase in cui la Bassi non
sarà più solo la «meraviglia del suo sesso», ma un'autorevole e rispettata donna di scienza.

Il primo passo verso l'indipendenza la portò a liberarsi del suo maestro di filosofia, troppo
tradizionalista, e a sceglierne altri, come Jacopo Bartolomeo Beccari e Gabriele
Manfredi. Per far tacere le mormorazioni di cui si è detto, Laura Bassi non scelse di farsi
monaca, bensì di sposarsi, liberandosi dell'immagine di vergine Minerva che le era stata
cucita addosso. Suo marito fu Giovanni Veratti, con il quale ebbe un rapporto che, a parte
gli impedimenti dovuti alle gravidanze e ai figli (ben otto, di cui cinque sopravvissuti) non
diminuì, ma aumentò le possibilità di Laura di partecipare alla vita culturale, ad esempio
tenendo un salotto che divenne uno dei centri intellettuali più vivaci della città.
Dal 1749 riuscì finalmente a tenere regolari corsi di lezioni. Da anni tentava invano di
rendere effettivo e regolare il suo insegnamento universitario, che era, come
precedentemente specificato, soggetto a limiti ratione sexus. Istituì nella casa coniugale una
scuola di fisica sperimentale, aperta agli studenti dell'università e ai numerosi curiosi e
amateurs cittadini e forestieri. L’iniziativa ebbe molto successo ed il Senato le concesse
notevoli aumenti di stipendio.
Veratti fu al suo fianco anche in altre battaglie, in particolare in quella per essere inserita
nella classe degli accademici Benedettini. I colleghi non rinunciarono a rimarcare le
differenze escludendola dalle cariche gestionali e dal diritto di voto nella scelta dei nuovi
soci.
La decisione di negare alla Bassi la pienezza delle prerogative godute dagli altri accademici
intendeva ribadire una linea di condotta stabilita dalle autorità bolognesi fin dal 1732,
tendente ad evitare che l'immagine pubblica della "dottrice" entrasse in collisione con il
modello di comportamento cui ogni donna era tenuta a conformarsi. Il fatto che nel 1745 la
Bassi abbia lottato per il riconoscimento della parità di diritti accademici, è senz'altro indizio
di una più chiara consapevolezza del proprio valore, e, del proprio potere contrattuale.

Per partecipare pienamente alla vita accademica, la Bassi dovette dedicarsi più
sistematicamente alla ricerca scientifica. Gli unici suoi scritti giunti fino a noi, sono alcune
delle relazioni sulle sue ricerche presentate annualmente all’Accademia. Solo di quattro
abbiamo o il testo o ampi resoconti nei Commentari dell'Accademia delle Scienze, i quali
registrano anche la partecipazione della Bassi alle ricerche sperimentali condotte da diversi
accademici. La coppia Veratti-Bassi diede un contributo importante alla diffusione e allo
sviluppo delle idee di Franklin in Italia e rimase fedele a esse anche quando quasi tutti gli
"elettricisti" italiani, compreso Fontana, si convertirono alla teoria del doppio fluido proposta
da Symmer: «una donna, che è l'onore del suo sesso e l'invidia del nostro».
Le quattro memorie accademiche di Laura Bassi giunte fino a noi, per quanto interessanti,
non sono tuttavia i documenti più utili per capire come Laura Bassi interpretava il ruolo di
donna di scienza che si era ritagliato con tanta fatica. Sui suoi interessi, sul modo in cui
assolveva i suoi doveri di insegnante e di ricercatrice ci dicono molto di più la sua
corrispondenza e le testimonianze dei suoi allievi e dei suoi colleghi.

La socievolezza, la sociabilité, è un tratto specifico della scienza del Settecento. La «nostra


Signora Laura», come viene chiamata da colleghi e amici, corrisponde perfettamente
all'identikit dello scienziato del «secolo illuminato» in cui si compiace di vivere. Il tratto che
caratterizza più specificamente lo stile della «Signora Laura» è la capacità di stabilire
relazioni sul piano umano, affettivo, con i suoi interlocutori, soprattutto con gli allievi, tanto
quanto l'efficacia del suo metodo didattico, comprendente vari stimoli intellettuali e morali. Il
più famoso dei suoi studenti, Lazzaro Spallanzani, dopo la sua morte ne parlerà come della
«mia venerata Maestra ». Nel 1765 il giovane Spallanzani rese pubblico il suo debito di
riconoscenza in una commossa lettera dedicatoria premessa alla sua prima opera: il ruolo
dell'antica maestra divenne quello, altrettanto prezioso, dell'intermediaria tra il giovane
ambizioso scienziato e l'ambiente scientifico bolognese.
Non sono pochi i casi di studiosi che si rivolsero a lei come a una figura autorevole di
mediatrice tra le loro ambizioni e il mondo della scienza. Es: Anton Louis Le Sage, che nel
1768 le invia un suo Essai de chyme mécanique, già stampato, ma che a quanto pare non
uscirà mai; Alessandro Volta, allora giovane e poco conosciuto, ma molto desideroso di
farsi notare nella comunità degli scienziati. (secondo Marta Cavazza, la definizione voltiana
è in parte contraddittoria, ma contiene qualche elemento di novità. È contraddittoria perché
sembra alludere alla preziosità, ma anche alla superfluità del sapere femminile. D'altra parte
chiamando la Bassi non solo, come d'uso, "gloria", ma anche "lume" del sesso femminile,
sembra prospettare un ruolo di guida e di pioniera, che di solito le è attribuito solo da altre
donne.); Christiane Marianne von Ziegler, nel 1732, in un'ode composta per celebrare la
laurea della dottoressa bolognese, invita gli uomini a riconoscere il diritto delle donne al
sapere e alla gloria che ne consegue e ad ammettere che la differenza fra i sessi non
riguarda l'anima, ma solo il corpo, e non tutto; Dorothea Erxleben, la prima donna laureata
in Germania, che proprio dall'esempio di Laura Bassi fu spinta a intraprendere la difficile
battaglia che solo dopo molti anni, nel 1754, la porterà a conseguire la laurea in medicina
nell'Università di Halle.
Sembra che la Bassi tenda a dare alle sue relazioni con gli allievi e con i giovani studiosi
un'impronta materna. Negli uomini l'ammirazione si mescola talvolta alla preoccupazione
che il suo esempio si estenda, mentre per le donne ella diventa il punto di partenza di una
genealogia intellettuale femminile ancora tutta o quasi tutta da costruire. La parte negativa
della risposta riguarda invece il suo modo di intendere il rapporto con la natura in quanto
oggetto di ricerca sperimentale.
Es: Riproduzioni animali, vuoto boleyiano.
La Bassi già aveva dato prova anni prima di condividere l'indifferenza degli scienziati
settecenteschi per le sofferenze degli animali, assistendo agli esperimenti, veramente
crudeli. Queste testimonianze sembrerebbero giocare a sfavore delle tesi di certa
epistemologia ecofemminista.
Se poi guardiamo alle modalità della sua partecipazione alla vita scientifica bolognese,
l’operazione propagandistica così ben riuscita era stata ripetuta altre volte e Bologna era
diventata veramente la protettrice delle donne studiose. Dopo di lei, altre cinque donne
furono chiamate a far parte dell'Accademia bolognese delle Scienze. Nella Bologna dei
decenni centrali del Settecento si venne così a creare una situazione che non aveva
paragone in nessun'altra realtà europea. I bolognesi colti si erano assuefatti a imparare dalle
donne. Non mancavano le voci discordi e le discussioni sull'attitudine delle donne agli studi,
ma indubbiamente a prevalere erano giudizi di condanna dell'ignoranza a cui
tradizionalmente erano state condannate.

Laura Bassi dal 1766 aveva l’incarico retribuito, di insegnare fisica sperimentale agli alunni
del Collegio Montalto, ma il suo obiettivo era di ottenere il riconoscimento della sua
eccellenza didattica e scientifica. Ci riuscì nel 1776, quando i senatori dell'Assunteria
d'istituto decisero di dividere l'insegnamento in due corsi, uno di fisica generale e uno di
fisica particolare e di assegnare il secondo a Laura Bassi, con Veratti come sostituto.
La determinazione di Laura e i dubbi dei senatori sono bene espressi in un passo della
relazione del senatore Aldrovandi all'Assunteria, il quale riassume bene il gioco delle parti
tra la Bassi e le autorità bolognesi, mettendo in luce l’ambizione con cui la dottoressa
reclama un posto di professore e rendendoci però anche partecipi del punto di vista dei
senatori, mostrandone l'imbarazzo di fronte a una palese contraddizione tra il fatto e il diritto.

La lezione inaugurale dell'anno accademico tenuta all'inizio del 1806, nell'Ateneo bolognese
dalla docente di greco Clotilde Tambroni, univa Laura Bassi alla maestra greca di
eloquenza Aspasia, alla filosofa e matematica alessandrina Ipazia e alla giovane dottoressa
Maria Dalle Donne.
Alla dottoressa Dalle Donne sarà affidata la direzione della scuola per le ostetrich e non avrà
una cattedra né prima né dopo la restaurazione del dominio papale. Bisognerà aspettare la
fine dell'Ottocento per rivedere studentesse e laureate nell'Università di Bologna.
La prima fu Giuseppina Cattani, mentre le prime, rare, professoresse di ruolo
cominceranno a comparire solo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Gli ostacoli legali, le
discriminazioni, i pregiudizi con cui si scontrarono le studentesse e le laureate dell'Ottocento
e della prima metà del Novecento erano in parte ancora gli stessi incontrati dalle loro
antenate settecentesche.
Con la differenza fondamentale che le giovani donne che, a partire dall'ultimo ventennio
dell'Ottocento, a Bologna come nel resto d'Italia frequentarono l'università, si laurearono e
(molto più raramente) ebbero incarichi di docenza, e soprattutto dovevano il loro status a
norme di legge valide per tutte e spesso ottenute dopo lunghe battaglie per i diritti femminili.

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