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ANNO XXV – N.

70 – GENNAIO – APRILE 2022

Rivista della
Cooperazione
Giuridica
Internazionale
Quadrimestrale
dell’Istituto Internazionale di Studi Giuridici
Istituto Internazionale di Studi Giuridici

L’Istituto ha lo scopo di:


a) Studiare e dibattere, collaborando anche con altri Enti ed Istituti Internazionali, la solu-
zione dei problemi che interessano la legislazione di tutti i popoli, in un piano mondiale, at-
traverso l’organizzazione di convegni, conferenze e manifestazioni culturali al fine superiore
della elaborazione dei principi fondamentali comuni. Tale attività si esplica anche a mezzo di
pubblicazioni, di raccolte bibliografiche e di informazioni.
b) Favorire gli studi di diritto comparato, facilitando le relazioni e gli scambi fra gli studiosi
di diritto del mondo intero, docenti universitari, magistrati e avvocati.
c) Realizzare programmi e corsi di formazione, autonomamente o d’intesa con altri Enti ed
Istituzioni pubbliche e private.
d) Effettuare ricerche e studi sulla cooperazione giuridica europea ed internazionale.
e) Curare la pubblicazione della Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale.
f) Pubblicare i risultati di ricerche ed attività svolte dall’Istituto in singoli volumi o periodici
similari.
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4
INDICE

Per riflettere 9

DOTTRINA

M. Panebianco, L’Euro-crisi globale russo-ucraina 2022 11

A. Sinagra, Retroactivity of criminal law and non-applicability of statutory limitations


to war crimes and crimes against humanity 25

G. De Vergottini, La Costituzione italiana e la guerra (Il conflitto russo-ucraino) 31

G.L. Cecchini, L’«operazione militare speciale» russa in Ucraina alla luce del diritto
internazionale 47

F. Vecchio, La disobbedienza civile dei giudici, i limiti di Porzia, l’inutile radicalismo


di Antigone e la saggezza di Catone 84

R.A. Rangel Rosso Nelson, I. C. Amaral de Sousa Rosso Nelson, W. de Oliveira Rocha
Teixeira, Da (in)compatibilidade constitucional e convencional da regra da vedação
da acumulação dos adicionais de insalubridade e periculosidade 92

F. L. Ramaioli, Un costituzionalismo talebano? Qualche prospettiva sul futuro


giuridico dell’Afghanistan 113

NOTE E COMMENTI

F. Maiello, La necessaria riforma della L. 218/95 alla luce dell’altalenante


giurisprudenza della Cassazione in materia di giurisdizione del giudice italiano 133

R. Bendinelli, Childrens’s right to information in civil proceedings in Italy 146

D. Marrani, G20 – Italia 2021 161

G. Bosco, Il diritto internazionale umanitario e l’uso delle armi nucleari 189

DOSSIER STATI
REPUBBLICA DI BIELORUSSIA

Legge sugli investimenti e commercio internazionale (testo in lingua inglese) 191

5
ACCORDI INTERNAZIONALI

Accordo tra l’Unione europea e la Repubblica di Bielorussia relativo alla facilitazione


del rilascio dei visti 201

COMUNICAZIONI

Non esiste una sola Ukraina. Ce ne sono tre. Ma la nato finge di non saperlo
(M. Rallo) 211

L’Ukraina del 2022 come la Polonia del 1939: condannata a morte per far felici
inglesi e americani (M. Rallo) 214

Il “Trattato del Quirinale” piano piano per non disturbare Berlino (M. Rallo) 216

Bucha: Un massacro con qualche sospetto (M. Rallo) 218

Geopolitica: perché la nato è un non senso (M. Rallo) 220

I presunti “Esodi croati” da Fiume dal 1918 al 1940, causati da d’Annunzio


e poi dal regime fascista: i conti non tornano (M. Micich) 223

GIURISPRUDENZA

Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza della Corte, II Sezione,


del 15 luglio 2021 in causa C-795/19 225

DOCUMENTI

Un modo esemplare di richiesta di interpretazione pregiudiziale ai sensi


dell’art. 267 tfue: l’Ordinanza del 7-17.12.2021 del Tribunale di Padova,
Sezione lavoro 235

Discorso al Senato degli u.s.a. di Bernie Sanders dell’8.02.2022 242

PANORAMA

Riesumazione delle vittime delle Foibe solo in Slovenia? (R. de’ Vidovich) 245

Continua la lotta, ma si riesumerà a breve termine qualche


Vittima dalle Foibe (R. de’ Vidovic) 245

Maurizio Tremul cerca un rifugio nel Parlamento sloveno; si opporrà alla


riesumazione delle Vittime di Tito e al loro conteggio? (R. de’ Vidovich) 246

6
I beni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati non sono alienabili (R. de’ Vidovich) 246

Bocciato per la seconda volta Maurizio Tremul, battuto dall’uscente


Felice Ziza che raggiunge 61% (R. de’ Vidovich) 247

Come volevasi dimostrare: Biden ha “piazzato” il gas americano


in Europa (M. Rallo) 247

RECENSIONI

La Procura europea. Dalla legislazione sovranazionale al coordinamento interno,


di Giovanni Barrocu, Cedam, Padova, 2021, pp. 256 (A. L. Valvo) 249

Introduzione al Diritto internazionale contemporaneo, di Attila Tanzi,


Sesta edizione rivista e aggiornata, Wolters Kluwer Cedam, Milano,
2022, pp. liii-633 (P. Bargiacchi) 250

Per una definizione della struttura normativa del Diritto internazionale


contemporaneo, di Giancarlo Guarino, Jovene, Napoli, 2021, pp. 328 (C. Galloro) 252

Conflits, crimes et regulations dans le cyberespace, sous la direction


de Sébastien-Yves Lauren, iste Editions, London, 2021, pp. 212 (V. Ranaldi) 255

Reproductive freedom in the context of international human rights


and humanitarian law, by Maja Kirilova Eriksson, Brill - Nijhoff,
The Hague, Boston, London, 2021, pp. 591 (V. Ranaldi) 256

Historia constitucional de España. normas, instituciones, doctrinas,


di Joaquín Varela Suanzes-Carpegna, con prefazione di Ignacio Fernández Sarasola,
Marcial Pons, Ediciones de Historia, Madrid, 2020, pp. 718 (J. M. de Lara Vasquez) 257

Oltre la destra. Storie e uomini nel Movimento Sociale, di Francesco Carlesi


(a cura di), Eclettica Edizioni, Massa, 2022, pp. 217 (A. Sinagra) 258

Una vita con il cappello Alpino, di Silvio Mazzaroli, Aviani & Aviani Editori,
Udine, 2021, pp. 496 (C. Montani) 261

Ho incontrato Norma, di Alberto Bolzoni, Amazon Italia Logistica,


Torino 2021, pp. 92 (C. Montani) 263

Libri ricevuti (e segnalazioni bibliografiche) 266

7
Per riflettere

Non dobbiamo aver paura che della paura. *

  Giulio Cesare.
1 *

9
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-1
pp. 11-24

DOTTRINA

L’EURO-CRISI GLOBALE RUSSO-UCRAINA 2022

Massimo Panebianco*

Sommario: 1. Sovranità in transizione di sicurezza. - 2. Soft sovranità. - 3.


Sovranità “forte” ascendente e discendente. - 4. Sovranità orizzontale e circolare.
- 5. Sovranità democratica inter-connessa nell’euro-crisi 2022. - 6. Sovranità auto-
cratica disconnessa .- 7. Sovranità sanzionata e sanzionatrice (conflicting control).

1. L’euro-crisi politica globale, nata dal conflitto militare russo-ucraino del


24 febbraio 2022, trova la sua genesi, non imprevista e non inattesa, in un più gene-
rale e tortuoso processo di trasformazione dello Stato contemporaneo del xxi secolo.
Invero, nel primo ventennio, nuove immagini dello Stato europeo si sono presentate
in una fase continua di mutamenti e trasformazioni. Da Occidente a Oriente gli Stati
del continente hanno utilizzato nuove forme di azione, più o meno identiche o anche
più flessibili, nell’esercizio delle loro funzioni primarie. Ugualmente, nuove termi-
nologie sono state introdotte per collocare le nuove dimensioni dell’azione statale
nel contesto della società globalizzata. Così nell’ultimo trentennio non è rimasta im-
mutata la natura e la fisionomia dello Stato europeo, a seguito delle profonde trasfor-
mazioni subite nella sua personalità, sia internazionale che interna. Di ciò vi è traccia
nel mutamento del linguaggio giuridico, in cui sempre più si parla di neo-sovranità o
sovranità in transizione. La causa prima viene individuata nella transizione dei siste-
mi di sicurezza, che nei vari settori specifici tutelano e rassicurano Stati ed individui,
rispetto alla nuova scala dei rischi e pericoli emergenti1.

*
Professore Ordinario di Diritto internazionale nella Facoltà di Giurisprudenza della Università
degli Studi di Salerno.
1
  Nell’ultimo trentennio, il regime della sicurezza europea fra Stati, sembra scandita da una tran-
sizione misurabile in decenni: A) Nel primo decennio post-1989, la Convenzione di Stati individua
un sistema di valori sulla sicurezza umana, in senso liberal-democratico; B) Il secondo decennio, fino
al g8 dell’Aquila del 2009, è caratterizzato dall’adesione dei Paesi ex-comunisti dell’Europa centrale
al sistema dell’Unione Europea (2001 – ex Patto di Varsavia); C) Il terzo decennio è caratterizzato
dall’uscita della Repubblica Federativa Russa dal g8 e dall’ampliamento delle sue frontiere meridionali
in danno dell’Ucraina (Crimea e Repubbliche russe del Donbass e del Donetsk, 2013-14), che hanno
rispettivamente comportato una perdita della sovranità territoriale e nazionale dell’Ucraina, misurabile
in circa la metà dei valori precedenti. Cfr. sidi, L’internazionalizzazione dei mezzi di comunicazione
e la sovranità statale, Napoli, 2003; J. Maogoto, State sovereignty and international criminal law:
Versailles to Rome, Ardsley, 2003; N. Walker, Sovereignty in transition, Oxford, 2003; L. Duguit,
Souveraineté et liberté: lecons faites a l’Université Columbia (New York) 1920-21, Paris, 2002; F.
Mancuso, Diritto, Stato, Sovranità: il pensiero politico-giuridico di Emer De Vattel tra assolutismo e

11
Nel loro percorso di transizione per la sicurezza geopolitica-economica,
gli Stati europei manifestano una differente mobilità, verso gli Stati extra-euro-
pei del nord e del sud del mondo. In un primo gruppo, gli Stati euro-occidentali
dell’Unione Europea restano ben radicati nella nato e nel g7. Viceversa, la Repub-
blica Federativa Russa, dopo il 2009, si è avvicinata ai Paesi del sud-Atlantico e
del sud dell’indo-Pacifico (cd. adesione al Brics), dando vita agli inizi del terzo
ventennio ad una imprevista e radicale crisi di carattere sia politico che militare,
rispetto al finitimo e già associato Stato dell’Ucraina. In un altro gruppo, i Paesi
dell’Europa centrale hanno compiuto una doppia adesione all’Unione Europea ed
alla nato, con esclusione dei Paesi ex-sovietici ed ex-Urss del Mar Nero, esclusi
finora dall’una e dall’altra organizzazione2.
All’interno del continente, il rafforzamento della democrazia e delle sue isti-
tuzioni, è servito da ausilio tanto per la sicurezza europea, quanto per quella nazio-
nale dei singoli Stati. Nell’Unione si è compiuto il superamento o la sospensione
dei cd. parametri di Maastricht, legata ad una austerity non più consona alle nuove
situazioni di mercato. Nella stessa procedura, la politica estera dell’Unione, nonché
le sanzioni economiche a Stati terzi, debbono seguire non solo i criteri di efficacia e
proporzione, ma anche quello di sostenibilità per ciascuno degli Stati sanzionatori,
come anche qui dimostra il recente conflitto russo-ucraino dell’inverno 2022 da esa-
minare nel corso del presente lavoro3.

rivoluzione, Napoli, 2002; M. Barberi, Mysterium e Ministerium: figure della sovranità, Torino, 2002;
M. Wind – J. Weiler, Sovereignty and european integration: toward a post-Hobbesian order, London,
2001; M. Calamo Specchia, La costituzione garantita: dalla sovranità alla ragionevolezza, Torino,
2000; B. Roth, Governmental illegitimacy in international law, Oxford, 2000; A. Sinagra, Sovranità
contesa: autodeterminazione e integrità territoriale dello Stato a proposito di una controversia irrisol-
ta da 165 anni, Milano, 1999.
2
  Duplice è la fonte del regime giuridico della sicurezza europea, come fattore qualificante della
sovranità statuale. Per l’intera Europa vale la fonte della csce (poi osce – Organizzazione per la Coopera-
zione e per la Sicurezza Europea). Per la sola Unione Europea (a 27 Stati) valgono i due pilastri della sicu-
rezza interna (spazio di libertà, sicurezza e giustizia) e della sicurezza esterna (politica estera e di sicurezza
comune), in attesa dell’adesione di nuovi Stati del Balcani occidentali ed eventualmente del Mar Nero
(Albania, Macedonia e Montenegro hanno già aderito al sistema Nato). Nell’attuale conferenza sul futuro
dell’Europa (09/05/2021 – 09/05/2022), la sicurezza interna è qualificata come “Stato di diritto”, mentre
la seconda è chiamata di “transizione ecologica e digitale”, a valenza globale. Cfr. J. Guizot – M. Manci-
ni, Della sovranità, Napoli, 1998; A. Carrino, Sovranità e costituzione nella ctrisi dello Stato moderno:
figure e momenti della scienza del diritto pubblico europeo, Torino, 1998; L. Ferrajoli, la sovranità nel
mondo moderno: nascita e crisi dello Stato nazionale, Bari, 1997; A. Bernardini, la sovranità popolare
violata nei processi normativi internazionali ed europei, Napoli, 1997; H. Gelber, Sovereignty through
interdependence, London, 1997; S. Hashmi – S. Hoffman, State sovereignty change and persistence in
international relations, Pennsylvania, 1997; J. Bartelson, A genealogy of sovereignty, Cambridge, 1996;
A. Bisignani – E. Resta, Democrazia e sovranità, Bari, 1996; M. Martin Martinez, National sovereignty
and international organizations, The Hague, 1996; A. Catania, Lo Stato moderno: sovranità e giuridici-
tà, Torino, 1996; M. Basciu, Crisi e metamorfosi della sovranità: atti del 19° Congresso nazionale della
scuola italiana di filosofia giuridica e politica, Milano, 1996.
3
  Nell’attuale fase di crisi e di trasformazione della sovranità dello Stato europeo, molto incidono

12
2. Anche in Europa, la presenza di un doppio regime di sovranità “forte e
debole” (cd. soft sovereignty), sottolinea il mutato ruolo dello Stato contemporaneo
e della sua statualità esterna ed interna. La prima è legata a tutti gli strumenti della
sovranità territoriale, ovvero allo statuto della sicurezza territoriale e nazionale e
difesa nelle relazioni internazionali. L’altra è legata alla sovranità del popolo, come
insieme di valori e di diritti (v. art. 1-7 cost. italiana), ovvero mediante l’uso degli
strumenti con cui uno Stato può presentarsi come possibile modello di riferimento
pe la vita degli altri, nei più diversi settori civili, etico-sociali ed economico-politici4.
Nell’ultimo trentennio non è risultata facile la transizione della sovranità
tradizionale, di tipo territoriale, e quella innovativa, legata agli statuti personali di
autonomia. Una profonda trasformazione dei principi primari dell’ordinamento in-
ternazionale ha richiesto una maggiore partecipazione ai vari livelli normativi, al fine
di rendere legali non solo i comportamenti prescritti, ma anche quelli raccomandati,
per migliori relazioni internazionali. Ne è tipico esempio il nuovo regime di gestione
dei conflitti fra Stati, legati al nuovo criterio della “de-escalation”, intesa come de-
gradante della forza militare, in favore di misure non implicanti l’uso della medesi-

gli aspetti interni relativi ai tre tipi di sicurezza umanitaria, nazionale e democratica. La prima non è
esclusiva della fase attuale, in quanto è stata ben presente in tutte le esperienze di tipo sia cosmopolitico
che imperiale. La seconda attiene alla dimensione unitaria dei valori del popolo ed alla coesione ed in-
terconnessione fra le parti del territorio di ciascun Paese. Infine, l’evoluzione e la crescita democratica
di ciascuno Stato fa da collante alla diversità delle storie nazionali, basate su criteri di differenza e di-
versità fra le identità storiche dei vari Paesi, ora messe in crisi dalle amputazioni territoriali e nazionali
subite dall’Ucraina. Cfr. T. Biersteker – C. Weber, State sovereignty as social construct, Cambridge,
1996; A. Chayes, The new sovereignty: compliance with international regulatory agreements, Cam-
bridge, 1995; G. Picco – G. Delli Zotti, International solidarity and national sovereignty, Gorizia,
1995; O. Beaud, La puissance de l’Etat, Parigi, 1994; D. Quaglioni, I limiti della sovranità: il pensiero
di Jean Bodin nella cultura politica e giuridica dell’età moderna, Padova, 1992; E. Capuzzo, Dal nesso
asburgico alla sovranità italiana: legislazione e amministrazione a Trento e a Trieste (1918-1928), Mi-
lano, 1992; G. Pasquino, Alla ricerca dello scettro perduto: democrazia, sovranità, riforme, Bologna,
1990; C. Dell’Acqua, Il potere estero fra segreto e politica, Padova, 1990.
4
  Nell’ottica della sovranità forte, la sua nozione tradizionale si riferisce all’esercizio dei poteri
pubblici o ordinamento della decisione politica coercitiva. Viceversa, la nuova nozione di sovranità
flessibile o elastica (soft sovereignty) attiene all’esercizio dei poteri e delle potestà dei privati (civili, eti-
ci, sociali ed economico-politici). Comune alle due nozioni è la tutela dei diritti, sia interni che esterni ai
vari Stati, intesi come combinazione indissociabile dell’uno e dell’altro, di fronte al rischio tradizionale
di un attacco o aggressione di uno Stato egemone nei confronti dei minori Stati vicini o finitimi (v. caso
Russia-Ucraina 2022). Cfr. A. Trombetta, La sovranità pontificia sull’Italia meridionale e sulla Sici-
lia: studio sulla origini e sulle sue vicende, Casamari, 1981; F. Avella, Sovranità popolare e indirizzo
politico, Salerno, 1979; A. Alia, Sovranità popolare parlamento corpi separati, Salerno, 1977; R. Ver-
non – R. Revelli, Sovranità nazionale in crisi: l’espansione multinazionale delle società americane,
Torino, 1975; G. Catalano, Sovranità dello Stato e autonomia della Chiesa nella Costituzione repub-
blicana: contributo all’interpretazione sistematica dell’articolo 7 della Costituzione, Milano, 1974;
F. Conci, carattere, limiti e interferenza della sovranità: contributo alla dottrina dello Stato, Padova,
1957; A. De Meis – B. Croce – G. Carducci – F. Fiorentino, Il sovrano: saggio di filosofia politica con
riferenza all’Italia (1868), Bari, 1927; P. Ellero, La sovranità popolare, Bologna, 1886; C. Ghirardini,
La sovranità territoriale nel diritto internazionale: saggio di critica e di ricostruzione, Cremona, 1913.

13
ma, ma comunque finalizzati alla riduzione dei livelli dei conflitti in fase preventiva,
simultanea e successiva (conflict control – conflicting control)5.
La compresenza di più formule di sovranità, a statuto maggiore o minore, ha
determinato curiosità e talora smarrimento, tanto nella prassi quanto nella analisi te-
orica. Nel suo nucleo essenziale, la sovranità ha conservato i poteri di legittimazione
rispetto alle situazioni territoriali (cd. recognition), così come sperimenta strumenti
di protezione della popolazione, in specie durante e dopo i conflitti fra Stati (cd. re-
covery). Ridotta così, alla sua funzione primaria come sovranità della legge interna
ed internazionale, più che esaltare il suo ruolo coercitivo, rivendica un suo spazio di
diritto persuasivo e monitorio delle relazioni internazionali, con il comune obbiet-
tivo di difenderne l’efficacia e di ripristinarla nell’ipotesi di eventuale violazione6.

5
  Nell’era della soft sovereignty anche uno Stato come la Russia, ha dovuto sperimentare la transizio-
ne dal modello euro-strategico continentale della ex-Urss (1922-1992), all’ingresso in quello euro-globale
(1992-2022). Tanto comporta il rispetto dei principi guida della “de-escalation”, ovvero della degradazio-
ne dell’uso della forza, da militare a non-militare, mediante altri strumenti. Nella gestione dei conflitti (cd.
arms control), il conflitto viene quindi rivolto alla cd. guerra psicologica, comunicativa e digitale ed alla
circolazione economico-finanziaria, come dimostra la fase dell’occupazione del territorio ucraino, oggetto
di uno smembramento od una scissione violenta di alcune parti del suo territorio tradizionale (ritenute
non-ucraine, in quanto russofone e russofile per storia e decisioni recenti). Cfr. F. Pacini, La ristruttura-
zione assente: strumenti e limiti di un riordino complessivo della normativa primaria, Napoli, 2017; V.
Angiolini, Sulla rotta dei diritti: diritti, sovranità, culture, Torino, 2016; P. Marsocci, Partecipazione po-
litica transnazionale: rappresentanza e sovranità nel progetto europeo, Napoli, 2016; R. Perrone, Buon
costume e valori costituzionali condivisi: una prospettiva della dignità umana, Napoli, 2015; A. Carrino,
Il problema della sovranità nell’età della globalizzazione: da Kelsen allo stato mercato, Soveria Man-
nelli, 2014; A. De Benoist, La fine della sovranità, Bologna, 2014; P.G. Monateri, I confini della legge:
sovranità e governo del mondo, Torino, 2014; F. Ferraro, Lo spazio giuridico europeo tra sovranità e
diritti fondamentali: democrazia, valori e rule of law nell’Unione al tempo della crisi, Napoli, 2014; W.
Brown – F. Giardini – S. Liberatore, Stati murati: sovranità in declino, Roma, 2013; A. Sciancalepore,
La dea dei cavalieri: trasformazione della signora datrice di sovranità tra epica e lirica, Roma, 2013.
6
  Nell’era della soft sovereignty, si va alla ricerca di titoli giuridici riconosciuti (recognition), allo
scopo di legittimazione del comportamento degli Stati nella gestione dei conflitti internazionali, così
come è accaduto con la Risoluzione dell’Assemblea Generale Onu di condanna del comportamento
russo di occupazione della Crimea. Ugualmente, si persegue l’adozione di misure in favore delle po-
polazioni civili, vittime dei conflitti armati, evacuati come profughi o rifugiati (peace keeping). Di tale
prassi costituisce esempio la rivendicazione di un titolo storico di sovranità territoriale, come quello
della Russia zarista e sovietica sulla Crimea e sulle popolazioni dei territori del Donbass orientale
dell’Ucraina (Repubbliche autonome di Donetsk e Lugansk), finora delegittimate dal mancato rico-
noscimento di organizzazioni internazionali e dei loro Stati membri. Cfr. T. Aalberts, Constructing
sovereignty between politics and law, London, 2012; F. Tedesco, Eccedenza sovrana, Milano, 2012; J.
Cohen, Globalization and sovereignty: rethinking legality, legitimacy and constitutionalism, Cambrid-
ge, 2012; G. Grasso, Il costituzionalismo della crisi: uno studio sui limiti del potere e sulla sua legit-
timazione al tempo della globalizzazione, Napoli, 2012; I. Clark, Hegemony in international society,
Oxford, 2011; L. Ventura, Stato e sovranità: profili essenziali, Torino, 2010; A. Di Bello, Sovranità e
rappresentanza: la dottrina dello stato in Thomas Hobbes, Napoli, 2010; S. Carbone - L– Schiano Di
Pepe, Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici marittimi tra diritto internazionale e diritto dell’Unione
Europea, Torino, 2010; A. Cooley – H. Spruyt, Contracting states: sovereign transfers in international
relations, Oxford, 2009; D. Fisichella, Alla ricerca della sovranità: sicurezza e libertà, Roma, 2008.

14
3. Nella logica della costruzione di un modello europeo di sicurezza, intesa
come sistema di monitoraggio, controllo ed azione anti-conflittuale, molto rilevan-
te appare il doppio sistema verticale e orizzontale di costruzione e mantenimento
della stessa. Significativamente, gli Stati europei protetti da un livello di garanzia
collettiva nello spazio occidentale, si ritengono meglio tutelati rispetto a quelli di-
suniti dell’Europa orientale, come effetto di una non-compiuta realizzazione di un
sistema difensivo, da costruirsi nell’epoca post-sovietica. È proprio, esattamente, da
tale lacuna normativa, ritenuta ormai intollerabile, che nasce l’attuale difficoltà di
coesistenza tra occidente e oriente europeo, ciascuno dei quali pur appartenendo al
sistema territoriale continentale, cerca identità ed appoggi oltre i confini dello Stato
e della nazione7.
Si può dire che all’opposto della teoria della sovranità “debole”, sta quella
della sovranità “forte”, ovvero della forza “scalare”, graduata e progressiva. Nel
suo esercizio, tale visione si orienta secondo i vari stati dell’uso della forza arma-
ta (incursione, invasione, annessione e occupazione di territori altrui). Ad essa si
risponde con eventuali adeguate contro-misure, ovvero azioni di natura militare o
non-militare, con finalità di ritorsione e nell’ottica complessiva della difesa legittima
individuale o collettiva8.

7
  Quando lo Stato ri-organizza la vita pubblica, nei soli limiti della sovranità nazionale, questa
si sopra-eleva e diventa scalare. In tale dimensione verticale, sia la decisione che l’azione pubblica,
hanno un’agenda graduale e progressiva, cioè la sovranità si “sovra-nazionalizza”, nell’ambito di una
decisione “ascendente” (euro-globale), ma anche in direzione di esecuzione “discendente”, in ciascuno
ordinamento interno (Euro-nazionale). Ne costituiscono esempio tipico le sanzioni economiche anti-
russe, adottate in sede G7 ed Unione Europea, mediante “pacchetti” di sanzioni graduate e differenziate
ed eseguite nell’ordinamento di ciascuno degli Stati membri a cura degli organi nazionali e nelle forme
giuridiche previste, in danno di soggetti pubblici e imprese private degli Stati sanzionati. Cfr. W. Shan
– P. Simons – D. Singh, Redefining sovereignty in international economic law, Oxford, 2008; F. Biondi
Nalis, Sovranità, democrazia, costituzionalismo, Milano, 2008; I. Butler, Unravelling sovereignty:
human rights actors and the structure of international law, Antwerp, 2007; E. De Cristofaro, Sovra-
nità in frammenti: la semantica del potere, Verona, 2007; D. Maillard Desgrees, Les evolutions de la
souveraineté, Parigi, 2006; N. Urbinati, Democrazia rappresentativa: sovranità e controllo dei poteri,
Roma, 2006; S. Labriola – G. Napolitano, Sovranità e democrazia, Roma, 2006; J. Crowford, The
creation of states in international law, Oxford, 2006; A. Anghie, Imperialism, sovereignty and the ma-
king of international law, Londra, 2004; L. Vecchioli, Il rischio della sovranità globale, Torino, 2004.
8
  Nella prassi delle cd. sanzioni economiche (o non-militari), gli Stati dell’Unione Europea hanno
chiuso o de-connesso i loro mercati di credito (bancario e finanziario), nei confronti di Stati esteri finanzia-
tori del terrorismo o di separatismo (V. sanzioni ue del 24/02/2022 per l’appoggio russo alle repubbliche
separatiste ucraine). Tale prassi largamente diffusa trova i suoi precedenti nelle analoghe procedure di
sanzione seguite in occasione dei conflitti balcanici degli anni ’90 e realizzate dall’Unione Europea, in
danno dei vertici governativi e delle imprese collegate dello Stato serbo. In parallelo a quelle economiche
sanzioni politico-giudiziarie hanno visto i vertici serbi chiamati dinanzi al Tribunale Penale internazio-
nale ad hoc, per i crimini commessi nell’ex-Jugoslavia. Cfr. G. Simpson, Great powers and outlae states:
unequal sovereigns in the international legal order, Cambridge, 2004; H. Hensel, Sovereignty and the
global community: the quest for order in the international system, Aldershot, 2004; A. Al-Azmeh – J.
Bak, Monotheistic kingship: the Medieval variants, Budapest, 2004; H. Rumpf, Land ohne souveranitat,
Karlsruhe, 1973; H. Kelsen, Das problem der souveranitat und die theorie des Volkerrechts, Aalen, 1960.

15
Rinviando alla storia, si osserva che la sovranità forte tende a superare le
crisi della sicurezza individuale o collettiva, mediante il dispiegamento di decisioni
e di conseguenti azioni. Nell’esercizio della sovranità economica vale la chiusura
dei mercati. È una misura anti-terroristica (islamico) ed anti-separatista (Donbass
ucraino). A tal proposito, come modalità di esercizio della sovranità di difesa mi-
litare collettiva, vale il richiamo alla prassi delle sanzioni (o misure di auto-difesa
istituzionale). Esse debbono muoversi nella logica delle peace operations dell’Onu
(ex art. 51 della Carta). Debbono, cioè, essere transitorie, proporzionali e sostenibili
da parte degli Stati sanzionatori ed avere un doppio livello di azione, sia universal-
regionale, sia statual-nazionale9.

4. Nel momento attuale, la riflessione geopolitica e geoeconomica, ha rivalu-


tato alcuni presupposti classici della teoria della sovranità, intesa come orizzontale-
circolare, dove lo Stato risulta essere populista, interdipendentista ed egualitario,
circoscritto in limiti di confini di sicurezza, misurati secondo linee o aree circolari.
Quando si sente eroso nei suoi spazi vietati o di sicurezza esso cerca l’espansione
oltre i confini in ambiti più vasti o in aree o spazi intermedi, così come è accaduto
per il sistema nord-atlantico della Nato a partire dalla Dichiarazione di Washington
del 1999 ed ora da parte di molti Stati del Mar Nero, che ambiscono a tale status o
l’hanno già ottenuto. Di qui nasce una naturale divisione del mondo in più poli o aree
di sicurezza regionale. A tale visione del mondo “multipolare”, sembrano particolar-
mente legati gli Stati dell’oriente, oltre che europei anche quelli asiatici e fra essi la
Federazione russa, alla ricerca del suo ruolo globale o post-sovietico10.
Tale teoria revisionata della sovranità, va puramente e semplicemente re-
trodatata alle sue origini storiche, nonché alla formazione dei suoi principi fonda-

9
  Sempre nella prassi delle misure militari, gli Stati della Nato hanno operato un dispiegamento
sul confine orientale, dai Paesi baltici al Mar Nero, ai fini del controllo sui territori confinanti russo,
bielorusso e Ucraina nella regione del Donbass (v. dichiarazione del Ministro italiano della Difesa sulla
presenza di alpini in Lettonia e di uno stormo dell’aeronautica in Romania). Complessivamente, si
tratta di un’applicazione dell’art. 5 del Trattato del nord Atlantico, esteso borderline sul fronte orientale
dell’Alleanza, con finalità puramente ed esclusivamente difensive. Gli organi di governo, italiani e
Nato, hanno ripetutamente confermato l’indisponibilità dell’organizzazione ad essere coinvolta come
belligerante nel conflitto russo-ucraino del febbraio 2022, ma, viceversa, di essere vincolati all’obbligo
di difesa dei soli Stati membri Cfr. H. Mohnhaupt – D. Grimm – M. Ascheri, Costituzione: storia di un
concetto dall’antichità ad oggi, Roma, 2008.
  È fuori di dubbio, che la sovranità nuova o verticale, mette in discussione quella tradizionale
10

della sovranità orizzontale o egualitaria. I nuovi valori della pace e della economia globale presentano
come obbligatoria una ridefinizione dei suoi elementi costitutivi, perché dove la sovranità politica di-
vide, quella economica unisce nella competitività e circolazione libera dei mercati. In altri termini, la
connessione economica permane anche in tempo di conflitti armati, come dimostra il regolare funziona-
mento dei gasdotti russo ed ucraino di conduzione del gas-oil verso i Paesi terzi, utilizzatori e contraenti
privati. Cfr. A. Carrino, Il problema della sovranità nell’età della globalizzazione: da Kelsen allo
Stato-mercato, Soveria Mannelli, 2014; L. Vecchioli, Il rischio della sovranità globale, Torino, 2004;
G. Smith – M. Naim, Altered states: globalization, sovereignty and governance, Ottawa, 2000.

16
mentali. Le relative varianti attuali hanno peraltro contribuito ad una combinazione
significativa. Trattasi della sovranità-cosovranità, indipendenza-interdipendenza ed
eguaglianza, partecipazione egualitaria. In tale processo la sovranità è divenuta fat-
tore di attrazione della nascita (o rinascita) di aree regionali e di poli di relazioni
preferenziali. Valga nella prassi dell’ultimo decennio il richiamo alla pratica dell’in-
tervento “continuo” o anche militare della Federazione Russa mirante alla creazione
di un’Ucraina russa o russofona, in una visione di ripristino di antichi rapporti di
solidarietà, prima ancora che ex-sovietici, risalenti alla comune origine di una terra
più ampia, già chiamata Rutenia (cd. sovranità russa-neo imperiale)11.
Il recupero della nozione tradizionale di sovranità orizzontale, rispetto a
quella sopravvenuta di sovranità circolare, si inquadra nel nuovo sistema di ri-or-
ganizzazione delle varie aree e/o spazi geopolitici ed economici del mondo. Nella
dichiarazione congiunta russo-cinese (del 04/02/2022) si dice che il mondo globa-
lizzato è un mondo multipolare. Forse si può dire che è un mondo “bi-polare”, fra
due gruppi concorrenti, g7-Brics, che sono anche i maggiori produttori/consumatori
di risorse energetiche naturali, e che intendono socializzarne l’uso a favore di strati
sempre più ampi di cittadini del vasto continente asiatico12.

5. Il mondo multipolare, uscito dalla pandemia 2020-2022, è lo stesso mes-


so di fronte alla gestione collettiva dell’improvvisa “euro-crisi” globale dell’Europa
russo-ucraina 2022. Nata come crisi locale regionale, si è estesa con effetti geopoli-
tici-economici, a seguito della risposta all’intervento russo ed alla resistenza ucrai-

11
  Nell’ultimo decennio, la classica teoria della sovranità orizzontale, è stata ripristinata nelle aree di
intervento russo-ortodosse dell’Europa centrale. Nella ricerca di una nuova architettura di sicurezza eu-
ropea, la Federazione Russa ambisce al recupero di un proprio ruolo o spazio post-sovietico. In tale area
di influenza propria, la Russia ha abbandonato la linea euro-atlantica del g7(1994-2013), per transitare
ad una linea euro-globale (Brics 2013-2022). In una fase di nuovi scenari si erodono le aree precedenti in
un nuovo assetto euro-globale, nel quale la Repubblica Federativa Russa rivendica il proprio ruolo, non
specificamente europeo dall’Atlantico agli Urali, ma euro-asiatico dall’Atlantico al Pacifico (Siberia).
Cfr. F. Baetens – M. Milanovic – A. Tzanakopoulos, Le droit international entre souveraineté ed com-
munauté, Parigi, 2014 ; D. Maillard Desgrees, Les evolution de la souveraineté, Parigi, 2006.
12
  Delle tre settimane dell’invasione russa dell’Ucraina sono prevedibili tre scenari di espansione
della sovranità russa, riguardo alle corrispondenti zone finitime del Mar Nero: A) zona di influenza e
sicurezza russo-ucraina, con tale Paese de-militarizzato e neutralizzato; B) zona di sicurezza russo-
orientale, che includa i tre Paesi di connessione con la Turchia (Georgia, Armenia, Azerbaijan); C) zona
di sicurezza e connessione russo-occidentale definitrice di un’area intermedia inclusiva dei Paesi Nato,
dal Mar Nero al Mar Baltico (cd. area di sicurezza ex-russo post-sovietica), da intendersi come parte di
un più ampio sistema di cooperazione e sicurezza finalizzato alla ricostruzione economico-finanziaria
del territorio russo, violentemente distrutto o demolito dalle operazioni militari. Cfr. G.M. Cazzaniga
– Y. Zarka, Penser la souveraineté à l’epoque moderne et contemporaine, Parigi, 2001. Sull’era di
Putin, intesa come tempo della sovranità lineare-circolare della Federazione Russa, nonché come uso
della forza nelle relazioni inter-statuali del Mar Nero, nell’ottica di una virtus salvifica e non di un virus
pericolo e dannoso per le popolazioni interessate cfr. C. Hutchins, Putin, Leicester, 2012; P. Sutela,
The political economy of Putin’s Russia, Londra, 2013; R. Sakwa, The Putin paradox, Londra, 2020; D.
McNabb, Vladimir Putin and Russia’s imperial revival, Boca Raton, 2015.

17
na. Tale situazione inusitata, nel cuore stesso dell’Europa, ha smentito l’idea stessa
di sicurezza e cooperazione europea, che durava da decenni, mediante connessioni
e inter-scambi reciproci, nonché, come interfaccia di uno stesso continente. Di qui
è nata la nuova immagine di un’Europa divisa fra democrazia e autocrazia (ovest
contro est), in cui gli Stati dell’Unione Europea, come parte del mondo democratico
occidentale (g7-Nato), fin dal primo mese della crisi (24 febbraio – 24 marzo) hanno
assunto un doppio ruolo di sanzioni economiche al governo e alle grandi imprese
russe, come responsabili e corresponsabili dell’aggressione, tutto ciò in prosecuzione
delle precedenti sanzioni assunte a seguito dell’invasione della Crimea nel decennio
precedente (v. decisione n. 337 del 28/02/2022 in sede di politica estera e di sicurez-
za comune pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione dello stesso giorno). In
parallelo, decisioni di recovery, mediante programmi di assistenza e organizzazione
finanziaria sono servite per fronteggiare l’emergenza determinata dalla evacuazione
di larghi strati della popolazione ucraina verso gli Stati dell’Unione, sia quelli finitimi
sia quelli comunque interessati ad ospitare lungo le linee parentali ed istituzionali i
rifugiati del Paese euro-orientale (consiglio Europeo 24/25 marzo 2022)13.
La stessa controversia russo-ucraina, trova la sua origine in un ampio e pro-
lungato contenzioso, con relative pretese di avvenuta violazione della propria sovra-
nità nazionale, intesa come diritto alla sicurezza (Ucraina). Invero, la crisi si profila
dal lato della causa petendi e del petitum. A) Causa petendi. La Federazione Russa
lamenta di avere subito un ventennio di accerchiamento alla sicurezza e di persecu-
zione delle proprie popolazioni russofone nel Mar Nero e chiede un nuovo ordine
nell’area; B) Petitum. L’Ucraina lamenta di avere subito un decennio di invasioni

13
  In un sistema multipolare, il tradizionale principio della sovranità si è trovato sottoposto ad un
vero rafforzamento, insieme al governo democratico. In tale combinazione, i principi e valori dell’in-
ternazionalismo democratico (pacifismo, non-violenza, autodeterminazione dei popoli), vanno di pari
passo con quelli della comunicazione o interconnessione nelle relazioni internazionali. Nel nuovo
sistema, la sovranità dello Stato globale opera in circuiti mobili, chiamati con il nome di “spazi digi-
tali”, “mercati economico-finanziari” e “commercio di beni e servizi di forniture”. In tale contesto il
sistema unionistico europeo della politica estera e di sicurezza comune, ha messo in campo la sua filie-
ra istituzionale nella crisi globale 2022, centrata prevalentemente sul ruolo informativo-comunicativo
dell’Alto Rappresentante per la politica estera e dal Consiglio Europeo, come responsabili di vertice
delle decisioni ed azioni comuni conseguenti, nel più ampio contesto del mondo democratico occi-
dentale e delle sue relazioni finalizzate al ripristino di normali situazioni di pace sul confine orientale
della stessa UE. Cfr. J. Faberon – G. Agniel, La souveraineté partegee en Nouvelle-Caedonie et en
droit compararé, Parigi, 2000; C. Leben – E. Loquin – M. Salem, Souveraineté etatique et marches in-
ternationaux a la fin du 20eme siecle, Dijon, 2000; M. Gauchet, La revolution des pouvoirs: la souve-
raineté, le peuple et la representation 1789-1799, Parigi, 1995. Sull’attuale situazione geo-strategica
della Repubblica Federativa Russa ed al suo sistema di governo nel linguaggio variamente definito
come neo-imperiale o post-sovietico, si identifica un atteggiamento non solo anti-democratico quanto
come anti-occidentale, in rappresentanza di assrtiti valori innovati per il futuro del mondo globaliz-
zato v. A. Roxburgh, The strongman: Vladimir Putin and the struggle for Russia, London, 2012; G.
Herd, Understanding Russian strategic behavior: imperial strategic culture and Putin’s operational
code, London, 2022; K. Langdon – V. Tismaneau, Putin’s totalitarian democracy: ideology, myth and
violence in the twenty-first century, Cham, 2020.

18
territoriali e di annessioni illecite nel Mar Nero e chiede la fine dell’attuale aggres-
sione (ex art. 51 Onu)14.
L’euro-crisi del 2022 non può essere ricondotta ad un episodio ricorrente
di conflitto locale, secondo lo schema trentennale della Global peace e delle sue
istituzioni capaci di controllo delle cd. “guerre di Oriente” (Europa orientale, Me-
dioriente, Asia centrale). Ripensare l’intero sistema concettuale della sovranità mista
democratica-autocratica è divenuto indispensabile, allorché ci si è trovati di fronte ad
un conflitto armato fra Stati fondatori della stessa “società internazionale europea”,
dalle sue antiche origini fino alle soglie del terzo millennio. Tale riflessione critica è
ancora agli inizi, in termini di contrapposizione di “mondi diversi” e di opposti siste-
mi di governo sovrani, ampiamente differenziati dalle forme di governo attualmente
vigenti nelle rispettive relazioni di connessione-sconnessione15.

6. Abituati a pensare alla storia delle pandemie, gli Stati europei sono stati
costretti all’analisi delle guerre autocratiche dell’ultimo trentennio, dalle guerre bal-
caniche (1991-1999), alle guerre arabo-islamiche (2001-2021), fino a quella attuale
dell’Ucraina meridionale, presentata come contrapposizione fra un grande Stato au-

14
  Secondo la dottrina classica, la sovranità democratica è il regime politico migliore, ai fini del
governo delle relazioni internazionali e della stessa esistenza di una loro comunità mondiale. All’op-
posto del governo democratico delle democrazie mondiali, c’è solo il regime opposto del dispotismo,
ovvero della autocrazia, come formatasi mediante meccanismi di selezione in Stati eredi e successori
dell’ex-unione sovietica, anche per effetto del meccanismo delle privatizzazioni del patrimonio pubbli-
co ex-sovietico ripartito tra vertici economici e politici dello Stato russo. L’esperienza 2022 starebbe a
dimostrare che gli Stati sovrani autocratici sono destinati a compiere una “interferenza dittatoriale” ne-
gli affari interni e contro la libertà degli altri popoli. Cfr. H. Rumpf, land ohne souveranitat, Karlsruhe,
1973; J. Cohen, Globalization and sovereignty: rethinking legality, legitimacy and constitutionalism,
Cambridge, 2012; T. Aalberts, Constructing sovereignty between politics and law, London, 2012; R.
Thakur – P. Malcontent, From sovereign impunity to international accountability: the search for
justice in a world of States, Tokyo, 2004; B. Granville – V. Aggarwal, Sovereign debt: origins, crises
and restructuring, London, 2003; A. Efraim, Sovereign inequality in international organizations, The
Hague, 2000; N. Lamont, Sovereign Britain, Bristol, 1995; A. Springer, The international law of pollu-
tion: protecting the global environment in a world of sovereign states, Westport, 1983.
15
  La gestione della sovranità democratica dello Stato di diritto, avviene mediante la connessione
degli ordinamenti giuridici statali. Nella cd. “era della pace” o “era dei diritti” il richiamo è alle regole e
pratiche giuridiche migliori (better rule). Ne deriva una situazione sia permanente che trasparente, fra i
diritti statali coinvolti. All’opposto, la non-connessione o sconnessione progressiva fra gli ordinamenti
statali, si compie in epoche di guerre o di conflitti armati, con lo scopo dell’eliminazione delle situazio-
ni incompatibili o confliggenti per Stati e popoli. Proprio nell’anno 2022 la crisi euro-globale, di origine
russo-ucraina, avrebbe segnato la fine dell’era delle illusioni e del pacifismo garantito. Si sarebbe vi-
ceversa aperta una nuova era in cui il linguaggio politico-diplomatico euro-globale ricerca le “parole”
del futuro, come assetto di un nuovo ed aggiornato sistema di sicurezza e di pace, il più possibilmente
garantito. Cfr. U. Nichol, Focus on politics and economics of Russia and Eastern Europe, New York,
2007; M. Bassin – C. Ely – M. Stockdale, Space, place and power in modern Russia: essays in the new
spatial history, DeKalb, 2010; K. Bachmann – I. Lyubashenko, The Maidan uprising, separatism and
foreign intervention: Ukraine’s complex transition, New York, 2014; R. Dragneva, Ukraine between
the UE and Russia: the integration challenge, New York, 2015;

19
tocratico ed un piccolo Stato difensore della propria autonomia nazionale. Tali crisi
largamente ripercorse sul piano globale si sono rivelate insostenibili ed incontrolla-
bili per gli stessi promotori. La nuova natura delle guerre contemporanee le rende
complesse ed ibride, sempre determinate dal fattore militare e sempre più condizio-
nate dal contesto esterno, sia politico-diplomatico che socio-economico e digitale.
Ne deriva come risultato finale un necessario contemperamento fra democrazia ed
autocrazia delle guerre contemporanee, i cui risultati finali derivano dalla loro bassa
intensità e dal difficile equilibrio tra il tradizionale fattore bellico-militare e quello
preponderante strettamente non-militare16.
Nella guerra russo-ucraina del febbraio 2022, si è avuta la conferma docu-
mentale dell’esistenza di un sistema mondiale o multi-regionale, articolato per grup-
pi di Stati, formato dal cd. mondo dei grandi Stati (g7 – g20), rispetto alla platea de-
gli Stati medio-piccoli in continua ricerca di un posizionamento ed utile collocazione
internazionale. Nel voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (02/03/2022),
avente ad oggetto l’aggressione russa all’integrità territoriale ucraina, si sono espres-
si tre gruppi di votanti: A) maggioranza prevalente di condanna dell’aggressione
(e delle relative minacce alla pace); B) Minoritaria favorevole alla legittimità del
comportamento militare, valutato in senso positivo da soli quattro Stati (Russia, Bie-
lorussia, Corea del Nord, Eritrea); C) Minoranza astensionista pilotata da Cina, India
e Sudafrica e comprendente un diverso numero di Paesi africani17.

  La dottrina sovranista del biennio 2020-2022 identifica nello Stato autocratico il portatore di una
16

nuova visione riordinatrice ed opposta a quella dell’ordine precedente, sia globale che regionale, in
quanto portavoce di tutti i valori politici sovrani esasperati ed estremizzati come nazionalismo, patriot-
tismo e civilizzazione est-ovest. Tale dottrina fa conclusioni sul decennio precedente, caratterizzato da-
gli interventi di legittimismo democratico delle cd. “primavere degli Stati ex-socialisti”, in cui si mani-
festa la “rottura” fra la Presidenza Usa (Obama) e quella russa (Putin), in merito alla tragica successione
di governi filo-occidentali o filo-orientali. In parallelo si erano compiute le primavere arabe con la triste
conclusione dell’esperienza libica del Presidente Gheddafi, il quale era stato presente al G8 dell’Aquila
del 2009, da cui la Russia si distaccò, con un vero e proprio vulnus all’idea della connessione interna del
continente europeo. Cfr. Nell’opinione corrente, mentre la Russia viene considerata un Paese a governo
autocratico-popolare, la contrapposta posizione dello Stato ucraino da oltre un ventennio è qualificata
come nazionalistica, mediante una successione di governi filo-orientali o filo-occidentali, comunque
finalizzati ad una resistenza democratica e popolare contro l’avversario russo. Nell’ampia dottrina sul
tema v. V. Stepanenko – Y. Pylynskyi, Ukraine after the Euromaidan: challenges and hopes, Bern,
2015; M. Rubchak, New imaginaries : youthful reinvention of Ukraine’s cultural paradigm, New York,
2015; V. Tismaneanu, Political culture and civil society in Russia and the new states of Eurasia, Lon-
don, 2016; T. Kerikmäe – A. Chochia, Political and legal perspectives of the EU Eastern Partnership
policy, Cham, 2016; J. Zajac, Poland’s security policy: the West, Russia and the changing international
order, London, 2016; M. Bassin, Eurasia 2.0: Russian geopolitics in the age of new media, Lanham,
2016; A. Krawchuk – T. Bremer, Churches in the Ukrainian crisis, Cham, 2017.
  In occasione della doppia crisi russo-ucraina del 2014-2022, con l’annessione della Crimea e
17

delle Repubbliche del Donbass, la Russia si è presentata come la ricompositrice dell’unità nazionale del
territorio russo ma, altresì, come la ricostitutrice dell’unità del popolazioni russe latu sensu, sia di quel-
le residenti nei territori occupati, sia di quelle rifugiate attraverso corridoi umanitari nel territorio della
grande Russia. Nell’invasione militare del 24/02/2022 la Federazione ha subito una condanna unanime

20
Ai fini della distinzione fra sovranità statali esercitate in modo democratico
o autocratico, si discute sull’efficacia dei controlli parlamentari interni e di quelli di
organizzazioni internazionali, universali o regionali. Nel conflitto russo-ucraino del
febbraio 2022, fu proprio il voto della Duma russa a legittimare il riconoscimento
delle due autoproclamate Repubbliche del Donbass, da cui le relative “operazioni
militari speciali”, definite guerre di aggressione dall’Occidente e interventi finaliz-
zati speciali mirati ad obbiettivi temporanei, come sostiene il governo russo. Un mu-
tamento di linea politica (o addirittura di struttura della compagine politico-militare)
ha aperto la strada a mediazioni multiple, palesi o occulte, nelle più diverse sedi
possibili, nella ricerca di un foro internazionale competente, tradizionalmente loca-
lizzabile secondo la prassi diplomatica, ma attualmente trasferito in più utili e rapidi
sedi diplomatico-digitali, di confronto e negoziazione online, fra le parti contendenti
e i loro eventuali supporter o mediatori18.

e prevalente negli Stati dell’Occidente. Viceversa, un gruppo minoritario di Stati astensionisti non ha
condiviso la condanna, nella doppia sede del Consiglio di Sicurezza Onu (Cina, India) e dell’Assem-
blea Generale (02/03/2022). Complessivamente la condanna si è accompagnata ad uno straordinario
processo di programmazione umanitaria dell’assistenza ai profughi, la loro accoglienza all’interno di
qualsivoglia Stato del mondo globalizzato, nell’esercizio di una funzione primaria di protezione inter-
nazionale, quale espressione massima del recovery State. Si osservi che tale fenomeno di trasferimento
continentale ed intercontinentale di popolazioni appartenenti allo Stato ucraino, non può essere sempli-
cisticamente ricondotto al mega-fenomeno delle migrazioni internazionali, inteso come l’esercizio di
un diritto universale di libertà, ma va contestualizzato nel diritto dei conflitti armati interni ed interna-
zionali, nonché sottratto d una problematica dispersiva e multisettoriale ed essere viceversa ricondotto
ad una vera e propria reductio ad unitatem. Nell’ottica occidentale confronta da ultimo l’opera collet-
tanea di A. Di Stasi – I. Caracciolo – G. Cellamare – P. Gargiulo, Migrazioni internazionali: que-
stioni giuridiche aperte, Napoli, 2022 (opera pubblicata prima dell’euro-crisi globale del 24/02/2022).
Per il completamento del quadro nell’ottica della crisi politica internazionale dal punto di vista dello
Stato ucraino si cita il minimo della bibliografia essenziale: Cfr V. Birchfield – A. Young, Triangular
diplomacy among the United States, the European Union and the Russian Federation: responses to the
crisis in Ukraine, Basingstoke, 2017; M. Siiner – K. Koreinik – K. Brown, Language policy beyond
the state, Cham, 2017; R. Kanet, The Russian challenge to the European security environment, Cham,
2017; P. Ercan, Turkish foreign policy: international relations, legality and global reach, Cham, 2017.
18
  Il carattere autocratico della sovranità statale è normalmente ricondotta a fattori costituzionali
interni, così come ad altri elementi di interventismo internazionale. I primi riguardano le procedure,
più o meno presidenziali (governance) o parlamentari, relativi alla gestione della politica estera, sotto
il controllo dell’opinione pubblica (e dei mezzi di informazione popolare). Viceversa, il neo-interven-
tismo di Stati singoli o gruppi di Stati è un fattore di attivazione della conflittualità internazionale e
dell’unilateralismo, intesa come azione violenta di offesa ad altri popoli e di soluzione forzata delle
controversie internazionali. Come è noto tale classica definizione trova la sedes materiae nell’art. 11
cost. italiana sotto il nome unificante di ripudio della guerra, intesa come interferenza dittatoriale negli
affari interni degli altri Stati, lesiva della loro autodeterminazione ed integrità territoriale. Nel casus
specifico la lesione dei diritti dello Stato e del popolo ucraino è stata giustificata dalla controparte russa
nel nome di una ricomposizione della continuità territoriale fra due zone finitime del Mar Nero, compo-
ste dalla penisola ucraina e dalla fascia marittima del Danubio meridionale. Su tali specifici punti della
conflittualità non è possibile una più ampia analisi per cui comunque si rinvia alla crescente bibliografia
in materia, anche precedente alla data di inizio dell’attuale situazione russo-ucraina. Per tutti cfr. G.
Simons, The politics of crisis management in Ukraine: a historical perspective, London, 2018; E. Re-

21
7. La trasformazione più interessante della figura giuridica dello Stato sovra-
no è avvenuta nel quadro della responsabilità internazionale, mediante la decisione di
sanzioni economiche, come contromisura di risposta alle crisi politiche, in cui si siano
manifestati illeciti o comportamenti inamichevoli fra Stati. L’immagine dello Stato
sanzionato qualifica il soggetto “de-connesso” dai circuiti della vita internazionale, in
quanto responsabile di gravi crimini verso altri Stati o l’intera umanità. L’isolamento
forzoso dai circuiti della comunicazione coinvolge la stessa società civile e cioè la
vita economico-finanziaria, ovvero il sistema dei flussi commerciali e dei pagamenti
bancari (cd. sistema Swift). Nella storia delle “sanzioni” ogni Stato ha i suoi prece-
denti, più o meno ortodossi o contestati, secondo una prassi ben nota nelle relazioni
internazionali fin dall’epoca della Società delle Nazioni e nel secolo scorso come
conseguenza dei crimini commessi durante le cd. Guerre Balcaniche (1991-1999)19.
Rispetto agli Stati sanzionati, il gruppo di quelli anti-Nato ha la responsabili-
tà della difesa legittima e collettiva. Da parte dell’Onu gli organi istituzionali, insie-
me alle agenzie specializzate, perseguono i loro obbiettivi di competenza. A questi
ultimi appartengono il “cessate il fuoco e la sospensione delle ostilità” fra le parti in
conflitto, insieme alla protezione ed evacuazione della popolazione civile. Da par-
te loro, in un sistema universale-regionale, gli organismi militari e politici (Nato
e Unione Europea), accanto all’obbligo di non-partecipazione al conflitto armato,
sono tenuti ad ogni attività dissuasiva ai fini del non-prolungamento o allargamento
dello stesso20.

sende – D. Budryte – D. Buhari-Gulmez, Crisis and chenge in post-cold war global politics: Ukraine
in a comparative perspective, Basingstoke, 2018; S. Zhuk, Soviet Americana: The cultural history of
Russian and Ukrainian Americanists, London, 2018; T. German – E. Karagiannis, The Ukrainian cri-
sis: the role of, and implications for, sub-state and non-state actors, London, 2018.
19
  Nella sua storia, lo Stato russo ha assunto la veste di sanzionato, in riferimento al suo obbiettivo
di costituire l’Unione di tutte le Russie (periodo zarista), di tutti gli slavi (Unione Sovietica) e dei russi
islamici, reagendo anche con contromisure e contro sanzioni rispetto a quelle inflitte dal vasto mondo
degli Stati sanzionatori, Si osservi che già nella storia russa del secolo scorso, si erano registrate oc-
casionali incursioni o invasioni temporanee all’interno di Paesi del Patto di Varsavia (Polonia, 1953
- Ungheria, 1956 - Cecoslovacchia, 1968), ma già prima una vera e propri invasione-occupazione si
era realizzata prima della Seconda Guerra Mondiale per ragioni di difesa del confine nord-ovest dello
Stato russo. Invero, all’epoca della Società delle Nazioni l’occupazione della Finlandia (1939) portò al
recesso o ritiro della Società (come per l’Italia a seguito dell’annessione dell’Etiopia del 1936 e della
Germania per violazione dei parametri del riarmo nel 1934). Per chiudere sulla linea delle annessioni-
restituzioni del secolo scorso si cita come ultimo esempio il singolare destino degli Stati europei del
Baltico, oggetto del trattato di Brest-Litovsk fra Russia e Impero germanico del 1918 e passaggio a
quest’ultimo, nonché agli altrettanto famosi trattati Molotov-Ribbentrop del 1939 (poi disattivati con
gli accordi di dissoluzione dell’Unione Sovietica post-1990). Infine nell’ottica delle ultime annessio-
ni di parti del territorio ucraino a favore del governo russo, diretto e indiretto Cfr. D. Averre – K.
Wolczuk, The Ukraine conflict: security, identity and politics in the Wider Europe, London, 2018; E.
Clark – D. Vovk, Religion during the Russian-Ukrainian conflict, London, 2019; I. Surwillo, Energy
security logics in Europe: Threat, risk or mancipation?, New York, 2019; A. Polese – A. Russo – F.
Strazzari, Governance beyond the law: the immoral, the illegal, the criminal, Cham, 2019.
20
  Le sanzioni contro gli Stati, nel momento attuale rivestono un effetto comune, insieme ad una

22
La tipologia delle azioni sanzionatorie, da parte dei soggetti autori della di-
fesa collettiva, consente di rivalutare l’importanza della sovranità degli Stati vittime
di violenza armata. La difesa consiste in misure giuridiche di chiara distinzione fra
lo Stato aggredito e lo Stato aggressore. I primi vanno assistiti nella loro capacità
difensiva, mediante la scalata tecnologica ad armi e sistemi ammodernati, in modo
da riequilibrare le forze in campo e accrescere l’indipendenza delle vittime. Ugual-
mente difensive risultano essere le contromisure, di natura non-militare, finalizza-
te a dissuadere il soggetto aggressore, efficacemente “resistito” dalla controparte,
così come ha dimostrato da ultimo l’esperienza sanzionatoria di più organizzazioni
e gruppi di Stati del mondo g7, Nato e Unione Europea. Rispetto a tale posizione
euro-atlantica, largamente rappresentativa del mondo occidentale, resta comunque
essenziale l’esigenza di un completamento della visione della prospettiva diploma-
tica e dell’allargamento negoziale ad altri Paesi del mondo globalizzato, rappresen-
tativi del mondo orientale dell’est e del sud asiatico (Cina, India). Solo in tal modo
l’attuale annosa vicenda dell’euro-crisi globale russo-asiatica potrà ritrovare la sua
giusta collocazione in una visione complessiva di un ripensato e ricostituito ordine
mondiale multipolare per la prima metà del xxi secolo21.

tipologia molteplice, graduale e differenziata. Il loro scopo riconosciuto sta nell’isolamento dello Stato
russo, ovvero nella sua esclusione o non-partecipazione forzosa, in settori più o meno ampi della vita
della collettività internazionale, sia pubblica che privata, sia politica che economica, sia diplomatica
che istituzionale. La loro summa divisio le distingue in “privative” di diritti (sanzioni giuridiche) e di
protezione ed assistenza dal loro esercito (sanzioni operative). Nell’uno e nell’atro caso il soggetto
sanzionato viene “de-connesso” dalla circolazione di beni e servizi, allo scopo di depotenziarne la forza
economica e civile ed affrettarne la cessazione delle iniziative militari nei luoghi o teatri in cui svolge
l’intervento militare, secondo una prassi definita nel linguaggio corrente come di cessate il fuoco gene-
ralizzato o localizzato (corridoi umanitari). Nell’ampia bibliografia sul tema delle relazioni ue ed Extra-
ue v. K. Raube – M. Muftuler – J. Wouters, Parliamentary cooperation and diplomacy in EU external
relations: an essential companion, Cheltenham, 2019; A. Mignon Kirchof – J. McNeil, Nature and
the iron curtain: environmental policy and social movements in Communist and capitalist countries,
1945-1990, Pittsburgh, 2019; I. Joja, Romania’s strategic culture, 1990-2014: continuity and change
in a post-communist country’s evolution on national interests and security policies, Stuttgart, 2019; N.
Knoblock, Language of conflict: discourses of the Ukrainian crisis, London, 2020; N. Jebril – S. Jukes
– S. Iordanidou – E. Takas, Journalism, society and politics in the digital media era, Bristol, 2020.
21
  La risoluzione dell’Assemblea Generale Onu del 02/03/2022, adottata ai sensi dell’art. 11 della
Carta Onu e secondo l’unico precedente Onu della Risoluzione Onu United for Peace, adottata in
occasione della cd. Guerra di Corea, allorché il Consiglio di Sicurezza fu ugualmente paralizzato dal
veto sovietico, superato dall’attivazione extra ordinem della competenza dell’assemblea generale. Tale
risoluzione dell’Assemblea Generale conferma l’esistenza del divieto e la condanna della guerra di
aggressione negando in ogni maniera possibile eccezione o deroga a tale divieto, anche nei confronti di
un Membro permanente del Consiglio di Sicurezza (come è la Federazione Russa). Analoga astensione
deve ritenersi valida per gli Stati terzi rispetto al conflitto, in merito a ventilare i poteri di no flight zone
sul territorio ucraino. Per tale generale problematica, relativa alla difesa dell’ordine mondiale e del
pacifismo come compito dello Stato globalizzato (recovery state), nell’ottica particolare delle relazioni
extra-UE con gli Stati finitimi in specie della linea danubiano-balcanica e dei Paesi caucasici del Mar
Nero, si rinvia tutti a G. Rouet – G. Pascariu, Resilience and the eu’s Eastern neighbourhood countri-
es: from theoretical concepts to a normative agenda, Cham, 2020; A. Cheskin – A. Kachuyevski, The

23
Russian – Ukranian global eurocrisis 2022
Abstract:ThisstudyisdediedtoanalysisthepoliticalcrisisofRussian-Ukrainianrelations
from the crucial date of 20/02/2022. This subject is analyzed in the juridical perspec-
tives of transformation of state sovereignty of 21° century. This is the sovereignty
security transition, soft and strong, linear and circular, democratic and autocratic,
all in the same time.

Keyword: Crisis in East-Europe; Euro-crisis 20/02/2022; Global political crises;


Russian-Ukrainian crisis; Sovereignty in transition; Soft sovereignty; Strong sov-
ereignty; Linear and circular sovereignty; Sovereignty democratic and autocratic;
State migrations and Recovery State.

Russia-speaking populations in the post-Soviet space: language, politics and identity, London, 2020;
M. Nadesan – A. Ron, Mapping populism: approaches and methods, London, 2020; IISS, The strategic
survey 2020: the annual assessment of geopolitics, London, 2020.

24
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-2
pp. 25-30

RETROACTIVITY OF CRIMINAL LAW AND


NON-APPLICABILITY OF STATUTORY LIMITATIONS
TO WAR CRIMES AND CRIMES AGAINST HUMANITY

Augusto Sinagra *

Summary: 1. Introduction. 2. Historical position and relativism of the prin-


ciple. – 3. The Nuremberg and Tokyo Tribunals. – 4. The international treaties on
the matter since the post-war period until today. – 5. The lack of a definition of the
type of offence and sanction. – 6. Ineffectiveness of the application of jus cogens
rules. – 7. The validity of amnesty laws. – 8. Article 7, par. 2, of Rome Convention
of 4 November 1950. – 9. The case-law of the European Court of Human Rights of
Strasbourg; the Inter-American Convention of San José of Costarica. – 10. Final
thoughts.

1. Some scholars of International law and some domestic Courts state that
crimes against humanity and war crimes may be prosecuted due to the alleged retro-
activity of criminal law and non-applicability of the statute of limitations.
The main consequence of such doctrine is the substantial abrogation of two
fundamental principles of criminal law: nullum crimen sine praevia lege and nulla
poena sine lege. The duty to prosecute international crimes apart from any statute of
limitation would be the content of a general principle of international law or, at least,
of an international customary rule. Such rule would pre-exist the domestic legal sys-
tems and, therefore, it would prevail over States’ constitutional rules. This position is
unfounded both as a matter of (historical) fact and as a matter of law.

2. From a historical point of view, the alleged principle of retroactivity of


criminal law should be the legal product of the collective will of the international
community of States. In other words, the collective legal conscience of the interna-
tional community would demonstrate the existence of such a principle. This is the
only possible source for this principle given that we cannot find a different ground
for it like, for instance, a religious or a natural ground.
In fact, as regards any possible religious fundament for a principle like that,
it is denied by the very existence in the past of certain Tribunals like the Tribu-
nals of the Inquisition established by the Catholic Church; as regards any possible
natural (or secular) fundament, one should remember that, in spite of any alleged
and pre-existing principle, the international community of State did not react at all
when Genghis Khan conquered the city of Samarkand. Even if we take a look at
more recent times, the 19th century history does not demonstrate the existence of
an international principle or rule concerning the retroactivity of criminal law and

*
  Full Professor in European Union Law, “Sapienza” University, Rome (f.r.).

25
the non-applicability of statutes of limitation. On the contrary, international practice
unfortunately lead us in the opposite direction. The emblematic day of 27 January
1945, when the vanguard of Soviet Army entered Auschwitz and the whole world
discovered the atrocities therein committed, provoked a trauma in the individual and
collective conscience of States and human beings. Yet, all of this is not enough to
affirm the sudden formation of a general principle of international criminal law and,
for sure, it denies the pre-existence of the alleged rules of international criminal law
to whom we referred supra. Once again, we must recognize that history contradicts
the existence of these alleged rules: many times, in fact, the alleged principle on ret-
roactivity of criminal law has been violated in case of commission of war crimes and
crimes against humanity (serious and vicious like those committed by the Nazis).

3. The 1946 Nuremberg Tribunal, established by the “London Charter”, rep-


resents a case that must be carefully assessed in the light of the peculiar and excep-
tional political and military context of that historical moment before it might be con-
sidered a reliable and valid precedent for the emergence of the alleged principle of
retroactivity of criminal law rules. Moreover, one should remember that Tribunal’s
activity was specifically directed at punishing Nazi regime leaders and that a differ-
ent outcome of the Second World War might have brought to the creation of other
and different Tribunals concerned with the punishment of other serious war crimes
and crimes against humanity perpetrated by the Allied and Associated Powers (the
so-called “United Nations”).
Accordingly, any reasoning or hypothesis on these circumstances necessar-
ily leads to excluding the pre-existence from time immemorial of the alleged general
principle of international law. In addition, Nuremberg and Tokyo Tribunals are im-
properly called “international Tribunals” because they were expression of the judicial
authority and punitive will of winner States. These tribunals, therefore, should be
correctly considered, as a matter of law, as “internal judicial bodies” of those States.
In fact, following the debellatio of Germany and Japan and due to the lack of any po-
litical and legal sovereignty of the defeated States over their own territories, the win-
ner States acted as “sovereign” of those territories exercising all typical powers and
functions of a sovereign. For this reason, Nuremberg and Tokyo Tribunals are internal
and not international and acted in violation of the legal principles nullum crimen sine
lege and nulla poena sine lege, although their action was justified on extra-legal and
moral grounds and on the exceptionality of historical circumstances and crimes.
There are many other facts that deny the pre-existence from time immemo-
rial of the alleged principle of retroactivity of criminal law. See, for instance, the case
of the Netherlands’ refusal to hand over the German Emperor, Wilhelm ii, to the Al-
lied and Associate Powers after the end of World War i for his criminal prosecution.
Taking into account international practice, the idea of retroactivity of crimi-
nal law and non-applicability of statutory limitations for certain crimes, founded on
an alleged principle or customary rule of international law, seems unacceptable.

26
4. All the international Conventions, stipulated from the end of World War
ii and concerning war crimes and crimes against humanity, confirm that the alleged
pre-existence from time immemorial of a general principle of international law on
these issues is unfounded. All in all, should a principle or a customary rule like that
have already existed in the international legal system, there would have been no rea-
son to stipulate these Conventions. In addition, it is important to underline that these
Conventions are not self-executing within the domestic legal systems of contracting
States. This is also true for the International Convention on the Prevention and Pun-
ishment of the Crime of Genocide (1948), i.e. the gravest crime against humanity.
These Conventions, instead, establish an international obligation for the rati-
fying States to modify their own domestic legal systems (with special regard to statu-
tory limitations) and do not introduce any effect of retroactivity for criminal law.
The most important reference to this end is the Convention, promoted by the
United Nations in 1968, on the Punishment of the War Crimes and Crimes Against
Humanity [GA Resolution 2391(xxiii)]. Far from being self-executing, in fact, Art. iv
of the Convention establishes the obligation for contracting States to implement the
Convention and modify their domestic legal systems with specific regard to statutory
limitations without introducing any principle or rule concerning the retroactivity of
criminal law.
In case one State would not comply with the treaty obligation, its interna-
tional responsibility for breach of the Convention will arise; yet, this circumstance
confirms the inexistence within the domestic legal system of that State of any legal
ground for applying criminal provisions to the crimes contemplated by the un-exe-
cuted Treaty.
It is noteworthy that the 1998 Rome Statute of the International Criminal
Court also denies the existence of a principle/customary rule of international law
on retroactivity of criminal law. In fact, Article 11 of the ICC Statute (Jurisdiction
ratione temporis) states that “the Court has jurisdiction only with respect to crimes
committed after the entry into force” of the Statute (i.e.: 2002) and, with respect to
the non-applicability of “any statute of limitations” to war crimes and crimes against
humanity, Article 29 only refers to those “crimes within the jurisdiction of the Court”,
that is to say those committed after the entry into force of its Statute in 2002.
The Rome Statute is a clear expression that the collective legal conscience
of States cannot be interpreted in the sense that it would recognize an alleged pre-
existing general principle or customary rule on these issues, also taking into account
the fact that the Statute, to dato, has been ratified by 123 States, i.e. almost by the
four-fifths of the whole international Community of States.
The fact that the United States, with all their political weight and influence in
the international relations, did not ratified the Rome Statute is a proof of the US will
to maintain its own full autonomy (and, therefore, its exclusive criminal jurisdiction)
with respect to acts committed by all those us agents deployed worldwide in armed
conflicts or “peace operations”.

27
5. Our thesis finds another confirmation in the fact that, apart from the issue
concerning the retroactivity of criminal law, the alleged principle/customary rule of
international law neither specifies the criminal offence, nor the sanction (penalty).
In fact, it is up to States defining these further aspects at domestic level and, for this
very reason, Treaties establish international obligations concerning the modification
of domestic legal systems. This is very important with respect of rights and guaran-
tees (to begin with those concerning due process and “fair trial”) of the person who
has the right to have prior knowledge of all the elements of crime concerning the
criminal offence and of the relative penalties.
One should also remember that there is no international responsibility for
persons; in other words, there is no international crime for them because a person
never get in direct touch with the international legal system as a matter of interna-
tional law. Individual only has indirect contact with international law due to the “in-
termediation” of the State. Any idea concerning the international subjectivity of the
person must be rejected as imaginative. There is no international “law-maker” and
“world government” as well which could exercise a real international jurisdiction.
Furthermore, one should also consider that ad hoc Tribunals (like, for in-
stance, ictr and icty) were established for prosecuting persons accused of interna-
tional crimes whose Statutes, drafted and accepted by States, far from founding their
jurisdictional legitimacy on general principles or customary rules of international
law, have defined and listed those crimes falling under their jurisdiction, even in
derogation of the principle nullum crimen and nulla poena sine praevia lege (an
exception accepted by the States).

6. Another thesis links the alleged retroactivity of criminal law (and the re-
lated corollary concerning the non-applicability of statute of limitations) when war
crimes and crimes against humanity are prosecuted to the existence of a ius cogens
rule of international law. Yet, it should be underlined that ius cogens normative cat-
egory is referred to by the 1969 Vienna Convention with respect to a different field
– treaty law – and, therefore, it applies to relationships/obligations among States and
not between States and individuals.
Interpretation and application of these “mandatory” norms in different cases
(like the one here discussed: State obligations towards individuals) was never veri-
fied or ascertained. For a long time, neither the International Court of Justice, sitting
in The Hague, dealt with this issue but only with the quite different notion of erga
omnes obligations arising out of certain rules of international law. Only in recent
times, the Court ruled about the ius cogens norms but, however, still and always with
respect to inter-state relationships [as, for instance, in “La Grand” judgment (2002) –
Germany vs. usa – and in the “Avena” judgment (2003) – Mexico vs. usa].
The alleged application of ius cogens rules to relationships between State and
individuals is a result of doctrinaire elaboration which, however, does not find any
confirmation in the principles of international law and/or in the positive law of States.

28
Ius cogens obligations binding upon States must be executed within the do-
mestic legal system and, in case of non-compliance, the international responsibility
of the State may be only invoked by other States and not individuals.

7. From a political point of view, victims’ right to have justice and, therefore,
State’s duty to investigate, prosecute and punish those who bear criminal responsi-
bility for war crimes and crimes against humanity are undisputable as well as it is
also undisputable the right of the accused to be prosecuted and judged with full re-
spect for the principle of legality and rights of defense. In another sense – and from a
different point of view – this could deny any legitimacy to amnesty laws to the extent
that it implies the balancing of certain interests and, in particular, the negotiating of
victims’ right to have the State exercising its duty to investigate, prosecute and pun-
ish those kind of crimes.

8. As regards the European Convention on Human Rights and Fundamental


Freedoms (signed in Rome on November 4, 1950), it should be underlined that Ar-
ticle 7, paragraph 2, provides for the trial and punishment of any person for any act
or omission which, at the time when it was committed, was criminal according to the
general principles of law recognized by civilized Nations.
The first objection is that these principles are those recognized by civilized
Nations rather than principles of international law. In addition, even in such case, Ar-
ticle 7, paragraph 2, does not specify the criminal offence and the penalty. It means
that the content of general principles must be “transferred” into the domestic legal
system of the State, especially when it refers to application of criminal law to per-
sons (in particular with respect to non-applicability of statute of limitations).

9. Moreover, according to the European Court of Strasbourg’s case-law, the


principle according to which criminal offence must be definite is part of the wider
principles of legality and of predictability. In other words, criminal law should clear-
ly define the elements of crime and related penalties and this fundamental condition
is satisfied only when the defendant is able to know and understand (from the word-
ing of relevant provisions and, in case, with the help of Court’s interpretation) which
acts or omissions he is prosecuted for (Kakkinakis v. Greece, par. 52; Achour, par. 41;
Sud Fondi s.r.l. et al. v. Italy, par. 107).
From a different point of view, the provision of 1950 Rome Convention
supra quoted, that allows States Parties to retroactively prosecute crimes against
humanity without applying statute of limitations, confirms that the alleged gener-
al principle or customary rule from time immemorial is not existent. Otherwise, it
would be unintelligible the necessity to consider as an exception the existence of a
rule which is supposed to be already a general rule of international law (admitting,
only for the sake of the reasoning, that such a rule does exist within the international
legal system).

29
From this point of view, in the name of the protection of fundamental human
rights, it might create the paradoxical consequence of depriving defendants of one of
the fundamental aspect of habeas corpus right. This line of reasoning may also be ap-
plied to the American Convention on Human Rights (Pact of San José, Costarica) as
well, given the common premises, mechanisms and goals of these two international
human rights treaties.

10. Summing up, international rules (including those above mentioned and
referred to) are not in a position of “prevalence” over domestic rules, to begin with
constitutional law of State. To state the opposite means to ignore State sovereignty
notwithstanding the reality of international law and relations. In other words, it means
to side (although unconsciously) with that outdated “monistic” idea of “Kelsenian”
inspiration regarding relationships between international law and domestic law. A
more realistic view of this relationship leads us to define this interaction in terms of
“structural monism” as already advocated by the most accurate realistic doctrine of
international law.

30
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-3
pp. 31-46

LA COSTITUZIONE ITALIANA E LA GUERRA


(Il conflitto russo-ucraino) *

Giuseppe de Vergottini **

Sommario: 1. La Costituzione e il ritorno della guerra. – 2. Guerra e Co-


stituzione. – 3. Il significato dell’art. 11: l’equivoco del ripudio della guerra e la
volontà di non isolamento nell’ambito della comunità internazionale. – 4. Cosa non
dice l’articolo 11: sicurezza e abilitazione alla difesa. – 5. L’evoluzione del con-
cetto di guerra internazionale e l’estensione del divieto costituzionale ai conflitti
armati. – 6. Guerra, conflitto armato e grave crisi internazionale. - 7. La struttura
decisionale: Parlamento e Governo di fronte all’incremento del ruolo del Presidente
della Repubblica. – 8. Violazione del diritto internazionale e inizio di una guerra di
aggressione legittimante misure difensive. – 9. La prassi e l’attualità. – 10. Invio di
armi e rispetto dell’art. 11 della Costituzione.

1. L’ “operazione militare speciale” della Federazione Russa contro la Ucrai-


na si è manifestata nei fatti come l’inizio di una vera guerra di aggressione.
In questo caso il termine guerra risulta pertinente in quanto è apparso chiaro
fino dalle battute iniziali il proposito russo di conseguire la debellatio del Paese in-
vaso. In questa drammatica congiuntura la posizione italiana è difficile da mettere a
fuoco. Si dà per scontato che il conflitto riguardi aggressore e aggredito e nei Paesi
membri della alleanza atlantica si ragiona come se lo scontro li riguardasse soltanto
indirettamente.
Quanto all’Italia si ragiona come se non fossimo entrati in un’area di rischio
nel momento in cui abbiamo deciso le sanzioni economiche, l’invio di armamenti e
l’isolazionismo della Federazione Russa. Lo scontro militare è, sì, circoscritto al ter-
ritorio ucraino, ma il conflitto è sfaccettato e plurimo e non siamo in grado di preve-
dere con sicurezza se sarà evitato un coinvolgimento armato diretto. Il rifiuto corale
da parte dei paesi nato della comprensibile richiesta della no fly zone pretesa dalla
Ucraina va nella direzione di evitare di entrare in una partecipazione armata diretta.
Opportunamente il seminario dell’aic si è articolato su una serie di contri-
buti che analizzano l’attuale conflitto in relazione alla nostra Costituzione tenendo
in conto sia un raffronto comparativo che una verifica dell’attuale stato del diritto
internazionale dei conflitti.

*
  Relazione conclusiva al Seminario di studi dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti su
Democrazia e Costituzioni alla prova della guerra del 16 marzo 2022, in cui sono state discusse le
relazioni di Massimo Iovane, La crisi ucraina nel diritto internazionale; Arianna Vedaschi, Guerra e
Costituzioni: spunti dalla comparazione; Marco Benvenuti, Le conseguenze costituzionali della guerra
russo-ucraina.
**
  Professore Emerito di Diritto Costituzionale nella Università degli Studi di Bologna.

31
2. Come si pone la Costituzione italiana di fronte agli eventi recenti?
È inevitabile tentare la sintesi degli argomenti di diritto internazionale e co-
stituzionale presentati dai relatori col richiamo al regime del rapporto pace/guerra
previsto dal lessico e dalla prassi costituzionale.
Iniziamo dal richiamo delle clausole costituzionali che interessano la guerra.
Queste recepiscono il diritto internazionale e in particolare l’art. 2, para.4, della Car-
ta delle nu, considerato unanimemente come riproduttivo del diritto consuetudinario
in materia, che considera illeciti la minaccia e l’uso della forza armata “contro l’in-
tegrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra
maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”. Parallelamente rileva l’art. 51
della Carta che garantisce la difesa individuale e collettiva come diritto naturale di
ogni Stato a resistere a una aggressione.
Si manifesta quindi la coincidenza fra fonte internazionale e fonte costitu-
zionale quanto alla recezione dei principi garantisti in tema di diritti propri della
concezione liberale della democrazia.
In questa relazione prenderemo in esame il significato del ripudio della guer-
ra di cui all’articolo 11 cost. e la sua evoluzione nelle prassi seguite nel corso degli
anni. Il testo delle disposizioni della Costituzione sulla guerra pone all’interprete
qualche serio problema in quanto fa risaltare come il concetto di guerra ivi richiama-
to risulti insufficiente dal punto di vista concettuale mentre le previsioni procedurali
relative alla delibera e dichiarazione dello stato di guerra appaiono del tutto anacro-
nistiche.
Anche oggi, comunque, rimane fermo il rifiuto categorico della violenza
armata contro altri Stati sia a fini aggressivi che per la soluzione di controversie in-
ternazionali, fatta eccezione per i casi di difesa legittima e di esecuzione di deliberati
degli organi delle Nazioni Unite.
Negli anni trascorsi è risultato insufficiente il concetto di guerra intesa come
conflitto interstatale finalizzato alla debellatio di un altro Stato, concetto in genere
sostituito nella realtà da una diversificata gamma di conflitti armati. E ciò in quanto
è cambiato radicalmente nella prassi e nel diritto internazionale il modo di concepire
la conflittualità interstatale: il conflitto armato anche nella sua qualificazione estrema
offerta dalla guerra è sicuramente concetto dinamico, non statico. E di conseguenza
l’evoluzione di tale concetto non può essere estranea all’ordine giuridico, e non sol-
tanto politico, italiano. La guerra rimane quindi l’ipotesi estrema di conflitto armato.
Una ipotesi che appariva remota ma che improvvisamente si è materializzata come
reale in tutta la sua drammatica dimensione.
Il noto articolo 11 rifiuta con fermezza la partecipazione dell’Italia a guerre
di aggressione e quella finalizzata alla soluzione di controversie ma, come ricordere-
mo, non ha impedito diverse forme di intervento armato all’estero.
L’articolo 78 contempla modalità procedurali dirette a deliberare e dichia-
rare la volontà dello Stato intesa a introdurre lo stato di guerra internazionale, ma
si tratta di clausola del tutto priva di attualità rimanendo tuttavia valido il principio

32
della necessaria compresenza degli organi di indirizzo (Parlamento e Governo) e di
garanzia (Capo dello Stato) nella assunzione delle decisioni riguardanti la sicurezza
internazionale dello Stato ivi compreso il ricorso all’impiego della forza armata.
La Costituzione dà copertura soltanto indiretta al modo oggi più utilizzato di
impiego della forza armata fuori del territorio nazionale tramite missioni militari. La-
cuna di evidente gravità colmata da prassi parlamentari e governative. Nessun pro-
blema si presenta quanto al rispetto del principio del ripudio ove le missioni di peace
keeping non comportino attività di natura bellica. Diverso il caso del peace enforcing
quando le misure costrittive sfumano in attività implicanti il ricorso alla forza.
Nel complesso quella parte del testo costituzionale che costituisce la co-
stituzione della difesa denota pesantemente i segni del tempo. La sua utilizzazione
odierna impone quindi inevitabilmente una costante lettura evolutiva che tenga con-
to in particolare della influenza e condizionamento imposti dallo scorrere del tempo
che ha reso sempre più rilevante il ruolo dei trattati internazionali relativi alla sicu-
rezza che istituiscono apposite organizzazioni abilitate ad assumere determinazioni
impegnative per l’Italia tramite i loro organi di governo. A parte i vincoli derivanti
dalla partecipazione a organizzazioni quali la nato vale la pena menzionare almeno
quanto previsto dagli articoli 42-45 del Trattato sull’Unione europea (tue) con ri-
ferimento alle missioni che possono essere deliberate in base a tali previsioni dagli
organi comunitari e che quindi possono coinvolgere l’Italia.

3. L’articolo 11, come ben noto, contiene due disposizioni. Nella prima tro-
viamo il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e
come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Nella seconda il con-
senso in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità neces-
sarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. A tal fine
l’Italia promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Di solito l’attenzione viene posta sulla prima parte della disposizione.
È la forte sottolineatura della volontà di rigettare la guerra che ha colpito
la attenzione dei commentatori. La prima parte dell’articolo 11 statuisce in termini
perentori il ripudio della guerra. Si tratta di determinazione non così originale come
a volte si afferma, in quanto comune alle Costituzioni degli Stati debellati al termine
del secondo conflitto mondiale, come indicano l’art. 9 della costituzione giapponese
del 1946 e l’art. 26 del Grundgesetz tedesco del 1949, precetti che appaiono ben più
categorici e incisivi nell’imporre il divieto alle politiche bellicistiche e che con varie
formule sono reiterati nella generalità dei testi costituzionali, anche recenti, recepen-
do i principi codificati nella Carta delle Nazioni Unite.
Sulla base di questa statuizione da diverse parti si è sostenuto che non solo la
partecipazione a guerre che non siano strettamente difensive ma anche la partecipa-
zione a conflitti di minore intensità che guerre non sono, in specie in occasione della
spedizione all’estero di corpi armati in virtù del rispetto di obblighi internazionali, si
potrebbero porre in contrasto con il ripudio dell’articolo 11.

33
In realtà in tema di sicurezza nei rapporti internazionali i costituenti avevano
assunto una duplice determinazione di indirizzo a valere per i futuri orientamenti
degli organi costituzionali: divieto della guerra, salvo quella di legittima difesa, ma
ad un tempo inserimento dell’Italia nel quadro di organizzazioni internazionali di
sicurezza collettiva.
Che quest’ultimo indirizzo, una volta attuato, potesse comportare il vincolo
del rispetto di clausole degli accordi di sicurezza collettiva implicanti il ricorso alla
forza armata ed eventualmente all’impiego della violenza bellica sfuggiva inizial-
mente all’attenzione generale ma sarebbe diventato in seguito di tutta evidenza.
In pratica quindi, erano almeno due le ipotesi in cui in linea di principio po-
teva individuarsi una deroga al tassativo principio del ripudio: l’ipotesi della difesa
da aggressioni esterne e l’adeguamento a decisioni degli organi delle Nazioni Unite
che implicassero il ricorso all’uso della forza o addirittura la partecipazione a con-
flitti armati in osservanza dei principi della Carta onu.
I costituenti non soltanto avevano presente il proposito di evitare che per
il futuro l’Italia si avventurasse in una guerra ma altresì intendevano fermamente
consentire all’Italia l’inserimento nel circuito delle Nazioni Unite e, comunque, in
quei gangli organizzativi responsabili della sicurezza collettiva che si sarebbero poi
variamente articolati nel corso del tempo nel quadro delle stesse Nazioni Unite (Al-
leanza atlantica e sua organizzazione, ueo, osce e più recentemente la pesd e la pesc
in seno alla Unione Europea).
Va quindi data una lettura bilanciata della prima e della seconda parte dell’ar-
ticolo 11: entrambe le previsioni hanno il rango di principio fondamentale, sia il
ripudio della guerra che il principio di partecipazione alle organizzazioni internazio-
nali di sicurezza includente possibili limiti alla sovranità dello stato. Che anche la se-
conda parte dell’articolo 11 racchiuda un principio fondamentale viene confermato
dal fatto che la legge 5 giugno 2003, n. 131, di attuazione della legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3, di revisione del titolo V della parte II della Costituzione, nello
specificare i vincoli gravanti sulla potestà legislativa statale e regionale ha ritenuto
necessario assegnare una considerazione puntuale agli accordi di reciproca limita-
zione di sovranità di cui all’articolo 11 della Costituzione rispetto alla generalità dei
trattati internazionali impegnanti la Repubblica (art 1, comma 1).
La volontà di non isolamento nell’ambito di quella organizzazione interna-
zionale che andava ricostituendosi dopo il secondo conflitto mondiale spiega persua-
sivamente perché i costituenti rifiutarono in modo esplicito di affermare in Costitu-
zione il principio di neutralità.
Se la volontà di ripudio della guerra avesse dovuto ottenere veramente una
portata assoluta, logica avrebbe voluto che non ci si fermasse a statuire un semplice
ripudio, concetto ideologicamente forte ma giuridicamente del tutto vago e inde-
terminato, bensì si inserisse in Costituzione il concetto di neutralità permanente,
concetto tradizionalmente impiegato per descrivere la sottrazione definitiva di uno
stato alla guerra nel caso in cui ne venisse assunta in sede costituzionale la decisione.

34
La neutralità permanente è concetto ben più rigoroso e garantista di un as-
serito ripudio poiché la prima è definibile giuridicamente ed è sicuramente rilevante
per il diritto costituzionale ed internazionale. La neutralità in via di principio avreb-
be soddisfatto l’obiettivo del non coinvolgimento della Repubblica in guerre e di
promozione della pace perseguito dai costituenti e avrebbe consentito di evitare alla
dottrina costituzionalistica gli equilibrismi definitori sull’inusitato e fumoso concet-
to del “ripudio”.
Ciò non è avvenuto e non per caso, in quanto i costituenti erano determinati
a collocare l’Italia nell’ambito degli Stati protagonisti della politica internazionale e,
anche se in modo condizionato, accettavano il rischio di una partecipazione a situa-
zioni conflittuali in attuazione dei principi delle nu.
In realtà le valutazioni circa la ammissibilità degli interventi armati devono
rispettare una lettura bilanciata di tutte le clausole dell’articolo 11. Il che significa
che è del tutto lecito porsi il problema dell’eventuale contrasto con l’articolo 11,
prima parte, di decisioni di organismi internazionali o di Stati alleati accettate dall’I-
talia che risultassero non in linea con le esigenze di difesa e con le finalità previste
dalla Carta delle Nazioni Unite oltre che con i valori tutelati dalla Costituzione e in
particolare col principio del ripudio.
In questa prospettiva si è sottolineato che l’osservanza di vincoli giuridici
derivanti dall’attuazione della seconda parte dell’articolo 11 avrebbe potuto com-
portare violazione della prima parte, l’unica contenente, secondo una certa lettura,
un principio fondamentale inderogabile. Ed è proprio facendo leva sulla inderogabi-
lità del principio del ripudio che si è sostenuta la violazione dell’articolo 11 nei più
significativi casi di interventi armati all’estero quali quelli per la Guerra del Golfo,
l’attacco alla Serbia, l’intervento in Afghanistan e infine in Libia.
Anche se isolatamente si è poi sostenuta la rilevanza preferenziale della secon-
da parte dell’articolo mettendo l’accento sull’obbligo di dare attuazione agli accordi
internazionali in tema di sicurezza, spostando quindi il baricentro delle scelte decisio-
nali dagli organi costituzionali a quelli delle organizzazioni di sicurezza collettiva.

4. L’articolo 11 viene solitamente richiamato per sottolineare soltanto alcuni


dei più evidenti profili della conflittualità armata che la Costituzione rifiuta. Questa
non è tuttavia in principio vietata qualora si inserisca nel dovere di difesa inteso ad
assicurare la sicurezza della comunità e delle istituzioni statali.
Sicurezza significa protezione dalla invasività proveniente da azioni esterne,
di terzi stati, di realtà internazionali aggressive, di organizzazioni terroristiche. Sotto
questo aspetto la sicurezza assicura la protezione da aggressioni anche (o a volte pre-
valentemente) armate e richiede apparati di protezione tramite attività di intelligence
e militari.
La Corte Costituzionale ha ben posto in risalto non la sola liceità ma la do-
verosità della difesa. Entriamo qui nel capitolo dei conflitti armati e della capacità di
difesa che può assumere il profilo di un vero e proprio conflitto armato. Perno del ra-

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gionamento della Corte diviene l’articolo 52 (sentenza n. 110 del 1998; in prospettiva
analoga, cfr. sentenze n. 24 del 2014, n. 106 del 2009, n. 86 del 1977 e n. 82 del 1976).
Secondo la Corte rispetto al valore sicurezza altri valori – pure di rango co-
stituzionale primario – quali l’esercizio della funzione giurisdizionale sono “fisiolo-
gicamente” destinati a rimanere recessivi. La Corte nella sentenza n. 86 del 1977 ha
poi precisato che la sicurezza trova espressione, nel nostro testo costituzionale, nella
formula solenne dell’art. 52, che afferma essere sacro dovere del cittadino la difesa
della Patria. Richiamando e sviluppando tale concetto, che trova fondamento nella
individuazione di un interesse costituzionale superiore, occorre fare riferimento pro-
prio al concetto di difesa della Patria ed a quello di sicurezza nazionale. La Corte
poi trova conforto alla sua decisione ……nell’art. 87 Cost. che prevede un organo ad
hoc denominato Consiglio Supremo di Difesa e che certamente, anche nel silenzio
della norma, ha compiti attinenti in maniera rigorosa ai problemi concernenti la di-
fesa militare e, pertanto, la sicurezza dello Stato. E proprio a questo concetto che oc-
corre fare riferimento, ponendo il concetto stesso in relazione con altre norme della
stessa Costituzione che fissano elementi e momenti imprescindibili del nostro Stato.
Ecco quindi la inevitabile relazione fra articolo 52 e articolo 11, dovendosi
bilanciare il divieto tassativo della guerra di aggressione con la doverosità e liceità
di quella difensiva.

5. La Costituzione non offre una definizione di guerra internazionale anche


se alcune sue clausole ne trattano lasciando intendere che sarà il diritto internazio-
nale a definirne le caratteristiche. E questo in quanto i costituenti hanno fatto ricorso
alla tecnica delle clausole in bianco, recependo l’istituto così come prospettantesi
nel diritto internazionale.
Pertanto il concetto di guerra progressivamente evolutosi nei rapporti inter-
nazionali condiziona la lettura delle relative clausole costituzionali e al mutare della
definizione della guerra secondo il diritto internazionale muta contemporaneamente
il concetto di guerra rilevante per il diritto statale. Il concetto costituzionale di guerra
non si cristallizza quindi necessariamente al momento iniziale delle determinazioni
dei costituenti ma subisce adeguamenti seguendo l’evolversi dei rapporti politici e
giuridici dei soggetti operanti nella comunità internazionale.
Al pari di altre Costituzioni, anche quella italiana nel suo operare ha dovuto
prendere atto del regime giuridico dei conflitti diversi dalla guerra tradizionale come
affermatosi nella comunità internazionale. La Costituzione quindi non è rimasta fer-
ma agli anni iniziali del funzionamento della macchina delle Nazioni Unite e alla
riduzione della guerra alla sola guerra strettamente difensiva quale era richiesto dalla
logica della tutela da paventate aggressioni da parte degli stati del blocco comunista.
In particolare, nei decenni trascorsi sono apparsi all’orizzonte nuovi profili
della conflittualità internazionale che hanno posto il problema della loro accettabilità
nel rispetto della stessa Costituzione.
Di fatto per il diritto l’istituto “classico” della guerra risulta immutato nella

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sua essenza mentre appaiono in larga parte mutate le circostanze oggettive in cui si
colloca e le sue motivazioni. Se quindi prendiamo per utile la tradizionale definizio-
ne della guerra come procedimento interstatuale caratterizzato dalla applicazione
della violenza al fine di consentire al vincitore in caso di debellatio l’imposizione
della sua volontà che può consistere, tra l’altro, nell’imposizione del cambio di regi-
me dello Stato sconfitto, possiamo verificarne ancora oggi l’attualità come dimostra
con evidenza il caso della presente guerra di annichilimento della Ucraina.
L’impiego del termine conflitto armato al posto di quello di guerra non ha
certo eliminato l’esistenza possibile del fenomeno.
La rimozione del regime politico unitamente alla imposizione del disegno
sostitutivo voluto dal vincitore sono stati la conclusione dei più recenti fatti bellici
cui l’Italia ha partecipato nel caso di Serbia, Iraq e Libia. Nel caso odierno l’obiet-
tivo russo della eliminazione di un regime politico statuale ucraino si aggiunge alla
distruzione della popolazione e dell’economia del Paese aggredito.
Se è vero che il concetto di guerra che avevano presente i costituenti a metà
degli anni quaranta del secolo trascorso era quello tradizionale ora accennato, con-
sistente nello scontro armato fra Stati diretto a debellare il nemico, è anche di tutta
evidenza che il testo formale della Costituzione ignorava l’importante sviluppo che
si è manifestato nel tempo nella qualificazione e classificazione giuridica internazio-
nale dell’impiego della forza armata.
È ben noto infatti che prassi, trattati e giurisprudenza dei tribunali interna-
zionali hanno progressivamente ristretto il concetto di guerra classico considerando-
lo il profilo estremo della conflittualità internazionale. Il concetto più elastico che ha
preso il sopravvento è da tempo quello di conflitto armato internazionale, conflitto
che può presentare diversa intensità e di cui la guerra finisce per essere ipotesi estre-
ma e solitamente residuale.
La pratica ha consentito di individuare diverse ipotesi riferibili a situazioni
richiedenti intervento armato (mootw: Military Operations Other Than War): opera-
zioni di peace keeping, peace building, peace enforcing, soluzione di crisi, interventi
umanitari, interventi di stabilizzazione, con una ricca varietà di ipotesi e qualifica-
zioni a seconda dell’ordinamento cui ci si riferisca e in cui sono comunque indivi-
duabili le ipotesi di conflitto armato, diverse dalla guerra tradizionale.
Tali situazioni riportabili all’ambito dei conflitti armati sono state ricordate
dalla Corte di Cassazione nel caso Callipari. (Cass. Pen., sez. 1, sentenza 19 giugno
2008 – 24 luglio 2008, n. 31171). Esse riguardano in particolare quelle situazioni di
conflitto definite operazioni di guerra “a bassa intensità” comportanti regole più re-
strittive di una guerra vera e propria ma pur sempre implicanti un significativo impe-
gno della forza armata. Particolarmente complesso è l’intreccio fra conflittualità che
vede protagonisti gli stati territoriali e conflittualità che coinvolge organizzazioni
armate presenti all’interno di uno stato con possibilità di distinguere guerre intersta-
tali da guerre intrastatali ed extrastatali.
La legge 27 febbraio 2002, n. 15, ha dato del conflitto armato una defini-

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zione che non si allontana in modo significativo da quella di guerra internazionale.
Infatti ai sensi del suo articolo 2, che ha modificato l’articolo 165 del codice penale
militare di guerra, Ai fini della legge penale militare di guerra, per conflitto armato
si intende il conflitto in cui una almeno delle parti fa uso militarmente organizzato e
prolungato delle armi nei confronti di un’altra per lo svolgimento di azioni belliche.
Quindi si può prospettare che è conflitto armato un conflitto che fa ricorso alle mo-
dalità belliche ma che non implica necessariamente il ricorso a una volontà annien-
tatrice che conduca alla debellatio.
Dire che la guerra, quale espressione estrema della categoria dei conflitti
armati, appaia residuale non significa però minimizzarne la portata e l’attualità. I
casi verificatisi in cui l’Italia è stata coinvolta in guerre e in cui si è posto il problema
della compatibilità col rispetto dell’articolo 11 sono di tutto rilievo. La partecipazio-
ne alla guerra del Golfo (1990), a quella in Afghanistan (2001) e l’attacco alla Libia
(2011) sono riconducibili a una azione di sicurezza collettiva nel quadro dei vincoli
internazionali avendo ricevuto l’avallo di determinazioni degli organi delle Nazioni
Unite. Quella del Kosovo (1999) veniva giustificata con la difesa di valori superiori
quali i diritti umani. Essa veniva determinata dagli organi di una organizzazione
regionale, quale la nato, e non dalle Nazioni Unite. L’Italia non partecipava alla
guerra contro l’Iraq (2003) iniziata da una coalizione guidata dagli Stati Uniti, che
veniva unilateralmente qualificata come guerra di difesa preventiva in cui il pericolo
incombente avrebbe potuto essere eliminato soltanto applicando la violenza bellica.
In assenza di una previsione esplicita in Costituzione che si occupi del con-
flitto armato si potrebbe ritenere che il ripudio dell’articolo 11 tocchi solo la guerra
in senso stretto e non precluda la partecipazione agli altri conflitti armati. Ma è evi-
dente che una simile affrettata conclusione rischierebbe di presentare ipotesi valu-
tative della partecipazione ai conflitti che andrebbero contro la volontà ultima dei
costituenti che vietando la guerra in realtà intendevano vietare il ricorso a qualsiasi
uso della violenza interstatuale tramite la forza armata se non per difesa legittima e
per le finalità consentite dalle disposizioni onu.
Pertanto resta fermo il divieto di uso della forza armata a fini aggressivi e per
risolvere controversie mentre la gamma dei possibili conflitti coinvolgenti l’Italia deve
rientrare in ipotesi che consentano il rispetto dei vincoli dell’ordinamento delle nu.
Piuttosto è il caso di sottolineare come l’indiscusso riconoscimento anche
nel nostro ordinamento dell’istituto del conflitto armato, nonostante che tale concet-
to sia estraneo al lessico costituzionale, è ulteriore comprova del fatto che l’ordina-
mento recepisce e utilizza le categorie relative ai conflitti, e in particolare alla loro
forma estrema della guerra, quali si manifestano nell’ordinamento internazionale.
Questa linea interpretativa è accolta nell’ordinamento italiano e confermata
dalla giurisprudenza. La Suprema Corte di Cassazione ha affermato che i conflit-
ti armati sono qualificati come tali dal diritto internazionale anche se riguardanti
guerre civili interne (Cass. Pen., sez. 1, sentenza 11 ottobre 2006 – 17 gennaio 2007,
n. 1072, sub 2).

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6. Il regime della conflittualità che interessa l’ordinamento italiano non solo
è complicato dalla rilevata assenza di termini normativi espliciti di cosa debba in-
tendersi per guerra internazionale cui viene avvicinato per la legge penale il conflitto
armato ma anche a causa della introduzione in modo del tutto impreciso del concetto
di grave crisi internazionale.
A livello di normativa subcostituzionale la legge 14 novembre 2000, n. 331,
articolo 2, ha equiparato una grave crisi internazionale nella quale l’Italia sia coin-
volta direttamente o in ragione della sua appartenenza a una organizzazione inter-
nazionale, implicante il ricorso all’impiego delle forze armate, allo stato di guerra
deliberato ai sensi dell’articolo 78 della Costituzione.
Successivamente il Codice dell’ordinamento militare ha in molte sue dispo-
sizioni ribadito l’avvicinamento dello stato di guerra (ipoteticamente dichiarabile ai
sensi di Costituzione) alla grave crisi internazionale (di cui tuttavia non si precisa
espressamente come debba essere intesa e come debba essere dichiarata o accertata)
(cfr. d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, artt. 370, 621, 1017, 1326, 1929, 1942, 2057, 2097).
Queste disposizioni pongono in evidenza come il rispetto per il valore costitu-
zionale della pace e le ragioni di opportunità che sconsigliano di menzionare espressa-
mente il termine guerra non possono eliminare la eventualità o la realtà della guerra.
I concetti di grave crisi e di conflitto armato si sono rivelati limitrofi o a volte di fatto
coincidenti con quello di guerra. Inevitabilmente i richiamati interventi legislativi si
riconducono alle precedenti previsioni costituzionali e in particolare sono raccordabili
agli articoli 11, 52, 78 e 87, comma 9 e 117 comma 1 della Costituzione.

7. Come anticipato, la Costituzione in modo diretto o indiretto si occupa del-


le competenze degli organi costituzionali che siano chiamati ad assumere decisioni
in tema guerra o di situazioni conflittuali limitrofe quali le gravi crisi o i svariati tipi
di conflitto implicante il ricorso alla forza armata.
Fermo restando che l’art. 117 nella sua versione riformata nel 2001 sottoli-
nea che le questioni interessanti la sicurezza e la difesa riguardano una competenza
esclusiva statale, l’articolo 78 prevede che l’eventuale conflitto internazionale venga
considerato e deciso tramite una convergenza fra Governo e Parlamento con un ruolo
dichiarativo del Presidente della Repubblica.
Sappiamo che nel corso del tempo questa clausola non è mai stata utilizzata
in concreto in modo tale da potersi intravedere il sopravvenire di una desuetudine,
ma il coinvolgimento dei tre organi costituzionali è stato sempre effettuato con rife-
rimento a decisioni comportanti il ricorso all’impiego potenziale o reale della forza
armata in assenza della esigenza di introduzione formale dello stato di guerra.
A livello di deliberazioni parlamentari (risoluzioni e atti legislativi) viene
confermato il ricorso ai tre organi con una importante sottolineatura del ruolo del
Capo dello Stato.
L’occasione per individuare in concreto quale possa essere il rapporto fra
organi costituzionali in caso di conflitto – e quindi anche nel caso attuale della guer-

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ra in Ucraina – è offerta dalle dettagliate normative introdotte per affrontare il caso
delle missioni militari fuori confine. Tali missioni possono coinvolgere il ricorso
alla forza armata. L’attuale legislazione, in un quadro costituzionale formalmente
invariato, prescinde dall’articolo 78 e dall’articolo 87, comma 9, ma rispetta un prin-
cipio guida, previsto dagli stessi articoli, che richiede la compresenza di Governo,
Parlamento e Presidente della Repubblica nel decidere l’utilizzo della forza armata.
Significativo per comprendere l’assetto degli organi costituzionali in tema di
decisioni relative all’impiego della forza armata, è l’art. 1, lettera a), della legge 18
febbraio 1997, n. 25 (oggi art. 10, comma 1, lettera a) del d.lgs 66/2010, c.d. Codice
dell’ordinamento militare) che ha disciplinato il vertice politico-militare e in tale
occasione ha previsto che il Ministro della Difesa attua le deliberazioni in materia di
difesa e sicurezza adottate dal Governo, sottoposte al Consiglio Supremo di Difesa
e approvate dal Parlamento.
In base a tale previsione, pur non risultando chiariti né il momento dell’in-
tervento del Consiglio Supremo nel corso del procedimento, né la natura dei poteri
esercitati in seguito alla “sottoposizione” al suo esame, il ruolo dell’organo non appare
di mera forma, in quanto il Consiglio Supremo risulta inserito nel processo di forma-
zione delle decisioni di indirizzo concernenti anche la eventuale gestione di crisi in-
ternazionali. Vi è dunque nella legge una fase procedimentale intermedia fra decisione
governativa e approvazione parlamentare affidata all’esame del Consiglio Supremo.
Dovrebbero essere le situazioni considerate politicamente di maggior risalto
da parte degli organi che possono condizionarne l’ordine del giorno (Presidente della
Repubblica e Presidente del Consiglio dei ministri) a indurre a decidere di volta in
volta cosa esaminare.
Un chiarimento sul procedimento si desume dalla nota risoluzione parla-
mentare attuativa dell’articolo 1 della legge 25/1997 (n. 7-011007 della Commissio-
ne difesa della Camera dei Deputati del 16 gennaio 2001: c.d. Risoluzione Ruffino)
da cui risultano quelle che dovrebbero essere le questioni da porsi all’ordine del
giorno del Consiglio Supremo. Esse sono le deliberazioni di carattere generale in
materia di sicurezza e difesa, comprese quelle relative ai criteri generali di impiego
delle forze armate (paragrafo 1). Inoltre, anche se la formulazione del testo del-
la risoluzione non brilla per coerenza e non si parli espressamente del Consiglio,
dovrebbero andare all’esame dello stesso tutte le deliberazioni relative in concreto
all’impiego delle forze armate all’estero.
La più recente legge 145/2016 prevede all’articolo 3 che la sottoposizione
al Consiglio dovrà farsi Qualora se ne ravvisi la necessità. La normativa precedente
prevedeva invece un vincolo di presentazione al Consiglio. A parte questa incon-
gruenza resta assodato che nei casi di maggior rilevanza politica il Consiglio è stato
sempre coinvolto con una sottolineatura della importanza della partecipazione pre-
sidenziale. Al Consiglio sono andate non solo questioni interessanti in senso proprio
missioni ma anche decisioni riguardati attività bellica. I casi dell’attacco alla Serbia
nel 1999 e alla Libia nel 2011 non riguardavano missioni oltre confine ma interventi

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bellici, tra l’altro operati senza invio di unità militari sul territorio di un terzo stato
ma facendo ricorso all’impiego della forza aerea.

8. L’operazione militare speciale iniziata il 24 febbraio ha comportato la


violazione del diritto internazionale consuetudinario in tema di uso della forza e le-
gittima difesa .ma anche di puntuali vincoli pattizi gravanti sulla Federazione russa.
È evidente la violazione dell’art. 2 che vieta il ricorso alla forza e rileva con
evidenza la legittimità di una difesa, anche armata, giustificata dall’art. 51 della Car-
ta onu che assicura “il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso
che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite”.
L’aggressione ha provocato reazioni a diversi livelli. Possiamo distinguere
tra reazioni scaturenti dal ricorso a competenze di organismi politici e reazioni im-
putabili a competenze di organismi giurisdizionali.
Per quanto riguarda gli organismi politici, nella impossibilità di far ricorso
utile al ruolo del Consiglio di Sicurezza, paralizzato dal diritto di veto russo, si è
fatto ricorso alla Assemblea Generale che pur essendo priva di poteri coercitivi ha
formulato un significativo voto di censura nei confronti dell’aggressore.
L’Assemblea nella risoluzione del 2 marzo ha indicato con chiarezza chi ha
violato la pace e la sicurezza internazionale (141 Stati a favore della risoluzione, 5
contrari, 35 astenuti).
Con riguardo alle misure di isolamento messe in pratica dalle organizzazioni
internazionali si segnala la reazione manifestata dal Consiglio d’Europa. Il 25 feb-
braio, il Comitato dei Ministri ha sospeso la Russia dai propri diritti come membro di
tale Comitato e dell’Assemblea parlamentare. Prevenendo una espulsione il 10 mar-
zo la Russia ha annunciato unilateralmente di voler recedere dal Consiglio d’Europa
ai sensi dell’art.7 dello Statuto.
Per quanto riguarda il profilo giurisdizionale si sono rivelate utilizzabili al-
cuni distinti percorsi.
Innanzi tutto l’Ucraina ha iniziato un procedimento di fronte alla Corte in-
ternazionale di Giustizia il 27 febbraio 2022. L’application si fondava sulla clausola
compromissoria prevista nell’art. ix della Convenzione di New York del 9 dicembre
1948 sulla “Prevenzione e la repressione del crimine di genocidio”. La denuncia era
accompagnata da una istanza per misure interinali ai sensi dell’art.41 dello Statuto
della Corte. Ed è su questa richiesta che Il 16 marzo 2022 la cig ha accolto (tredici voti
a favore due contrari) l’istanza dell’Ucraina volta all’adozione di misure provvisorie
sulla base della Convenzione. La Corte ha ordinato alla Russia di «immediately su-
spend the military operation that it commenced on 24 February 2022 in the territory of
Ukraine» e di «ensure that any military or irregular armed units which may be directed
or supported by it, as well as any organization and person which may be subject to its
control or direction, take no steps in furtherance of the military operation».
È stata poi accolta l’istanza in via cautelare che il governo ucraino aveva
avanzato alla Corte europea dei diritti dell’uomo ai sensi dell’art. 39 del Regolamen-

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to. La Corte col provvedimento cautelare del 10 marzo in materia di libertà di infor-
mazione ha ritenuto che le operazioni militari in corso, iniziate il 24 febbraio 2022 in
varie parti dell’Ucraina, rappresentassero un rischio per la popolazione civile ed ha
pertanto ritenuto presenti i presupposti di pericolo imminente e di danno irreparabile
necessari per l’emissione di misure provvisorie ed urgenti.
Interessante è la prospettiva che si delinea a proposito del ruolo che la Corte
penale internazionale. Ricorrono, infatti, i requisiti affinché la Corte possa pronun-
ciarsi quanto meno in relazione al crimine di genocidio, crimini di guerra e crimini
contro l’umanità.
Non sussisterebbe invece la giurisdizione della Corte in relazione al crimine
di aggressione commesso da cittadini russi. In proposito si ricorda che la Corte può
essere attivata sia da uno Stato parte, che dal Consiglio di Sicurezza, che dal suo
Procuratore. A tutt’oggi 41 Stati parti dello Statuto hanno collettivamente deferito la
situazione in Ucraina alla giurisdizione della Corte ex articolo, 13 lettera a), mentre
di propria iniziativa conformemente al dettato dell’art. 15 (3) dello Statuto, la Procu-
ra ha iniziato il procedimento ottenendo l’autorizzazione ad aprire l’investigazione
in data 2 marzo 2022. Oltre alla violazione dell’art. 2 della Carta delle Nazioni Unite
l’intervento aggressivo ha violato l’impegno pattizio assunto dalla Russia nel mo-
mento dello smantellamento dell’armamento nucleare presente sul territorio ucraino.
Il Memorandum di Budapest del 1994, nel regolare lo smaltimento delle
testate nucleari trasferite dalla Ucraina in Russia impegnava la Russia a rispettare
l’indipendenza e la sovranità della Ucraina entro i suoi confini di allora; ad astenersi
dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’Ucraina; ad astenersi dall’utilizzare la
pressione economica sull’Ucraina per influenzarne la politica; ad astenersi dall’usare
armi nucleari contro l’Ucraina e a “sollecitare un’azione immediata del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite per fornire assistenza” in caso di un “atto di aggres-
sione” contro il Paese.
Vi è stata quindi una clamorosa violazione di questo impegno. Ulteriori vio-
lazioni riguardano gli Accordi di Helsinki del 1972. Nell’Atto Finale sono compresi
obblighi giuridici inderogabili, richiamati in alcuni specifici titoli: “i. Eguaglianza
sovrana, rispetto dei diritti inerenti alla sovranità; ii. Non ricorso alla minaccia o
all’uso della forza; iii. Inviolabilità delle frontiere; iv. Integrità territoriale degli Stati;
v. Risoluzione pacifica delle controversie vi. Non intervento negli affari interni”.

9. Rivolgendoci ora al modo con cui le istituzioni italiane stanno affrontando


la crisi ucraina, si deve partire da un cenno alla prassi degli anni trascorsi che deno-
ta un riassestamento dell’equilibrio decisionale stabilitosi fra organi costituzionali.
Mentre una lettura delle previsioni introdotte a livello legislativo pare coerente con
le caratteristiche della forma di governo parlamentare la prassi va in diversa dire-
zione. Il ruolo del Parlamento come centro dell’indirizzo e controllo relativamente
alle scelte politiche dirette all’impiego dello strumento militare appare appannato.
Il che avviene anche in ordinamenti diversi da quello italiano. Nonostante il recente

42
recupero del ruolo di indirizzo di alcuni parlamenti la sostanziale marginalizzazione
dei legislativi risulta messa in evidenza dal marcato attivismo degli esecutivi nel
frangente dell’emergenza bellica. Il Governo si conferma il centro preferenziale di
decisione in quanto collegato agli organismi di sicurezza internazionali in cui si di-
battono e decidono le grandi opzioni che devono essere eseguite a livello interno.
Il che richiede spesso immediatezza di attuazione non agevolmente conseguibile in
sede parlamentare. A sua volta il Governo risente degli effetti della assunzione di
un ruolo marcatamente decisionale del Presidente della Repubblica. E in proposito
il Consiglio Supremo si è rivelato la sede più efficace ed utile per affrontare rapi-
damente l’emergenza. Diviene quindi, anche se soltanto nel momento contingente
dell’emergenza, una sorta di gabinetto di crisi in cui convergono Presidente del Con-
siglio, ministri e vertici militari.
Resta comprovato che esistono situazioni critiche in cui il Consiglio può fun-
gere da sede di codeterminazione fra Governo e Presidente nella adozione di scelte
riguardanti i profili internazionali della sicurezza. Sono quindi riscontrabili occasioni
di partecipazione effettiva del Presidente della Repubblica al momento decisionale in
materia di difesa e missioni all’estero come indica l’esperienza pregressa.
Quanto avvenuto nei rapporti fra organi costituzionali dimostra in modo evi-
dente la alterazione di una ideale osservanza dei criteri scaturenti dallo schema co-
stituzionale. Funzione del Consiglio Supremo di Difesa è assicurare la garanzia dei
valori costituzionali in materia di difesa mentre le deliberazioni in materia verreb-
bero prima adottate dal Governo e soltanto dopo sottoposte all’esame del Consiglio
Supremo, non viceversa. Se l’inversione si verifica l’effetto tangibile è che il Presi-
dente della Repubblica “in” Consiglio Supremo, organo di garanzia, mette di fronte
al fatto compiuto il Consiglio dei Ministri, organo di indirizzo politico.
Nel caso della crisi ucraina il Consiglio si è riunito il 24 febbraio e dal co-
municato rilasciato al termine emerge in modo difficilmente smentibile che in quella
sede si è definito l’indirizzo politico nazionale sulla crisi ucraina. La riunione del
Consiglio dei Ministri ha fatto soltanto seguito il giorno successivo dopo lo svolgi-
mento da parte del Presidente del Consiglio di un’informativa alle Camere. Il Consi-
glio dei Ministri ha approvato il decreto-legge intitolato “Disposizioni urgenti sulla
crisi in Ucraina”, poi emanato e pubblicato come decreto-legge n. 14 del 2022 sem-
pre il 25 febbraio 2022, e ha deliberato la “dichiarazione dello stato di emergenza
per intervento all’estero in conseguenza del grave contesto emergenziale in atto nel
territorio dell’Ucraina”.
Una seconda volta, il Consiglio dei Ministri si è riunito il 28 febbraio 2022,
per approvare un altro decreto-legge, intitolato “Ulteriori misure urgenti per la crisi
in Ucraina”, poi emanato e pubblicato come decreto-legge n. 16 del 2022 sempre il
28 febbraio 2022, e deliberare la “dichiarazione dello stato di emergenza in relazione
all’esigenza di assicurare soccorso ed assistenza alla popolazione ucraina sul territo-
rio nazionale in conseguenza della grave crisi internazionale in atto”.
Appare in proposito singolare che in una situazione sostanziale di stato di

43
guerra intercorrente fra due Stati esteri si evochi a livello nazionale uno stato di
emergenza ai sensi del codice della protezione civile.
Mentre con il primo decreto legge l’Italia si era limitata ad autorizzare “la
cessione, a titolo gratuito, di mezzi e materiali di equipaggiamento militari non letali
di protezione alle autorità governative dell’Ucraina” (art. 2), con il secondo, si è sta-
bilita la diretta “cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari”.
Sia il decreto-legge n. 14 che il decreto-legge n. 16 sollevano dubbi non mar-
ginali. Il primo pretende di “derogare” alla legge n. 145 del 2016, ai fini dell’avvio e
della prosecuzione per il 2022 della partecipazione dell’Italia ad alcune missioni e,
inoltre, dispone la “cessione, a titolo gratuito, di mezzi e materiali di equipaggiamen-
to militari non letali di protezione alle autorità governative dell’Ucraina”.
Il secondo deroga alla legge n. 185 del 1990 e agli articoli 310 e 311 del de-
creto legislativo n. 66 del 2010 (il c.d. Codice dell’ordinamento militare) per il 2022
e, in particolare, dispone la “cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari
in favore delle autorità governative dell’Ucraina”. Ma in realtà nessuna deroga sa-
rebbe stata necessaria in quanto sia la partecipazione alle missioni che la cessione di
materiali di armamento già avrebbero potuto essere effettuate ai sensi e per gli effet-
ti, rispettivamente, della legge n. 145 del 2016 e della legge n. 185 del 1990 (nonché
degli articoli 310 e 311 del Codice dell’ordinamento militare).
Il secondo decreto legge prevede che la cessione di armamenti sia preceduta
da un atto di indirizzo parlamentare (art.1, comma 1) modificando quindi il prece-
dente provvedimento che non contemplava questa condizione, ma non si dimentichi
che il Codice dell’ordinamento militare prevede(va) per la cessione, in ogni caso,
il “previo parere vincolante delle competenti Commissioni parlamentari” (articolo
311, 2° comma).
Le risoluzioni di entrambe le camere del 1° marzo hanno comunque legitti-
mato il trasferimento. Ciò non ha del tutto eliminato le perplessità circa il ruolo ridot-
to dell’intervento parlamentare caratterizzato da una quasi totalitaria adesione alla
decisione governativa. Il che è giustificato dal clima di solidarietà e consenso per le
scelte dell’esecutivo prodottosi in tempi di governo di unità nazionale. Permangono
le notazioni critiche circa la carenza di procedure di controllo sulle scelte governati-
ve. In particolare, si è notato che la carenza di controllo delle Commissioni perma-
nenti di Camera e Senato non possa trovare un sostituto nell’intervento del copasir
che in una audizione del 2 marzo ha sfiorato l’argomento. Ciò in quanto la funzione
di tale Comitato include il verificare che “l’attività del Sistema di informazione per
la sicurezza si svolga nel rispetto della Costituzione” ma non contempla interventi in
materia di politica estera e di difesa.

10. Come già ricordato, l’interpretazione dell’art. 11 va correlata all’art. 51


della Carta delle Nazioni Unite, che lascia impregiudicato «il diritto naturale di au-
totutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro
un membro delle Nazioni

44
Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure neces-
sarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale». Inoltre, il ricorso all’in-
terpretazione conforme al diritto internazionale aiuta a comprendere cosa significhi
la guerra difensiva alla luce del fatto che il diritto internazionale consuetudinario ri-
conosce il diritto di legittima difesa individuale e collettiva consentendo l’intervento
armato di terzi Stati in aiuto dell’aggredito.
La Corte internazionale di giustizia, nel caso Nicaragua-Stati Uniti, ha af-
fermato che il principio del divieto dell’uso della forza, consacrato nell’art. 2, par. 4,
della Carta, va correlato all’art. 51 consentendo il diritto consuetudinario l’aiuto allo
stato soggetto a aggressione (icj, Reports, 1986, 100, par. 176).
Vi è quindi una norma consuetudinaria che legittima l’aiuto. E le consuetu-
dini internazionali hanno rango costituzionale, tramite l’art. 10, comma 1, della Co-
stituzione. Non si può quindi considerare il dettato dell’art. 11 separatamente dalla
lettura di queste consuetudini.
L’art. 11, in altri termini, non vieta l’utilizzo della forza per prestare assisten-
za a uno stato che stia reagendo a un attacco armato. Limitandoci quindi a valutare il
soccorso all’aggredito prestato tramite invio di armi questo appare conforme al dirit-
to internazionale e quindi non contrario all’art. 11. Va quindi sottolineato come il di-
ritto internazionale “agganci” quello costituzionale. Per quanto riguarda la questione
ucraina, come confermato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è in corso
una aggressione del tutto ingiustificabile dal punto di vista del diritto internazionale
cui l’Ucraina sta reagendo in legittima difesa.
La decisione governativa non contrasta con la legge 9 luglio 1990, n. 185, che
disciplina l’esportazione, l’importazione e il transito dei materiali di armamento. Essa
vieta esportazione e transito di armamenti in casi di «contrasto con la Costituzione,
con gli impegni internazionali dell’Italia e con i fondamentali interessi della sicurezza
dello Stato, della lotta contro il terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con
altri Paesi, nonché quando manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione
dei materiali» (art. 1, comma 5). Vieta poi esportazioni e transito «verso i Paesi in stato
di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni
Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le di-
verse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Ca-
mere» (art. 1, comma 6). Diversa è la situazione quando il conflitto derivi da una
aggressione subita e quindi risponda a esigenze di legittima difesa in linea con l’ar-
ticolo 51 della Carta. In questo caso l’esportazione appare legittima.
L’invio di armamenti a un esercito regolare che operi esclusivamente all’in-
terno del territorio del proprio Stato non è qualificabile come uso illegittimo della
forza contro l’altra parte belligerante e va considerato come un supporto all’esercizio
della legittima difesa individuale da parte dell’Ucraina.
Conclusivamente la linea politica seguita dall’Italia nell’affrontare l’emer-
genza ucraina appare rispettosa delle clausole dell’articolo 11 in collegamento alle
prescrizioni della Carta delle Nazioni Unite.

45
The italian Constitution and the war
(The Russian-Ukranian conflict)

Abstract: The article examines relevant provisions of the Italian Constitution (in
particular, article 11) regarding war and armed conflicts to assess whether the Ital-
ian involvement in the current Russian-Ukrainian armed conflict is constitutionally
admissible or not. After a thorough analysis of content and purpose of Italian con-
stitutional provisions and related implementing legislation on the use of force at
international level and Italian participation within the international organizations,
the article concludes that Italian involvement in the present conflict is in line with
the Italian Constitution.

Keywords: Constitution – War – Armed Conflict – Ukraine - Russia

46
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-4
pp. 47-83

L’«OPERAZIONE MILITARE SPECIALE» RUSSA IN UCRAINA


ALLA LUCE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE

Gian Luigi Cecchini*

Sommario: 1. Prolusione.- 2. Sintesi del quadro storico.- 3. La Costituzione


Russa del 2020.- 4. Sul concetto di guerra: cenni.- 4.1. Guerra e diritto interna-
zionale.- 4.2. Sul concetto di “guerra d’aggressione.- 5. Lecito e illecito nel diritto
internazionale.- 6. L’«operazione militare speciale» come misura di autotutela.- 6.1.
Natura giuridica dell’«operazione militare speciale» russa contro l’Ucraina.- 7.
Guerra e costituzione.- 8. Brevi riflessioni conclusive.

1. Da quando (24 febbraio 2022) è scattata l’ «operazione militare speciale»


russa, tg, Speciali dei tg, talk show, si sono tutti concentrati sulla vicenda chiamando a
commentarla militari, politici, esperti di strategia, analisti militari, qualche ex diploma-
tico funzionale alla linea del governo e nato, qualche filosofo, molti giornalisti, inviati
di guerra … nessun giurista e in particolare nessun internazionalista. L’“ammiraglia”
della tv di Stato ha provveduto “democraticamente” a silenziare1 l’inviato da Mosca
Marc Iannaro, per avere riferito dell’ampliamento a Est della nato, sollevando l’in-
terrogativo su chi fosse il responsabile politico del precipitare degli eventi.
Premetto che questa assenza non mi stupisce, perché il giurista internaziona-
lista, più di altri giuristi, ha bisogno di comprendere le ragioni di fondo che stanno
alla base di un conflitto al fine di “tecnicamente” qualificarlo, procedendo successi-
vamente a delineare il quadro di responsabilità giuridica.
Un internazionalista “orfano” dell’analisi storico-politica produce fredde an-
notazioni normative, analisi senz’anima, che si prestano, talvolta, a chiavi di lettura a
dir poco singolari. Non solo, l’internazionalista non si presta a valutazioni manichee
della realtà né a giudizi precostituiti sulle parti in causa, come invece vuole una certa
“propaganda” occidentale che mostra così di non avere valori e strumenti di convin-
cimento diversi da quelli che è così solerte a criticare (sulla propaganda russa non
mi pronuncio, giacché la do per scontata, così come do per scontata quella ucraina,
trattandosi delle parti direttamente coinvolte nel conflitto). Sorprende, invece, anche
se fino a un certo punto, la posizione dei media occidentali, quasi auto-investitisi del
ruolo di portatori di una sacrale verità. In realtà, come è noto, le parole svolgono una
funzione importante, specie in una società come quella odierna imperniata sulla co-
municazione, perché orientano l’opinione pubblica verso questa o quella posizione.
In questa vicenda, tuttavia, si è capito da subito il disegno politico, nel senso che le

  Professore ordinario di Diritto dell’Unione Europea, Unicusano, Roma.


*

1
  Naturalmente siamo i primi a gridare allo scandalo per il modo in cui vengono date le notizie
alla tv di Stato italiana.

47
parole dovevano essere usate in funzione di un obiettivo: la demonizzazione della
Russia. Così da subito, in modo pomposo, saccente, ma senza conoscere il significa-
to delle parole usate, si è parlato di guerra, aggressione, guerra di aggressione: parole
forti che fungono da spartiacque tra il Bene e il Male, tra il giusto e l’ingiusto, tra il
torto e la ragione, tra verso e il falso.
Si tratta di parole, indicative di categorie giuridiche, che risultano, con ri-
ferimento al caso di specie, errate sotto il profilo del diritto internazionale, come
cercherò di dimostrare nel prosieguo dell’articolo.
A tutti questi soloni che discettano di aggressione, genocidio, guerra etc. con
una loquacità senza pari, si dovrebbe suggerire il gesto di Anacarsi, uno dei perso-
naggi di cui parla Plutarco: «Portarsi la mano destra alla bocca e l’altra ai genitali:
un gesto forse utile per evitar di sproloquiare. Il tutto comporterebbe un solo stridulo
grido, ma non si sarebbe lacerati da un profluvio di parole senza senso»2.

2. C’è stato un tempo in cui l’Ucraina era un Paese pacifico e fu quando era
membro dell’urss, che deve aver avuto grande considerazione per il Paese se è vero,
come è vero, che il Governo sovietico, proprio per rimarcarne la specificità, pur es-
sendo questo uno degli Stati federati dell’ex Unione Sovietica, ne chiese e ottenne
l’ammissione all’onu (28 ottobre 1945). La richiesta serviva anche ad equilibrare la
rappresentanza in seno all’Organizzazione tra Paesi occidentali e dell’est, ma non
v’è dubbio che l’ammissione fu una forzatura dello status giuridico del Paese che
certo non poteva vantare né autonomia né indipendenza: requisiti indispensabili per
la qualifica di Stato e gli Stati, come è noto sono gli unici soggetti giuridici di diritto
internazionale membri di detta Organizzazione.
Non è certo nostra intenzione ripercorrere la millenaria storia di questo Pa-
ese, ma non c’è dubbio che l’analisi storico-geopolitica dell’Ucraina si scontra con
un contesto plurietnico e plurilinguistico che è difficile da districare, complessità che
rende difficile poter configurare le istituzioni nazionali.
Certo conoscere la storia può non servire a molto, atteso che la politica sem-
bra sovrastarla. Ciononostante, ci sono dei momenti in cui la politica tende a cogliere
nel processo storico il fondamento della propria esistenza e questo accade quando si
tratta di giustificare le scelte del momento. In questo senso, il discorso con cui il Pre-
sidente Putin si è rivolto al mondo, ma primariamente al suo popolo, per annunciare
il riconoscimento dei “secessionisti” del Donbass e ricordare all’Ucraina il modo in
cui sorse come Stato, ha la storia come punto di riferimento. E giacché si tratta di
storia – senza con ciò correre il rischio di essere additati a estimatori del Presidente
russo, anche se non proviamo avversione nei suoi confronti, semmai “comprensio-
ne” – non si può non rilevare come molte delle cose da lui sostenute rispondano al
vero3. In questo senso è incontestabile il legame millenario tra le popolazioni slave

2
  Plutarco, La loquacità, Napoli, 1993, p. 10.
3
  Tra le fonti, si rimanda a Cella G., Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev

48
dell’attuale Ucraina e della Russia, essa stessa figlia del Rus’ di Kiev4, la prima con-
figurazione statale in quelle terre , il luogo dove la religione cristiano ortodossa so-
stituì i culti precedenti5. A spezzare quell’unità e a spingerla verso Nord fu la spinta
mongola che, nel 1240, di fatto distrusse Kiev, peraltro già indebolita dalla tendenza
alla frammentazione dinastica e nobiliare di epoca medioevale. Dopodiché ci sono
voluti secoli perché si ritornasse ad una parvenza di Stato orientale…orientale, ma
non asiatico; uno Stato che più che ucraino fu baltico e turco, posto che i polacco-
lituani, cristiani che scendevano dal Nord, ed i turchi, islamici che salivano da Sud,
considerarono quell’area come vera e propria terra di conquista.
Contemporaneamente vedeva la luce la Russia: il Paese nasceva quando,
dopo la caduta di Costantinopoli, i principi di Mosca si trovarono ad essere eredi
dell’immenso prestigio culturale dei capi del mondo ortodosso. Mosca diventava la
“Terza Roma”6 e i principi diventavano “Zar”, protettori di quell’ecumene e, lata-
mente, dell’intero mondo slavo.
Per avere qualcosa di ucraino, si dovrà attendere gli hetmanati cosacchi7,

a oggi, Roma, 2021 e, soprattutto, Codevilla G., Storia della Russia e dei Paesi limitrofi. Chiesa e
Impero. La Russia imperiale. Da Pietro il Grande a Nicola II, vol. ii, Milano, 2016. L’opera completa
è in quattro volumi.
4
  Detta circostanza segnò l’ingresso della Russia nell’area di influenza di Bisanzio. La Rus’ di
Kiev segnava l’estremo limes del confronto tra Roma e Costantinopoli; tuttavia, al di là dell’influsso
bizantino sull’ideologia religiosa e sulla cultura, la Rus’ di Kiev mirava a collocare l’Impero bizanti-
no a un livello gerarchicamente inferiore a quello della terra russa. Bisanzio era il vecchio impero in
opposizione alla nuova Rus’: la vecchia Bisanzio era paragonata al Vecchio Testamento e ad Agar (la
schiava egiziana di Sara moglie di Abramo) che sottostavano a una legge coercitiva, mentre la Rus’ era
paragonata a Sara e alla grazia del Nuovo Testamento. La Rus’ di Kiev entrò a far parte della comunità
“bizantino-slava”, una peculiare “zona culturale” d’ Europa. In questo periodo si assiste alla genesi del
“dualismo culturale europeo”; l’Europa e lo stesso mondo slavo furono divisi tra due “zone culturali”
con diversi orientamenti religiosi e politici: da una parte gli slavi di cultura ortodossa (come russi);
dall’altra quelli di cultura cattolico-latina (come i polacchi).
5
  Codevilla G., op. cit.
6
  «L’idea di Mosca Terza Roma affermava la tesi della continuità del potere e dei diritti storici
dei sovrani di Mosca quali successori diretti di Augusto. Tutti gli imperi cristiani erano finiti ed erano
confluiti nell’unico impero ortodosso. Mosca come Terza Roma era una idea escatologica che attribuiva
alla Russia il ruolo guida di tutta la cristianità. Terza Roma non si riferisce a una città, ma è la defini-
zione allegorica dell’impero russo che era rappresentato come un’aquila a tre teste: impero romano,
impero bizantino, impero russo. Dopo la caduta di Costantinopoli la Russia si riconosceva come l’unico
baluardo dell’ortodossia e assumeva un ruolo messianico nella storia. Bisanzio e la Russia si scam-
biarono il posto e la Russia si trovò al centro del mondo ortodosso e di quello cristiano. La translatio
imperii e la translatio religionis collocavano la Russia al centro della geografia della salvezza: quello
russo era un impero redentore»: Valle R., Mosca-Pietroburgo: due idee di Terza Roma, in http://www.
dirittoestoria.it/15/memorie/Valle-Mosca-Pietroburgo-due-idee-di-Terza-Roma.htm.
7
  Magocsi P. R., A History of Ukraine: A Land and Its Peoples, Toronto, 2010, p. 245; G ajecky
G. The Cossack Administration of the Hetmanate, 2 vols Cambridge (Massachusetts), 1978;
K ohut Z. Russian Centralism and Ukrainian Autonomy: Imperial Absorption of the Hetmanate
1760s–1830s, Cambridge (Massachusetts), 1988.

49
l’entità statale costituita dai cosacchi di Ucraina tra il 1649 e il 1764. L’Etmanato
sorse nel 1648 a seguito degli eventi della rivolta di Chmel’nyc’kyj, una massiccia
insurrezione dei cosacchi ucraini dell’atamano Bohdan Chmel’nyc’kyj ai danni del-
la Confederazione polacco-lituana, che all’epoca controllava gran parte dell’attuale
territorio dell’Ucraina. Lo divenne poi un vassallo del Regno russo con il trattato di
Perejaslav del 16548, anche se gli articoli del trattato furono più volte rinegoziati a
ogni cambio di atamano con conseguente ampliamento o restringimento dell’auto-
nomia dell’Hetmanato.
Lo Stato era inizialmente esteso sull’attuale Ucraina centrale, sulle due rive
del fiume Dnepr, nonché su alcune zone oggi in Russia come la regione di Starodub;
il trattato di Andrusovo del 16679 tra Russia e Confederazione polacca, portò poi a
una divisione dello Stato lungo il corso del Dnepr: i territori a est del fiume (“riva
sinistra ucraina“) rimasero sotto il controllo dell’Hetmanato, ma quelli a ovest (“riva
destra ucraina“ furono incorporati nella Confederazione, scatenando una guerra civi-
le tra i cosacchi ucraini che si protrasse fino alla fine del xvii secolo. Il controllo russo
sull’Etmanato divenne progressivamente sempre più stringente, in particolare dopo
la rivolta condotta contro la Russia da parte dell’atamano Ivan Mazeppa nel 1708-
1709, nell’ambito degli eventi della grande guerra del Nord; Caterina II di Russia
abolì ufficialmente l’Etmanato e la carica di atamano nel 1764, incorporandone i
territori nei governatorati di Kiev e della Piccola Russia10.
È da queste vicende che prende il via la storia che porta alla definizione
dell’Impero russo, tenuto conto che, nella sua storia, la Russia si è caratterizzata
come Stato-civiltà che ha oscillato tra due poli opposti: da un lato si è configurato
come Stato potenza con una dimensione imperiale; dall’altro è stato soggetto a “cata-
strofi geopolitiche” che lo hanno condotto sull’orlo della scomparsa. Si può dunque
dire che, nel corso di questa complessa vicenda storica, lo Stato russo, sia oscillato
tra dimensione imperiale e “catastrofe geopolitica”, una oscillazione che ha compor-
tato alcune metamorfosi e trasfigurazioni, al di là delle quali centrale è rimasta l’idea
di Impero, solo che si consideri il ruolo che ha assunto nella cultura russa l’ideologia
orientata a legittimare l’Impero, nella Russia post-sovietica, nota come erasismo.
L’idea dell’Impero è dunque un nodo centrale dell’identità russa e contrassegna la
storia intellettuale dell’età moderna e di quella contemporanea11. Il rapporto con il

8
  Basarab, J. Pereiaslav 1654: A Historiographical Study (Edmonton 1982).
9
  Nicholas V. Riasanovsky, Storia della Russia, Milano, 2003, p.187.
10
  Cfr. Hetman state in www.encyclopediaofukraine.com.
11
  Nel 2008 il settimanale Ekspert ha dedicato un numero monografico all’idea di impero (Russia,
cinque secoli di impero): nel xxi secolo la Russia deve scegliere se essere impero o colonia dell’Occi-
dente al tramonto. «La questione dell’Impero resta un punto decisivo per la Russia del xxi secolo. «La
storia dell’impero russo», ha scritto Pavel Bykov, non si differenzia così marcatamente da quella degli
altri imperi europei. Per molti aspetti è stata anche più umana. Ma in ogni caso la Russia non ha avuto
la possibilità di scegliere se essere impero o essere “un normale Stato democratico europeo”»: https://
www.limesonline.com/cartaceo/il-mondo-visto-dalla-russia. Sono visioni, condivisibili o meno, che un

50
passato, con la sua storia è per la Russia fondamentale per definire la propria iden-
tità, la quale non può che collocarsi in una linea di continuità, di cui la dimensione
imperiale costituisce la cifra dominante. Lo sviluppo futuro della Federazione Russa
è connesso a un processo di assimilazione della vicenda storica russa, la quale vede
la Russia formarsi come civiltà specifica.
La questione dell’Impero resta un punto decisivo per la Russia del xxi se-
colo. «La storia dell’impero russo», ha scritto Pavel Bykov, «non si differenzia così
marcatamente da quella degli altri imperi europei. Per molti aspetti è stata anche più
umana. Ma in ogni caso la Russia non ha avuto la possibilità di scegliere se essere
impero o essere “un normale Stato democratico europeo”. 
L’idea russa non si concretizza come nella storia come Impero del popolo
russo, bensì come Impero dello spazio russo, solo che si rifletta sul fatto l’immensità
dell’Impero russo e della situazione imperiale dell’Urss ha avuto una dimensione
bicontinentale oscillante tra Est e Ovest. La sua espansione è indicativa di una stra-
tegia di sicurezza spaziale, come testimoniato dal fatto che la Russia non ha avuto
delle frontiere di Stato stabili e la sua storia è stata caratterizzata dall’allargamento
costante di un solo e stesso territorio: l’Impero nella sua interezza è stato la metropo-
li. È stato così sottolineato12 come, dalla comparazione tra l’idea russa di Impero e la
concezione imperiale britannica, asburgica e ottomana, emerga che la cultura e tra-
dizione politica dell’Impero russo ha una propria originalità sia per la peculiare posi-
zione geografica della Russia, sia perché l’idea di Impero in Russia a partire dal xviii
secolo, con le riforme di Pietro il Grande, ha subito una metamorfosi e una pseudo-
morfosi. L’espansionismo dell’Impero russo è caratterizzato dalla vulnerabilità dello
spazio, se si pensa alla sua maggiore vulnerabilità, tra il 1550 e il 1917, rispetto
all’Impero britannico e a quello asburgico. In questo senso, l’espansione nell’Asia
centrale era un modo per affermare il proprio prestigio nei confronti dell’Impero
britannico soprattutto dopo la guerra di Crimea. Facendo proprio il retaggio bizanti-
no e mongolo, tra il xvi e il xviii secolo l’Impero russo era orientato verso le steppe.
Sarà dopo Pietro il Grande, che l’idea russa di Impero ingloberà il senso della storia
europeo basato sull’idea di progresso. Nel caso russo, la coesistenza di popoli e cul-
ture diverse non si è configurata come un rapporto tra metropoli e colonie, ma si è
realizzata nell’ambito di un medesimo Stato, perché, è bene ricordarlo, i russi hanno
sì avuto un Impero, ma non uno Stato-nazione. Non solo: esiste uno squilibrio tra
Stato russo, come sistema amministrativo ma non come Stato moderno, e il popolo
russo, basti pensare che la cultura russa, dopo la cristianizzazione del Rus’, sembra
reggersi sulla costante delle contrapposizioni permanenti tra antichità vs novità, che
racchiude in sé altre endiadi dicotomiche: Russia vs Occidente, fede giusta vs fede
falsa, vecchio Impero e nuovo Impero. E questa idea “imperiale” permarrà anche in

Paese consapevole della propria grandezza matura nella consapevolezza del ruolo che è chiamato a
svolgere. Altri, come il nostro, privi di vision strategica, si limitano solo a criticarle.
12
  Lieven D., Empire: The Russian Empire and Its Rivals, New Haven, 2002.

51
epoca sovietica, al punto che sia il nazional-bolscevico Ustrjalov, sia gli eurasisti, a
partire dagli anni Venti, considerarono l’Urss come una restaurazione dell’Impero e
preconizzarono un superamento sopra-organico del comunismo13. L’internazionali-
smo bolscevico era solo una copertura e si era rivelato uno strumento fondamentale
per ricomporre la Russia come Stato unitario ed eurasiano.
Dunque, quando Putin nel ricordato discorso, imputa a Lenin la creazione
dell’Ucraina come Stato autonomo e indipendente afferma una verità e commette
(crediamo volutamente) un errore: in fatti, l’Ucraina appare sulle carte geografiche
prima della scelta leninista. La disegnano i Generali prussiani dopo aver sconfitto
prima l’esercito zarista14, poi quello di Kerenskij,15 infine la neonata Armata Rossa.

  Ustrjalov N., Dalla Nep al socialismo sovietico, traduzione italiana del testo russo consulta-
13

bile in www.magister.msk.ru/library/philos/ustryalov/ustry035.htm. Per ulteriori approfondimenti, si


rimanda al già citato Valle R., Mosca-Pietroburgo: due idee di terza Roma, pp. 14-19.
  La battaglia di Tannenberg fu il primo grande scontro della prima guerra mondiale sul fronte
14

orientale; svoltasi fra il 26 e il 30 agosto 1914, si concluse con una completa vittoria delle forze tedesche
che, guidate dal generale Paul von Hindenburg e dal suo abile capo di Stato maggiore, generale Erich
Ludendorff, accerchiarono, dopo alcuni momenti di difficoltà, le truppe russe che erano avanzate in
Prussia orientale. La vittoria, pur non decisiva, permise all’esercito tedesco di fermare l’invasione russa e
soprattutto diede grande fama in Germania al generale von Hindenburg che negli anni successivi avreb-
be raggiunto, insieme al suo collaboratore Erich Ludendorff, una grande influenza sulla condotta mili-
tare e politica del Reich durante la guerra mondiale. Cfr. Solženitsyn A., Agosto 1914, Milano, 1972;
Stürmer M., L’impero inquieto, Bologna, 1993; Tuchman B. W., I cannoni d’agosto, Milano, 1998.
  Lo Zar Nicola ii abdicò il 15 marzo 1917 e suo fratello, il granduca Michele ii, rinunciò a salire al
15

trono il giorno successivo. Il granduca motivò il suo rifiuto con la volontà di demandare il potere al Go-
verno provvisorio fino alla costituzione di un’Assemblea costituente che avrebbe determinato la nuova
forma di governo del popolo russo. Il governo provvisorio aveva il compito di governare fino alle elezio-
ni della costituente, ma il suo potere venne di fatto limitato da quello del Soviet di Pietrogrado, sebbene
inizialmente proprio quest’ultimo aveva appoggiato e avallato il ruolo del Governo provvisorio. Poiché,
tuttavia, il Soviet deteneva il controllo dell’esercito, delle fabbriche e dei sistemi di trasporto, e godeva
del supporto della popolazione, si venne di fatto ad istituire un duplice potere tra due entità contrapposte.
A capo del Governo provvisorio fu eletto il principe Georgij Lvov, che in luglio venne sostituito da
Aleksandr Kerenskij. Il governo riuscì ad organizzare le elezioni, ma il suo ruolo fu del tutto fallimentare
nel porre fine al coinvolgimento della Russia nel primo conflitto mondiale, aggravando ulteriormente la
propria posizione nei confronti della popolazione russa, ormai stanca e indebolita dalla guerra. Il governo
decise di lanciare inoltre un’offensiva contro le truppe austro-ungariche e tedesche nel luglio 1917, nota
storicamente come Offensiva Kerenskij. Questa offensiva si rivelò un totale fallimento che consumò le
ultime tracce di consenso popolare. La motivazione principale di questa scarsa popolarità consisteva
nel fatto che, in un momento così critico e cruciale, il Governo Provvisorio si rifiutò di assumere una
posizione decisionista, nascondendosi proprio dietro alla sua provvisorietà. Un ulteriore duro colpo alla
legittimità del Governo Provvisorio fu il conflitto apertosi tra Kerenskij e il generale Lavr Kornilov che
attuò un colpo di Stato (affare Kornilov), che diede lo spunto all’ala sinistra del governo di convertire in
settembre la Russia in Repubblica russa. Con lo scoppio della Rivoluzione d’ottobre fu trasferito di fatto
il potere nelle mani dei Soviet controllati dai Bolscevichi. Browder R. P., Kerensky A. F., The Russian
Provisional Government, 1917: Documents, 3 vol., Stanford, 1961; Wade R. A., The Russian Revolu-
tion,1917, Cambridge, 2005; Nabokov V. V., V. D. Nabokov and the Russian Provisional Government,
1917, New Haven, 1976; Lambert D. A., The Minister of War of the Russian provisional government of
1917: His life-his success-his failure, A.I. Guchkov, 1862-1936, Montgomery (Alabama), 1973.

52
Anticipando il Lebensraum hitleriano, Ludendorff porta i confini degli Stati vas-
salli della Prussia all’incirca dove arriveranno le armate tedesche nella Seconda
guerra mondiale.
Va anche ricordato che l’Ucraina è da sempre considerata il simbolo dell’u-
miliazione russa prima, sovietica poi; anzi, in quest’ultimo caso, ha operato chiara-
mente in funzione anti sovietica, essendo sede importante dei controrivoluzionari16.
Il tentativo occidentale di cancellare la l’Unione Sovietica, infrantosi contro l’Ar-
mata Rossa dell’epoca, venne ripreso vent’anni dopo in modo ancora più violento e
drammatico. Ancora una volta l’Ucraina era il simbolo dell’umiliazione russa (ora
sovietica). L’immensa sacca di Kiev, le centinaia di migliaia di prigionieri, il ripeter-
si dei progrom in versione genocida: nazisti e fascisti, con l’appoggio di parte della
popolazione ucraina, che calpestano il suolo delle madrepatria, la Santa Russia, su
cui Putin ha fatto leva nel suo lungo discorso.
E poi, per la terza volta in un secolo, con il collasso dell’urss, la separazione
… per la verità legale, legittima, perché in adesione alla Carta costituzionale sovie-
tica del 1977 che sanciva il diritto di secessione per le Repubbliche sovietiche, ma
tutto sommato bizzarra, perché, essendo ancora in vita la Repubblica Federativa So-
cialista Sovietica, al referendum sull’indipendenza sono stati chiamati i soli cittadini
ucraini17, secondo quanto previsto dalla Costituzione sovietica, ma la circostanza in
cui avveniva il fatto avrebbe richiesto, forse, una forzatura del testo costituzionale
per consentire al popolo sovietico di esprimersi sul punto.

3. Nell’estate 202018, la Federazione Russa ha aggiornato la propria Costi-


tuzione ed ora vi si sancisce che la Russia è l’erede legittima dell’Urss nel suo ter-
ritorio. Non solo vi si può cogliere anche l’idea di continuità dello sviluppo dello

16
  Le truppe dei controrivoluzionari erano guidate dal Tenente Generale Anton Ivanovič Denikin
che, di origine polacca, nel 1918succedette a Kornilov, ucciso, nel comando dell’esercito controrivolu-
zionario dei Bianchi. Riuscì a spingersi nell’Ucraina centrale; ma la controffensiva sovietica, condotta
da S. M. Budënnyj, mise in rotta l’esercito del Denikin (novembre 1919), che lasciò il comando al
Generale Vrangel´. Riparato a Costantinopoli, passò in Francia e infine negli usa. Si rimanda a Grey
M, Bordier J., Le armate bianche. Russia 1919-1921, Milano, 1971.
17
  Il referendum riguardo all’indipendenza dell’Ucraina si è svolto il 1 dicembre 1991. L’unica
domanda scritta sulle schede era: “Approvi l’Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell’Ucraina?” con
il testo dell’Atto stampato prima della domanda. Il referendum fu richiesto dal Parlamento dell’Ucraina
per confermare l’Atto di Indipendenza, adottato dal Parlamento il 24 agosto 1991.
18
  Dal 25 giugno al 1 luglio 2020 si è svolto il referendum costituzionale per approvare o respin-
gere una legge di revisione costituzionale che – approvata il 31 marzo 2020, inclusiva di cambiamenti
radicali alla Costituzione precedente – prevede la possibilità per Putin di ricandidarsi per altri due
mandati presidenziali di sei anni, assicura l’educazione patriottica nelle scuole e pone la Costituzione al
di sopra del diritto internazionale. Sui procedimenti di revisione costituzionale nell’ordinamento russo
cfr. Ganino M., La revisione della Costituzione in Russia, tra procedimenti super aggravati, abbreviati,
semplificati e non formali, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2009, p. 1607 ss.; Tarchi R.,
Sistema dele fonti e poteri normativi dell’Esecutivo in una forma di governo iper-presidenziale: il caso
della Federazione Russa, in Osservatorio sulle fonti, 2028, n. 3, p. 2 ss..

53
Stato russo. La Costituzione riconosce ufficialmente l’unità statale territoriale che
si è venuta a confermare nel tempo, onora la memoria dei difensori della Patria e
garantisce la verità storica. A ciò si deve aggiungere che non ammette alcuna forma
di ridimensionamento del significato delle gesta del popolo nella difesa della Patria.
Queste note preliminari sono indispensabili per meglio intendere le caratteristiche
della geopolitica russa. Infatti, da quando l’urss è collassata e fino ai tempi recenti,
i centri di potere e l’élite liberale russa si sono allontanati dalla storia sovietica – un
periodo invece fondamentale per la storia del Paese – giungendo al punto di negare
qualunque linea di continuità tra la Russia odierna e l’urss.
Circa poi la preservazione della memoria sui fatti antecedenti alla rivolu-
zione bolscevica, anche questa finì nel dimenticatoio dei liberali russi, adusi a pro-
strarsi davanti al mito dell’Occidente e ad assumere l’ingrato ruolo di detrattori del
loro stesso popolo, come emerge dalle pagine di un grande pensatore conservatore
dell’Ottocento, Pëtr Caadaev che, pur critico della Russia zarista, riteneva che «il
liberale russo» fosse «un insetto inutile che si spinge verso la luce solare, e questo è il
sole dell’Occidente»19, «insetto» che da Boris Nicolaevič El’cin ha affollato le stan-
ze esclusive del potere russo. Non solo: il filosofo in quistione riteneva che la Russia
non facesse storicamente parte né dell’Occidente né dell’Oriente, perché affermava
«noi siamo un popolo d’eccezione». La sua tesi se, oper un verso, ha danneggiato
culturalmente il Paese, per un altro lo ha posto arbitro del processo spirituale del
mondo, nel quale in futuro potrà immettere nuove forze in grado di portare l’umanità
verso un più decisivo progresso. Certo è che dell’eccezionalità del popolo russo si
fece interprete anche Fëdor Dostoevskij e molti altri pensatori russi.
Avendo le parole un “peso”, dobbiamo intenderci sul significato del termine
“eccezionale” applicato al popolo russo. L’eccezionalità deriva anzitutto dalla storia,
dalla religione, dalla cultura del Paese e si connota per il suo carattere di unicità
morale, spirituale. Non è dunque una eccezionalità strumentale, utile a presentare la
Russia come incondizionatamente “giusta”, pronta a imporre le proprie specificità
agli altri Paesi, popoli. Lo stesso Dostoevskij non invocava l’interruzione dei rap-
porti con l’Occidente, non riteneva si dovesse mostrare le spalle a questa parte del
mondo. Al contrario, proponeva di instaurare un dialogo reciprocamente rispettoso
con questo ultimo. Ma l’Occidente era (ed è) pronto al dialogo? Nonostante i liberali
russi si siano per secoli prostrati ai piedi dell’Occidente, ciò non ha determinato un
maggiore rispetto nei confronti della Russia e del suo popolo.
Il significato del termine è dunque ben diverso da quello che gli è stato as-
segnato dal Presidente americano Obama nell’intervento fatto all’Assemblea Gene-

  Proprio perché critico della Russia zarista, lo Zar Nicola i fece dettare una risoluzione in cui si
19

avanzava l’ipotesi che il Nostro fosse un alienato mentale. Diede perciò disposizione perché si accer-
tasse la fondatezza dell’ipotesi e nel frattempo fece chiudere la Rivista che aveva pubblicato le Lettere
filosofiche, oggetto incriminato, del filosofo conservatore. Cfr. Caadaev P., Le lettere filosofiche, Bari,
1950. Cfr. anche Vitale S., Il bottone di Puškin, Milano, 1995, pp. 107-108 in cui sono riprodotti, tradotti
dalla versione russa, i passi delle Lettere che fanno riferimento alla sua feroce critica alla società russa.

54
rale delle Nazioni Unite nel settembre 2013, quando – applicando il concetto al suo
Paese – intese giustificare – come altri Presidenti prima di lui – il diritto inappellabile
degli Stati Uniti d’America all’egemonia globale, per difendere il quale gli Usa era-
no disposti a grandi sacrifici non solo in favore dei loro interessi, ma degli interessi
di tutti. Posizione encomiabile, ma per sostenere la quale non ci si era premurati di
chiedere se tutti i membri della comunità internazionale, o della società globale,
credessero nell’eccezionalità americano e se fossero tutti d’accordo che i loro diritto
fossero difesi da Washington.
La Russia vanta una propria tradizione geopolitica, sostanzialmente ignota
in Occidente, forse perché la filosofia della storia degli storici e filosofi-prerivolu-
zionari si collocava nell’alveo dell’eurasismo, pur condividendo alcuni concetti del-
la geopolitica classica. In particolare, Vasilij Ključevskij confutò l’idea, diffusa in
Occidente, secondo la quale la Russia tenderebbe per sua natura all’espansionismo
e il suo ampliamento territoriale verrebbe realizzato esclusivamente con il ricorso
alla forza. A questo riguardo, egli dimostrò, attraverso molti esempi come, nella
maggioranza dei casi, l’espansione fosse avvenuta con il consenso dei popoli vicini
che volontariamente scelsero di essere accolti sotto l’ala protettrice dello Zar russo,
evitando il giogo di altri Stati20.
Un altro esempio di come il fattore geo-politico abbia giocato un ruolo nella
storia russa è rappresentato dalla c.d. «Grande Guerra Patriottica», ossia la Secon-
da guerra mondiale. La narrazione occidentale di quegli eventi e del ruolo giocato
dall’urss, è passata dalle lodi all’Armata Rossa, intessute da Churchill e Roosvelt,
considerata decisiva per la vittoria finale, ad una rappresentazione meno elogiativa in
cui le gesta sovietiche avevano avuto un carattere periferico, considerazioni che usa,
gb sostennero a partire dal 1945 con l’ascesa al potere di Truman. L’urss si trasforma
da alleata a nemica.
Senza ripercorrere le tappe che hanno portato alla fine della Guerra Fredda,
in questa sede ci limitiamo a ricordare come Putin, alla Conferenza di Monaco del
2007, abbia rammentato ai presenti, in tono risentito, che la transizione russa dal
comunismo alla democrazia, diversamente anche dalle sue personali aspettative, non
si sia tradotta in maggiore rispetto dell’Occidente per la Russia, a dimostrazione del
fatto che gli Stati Uniti si consideravano i vincitori di una guerra mai combattuta
sul campo di battaglia. Il desiderio statunitense di vedere chiusa in un angolo l’Urss
deve essersi rivelato troppo forte, nonostante l’ammonimento di Papa Giovanni Pao-
lo ii a non dividersi tra vincitori e vinti. Sempre nel corso di quella Conferenza, Putin
non mancò di esprimere forti critiche all’intervento nato-ue in Jugoslavia. La cosa
non deve sorprendere, giacché nel momento in cui un tale diritto, prima esclusivo
dell’onu (e la Russia ha un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza), viene
ceduto ad altri organi è verosimile che ciò possa causare risentimenti. Aggiungasi
che ad un Paese come la Russia non poteva riservarsi lo sgarbo di venir meno a pat-

20
  Ključevskij V., Pietro il Grande, Roma-Bari, 1986.

55
tuizioni concordate circa la non estensibilità della nato ad Est, come garantito, il 17
maggio 1990, dall’allora Segretario Generale della nato Wörner.
4. L’«operazione militare speciale» decisa dalla Russia contro l’Ucraina è
stata immediatamente qualificata dagli osservatori occidentali come guerra, aggres-
sione, guerra di aggressione. Riteniamo che la questione meriti di essere meglio
precisata sotto il profilo giuridico, giacché l’operazione russa non pare proprio possa
ricondursi alla fattispecie guerra di aggressione.
La ricomparsa dell’uso della forza sul suolo europeo – prima nella ex Jugo-
slavia, poi in Kosovo ora in Ucraina fase, quest’ultima, preceduta dai fatti di Crimea
e del Donbass – sembra confermare ciò che, con riferimento al xx secolo, affermava
Raimond Aron circa l’imprevedibilità delle guerre21.
A prescindere dal piano storico, su cui ci siamo intrattenuti sopra, il secondo
piano su cui giudicare la recente vicenda russo-ucraina è quello del diritto e del di-
ritto internazionale in primo luogo. Per molti versi le cose su questo piano sono più
chiare, anche se non sempre godono di una uniforme chiave di lettura. In effetti, di-
versamente da quanti ritengono che l’operazione militare speciale della Federazione
Russa contro l’Ucraina si configuri come vera e propria aggressione22, è da ricordare
che non ogni ricorso alla forza/violenza è da ricondursi alla fattispecie guerra, iden-
tificata nell’aggressione che uno Stato conduce avverso un altro Stato con l’intento
di perseguirne la debellatio, anche perché questa non è necessariamente l’obiettivo
della guerra, può esserne una delle conseguenze ma non l’obiettivo primario.
Il ricorso ai mezzi comportanti l’uso della forza nel diritto internazionale (di) è
da ricondursi, infatti, alla fattispecie “autotutela” che, quale macrocategoria, assorbe in
sé una serie differenziata di mezzi, tutti egualmente ammessi dal diritto internazionale.
Non solo: vista la copiosa letteratura sul tema delle “nuove guerre”23 non si
può non rimanere sorpresi dal numero e dalla varietà delle espressioni impiegate per
indicare le forme nuove (o presunte tali) in cui si manifesta la conflittualità armata e
la violenza organizzata a partire dalla fine del xx secolo. Quella formulata da Putin
è solo l’ultima di una lunga serie di formule usate nel corso degli ultimi trent’anni.
La tesi di Walzer24, secondo il quale la guerra talvolta è giustificabile ed è
sempre soggetta alla critica morale, non ha senso perché, se giustificabile, convenia-
mo con i realisti che in amore e in guerra tutto diventa lecito, sicché, come sostiene
il broccardo latino, inter arma silent leges (in guerra le leggi tacciono). La guerra è
sempre un male, ma è pur vero che la pace fine a sé stessa non è sempre un bene, spe-
cie quando è scissa dalla giustizia. Ebbene, in questo scenario composito, dove bene
e male continuano il loro eterno serrato confronto, diversamente da quanto sostenuto

21
  Aron R., Les guerres en chaine, Paris, 1951, p. 22.
  Cfr. Seminario di studi dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti su Democrazia e Costi-
22

tuzioni alla prova della guerra, 16 marzo 2022.


23
  Kaldor M., Le nuove guerre. La violenza organizzata nell’età globale, Roma, 1999.
24
  Walzer M., Sulla guerra, Roma-Bari, 2004.

56
da alcuni studiosi, la guerra – in generale il conflitto armato latu sensu considerato –
non è un fenomeno obsoleto, ma costituisce ancora un’opzione praticabile25.
A fare definitiva giustizia di queste tesi già di per sé criticabili sul piano
teorico a causa del modello lineare-evolutivo della storia cui si ispirano, hanno prov-
veduto gli innumerevoli conflitti che, a partire dalla Guerra del Golfo e da quella
nella ex Jugoslavia, hanno sconvolto il mondo post-bipolare, proponendo una «com-
binazione inedita di modernità e barbarie, di guerre stellari e carneficine fin troppo
umane, di duelli all’arma bianca e di missili teleguidati che come dardi divini viag-
giano verso il bersaglio»26.
Il mondo seguito alla Guerra Fredda è un mondo nel quale i conflitti armati,
lungi dal potersi considerare obsoleti, hanno visto la guerra essere più pensabile di
prima, anche perché il nostro pianeta non è mai stato prossimo alla pacificazione
anche se si è vaticinato sulla possibilità che la concorrenza economica sostituisse
la conflittualità armata variamente declinata nella forma e nell’intensità, quasi a
voler affermare l’idea che la sfrenata concorrenza economica non produca vittime
durante lo scontro. Morire per effetto di una crisi economica è di gran lunga peggio
che morire a seguito di un conflitto armato: in questo caso il nemico e visibile e,
comunque, vale il motto “mors tua vita mea”. Ma il disoccupato, le famiglie senza
reddito o con reddito insufficiente che alternativa hanno di fronte ad una situazione
ad esse non imputabile? Disoccupazione e fame abbrutiscono l’essere umano che
si sente offeso nella sua dignità molto più di quanto la guerra abbrutisca il soldato
impegnato in battaglia.

4.1. Il diritto internazionale prende tradizionalmente in considerazione la


guerra sotto il duplice profilo di jus ad bellum (quando uno Stato può ricorrere all’u-
so della forza contro un altro Stato) e di jus in bello (rispondente al piano della di-
sciplina normativa della violenza bellica). Questa chiave di lettura lascia interdetto
il giurista che desideri andare oltre il mero dato formale delle conseguenze materiali
ed umane, per quanto tragico esso possa apparire.
Il termine “aggressione” obbliga ad una scelta di campo fra bene (difesa
dell’aggredito) e male (condanna dell’aggressore). Gli è che il giurista non può e
non deve sentirsi obbligato da alcunché, ma deve limitarsi a valutare i fatti nella
loro cruda realtà sulla base delle regole previste dal diritto internazionale, generale
e convenzionale e sulla base degli orientamenti dottrinari che si ritiene siano meglio
rispondenti ai casi di specie indagati.
Posta così la questione, considerato che lo scopo principale di ogni ordina-

25
  Mueller J., Retreat from Doomsday. The Obsolesence of Major War, New York, 1989; Kaysen
K., Is War Obsolete? A Review Essays, in International Security, 14, 4, pp. 42-69.
26
  Janigro N., L’esplosione delle nazioni. Il caso jugoslavo, Milano 1993, p. 3. Confronta anche
ead,Anatomia delle nuove guerre, in esd (a cura di), La guerra moderna come malattia della civiltà,
Milano, 2002, pp. 1-36.

57
mento giuridico è la pace, intesa come equilibrio degli interessi dei membri com-
ponenti la Comunità internazionale, la divisione morale tra bene e male ostacola
l’avvio e la conclusione di qualsiasi ragionevole accordo tra le parti in conflitto.
Gli è invece che, sebbene solo in via sussidiaria, ossia in quanto la violenza appaia
come unica via d’uscita percorribile, l’ordinamento giuridico interviene onde limi-
tarla nella sua manifestazione e nei suoi effetti. A questo fine, non rileva il fatto che
la violenza esplichi anche una funzione sul piano strutturale, ossia di procedimento
rivoluzionario in vista della creazione di un ordine nuovo, fenomeno da giudicare
non già in base all’ordinamento preesistente bensì in base al criterio di effettività. E
non c’è dubbio che l’operazione avviata dalla Federazione Russa si prefigga anche
di ridisegnare lo scenario geopolitico seguito al crollo del Muro di Berlino e alla
dissoluzione dell’ex urss.
Ciò detto, è da precisare che è interesse della Comunità internazionale che
una controversia internazionale, ossia l’opposizione fra due o più pretese, trovi una
equilibrata composizione. Da questo punto di vista ritenere che le controversie inter-
nazionali siano una sorta di res inter alios, qualcosa rispetto alla quale i terzi devono
restare indifferenti, a meno che gli Stati parte della controversia non acconsentano al
loro “interessamento” è antistorico, giacché non c’è Comunità al mondo che non av-
verta la necessità di ingerirsi nelle controversie anche solo potenziali, che non giudichi
sulle ragioni o i torti delle Parti in causa al fine di addivenire ad una composizione del
conflitto. Scriveva Quadri: «Possono mutare i procedimenti, può mutare l’intensità
della pressione esercitata, possono mutare i canoni di valutazione delle ragioni, ma
l’intervento sociale è un dato connaturato ad ogni genere delle relazioni umane»27.
Prima della nascita delle Nazioni Unite , gli Stati erano liberi di ricorrere alla
forza sia per proteggere un proprio diritto sia a tutela di un semplice interesse. I ten-
tativi del Patto della Società delle Nazioni (sdn) del 1919 de del Patto Briand-Kellog
del 1928 di bandire la guerra dalle relazioni internazionali si rivelarono però falli-
mentari. Gli Stati, a ben vedere, potevano ricorrere alla guerra senza che occorresse
alcun titolo giuridico che ne supportasse la decisione, tant’è che essa era ammessa
come mezzo di soluzione delle controversie internazionali.
La situazione muta con lo Statuto e la sentenza del Tribunale di Norimberga
che codificano la nozione di “crimini contro la pace”, sanzionando di tal guisa lo
scatenamento di una guerra di aggressione28.
La Carta delle Nazioni Unite, all’art. 2 par. 4, vieta l’uso e la minaccia della

27
  Quadri R., Diritto internazionale pubblico, Napoli, 1968, p. 235
  Sul tema, fra gli altri, cfr. Schmitt C., La guerra di aggressione come crimine internazionale,
28

Bologna, 2015. 1945: mentre i giuristi delle Forze Alleate discutono sulle norme fondamentali dei
processi contro i crimini di guerra, Schmitt redige un lungo parere giuridico sulla punibilità dei respon-
sabili della guerra d’aggressione, affermando che non esistono precedenti per considerarla un crimine.
E anche se le guerre di aggressione fossero state trattate come un crimine, gli industriali che avevano
contribuito ad armare il Reich non avrebbero potuto essere incriminati, vista l’enorme pressione a cui
erano sottoposti nel regime nazista.

58
forza «sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi stato,
sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite». Le Di-
chiarazioni di principî dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1970 sulla
relazioni amichevoli e del 1974 sull’aggressione hanno confermato la norma. Suc-
cessivamente, con sentenza 27 giugno 1986 29, relativa al caso Nicaragua-Stati Uniti,
la Corte Internazionale di Giustizia ha statuito che il divieto di uso della forza ha or-
mai rango di norma di diritto internazionale generale e che l’aggressione è oggetto di
un divieto di ius cogens di diritto imperativo. Ma questa è una delle possibili chiavi
di lettura della sentenza in oggetto. La giurisprudenza cig, afferma che le violazioni
del divieto di uso della forza possono presentarsi secondo forme “più gravi” (aggres-
sione o attacco armato) e “meno gravi” (sotto forma di incidenti armati di frontiera,
sconfinamenti oltrefrontiera di truppe, ecc). Proprio questa divisione ha reso la dot-
trina non concorde circa il carattere imperativo, assoluto, della norma sul divieto di
uso della forza. Sotto questo profilo c’è chi ritiene che detto carattere imperativo sia
assoluto e si estenda a tutte le possibili violazioni della norma, laddove altri afferma-
no che solo le forme estreme di coercizione armata sarebbero coperte dalla nozione
di ius cogens. Nel senso dell’interpretazione meno rigida paiono deporre gli artt. 40
e 41 del Progetto sulla responsabilità internazionale degli Stati30, i quali limitano
le “speciali conseguenze” in esso previste alle serious breaches of obligations ari-
sing under peremptory norms of general international law, e fra queste è appunto
collocabile l’aggressione armata. Ciononostante permangono dubbi circa l’efficacia
così pervasiva della sentenza in questione. Credo non vada scordato che la cig, pur
qualificata nella Carta delle nu come «organo giudiziario principale» (art. 92), in
realtà funziona quasi sempre in base a “compromesso” e, dunque, solitamente, ha
natura arbitrale. Ove ci sia invece l’accettazione della clausola facoltativa, essa ri-
veste natura di organo giudiziario, ma anche in questo caso non delle Nazioni Unite,
con tutto ciò che ne consegue circa .il carattere di ius cogens della sua sentenza cui
s’è fatto sopra riferimento.
Tuttavia, anche a voler accettare l’idea che il divieto di aggressione abbia
carattere di ius cogens, restano aperte alcune questioni. Innanzitutto è ben vero che la
dottrina internazionalistica dominante pone oggi tra i crimini fondamentali la guerra
di aggressione31, eppure tale crimine manca ancora di una definizione condivisa.
Ora, a ben vedere, il termine “aggressione” è sicuramente di forte impatto
emotivo, ma non risponde ad alcun criterio valutativo di rilevanza giuridica. Nel ri-
percorrere le vicende giuridiche di questa parola, muoviamo dal periodo successivo
alla fine delle Seconda guerra mondiale, quando le Potenze vincitrici decisero di
istituire un Tribunale internazionale per la punizione dei criminali di guerra nazisti,

29
  Cfr. icj Reports, 1986, 101, § 191.
30
  Cfr. Yearbook of the International Law Commission (ybilc), 2001, vol. ii/2, 28-30).
31
  Così Cassese A., Lineamenti di diritto internazionale penale, i. Diritto sostanziale, Bologna,
2005, p. 145 e ss.

59
il Tribunale di Norimberga. È in quel momento che la questione dell’aggressione
come crimine internazionale venne nuovamente sollevata, dopo essere stata al centro
dell’attenzione già alla fine della Prima guerra mondiale . Com’è noto, lo Statuto del
Tribunale Militare Internazionale di Norimberga stabiliva la punizione dei crimini
commessi dai maggiori criminali di guerra nazisti rientranti nelle categorie di “cri-
mini contro la pace”, “crimini di guerra”, e “crimini contro l’umanità”. L’aggres-
sione rientrava tra i primi: «Crimes Against Peace: namely, planning, preparation,
initiation or waging of a war of aggression, or a war in violation of international
treaties, agreements or assurances, or participation in a common plan or conspiracy
for the accomplishment of any of the foregoing» (art. 6, lett. a). Lo Statuto del Tribu-
nale stabiliva chiaramente la responsabilità penale personale degli imputati, ma non
indicava cosa dovesse intendersi per aggressione.
Il procuratore generale degli Stati Uniti Robert Jackson, nel suo Opening
Address32, propose di introdurre una definizione di aggressione che riprendeva lette-
ralmente quella di Politis, ma che si differenziava da questa per due aspetti. In primo
luogo, venivano eliminati dall’elenco degli atti di aggressione il blocco navale e il
supporto a bande armate formate nel proprio territorio che invadessero un altro Stato.
In secondo luogo, veniva introdotta espressamente una ‘scriminante’: «exercise of
the right of legitimate self-defence, that is to say, resistance to an act of aggression,
or action to assist a State which has been subjected to aggression, shall not constitute
a war of aggression». Con queste modifiche, la portata della definizione formulata da
Politis nel 1932 era profondamente modificata e ridimensionata. Jackson sostenne
che: «Any resort to war - to any kind of a war- is a resort to means that are inheren-
tly criminal. War inevitably is a course of killings, assaults, deprivations of liberty,
and destruction of property. An honestly defensive war is of course, legal and saves
those lawfully conducting it from criminality. But inherently criminal acts cannot be
defended by showing that those who committed them were engaged in a war, when
war itself is illegal. The very minimum legal consequence of the treaties making ag-
gressive wars illegal is to strip those who incite or wage them of every defense the
law ever gave, and to leave war-makers subject to judgment by the usually accepted
principles of the law of crimes»33.
Accolta la prospettiva statunitense, la sentenza di Norimberga è indicativa di
un capovolgimento di prospettiva rispetto al diritto internazionale classico, nel senso
che la guerra non era più un diritto dello Stato tant’è che coloro che combatteva-
no una guerra non puramente difensiva non solo erano penalmente responsabili dei
fatti commessi (al di là della tradizionale concezione di “crimini di guerra”) ma non
godevano di alcuna giustificazione sul piano giuridico. Questi principî vennero fatti

  Il testo si può leggere in Nazy Conspiracy and Aggression, Office of the United States Chief
32

Counsel for Prosecution of Axis Criminality, United States Government Printing Office, Washington
1946, Vol. i, Ch. vii, pp. 115-174.
33
  Ivi, p. 164.

60
propri dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Tuttavia, e ciò è una sorpresa, essi
non furono inclusi direttamente nel testo della Carta, bensì vennero adottati trami-
te una successiva risoluzione dell’Assemblea Generale 34. Contrariamente a quanto
aveva fatto il Covenant della Società delle Nazioni, la Carta delle Nazioni Unite
vieta espressamente il ricorso all’uso della forza da parte degli Stati. All’articolo 1, la
Carta prevede tra gli obiettivi dell’onu la «suppression of acts of aggression or other
breaches of the peace». Il termine aggressione ricorre però solo altre due volte (artt.
39 e 53), ed in nessuno dei due casi ne viene data una definizione. Lo stesso termine
guerra ricorre una volta soltanto, nel preambolo, quando viene dichiarata un flagello
da cui l’umanità deve essere liberata per sempre.
Paradossalmente, la Carta delle Nazioni Unite, nata per mantenere una pace
stabile e universale attraverso l’uso della forza contro gli aggressori (tramite gli stru-
menti previsti nel Capitolo vii, rimasto sostanzialmente inapplicato), non definisce il
concetto di aggressione e non prevede esplicitamente alcuna sanzione per i trasgres-
sori del divieto di uso della forza. Ne consegue che, come nel caso della Società delle
Nazioni, la decisione circa la sussistenza o meno di un caso di aggressione è di fatto
demandata ad un organo collettivo. Tuttavia, diversamente dal Consiglio della Socie-
tà delle Nazioni, di fatto reso inoperante dalla regola dell’unanimità, è ben vero che il
Consiglio di Sicurezza dell’onu gode degli amplissimi poteri previsti dall’articolo 39,
ma alla luce dei meccanismi decisionali previsti dalla Carta (cross veto policy), le cin-
que Potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale risultano arbitri assoluti della
decisione su cosa sia un’aggressione e su chi sia aggressore, e dunque su quando l’uso
della forza sia da considerarsi legittimo. Se ne deduce che nessuno dei cinque Stati
può giocoforza essere considerato aggressore. Di tal guisa, l’obiettivo di assicurare la
pace è diventato automaticamente irraggiungibile. Come dimostra la storia successiva
al secondo conflitto mondiale, il Consiglio di Sicurezza è stato o bloccato dal veto,
dando quindi spazio all’iniziativa bellica delle Grandi Potenze, oppure ha svolto una
funzione legittimante, nel senso che l’aggressione perpetrata dai membri permanenti
è risultata pienamente giustificata. Questa impostazione, che sembra inevitabilmente
decretare il fallimento della politica di assicurare una pace stabile e universale, ha
dato luogo a innumerevoli proposte di modifica. Già nel 1950, l’Assemblea Generale
(ris. 378/B (v) del 17 novembre 1950) incaricò la International Law Commission
di esaminare il problema della definizione di aggressione. Dopo estenuanti dibattiti
e aspre polemiche, la Commissione fece proprio il punto di vista del suo Special
Rapporteur, Jean Spiropoulos, il quale, riprendendo i già ricordati pareri della Per-
manent Advisory Commission e dello Special Committee of the Temporary Mixed
Commission, dichiarò che «the notion of aggression is a notion per se, a primary
notion, which, by its very essence, is not susceptible of definition»35. In particolare,

34
  Risoluzione dell’Assemblea Generale 95(i) dell’11 dicembre 1946, Affirmation of the Principles
of International Law recognized by the Charter of the Nürnberg Tribunal.
35
  Spiropoulos J., The Possibility and Desirability of a Definition of Aggression, in Yearbook of the

61
definire l’aggressione attraverso una tassonomia di atti di aggressione venne conside-
rato «undesirable», in quanto nessuna enumerazione sarebbe potuta essere esaustiva.
Di diverso avviso fu la risoluzione 599 (vi) del 31 gennaio 1952 («[it is] possible and
desirable to define aggression by reference to the elements which constitutes it»), che
non ebbe però alcun riscontro. Successivamente, con le risoluzioni 688 (vii) 1952 e
859 (ix) 1954, l’Assemblea Generale istituì due comitati speciali per la definizione
di aggressione, ma i lavori conclusivi di questi organi non diedero luogo ad alcuna
proposta condivisa. Stessa sorte toccò ad un analogo Comitato creato dall’Assem-
blea con la risoluzione 1181 (xii) 1957. Il Comitato speciale istituito con risoluzione
2230 (xxii) del 18 novembre 1967, invece, riuscì a concludere i propri lavori, e il 14
dicembre 1974 l’Assemblea Generale approvò la risoluzione 3314 (xxix) che si è
effettivamente distinta rispetto ai tentativi precedenti per alcuni risultati. Non solo
fornisce una definizione generale di aggressione all’articolo 1 («Aggression is the
use of armed force by a State against the sovereignty, territorial integrity or political
independence of another State, or in any other manner inconsistent with the Charter
of the United Nations, as set out in this Definition»), ma indica anche una serie di
casi che devono essere considerati atti di aggressione (art. 3). Tuttavia, la risoluzione
va letta tenendo conto del combinato disposto dell’art. 2 e dell’art. 4, circostanza che
ridimensione, fino ad annullarla, la supposta importanza attribuita alla risoluzione
in parola. Infatti, all’articolo 2, la risoluzione stabilisce che prima facie deve essere
considerato aggressore chi usa per primo la forza armata, ma precisa che il Consiglio
di Sicurezza ha il potere di correggere tale presunzione in base alla valutazione di al-
tre circostanze rilevanti; all’articolo 4, infine, la risoluzione dispone che l’elenco dei
casi di aggressione previsti all’articolo 3 non sia da considerarsi esaustivo lasciando
al Consiglio di Sicurezza la facoltà di determinare quali altri casi possano costituire
aggressione. A ben vedere, pertanto, al di là dei buoni propositi, la risoluzione 3314
lascia sostanzialmente intatte le prerogative del Consiglio di Sicurezza. Inoltre, essa
non affronta il problema della responsabilità penale personale di diritto internaziona-
le, ragionando in termini di responsabilità internazionale dello Stato.
Il dibattito sul tema si è arricchito con l’istituzione della International Cri-
minal Court. Diversamente dai Tribunali di Norimberga e di Tokio e dai Tribunali
internazionali ad hoc per la ex-Jugoslavia e il Ruanda, l’icc non è sorta per inizia-
tiva delle massime Potenze mondiali e non è stata istituita ex post. È comunque da
ricordare che usa, Cina e Russia non hanno aderito alla detta Corte. Ne consegue
che gli elementi positivi, quantomeno potenzialmente tali, non si sono tradotti in un
progetto di reale emancipazione dalla cross veto policy del Consiglio di Sicurezza.
Lo Statuto di Roma del 17 luglio 1998 prevede tra i crimini di competenza
della Corte il crimine di aggressione, ma al secondo comma dell’articolo 5 stabilisce
che la Corte «shall exercise jurisdiction over the crime of aggression once a provi-
sion is adopted in accordance with articles 121 and 123 defining the crime and set-

International Law Commission, 1951, vol. ii, p. 63.

62
ting out the conditions under which the Court shall exercise jurisdiction with respect
to this crime. Such a provision shall be consistent with the relevant provisions of
the Charter of the United Nations». Tale definizione condivisa non è stata ancora
raggiunta, ed è improbabile che lo sarà mai. Inoltre, lo Statuto prevede la possibilità
per il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di sospendere a sua discrezione le
iniziative della Procura della Corte, riducendo così la reale autonomia dell’icc.
Che l’aggressione sia un crimine internazionale è ripetuto ormai da quasi
un secolo. Tuttavia, il diritto internazionale non è riuscito ad individuare una defini-
zione chiara e condivisa di tale concetto. La dimensione giuridica e le implicazioni
politiche del concetto esame sono talmente legate da aver reso impossibile il rag-
giungimento di tale obiettivo. È nostro fermo convincimento, tuttavia, che la scienza
giuridica non debba rinunciare ad impegnarsi nella ricerca di nuove soluzioni al
problema. Abdicando al proprio ruolo si lascerebbe campo libero agli ancora nu-
merosi sostenitori dell’inesistenza del diritto internazionale.
In una prospettiva realista, il diritto internazionale non può essere definito
semplicemente come il diritto della comunità internazionale, avendo con ciò riguar-
do esclusivo ai soggetti le cui azioni vuole disciplinare. Esso è anzitutto un ordina-
mento giuridico che, come ogni ordinamento giuridico, ha come funzione la ricerca
della pace, funzione che esso persegue attraverso il controllo dell’uso della violenza
su vasta scala. In questa prospettiva, l’efficacia del diritto internazionale va consi-
derata alla luce della sua idoneità a produrre schemi normativi capaci di limitare gli
effetti più devastanti della violenza bellica.
Tuttavia, affinché l’ordinamento internazionale possa esercitare un effetti-
vo contenimento dell’uso della forza, è necessario che nessun soggetto dell’ordina-
mento possa considerarsi legibus solutus. L’attuale struttura onusiana sembra però
incapace di prevenire una simile deriva extra ordinem, e risulta anzi funzionale alle
aspettative egemoniche di alcuni attori internazionali.
La stessa possibilità di riforma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite pare
peraltro essere una via bloccata, atteso che gli unici soggetti che potrebbero dar vita
ad una sua effettiva riforma sono anche i più fedeli custodi dello status quo. E anche
l’esperienza di una istituzione come l’icc, che pure sembrava destinata a segnare una
svolta nel diritto internazionale, si sta rivelando fallimentare.
Tuttavia, se non è possibile trovare una soluzione teorica per uscire dall’em-
passe creata dall’assetto mondiale pianificato a Dumbarton Oaks nel 1944, è però
possibile immaginare nuovi scenari, di fronte ai quali il diritto internazionale potrà e
dovrà dare risposte decisive, specie ora che l’azione della Federazione Russa potreb-
be avere come esito la rimessa rin discussione proprio dello status quo fino ad ora
strenuamente difeso dalle Grandi Superpotenze.
Il diritto internazionale classico, troppo rapidamente dimenticato dopo la
Prima guerra mondiale, era riuscito ad elaborare un sistema di limitazione della
guerra che, pur con notevolissime lacune, aveva ottenuto risultati non trascurabili. Il
divieto di fare ricorso a certe armi, l’obbligo di rispettare alcuni diritti fondamentali

63
dei prigionieri, il divieto di rivolgere le armi contro la popolazione civile, sono solo
alcune delle conquiste ottenute dal diritto internazionale classico. La Prima guerra
mondiale cancellò i troppo fragili entusiasmi delle Conferenze dell’Aja del 1899 e
del 1907, e spinse i giuristi a concentrare la propria attenzione sul problema della
prevenzione della guerra piuttosto che su quello della implementazione del diritto
bellico. Gli orrori della nuova guerra meccanizzata, degli shrapnel e dell’iprite, dei
carri armati e della guerra aerea, parvero intollerabili, tanto da far pensare che non vi
fosse altra via d’uscita se non la “messa al bando della guerra” e quindi la crimina-
lizzazione della guerra di aggressione.
Non sfuggì ad alcuni, come Joseph Kunz36, che ‘dimenticare’ il cosiddetto jus
in bello avrebbe portato a conseguenze nefaste. Nella stessa direzione, Carl Schmitt
diagnosticò che ogni tentativo di abolire la guerra mettendola giuridicamente al bando
avrebbe prodotto «come unico risultato quello di dar vita a nuovi tipi di guerra, vero-
similmente peggiori, come la guerra civile o altri tipi di guerra di annientamento»37.
Il sistema delle Nazioni Unite ha messo al bando la guerra solo sul piano del
lessico normativo, ha fatto sì che si perdesse la distinzione tra guerra e pace, tipica
del diritto internazionale classico. I termini “guerra fredda”, “guerra umanitaria”,
“guerra al terrorismo”, “intervento umanitario”, “operazioni di pace”, “operazione
militare speciale” sono il segno del profondo mutamento del concetto di guerra. Essi
indicano azioni militari su vasta scala che comportano l’uccisione di uomini, eppure
non sono, sotto il profilo tecnico-giuridico propriamente delle “guerre”. Il fallimento
delle istituzioni internazionali nell’intento di assicurare una pace stabile e univer-
sale ha prodotto l’effetto di una legittimazione globale dell’uso della forza in nome
dell’umanità, della libertà e della democrazia, che è di gran lunga più esecrabile
della guerra di conquista territoriale, giacché è difficile immaginare che la democra-
zia sia esportabile con le armi o che l’umanità sia difesa disumanamente. È riemersa
così una nozione di guerra giusta connotata in senso moralistico e para-teologico,
in cui i contendenti non si trovano sullo stesso piano. Nella guerra discriminatoria
moderna i nemici sono nemici assoluti, si considerano reciprocamente barbari o in-
fedeli, e non si riconoscono alcun diritto. D’altro canto, lo stato di guerra e quello
di rappresaglia si differenziano per la natura dell’animus, dell’intenzione, che nel
secondo caso è quello della reintegrazione di un determinato interesse giuridica-
mente violato, sicché l’azione militare o di altra natura trova in questo fine il limite
invalicabile; nella guerra, invece, «si tende alla radicale negazione della personalità
dell’avversario e, fondamentalmente, quindi, di tutta la sua sfera giuridica, qual è
propria del tempo di pace»38.
Rimuovendo il concetto di guerra, è stato possibile interpretare le azioni bel-

  Kunz J., Plus de lois de la guerre?, «Revue générale de droit international public», vol. 41,
36

1934, p. 22 e ss.
37
  Schmitt C., Il Nomos della terra, Milano, 1991, p. 315.
38
  Quadri R., Diritto internazionale pubblico, cit., p. 247.

64
liche come atti di giustizia o di polizia internazionale. La prospettiva universalistica
del diritto internazionale post-classico permette di considerare il nemico come un
criminale, un nemico dell’umanità contro il quale qualsiasi mezzo è lecito. Come ha
sostenuto Carl Schmitt, in questa guerra che diventa mera azione a carattere puni-
tivo, «il nemico diventa semplicemente un criminale ed il passo successivo – vale
a dire la privazione dell’avversario dei suoi diritti e la sua depredazione, ovvero la
distruzione del concetto formale di nemico, che presupponeva ancora l’idea di justus
hostis – si compie allora praticamente da sé»39.
L’unica figura che nel diritto internazionale classico era stata considerata
hostis generis humani era quella del pirata. Nello spazio indefinito del mare aperto, il
pirata rivolgeva le proprie intenzioni predatrici indifferentemente contro ogni Stato.
Per questa ragione si riteneva che tutti gli Stati dovessero combattere la pirateria.
L’azione contro i pirati non era una ‘guerra’, ma era un’azione punitiva di giustizia
o una misura di polizia marittima internazionale. Essa era ‘apolitica’, in quanto non
considerava il pirata come justus hostis, ma come nemico assoluto. Nel diritto in-
ternazionale universale, invece, ogni hostis è ‘nemico dell’umanità’. In nome della
pace universale e della fede nell’umanità, viene sacrificata la limitazione della guer-
ra. Il nemico è un mostro disumano che non deve essere semplicemente sconfitto, ma
che deve essere distrutto. Ogni guerra combattuta in nome dell’umanità è una guerra
in cui un contendente cerca di appropriarsi di un concetto universale per potersi iden-
tificare con esso, a spese del nemico, con la terribile pretesa che al nemico va tolta
la qualità di uomo, che esso deve essere dichiarato hors-la-loi e hors-l’humanité e
quindi che la guerra dev’essere portata fino all’estrema inumanità40. Ma «l’umanità
in quanto tale non può condurre nessuna guerra, poiché essa non ha nemici, quanto
meno su questo pianeta»41. Anche il peggior nemico non cessa per questo di essere
un uomo. L’azione militare speciale della Federazione Russa, al di là delle immagi-
ni che si possono vedere nel corso di ogni conflitto armato qualificato, più o meno
propriamente come guerra (Viet Nam, Jugoslavia, Kosovo, Afghanistan, Iraq, Libia,
solo per limitarci a quelle più eclatanti), non mostra di avere alcuna di questa finalità.
Obiettivo del diritto internazionale dovrebbe essere oggi quello di eman-
ciparsi dal problema della eliminazione della guerra, e riconquistare la dimensione
giuridica del problema della guerra, ovvero quello della sua limitazione. È urgente
riprendere il discorso interrotto delle garanzie procedurali con cui il diritto interna-
zionale aveva tentato di ridurre le conseguenze più devastanti dei conflitti armati.
In questa direzione, il problema dell’aggressione rimane centrale. Tale questione va
riesaminata a partire dalla netta distinzione tra guerra di aggressione e aggressione.
Non dovrebbe essere compito del diritto internazionale definire il male, mentre do-
vrebbe impegnarsi nella definizione degli atti di aggressione, riprendendo la strada

39
  Ivi p. 36.
40
  Ibidem.
41
  Schmitt C., Il concetto di politico, in Le categorie del politico, Bologna 1972, p. 139.

65
indicata da Nikolas Politis, cercando al contempo di svincolarsi dal controllo diret-
toriale del Consiglio di Sicurezza. Si potrebbe così avere un rilancio di quello che
possiamo chiamare diritto internazionale dei conflitti armati o diritto internazionale
umanitario, basato necessariamente su di un concetto di guerra non discriminatoria,
ed evitare la difficile questione della iusta causa, ovvero della guerra giusta nella
sostanza e delle responsabilità di guerra. La questione dell’aggressione come attac-
co armato è più facilmente risolvibile di quella sulla giustizia della guerra, essendo
l’attacco una fattispecie concreta, diverso dal problema astratto della colpa42. Per
quanto possa sembrare biasimevole sul piano morale, la definizione di un concetto
di guerra legale servirebbe la causa della pace assai meglio dell’abolizione norma-
tiva della guerra. Un bellum legale, che tenti di definire l’illegalità del ricorso alla
guerra in base alla violazione di un requisito formale, è preferibile ad un  bellum
iustum che persegue il medesimo obiettivo ricorrendo al concetto di intrinseca ingiu-
stizia dell’aggressione43.
In un’ottica realista, è necessario superare l’attuale ordine mondiale favoren-
do la nascita di un nuovo assetto multipolare. Il diritto internazionale può forse poco
per favorire tale processo. Eppure, esso può dare il suo contributo alla creazione di
quello che Hedley Bull ha definito un «ordine politico minimo»44, in cui gli Stati
rinuncino ad una parte della propria sovranità a favore di una ‘regionalizzazione
policentrica’ del diritto internazionale, meno violenta e più ‘umana’dell’attuale uni-
polarismo universalistico.

4.2. L’ordinamento delle Nazioni Unite prevede due eccezioni al divieto di


ricorso all’uso della forza: quella dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che
conferma il diritto naturale – di natura consuetudinaria – alla legittima difesa45, in-
dividuale o collettiva, in caso di attacco armato, circoscritto dai tradizionali limiti
della necessità e della proporzionalità e dall’impegno assunto dagli Stati di ricon-
durre il conflitto alla competenza dell’Organizzazione («fintantoché il Consiglio di
Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza
internazionale»).
L’altra eccezione è rappresentata dal sistema della sicurezza collettiva pre-
vista dal Capo vii della Carta delle Nazioni Unite, che assegna al cds la competenza
esclusiva in materia di mantenimento della pace e della sicurezza.
Premesso, dunque, che non esiste alcun «diritto di fare la guerra»46, diversamente

42
  Schmitt C., Il Nomos della terra, cit., p. 360.
  Kunz J. L., Bellum Justum and Bellum Legale, in American Journal of International Law, Vol.
43

45, No. 3. (Jul., 1951), pp. 528-534.


44
  Bull H., La società anarchica. L’ordine nella politica mondiale, Milano, 2004.
45
  Sul punto vedremo trattarsi di improprietà di linguaggio.
46
  Kagan R., Il diritto di fare la guerra, Milano, 2004

66
da quanto sostenuto da un noto studioso americano fautore del “neoconservatorismo”47,
dobbiamo cercare di superare le analisi semplicistiche che ci vengono fornite e propor-
re altrettanto ragionevoli chiavi di lettura del conflitto in corso.

5. La questione consiste nello stabilire se, nell’ordinamento internazionale,


siano rinvenibili principî generali che trasformano le nozioni di lecito e illecito, quali
emergono dalle varie norme. Il problema della responsabilità quale emergenza della
violazione dell’ordinamento giuridico, non viene intaccato, perché si tratta solo di
vedere se un comportamento qualificato come lecito, dunque protetto dalle norme,
sia viceversa illecito in base ad un principio generale che funzioni come limite so-
stanziale delle norme stesse e se, al contrario, un comportamento illecito divenga, in
base ad un principio generale, lecito.
Circa il primo aspetto, si deve prendere in esame il caso del c.d. abuso di di-
ritto48. Non entriamo nel merito delle accese discussioni circa l’ammissibilità di det-
ta categoria nel di. Di certo si tratta di una nozione perturbatrice di ogni ordinamento
giuridico, giacché, sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza, sembra delimitare
le sfere rispettive di autonomia dei membri della Comunità. In sintesi, lo strumento
pare riconducibile all’idea di regime totalitario, indipendentemente dalla forma che
questo finisce per assumere, anche perché tra i suoi dati distintivi c’è l’irragione-
volezza e l’arbitrarietà del comportamento. Si conclude che ove l’abuso abbia una
funzione valutativa del comportamento e la costatazione dell’abuso richieda la sua
correzione, la realizzazione della finalità della norma dovrebbe ristabilire anche l’e-
quilibrio di interessi, la cui composizione è funzione primaria del diritto49.
Ebbene giacché si afferma che il recente conflitto in Ucraina ha come prece-
dente l’annessione russa della Crimea, è bene chiarire che la cessione , il 19 febbra-
io 1954, dell’oblast’ di Crimea, appartenente alla Repubblica Federativa Socialista
della Russia, da parte del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica alla Repubblica
Socialista dell’Ucraina, voluta da Nikita Chruščëv, Segretario Generale del pcus,
nato in Russia ai confini con l’Ucraina, ma etnicamente riconducibile a quest’ultima,
è espressione tipica di abuso di potere, in quanto la decisione venne assunta – né
poteva essere diversamente attesa la natura del sistema politico sovietico – senza
interpellare il popolo, mentre l’annessione della Crimea decisa da Putin è da consi-
derarsi quale obbligato rimedio al riconosciuto abuso precedentemente compiuto in
danno della Russia, che si è vista privare di parte del suo territorio e della Penisola
di Crimea, non interpellata circa la sua annessione all’Ucraina.
Non solo: la (ri)annessione della Crimea alla Russia si ebbe a seguito di un

47
  Id., Paradiso e potere. America ed Europa nel nuovo ordine mondiale, Milano, 2003, conside-
rato il manifesto del neo-conservatorismo.
48
  Cfr. Kiss A. C., L’abus de droit en droit international, Paris, 1953.
49
  Martines F., L’abuso del diritto nell’ordinamento internazionale, in http://hdl.hndle.
net/11568/884532.

67
regolare referendum, disertato dalle minoranze tatara e ucraina, alle quali non era
certo stata impedita la partecipazione.
Il paggio dell’oblast’ di Crimea deciso nel 1954 violava comunque l’art.
18 della Costituzione sovietica, in quanto i confini di una Repubblica dell’urss non
avrebbero potuto essere ridisegnati senza l’assenso della Repubblica interessata al
cambiamento. È ben vero che il Presidium della Repubblica Socialista Sovietica di
Ungheria (rssu) si espresse favorevolmente, ma non avrebbe avuto l’autorità per sot-
toscrivere il passaggio. La modifica costituzionale necessaria per il passaggio ebbe
luogo diversi giorni dopo, sicché il Presidium dovette emettere una pronuncia con
effetto retroattivo. La giustificazione del passaggio fu che la cessione doveva inten-
dersi come atto nobile del popolo russo per commemorare il trecentesimo anniver-
sario della riunificazione dell’Ucraina con la Russia (Trattato di Pereyaslav del 1654
fra Emanato cosacco ucraino e lo Zar Alexey Mikhailovich) viepiù considerata la
prossimità territoriale della Crimea all’Ucraina. Ma al di là delle motivazioni ufficia-
li è che Chruščëv,con quella mossa, si proponeva di dimostrare come il trasferimen-
to fosse un modo per fortificare il controllo sovietico sull’Ucraina. Infatti, 860.000
russi sarebbero andati a sommarsi alle minoranze russe già presenti in Ucraina50.
La decisione di Putin del 2014, per ammissione dello stesso Gorbačëv, co-
stituiva il giusto modo per sanare un’”ingiustizia storica”: una buso di diritto51 se
si considera che il Segretario Generale del pcus non aveva titolo per assumere la
decisione che poi assunse.
Mentre l’abuso di diritto avrebbe per effetto la trasformazione in illeciti i
contegni leciti, il diritto di conservazione, detto anche diritto all’esistenza, avrebbe,
al contrario, l’effetto di trasformare in leciti contegni illeciti. In altri termini, ove si
ammettesse questo diritto dei soggetti di di, tutte le norme particolari, protettive di
questa o quella sfera di interessi, sarebbero subordinate ad esso o da questo condizio-
nate. È anche per questo motivo che si parla di un limite generale al funzionamento
di tutte le norme internazionali. Giacché è inammissibile supporre che gli Stati ab-
biano mai pensato di rinunciare alla tutela dei loro interessi vitali, ogni norma giuri-
dica si arresterebbe laddove una Stato si ponesse come assertore dei detti interessi.
Ne consegue che lo Stato che miri alla preservazione e difesa dei suoi interessi vitali
sarebbe internazionalmente libero di compiere ogni azione a danno altrui. Talvolta,
questa tesi viene difesa in base al criterio della c.d. prevalenza degli interessi e giac-
ché l’interesse alla conservazione è di tutti il principale, esso prevarrebbe su quelli
minori degli altri Stati, la violazione della cui sfera giuridica parrebbe pienamente
legittimata. Da notare che lo Stato danneggiato dallo Stato che agisce ai fini della
conservazione non è tenuto a sopportare senza reagire un tale comportamento. Nel-

  Analogo approccio venne seguito in Lettoni ed Estonia, che prima del 1940 avevano pochi
50

abitanti russi.
  Sull’abuso di diritto, più diffusamente cfr. Scerni M., L’abuso di diritto nei rapporti interna-
51

zionali, Roma, 1930.

68
la dottrina americana è frequente il ricorso al concetto equivalente di right of sel
preservation, intrecciato con il case of necessity, concetto da non confondere con
quello di self defense (legittima difesa). Infatti, il concetto di self-preservation è de-
cisamente più ampio, elastico, indeterminato, di quello di self defense, quest’ultimo
avendo riguardo solo ad un concreto pericolo del quale già si conosce l’autore e del
quale si sono già prodotte le circostanze, mentre il primo ha riguardo solo a pericoli
eventuali, indeterminati in tutti i loro elementi fondamentali52. Ritengo emerga in
modo evidente il carattere unilaterale di una simile teoria, la quale può giustificare
ogni genere di abusi, viepiù considerato che gli interessi semplici degli Stati non
costituiscono giustificato motivo di violazione delle sfere altrui. A nostro avviso,
proprio per l’implicito rischio di abusi, di arbitrî, la categoria della necessità come
categoria generale del di deve essere respinta.

6. Scriveva Rolando Quadri che l’«autotutela» non è «procedimento co-


ercitivo» di attuazione del di, malgrado in tal senso venga generalmente definito53.
L’Autore chiarisce che l’autotutela non è identificabile nell’azione in sé, bensì «nella
libertà che il di rilascia all’offeso di agire contro la sfera dell’aggressore». In questo
senso è da intendersi come «sanzione» del di giacché connessa all’illecito compiuto.
Con ciò ci si intende riferire al fatto che l’offensore non può invocare l’autorità del
di contro il soggetto che, destinatario dell’offesa, agisca contro la sua sfera giuridica.
In questo senso, gli atti dell’offeso, nel caso di specie bombardamenti dell’Ucraina
contro i villaggi russi situati ai suoi confini, che sarebbero illeciti divengono leciti
in ragione dell’offesa subita e questo anche ove questa sia lecita, come quella che la
Russia ha condotto in danno dell’Ucraina, come si dirà nel prosieguo.
Va da sé che l’offeso non è obbligato sopportare l’azione condotta in suo
danno, ma è legittimato a resistere.
La nostra attenzione si sofferma ora sulla categoria della legittima difesa54,
che segna una rottura fra dottrina e realtà. In tutti i problemi fondamentali si costata la
propensione a camuffare le lacune, le contraddittorie possibilità di interpretazione ed
i limiti del di. Di un tanto si ha contezza nel momento in cui si richiama la pace e la si-
curezza, invocati con lo stesso zelo con cui si prende atto della realtà di un mondo che,
per quanto disciplinato da un ordinamento giuridico compiuto è quantomai imperfet-
to. Ci si abitua così a dare per scontato il legame tra norma di di e il comportamento
effettivo degli Stati senza premurarsi di verificare se detto legame esista davvero. Più
aumenta lo scarto più appare necessario fornire una compensazione dottrinale alla

52
  Per un’analisi dei due concetti e per una critica della categoria della self-preservation, cfr. Lean-
za U., Fenomeni di contiguità aerea nel diritto internazionale, Napoli, 1961, p. 142 ss. Cfr. anche Singh
P.K., Nuclear Weapons in International Law, London, 1959, p. 108 ss.
53
  Quadri R., Diritto internazionale pubblico, cit., p. 264.
54
  Sul punto, cfr. Delivanis J., La legitime defense en droit international public moderne (Le droit
international face à ses limites), Paris, 1971.

69
realtà, specie quando ci si trova innanzi a fatti gravi come quelli degli ultimi mesi.

6.1. Dalla fine della Seconda guerra mondiale sino agli inizi del 1990, la
Russia controllava uno spazio che dalla Germania dell’Est si estendeva al Pacifico,
al Caucaso fino a lambire la catena montuosa dell’Hindu Kush. Con la fine della
“guerra fredda” e soprattutto dopo la fine dell’urss, la Russia ha arretrato il suo con-
fine occidentale di oltre 1.000 Km. Il potere russo non era mai indietreggiato di così
a oriente nel passato.
Da quel momento, approfittando della debolezza russa, l’Ucraina ha iniziato
la sua lenta, seppure non rettilinea, marcia di avvicinamento all’Europa occidentale e
agli Stati Uniti. Allontanandosi progressivamente dalla Russia, ha segnato un punto
di rottura nella storia russa. Per la Federazione Russa, il periodo post-Guerra Fredda
è finito con il colpo di Stato ucraino del 201455. Mosca ha interpretato quel fatto
come il tentativo degli usa di assorbire l’Ucraina nella nato, favorendo con ciò la
definitiva disintegrazione della Russia come Grande Potenza. L’obiettivo dell’Occi-
dente era chiaro: chiudere la partita della “guerra fredda” chiudendo in un angolo la
Russia rendendola indifendibile., atteso che la Bielorussia e il confine sudocciden-
tale «non offrirebbe, infatti, alcun ostacolo all’ingresso di un potenziale nemico»56.
Questo è il motivo che ha indotto la Russia a elaborare una strategia volta a ricreare
la sua sfera d’influenza nelle regioni dell’ex urss. Un dato è certo: la ritirata della
Potenza russa si è arrestata nella notte tra il 23-24 febbraio 2014, quando un colpo
di mano portato a termine con la complicità di parte delle Cancellerie occidentali ha
defenestrato il Presidente filorusso dell’Ucraina Viktor Janukovyč.
Gli Stati Uniti ed i Paesi dell’ex Patto di Varsavia si sono subito attivati
per ostacolare il disegno russo, ma, come rilevato acutamente, «anche se la Russia
non riuscisse a conquistare il suo status di Potenza globale nel prossimo decennio,
essa lotterà comunque con tutte le sue forze per restare almeno una Grande Potenza
regionale. E questo non potrà non portare a un conflitto…con la Nato e i Big three
dell’Unione Europea (Berlino, Parigi, Londra)»57. E ancora: «Pressato dalle enormi
difficoltà economiche e militari, il nuovo governo di Kiev difficilmente potrà sfug-
gire al suo destino di «Stato Marionetta», i cui fili saranno tirati questa volta dalla
Casa Bianca e dalla Cancelleria di Berlino»58. A ciò si aggiunga lo spostamento a
est dell’Alleanza Atlantica, cui abbiamo fatto riferimento in precedenza, in dispre-
gio degli impegni assunti con Mosca prima dell’unificazione tedesca, impegno che

55
  Cfr. Sulle prove che le manifestazioni “antisistema” Maidan a Kiev erano eterodirette, si riman-
da a Cecchini G.L., Liani G., Il colpo di Stato. Media e diritto internazionale, Padova, 2012. Per il caso
specifico, cfr. il capitolo ii di Liani G., Le rivoluzioni colorate ovvero come dipingere i colpi di Stato,
pp. 53-121.
  Di Rienzo E., Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo dis(ordine) mondiale, Soveria
56

Mannelli, 2015, p. 8.
57
  Ibidem.
58
  Ivi, p. 9.

70
aveva come scopo favorire il ritiro delle truppe dell’Urss dalla Germania orientale59.
Come siano andate effettivamente le cose, dunque, è noto e uno sguardo veloce alla
carta geografica aiuta a comprendere meglio come stiano le cose e quali siano state,
visto il clima politico generale, le fondate preoccupazioni russe.
Fatta questa breve premessa politico-militare, riteniamo che l’ «operazione
militare speciale» della Federazione russa non sia giuridicamente inquadrabile come
guerra di aggressione, anche perché rebus sic stantibus è difficile attribuire questa
qualifica a qualsivoglia conflitto armato per le ragioni ampiamente discusse in pre-
cedenza, bensì sia qualificabile come misura di legittima difesa (preventiva), figura
sostenuta da larga parte della dottrina internazionalista statunitense finanche nella
variabile decisamente arbitraria qual è quella della conservazione, con la quale si
tende spesso a confonderla. Nel caso della conservazione, infatti, è il soggetto agente
a decidere quando ricorra l’esistenza di una situazione di pericolo, il che può accade-
re anche quest’ultima non si sia concretamente determinata. Ciò significa che questa
categoria non si collega all’illecito (anche solo in fieri) altrui60.
La legittima difesa, come da noi intesa, è estranea all’idea di conservazione
e, a maggior ragione, a quella di necessità61, anche se vi sono circostanze nelle quali
il di l’ammette. È questo il caso, ad esempio, dello Stato che si trovi a fronte ad un
pericolo grave, imminente o attuale, che minacci la sua esistenza (territoriale, politi-
ca, personale) e al quale non sia possibile sottrarsi se non violando la sfera giuridica
del soggetto i cui contegni sono all’origine della minaccia.
Giacché la rappresaglia si esprime nella violazione della sfera giuridica altrui
a seguito di un torto già subito, giocoforza nella legittima difesa l’azione di autotutela
non può che proporsi l’obiettivo di impedire che il torto venga consumato. Ne conse-
gue che la rappresaglia è difesa successiva dell’ordine giuridico, laddove la legittima
difesa non può che avere natura preventiva, tesi questa non maggioritaria tra gli Auto-
ri del Continente europeo, ma fondata su un a logica stringente che non premia certo
i voli pindarici di argomentazioni tanto astratte quanto dettate da pregiudizio pseudo-
pacifista. Non solo: la legittima difesa ha come oggetto specifico quello di impedire
che l’attacco militare altrui venga compiuto e nel mitigarne gli effetti.

59
  E che si tratti di un impegno assunto dalle massime autorità statunitensi, germaniche e Nato è
confermato da Itzkowitz Shifrinso J, R., Put It in Writing How the West Broke Its Promise to Moscow,
in Foreign Affairs, 29, 2014.
60
  È davvero singolare che proprio il governo statunitense gridi allo scandalo, condanni l’azione
russa visto che la dottrina internazionalista di quel Paese è proprio così orientate. Ma l’ironia giunge
all’apice quando si è affermato che la Russia non aveva motivo di temere alcunché. Premesso che ciò
non risponde propriamente al vero, ma anche fosse stato così per la dottrina statunitense della conser-
vazione ammette l’azione militare. Risaliamo un po’ indietro nel tempo e ricordiamo il caso di Grenada
che certo non poteva costituire una minaccia al territorio statunitense. Sul caso, cfr. Cecchini G.L.,
Problemi giuridici sollevati dal caso di Grenada, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1984.
  Per l’ammissibilità della sola legittima difesa, cfr Leanza U., Fenomeni di contiguità aerea,
61

Napoli, 1961, p. 150 ss.

71
Ciò detto, non si può certo sostenere che il di non conosca l’istituto della
legittima difesa62 come istituto autonomo, sicché rappresaglia e guerra non possono
considerarsi esaustive della teoria dell’autotutela. È in errore Kelsen quando afferma
che l’istituto della legittima difesa presuppone un ordine giuridico centralizzato di
tipo statale che, dotato del monopolio della tutela giuridica, consideri l’autotutela
individuale quale misura di carattere eccezionale. In realtà, e le vicende belliche
successive alla seconda guerra mondiale lo stanno a dimostrare, anche nel di si deve
stabilire se di fronte alle norme generali del di di pace che tutelano l’integrità terri-
toriale altrui e a quelle che fanno divieto della guerra (aggressione) vi sia una norma
che, in certi casi, consenta di compiere azioni violente in deroga alle prime. Come
sopra anticipato, tutti i conflitti post 1945 sono stati qualificati (erroneamente) come
“guerra” solo perché si trattava di confronti armati tra forze militari contrapposte.
Gli è che, tecnicamente, sotto il profilo giuridico, non tutti i confronti armati sono
“guerre”. Dunque, premesso che per aversi legittima difesa è necessario che sussista
una concreta, provata minaccia di aggressione (e certo l’espansione a Est della nato
e l’individuazione dell’Ucraina come “testa d’ariete” in funzione anti russa ne sono
una sufficiente controprova), è accaduto talvolta che la legittima difesa sia stata con-
fusa ora con la rappresaglia ora con il principio che legittima la resistenza, entrambi
successivi all’attacco subito.
La seconda “confusione” porta a considerare la legittima difesa nel fatto della
resistenza ad un attacco illecito altrui (aggressione), che è l’ipotesi dell’art 51 della
Carta delle Nazioni Unite63. Gli è che la resistenza alla violenza è sempre lecita anche
se l’attacco è legittimo, com’è il caso della resistenza ucraino e dell’azione russa.
Parlare poi di guerra di legittima difesa è ‘senza senso’se la si considera
come resistenza ad una aggressione illegittimamente compiuta giacché la guerra
come status già esiste nel momento in cui ha inizio la resistenza. Non solo: si dimen-
tica che chi resiste all’aggressione non muove guerra, ma agisce nella situazione di
guerra già creata dall’avversario.
Pertanto deve riguardarsi come errata la configurazione data alla legittima

  Negano la categoria della legittima difesa Strupp K., Éléments du droit international public,
62

universel, européen et american, Paris, 1930, p. 290; Kelsen H., Principles of International Law, Clark,
New Jersey, 2011; Ago R., Le délit international, in Recueil des Cours, 1947, p. 538 ss.; Kunz J. L.,
Individual and Collective Self-Dfence in art. 51 of the Charter of the United Nations, in American
Journal of International Law, 1947, p. 875 ora in https://www.Individual and Collective Self-Defense
in Article 51 of the Charter of the United Nations | American Journal of International Law | Cambridge
Core ritiene che la legittima difesa sia ammissibile in quanto vi sia un divieto generale della guerra. Si
dimentica, però, che anche in tempo di pace vi possono essere azioni violente illecite non belliche e,
comunque, l’art. 51 non prefigura la legittima difesa come da noi qui illustrata bensì il caso di resisten-
za, sempre ammesso e lecito.
63
  Lamberti Zanardi P., La legittima difesa nel diritto internazionale, Milano, 1972 ora consulta-
bile in https://www.La legittima difesa nel diritto internazionale (Self-defense in international law). By
Lamberti Zanardi Pierluigi. Milan: Dott. A. Giuffrè Editore, 1972. pp. xii, 313. L. 4,200. | American
Journal of International Law | Cambridge Core.

72
difesa dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite atteso che essa consente solo di
resistere di fronte ad un attacco già consumato e in atto, e non è certo questo il caso
dell’«operazione militare speciale russa».
Definire la Federazione Russa come “aggressore” è dunque una forzatura,
giacché il criterio dell’anteriorità dell’uso della violenza non ha risolto le incertezze
relative alla definizione dell’aggressore, trattandosi di una soluzione apparente atte-
so che, ad esempio, gli incidenti di frontiera non sono assimilabili all’aggressione,
pur essendo difficile stabilire fin dove possa parlarsi di mero incidente di frontiera.
Di certo, le manovre militari della nato denominate Sea Breeze 2021, svoltesi dal 28
giugno al 10 luglio nell’area Nord-Occidentale del Mar Nero, guidate da Kiev (che
non era e non è, ancora, membro nato, ma da questa Organizzazione considerata
partner prezioso) e dagli Stati Uniti non possono dirsi certo casuali, perché l’obietti-
vo era quello di permettere alle truppe ucraine di interagire con quelle dell’Alleanza
Atlantica. La seconda fase delle manovre, quella delle esercitazioni vere e proprie, si
è svolta a ridosso dei confini russi. Un precedente possiamo coglierlo nella giusta de-
cisione di Israele di attaccare l’Egitto in quella che è nota come guerra dei sei giorni.
Va poi ricordato che il Patto Briand Kellog del 1928 che mise fuori legge
la guerra come strumento di politica nazionale, consentiva la guerra mossa nell’im-
minenza di un attacco illegittimo, e il rischio di attacco non era fantasia o isteria
moscovita, ma era nelle cose fin da quando lasciando precipitosamente l’Afganistan,
il Presidente americano Biden si era premurato di chiarire che avrebbe incrementato
la presenza militare alla frontiera orientale dell’Europa. A quale scopo?
Gli Stati Uniti in una nota del 23 giugno 1928 andarono al di là del Patto
citato affermando che il diritto di legittima difesa è «inerente ad ogni Stato sovrano
e implicito in ogni Trattato. Ogni Nazione è libera in ogni tempo e senza riguardo a
disposizioni convenzionali di difendere il proprio territorio da attacchi ed invasioni
ed è sola competente a decidere se la circostanza richiedono il ricorso alla guerra di
legittima difesa»64. Il difetto della formula, al di là della errata figura della guerra
di legittima difesa, sta nella sua imprecisione che porta a giustificare ogni forma
di violenza preventiva. La legittima difesa, come da noi qui intesa, non può essere
invocata se il pericolo non è grave e imminente.
Dunque, quella della Federazione Russa contro l’Ucraina non è configura-
bile come “guerra di aggressione”, giacché lo status di guerra può essere meglio ap-
prezzato attraverso l’animus, l’intenzione che, nel caso di specie tende alla radicale
negazione dell’avversario e, fondamentalmente, quindi, di tutta la sua sfera giuridica
qual è proprio del tempo di pace. Ne consegue che alla guerra non è assegnabile
alcun limite dal punto di vista degli scopi da conseguire. Chi afferma che quella
russa è una guerra di aggressione perché come tutte le guerre avrebbe come scopo la
debellatio, non considera che questa non è necessariamente lo scopo ultimo di una
guerra perché per aversi debellatio è necessario che l’occupatio bellica si estenda a

64
  Quadri R., op. cit., p. 273.

73
tutto il territorio facendo così cessare la personalità dello Stato occupato. Se questa
fosse stato l’animus bellandi russo, è verosimile che sarebbero stati impiegati più
uomini e mezzi di ultima generazione, mentre l’impressione che si ha è che mezzi
(superati) e uomini siano stati impiegati in numero limitato, con le conseguenze
che conosciamo. Chi invece accredita l’idea di un animus bellandi russo finalizzato
all’eliminazione totale dell’avversario ha la memoria corta e dimentica il Viet-Nam,
l’Iraq, l’Afganistan, Grenada65.

7. L’articolo 11 della Costituzione, pur composto di un unico comma, intro-


duce due principî tra loro strettamente correlati. Con riguardo al primo, che è quello
che più interessa in questa sede, la decisione di inserire, operata dai Costituenti, nella
Carta fondamentale una disposizione che esprimesse il rifiuto netto e la condanna nei
confronti della guerra, intesa sia come forma di aggressione sia, più genericamente,
come ricorso alla forza per la risoluzione di eventuali controversie internazionali,
muoveva dalla risonanza forte che entrambi i conflitti mondiali – in particolar modo
quella del secondo – avevano lasciato nell’opinione pubblica. E ciò a prescindere
dal fatto che i successivi artt. 78 e 87 par.2 attribuiscano rispettivamente alle Came-
re la deliberazione e al Presidente della Repubblica la dichiarazione dello “stato di
guerra”. Questa, come altre disposizioni della nostra Costituzione, è stata il frutto
di un compromesso risultante da sensibilità e orientamenti ideali differenti. Così,
inizialmente, era stata avanzata dall’on. Dossetti una proposta di emendamento che
prediligeva l’utilizzo di termini come «rinunzia (…) alla guerra come strumento di
conquista e di offesa alla libertà di altri popoli», cui è stato contrapposto l’emenda-
mento presentato dell’on. Cairo, mutuato dalle Costituzioni asiatiche, che invece si
poneva l’obiettivo di rinunciare all’utilizzo delle armi in generale, in modo tale di
porre l’Italia in una posizione di neutralità sullo scacchiere internazionale. Si preferì
soprassedere a questa ultima proposta per il timore che non potesse trovare giustifi-
cazione un’azione difensiva in risposta ad un eventuale attacco esterno al territorio
italiano. Tra questi due ‘estremi, è dunque risultata vincente la formulazione che
oggi conosciamo, anche se la Costituzione non fa riferimento alcuno al diritto di re-
sistenza. Ma il fatto che l’Italia non sia un Paese neutrale non significa che sia tenuta
a partecipare a qualsivoglia operazione solo perché decisa da un Organizzazione
internazionale, essendo sempre libera di decidere volta a volta quale sia l’operazione
meritevole della sua presenza. E checché se ne pensi, questa decisione prescinde dal
diritto, ma è una decisione politica.
Inoltre, oggi è possibile constatare come il concetto di guerra abbia subito

  Si lamentano stupri da parte russa, cosa davvero riprovevole se provata, ma non si considera che
65

queste tragedie non interessano solo gli eserciti di un Paese a guida autoritaria, ma riguarda tutti i Paesi,
compreso il nostro su cui grava l’accusa di stupro durante la missione in Somalia. Alla fine degli anni
Novanta. Eppure al tema i media non dedicarono spazi particolari né si gridò allo scandalo, né si pensò
di considerare il Presidente della Repubblica un criminale di guerra. Eppure la nostra posizione era
ancora peggiore di quella in cui si trovano a operare le truppe russe, perché noi eravamo i “liberatori”.

74
una drastica trasformazione rispetto al periodo in cui il nostro Testo fondamentale
è stato redatto. Infatti, se all’epoca la guerra era intesa come atto di aggressione,
dunque come evento in grado di minacciare la pace ovvero comportarne la rottura;
in tempi a noi più vicini sono stati legittimati i cosiddetti interventi umanitari che
prevedono il ricorso alla forza armata in quanto tesi a far cessare gravi violazioni
dei diritti umani in territori esterni rispetto ai confini nazionali66. Ma su questo come
su altre questioni relative al problema “guerra”, la dottrina italiana non ha una po-
sizione uniforme, tutt’altro, solo che si consideri che, secondo alcuni autori, noi fra
questi, tali interventi sarebbero illegittimi, mentre altri ritengono che l’Italia non si
sarebbe semplicemente adeguata ad una consuetudine internazionale che troverebbe
la propria ragion d’essere nel dovere gravante su tutta la Comunità internazionale di
salvaguardare i diritti umani.
La partecipazione delle Forze Armate italiane ad operazioni multinazionali
deve essere conforme ad una serie di norme, talune dettate direttamente dalla nostra
Costituzione ed altre di origine internazionale, che sono presenti nel nostro ordina-
mento in virtù dei principi di adattamento sia alla consuetudine internazionale sia ai
trattati di cui l’Italia è parte come lo statuto istitutivo delle Nazioni Unite. Norme
costituzionali e norme di origine internazionale dettano una serie di principi che non
possono essere assolutamente ignorati. Il principio fondamentale è dettato dall’art.
11 della Costituzione, da annoverare, nel suo nucleo essenziale, tra i principi cardine
del nostro ordinamento. L’art. 11, ispirato al Patto Kellog-Briand del 1928 che san-
cisce il divieto della guerra e in particolare della guerra di aggressione, prescrive il
ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. L’interpretazione più coeren-
te con l’origine storica dell’art. 11 e con l’evoluzione del sistema internazionale è
quella secondo cui l’art. 11 vieta non qualsiasi uso della forza, ma la sua espressione
più grave, cioè la guerra di aggressione. Occorre poi tener conto dei divieti di origine
internazionale e in particolare del principio del divieto dell’uso della forza incorpo-
rato nella Carta delle Nazioni Unite, che ha ormai assunto natura consuetudinaria,
come è espressamente affermato dalla giurisprudenza internazionale. Il principio di
cui alla Carta delle Nazioni Unite ha una portata più ampia dell’art. 11 della Costitu-
zione, poiché è vietato l’uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipenden-
za politica di qualsiasi Stato o in ogni modo incompatibile con i fini della Carta delle
Nazioni Unite. Il solo uso della forza ammissibile è quello intrapreso in legittima

66
  Tali interventi, deliberati legittimamente dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o, meno
legittimamente, dalla Nato, atteso che questa organizzazione che non può certo considerarsi il braccio
armato dell’onu, sono le cosiddette “operazioni di polizia internazionale” ovvero le missioni di “peace
keeping” o “peace enforcing”, che hanno portato al superamento del principio di non ingerenza nella
giurisdizione domestica degli Stati colpevoli di genocidio, pulizia etnica, deportazioni etc. Tra le tante
operazioni cui l’Italia ha partecipato, è possibile ricordare quelle in Rwanda (1994), Somalia (1992),
Kosovo (1999). Ha rappresentato un’eccezione l’intervento militare dell’alleanza anglo-americana in
Iraq (2003), intrapreso senza una preventiva risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

75
difesa/resistenza o su autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
I principî ora esposti non si prestano a dubbi. Quello che invece è controverso è la
loro interpretazione, giacché, come sopra ricordato, la Comunità internazionale non
ha ancora definito la nozione di aggressione.67
A parte il caso di legittima difesa (nel senso di resistenza, art. 51 Carta Na-
zioni Unite) la forza armata può essere impiegata quando sia autorizzata dal cds.
Una delle fattispecie più importanti è oggi costituita dall’intervento umanitario, cioè
dall’ingresso in territorio altrui per salvaguardare i cittadini dello Stato territoriale
dal genocidio o comunque da trattamento inumani e degradanti. Il problema è che si
deve essere certi che le violazioni siano configurabili come genocidio o altra gross
violation, perché oggi più che mai la guerra si vince con la propaganda e con la
demonizzazione dell’avversario. Personalmente, memore dei ritardi con cui sono
intervenuti gli Alleati nel corso del Secondo conflitto mondiale, una volta verifica-
ta l’esistenza delle dette violazioni, ritengo che si possa procedere con operazioni
individuali o interventi collettivi, giacché, vista la composizione del cds, da questo
potrebbe non giungere mai l’autorizzazione, considerato il diritto di veto ricono-
sciuto a Cinque Grandi membri di detto organismo. È comunque certo che non può
considerarsi sufficiente la sola autorizzazione di un’organizzazione regionale68. Non
solo: l’autorizzazione del cds non può essere né presunta né implicita. È ben vero
che un’autorizzazione ex post può sanare l’iniziale illiceità dell’intervento, come è
avvenuto per il Kosovo, in virtù della risoluzione 1244 (1999), ma non si può non
negare la strumentalità di quell’atto e quanto poco corretto, sul piano formale, sia da
considerare un tale modo di procedere, non foss’altro per i dubbi che una tale deci-
sione potrebbe alimentare.
Il discorso che più interessa oggi per le conseguenze importanti che ne deri-
vano è quello relativo alla struttura unitaria dell’art. 11. È importante sottolineare la
profonda coerenza interna della disposizione che rende inammissibile ogni tentativo

  Esiste in materia una risoluzione dell’Assemblea generale (Ag) delle Nazioni Unite (ris. 3314-
67

xxix, del 14.12.1974), ma le risoluzioni dell’Ag non sono giuridicamente vincolanti. L’art. 5 dello Sta-
tuto della Corte penale internazionale qualifica come crimine internazionale l’aggressione, ma ne rinvia
l’operatività al momento in cui tale crimine sarà definito con un apposito emendamento allo Statuto. La
giurisprudenza internazionale si è limitata finora a distinguere tra forme più gravi e forme meno gravi
di uso della forza, ma non si è soffermata sulla definizione di aggressione. Spetterebbe al Consiglio
di sicurezza, a termini dell’art. 39 della Carta delle Nazioni Unite, stabilire se uno Stato debba essere
qualificato come aggressore. Ma in pratica questo non avviene. Peraltro, se uno Stato dovesse essere
considerato come aggressore dal Cds, l’Italia non potrebbe partecipare ad un’azione militare in alleanza
con l’aggressore, pena la violazione della Carta delle Nazioni Unite e dell’art. 11 della Costituzione,
con tutte le conseguenze prospettabili anche sotto il profilo penalistico per gli organi di governo impli-
cati nell’azione aggressiva. Il diritto alla legittima difesa, stabilito dall’art. 51 della Carta delle Nazioni
Unite, è un diritto connaturato con la stessa esistenza degli Stati e non richiede autorizzazione alcuna
dal Cds per poter essere esercitato.
  Nel caso di Grenada, l’autorizzazione a intervenite fu deliberata dall’oas, Organizzazione degli
68

Stati Americani.

76
di lettura separata delle proposizioni di cui si compone, poste fra loro in evidente
sequenza logica. Inammissibile, in particolare, è il tentativo di ricavare dalla lettura
separata significati parziali non coordinati fra loro e addirittura confliggenti con la
ratio unitaria della disposizione al preciso scopo di neutralizzare il valore forte del
‘ripudio’. Per perseguire meglio l’intento ‘separatista’ si è giunti persino a parlare
di primo e secondo comma riguardo ad una disposizione nella quale non esistono
commi e neppure parti separate, ma soltanto proposizioni divise fra loro non da un
punto, ma da un punto e virgola; anzi da una semplice virgola fino alla redazione
posteriore all’approvazione dell’articolo da parte dell’Assemblea69. L’art.11 è una
disposizione unitaria anche nella costruzione formale, sicché l’argomento essenziale
è l’unità logica della disposizione, posto che la cosiddetta seconda parte è funzio-
nale alla prima, ne costituisce il seguito e al tempo tesso l’indispensabile premessa:
«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e
come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizione
di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento
che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organiz-
zazioni internazionali rivolte a tale scopo» (art. 11). I due periodi sono strettamente
collegati tra di essi. La Costituzione repubblicana considera dunque la solidarietà
e la giustizia fra le Nazioni come condizioni indispensabili per fondare la pace in
una nuova convivenza fra i popoli70[33]. Al ripudio della forza come strumento di
risoluzione delle controversie internazionali si accompagna il fermo proposito di
creare fra i popoli tutti legami positivi e non più cruente barriere. La conseguenza
inevitabile dell’impostazione rinnovata è il consenso espresso nel testo costituzio-
nale a limitazioni della sovranità, in reciprocità ed uguaglianza con gli altri Stati:
se pace e giustizia tra le Nazioni costituiscono valori preminenti rispetto alla stessa
sovranità dello Stato, le limitazioni a quest’ultima - necessarie a un ordinamento che

69
  Nella seduta pomeridiana del 24 marzo 1947 è stata formulata la seguente disposizione: «L’Ita-
lia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali, e consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento internazionale, che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni».
70
  È bene ricordare la distinzione fra due forme di pace, quella negativa intesa unicamente come
non guerra, e quella positiva, realizzabile soltanto promuovendo la giustizia sociale ed eliminando le di-
seguaglianze. Il tenore della disposizione evidenzia come i Costituenti, avessero in mente anche questo
secondo concetto di pace, non solo l’assenza di guerra, ma la presenza di condizioni in grado di favorire
la conservazione della pace. E non c’è dubbio che l’adesione ai pacchetti di sanzioni deliberate contro
la Russia non va in questa direzione. Non dimentichiamo che sanzioni durissime vennero applicate
alla fine della Prima guerra mondiale contro la Germania e ciò fu all’origine del Nazismo, così come
dure furono le sanzioni deliberate contro l’Italia a seguito della guerra di Abissinia che portarono ad
un inasprimento del Regime fascista e probabilmente ne favorirono l’avvicinamento a quello Nazista.
Non solo: le sanzioni producono effetti negativi sia sulla popolazione del Paese che ne è diretto destina-
tario, sia nei confronti dei cittadini del Paese destinatario dell’attacco militare. Per rimanere al caso in
esame, a farne le spese saranno anzitutto i cittadini sia russi che ucraini e un tanto potrebbe ingenerare
reazioni che vanno nella direzione opposta a quelle che si vorrebbero essere misure di consolidamento
della pace.

77
assicuri pace e giustizia - non possono non venire accolte. Purché, s’intende, si tratti
davvero di partecipazione a «organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo»; una
sottolineatura importante che la Corte costituzionale medesima non ha mancato di
evidenziare in modo assai chiaro. L’art. 11 non giustifica limitazioni necessarie a
raggiungere qualunque fine dell’organizzazione internazionale, ma soltanto limita-
zioni necessarie alla pace e la giustizia fra i popoli: «le condizioni e le ‘finalità’ cui
… sono subordinate le ‘limitazioni di sovranità’, sono quelle stabilite ‘ivi’, cioè…
nell’art.11 della Costituzione». Non dunque le finalità proprie di ogni trattato giu-
stificano limitazioni: «è il trattato che, quando porta limitazioni alla sovranità, non
può ricevere esecuzione nel Paese se non corrisponde alle condizioni e alle finalità
dettate dall’art.11 Cost.»71.
Si è cercato da subito di limitare il valore e la portata dell’art.11, inizialmen-
te, com’è noto, tentando di negarne l’efficacia vincolante. Norma programmatica, si
disse, priva di valore giuridico preciso: una direttiva, quasi un auspicio, ben lontana
dal costituire un vincolo normativo per gli organi dello Stato. Superata ben presto
questa posizione limitante – che coinvolgeva gran parte della Costituzione con effet-
ti paralizzanti e ripercussioni di lunga durata sul sistema intero – successivamente,
in un contesto mutato, si è cercato di aggirarne il valore mediante argomentazioni
essenzialmente fondate su una supposta scomponibilità dell’art.11 in parti distin-
te, reciprocamente indipendenti, autonome e slegate fra loro. Argomentazioni vo-
lutamente orientate a neutralizzare la forza del fermo divieto contenuto all’inizio
della disposizione72. È stata tentata poi una diversa via altrettanto impercorribile:
affermare che l’art. 11 (in particolare il ‘ripudio’ della guerra) fosse ormai privo di
valore perché modificato ad opera di una consuetudine internazionale. L’idea che le
consuetudini internazionali generali non incontrino limiti nell’ordinamento italia-
no è respinta dalla sentenza n. 48/1979 in cui la Corte Costituzionale afferma che
l’adeguamento automatico «non potrà in nessun modo consentire la violazione dei
principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale» che costituiscono uno
«sbarramento insormontabile». L’art.10 non potrebbe dunque operare, le consuetu-
dini contrarie ai principi sarebbero semplicemente norme non immesse nell’ordina-
mento interno73. Non è il caso di soffermarsi su questa idea, proposta talora da sola,
talaltra insieme alla teoria della guerra giusta che, attraverso le varianti della guerra
umanitaria e della guerra democratica, è sfociata poi nella difesa preventiva praticata
dai Bush. È necessario invece fermare l’attenzione su un’altra tesi, orientata al me-
desimo fine, con la quale spesso quella si combina, basata sul tentativo di negare il
carattere unitario della disposizione. Negando un legame che emerge in modo chiaro
dal testo normativo e dai lavori della Costituente - e affermato senza incertezza da

71
  Sentenza n. 304/1984.
  Sulle ‘interpretazioni deformate’ dell’art.11 Cost. cfr. , fra gli altri, Caretti P., Il dibattito sulla ri-
72

forma costituzionale nel decennio 1993/2003, in Studi in onore di Gianni Ferrara, Torino, 2005, I, p. 559.
73
  G. Zagrebelsky, Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino, 1992, 122.

78
Antonio Cassese che ha studiato nel modo più serio e approfondito la genesi dell’art.
11 - quella tesi, infatti, mette in gioco il senso stesso della disposizione costituzio-
nale. Le argomentazioni, difficilmente sostenibili, ignorano volutamente la stretta
unità della disposizione, palese innanzitutto sul piano logico, contrastando persino
con la sua struttura formale. Un elementare interrogativo sarebbe sufficiente a fare
chiarezza: per quale motivo i Costituenti si preoccupavano di consentire limitazioni
di sovranità in un tempo, fra l’altro, nel quale sovranità era un concetto indiscusso
dal significato forte ed esclusivo? La risposta è ovvia: perché i Costituenti ritenevano
che altrimenti, senza scalfire la sovranità dello Stato, la pace sarebbe stata un obiet-
tivo non raggiungibile e la guerra, come in passato, assolutamente inevitabile (supra,
§4). Per rendere effettivo il ripudio della guerra, per non ridurlo a pura espressione
linguistica priva di sostanza, era forte in tutti la coscienza che fosse indispensabile
preoccuparsi di costruire le condizioni necessarie alla sua realizzabilità, innanzitutto
rimuovendo il primo e principale ostacolo al mantenimento della pace, la sovranità
statale. La risposta agevole a quell’interrogativo già palesa il legame logico tra le
proposizioni contenute nell’art.11. Il ripudio della guerra (prima proposizione) esige
come condizione la fine della sovranità assoluta dello Stato, la possibilità di assog-
gettarla alle limitazioni «necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giu-
stizia fra le Nazioni» (seconda proposizione), e il conseguente impegno dell’Italia a
promuovere e favorire le organizzazioni internazionali «rivolte al medesimo scopo»:
assicurare giustizia e pace (terza proposizione).

8. Gli accordi di Minsk del settembre 2014 avrebbero potuto essere il mo-
mento atteso per consentire agli europei di svolgere un ruolo importante nel negozia-
to sul Donbass. In Particolare Francia e Germania erano chiamate a guidare i tentati-
vi per risolvere la quistione. Otto anni dopo, il processo si è definitivamente arenato,
perché Kiev ha continuato a rifiutare di concedere l’autonomia come previsto dagli
accordi sottoscritti dalle parti interessate. Il Cremlino, che ha considerato questa
assenza di Francia e Germania di fronte ad una palese violazione degli accordi come
una sottomissione dei Paesi alla volontà di Kiev, ha cercato di avviare trattative di-
rette con gli Stati Uniti, peraltro senza risultato. Ma a stupire Mosca è soprattutto il
servilismo europeo di fronte alle decisioni statunitensi, anche quando queste ledono
palesemente gli interessi europei, com’è il caso, ad esempio, del ritiro di Washington
dal Trattato sulle forze nucleari intermedie (Inf) nel febbraio 2019, posto che l’Euro-
pa sarebbe la prima destinataria dell’uso di detto armamento.
Ancora più sorprendente fu quanto accadde nel giugno 2021 quando, a mar-
gine dell’incontro per la proroga di cinque anni del trattato sulla riduzione delle armi
nucleari New Start, seguito dall’incontro Biden-Putin, l’Unione europea lungi dal
favorire un clima di distensione con la Russia rifiutò l’incontro con il Presidente
russo su pressione della Polonia. Tuttavia, questo duro atteggiamento l’Europa non
ha saputo (o voluto) tenerlo con la Turchia, Paese oggi alleato dell’Ucraina, che, pur
essa a regime autoritario, nonostante il suo attivismo militare (occupazione di Cipro

79
Nord, di una parte del territorio siriano, invio di truppe in Iraq, in Libia e nel Cauca-
so), non è stata soggetta ad alcuna sanzione. Già … dimenticavo, la Turchia è nella
nato e qualsiasi cosa faccia è giustificata dalla sua appartenenza ad un’organizzazio-
ne che si considera intrinsecamente democratica. Certo, è questo uno strano modo di
intendere la democrazia, concetto che in realtà richiede nettezza di comportamenti
non la politica dei “due pesi e due misure”, posto che, nei confronti della Russia,
gli europei non hanno trovato nulla di meglio che insistere prima sulla minaccia di
misure restrittive a seconda delle azioni adottate dal Cremlino, poi con l’adozione di
misure che potrebbero comportare il default della Russia. Anche in tale circostanza
si dimentica che l’adozione di misure economiche fortemente penalizzanti per il Pa-
ese destinatario possono essere all’origine di mali ben peggiori di quelli che si vor-
rebbe soffocare (Trattato di Vaersailles docet)74. Il caso dell’Ucraina, è emblematico
del servilismo atlantico dell’Europa che si limita a ripetere l’adozione di sanzioni
dure contro la Russia, nonostante Francia e Germania non abbiano manifestato en-
tusiasmo all’idea di integrare l’Ucraina nell’alleanza militare di cui esse stesse sono
parte e nonostante i timidi distinguo dell’Italia quando si diceva che Draghi aveva
manifestato l’intento di incontrarsi con Putin per trovare una soluzione diplomatica
alla crisi. Ma, di lì a poco, dopo l’intervento del “gerarca segretario generale della
nato”, Jens Stoltenberg, e la reazione del Presidente Usa Joe Biden, quella italiana
s’è rivelata solo una deludente “velleità” che ha visto immediatamente il Paese e i
suoi leaders rientrare nei ranghi dell’Occidente più ottuso, come fanno i bravi sco-
laretti. Anche in questo caso, quanti hanno voluto rimarcare l’atteggiamento autori-
tario riservato al proprio responsabile dei servizi di intelligence da Putin, a margine
del Consiglio di sicurezza russo, sottolineando così l’impossibilità per i suoi collabo-
ratori di avere idee diverse dalle sue, sono facilmente smentiti da quanto accade sul
nostro versante, dove chi manifesta idee differenti viene immediatamente richiamato
all’ordine, com’è accaduto anche alla Croazia o alla Germania, in un primo momen-
to restia a chiudere Nord Stream 2, o alla Francia che, tuttavia, ha saputo mantenere
un canale di dialogo con il Presidente russo, come risulta anche dalla loro recente
telefonata dopo l’avvio delle operazioni militari da parte della Russia.
Tra la Russia e l’Europa le relazioni si sono così incrinate, ma forse proprio
questa crisi dovrebbe chiarire agli occidentali che la sicurezza del Continente euro-
peo non può essere garantita senza la Russia o, peggio, contro la Russia. Viceversa
l’Amministrazione statunitense sembra propensa a favorire questa ultima soluzione,
rafforzando la propria presenza ed egemonia sul Continente, costringendo gli euro-
pei al servilismo vista l’assenza di coraggio politico nel contrastare le provocazio-
ni statunitensi, ivi compreso il ritiro non concordato dall’Afganistan e la creazione
dell’alleanza militare per il Sud Pacifico senza l’avallo della Francia.
La parola aggressione è un termine che non uso perché scorretto dal punto di

  Bernardini G., Parigi 1919. La Conferenza di pace, Bologna, 2019; Wilson, Foley H., Woo-
74

drow Wilson’s Case for the League of Nations, Princeton, 1923.

80
vista del diritto internazionale, giacché chi reagisce ad una minaccia di aggressione
(non si dimentichi che la Carta onu vieta non solo il l’uso della forza, ma anche la
minaccia di farvi ricorso) non aggredisce alcuno ma dà corso alla legittima difesa
che, proprio perché tale, ha natura preventiva, come testimoniato dalla più accredita-
ta dottrina americana (scuola di New Haven). L’ampliamento a Est della nato, le basi
missilistiche stanziate sul territorio delle repubbliche ex sovietiche e il rischio che
l’Ucraina entrasse anch’essa nell’organizzazione militare occidentale con possibili
installazioni di missili proprio al confine con la Russia, dopo quelli già installati in
Lettonia, Estonia e Lituania, che Putin non ha contestato, ci sembra costituiscano
un motivo più che sufficiente di preoccupazione e di allarme per il Cremlino, che
da anni chiede si tenga conto di questa realtà. La Russia non ha aggredito alcuno
e lo affermiamo non per simpatia verso il leader russo, ma perché sotto il profilo
giuridico internazionale questa è la realtà oggettiva, piaccia o meno. Dopodiché si
può obiettare sostenendo che la reazione russa è spropositata rispetto all’entità della
minaccia, atteso che questa è ancora solo supposta, ma il dato dall’aspetto giuridico
si sposta allora sul piano politico ed anche in questo caso l’argomentazione critica
non ci sembra abbia fondamento, giacché in politica come in geometria un insieme
di punti, per quanto isolati tra loro ma in sequenza, dà origine ad una linea retta che,
come tale, contiene infiniti punti, cioè è infinita e congiunge direttamente i due punti
estremi a e b. Nel caso di specie, a è il luogo di insediamento dei missili Nato e degli
insediamenti militari Usa e occidentali, b è il punto cui è indirizzata la retta (l’U-
craina) che assumerebbe la veste di nuovo punto di partenza con destinazione finale
c (la Russia). Sarebbe stato, nella logica di Putin, solo questione di tempo, perché
se la Russia non fosse il nemico da contenere, non si spiegherebbe lo stanziamento
di missili in quella direzione. E, come è noto, di fronte alla minaccia concreta di una
probabile non solo supposta violazione dei diritti di uno Stato, questo può reagire
attivando le misure di legittima difesa ritenute necessarie allo scopo.
A questo riguardo, è nostro convincimento che la reazione scomposta e smi-
surata delle Cancellerie occidentali sia dovuta alla frustrazione di chi si accorge tar-
divamente che il gioco non è più in mano loro e si trovano costretti, in risposta alla
mossa dell’avversario, a scoprire le proprie intenzioni che si sarebbe invece preferito
rimanessero coperte.
Dunque, quella della Russia non si configura come un’azione di aggressio-
ne, ma di legittima difesa preventiva, circostanza di cui gli Stati Uniti dovrebbero
essere ben a conoscenza avendovi fatti ricorso innumerevoli volte, a cominciare da
Grenada75.

Non credo che sia intenzione di Putin mirare ad altri Paesi dell’ex urss,
come ad esempio ai Paesi Baltici, perché è ben consapevole che a quel punto, il

75
  Si consentito rinviare al mio Problemi giuridici sollevati dal caso di Grenada, in Rivista trime-
strale di diritto pubblico, 1984, pp. 14-42.

81
rischio di una guerra nucleare sarebbe quasi inevitabile; una guerra che, ebbe a dire
in una intervista a Oliver Stone nel 2015, non vedrebbe né vinti né vincitori. E il Pre-
sidente non è certo un folle, anche se ormai si cominciano, da ambienti interessati,
a far circolare voci che non starebbe bene: presenta una faccia molto gonfia che, se-
condo questi ambienti, sarebbe la prova che fa uso di medicinali che potrebbero ave-
re conseguenze sulle sue capacità di decisione razionale. A preoccuparmi è semmai
non il contenuto fantasioso di queste voci, ma il fatto che si tenti di accreditarle negli
ambienti decisionali della politica internazionale, giacché questo potrebbe indurre
questi stessi centri decisionali a prendere provvedimenti avventati, come si fece in
Iraq con la defenestrazione di Saddam Hussein, considerato un folle sanguinario, un
dittatore senza scrupoli.
L’intervento russo può configurarsi, come sopra sostenuto, come azione di
legittima difesa preventiva, misura consentita dal diritto internazionale consuetudi-
nario, e tale fu anche quella di Israele contro l’Egitto nella cosiddetta guerra dei sei
giorni. Anche in quel caso, Israele presentava problemi di sicurezza, vista la concen-
trazione di mezzi e di esercitazioni ai suoi confini operate dall’Egitto. Non è questa
la sede per ricostruire quegli accadimenti, nondimeno vale la pena ricordare che gli
accordi di Camp David risolsero il problema con una soluzione che possiamo deno-
minare “territori contro sicurezza”. Si giunse alla definizione del problema smilita-
rizzando il Sinai, occupato dagli israeliani dopo la guerra dei sei giorni, che l’Egitto
chiedeva legittimamente ritornasse sotto la sua sovranità, garantendo al tempo stesso
Israele che non ci sarebbe stato più attacco da quel fronte, fino allora considerato
incandescente dallo Stato di Israele.
Né va dimenticata la crisi dei missili di Cuba76 (16 ottobre-28 ottobre 1962)
che si risolse con il ritiro dei missili statunitensi dalla Turchia e con la rinuncia so-
vietica alla installazione delle basi missilistiche in territorio cubano.
Ebbene cosa impedisce di trovare una soluzione analoga nel caso ucraino,
da sempre Stato cuscinetto tra la Russia e l’Occidente: una soluzione che potrebbe
vedere coinvolto l’intero Paese oggi conteso o anche solo una sua parte; in questo
senso, molto potrebbe dipendere dall’andamento delle trattative di pace quando do-
vessero riprendere. Da un lato, l’Ucraina manterrebbe la propria autonomia e indi-
pendenza, non verrebbe assorbita dalla Russia e svolgerebbe una funzione importan-
te di equilibrio tra le “Super potenze”, vista la posizione di neutralità che finirebbe
con l’assumere. In questo senso, l’Ucraina continuerebbe ad essere la culla della
cultura russa e, smilitarizzata, sarebbe garanzia per la Russia che dal suo territorio
non potrebbe partire alcun attacco. Molto dipenderà dall’andamento del negoziato,
anche se l’irremovibilità del Presidente russo e, soprattutto, il crescendo di richieste

  Il problema può trovare la su fonte nella dottrina Monroe, dal messaggio ideologico di James
76

Monroe pronunciato innanzi al Congresso il 2 dicembre 1823, gli Stati Uniti hanno sostenuto l’idea
della propria supremazia nel Continente americano. Cfr. Merk F., The Monroe Doctrine and American
Expansion, 1843-1849, New York, 1966; Poetker J. S., The Monroe Doctrine, Columbus (Ohio), 1967;
Mariano M., L’America nell’”Occidente”, Storia della dottrina Monroe (1823-1963), Roma, 2013.

82
del Presidente ucraino all’Occidente sembrano, al momento, un ostacolo per profi-
cue iniziative di pace.
Conclusivamente, si può ritenere che la Federazione Russa con la sua opera-
zione militare speciale non abbia violato il diritto internazionale, giacché, in quanto
misura di legittima difesa preventiva rientra tra le tipologie cui gli Stati Uniti, oggi
assertori di un radicale indebolimento della Russia, sono ricorsi in più occasioni.
Dunque, se questa è una violazione, altrettanto lo sono quelle compiute in epoca
precedente dagli usa …Volendo sintetizzare la vicenda russo-ucraina con riguardo
all’azione russa si può dire che essa sia politicamente comprensibile (ogni Stato ha il
diritto/dovere di salvaguardare la propria integrità territoriale se si sente minacciato,
così come ogni Stato ha il diritto di difendersi dagli attacchi, anche legittimi, mossi
contro di esso) e giuridicamente legittima (perché rientra tra le ipotesi di autotutela
la legittima difesa preventiva)77.

International Law and Russian


«Special Military Operation in Ukraine»

Abstract: This article is not intended to find justifications to the ongoing war in
Ukraine, but it aims to highlight how the reasons for the armed intervention given
by the Russian President, Putin, can find logical arguments and legal basis in the
conduct and behavior of Westerners since the Nineties of 20th century and in the first
twenty years of 21st century. And, therefore, if we admit that international law has a
function, it must nevertheless apply in any case to all those who refer to it and cannot
be used to justify certain conduct and to condemn the same conducts when it is the
adversary, or the presumed one, to carry them out. In short, the West, before giving
moral lessons, should take a bath in humility and admit its mistakes.

Keywords: International Law, Politics, Philosophy.

77
  Bargiacchi P., Orientamenti della dottrina statunitense di diritto internazionale, Milano, 2011,
p. 120 e ss.

83
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-5
pp. 84-91

LA DISOBBEDIENZA CIVILE DEI GIUDICI, I LIMITI DI PORZIA,


L’INUTILE RADICALISMO DI ANTIGONE
E LA SAGGEZZA DI CATONE

Fausto Vecchio*

Sommario: 1. Premessa. Le minacce populiste e le giurisdizioni come ultimo


baluardo del pluralismo. - 2. Contraddizioni teoriche e limiti pratici della proposta
di Heidelberg. - 3. Una nuova proposta: la disobbedienza civile del giudice. - 4.
Conclusioni. Antigone, Porzia, Mosè e Catone.

1. La diffusa avanzata elettorale di schieramenti politici antisistemici e il


correlativo ripensamento (o addirittura la soppressione) di alcuni tratti caratteristici
degli ordinamenti liberal-democratici rientrano certamente tra i fenomeni più inte-
ressanti che hanno caratterizzato gli ultimi dieci anni di storia costituzionale. Più
precisamente, l’approvazione della Costituzione ungherese del 2011 ha inaugurato
una stagione di crisi in cui diversi sistemi hanno preso le distanze dalla tradizione
del costituzionalismo del secondo dopoguerra e, per via di nuove prassi istituzionali
o per mezzo di espresse modifiche legislative e/o costituzionali, hanno abbracciato
i nuovi canoni di un costituzionalismo populista ispirato dalla sacralizzazione di
una mitologica volontà popolare1: Romania, Polonia, Slovacchia, Spagna, Albania
sono soltanto alcuni esempi di ordini giuridici che nell’ultimo decennio hanno spe-
rimentato vicende traumatiche o rilevanti trasformazioni a causa del dilagare del
populismo politico.
Come si evince facilmente dagli innumerevoli studi che, nel tentativo di con-
frontarsi con questo nuovo costituzionalismo populista, hanno provato a definirlo, si
tratta di un fenomeno che è certamente difficile da inquadrare e non è privo di va-
rianti di rilievo. Tuttavia, specie dopo gli inevitabili problemi generati dalle risposte
istituzionali alla crisi pandemica in corso, il progressivo consolidamento e la diffu-
sione di regimi populisti sembrano capaci di compromettere i consolidati equilibri
delle democrazie stabilizzate e paiono destinati ad incidere in maniera duratura sulle
strutture fondamentali dello stato costituzionale.
Così, a fronte di un fenomeno che appare come una pericolosa minaccia alla
convivenza civile e al pluralismo, la dottrina ha adottato un approccio di “resilienza
costituzionale2” e ha tentato di individuare possibili soluzioni tecniche idonee a rea-

*
  Professore Associato di Diritto pubblico (idoneo per la I fascia di docenza) nella Università degli
Studi della Sicilia Centrale “Kore” di Enna.
1
  Per un comento più analitico alle disposizioni più problematiche della nuova costituzione un-
gherese sia consentito il rinvio a F. Vecchio, Teorie costituzionali alla prova. La nuova Costituzione
ungherese come metafora della crisi del costituzionalismo europeo, cedam, 2013.
2
  Ad esempio è questo l’approccio diD. Grimm, How can a democratic constitution survive an

84
gire alla deriva populista delle democrazie consolidate e capaci di proiettare verso il
futuro l’autentica essenza del costituzionalismo. In particolare, si è cercato di valo-
rizzare le risorse che nell’architettura dello stato costituzionale sono tradizionalmen-
te poste per reagire al possibile emergere di tensioni autoritarie e per cercare di salva-
guardare la democrazia pluralista. Per un verso, in una prospettiva di prevenzione, la
dottrina ha prospettato un rafforzamento degli strumenti di salvaguardia del plurali-
smo. Ad esempio, facendo tesoro dell’esperienza ungherese, in dottrina si è proposta
la costituzionalizzazione dei regolamenti parlamentari per evitare che una semplice
maggioranza possa unilateralmente manometterli in senso autoritario. Proposte nella
stessa direzione sono state fatte per quanto riguarda le sfere relative all’organizza-
zione dei contropoteri, dello statuto delle minoranze e dei diritti individuali. Per un
altro, nella prospettiva di provare a recuperare situazioni in cui le tendenze populiste
si sono già consolidate e hanno prodotto riflessi concreti sugli ordini costituzionali,
si sono elaborate diverse strategie mirate a valorizzare la natura di contropotere e
la funzione di garanzia delle istituzioni giudiziarie. In questo senso, ad esempio, la
cosiddetta “proposta di Heidelberg” ha elaborato uno stratagemma interpretativo per
ribaltare la giurisprudenza “Solange” del Tribunale federale tedesco e per creare una
sorta di bypass giuridico che consentisse ai giudici ordinari ungheresi di disapplicare
le leggi ordinarie e di evitare la sottoposizione ad una Corte costituzionale “cattu-
rata” dal partito di maggioranza e allineata alle posizioni populiste3. Nella stessa
direzione anche il tentativo con cui, una parte della dottrina, in reazione ai provve-
dimenti di chiara matrice populista recentemente adottati dalle istituzioni polacche,
ha suggerito di riprendere l’idea di una disobbedienza civile istituzionale e, al fine
di sollecitare una reazione della società civile, ha proposto un’azione coordinata da
parte dei giudici per non dare applicazione a norme inaccettabili4.
Questa ultima proposta si pone in linea di continuità ideologica con quella
di utilizzare la disobbedienza civile dei governi per bloccare l’applicazione di alcune
contestate misure delle istituzioni sovranazionali. Inoltre, essa può facilmente essere
ricondotta ad una consolidata tradizione costituzionale che prende lo spunto dagli
scrittori monarcomachi e arriva al giusnaturalismo moderno di John Lock. Tuttavia,
essa pare comunque presentare alcuni profili di problematicità che vale la pena di ap-
profondire. Pertanto, nelle pagine che seguono, dopo aver presentato la proposta, si
provvederà ad offrire una riflessione critica orientata a metterne in luce la contraddit-
torietà teorica e la difficoltosa realizzazione pratica. In conclusione, si proporrà una

autocratic majority?, disponibile all’indirizzo https://verfassungsblog.de/how-can-a-democratic-con-


stitution-survive-an-autocratic-majority/.
3
  È questa la proposta di A. von Bogdandy – M. Kottmann – C. Antpöhler – J. Dickschen – S.
Hentrei, Reverse Solange - Protecting the essence of fundamental rights against EU member states, in
Common Market Law Review, 2012, 2, p. 489.
4
  È questa la proposta di M. Pilich, Disobedience of Judges as a Problem of Legal Philosophy and
Comparative Constitutionalism: A Polish Case, in Res Publica, 2021, disponibile all’indirizzo https://
link.springer.com/content/pdf/10.1007/s11158-021-09501-8.pdf.

85
riflessione di più ampio respiro sulle più opportune strategie alternative per cercare
di affrontare al meglio un problema di non semplice risoluzione.

2. Già qualche anno dopo l’approvazione della famigerata Costituzione un-


gherese del 2011, un gruppo di autorevoli studiosi del Max Plank Institute di Heidel-
berg, preoccupati dall’azione di sistematica sterilizzazione del sistema dei contropo-
teri che i partiti di maggioranza hanno condotto sulla base delle nuove disposizioni,
hanno immaginato un utilizzo strategico del diritto europeo e hanno cercato una
strategia per arginare le conseguenze del nuovo ordine costituzionale e per mettere
una giurisdizione sotto attacco al riparo dalle indebite ingerenze politiche.
Più precisamente, per cercare di creare una sorta di bypass giuridico che
consenta ai giudici ordinari magiari l’aggiramento di una Corte costituzionale “cat-
turata” dalle istituzioni politiche, si è proposta un’ardita interpretazione sussidiaria
delle norme di chiusura della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che
è mutuata dalla celeberrima giurisprudenza Solange con cui, a partire dagli anni set-
tanta, il Tribunale federale tedesco ha regolato i suoi rapporti con i giudici europei
e le relazioni tra ordine europeo e ordinamento costituzionale nazionale. Infatti, in
aperto contrasto con la volontà alla base dell’articolo 51 (impedire che per mezzo
di interpretazioni estensive le previsioni della Carta possano essere utilizzate per
affermare la competenza della Corte di giustizia in materia di diritti fondamentali
e per marginalizzare le disposizioni interne e i giudici costituzionali nazionali), si è
suggerita una lettura teleologicamente ispirata dai valori dell’articolo 2 del Trattato
sull’Unione europea (tra cui «rispetto della (…) democrazia, (…) dello stato di dirit-
to, (…) dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze»)
e orientata ad espandere l’ambito di applicazione delle previsioni europee e l’azione
di controllo della Corte di giustizia. Effetto di questa lettura congiunta è la ricostru-
zione di un sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali che, prescindendo
dalle originarie intenzioni dei redattori dei Trattati e ribaltando l’apertura condizio-
nata al diritto europeo alla base della giurisprudenza Solange (che in tedesco signi-
fica “fintantoché”), è guidato dalle logiche dinamiche della sussidiarietà e funziona
come una sorta di scambio ferroviario: così come i giudici costituzionali tedeschi
hanno affermato la loro competenza a controllare il diritto europeo fintantoché l’in-
tegrazione non abbia sviluppato istituzioni pienamente democratiche e meccanismi
effettivi di garanzia dei diritti, alla stessa maniera, fino a quando i sistemi nazionali
si muovono nel rispetto dell’articolo 2 tue, le norme interne sono escluse dai vincoli
sovranazionali e dal connesso intervento del giudice europeo; nel momento in cui,
invece, involuzioni autoritarie mettono in pericolo l’effettività dei valori fondamen-
tali, la via (originariamente preclusa) del controllo della Corte di giustizia sulla nor-
mativa interna e dell’applicazione degli standard normativi sovranazionali diventa
percorribile per garantire un livello accettabile di qualità democratica.
La speranza alla base della proposta di Heidelberg è evidentemente quella
di riuscire a sfruttare il diritto europeo e i suoi sofisticati meccanismi di garanzia

86
per determinare nei paesi a rischio di involuzioni autoritarie uno stimolo alla de-
mocratizzazione delle istituzioni analogo a quello prodotto dalla giurisprudenza del
Bundesverfassungsgeircht sul processo di integrazione europea.
Per quanto strategicamente sofisticata, l’idea in questione presenta però al-
cuni limiti. Innanzitutto, per quanto sia astrattamente condivisibile la scelta di usare
il ricorso all’ermeneutica giuridica per evitare lo scontro frontale con le istituzioni
politiche e con le istituzioni di garanzia “catturate”, lo specifico percorso intrapreso
può prestare il fianco ad obiezioni di natura tecnica perché, come si è cercato di evi-
denziare, finisce per determinare una riscrittura dell’articolo 51 della Carta. Se si tiene
in mente l’ampio consenso di cui godono l’impostazione legalistica e il volontarismo
giuridico nei paesi in cui si sono affermati i partiti populisti, ci si rende facilmente con-
to che interpretazioni di questo tipo, pur perseguendo finalità astrattamente condivisi-
bili, nel concreto possono essere facilmente strumentalizzate agli occhi dell’opinione
pubblica e possono addirittura finire per rinforzare le forze politiche che vorrebbero
contrastare. In secondo luogo, essa, affidando ai soli giudici il compito di intervenire
per arginare una deriva preoccupante, appare poco saggia: per un verso, essa dimen-
tica che tra le cause profonde del fenomeno populista ci sono anche precisi atteggia-
menti di irresponsabile espansionismo ad opera dello stesso potere giudiziario; per un
altro, pare quanto meno poco probabile che l’attuale situazione possa essere messa in
discussione da una scelta eventuale e non coordinata con cui, nel silenzio delle aule
dei tribunali, i singoli magistrati decidano di attivare il rinvio alla Corte di giustizia
come strumento per sottrarsi ad un quadro normativo ostile. In terzo luogo, una simi-
le strategia pare problematicamente indefinita perché i valori che vengono invocati
come parametro per estendere l’ambito di applicazione della Carta sono quanto mai
sfuggenti e difficili da applicare in maniera pacifica e incontrovertibile alle situazioni
concrete. Anche l’individuazione del soggetto competente a pronunciarsi è problema-
tica: il Trattato sull’Unione è abbastanza chiaro nell’escludere che spetti alla Corte di
giustizia l’accertamento di una violazione dei valori previsti all’articolo 3 del Trattato
sull’Unione e, non a caso all’articolo 7, individua un meccanismo sanzionatorio ad
hoc che esclude i giudici del Lussemburgo e che affida alle risoluzioni del Consiglio
europeo un simile compito. Infine, dirimente sembra la semplice considerazione pra-
tica che, dopo oramai dieci anni, sono abbastanza sporadici i casi in cui i magistrati
ungheresi e polacchi hanno cercato di fare leva sull’interpretazione proposta dagli
studiosi di Heidelberg per trovare la sponda della Corte di giustizia europea.

3. La mancata attivazione concreta del controllo dei giudici del Lussem-


burgo ha sollecitato la dottrina ad individuare nuovi percorsi praticabili per cercare
di risolvere la questione populista. Più precisamente, memore di alcuni precedenti
risalenti agli anni della lotta contro il regime comunista polacco, la dottrina giuridica
ha rielaborato alcuni ragionamenti sulla disobbedienza civile opposta dal governo
greco alle istituzioni europee e, ipotizzando una disobbedienza civile del giudice, ha
preso le distanze dalla teorizzazione della classica disobbedienza civile individuale

87
di Thoureau e ha immaginato per questa via di riuscire ad evitare i problemi della
proposta di Heidelberg5.
L’idea di fondo è quella di legittimare la violazione di alcuni doveri di ufficio
da parte del giudice, consentendo che questo possa in qualche modo piegare l’inter-
pretazione giuridica di norme problematiche e possa sottrarsi ad alcuni obblighi di
natura deontologica e processuale. Le implicazioni di questa costruzione sono molto
rilevanti perché, in primo luogo, si finisce con l’ammettere che il magistrato possa in
qualche modo usare il potere di interpretazione per sostituire la sua volontà a quella
di una legge considerata illegittima perché riprovevole: ad esempio, anche se in alcuni
passaggi si punta a circoscrivere la portata di questo corollario attraverso il richiamo
al principio del libero convincimento, si ipotizza esplicitamente la possibilità di assol-
vere quei soggetti che sulla base di norme di matrice illiberale avrebbero dovuto esse-
re giudicati colpevoli6. In secondo luogo, pur avendo cura che in condizioni ordinarie
occorrerebbero speciali cautele, si precisa che nei regimi populisti i magistrati posso-
no denunciare norme illegittime e contestare provvedimenti abnormi. In terzo luogo,
con il chiaro intento di bypassare una Consulta “catturata”, si ipotizza la possibilità di
eludere gli obblighi di rinvio pregiudiziale al giudice costituzionale per costruire un
sistema diffuso di controllo di costituzionalità e affidarlo ai magistrati ordinari.
Se paragonata alla proposta di Heidelberg, l’idea della disobbedienza civile
del giudice presenta alcuni vantaggi piuttosto difficili da contestare. Innanzitutto,
la base legale di una strategia come quella ipotizzata è molto meno incerta: mentre
per difendere l’elusione degli obblighi deontologici e la possibilità di forzare alcune
interpretazioni si richiamano le norme costituzionali e sovranazionali in materia di
libertà di espressione e in materia di libero convincimento del giudice, si sostiene
che la possibilità di sottrarsi ad un obbligo di rinvio pregiudiziale espressamente
sancito dal testo costituzionale polacco sia lasciata aperta dai riferimenti alla possi-
bilità testualmente prevista di un’applicazione giudiziaria diretta delle norme costi-
tuzionali. Occorre anche segnalare che, diversamente da quanto accadrebbe in caso
di un intervento come quello segnalato nel paragrafo precedente, una base legale
per le fattispecie ipotizzate di disobbedienza civile del giudice può in qualche modo
essere indirettamente desunta anche dal fatto che esse non sembrano entrare in rotta
di collisione con la cornice istituzionale complessiva: se l’interpretazione proposta
dell’articolo 51 sembra porsi in contrasto irresolubile con lo spirito che ha portato
alla sua adozione e con la filosofia stessa di un processo di integrazione sovranazio-
nale ostile ai commissariamenti, l’ipotesi alternativa della disobbedienza, oltre a non
violare alcuna disposizione espressa, sembra in perfetta linea di continuità ideologi-
ca con l’esperienza dello stato costituzionale. Inoltre, un secondo vantaggio riguar-
da le modalità di coinvolgimento dei magistrati: se nella proposta di Heidelberg si

5
  Trai i sostenitori della tesi della disobbedienza civile del giudice, si veda W. E. Scheuerman,
Can Political Institutions Commit Civil Disobedience?, in The Review of Politics, 2020, 2, p. 269 ss..
6
  In questo senso, M. Pilich, op. cit..

88
punta a risolvere le contraddizioni introdotte dal quadro normativo populista per via
esclusivamente giudiziaria, l’alternativa dell’atto di disobbedienza è più sofisticata
e, dopo l’ostentata azione di rottura ad opera del giudice, punta alla sensibilizzazione
e al coinvolgimento della società civile. Infine, non sarà superfluo rilevare come la
dottrina che propone questa specifica soluzione abbia cura di elaborare un criterio
meno indefinito del riferimento al generico catalogo dei valori dell’articolo 2 del
Trattato sull’Unione europea: presupposto di legittimazione per la disobbedienza è
una situazione di chiusura istituzionale in base alla quale, in violazione del principio
liberale e della sostanziale democraticità delle scelte, la società civile non riesce ad
incidere sulle scelte del potere politico.

4. Le proposte riferite richiamano alla memoria il celebre scritto con cui


Ascarelli utilizza le immagini iconiche di Antigone e Porzia per sostenere che, in
vista della risoluzione dei conflitti, il sofisticato pragmatismo dell’interpretazione
giuridica del personaggio shakespiriano è preferibile alle eclatanti azioni di rottura
della figlia di Edipo7. Più precisamente, mentre la proposta di Heidelberg, per la sua
scelta di risolvere il conflitto dentro le aule dei tribunali, ricorda l’opera di Porzia,
la proposta della disobbedienza civile del giudice, per la sua esplicita volontà di
rompere l’ordine dominante a qualsiasi costo, ricorda l’estrema scelta di Antigone.
L’analisi fin qui condotta potrebbe quindi indurre a immaginare una possi-
bile rivincita del radicalismo di Antigone sulla più moderata abilità ermeneutica che
spinge Porzia ad un uso strumentale delle norme. Tuttavia, nonostante l’accosta-
mento con le due eroine non sembri azzardato e nonostante la proposta della disob-
bedienza civile del giudice risolva alcune questioni lasciate aperte dall’altra, a ben
vedere, le due vie elaborate dalla dottrina per cercare di arginare la crisi dello stato
costituzionale paiono accomunate da un comune difetto di lettura del fenomeno po-
pulista e da un correlativo errore di strategia.
Infatti, sul piano ricostruttivo, entrambe le posizioni dottrinarie partono da
un riferimento culturale comune: l’idea che queste nuove e destabilizzanti pulsioni
trovino la loro spiegazione ultima nella volontà egemonica di gruppi politici intol-
leranti e allergici all’idea di un potere controllato. Pur essendo abbastanza diffusa e
pur avendo il merito di fotografare una parte della realtà, questa semplicistica lettura
finisce con il sottostimare le dimensioni del problema perché, sulla falsariga di una
letteratura costituzionalistica tradizionalmente orientata a giustificare ogni forma di
espansionismo del giudiziario, si fonda su una rappresentazione manicheistica dei
poteri e perché presume che i giudici non abbiano avuto alcuna responsabilità nella
realizzazione delle pericolose contraddizioni del tempo presente. Questa presunzio-
ne non appare sostenuta dai dati della realtà: anche senza voler richiamare quella
autorevole dottrina che lega populismo giudiziario, populismo penale e populismo

7
  Si fa riferimento a T. Ascarelli, Antigone e Porzia, in Riv. int. fil. dir., 1955, p. 756.

89
politico8, l’esperienza dei due paesi più preoccupanti ci mostra in maniera abbastan-
za chiara come, in regimi quali la tanto decantata courtocracy ungherese o di fronte
ad azioni irresponsabili quali il coinvolgimento dei giudici costituzionali polacchi
in un discutibilissimo procedimento di riforma della Corte, neanche le istituzioni di
controllo possano dichiararsi immuni da colpe9.
Da questo errore di lettura deriva l’errore strategico che accomuna le due pro-
poste. Partendo dall’errore di immaginare un giudiziario che non è corresponsabile
degli errori, ma soltanto vittima degli abusi altrui, si finisce per prospettare l’illusione
che, per mezzo di scorciatoie giuridiche o attraverso l’eroico sacrificio di giudici di-
sobbedienti, dai tribunali possa arrivare una pronta salvezza per le democrazia e per il
pluralismo. Invece, se l’espansionismo giudiziario degli ultimi decenni è stato giusti-
ficato come rimedio per contenere la possibilità di abusi ad opera dell’esecutivo e del
legislativo, nel momento in cui questi poteri chiaramente esondano e nel momento in
cui si manifestano le conseguenze più nefaste dell’incapacità di autocontenimento dei
giudici, sarebbe più saggio prendere realisticamente atto del fallimento di un modello
e, piuttosto che investire di nuove responsabilità sempre gli stessi soggetti istituzionali,
immaginare percorsi alternativi e nuovi equilibri rispetto al passato.
Dunque, volendo rimanere dentro la celebre metafora ascarelliana, sembra ra-
gionevole sostenere che né Porzia, né Antigone sono in grado di risolvere la questione
populista. Proprio in un’epoca in cui la reiterazione degli appelli ad un diritto naturale
non sacrificabile (in fondo è questa la logica che anima Antigone) mostra l’esistenza
di una frattura storica tra segmenti sociali che fanno riferimento a concezioni diffe-
renti di giustizia e che non si riconoscono nelle liturgie giuridiche del passato, occorre
un nuovo compromesso costituzionale che sappia ricucire gli strappi di una società
sempre più sfilacciata e che, partendo da questa opera di riconciliazione sociale, possa
fungere da fondamento per un nuovo ordine condiviso ed effettivo. Detto altrimenti,
in un momento nel quale l’emersione del profondo malcontento sociale di cui si fanno
(strumentalmente) portatori i populisti mostra il carattere ipotetico della grundnorm
costituzionale, occorre abbandonare l’illusione che le scorciatoie giudiziarie ripristino
quell’ordine che con azioni non sempre ineccepibili hanno contribuito a far saltare e
occorre prendere atto che è necessario un intervento di rifondazione costituzionale di
stati con quadri istituzionali e assetti sociali in frantumi.

8
  In questo senso, l’autorevolissima ricostruzione di G. Fiandaca, Populismo politico e populismo
giudiziario, in Criminalia, 2013, p. 95 ss.
9
  Per maggiori ragguagli sulla courtocracy ungherese e sulle gravissime vicende che, anche con la
partecipazione di tre giudici costituzionali polacchi (costretti a non partecipare al collegio che, violando
le regole di procedura per mancanza del numero legale, si è illegittimamente pronunciato sulla legge in
materia di organizzazione della Corte costituzionale), hanno contribuito a creare la situazione di stallo
istituzionale che ha finito con il paralizzare la Corte costituzionale polacca, sia nuovamente consentito
il rinvio a F. Vecchio, op. cit., p. 22 ss., e id., La crisi costituzionale polacca, la «bielorussizzazione»
dell’Europa orientale e il processo di disintegrazione europea, in A. Pérez Miras - G. M. Teruel Lo-
zano, E. C. Raffiotta, Constitucion y integración, Dykinson, 2016, p. 297 ss..

90
Naturalmente, l’idea di un nuovo momento costituente, al di là dei tempi più
lunghi, porta inevitabilmente con sé tutti i rischi connessi al messianismo politico e
necessita di essere specificata per non ingenerare pericolosi fraintendimenti. Ancora
una volta il riferimento a figure iconiche può essere di aiuto nella comprensione. Le
affermazioni relative alla necessità di ricomporre la frattura tra forze sociali contrap-
poste e quelle relative al bisogno di creare nuove regole e nuovi assetti istituzionali
condivisi non devono essere interpretate come appelli ad un nomoteta: non serve la
figura di un uomo che, come fece Mosè sul Monte Sinai, sappia elevarsi al di sopra
del suo popolo e, ottenuta da Dio la verità rivelata, porti alla collettività delle tavole di
pietra contenenti i nuovi comandamenti. Piuttosto, serve prendere spunto dai migliori
insegnamenti di un personaggio storicamente esistito e capace di lasciare un’impronta
profonda negli sviluppi istituzionali dei secoli successivi. Per evitare di cadere nella
comoda tentazione di delegare l’opera di mediazione sociale a superuomini che spes-
so e volentieri finiscono con il rivelarsi mostruosi Leviatani, si può fare riferimento
al vecchio Catone che, analizzando le differenze con gli impianti legislativi elaborati
dai nomoteti greci, ha individuato un collegamento tra la stabilità della costituzione
romana e il suo essere opera di un ingegno collettivo capace di attingere alla migliore
esperienza (anche comparata) di secoli di tradizione. In questo senso, la via per un
ordine alternativo alle reazionarie posizione populiste passa da un nuovo percorso
costituente che prenda lo spunto dalle migliori esperienze del passato e, attraverso
un negoziato privo di qualsiasi pregiudizio (inclusi quelli che riguardano i corollari
dello stato liberale ottocentesco e quelli dell’attuale concezione dominante dello stato
costituzionale), sappia individuare soluzioni condivise dai diversi protagonisti della
scena sociale. In fondo, anche al prezzo di sacrificare quegli equilibri di potere e
quegli assetti magari caratteristici della forma di stato dominante negli ultimi decenni
ma oramai ridotti dall’evolversi dei tempi a mere liturgie, la strada di un processo co-
stituente aperto al confronto e attento alla storia costituzionale sembra la via migliore
per mettere in sicurezza quel pluralismo che è il frutto più genuino dello stato costi-
tuzionale contemporaneo e che oggi è messo in pericolo dall’avanzata dei populisti.

Judicial civil disobedience, the limitations of Portia, the futile radicalism


of Antigone and the wisdom of Cato

Abstract: In the face of an emerging trend that is endangering civil coexistence and
pluralism, current doctrine has adopted an approach of “constitutional resilience”
and has attempted to identify technical solutions that can offer appropriate reactions
to the populist drift afflicting consolidated democracies. For this reason, in reaction
to the measures of clearly populist design recently adopted by the Polish institutions,
a part of current doctrine has suggested the adoption of institutional civil disobedi-
ence by coordinating judges to refuse to apply regulations deemed unacceptable

Key words: Civil Disobedience, Poland, Populism, Heidelberg Proposal

91
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-6
pp. 92-112

DA (IN)COMPATIBILIDADE CONSTITUCIONAL E
CONVENCIONAL DA REGRA DA VEDAÇÃO DA ACUMULAÇÃO
DOS ADICIONAIS DE INSALUBRIDADE E PERICULOSIDADE*

Rocco Antonio Rangel Rosso Nelson**


Isabel Cristina Amaral de Sousa Rosso Nelson***
Walkyria de Oliveira Rocha Teixeira****

Sumário: 1. Das considerações iniciais.- 2. Razões para a acumulação dos


adicionais de insalubridade e periculosidade: 2.1. Não recepção do art. 193, §2º da
clt.- 2.2. Da inconvencioalidade do art. 193, §2º da clt.- 2.2.1. A questão hierár-
quica das convenções de direitos humanos no sistema doméstico brasileiro.- 2.2.2.
Convenção nº 148 e 155 da organização internacional do trabalho – oit.- 2.3. Uma
análise a partir do princípio da proporcionalidade.- 2.3.1. Considerações sobre o
princípio da proporcionalidade.- 2.3.2. Do princípio da proporcionalidade em re-
lação ao art. 193, §2º da clt.- 3. Acumulação dos adicionais de insalubridade e
periculosidade na jurisprudência trabalhista.- 4. Considerações finais.

*
  Artigo de investigação elaborado de estudo desenvolvido na linha de pesquisa “Democracia,
Cidadania e Direitos Fundamentais”, inscrito no Grupo de Estudo e Pesquisa em Extensão e Responsa-
bilidade Social, do Instituto Federal do Rio Grande do Norte – ifrn, Brasil.
**
  Mestre em Direito Constitucional pela Universidade Federal do Rio Grande do Norte - ufrn.
Especialista em Ministério Público, Direito e Cidadania pela Escola Superior do Ministério Público
do Rio Grande do Norte. Especialista em Direito Penal e Criminologia pela Universidade Potiguar.
Especialista em Direito Eletrônico pela Universidade Estácio de Sá. Ex-professor do curso de direito
e de outros cursos de graduação e pós-graduação do Centro Universitário facex. Líder do Grupo de
Estudo e Pesquisa em Extensão e Responsabilidade Social, vinculado a linha de pesquisa “Democra-
cia, Cidadania e Direitos Fundamentais” do Instituto Federal do Rio Grande do Norte – ifrn, campus
Natal-Central. Professor efetivo de Direito do Instituto Federal do Rio Grande do Norte – ifrn, campus
Natal-Central. Articulista e poeta. Autor do livro Curso de Direito Penal - Teoria Geral do Crime – Vol.
i (1º ed., Curitiba: Juruá, art. 2016); Curso de Direito Penal - Teoria Geral da Pena – Vol. ii (1º ed.,
Curitiba: Juruá, 2017). E-mail: rocconelson@hotmail.com
***
  Doutora em educação pela Universidade Federal do Rio Grande do Norte - ufrn. Bacharela e
licenciada em enfermagem pela Universidade Estadual da Paraíba – uefb. Especialista em Formação
Profissional na Área de Saúde (Fiocruz/ufrn). Especialista em Saúde da família (Universidade Castelo
Branco). Especialista em Enfermagem do Trabalho (Faculdade de Ciências Sociais Aplicadas - facisa).
Especialista em Educação Desenvolvimento e Políticas Educativas (Faculdades Integradas de Patos
- fip). Docente da Faculdade de enfermagem e do Programa de pós-graduação stricto sensu Saúde e
Sociedade da Universidade Estadual do Rio Grande do Norte. E-mail: isacristas@yahoo.com.br
****
  Doutoranda em educação pelo Instituto Federal de Educação, Ciência e Tecnologia do Rio
Grande do Norte – ifrn. Mestre em educação pelo Instituto Federal de Educação, Ciência e Tecnologia
do Rio Grande do Norte - ifrn. Especialista em Jurisdição e Direito Privado pela esmarn/unp, especia-
lista em Ministério Público, Direito e Cidadania pela fesmp. Membro do Grupo de Estudo e Pesquisa em
Extensão e Responsabilidade Social, vinculado a linha de pesquisa “Democracia, Cidadania e Direitos
Fundamentais” do Instituto Federal do Rio Grande do Norte – ifrn, campus Natal-Central. Auditora
Federal, Chefe da Auditoria Geral do ifrn. Advogada. E-mail: walkyria.teixeira@ifrn.edu.br

92
1. A proteção ao meio ambiente faz parte do plexo de direitos da terceira di-
mensão dos direitos fundamentais, sendo elencado como bem jurídico fundamental,
tutelado no art. 225 da Constituição Federal:
Art. 225. Todos têm direito ao meio ambiente ecologicamente equilibrado,
bem de uso comum do povo e essencial à sadia qualidade de vida, impondo-se ao
Poder Público e à coletividade o dever de defendê-lo e preservá-lo para as presentes
e futuras gerações.
Destaca-se que se adota, no Brasil, o conceito amplo de meio ambiente,
sendo este composto por elementos naturais e sociais, de sorte que o meio ambiente
do trabalho fica albergado, também, nas prescrições constitucionais do art. 225 e, de
forma mais específica, no art. 200, viii:1&2
Art. 200. Ao sistema único de saúde compete, além de outras atribuições,
nos termos da lei:
(...)
viii - colaborar na proteção do meio ambiente, nele compreendido o do trabalho.
É importante explicitar que a proteção ao meio ambiente do trabalho ainda
é regrada na constituição Federal através do art. 7º, xxii, que garante direito aos tra-
balhadores urbanos e rurais quanto a “redução dos riscos inerentes ao trabalho, por
meio de normas de saúde, higiene e segurança”.
Percebe-se a superposição da 3º e 2º dimensões dos direitos fundamentais,
onde o direito ao meio ambiente sadio se entrelaça normativamente com o direito
trabalhista no que tange a segurança e saúde do trabalhador.
No plano do puro “dever-ser” busca-se um ambiente laboral onde os riscos
ocupacionais possam ter neutralizados por completo. Sendo isso inviável, na práxis
laboral, tem-se a monetização desses riscos ocupacionais o qual se dá pela percepção

1&2
  “Com efeito, a nossa Lei Fundamental de 1988 adota de forma expressa um conceito amplo
para o bem jurídico ambiental, contemplando a integração entre os elementos naturais e os elementos
humanos (ou sociais). A título de exemplo, o dispositivo constitucional que trata do patrimônio cultural
(art. 216, v) evidencia essa abordagem normativa, ao referir que constituem patrimônio cultural brasi-
leiro os bens de natureza material e imaterial, incluindo ‘os conjuntos urbanos e sítios de valor históri-
co, paisagístico, artístico, arqueológico, paleontológico, ecológico e científico’. Outra previsão consti-
tucional que reflete a amplitude do conceito de ambiente é o art. 200, viii, especificamente no sentido de
incluir também o ambiente do trabalho no seu conteúdo, ao enunciar que compete ao Sistema Único de
Saúde (sus)’ colaborar na proteção do meio ambiente, nele compreendido o do trabalho’. (...)”. (Sarlet,
Ingo Wolfgang; Fensterseiter, Tiago, Direito ambiental – Introdução, fundamentos e teoria geral, São
Paulo, São Paulo, 2014, p. 312). “O estudo das normas e princípios sobre proteção da vida e da saúde
do trabalhador, portanto, tem início com a estruturação do Direito do Trabalho como disciplina jurídica
cientificamente autônoma. A migração desse estudo para o campo do Direito Ambiental só tem início
na década de 1970, sobretudo a partir da doutrina italiana que desde o início conjugou os estudos so-
bre proteção da flora, da fauna, da paisagem e da qualidade do ambiente urbano (combate à poluição
sonora, visual, atmosférica) àqueles sobre os espaços confinados nas indústrias ou, num sentido mais
preciso, sobre o meio ambiente do trabalho”. (Figueiredo, Guilherme José Purvin de, Curso de direito
ambiental, 6º ed. São Paulo, rt, 2013, ps. 257-258). Cf. Garcia, Gustavo Filipe Barbosa, Manual de
direito do trabalho, 10º ed. Salvador, Juspodivm, 2020, p. 962.

93
dos adicionais de insalubridade, periculosidade e penosidade possuindo, status de
regra constitucional de direito social. In verbis:
Art. 7º São direitos dos trabalhadores urbanos e rurais, além de outros que
visem à melhoria de sua condição social:
(...)
xxiii - adicional de remuneração para as atividades penosas, insalubres ou
perigosas, na forma da lei;
(...)
Como se afere da prescrição normativa constitucional está se diante de ins-
titutos de caráter essencial tutelar que para se efetivar necessitar de regulamentação
em lei o que lhe conferem natureza de norma constitucional de eficácia limitada.
A regulamentação legal, pelo menos em relação aos adicionais de insalu-
bridade e periculosidade encontram-se prescrição na Consolidação das Leis do Tra-
balho (clt).3 Vem à baila o regramento do art. 193, §2º da clt do qual se extrai o
regramento normativo da vedação da cumulação da percepção dos adicionais de
insalubridade e periculosidade:
Art. 193. São consideradas atividades ou operações perigosas, na forma da
regulamentação aprovada pelo Ministério do Trabalho e Emprego, aquelas que, por
sua natureza ou métodos de trabalho, impliquem risco acentuado em virtude de ex-
posição permanente do trabalhador a:
(...)
§ 2º - O empregado poderá optar pelo adicional de insalubridade que por-
ventura lhe seja devido.
(...) (Grifos nossos)
O meio ambiente laboral sadio constitui direito fundamental do trabalhador.
Não sendo possível ofertar um ambiente seguro e sadio vem por pecuniarizar a saúde
do trabalhador, seja em face de condições que agridem a saúde do trabalhador conti-
nuamente, seja em face de um ambiente com riscos.
De tal sorte, se a essência do direito do trabalho é tutelar a parte hipossufi-
ciente da relação de trabalho, em que a vedação a cumulação da percepção dos adi-
cionais de insalubridade e periculosidade está por proteger o trabalhador?
A questão problema do presente ensaio é aferir que o regramento do art. 193,
§2º da clt, o qual é fruto da Lei nº 6.514/77, que alterou a clt, pode ser reconhecido
válido a partir de um duplo controle: em relação plexo normativo constitucional (seja
em relação a dimensão de sua recepção a Constituição de 1988, seja em relação à
esfera de controle de constitucionalidade), bem como as convenções internacionais
do qual o Brasil é signatário (controle de convencionalidade).
Em face do exposto, a pesquisa em tela, fazendo uso de uma metodologia de
análise qualitativa, usando-se os métodos de abordagem hipotético-dedutivos de cará-

  Em mais de 33 da Constituição Cidadão Poder Legislativo fora completamente omissão em


3

relação a regulamentação ao adicional de penosidade.

94
ter descritivo e analítico, adotando-se técnica de pesquisa bibliográfica, onde se visita
a legislação, a doutrina e a jurisprudência, tem por desiderato analisar a tese, ventilada
no âmbito da justiça do trabalho, quanto a viabilidade jurídica da acumulação dos
adicionais de insalubridade e periculosidade decorrente de fatos geradores distintos.

2.1. O fenômeno constitucional da recepção e funda na conservação da va-


lidade da legislação infraconstitucional constituída anteriormente a constituição em
vigor. Ou seja, todo o conjunto de leis publicado anteriormente a entrada em vigor da
Constituição de 1988 terá sua validade reconhecida caso se adeque ao plexo normati-
vo da presente constituição, sendo declarada “recepcionada” ou “não recepcionada”.4
Não se trata de uma questão de controle de constitucionalidade5 (a tese da
inconstitucionalidade superveniente não ganhou guarida no bojo da jurisprudência do
stf ou da maioria da doutrina),6 mas sim de direito intertemporal,7&8 visto que é o
poder constituinte originário que acarreta o nascimento de uma nova ordem jurídica,
ocasionando a perda, pelo menos momentaneamente, da razão de validade das normas
4
  “Recepção é o ato através do qual uma nova Constituição recebe, aceita, mantém a validade das leis
infraconstitucionais anteriores com ela compatíveis. Quando uma Constituição é substituída por outra, não
se faz necessário reescrever toda a legislação infraconstitucional (até porque tal tarefa seria impossível). Por
essa razão, as leis anteriores à Constituição permanecerão válidas e vigentes, por força do fenômeno ora em
estudo”. (Martins, Flávio, Curso de Direito Constitucional, 4º ed. São Paulo, Saraiva, 2020, p. 364)
5
  “Aceitar que leis pré-constitucionais possam ser classificadas como inconstitucionais, no mo-
mento, atual, em relação à Constituição já supera da, é admitir a estapafúrdia situação de dois regimes
distintos de inconstitucionalidade, um para as normas anteriores e outro para as normas posteriores à
Constituição-parâmetro. Isso está a demonstrar que não se trata, em absoluto, de inconstitucionalida-
de”. (Tavares, André Ramos, Curso de Direito Constitucional, 5º ed. São Paulo, Saraiva, 2007, p. 173)
6
  “constituição. Lei anterior que a contrarie. Revogação. Inconstitucionalidade superveniente.
Impossibilidade. 1. A lei ou é constitucional ou não é lei. Lei inconstitucional é uma contradição em si.
A lei é constitucional quando fiel à Constituição; inconstitucional na medida em que a desrespeita, dis-
pondo sobre o que lhe era vedado. O vício da Inconstitucionalidade é congênito à lei e há de ser apurado
em face da Constituição vigente ao tempo de sua elaboração. Lei anterior não pode ser inconstitucional
em relação à Constituição superveniente; nem o legislador poderia infringir Constituição futura. A
Constituição sobrevinda não torna inconstitucionais leis anteriores com ela conflitantes: revoga-as.
Pelo fato de ser superior, a Constituição não deixa de produzir efeitos revogatórios. Seria ilógico que a
lei fundamental, por ser suprema, não revogasse, ao ser promulgada, leis ordinárias. A lei maior valeria
menos que a lei ordinária. 2. Reafirmação da antiga jurisprudência do stf, mais que cinquentenária. 3.
Ação direta de que se não conhece por impossibilidade jurídica do pedido”. (stf, Pleno, adi nº 2/df,
Ministro Relator Paulo Brossard. Julgado em 06/02/1992. Publicado em 21/11/1997
7
  Cf. Martins, Flávio, Curso de Direito Constitucional, 4º ed. São Paulo, Saraiva, 2020, p. 364.
8
  Professor André Ramos Tavares não vislumbra que esse fenômeno seja uma questão intertemporal:
“Por outro lado, tampouco se trata de simples sucessão intertemporal de leis, resolúvel pelo princípio da
revogação da lei anterior no tempo. Neste ponto, razão assiste a Gilmar Ferrelra Mendes quando observa
ser inconcebível solucionar o problema das leis pré-constitucionais com recurso aos princípios do Direito
intertemporal. É mais do que evidente que não é o caso de conflito de leis no tempo. Não se trata de revo-
gação da lei anterior pela lei (no caso, a Constituição) que lhe é posterior. O motivo é claro: a lei anterior
simplesmente não existe à luz da Constituição posterior, se for com esta incompatível”. (Tavares, André
Ramos, Curso de Direito Constitucional, 5º ed. São Paulo, Saraiva, 2007, ps. 173-174)

95
legais anteriores. Assim, a recepção ocasiona uma revalidação das normas infraconsti-
tucionais anteriores que sejam materialmente compatíveis a Carta vigente de 1988.9&10
A redação do art. 193, §2º da clt é decorrente da Lei nº 6.514/77, promulga-
da sob a égide da Constituição Militar de 1967, sendo cronologicamente anterior a
Constituição Cidadã de 1988.
De tal sorte é imprescindível aferir se a prescrição normativa do art. 193, §2º
da clt encontra-se em sintonia no seu expecto material com a Constituição vigente.
Quadro 1 – comparativo entre os dispositivos da clt e da Constituição

clt Constituição
Art. 193. (...). Art. 7º São direitos dos trabalhadores urba-
§ 2º - O empregado poderá optar pelo nos e rurais, além de outros que visem à melhoria de
adicional de insalubridade que porventura lhe seja sua condição social:
devido. (...)
XXII - redução dos riscos inerentes ao tra-
balho, por meio de normas de saúde, higiene e segu-
rança;
XXIII - adicional de remuneração para as
atividades penosas, insalubres ou perigosas, na forma
da lei;
(...)

Fonte: os autores.

  Cf. Mendes, Gilmar Ferreir, Coelho, Inocêncio Mártires; Branco, Paulo Gustavo Gonet, Curso
9

de Direito Constitucional, 4º ed. São Paulo, Saraiva, 2009, p. 237.


10
  “O que a superveniência de uma Constituição provoca é novação do Direito ordinário interno
anterior. Como todas e cada uma das normas - legislativas, regulamentares e outras - retiram a sua
validade, direta ou indiretamente, da Constituição, a mudança de Constituição acarreta mudança de
fundamento de validade: as normas, ainda que formalmente intocadas, são novadas, no seu, título ou na
sua força jurídica, pela Constituição; e sistematicamente deixam de ser as mesmas.
Há,
assim, uma nítida diferença entre a situação do Direito constitucional anterior - o qual cessa com
a entrada em vigor da nova Constituição - e a do Direito ordinário anterior - o qual continua, com novo
fundamento da validade e sujeito aos princípios materiais da nova Constituição e que somente em caso
de contradição deixará de vigorar. (...).
(...).
Essa
ideia de recriação ou novação tem, designadamente, três corolários principais que não custa
apreender:
a)
Os princípios gerais de todos os ramos de Direito passam a ser os que constem da Constituição ou
os que dela se infiram, direta ou indiretamente, enquanto revelações dos valores fundamentais da ordem
jurídica acolhidos pela Constituição;
b)
As normas legais e regulamentares vigentes à data da entrada em vigor da nova Constituição têm
de ser reinterpretadas em face desta e apenas subsistem se conformes com as suas normas e os seus
princípios;
c)
As normas anteriores contrárias à Constituição não podem subsistir - seja qual for o modo de
interpretar o fenómeno da contradição e ainda que seja necessário distinguir consoante a contradição se
dê com normas precetivas ou com normas programáticas (...)”. (Miranda, Jorge, Teoria dos Estado e
da Constituição, 3° ed. Rio de Janeiro, Forense, 2011, ps. 334-335)

96
Constitui um direito fundamental social a proteção ao meio ambiente laboral
sadio, constituindo um princípio a minimização dos riscos ocupacionais como se
extrai do art. 7º, xxii da Constituição.
Não sendo possível a neutralização desses riscos ocupacionais tem-se uma
regra constitucional referente a compensação financeira ao trabalhador pela exposi-
ção a ambientes nocivos decorrente da insalubridade, penosidade ou perigosidade.
Percebe-se, novamente, o escopo tutelar dos regramentos constitucionais de
viés trabalhista, o qual fornece uma moldura para a validade das normas infracons-
titucionais.
Da dimensão dessa moldura fora especificado, claramente, a possibilidade
de percepção de determinados adicionais: penosidade, insalubridade e periculosida-
de. Constitui-se uma norma constitucional de eficácia limitada, visto que o consti-
tuinte originário reservou a lei a regulamentação dos referidos adicionais.
Todavia, o fato de se está diante de uma norma constitucional de eficácia
limitada não quer dizer que não haja uma densidade normativa mínima da qual se
possa extrair algum regramento.
A Constituição especificou de forma distinta 3 adicionais com o fito de com-
pensar os riscos ocupacionais de um ambiente de trabalho. Não se definiu, constitu-
cionalmente, o que são esses adicionais, mas pelo imperativo da lógica os respecti-
vos adicionais devem possuir fatos geradores distintos. Como consequência lógica,
também, se tem-se riscos ocupacionais diversos deve-se ter percepção dos adicionais
correspondentes.11
Lembrar que constitui um dos princípios da hermenêutica constitucional o
princípio da máxima efetividade, que determina que no processo interpretativo da
norma constitucional deve ser dado o sentido que maior eficácia lhe proporcionar.12
De tal sorte, não é uma interpretação razoável aquele que vislumbra que a norma
constitucional do art. 7º, xxiii da Constituição limitou apenas a percepção de um
único adicional pelo trabalhador, excluindo os demais.
É imprescindível no que tange ao fenômeno constitucional da recepção que
a norma infraconstitucional, promulgada sob o regime constitucional anterior seja
reinterpretada a partir da Constituição vigente.
Torna-se uma tarefa hercúlea tentar declarar recepcionada a norma da ve-
dação de acúmulo do adicional de insalubridade com o adicional de periculosidade
prescrição no art. 193, §2º da clt quando essa vedação ao acúmulo não existe na

11
  “Ora, se o ambiente do trabalho é duplamente mais arriscado para a saúde, a vida e a segurança
do trabalhador, ou seja, se a sua atividade laboral lhe assegura o direito a dois adicionais, não faz senti-
do ele receber apenas um adicional, pois não há bis in idem para o empregado (fatos geradores diversos
para a percepção dos adicionais de periculosidade e insalubridade), e sim uma vantagem econômica
desproporcional para o empregador”. (Leite, Carlos Henrique Bezerra, Curso de Direito do Trabalho,
12º ed. São Paulo, Saraiva, 2020, p. 530)
  Cf. Canotilho, José Joaquim Gomes, Direito Constitucional, 7º ed. Coimbra, Livraria Almedi-
12

na, 2003, p. 1224.

97
Constituição de 1988 e a partir de uma interpretação teleológica é pujante que o fim
buscado na moldura constitucional é de maximizar a proteção do trabalhador no seio
no meio ambiente em que labora.13
Há essa maximização da norma constitucional de 1988 com o regramento do
art. 193, §2º da clt? A resposta só pode ser não, pois quando se obriga o trabalhador
a optar por um dos adicionais estando ele exposto duplamente a riscos ocupacionais
distintos está transferindo o risco da atividade para o hipossuficiente da relação de
trabalho, além de desestimular a eliminação ou neutralização dos riscos ambien-
tais,14 o que vem por macular o valor da proteção ao meio ambiente do trabalho que
são a razão das normas constitucionais prescritas no art. 7º, xxii e xxiii.

2.2. O surgimento da expressão de “controle de convencionalidade” remonta


aos idos da década de 70, quando o Conselho Constitucional Francês fora instado
a se pronunciar em relação a lei que versava sobre a regulamentação sobre a licitu-
de do aborto voluntário em relação a Convenção Europeia de Direito Humanos de
1950. O Conselho Constitucional Francês entendeu não ser de competência dele o
poder para aferir a adequação da lei doméstica em relação as convenções internacio-
nais, estando restringido, apenas, a matéria constitucional. Apesar do não reconhe-
cimento do poder de controle de convencionalidade a terminologia, nesse momento
tem o seu nascedouro.15
A técnica do controle de convencionalidade é assim definida pelo professor
Valério Mazzuoli:
Falar em controle de convencionalidade significa falar em compatibilidade
vertical material das normas do direito interno com as convenções internacionais de

  “Por conta da literalidade do referido dispositivo consolidado, a doutrina majoritária sustenta


13

que são inacumuláveis os adicionais de insalubridade e periculosidade. No entanto, a interpretação te-


leológica da regra em causa autoriza a possibilidade de acumulação, mormente se adotarmos a interpre-
tação conforme a Constituição, já que o texto constitucional estimula a adoção de normas tendentes a
reduzir os riscos inerentes ao trabalho, isto é, as doenças e os acidentes do trabalho, e reconhece direitos
fundamentais dos trabalhadores os adicionais de remuneração para as atividades perigosas, insalubres
ou penosas (cf, art. 7º, xxii e xxiii)”. (Leite, Carlos Henrique Bezerra, Curso de Direito do Trabalho, 12º
ed. São Paulo, Saraiva, 2020, p. 530)
  “(...) o art. 193, § 2.°, da clt assegura o direito do empregado de optar entre o adicional de peri-
14

culosidade e o adicional de insalubridade, tende a prevalecer a posição de que ele não faz jus ao recebi-
mento de ambos os adicionais ao mesmo tempo 10, entendimento este que, no entanto, merece fundada
crítica, pois, se o empregado está exposto tanto ao agente insalubre como também à periculosidade,
nada mais justo e coerente do que receber ambos os adicionais (art. 7.°, inciso xxiii, da cfi1988), uma
vez que os fatos geradores são distintos e autônomos. Além disso, a restrição a apenas um dos adicio-
nais acaba desestimulando que a insalubridade e a periculosidade sejam eliminadas e neutralizadas, o
que estaria em desacordo com o art. 7.°, inciso XXII, da Constituição Federal de 1988. (...)”. (Garcia,
Gustavo Filipe Barbosa, Meio ambiente do trabalho – direito, segurança e saúde no trabalho, 7º ed.
Salvador, Juspodivm, 2020, ps. 296-297)
  Cf. Mazzuoli, Valério Oliveira, Controle Jurisdicional da Convencionalidade das Leis. 5º ed.
15

Rio de Janeiro, Forense, 2018, ps. 22-23.

98
direitos humanos em vigor no Estado. Significa, também, falar especialmente em
técnica judicial (tanto internacional como interna) de compatibilização vertical das
leis com tais preceitos internacionais. (...).16

2.2.1 O tratado internacional seria um acordo escrito entre os Estados ou


organizações internacionais, sobre uma matéria de interesse comum, regido pelo
direito internacional, o qual pode conter dois ou mais documentos, como anexos e
protocolos, onde estes auxiliam na regulamentação do documento principal.17
Os tratados internacionais, assim é conceituado por Valério Mazzuoli:
(...). Portanto, sob o aspecto que ora nos ocupa, entende-se por tratado todo
acordo formal, concluído entre os sujeitos de Direito Internacional Público, regido
pelo direito das gentes e visando à produção de efeitos de direito para as partes con-
tratantes. (...)18&19
Era consolidado, na jurisprudência do stf, a teoria da equivalência legislati-
va entre os tratados internacionais e as leis ordinárias, ou seja, os tratados internacio-
nais, ratificados pelo Congresso Nacional, adentravam no sistema jurídico brasileiro
com status de lei ordinária.
A partir de uma decisão, em sede de Recurso Extraordinário (re 466343/sp,
rel. Min. Cezar Peluso, 22.11.2006),20 ao tratar da prisão civil do depositário infiel,

16
  Mazzuoli, Valério Oliveira, Controle Jurisdicional da Convencionalidade das Leis, 5º ed. Rio
de Janeiro, Forense, 2018, p. 22.
17
  Assim encontra-se definido a figura do tratado na Convenção de Viena sobre o direito dos trata-
dos, firmado em 1969: “‘tratado’ significa um acordo internacional concluído por escrito entre Estados
e regido pelo Direito Internacional, quer conste de um instrumento único, quer de dois ou mais instru-
mentos conexos, qualquer que seja sua denominação específica”.
  Mazzuoli, Valério de Oliveira, Curso de Direito Internacional Público, 2º ed. São Paulo,
18
rt,
2007, p. 133.
19
  Convenção de Viena sobre o Direito dos Tratados de 1969. Art. 2º. (...).
1.
Para os fins da presente Convenção:
a)
“tratado” significa um acordo internacional concluído por escrito entre Estados e regido pelo Di-
reito Internacional, quer conste de um instrumento único, quer de dois ou mais instrumentos conexos,
qualquer que seja sua denominação específica;
(...)
20
  “Em seguida, o Min. Gilmar Mendes acompanhou o voto do relator, acrescentando aos seus
fundamentos que os tratados internacionais de direitos humanos subscritos pelo Brasil possuem status
normativo supralegal, o que torna inaplicável a legislação infraconstitucional com eles conflitantes,
seja ela anterior ou posterior ao ato de ratificação e que, desde a ratificação, pelo Brasil, sem qualquer
reserva, do Pacto Internacional dos Direitos Civis e Políticos (art. 11) e da Convenção Americana
sobre Direitos Humanos - Pacto de San José da Costa Rica (art. 7º, 7), não há mais base legal para a
prisão civil do depositário infiel. Aduziu, ainda, que a prisão civil do devedor-fiduciante viola o princí-
pio da proporcionalidade, porque o ordenamento jurídico prevê outros meios processuais-executórios
postos à disposição do credor-fiduciário para a garantia do crédito, bem como em razão de o DL 911/69,
na linha do que já considerado pelo relator, ter instituído uma ficção jurídica ao equiparar o devedor-
-fiduciante ao depositário, em ofensa ao princípio da reserva legal proporcional. Após os votos dos
Ministros Cármen Lúcia, Ricardo Lewandowski, Joaquim Barbosa, Carlos Britto e Marco Aurélio, que

99
previsto no art. 5º, lxvii e sua análise conforme a Convenção Americana de Direi-
tos Humanos, reconheceu que tratados internacionais de direitos humanos que não
foram aprovados com o quórum de 3/5, em dois turnos, em cada casa do congres-
so (procedimento respectivo das emendas constitucionais) deveriam portar o status
normativos de supralegalidade. Ou seja, acima na lei ordinária e abaixo da norma
constitucional.
De tal sorte, em matéria de tratados internacionais, tem-se as seguintes equi-
valências: tratados internacionais que não sejam de direitos humanos aderem ao pa-
tamar de lei ordinárias; tratados internacionais de direitos humanos que obedecerem
a regra do art. 5º, §3º da Constituição,21 teriam status de Emendas à Constituição; por
fim, tratados internacionais de direitos humanos, não aprovados segundo os tramites
de Emenda Constitucional, teriam o porte de dispositivos supralegais.
Diga-se que até a presente data, os únicos tratados/convenções internacio-
nais ratificados segundo a regra constitucional do art. 5º, §3º da Constituição Federal
foi a Convenção Internacional sobre os Direitos das Pessoas com Deficiência e seu
protocolo facultativo, assinados em Nova York, em 30 de março de 2007, promul-
gado através do Decreto nº 6.949/09 e o Tratado de Marraqueche para Facilitar o
Acesso a Obras Publicadas às Pessoas Cegas, com Deficiência Visual ou com outras
Dificuldades para ter Acesso ao Texto Impresso, celebrado em 28 de junho de 2013,
promulgado através do Decreto nº 9.522/18.
Lembrar o ensinamento da professora Flávia Piovesan, que ao interpretar
o §2º do art. 5º da Constituição Federal,22 entende que os tratados internacionais de
proteção aos direitos humanos, independentemente do quórum de aprovação ser de
Emenda Constitucional, vêm por incorpora-se ao sistema jurídico brasileiro com
status de norma constitucional em face, dentre outras coisas, do caráter material-
mente constitucional dos direitos fundamentais, vindo tais tratados, especialmente
aqueles anteriores a ec nº 45/04, a compor o bloco de constitucionalidade da ordem
brasileira.23

também acompanhavam o voto do relator, pediu vista dos autos o Min. Celso de Mello”. (re-466343)
(Grifos nossos). Informativo nº 449, de 20 a 24 de novembro de 2006 do stf.
  Constituição Federal. Art. 5º, § 3º Os tratados e convenções internacionais sobre direitos
21

humanos que forem aprovados, em cada Casa do Congresso Nacional, em dois turnos, por três quintos
dos votos dos respectivos membros, serão equivalentes às emendas constitucionais.
22
  Constituição Federal. Art. 5º. § 2º Os direitos e garantias expressos nesta Constituição não
excluem outros decorrentes do regime e dos princípios por ela adotados, ou dos tratados internacionais
em que a República Federativa do Brasil seja parte.
23
  Piovesan, Flávia, Direitos humanos e o Direito Constitucional Internacional, 15º ed. São Paulo,
Saraiva, 2015, ps. 120-121. “A Constituição de 1988 recepciona os direitos enunciados em tratados in-
ternacionais de que o Brasil é parte, conferindo-lhe natureza de norma constitucional. Isto é, os direitos
constantes nos tratados internacionais integram e complementam o catálogo de direitos constitucional-
mente previsto, o que justifica estender a esses direitos o regime constitucional conferido aos demais
direitos e garantias fundamentais”. (Piovesan, Flávia, Direitos humanos e o Direito Constitucional
Internacional, 15º ed. São Paulo, Saraiva, 2015, p. 124).

100
Segue a lapidar lição da professora Flávia Piovesan:
Ao efetuar a incorporação, a Carta atribui aos direitos internacionais uma na-
tureza especial e diferenciada, qual seja, a natureza de norma constitucional. Os di-
reitos enunciados nos tratados de direitos humanos de que o Brasil é parte integram,
portanto, o elenco dos direitos constitucionalmente consagrados. Essa conclusão ad-
vém ainda de interpretação sistemática e teológica do Texto, especialmente em face da
força expansiva dos valores da dignidade humana e dos direitos fundamentais, como
parâmetros axiológicos a orientar a compreensão do fenômeno constitucional.24
O entendimento alhures ventilado de reconhecer a natureza materialmen-
te constitucional dos tratados internacionais de direitos humanos é corroborada na
prestigiada doutrina do professor Valério Mazzuoli:
A Carta de 1988, com a disposição do § 2º do seu art. 5º, de forma inédita,
passou a reconhecer claramente, no que tange ao seu sistema de direitos e garantias,
uma dupla fonte normativa: a) aquela advinda do Direito interno (direitos expressos
e implícitos na Constituição, estes últimos subentendidos nas regras de garantias ou
decorrentes do regime e dos princípios por ela adotados), e; b) aquela outra advinda
do Direito Internacional (decorrente dos tratados internacionais de direitos humanos
em que a República Federativa do Brasil seja parte). De forma expressa, a Carta de
1988 atribuiu aos tratados internacionais de proteção dos direitos humanos devida-
mente ratificados pelo Estado brasileiro (e em vigor) a condição de fontes do sistema
constitucional de proteção de direitos. É dizer, tais tratados passaram a ser fontes do
sistema constitucional de proteção de direitos no mesmo plano de eficácia e igual-
dade daqueles direitos, expressa ou implicitamente, consagrados pelo texto constitu-
cional, o que justifica o status de norma constitucional que detêm tais instrumentos
internacionais no ordenamento jurídico brasileiro. (...)
Segundo o nosso entendimento, a cláusula aberta do § 2º do art. 5º, da Car-
ta de 1988, sempre admitiu o ingresso dos tratados internacionais de proteção dos
direitos humanos no mesmo grau hierárquico das normas constitucionais, e não em
outro âmbito de hierarquia normativa. Portanto, segundo sempre defendemos, o fato
de esses direitos se encontrarem em tratados internacionais jamais impediu a sua
caracterização como direitos de status constitucional.25

2.2.2. O Brasil é signatário de diversas Convenções da Organização Interna-


cional do Trabalho – oit, dentre elas a Convenção nº 148 que versa sobre a Proteção
dos Trabalhadores Contra os Riscos Profissionais Devidos à Contaminação do Ar,
ao Ruído e às Vibrações no Local de Trabalho de 1º de junho de 1977, aprovada
pelo Decreto Legislativo nº 56, de 9 de outubro de 1981 e sendo promulgada origi-

24
  Piovesan, Flávia, Direitos humanos e o Direito Constitucional Internacional, 15º ed. São Paulo,
Saraiva, 2015, p. 118.
25
  Mazzuoli, Valerio Oliveira, Curso de Direito Internacional Público, 12º ed. Rio de Janeiro,
Forense, 2018, p. 64.

101
nalmente através do Decreto nº 93.413, de 15 de outubro de 1986, assim como da
Convenção nº 155 que trata sobre Segurança e Saúde dos Trabalhadores e o Meio
Ambiente de Trabalho de 22 de junho de 1981, aprovada pelo Decreto Legislativo
nº 2, de 17 de março de 1992 e promulgada originalmente pelo Decreto nº 1.254, de
29 de setembro de 1994.
Destaca-se dessas convenções os seguintes dispositivos:
Convenção nº 148 da oit
Artigo 8
3. Os critérios e limites de exposição deverão ser fixados, completados e
revisados a intervalos regulares, de conformidade com os novos conhecimentos e
dados nacionais e internacionais, e tendo em conta, na medida do possível, qualquer
aumento dos riscos profissionais resultante da exposição simultânea a vários fatores
nocivos no local de trabalho. (Grifos nossos)
Convenção nº 155 da oit
Artigo 11
Com a finalidade de tornar efetiva a política referida no artigo 4 da presente
Convenção, a autoridade ou as autoridades competentes deverão garantir a realiza-
ção progressiva das seguintes tarefas:
(...)
b) a determinação das operações e processos que serão proibidos, limitados
ou sujeitos à autorização ou ao controle da autoridade ou autoridades competentes,
assim como a determinação das substâncias e agentes aos quais estará proibida a
exposição no trabalho, ou bem limitada ou sujeita à autorização ou ao controle da
autoridade ou autoridades competentes; deverão ser levados em consideração os
riscos para a saúde decorrentes da exposição simultâneas a diversas substâncias ou
agentes; (Grifos nossos)
Se extrai de forma uníssona, nas duas Convenções da oit, acima, que no
que tange ao meio ambiente laboral será considera para fins de determinação das
normativas de proteção ao trabalhador quanto aos riscos ocupacionais a exposição
simultânea de diversos fatores nocivos.
É clarividente a violação do Brasil no que tange ao cumprimento dos com-
promissos internacionais firmados no seio das Convenções nº 148 e 155 da oit, visto
que não está levando em consideração a exposição simultânea de riscos ocupacio-
nais no seu sistema doméstico, tanto que a redação do art. 193, §2º da clt foi dada
em 1977, nunca tendo sofrido qualquer alteração nesses últimos 44 anos, apesar da
grande reforma trabalhista, ocorrida em 2017, através da Lei nº 13.477.
Se o trabalhador se encontra exposto a riscos ocupacionais diversos, os quais
estão acima dos limites toleráveis, segundo as normas técnicas, e que fora impossível
a sua neutralização, não há razão lógica que justifique a não percepção cumulativa
dos adicionais de insalubridade e periculosidade quando presente os fatos geradores
correspondentes.
É flagrante a inconvencionalidade do art. 193, §2º da clt, posto que as Con-

102
venções nº 148 e 155 da oit, a partir da jurisprudência firmado pelo stf, possuir
status de norma supralegal, visto tratar de matéria de direitos humanos, todavia, não
aprovado com a ritualista de proposta de emenda constitucional.

2.3.1. No ordenamento jurídico brasileiro vem a se tratar de um princípio


constitucional implícito, não se encontrando prescrito de forma expressa na Cons-
tituição Federal de 1988, sendo cânone do Estado de Direito, onde o poder estatal
deve atuar de forma limitada.26
A sistematização mais aprofundada desse princípio deu-se na segunda me-
tade do século passado, na Alemanha, cuja terminologia derivou do princípio da
necessidade, sendo utilizado como instrumento em controle de constitucionalidade,
pela Corte Constitucional Alemã, no que tange à intervenção do Estado em face da
limitação do exercício de direitos fundamentais.
O princípio da proporcionalidade é constituído pelos seguintes elementos
(subprincípios): princípio da adequação; princípio da necessidade; e princípio da
proporcionalidade em sentido estrito.27
Na análise estrutural do princípio da proporcionalidade, o exame da ade-
quação busca aferir a idoneidade dos meios para atingir os fins perseguidos (re-
lação adequação da medida-fim). Quando do exame da necessidade vai se buscar
identificar qual dentre as medidas adequadas para atingir o fim tem o caráter menos
gravoso. Por fim, quando do exame da proporcionalidade em sentido estrito, faz um
juízo de ponderação para avaliar a proporcionalidade entre o meio escolhido e o fim
almejado.28
Reconhece-se que o princípio da proporcionalidade possui dois desdobra-
mentos normativos: a proibição do excesso (limitações abusivas pelos órgãos es-
tatais aos direitos fundamentais do cidadão) e a proibição da proteção deficiente
(imposição ao Estado da adoção de medidas adequadas à promoção dos direitos
fundamentais).29
O princípio da proporcionalidade, enquanto máxima da interpretação, não
apresenta conteúdo material, mas sim é uma diretiva procedimental para busca ma-
terial da decisão.

26
  Cf. Bonavides, Paulo, Curso de Direito Constitucional, 23º ed. São Paulo, Malheiros, 2008,
ps.434-436.
27
  “Não se deve confundir proporcionalidade com razoabilidade. Esta refere-se especificamente à
questão do controle de abuso, realizada em face de situações extremas e inequívocas. Já a proporcio-
nalidade contém formulação teórica mais apurada e se dá em três dimensões: juízo de adequação, de
necessidade e de proporcionalidade em sentido estrito”. (Estefam, André, Direito Penal – parte geral,
São Paulo, Saraiva, 2010. V.1, p. 124).
28
  Cf. Feldens, Luciano, A Constituição Penal – A Dupla Face da Proporcionalidade no Controle
de Normas Penais, Porto Alegre, Livraria do Advogado, 2005, ps. 163-166.
29
  Cf. Novelino, Marcelo, Manual de Direito Constitucional, 8º ed. São Paulo: Método, 2013, ps.
426-427.

103
De sorte que em sua instrumentalização perfaz-se uma sequência perguntas
e respostas para aferir se determina norma é albergada ou não pela moldura da pro-
porcionalidade.

2.3.2. A pergunta problema é óbvia: seria proporcional labutar em um am-


biente insalubre e perigoso, ao mesmo tempo, decorrente de fatos geradores distin-
tos, e perceber, apenas, um dos adicionais?
Em uma análise pormenorizada do princípio da proporcionalidade seria a
vedação ao acúmulo dos adicionais de insalubridade e periculosidade um meio ade-
quado para atingir o fim proteção justa ao trabalhador em face dos riscos ocupacio-
nais? A resposta, aqui, só pode ser negativa.
Perceba-se que não se consegue se quer compatibilizar a norma do art. 193,
§2º da clt com o subprincípio da adequação, pois a referida norma não é adequada
ao escopo tutelar ínsito do direito do trabalho, o que revela altíssimo grau de despro-
porcionalidade da norma.30
Mesmo que se queira socorrer de algum tipo de retórica hiperbolizada para
justiçar um mínimo de adequação, a regra da clt não sobrevive ao exame quanto ao
subprincípio da necessidade que busca aferir dentre as medidas adequadas a menos
gravosa. No plano ideal a melhor medida é aquele em que não há risco ocupacional
para o trabalhador, todavia, existindo diversos fatores de natureza diversa, que o
trabalhador seja devido monetizado por isso, ou seja, o regramento que permitisse a
acumulação dos adicionais de insalubridade e periculosidade teria o caráter de menor
gravosidade em relação a proteção ao trabalhador do que a vedação da acumulação, a
qual estaria transferindo parcela do risco da atividade econômica para o empregado.
Se no problema em questão sequer sobrevive logicamente ao filtro dos subprin-
cípios da adequação e da necessidade a análise de um juízo de ponderação próprio do
subprincípio da proporcionalidade em sentido estrito queda-se desnecessário.
O fato é que ao perpassar o regramento normativo do art. 193, §2º da clt
pelo espectro do princípio da proporcionalidade constata-se, sem maiores eloquên-
cias, que a norma infraconstitucional em questão é desproporcional e, consequente-
mente, inconstitucional (isso a partir da premissa daqueles que entendem que o art.
193, §2º da clt fora recepcionado pela Constituição de 1988).
No momento que se atropela o princípio constitucional da proporcionalidade
tem-se um atentado a toda a ordem jurídica.31

3. A questão da possibilidade da cumulação dos adicionais de insalubridade e

  “(...). Em resumo sumário, o princípio da razoabilidade permite ao Judiciário invalidar atos


30

legislativos ou administrativos quando: a) não haja adequação entre o fim perseguido e o instrumento
empregado (adequação); (...)”. (Barroso, Luís Roberto, Interpretação e aplicação da Constituição. 7º
ed. São Paulo, Saraiva, 2010, p. 374)
  Cf. Bonavides, Paulo, Curso de Direito Constitucional, 23º ed. São Paulo, Malheiros, 2008, p. 435.
31

104
periculosidade, por óbvio, fora ventilada nas causas perante a justiça trabalhista, onde
as razões do pedido ventilavam a não recepção do art. 193, §2º da clt e/ou a inconven-
cionalidade do referido dispositivo em face das Convenções nº 148 e 155 da oit.
Tese retro ganhou guarida em julgados dos Tribunais Regionais do Trabalho
como os da 15º e 17º região:
cumulação de adicionais – periculosidade e insalubridade – possibilidade
1. Os adicionais de insalubridade, periculosidade ou penosidade foram al-
çados ao nível de direitos fundamentais.
2. A acumulação desses adicionais está amparada pelo princípio da digni-
dade da pessoa humana, insculpido no art. 1º, crfb/88, no inciso xxii do art. 7º da
crfb/88, que preconiza a obrigatoriedade da empregadora em adotar medidas que
garantam a diminuição dos riscos inerentes ao trabalho, por meio de normas de saú-
de, higiene e segurança, bem como na Convenção nº 155 da oit, que dispõe sobre a
segurança e saúde dos trabalhadores e o meio ambiente de trabalho.
3. A possibilidade de acumular o direito ao adicional de insalubridade e de
periculosidade deve ser interpretada à luz da nova ordem Constitucional, pois se
trata de direito fundamental.
4. O ideal a ser buscado pela humanidade é que ninguém trabalhe em am-
biente insalubre ou perigoso, porém, trata-se de cenário bastante longínquo. Assim,
por ora, a legislação trabalhista monetiza a saúde e a segurança do trabalhador. To-
davia, essa monetização deve ser completa, integral, aí incluída a possibilidade de
acumular os adicionais de insalubridade e periculosidade.
5. Saliente-se que essa interpretação está em consonância com o princípio
da vedação do retrocesso social e de acordo com o pidesc (Pacto Internacional sobre
Direitos Econômicos, Sociais e Culturais) - artigos 2º, 11, 16, 18, 21 e 22, com o Pro-
tocolo Adicional - Pacto de San Salvador - 17.11.1988 - Artigos 1º, 17 e 19, e com a
Convenção Americana sobre Direitos Humanos (Pacto de São José da Costa Rica),
de 22.11.1969 (art. 26). Dessa forma, constatada a existência de agente insalubre
e agente perigoso são devidos os pagamentos dos adicionais relativos a cada fato
gerador, cumulativamente. Recurso provido.32 (Grifos nossos)
controle de convencionalidade – adicional de insalubridade e periculosi-
dade – cumulatividade – possibilidade
A cumulação de adicionais deve ser autorizada, até para coibir casos como
o presente, onde o valor irrisório dos adicionais, sobretudo o de insalubridade, esti-
mula o comprometimento da saúde e da vida do trabalhador, ao invés das empresas
buscarem a eliminação dos agentes periculosos e insalubres do ambiente de traba-
lho, numa clara pecuniarização da saúde do trabalhador, em que o capital prefere
pagar os adicionais em comento ao invés de arcar com os investimentos necessários
à eliminação dos riscos do ambiente de trabalho. Deve-se fazer uma interpretação

32
  trt 15°, 11º Câmara, Recurso Ordinário nº 001442-87.2012.5.15.0082, Rel. Des. João Batista
Martins César, Publicado em: 18.11.2014.

105
conforme a Constituição Federal, visando conferir máxima efetividade ao dispo-
sitivo constitucional que, no caso, é garantir um ambiente de trabalho saudável e
preservar a incolumidade física, psíquica e moral do trabalhador, concluindo-se
pela possibilidade a cumulação dos dois adicionais. Incidência do art. 7º, xxii da cf
e Convenções 148 e 155 da oit. Precedente do tst.33
Quando o assunto fora ventilado no bojo do Tribunal Superior do Trabalho,
sendo julgado na 7º Turma, também, se firmou entendimento favorável a percepção
dos adicionais de insalubridade e periculosidade:
recurso de revista. cumulação dos adicionais de insalubridade e periculo-
sidade. possibilidade. prevalência das normas constitucionais e supralegais sobre a
clt. jurisprudência consolidada do stf quanto ao efeito paralisante das normas in-
ternas em descompasso com os tratados internacionais de direitos humanos. incom-
patibilidade material. convenções nos 148 e 155 da oit. normas de direito social.
controle de convencionalidade. nova forma de verificação de compatibilidade das
normas integrantes do ordenamento jurídico.
A previsão contida no artigo 193, § 2º, da clt não foi recepcionada pela
Constituição Federal de 1988, que, em seu artigo 7º, xxiii, garantiu de forma plena
o direito ao recebimento dos adicionais de penosidade, insalubridade e periculosi-
dade, sem qualquer ressalva no que tange à cumulação, ainda que tenha remetido
sua regulação à lei ordinária. A possibilidade da aludida cumulação se justifica em
virtude de os fatos geradores dos direitos serem diversos. Não se há de falar em bis
in idem. No caso da insalubridade, o bem tutelado é a saúde do obreiro, haja vista
as condições nocivas presentes no meio ambiente de trabalho; já a periculosidade
traduz situação de perigo iminente que, uma vez ocorrida, pode ceifar a vida do tra-
balhador, sendo este o bem a que se visa proteger. A regulamentação complementar
prevista no citado preceito da Lei Maior deve se pautar pelos princípios e valores
insculpidos no texto constitucional, como forma de alcançar, efetivamente, a finali-
dade da norma. Outro fator que sustenta a inaplicabilidade do preceito celetista é
a introdução no sistema jurídico interno das Convenções Internacionais nos 148 e
155, com status de norma materialmente constitucional ou, pelo menos, supralegal,
como decidido pelo stf. A primeira consagra a necessidade de atualização constante
da legislação sobre as condições nocivas de trabalho e a segunda determina que se-
jam levados em conta os riscos para a saúde decorrentes da exposição simultânea a
diversas substâncias ou agentes. Nesse contexto, não há mais espaço para a aplica-
ção do artigo 193, § 2º, da clt. Recurso de revista de que se conhece e a que se nega
provimento.34 (Grifos nossos)
A questão chegou a contar com uma decisão favorável, em 2016, no bojo da

  trt 17º Região, 1º Turma, Recurso Ordinário nº 0000817-50.2014.5.17.0010, Rel. Des. Cláudio
33

Armando Couce de Menezes, Publicado em: 24.02.2016


  tst, 7º Turma,
34
rr-1072-72.2011.5.02.0384, Rel. Min. Claudio Mascarenhas Brandão, dejt
03/10/2014.

106
Subseção Especializada em Dissídios Individuais-I, com fundamento único no que
tange a fatos geradores distintos, visto que reconhecia a compatibilidade do art. 193,
§2º da clt com a Constituição e com as Convenções nº 148 e 155 da oit. In verbis:
adicionais. periculosidade e insalubridade. percepção cumulativa. art. 193,
§ 2º, da clt. alcance
1. No Direito brasileiro, as normas de proteção ao empregado pelo labor
prestado em condições mais gravosas à saúde e à segurança deverão pautar-se sem-
pre nos preceitos insculpidos no art. 7º, incisos xxii e xxiii, da Constituição Federal:
de um lado, a partir do estabelecimento de um meio ambiente do trabalho equilibra-
do; de outro lado, mediante retribuição pecuniária com vistas a “compensar” os efei-
tos nocivos decorrentes da incontornável necessidade de exposição do empregado,
em determinadas atividades, a agentes nocivos à sua saúde e segurança.
2. No plano infraconstitucional, o art. 193 da clt, ao dispor sobre o direito
à percepção de adicional de periculosidade, assegura ao empregado a opção pelo
adicional de insalubridade porventura devido (§ 2º do art. 193 da clt).
3. A opção a que alude o art. 193, § 2º, da clt não conflita com a norma do
art. 7º, xxii, da Constituição Federal. Os preceitos da clt e da Constituição, nesse
ponto, disciplinam aspectos distintos do labor prestado em condições mais gravosas:
enquanto o art. 193, § 2º, da clt regula o adicional de salário devido ao empregado
em decorrência de exposição a agente nocivo, o inciso xxii do art. 7º impõe ao em-
pregador a redução dos agentes nocivos no meio ambiente de trabalho. O inciso xxiii,
a seu turno, cinge-se a enunciar o direito a adicional “de remuneração” para as ativi-
dades penosas, insalubres e perigosas e atribui ao legislador ordinário a competência
para fixar os requisitos que geram direito ao respectivo adicional.
4. Igualmente não se divisa descompasso entre a legislação brasileira e as nor-
mas internacionais de proteção ao trabalho. As Convenções nos 148 e 155 da oit, em
especial, não contêm qualquer norma explícita em que se assegure a percepção cumu-
lativa dos adicionais de periculosidade e de insalubridade em decorrência da exposição
do empregado a uma pluralidade de agentes de risco distintos. Não há, pois, em tais
normas internacionais preceito em contraposição ao § 2º do art. 193 da clt.
5. Entretanto, interpretação teleológica, afinada ao texto constitucional, da
norma inscrita no art. 193, § 2º, da clt, conduz à conclusão de que a opção franque-
ada ao empregado, em relação à percepção de um ou de outro adicional, somente
faz sentido se se partir do pressuposto de que o direito, em tese, ao pagamento dos
adicionais de insalubridade e de periculosidade deriva de uma única causa de pedir.
6. Solução diversa impõe-se se se postula o pagamento dos adicionais de
insalubridade e de periculosidade, concomitantemente, com fundamento em causas
de pedir distintas. Uma vez caracterizadas e classificadas as atividades, individu-
almente consideradas, como insalubre e perigosa, nos termos do art. 195 da clt, é
inarredável a observância das normas que asseguram ao empregado o pagamento
cumulativo dos respectivos adicionais - arts. 192 e 193, § 1º, da clt. Trata-se de
entendimento consentâneo com o art. 7º, xxiii, da Constituição Federal de 1988. Do

107
contrário, emprestar-se-ia tratamento igual a empregados submetidos a condições
gravosas distintas: o empregado submetido a um único agente nocivo, ainda que
caracterizador de insalubridade e também de periculosidade, mereceria o mesmo
tratamento dispensado ao empregado submetido a dois ou mais agentes nocivos,
díspares e autônomos, cada qual em si suficiente para gerar um adicional. Assim, se
presentes os agentes insalubre e de risco, simultaneamente, cada qual amparado em
um fato gerador diferenciado e autônomo, em tese há direito à percepção cumulativa
de ambos os adicionais.
7. Incensurável, no caso, acórdão de Turma do tst que nega a percepção
cumulativa dos adicionais de insalubridade e de periculosidade se não comprovada,
para tanto, a presença de causa de pedir distinta.
8. Embargos do Reclamante de que se conhece, por divergência jurispruden-
cial, e a que se nega provimento.35
Por fim, em julgamento do final de 2019, com publicação do acórdão em
2020, a Subseção Especializada em Dissídios Individuais – I, fixando tese de na-
tureza vinculante, entendeu pela impossibilidade da acumulação dos adicionais de
insalubridade e periculosidade. Reiterou-se que art. 193, §2º da clt fora recepciona-
do pela Constituição de 1988, visto que o art. 7º, xxiii (através de uma interpretação
gramatical) permite a interpretação da alternatividade dos adicionais e que as Con-
venções 148 e 155 da oit não versão sobre a cumulatividade dos adicionais,36 o que
acarreta a ausência de paradigma para feitura de controle de convencionalidade. In
verbis, a ementa do julgado:
incidente de recursos repetitivos. adicionais de periculosidade e de insa-
lubridade. impossibilidade de cumulação, ainda que amparados em fatos geradores
distintos e autônomos. interpretação sistemática do ordenamento jurídico. recep-
ção do art. 193, § 2º, da clt, pela constituição federal.
1. Incidente de recursos repetitivos, instaurado perante a sbdi-1, para decidir-
-se, sob as perspectivas dos controles de constitucionalidade e de convencionalidade,
acerca da possibilidade de cumulação dos adicionais de periculosidade e de insalubri-

  tst, Subseção Especializada em Dissídios Individuais-i, e-arr-1081-60.2012.5.03.0064, Reda-


35

tor Ministro João Oreste Dalazen, dejt 17/06/2016.


  “As Convenções da oit estabelecem normas gerais. Cada país adota a regra específica que en-
36

tender mais adequada, atendendo às suas particularidades.


As normas internacionais mencionadas tratam de um modo geral de saúde e não de adicionais de
insalubridade e periculosidade.
A proteção à vida e à segurança do trabalho não implica que haverá pagamento de adicional cumulativo.
Se se pretende que haja o pagamento do adicional de insalubridade e do de periculosidade ao mes-
mo tempo, é preciso alterar a redação da clt”. (Martins, Sérgio Pinto, Direito do Trabalho, 36º ed. São
Paulo, Saraiva, 2020, p. 425)
Em sentido contrário: “Como se pode notar, as normas internacionais em questão, dispondo de forma
mais benéfica e coerente, admitem o recebimento, simultâneo, dos adicionais de insalubridade e de pericu-
losidade, quando o empregado está exposto a ambos os agentes”. (Garcia, Gustavo Filipe Barbosa, Meio
ambiente do trabalho – direito, segurança e saúde no trabalho, 7º ed. Salvador, Juspodivm, 2020, p. 298)

108
dade, quando amparados em fatos geradores distintos e autônomos, diante de eventual
ausência de recepção da regra do art. 193, § 2º, da clt, pela Constituição Federal.
2. Os incisos xxii e xxiii do art. 7º da Constituição Federal são regras de
eficácia limitada, de natureza programática. Necessitam da “interpositio legislato-
ris”, embora traduzam normas jurídicas tão preceptivas quanto as outras. O princípio
orientador dos direitos fundamentais sociais, neles fixado, é a proteção da saúde do
trabalhador. Pela topografia dos incisos - o xxii trata da redução dos riscos inerentes
ao trabalho e o xxiii, do adicional pelo exercício de atividades de risco –, observa-se
que a prevenção deve ser priorizada em relação à compensação, por meio de retribui-
ção pecuniária (a monetização do risco), dos efeitos nocivos do ambiente de trabalho
à saúde do trabalhador.
3. Gramaticalmente, a conjunção “ou”, bem como a utilização da palavra
“adicional”, no inciso xxiii do art. 7º, da Carta Magna, no singular, admite supor-se
alternatividade entre os adicionais.
4. O legislador, no art. 193, § 2º, da clt, ao facultar ao empregado a op-
ção pelo recebimento de um dos adicionais devidos, por certo, vedou o pagamento
cumulado dos títulos, sem qualquer ressalva.
5. As Convenções 148 e 155 da oit não tratam de cumulação de adicionais
de insalubridade e de periculosidade.
6. Conforme ensina Malcom Shaw, “quando uma lei e um tratado têm o mes-
mo objeto, os tribunais buscarão interpretá-los de forma que deem efeito a ambos
sem contrariar a letra de nenhum dos dois”. É o que se recomenda para o caso, uma
vez que os textos comparados (Constituição Federal, Convenções da oit e clt) não
são incompatíveis (a regra da impossibilidade de cumulação adequa-se à transição
para o paradigma preventivo), mesmo considerado o caráter supralegal dos tratados
que versem sobre direitos humanos. É inaplicável, ainda, o princípio da norma mais
favorável, na contramão do plano maior, por ausência de contraposição ou paradoxo.
7. Há Lei e jurisprudência consolidada sobre a matéria. Nada, na conjuntura
social, foi alterado, para a ampliação da remuneração dos trabalhadores no caso
sob exame. O art. 193, § 2º, da clt, não se choca com o regramento constitucional
ou convencional.
8. Pelo exposto, fixa-se a tese jurídica: o art. 193, § 2º, da clt foi recepciona-
do pela Constituição Federal e veda a cumulação dos adicionais de insalubridade e
de periculosidade, ainda que decorrentes de fatos geradores distintos e autônomos.
Tese fixada.37 (Grifos nossos)

4. Não se vislumbra como melhor interpretação a tese fixada no julgamento


do e-arr-1081-60.2012.5.03.0064, da Subseção Especializada em Dissídios Indivi-
duais-I, do tst.

37
  tst, Subseção Especializada em Dissídios Individuais - i, irr-239-55.2011.5.02.0319, Rel. Min.
Alberto Luiz Bresciani de Fontan Pereira, Publicado em: 06/03/2020.

109
Reconhecer a adequação material do art. 193, §2º da clt com a Constituição
Federal é ir de encontro ao princípio de hermenêutica constitucional da máxima
efetividade.
Não só isso, o regramento do art. 193, §2º da clt não sobrevive ao filtro do
postulado constitucional da proporcionalidade porque não é meio adequado para
atingir o fim proteção justa ao trabalhador em face dos riscos ocupacionais.
E caso possa ser entendido como adequado viola o subprincípio da necessida-
de (busca da medida adequa menos gravosa) visto que o regramento que permitisse a
acumulação dos adicionais de insalubridade e periculosidade teria o caráter de menor
gravosidade em relação a proteção ao trabalhador do que a vedação da acumulação, a
qual estaria transferindo parcela do risco da atividade econômica para o empregado.
Sendo necessário sempre um duplo juízo: um quanto a questão constitucio-
nal e outro em relação a matéria convencional é ululante a inconvencionalidade do
art. 193, §2º da clt, posto a violação a compromissos internacionais firmados no seio
das Convenções nº 148 e 155 da oit, em razão de desconsiderar a exposição simultâ-
nea de riscos ocupacionais no âmbito jurídico interno. A redação do art. 193, §2º da
clt é de 1977, nunca tendo sofrido alteração nesses últimos 44 anos.
Se o trabalhador se encontra exposto a riscos ocupacionais diversos, os quais
estão acima dos limites toleráveis, segundo as normas técnicas, e que fora impossível
a sua neutralização, não há razão lógica que justifique a não percepção cumulativa
dos adicionais de insalubridade e periculosidade quando presente os fatos geradores
correspondentes.
Espera-se que o tst, em um futuro breve, possa se permitir rever a sua juris-
prudência indo além de uma mera interpretação gramatical/literal de sorte a efetivar
a força normativa da constituição e das convenções internacionais em matéria de
direitos humanos.

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para Facilitar o Acesso a Obras Publicadas às Pessoas Cegas, com Deficiência Visual ou
com Outras Dificuldades para Ter Acesso ao Texto Impresso, firmado em Marraqueche, em
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dações da Organização Internacional do Trabalho - oit ratificadas pela República Federa-
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Contra os Riscos Profissionais Devidos à Contaminação Do Ar, Ao Ruído e Às Vibrações
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sponível em: <http://www.planalto.gov.br/ccivil_03/_Ato2019-2022/2019/Decreto/D10088.
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Tavares, André Ramos, Curso de Direito Constitucional, 5º ed. São Paulo, Saraiva, 2007.

the constitutional and conventional incompatibility of the rule of the


sealing of the accumulation of additional insalubrity and periculosity

Abstract: The research on screen, using a qualitative analysis methodology, using


the hypothetical-deductive approach methods of a descriptive and analytical char-
acter, adopting a bibliographic research technique, where one visits the legislation,
the doctrine and the jurisprudence, its purpose is to analyze the thesis, based on
the scope of labor justice, regarding the legal feasibility of accumulating unhealthy
and dangerous work surcharges resulting from different taxable events. It is argued
that art. 193, §2 of the clt would be unconventional, in addition to not having been
accepted by the 1988 Constitution. In addition to this, the rule that prohibits the
accumulation of additionals does not prosper in the face of the principle of propor-
tionality. The current understanding of the Superior Labor Court is to recognize the
validity of the rule prohibiting the possibility of accumulating additional charges.

keyword: Conventionality control. Unhealthy work additional. Additional for haz-


ardous work. Accumulation.

112
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-7
pp. 113-131

UN COSTITUZIONALISMO TALEBANO?
QUALCHE PROSPETTIVA
SUL FUTURO GIURIDICO DELL’AFGHANISTAN

Federico Lorenzo Ramaioli*

Sommario: 1. Introduzione.- 2. La disciplina costituzionale del 2004.- 3.


Una nuova, vecchia Costituzione: la Carta del 1964.- 3.1. Un nuovo emirato come
forma di governo.- 3.2. Il ruolo della sharīʿa.- 3.3. Una scelta temporanea: prospet-
tive per il futuro.- 4. Conclusioni.

1. La caduta di Kabul avvenuta nell’agosto 2021, e i successivi attentati ad


opera della cellula di Daesh nota come isis-k, sono stati eventi che, nella loro dram-
maticità, hanno riacceso l’attenzione sul fenomeno del fondamentalismo islamico1 e
sulle sue conseguenze in termini geopolitici e geostrategici. La repentina presa del
potere dei Tabelani non ha potuto che far sorgere impellenti interrogativi sul destino
dell’Afghanistan, nel medio e lungo termine, e sulla necessità di una stabilità politica
nella regioen che, allo stato, risulta ancora sfuggente.
Al di là delle interessanti riflessioni politiche che si potrebbero svolgere in
materia, e che in parte sono già state svolte, l’aspetto giuridico non appare come
qualcosa di secondario. Il mondo islamico può essere considerato infatti come no-
mocentrico2, a motivo della centralità che la dimensione giuridica acquisisce nella
comprensione e nella categorizzazione della realtà e dei fenomeni sociali, e per certi
aspetti addirittura come nomocratico3 per le peculiari relazioni che nei secoli di sono
instaurate tra diritto e potere. L’onnicomprensiva concezione di sharīʿa, che a buon
diritto può essere definita come espressione di un mondo dalle “multiple voci”4 a
motivo dell’assenza di un’autorità centrale in grando di definirne una ortodossia, è

*
  Diplomatico e avvocato, attualmente Console d’Italia a Friburgo (Germania). Le opinioni espres-
se nel presente articolo sono esclusivamente riferibili al suo autore, e non sono da riferirsi in alcun
modo ad eventuali enti di appartenenza.
1
  Si utilizza qui il termine generico di fondamentalismo islamico, pur con una necessaria precisa-
zione: si tratta di una terminologia ampiamente utilizzata, anche in ambito scientifico, ma che si riferi-
sce necessariamente ad una molteplicità di movimenti, organizzazioni, gruppi e correnti che adottano
posizioni e ideologie talvolta assai discoste le une dalle altre, e che spesso intessono rapporti di rivalità
e conflittualità reciproche. Non si tratta, quindi, di un termine che identifica un movimento omogeneo
e univocamente connaturato da un punto di vista ideologico. Cfr. John L. Esposito [1992], The Islamic
Threat. Myth or Reality?, Oxford University Press, Oxford 1999, pp. 5-6.
2
  Così per esempio, Ashk P. Dahlén, Islamic Law, Epistemology and Modernity. Legal Philosophy
in Contemporary Iran, Routledge, Londra-New York 2003, p. 39; George Makdisi, “Hanbali Islam”, in
Studies on Islam, a cura di Merlin L. Swarz, Oxford University Press, Oxford 1981, p. 264.
3
  Così Makdisi, op. cit., p. 264.
  Mohammed Ayoob, Danielle Nicole Lussier, The Many Faces of Political Islam. Religion and
4

Politics in Muslim Societies, University of Michigan Press, Ann Arbor 2020, p. 26.

113
stata infatti per secoli il cuore pulsante di una intera civiltà, grazie a quella “comu-
nità epistemica”5 costituita dai giuristi musulmani, in grado di instaurare un perenne
dialogo ermeneutico per sistematizzare la realtà alla luce di un più alto senso di
normatività. La situazione non cambia, ma anzi si arricchisce, con l’incontro con le
concezioni occidentali del diritto, che hanno progressivamente dato vita a numerosi
sistemi più o meno formali di coordinamento tra diverse sensibilità. Il fondamenta-
lismo islamico, più nello specifico, ha da sempre riservato una peculiare attenzione
all’ambito del diritto, considerato come il discrimine tra una concezione pura della
fede ed una irrimediabilmente compromessa6. In un tale contesto, non è quindi pos-
sibile analizzare in modo compiuto la situazione afghana senza avere riguardo alle
possibili evoluzioni dell’assetto dell’ordinamento giuridico locale.
In particolare, uno sguardo alla situazione costituzionale dell’Afghanistan
tabelano risulterà dirimente per poter opportunaente riflettere sul futuro del Paese
e sulla sua stabilità. È infatti attraverso lo strumento del diritto costituzionale che
gli Stati del mondo islamico, di volta in volta, hanno plasmato, in punto di teoria e
prassi, peculiari relazioni filosifico-giuridiche sul rapporto tra sharīʿa e diritto oc-
cidentale, e quindi tra le due anime che, dal tempo della decolonizzazione, hanno
fatto parte del patrimonio intellettuale di tali Stati. Lo stesso Afghanistan, con la sua
Carta costituzionale adottata nel 2004, rappresentava un modello peculiare e senza
dubbio di particolare interesse per analizzare tale rapporto tra due visioni già di per
sé autosufficienti, e pure in dialogo costante, come quella islamica tradizionale e
quella della modernità occidentale. Del resto, come si avrà modo di osservare, anche
il rapporto tra gli stessi Talebani e il costituzionalismo è un rapporto inquieto, oscil-
lante nel corso degli anni, dall’idea del rifiuto del modello costituzionale a quello
dell’autonoma elaborazione di una propria politica in tal senso.
Con l’avvento del nuovo Governo provvisorio talebano, è quindi ancor più
necessario chiedersi quale sarà l’evoluzione del contesto normativo afghano, per-
chè è proprio alla luce della risposta che potremo darci che, in ultima analisi, sarà
possibile comprendere in modo più profondo e più consapevole le linee direttrici di
una situazione che sembra sempre più sfuggire alle analisi degli osservatori occi-
dentali. Perchè, come è stato fatto osservare, è la prassi giuridica ad aver “fornito gli
strumenti, il contenuto e l’esperienza per negoziare il passato, il presente ed il futuro
musulmano”7.

5
  Wael B. Hallaq, “Can Shariʿa Be Restored?”, in Islamic Law and the Challenges of Modernity, a
cura di Yvonne Yazbeck Haddad, Barbara Freyer Stowasser, AltaMira Press, Walnut Creek 2004, p. 41.
  In tal senso, Graham E. Fuller [2003], The Future of Political Islam, Palgrave Macmillan, New
6

York-Basingstoke 2004, p. 48.


  Mohammed Moussa, Politics of the Islamic Tradition. The Thought of Muhammad al-Ghazali,
7

Routledge, Londra-New York 2016, p. 100.

114
2. Il 26 gennaio 2004 Hamid Karzai, allora presidente ad interim, sottoscris-
se la nuova Costituzione afghana, un documento dalla genesi complessa8, che avrebbe
dovuto, nei suoi numerosi articoli, definire per il Paese un nuovo assetto democratico
e garantirne la stabilità politica. La nuova Carta, di fatto in vigore fino alla caduta di
Kabul per mano talebana, era già stata approvata per consensus dalla Loya Jirga il 3
gennaio 2004, in ottemperanza all’Accordo di Bonn del 5 dicembre 2001, che aveva
richiesto al Paese l’adozione di una nuova Legge fondamentale entro due anni.
La Carta del 2004 definiva l’Afghanistan come una Repubblica Islamica, e
come uno Stato indipendente, unitario e indivisibile (art. 1), delineando una forma
di governo presidenzialista, con elezione diretta del Presidente, definito quale capo
dello Stato e il cui mandato dura cinque anni (artt. 60-70). Il Presidente, insieme ai
due Vice-Presidenti, faceva parte del Governo e ne dirigeva i lavori (artt. 71-80).
L’Assemblea Nazionale era composta da una Camera bassa e da una Camera alta,
denominate rispettivamente Wolesi Jirga e Mesherano Jirga, con modalità di elezio-
ne e compiti differenziati (artt. 81-109). Menzione speciale merita la già menzionata
Loya Jirga, la grande assemblea del popolo afghano che ne manifestava la volontà
suprema, composta dai parlamentari nazionali e dai presidenti di organismi locali,
che veniva convocata in situazione peculiari di assoluta rilevanza nazionale (artt.
110-115). La disciplina costituzionale era completata dalla definizione di un potere
giudiziario indipendente, che faceva capo ad una Corte Suprema (artt. 116.135), e
da ulteriori disposizioni riguardanti l’amministrazione, lo stato di emergenza e le
procedure emendative della Carta stessa.
Ciò che più viene a rilevanza ai fini della presente analisi, tuttavia, è ancora
una volta la disciplina della sharīʿa islamica, e dell’Islam in generale, nell’ambito
della cornice costituzionale nazionale9.
L’Islam era definito religione dello Stato (art. 2), secondo una prassi piutto-
sto comune nell’ambito della maggioranza dei Paesi del mondo islamico, ad ecce-
zione della Turchia. A livello normativo, tuttavia, ciò che assume maggior rilevanza
è la previsione secondo la quale nessuna legge avrebbe potuto essere adottata se rite-
nuta in contraddizione con i principi della religione islamica (art. 3)10. Tale clausola,

8
  Per un’analisi storica, si rinvia a Saïd Amir Arjomand, “Constitutional Developments in Afghan-
istan: A Comparative and Historical Perspective”, in Drake Law Review, vol. liii, 2005, pp. 943-962;
Shamshad Pasarlay, Making the 2004 Constitution of Afghanistan. A History and Analysis through the
Lens of Coordination and Deferral Theory, phd thesis, University of Washington, Washington 2016.
Si veda altresì Zoe Bernadette Sherman, Afghanistan’s Constitutions. A Comparative Study and Their
Implications for Afghan Democratic Development, thesis, Naval Postgraduate School, Monterey 2006.
9
  Per un’analisi generale, anche in prospettiva storica, sul ruolo della sharīʿa nell’ordinamento giu-
ridico afghano, si veda Lutforahman Saeed, Islam, Custom and Human Rights. A Legal and Empirical
Study of Criminal Cases in Afghanistan After the 2004 Constitution, Springer, Cham 2022, pp. 3-64. Si
veda anche Said Mahmoudi, “The Sharīʿa in the New Afghan Constitution: Contradiction or Compli-
ment?”, in Zeitschrift für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht, vol. lxiv, 2004, pp. 867-880.
  Sul punto, si veda Mathias Rohe, Islamic Law in Past and Present, trans. Gwendolin Gold-
10

bloom, Brill, Leiden-Boston 2015, pp. 318-320.

115
definita talvolta in letteratura come “repugnancy clause”11, è presente in varie altre
Leggi fondamentali di Paesi a maggioranza musulmana, come il Pakistan, l’Iraq e
la Somalia. Rappresenta una variante fraseologica rispetto alle clausole – invero più
diffuse – che definiscono la sharīʿa quale “principale fonte della legislazione”12,
come nel caso di Egitto, Qatar, Oman, Libia, Siria, Yemen e Iran. L’origine di un tale
approccio è da rinvenirsi nella Costituzione persiana così come revisionata nel 1907,
secondo la quale le leggi nazionali avrebbero dovuto essere approvate dalle Autorità
religiose per garantirne la compatibilità con i principi islamici13.
La clausola dell’art. 3 non consentiva quindi l’applicazione diretta di previ-
sioni sharaitiche, ma poneva piuttosto dei limiti all’attività sia legislativa che giudi-
ziaria, orientandola e, soprattutto, restringendone lo spettro concettuale all’interno
di un determinato raggio d’azione, che coincideva, quanto al suo aspetto sostanziale,
con il complesso e variegato universo della sharīʿa. Non si deve tuttavia concludere
che ciò fosse da considerarsi una mera influenza indiretta e di principio. Il legislatore
nazionale era infatti vincolato nella propria attività da un parametro costituzionale
che ne fondava la stessa legittimità, definendone e ridefinendone, a seconda dell’in-
terpretazione che se voglia dare, il perimetro attraverso il quale gli era possibile

11
  Per esempio, in tal senso, Shaheen Sardar Ali, Modern Challenges to Islamic Law, Cambridge
University Press, Cambridge 2016, pp. 65-67; Rainer Grote, Tillman J. Röder (a cura di), Consti-
tutionalism in Islamic Countries. Between Upheaval and Continuity, Oxford University Press, Ox-
ford 2012, pp. 193, 614. Una variante è invece rappresentata da “contradiction clause”, come in Uwe
Kischel, Comparative Law, trad. Andrew Hammel, Oxford University Press, Oxford 2019, p. 846. Si
deve comunque notare che una tale denominazione è appropriata per definire unicamente le clausole
costituzionali che esplicitamente postulano il divieto di emanare leggi in contrasto con i principi isla-
mici. Parrebbe invece opportuno adottare una denominazione diversa per descrivere quelle clausole che
definiscono la sharīʿa come “fonte principale della legislazione”.
12
  Una tale formulazione, particolarmente interessante e problematica al tempo stesso per l’acco-
stamento di concetti tanto eterogenei come quelli di sharīʿa, di fonte (maṣdar) e dell’atto di legiferare
(tashrīʻ), a sua volta si divide in due gruppi. Alcune Costituzioni definiscono infatti i principi sharaitici
come “una principale fonte della legislazione”, mentre altre come “la principale fonte della legislazio-
ne”, con non secondarie implicazioni in termini di gerarchia tra le fonti e di risoluzione delle antinomie
a livello giurisprudenziale. Il caso più emblematico è rappresentato dalla Costituzione egiziana del
1972, che adottava la prima formulazione, per poi passare alla seconda, più stringente, a seguito di un
emendamento del 1980, con il conseguente sviluppo di un corpus giurisprudenziale piuttosto dettaglia-
to ad opera della Suprema Corte Costituzionale, con lo scopo di creare un equilibrio tra le varie istanze
normative e ricondurle per quanto possibile ad unità. Sul caso egiziano, tra la copiosa letteratura in ma-
teria, si rinvia a Cornelis Hulsman (a cura di) The Sharia as the Main Source of Legislation? The Egyp-
tian Debate on Article II of the Egyptian Constitution, Tectum Verlag, Marburg 2012; Nathan J. Brown,
Adel Omar Sherif, “Inscribing the Islamic Shari’a in Arab Constitutional Law”, in Islamic Law and
the Challenge of Modernity, a cura di Yvonne Yazbeck Haddad, Barbara Freyer Stowasser, AltaMira
Press, Walnut Creek 2004,p. 67-75; Tamir Moustafa, “The Political Role of the Supreme Constitutional
Court: Between Principles and Practice”, in Judges and Political Reform in Egypt, a cura di Nathalie
Bernard-Maugiron, The American University in Cairo Press, Cairo-New York 2008, pp. 92-95.
  Sul punto, S. S. Ali, Modern Challenges to Islamic Law, cit., p. 60; Kischel, Comparative Law,
13

cit, p. 846.

116
muoversi per la produzione di nuove leggi. Del pari, l’organo giudicante, con par-
ticolare riferimento al sindacato di costituzionalità14, doveva considerare i principi
sharaitici per poter garantire una interpretazione delle norme nazionali costituzio-
nalmente orientata, valutandone la validità e la legittimità sempre sulla base di tali
principi. Come accennato, tali operazioni non possono che risultare particolarmente
ipegnative se si considera come la sharīʿa non sia una normativa, univocamente
definibile, quanto piuttosto un’idea complessiva di normatività, con tutta la sua ric-
chezza di interpretazioni non sempre collimanti.
Un’ipotesi di applicazione diretta di principi sharaitici era tuttavia presen-
te, benché unicamente in via residuale. Secondo la Costituzione del 2004, infatti,
le corti erano autorizzare a dare diretta applicazione a norme islamiche15 secondo
l’interpretazione della scuola hanafita (ḥanafiyya)16 unicamente in caso di lacune
normative, ossia laddove né la Costituzione né le leggi ordinarie si pronunciavano
sul caso in esame (art. 130)17. Se per il mondo sunnita la Carta sceglieva, tra le varie
possibilità ermeneutiche, quella dell’hanafismo, non mancava una previsione che
consentiva l’applicazione, alle stesse condizione, di norme islamiche secondo l’in-
terpretazione sciita, unicamente con riferimento allo status personale di fedeli sciiti
e nel silenzio delle leggi (art. 131). Si trattava di previsioni raramente presenti nelle
Leggi fondamentali di Paesi islamici, anche con riferimento a quante condividano
un approccio similare alla disiplina della relazione tra sharīʿa e legge nazionale18.
Se questo era il quadro normativo in vigore sino all’agosto 2021, quando
il volto del Paese è stato sconvolto dalla presa del potere dei Talebani, resta quindi
da chiedersi cosa avverrà in futuro. Resta da chedersi, ancora, quali saranno le linee
direttrici secondo le quali il nuovo Governo provvisoriotalebano, alla ricerca della
14
  La Carta del 2004 non introduce un sindacato di costituzionalità centralizzato, ma affida il
giudizio non solo alla Corte Suprema ma anche alle corti inferiori, quindi con una possibile difformità
di vedute sulla compatibilità delle leggi nazionali con le previsioni sharaitiche. Sul punto, in chiave
critica, cfr. Arjomand, op. cit., p. 959.
15
  Risulta opportuno chiarire il concetto di norma islamica. Per norma islamica non si intende qui una
norma positiva ispirata a precetti islamici quanto al proprio contenuto sostanziale, quanto piuttosto l’inter-
pretazione di un precetto sharaitico (fiqh), derivato con strumenti ermeneutici (uṣūl al-fiqh) dalla dimen-
sione eterna ed immutabile della sharīʿa stessa. La clausola costituzionale qui in esame rimanda quindi
al concetto di fiqh, inteso quale corpus di interpretazione umane di una normatività divinamente rivelata.
16
  Ci si riferisce a una delle quattro principali scuole giuridiche (madhāhib) del mondo sunnita,
unitamente a quella malikita, shafita e hanbalita. Ogni scuola, nel corso dei secoli, ha avuto modo di
sviluppare una propria particolare sensibilità giuridica ed ermeneutica, ed anche varie differenze meto-
dologiche rispetto alle altre scuole. Pur nella varietà del fenomeno sharaitico in sé stesso considerato, la
limitazione all’interpretazione hanafita rappresenta quindi una specificazione importante.
17
  Per un’approfondita analsisi, si veda Saeed, op. cit., pp. 65 ss.
  Un altro caso è quello della Costituzione delle Maldive del 2008, esplicita nell’affermare la
18

possibilità di ricorrere alla sharīʿa in caso di lacune normative, anche nel caso del diritto penale (artt.
19, 142). Sullo specifico caso del diritto penale, si veda Husnu Al Suood, The Maldivian Legal System,
Maldives Law Institute, Malé 2014, pp. 86-87. Per quanto concerne la legislazione sub-costituzionale,
una simile previsione si riscontra nel Codice Civile egiziano del 1948, al suo art. 1, comma 2.

117
propria legittimazione e del proprio riconoscimento internazionale, procederà nell’e-
laborazione di una propria politica costituzionale. Se l’idea di un costituzionalismo
talebano potrà sembrare bizzarra, a motivo del rifiuto che taluni movimenti islamici
fondamentalisti oppongono a concezioni giuridiche proprie del mondo occidentale
come per l’appunto quella di costituzionalismo, un recente annuncio delle Autorità
talebane non potrà che risultare sorprendente.

3. A seguito degli sconvolgimenti procurati dalla presa del potere dei Tale-
bani e dalla ricreazione di un Emirato Islamico dell’Afghanistan19, l’architettura isti-
tuzionale del Paese, così come delineata dalla Costituzione del 2004, venne di fatto
smantellata, per lasciare spazio al nuovo corso storico, con tutte le sue ambiguità ed
incertezze per quanto riguarda il futuro. La disciplina costituzionale sino ad allora
vigente venne abbandonata, con la conseguente necessità per la nuova classe diri-
gente di rideterminare se ed in quale misura adottare un modello costituzionale per il
nuovo emirato a guida talebana. Nel considerare la questione, un parametro di chiara
rilevanza non può che essere la ricerca di un riconoscimento da parte della comunità
internazionale, secondo i cui standard principi quali lo Stato di diritto e il governo
costituzionale non possono che essere considerati una condicio sine qua non.
Coerentemente con questa ricerca di affermazione, nel settembre 2021 il
nuovo Governo provvisorio talebano ha affermato di voler adottare, quale Costitu-
zione provvisoria, la Costituzione monarchica afghana del 1964 di Re Mohammed
Zahir Shah, benché con alcune limitazioni20. In particolare, secondo l’annuncio di
Abdul Hakim Ishaqzai, allora già in carica come Ministro della Giustizia del nuovo
Governo, l’Emirato Islamico di nuova creazione avrebbe provvisoriamente utilizza-
to la Carta del 1964 nelle sue disposizioni non in contrasto con la sharīʿa21.
Non è questa la prima volta, del resto, che il movimento talebano si confron-
ta con l’idea di Costituzione, come già avvenuto con il tentativo costituzionale del
1998, quando su incarico del Mullah Mohammed Omar una apposita commissione
produsse un testo costituzionale tuttavia mai promulgato, ma non privo di punti di
interesse22. Una tale determinazione seguiva anni di teorico rigetto delle teorie costi-
tuzionali, quindi in un contesto connaturato da una tensione irrisolta che non ha mai
potuto sfociare in una effettiva propensione per l’uno o per l’altro polo.

  Sino al 13 gennaio 2022, data in cui si scrive, nessuno Stato ha ufficialmente riconosciuto l’E-
19

mirato Islamico dell’Afghanistan.


20
  Si veda Ayaz Gul, “Taliban Say They Will Use Parts of Monarchy Constitution to Run Afghani-
stan for Now”, in voa News, 28 settembre 2021 (https://www.voanews.com/).
21
  “L’Emirato Islamico adotterà la Costituzione dell’era del precedente Re Mohammad Zahir Shah
per un periodo provvisorio, senza alcun contenuto che sia in conflitto con la sharīʿa islamica e con
i principi dell’Emirato islamico. […] Inoltre, gli strumenti e le leggi internazionali che non siano in
conflitto con I principi della sharīʿa e dell’Emirato Islamico saranno del pari rispettati” (cit. in ibid.).
  Cfr. “Constitution”, in The Taliban Reader. War, Islam and Politics, a cura di Alex Strick van
22

Linschoten, Felix Kuehn, Oxford University Press, Oxford 2018, pp. 209 ss.

118
Tuttavia, questa nuova decisione non può che sorprendere, se si considera
come la Costituzione monarchica del 1964 sia in realtà molto lontana, per formula-
zione e principi, dall’idea di diritto e di ordinamento propugnata dal movimento ta-
lebano, e dalla galassia del fondamentalismo islamico in generale. Si tratta infatti di
una Costituzione che contiene sì riferimenti al carattere normativo dell’Islam, come
si avrà modo di osservare, ma inseriti in un contesto ordinamentale chiaramente
mutuato dal mondo occidentale, che definisce un’architettura istituzionale monar-
chica parlamentare con aperture democratiche, comunque lontana dall’assolutismo
che aveva caratterizzato le esperienze costituzionali pregresse23. In tale quadro nor-
mativo, il Re impersonificava una sovranità ora risiedente nella Nazione, con un
Parlamento bicamerale effettivamente titolare del potere legislativo, segnando in tal
modo la fine di una tradizione di governo autocratica per porre le basi per un futuro
sviluppo maggiormente democratico24.
Significativi, in questo contesto, appaiono tre punti dell’annuncio delle Au-
torità talebane, che meritano di essere esaminati in dettaglio: il richiamo all’idea di
emirato, il ruolo della sharīʿa, e il carattere provvisorio di tale decisione, che neces-
sariamente apre a nuove prospettive per il futuro.

3.1. In primo luogo, giova soffermarsi sull’idea di emirato, che assume


una rilevanza centrale alla luce della ricostituzione, a seguito della presa di Kabul,
dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan (in lingua pashtu, Da Afġānistān Islāmī
Amārāt), già fondato dal regime talebano tra il 1996 e il 200125. Per emirato è possi-
bile intendere un sistema politico guidato da un amīr, il quale a sua volta può essere
considerato come il capo politico-militare di una determinata comunità. Secondo
l’interpretazione talebana, inoltre, e sulla base della concezione eminentemente fat-
tuale del potere come generalmente inteso nel mondo sunnita, un legittimo amīr è
inoltre colui che sostiene e difende il sistema islamico e sharaitico, quindi anche con
un ruolo indirettamente religioso26.
Risulta evidente che, nell’ottica del movimento, l’emirato rappresenti una
struttura di governo conforme ai dettami islamici, in alternativa alle forme di Stato
e di governo del mondo occidentale progressivamente diffusesi anche Paesi a mag-
gioranza musulmana, un sistema ideale già da tempo costruito nel mondo etereo del

23
  Per una disamina della Costituzione del 1964 in generale, si vedano Arjomand, op. cit., pp. 951-
955, e Sherman, op. cit., pp. 40-52.
24
  In tal senso, Asta Olesen, Islam and Politics in Afghanistan, Routledge, Londra-New York
1995, p. 206.
25
  In prospettiva storica, Neamatollah Nojumi, “The rise and fall of the Taliban”, in The Taliban
and the Crisis of Afghanistan, a cura di Robert D. Crews, Amin Tarzi, Harvard University Press, Cam-
bridge 2008, pp. 90-117.
26
  Cfr. Mawlawbi Sailaab Omar, “The definition, authority and purpose of an amir according to the
shari’a”, 28 aprile 2014, in The Taliban Reader. cit., p. 114 ss.

119
cyberspazio27 ed ora alla ricerca di una nuova incarnazione. Nonostante ciò, anche
negli anni precedenti alla loro ripresa del potere, i Talebani non risultano aver mai
approfondito nel dettaglio cosa si dovesse intendere per emirato da un punto di vista
maggiormente tecnico, con particolare riferimento agli aspetti teorici di concezione
del potere e dell’autorità28. In particolare, è necessario oggi chiedersi se la ricostitu-
zione dell’emirato sia una riedizione dell’esperimento del 1996 o, al contrario, se sia
piuttosto da considerarsi una sua reinterpretazione alla luce di nuovi criteri.
Pur essendoci indubbiamente una linea di continuità tra le due fasi storiche,
come indicato dal nome stesso, le recenti aperture costituzionali del regime sembra-
no mostrare come, almeno in punto di diritto e di teorizzazione giuridica, il nuovo
emirato sia caratterizzato da sostanziali innovazioni. In particolare, la riattuazione
della Costituzione del 1964 sembra indicare la via verso una sorta di emirato costi-
tuzionale, la cui struttura politico-giuridica non è ancora tuttavia sufficientemente
chiara e definita. Inoltre, la volontà del nuovo regime di ricercare un riconoscimento
politico da parte della comunità internazionale mostra un’ibridazione tra un concetto
di emirato concepito come alternativa a sistemi occidentali e, all’opposto, l’idea di
statualità moderna su cui l’ordine post-westfaliano è costruito.
Risulta quindi probabile che, alla luce di tale mediazione tra due mondi, il nuo-
vo emirato islamico sia un regime politico sovrapponibile, quanto alla sua categorizza-
zione secondo standard giuridici internazionali, ad un sistema monarchico caratterizzato
da un’idea di sovranità territoriale, analogamente a quanto avviene per Stati riconosciuti
quali Qatar ed Emirati Arabi Uniti, abdicando ad una concezione di tradizionale univer-
salismo califfale che caratterizza movimenti ancor più radicali come isis29.
Ciò appare del resto coerente con il carattere monarchico della riattualizzata
Costituzione del 196430, sebbene con alcune tensioni apparentemente irrisolte. In par-
ticolare, appare evidente il contrasto tra un emirato che, in pretesa, dovrebbe essere
più coerentemente fondato quanto alla scelta dei suoi capi sull’idea islamica di shūrā
(consultazione)31, e un sistema monarchico al contrario fondato sulla successione di-

  Per una trattazione monografica sul punto, particolarmente interessante se raffrontata al “calif-
27

fato digitale” di isis, si veda Neil Krishan Aggarwal, The Taliban’s Virtual Emirate. The Culture and
Psychology of an Online Militant Community, Columbia University Press, New York 2016.
  Cfr. Carter Malkasian, The American War in Afghanistan. A History, Oxford University Press,
28

Oxford 2021, p. 438.


  Sul punto, sia consentito il rimando al mio testo, Federico Lorenzo Ramaioli, Islamic State as
29

a Legal Order. To Have no Law but Islam between Shari’a and Globalization, Routledge, Londra-New
York 2022, cap. 9.
30
  Non bisogna dimenticare, da questo punto di vista, che Amānullāh Khān aveva a suo tempo il
titolo di Emiro dell’Afghanistan, quindi con una ulteriore linea di continuità non solo con l’Emirato
Islamico talebano ma anche con la storia dell’Afghanistan moderno in quel cruciale periodo legato alla
sua indipendenza.
31
  Nei loro materiali, i Talebani affermano che un emiro dovrebbe essere scelto dal consenso degli
‛ulama, escludendosi quindi automatismi nella successione (in tal senso Omar, op. cit., pp. 114 ss.).
Sull’idea di shūrā in generale nella storia islamica, si veda brevemente Roswitha Badry, “Consulta-

120
nastica. La previsione costituzionale secondo cui il Trono si trasmette in via dinastica
secondo la linea di successione di Mohammed Nadir Shah (art. 16) appare quindi una
di quelle previsioni destinate a non trovare applicazione nel nuovo emirato, con la
conseguente necessità di definire puntualmente i metodi di selezione dell’Emiro e, in
maniera più generale, una disciplina che ne regoli l’ufficio. Da notare, a tal proposito,
che anche la bozza costituzionale talebana del 1998 mostrava ambiguità e lacune pro-
prio sulla selezione dell’Emiro, specificandone unicamente le funzioni32.
Una ulteriore tensione irrisolta sembra essere quella tra il carattere statuale
del nuovo Governo provvisorio talebano, quindi postulante l’accettazione di limiti
territoriali precisi, e il tradizionale titolo califfale di ʾamīr al-muʾminīn33, “comandan-
te dei credenti”, che in passato era stato tributato al Mullah Omar34, anche nella bozza
costituzionale del 199835, nonostante il suo rispecchiare una logica eminentemente
universalistica incompatibile con il nuovo stato di cose. Anche il lessico giuridico
islamico, in questo caso, appare fondamentale per comprendere la ricerca di una co-
erenza sfuggente, perennemente sospesa tra una possibile istituzionalizzazione e il
ritorno ad una ideale età dell’oro, in costante antagonismo con i canoni della moder-
nità. Anche in questo caso, la scelta costituzionale per il nuovo emirato sembrerebbe
precludere, per il futuro, la riscoperta di titoli e di figure di potere non compatibili con
l’ormai assimilato criterio della territorialità, pur non senza contraddizioni latenti36.
Al di là del carattere monarchico della Carta, e quindi al di là dell’assi-
milazione della struttura dell’emirato ad un sistema monarchico-costituzionale, le
disposizioni del 1964 non paiono essere del tutto idonee a definire l’assetto di un
regime i cui tratti fondamenti non sono ancora definiti, ma che sembra necessitare
di una disciplina ad hoc per descriverne le peculiarità rispetto ai moderni emirati.
Come, nel corso della storia islamica, l’elaborazione dottrinale sul potere e sull’au-

tion” (voce), in The Princeton Encyclopedia of Islamic Political Thought, a cura di Gerhard Bowering,
Princeton University Press, Princeton 2016, pp. 116-117.
32
  Si tornerà a parlare maggiormente in dettaglio della bozza costituzionale talebana del 1998 nel
paragrafo seguente.
33
  Si veda Yusra Khanam, “Amir al-Mu’minin” (voce), in Islam. A Worldwide Encyclopedia, a
cura di Cenap Çakmak, Abc-Clio, Santa Barbara 2017, pp. 131-132.
34
  Cfr. Olivier Roy, [2002] Global Muslim. Le radici occidentali del nuovo Islam, trad. it. Lucia
Cornalba, Feltrinelli, Milano 2003, p. 42. Per un esempio dell’uso del titolo riferito al Mullah Omar, si
veda Peter Marsden, The Taliban. War, Religion and the New Order in Afghanistan, Zed Books-Oxford
University Press, Londra-Karachi 1998, p. 64.
  Nel testo del 1998 ʾamīr al-muʾminīn era il titolo del capo dell’Emirato Islamico, quindi con una
35

vera e propria costituzionalizzazione dell’ufficio, disciplinato agli artt. 52-60.


36
  Da notare che il titolo di comandante dei credenti è stato usato anche in tempi recenti, al di là del già
menzionato caso del Mullah Omar. È il caso, per esempio, di Abū Bakr al-Baghdādī, già leader di ISIS, che
lo assunse dopo la sua proclamazione a califfo con il nome di Ibrāhīm. Inoltre, in un contesto radicalmente,
diverso, è il caso del Sovrano del Marocco, che così viene definito nella vigente Costituzione del 2011 (art.
41). In tale ultimo caso, si tratta evidentemente di una radicale reinterpretazione di un titolo che perde la sua
valenza universalistica per assumerne una simbolica unicamente limitata all’ambito nazionale.

121
torità appare essere la razionalizzazione posteriore di eventi pregressi37, così anche
un’interpretazione organica della nuova disciplina costituzionale sul funzionamento
dell’emirato non potrà che darsi successivamente ad un lasso di tempo che consenti-
rà l’elaborazione di una prassi consolidata sul funzionamento delle nuove istituzioni.

3.2. Quello che è forse il punto di maggior interesse nella creazione di un


possibile emirato costituzionale, è il richiamo, quale condizione fondamentale per
la riadozione della Carta del 1964, della compatibilità delle sue previsioni con la
sharīʿa, così come interpreata dal movimento. Ciò suscita, infatti, tutta una serie di
riflessioni, che è bene svolgere in dettaglio.
In primo luogo, a livello generale, è opportuno soffermarsi sulla compatibi-
lità tra un sistema costituzionale e l’idea di sharīʿa islamica. Se, di fatto, al giorno
d’oggi la maggioranza degli Stati a maggioranza musulmana si servono di Costi-
tutioni, è altresì vero che ciò comporta alcune tensioni interne al sistema. Princi-
palmente, dal punto di vista di movimenti fondamentalisti, si tratta di percepire il
contrasto tra una normatività divinamente rivelata nella dimensione dell’eternità38,
che può essere variamente compresa e applicata dall’operatore giuridico ma non
alterata39, e un sistema caratterizzato dall’emenazione di “leggi umane”, di cui una
Costituzione rappresenta il cardine e la più alta espressione. Per quanto la presenza
di legislatori terreni possa apparire scontata per un osservatore contemnporaneo, non
lo è per determinate frange del fondamentalismo islamico come isis, che eguagliano
le leggi nazionali e chiaramente le Costituzioni contemporanee a forme di idolatria
(shirk)40. Nonostante la concezione particolarmente rigida della sharīʿa che carat-
terizza il movimento talebano, l’esplicita affermazione di voler adottare un sistema
costituzionale, sebbene ad interim, si muove nella direzione di un compromesso che
non era necessariamente prevedibile attendersi.
In virtù di ciò, appare implicita la rinuncia ad un sistema di applicazione
esclusiva e immediata – nel senso di non mediata – della sharīʿa, in favore piutto-
sto di un sistema ibrido, che già caratterizza altri sistemi costituzionali del mondo
islamico, benché con determinate peculiarità, e che pure avrebbe caratterizzato il

  Cfr. Hamilton Alexander Rosskeen Gibb [1937], “Al-Mâwardî’s theory of the Khilâfah”, in
37

Studies on the Civilization of Islam, a cura di Stanford J. Shaw, William R. Polk, Princeton University
Press, Princeton 1982, p. 162.
38
  Nel contesto islamico, è da osservare come la divinità viene percepita come l’unico legislato-
re, il cui potere di legiferare deriva dall’esclusività della sua titolarità dell’atto della creazione. Cfr.
Bernard G. Weiss, The Spirit of Islamic Law, University of Georgia Press, Athens-Londra 1998, p. 24.
39
  Il corpus delle opinioni dei giuristi (fiqh) costituisce l’esito della ricerca umana di indagare la
volontà divina, e mentre la seconda è immutabile ed eterna, il primo certamente può variare a seconda
della scuola di appartenenza o delle singole opinioni die giuristi, ed è quindi soggetto non solo a mute-
volezza ma anche a fallibilità. Cfr. Tamir Moustafa, Constituting Religion. Islam, Liberal Rights, and
the Malaysian State, Cambridge University Press, Cambridge 2018, p. 35.
40
  Ancora una volta, si veda il mio testo Ramaioli, Islamic State as a Legal Order, cit., cap. 4.

122
primo emirato talebano se la bozza del 1998 fosse effettivamente stata adottata. Ciò,
del resto, è reso possibile anche dalla denominazione ufficiale che la Costituzione
afghana si è data, sia nel 1964 che nel 2004, ossia quella di qānūn. Il termine, mu-
tuato dal greco κανών (kanón) si riferisce a quegli atti regolamentari, percepiti non
afferenti all’ambito giuridico ma a quello politico, che i governanti islamici hanno
adottato in campi non coperti dalle opinioni dei giuristi e dalle conseguenti nor-
me sharaitiche41, con una notevole espansione durante il tardo periodo ottomano,
che pure aveva definito tale la sua Costituzione del 1876 (in turco, Kanûn-u Esâsî).
Benché la maggioranza delle Costituzioni del mondo arabo vengano indicate con
il termine arabo dustūr, dalla portata semantica notevolmente diversa42, il termine
qānūn è maggiormente funzionale alla creazione di un sistema duale, basato sulla
sharīʿa e su atti regolamentari secondari emanati dalle Autorità, come nel caso del
modello saudita, che dal 1992 adotta un decreto fondamentale (al-niẓām al-asāsī lī
al-hukm) in luogo di una Costituzione43, e che rifonda e riattualizza il classico duali-
smo sharīʿa-qānūn44. Sembra quindi possibile che anche il nuovo Emirato Islamico
dell’Afghanistan intenda fondare un sistema giuridico dualista, tuttavia secondo me-
todi di coordinamento non ancora chiari o definiti.
A tale ultimo proposito, è usualmente proprio la disciplina costituzionale a
fornire maggiori dettagli, come nel caso delle Costituzioni che definiscono i principi
sharaitici come “fonte principale della legislazione”, o come nel caso del già men-
zionato sistema saudita, che fa stato della diretta applicazione della sharīʿa45. La

41
  Sul punto, Boğaç A. Ergene, “Qanun and Sharia”, in The Ashgate Research Companion to Islamic
Law, a cura di Rudolph Peters, Peri Bearman, Ashgate, Farnham-Burlington 2014, p. 109-122. Interes-
sante notare come in letteratura sia stato suggerito che l’uso di tale peculiare forma di regolamentazione
in epoca tardo-ottomana possa essere considerato un precursore del processo di occidentalizzazione che
ha riguardato l’Impero e il suo sistema giuridico, riflettendo una tradizione di autorità statualista e legi-
feratrice che non era estranea ai sultani di Istanbul (cfr. Chibli Mallat, Introduction to Middle Eastern
Law, Oxford University Press, Oxford-New York 2007, p. 121; Abdullahi Ahmed An-Naʿim, Islam and
the Secular State. Negotiating the Future of Sharīʿa, Harvard University Press, Cambridge 2008, p. 190).
42
  Inizialmente, il termine veniva utilizzato per indicare un individuo rivestito di un potere politico
e quindi della possibilità di impartire ordine, andando successivamente ad indicare standard e regole
dicondotta, e solo successivamente, in epoca moderna, l’idea occidentale di Costituzione. Cfr. Ami
Ayalon, Language and Change in the Arab Middle East. The Evolution of Modern Arabic Political
Discourse, Oxford University Press, Oxford 1987, pp. 94-96.
43
  Secondo la Legge fondamentale di governo dell’Arabia Saudita, al suo art. 1, Corano e sunnah
sono da considerarsi l‘unica Costituzione del regno. Benché la stessa Legge fondamentale disimpegni
molte delle funzioni di una moderna Costituzione, tale affermazione di principio non resta priva di
implicazioni filosofiche e pratiche, principalmente riguardanti il ruolo e la natura della sharīʿa, che
tuttavia non è possibile approfondire in questa sede.
  Per uno studio approfondito sul sistema saudita e sul suo dualismo, si veda Frank E. Vogel,
44

Islamic Law and Legal System. Studies of Saudi Arabia, Brill, Leiden-Boston-Köln 2000. L’Arabia
Saudita non utilizza il termine qānūn ma quello di niẓām, per indicare i propri atti regolamentari che
assumono la forma di decreti regi.
45
  Secondo la Legge fondamentale del 1992, al suo art. 23, lo Stato annovera tra i suoi doveri la

123
Costituzione afghana del 1964, pur non adottando una clausola simile, statuisce in
via generale che il Parlamento nazionale non avrebbe potuto adottare norme contra-
rie ai principi della religione islamica (art. 64), quindi con una riformulazione della
clausola successivamente reintrodotta anche nella disciplina del 2004. Anche qui, in
caso di lacune normative le corti avrebbero potuto applicare direttamente norme sha-
raitiche secondo l’interpretazione hanafita, che sarebbero servite anche da guida an-
che per il legislatore (artt. 69, 102), quindi con un possibile effetto normativo diretto
benché unicamente residuale. La normativa costituzionale del 1964, inoltre, definiva
l’Islam come la religione dello Stato, i cui riti avrebbero dovuto seguire la scuola
hanafita (art. 2, c. 1). Il Re, inoltre veniva considerato “il protettore dei principi ba-
silari della sacra religione dell’Islam” (art. 7), ancorchè tale previsione non potesse
essere considerata direttamente produttrice di effetti giuridici nell’ordinamento. In
chiusura, l’aderenza ai principi fondamentali dell’Islam non avrebbe potuto essere
oggetto di revisione costituzionale (art. 120).
La scelta del regime di servirsi proprio della Costituzione del 1964 appare
curiosa, in quanto essa Costituzione non è, tra quelle afghane che si sono succedute
nel tempo46, quella in cui l’Islam riveste il ruolo di maggiore incisività normativa,
pur avendone indubbiamente uno. La più autocratica e meno elaborata Costituzione
del 192347 di Re Amānullāh Khān, a titolo di esempio, definiva sempre il sovrano
quale protettore dell’Islam (art. 5) e statuiva altresì che egli, alla sua ascesa al Trono,
avrebbe dovuto impegnarsi a governare il Paese secondo i dettami della sharīʿa e
della Costituzione (art. 4). Sempre il sovrano annoverava tra i suoi compiti la pro-
tezione della sharīʿa (art. 7), ponendosi quindi un’obbligazione programmatica in
capo al Re, comunque non produttrice di effetti normativi diretti. Si trattava, questa,
di una forma di introduzione dell’idea di sharīʿa in Costituzione, pur senza un rac-
cordo teoretico particolarmente elaborato tra la dimensione islamica e quella della
legislazione nazionale. Si dava tuttavia per scontata la possibile applicazione diretta
della sharīʿa in determinati settori e con determinate garanzie (artt. 13, 16, 21). Si-
gnificativa era inoltre l’affermazione secondo la quale, durante il processo di legi-
ferazione, tra le esigenze che il legislatore avrebbe dovuto tenere in considerazione
figuravano altresì quelle inerenti quanto previsto dalla sharīʿa (art. 72), quindi con
una formulazione embrionale di quella clausola costituzionale che, in vari Paesi e
come detto, pone limitazioni all’attività legislativa per garantire il rispetto dei princi-
pi sharaitici, ripresa e sviluppata anche nelle successive Leggi fondamentali afghane.

protezione della fede islamica e l’applicazione della sharīʿa. Il punto fondamentale di tale previsione è
che, a differenza di quanto non avvenga in altri sistemi costituzionali ibridi, qui il richiamo alla sharīʿa
è meramente dichiarativo e non costitutivo, e non ha quindi la pretesa di fondarne la validità nell’ordi-
namento, di cui si limita a prendere atto.
  Nella successiva comparazione, si tace chiaramente della costituzione del 1977, in cui l’Islam si
46

limitava ad avere un ruolo simbolico, visto il carattere secolare del nuovo regime repubblicano, e che chia-
ramente non avrebbe potuto essere assunta come base normativa dal nuovo Governo provvisorio talebano.
47
  Per un’analisi della Costituzione del 1923 in generale, si veda Sherman, op. cit., pp. 29-40.

124
Similmente, anche nella successiva Costituzione del 1931 promulgata sot-
to il regno di Nadir Shah il ruolo della sharīʿa appariva maggiormente enfatizzato
rispetto alla disciplina del 1964. Qui, i riferimenti alla religione islamica secondo
l’interpretazione hanafita (art. 1) vengono sostanzialmente mantenuti, ed anzi ven-
gono ancor meglio strutturati rispetto al testo previgente, andando di pari passo con
la progressiva definizione di una struttura di governo più sofisticata. Il Re, anche in
questo caso, veniva considerato come responsabile dell’applicazione non solo delle
leggi, ma anche della sharīʿa (art. 7), ed anche in questo caso le norme sharaitiche
erano considerate di per sé applicabili, anche nel contesto penale, in cui l’afferma-
zione del principio di legalità non si riferiva unicamente alla legge nazionale ma an-
che alla suprema normatività islamica (art. 11). La sharīʿa veniva altresì menzionata
per tracciare delle riserve di legge ad hoc, che ancora una volta non si riferivano solo
allo strumento della legislazione nazionale ma anche alle norme islamiche, suscetti-
bili di per sé di comprimere taluni diritti affermati in Costituzione (artt. 15, 16, 19).
Dal punto di vista giudiziario, anche in questo caso, come nel caso della Carta del
1923, le disposizioni costituzionali riconoscevano l’applicabilità della sharīʿa nelle
corti di giustizia. Ancora una volta, veniva affermato il principio in base al quale il
processo di legislazione non avrebbe potuto in alcun caso svolgersi in contrasto con
i precetti islamici (art. 65), confermandosi quindi il vincolo posto alle Camere per
quanto concerne il contenuto sostanziale delle norme approvate. La Costituzione
del 1931 si configura quindi come testo maggiormente strutturato rispetto a quello
previgente, in cui anche il ruolo dell’Islam e della sua normatività risulta espanso e
maggiormente incisivo, che sarà in parte ridimensionato proprio dalla Legge fonda-
mentale del 196448.
La Costituzione del 1964 si discosta anche dalla già menzionata bozza co-
stituzionale talebana del 1998, redatta da studiosi islamici su richiesta del Mullah
Omar. Il testo, mai effettivamente promulgato, prevedeva una clausola sharaitica si-
mile a quella in vigore in altri Paesi musulmani, ma ulteriormente enfatizzata, in base
alla quale i principi islamici sarebbero stati non solo la principale ma l’unica fonte
riconosciuta della legislazione (art. 5). Più in generale, inoltre, tutte le varie attività
dello Stato, come la politica e la legislazione, e così come anche i diritti individuali,
avrebbero dovuto svolgersi sulla base delle norme sharaitiche, e in mai in contrasto
con esse (es. artt. 6, 8, 9)49. Si tratta chiaramente del testo in cui i riferimenti all’Islam
normativo sono i più incisivi della storia afghana, e sorprende quindi come il nuovo
costituzionalismo talebano, allo stato, non abbia riattualizzato questo modello, per
procedere invece su di una strada sostanzialmente diversa. Bisogna comunque os-

48
  In tal senso, Donald N. Wilber, “Constitution of Afghanistan”, in Middle East Journal, vol. xix,
n. 2, primavera 1965, p. 215.
49
  A tal proposito, si veda Palwasha L. Kakar, Julia Schiwal, “Lessons from the 1931 Constitution
of Nadir Khan: Religious Inclusion and Reform”, Afghan Peace Process Issues Paper, United States
Institute of Peace, March 2021, p. 9. Si veda anche The Taliban Reader, cit., pp. 209 ss.

125
servare come anche la versione talebana fosse in parte basata sulla Carta del 1964,
sebbene con una teorizzazione del rapporto tra Islam e legislazione che, come visto,
si discostava notevolmente da essa. La riattualizzazione della disciplina monarchica
non può quindi che suscitare ancora un maggior interesse anche in quanto si può
considerare un discostamento dalla visione che, anni prima, aveva propugnato lo
stesso movimento, in favore di un modello tuttora inedito, i cui caratteri distintivi si
faticano a comprendere.

3.3. Se la scelta di riattualizzare la Costituzione monarchica del 1964 appare


come curiosa e interessante allo stesso tempo, non bisogna dimenticare come sia una
decisione temporanea, che apre tutta una serie di interrogativi.
Resta da capire, per il futuro, che ruolo il nuovo regime talebano intenda
affidare alla sharīʿa, sia nell’ambito delle riattualizzate previsioni del 1964 che oltre
di esse. Se la scelta di una disciplina come quella del 1931, o addirittura del 1998,
sarebbe stata senz’altro più coerente con la volontà di dare alla suprema normatività
islamica un ruolo centrale nell’ordinamento, la scelta operata sembra invece lasciar
intendere come la teorizzazione giuridica del rapporto tra sharīʿa e legislazione na-
zionale, che pure ha notevolmente impegnato l’ermeneutica giuridica presso altri
Paesi quali l’Egitto, non sia una priorità per il nuovo regime. Al contrario, potrebbe
propenedersi per una applicazione diretta delle norme della sharīʿa, seguendo i ri-
chiami testuali alle norme e ai principi sharaitici del 1964 – invero non così numerosi
– che pure la consentirebbero, sebbene con uno sforzo interpretativo che dovrebbe
superare la residualità dei casi di appliczione diretta di regole hanafite. Ciò, tutta-
via presupporrebbe che la Costituzione debba in qualche modo fondare la validità
dell’applicazione della sharīʿa nell’ordinamento, cosa tutt’altro che scontata.
Trattandosi infatti di una riattualizzazione parziale e temporanea della Costi-
tuzione del 1964, destinata ad essere superata, ciò a cui si potrebbe assistere, poten-
zialmente, è la creazione di un modello dualista che riattualizza lo storico binomio
sharīʿa-qānūn, senza tuttavia la necessità di dare esplicitamente e positivamente atto
della relazione tra le due visioni normative che vengono in contatto ed entrano in dia-
logo. Se clausole costituzionali come quelle afghane del 1964, del 1931 o del 2004, e
addirittura quella della bozza del 1998, possono essere considerate espressione di un
costituzionalismo che presiede al sistema delle fonti, non è da darsi per scontato che
ciò sia nell’intenzione dei legislatori talebani del futuro. Al contrario, l’applicazione
diretta della sharīʿa potrebbe essere legittimata non dalla Costituzione, ma più tradi-
zionalmente dalla sua stessa forza auto-impositiva, prescindendo quindi dai richiami
testuali presenti nei vari modelli costituzionali, deputati a tutt’altro scopo. Il carat-
tere parziale dell’adozione della Carta del 1964, da questo punto di vista, potrebbe
non significare la volontà del nuovo regime di correggere o riscriverne alcuni punti,
ma, più semplicemente, quella di utilizzarne solo taluni settori, non percependo la
necessità di regolare altri ambiti già regolati dalla stessa Carta, come per l’appunto
il ruolo dell’Islam, lasciato ad altre forme e ad altri criteri di legittimazione. Del

126
resto, proprio l’idea della subordinazione ideale del qānūn alla sharīʿa, e l’esplicita
qualificazione della Costituzione come una forma di qānūn, rende teoricamente la
questione superflua, non necessitando la sharīʿa di alcuna legittimazione da parte del
potere politico per poter trovare applicazione. Tradizionalmente, la cultura giuridica
islamica poteva considerarsi autosufficiente nella sua ermeneutica e nella sua conce-
zione di giustizia, senza quindi la necessità di alcun intervento dell’autorità politica
per sanzionarne la validità nell’ambito di un dato sistema50. Anche nel modello sau-
dita, a ben guardare, la Legge fondamentale opera un semplice rinvio all’applica-
zione delle norme sharaitiche51, che tuttavia può essere considerato dichiarativo più
che costitutivo dell’applicazione di un’idea normativa che non necessita di essere
validata da atti regolamentari percepiti estranei al suo raggio d’azione, e comunque
non sovraordinati ad essa. Non bisogna quindi cadere nell’errore di ritenere che il fu-
turo del costituzionalismo talebano debba passare necessariamente per l’adozione di
un modello costituzionale così come concepito sino ad oggi da altri Stati musulma-
ni, e non piuttosto per una sua rielaborazione concettuale che ne scardini i principi
fondanti, per esempio riportando al centro dell’ordinamento la sharīʿa pur senza la
necessità di darne atto in Costituzione.
Tale impostazione sarebbe del resto coerente con la visione normativa ta-
lebana, che, prima del tentativo costituzionale del 1998, mostrava già l’attitudine a
considerare del tutto superflua l’adozione di una Costituzione, in quanto la sharīʿa
poteva già svolgerne la funzione52. Ciò denota quindi, in questo mutevole contesto,
la necessità di riconsiderare lo stesso ruolo del costituzionalismo nell’ordinamento
nel suo complesso. L’adozione di una Costituzione, da questo punto di vista, non
implicherebbe l’adozione dell’idea di costituzionalismo, almeno così come inteso
nel mondo occidentale. L’idea di “assoggettare ogni autorità a limiti legali”53, rap-
presentati appunto da una cornice costituzionale, potrebbe rimanere estranea anche
all’emirato costituzionale, andando piuttosto a definire una nuova forma di plurali-
smo giuridico, in cui anche la Legge fondamentale potrebbe essere considerata come

50
  Hallaq, op. cit., p. 40.
51
  Si veda il già citato art. 23 della Legge fondmentale saudita del 1992.
52
  Per esempio, nel 1996 questa fu l’opinione di Nur Mohammad Saqib, allora a guida della Corte
Suprema. Cfr. The Taliban Reader, cit., p. 209. L’idea della sharīʿa come Costituzione non è tuttavia un
inedito nella storia costituzionale. Già la Legge fondamentale saudita, come visto, considera Corano e
sunnah la Costituzione ufficiale del Regno (art. 1), in un contesto wahhabita in cui le fonti testuali pri-
marie possono essere già considerare, con ogni dovuta approssimazione, il cuore pulsante della sharīʿa.
Inoltre, già nel 1977 la Dichiarazione della Gran Giamahiria (Jamāhīrīyah) Araba Libica Popolare So-
cialista, guidata da Mu’ammar Gheddafi, aveva proclamto il Corano come Costituzione (art. 2). Meno
noto è come anche Mohamed Morsi, durante la sua campagna elettorale in Egitto, aveva dichiarto il
Corano come la Costituzione del Paese (Antonio Perra, “Between Expectations and Reality: the Arab
Spring in Egypt”, in Hemispheres, vol. xxix, n. 2, 2014, p. 16).
53
  Si riprende qui la concisa ma esaustiva definizione di Carl Joachim Friedrich, Constitutional
government and democracy. Theory and practice in Europe and America, Blaisdell Publishing Com-
pany, Waltham 1968, p. 9.

127
uno dei vari elementi di un sistema non positivizzato e non formalizzato, e forse
nemmeno il più importante.
Nell’operare la propria scelta costituzionale, il nuovo Governo provvisorio
talebano sembra effettivamente essere maggiormente interessato ad adottare un testo
che appaia ben strutturato nella definizione di una architettura istituzionale, quindi
quale mero strumento disponibile al potere per la sua organizzazione. Da questo
punto vista, la Carta del 1964 appare senza dubbio funzionale allo scopo, e dotata
di una sofisticazione giuridica maggiore rispetto alle antecendenti Costituzioni, con
particolare riferimento al testo del 1923. Il costituzionalismo talebano appare quindi,
nella sua funzione provvisoria, pragmatico nella sua volontà di dotarsi di regole per
il funzionamento delle proprie strutture, ed estraneo quindi a questioni di principio
come quelle inerenti al ruolo dell’Islam all’interno dell’ordinamento concepito nel-
la sua astrattezza. Non si esclude inoltre, come detto, una funzione politica di tale
operazione, ossia la volontà del nuovo regime di istituzionalizzarsi in vista di un
possibile riconoscimento della comunità internazionale mediante l’adozione di una
cornice giuridica comparabile a quelle precedenti, e comunque nella salvaguardia di
principi ritenuti imprescindibili come lo stato di diritto, comunque ed evidentemente
da reinterpretarsi per garantirne la compatibilità con i principi islamici.
Per quanto concerne questo ultimo aspetto, nella secolare storia islamica la
regolazione dei poteri costituti non è mai stata percepita come appartenente all’am-
bito giuridico, ma afferente al più flessibile ambito del politico, quindi dato alla più o
meno libera disponibilità dei governanti54. Alla luce di ciò, la scelta di uno strumen-
to funzionale al darsi regole pratiche per il funzionamento delle nuove istituzioni
non appare contrastare con i principi sharaitici, storicamente estranei a tale ambito
concettuale. Una riflessione, tuttavia, potrà certo essere condotta sulla funzione le-
gislativa e sulla forma di governo parlamentare, che potrebbe essere riqualificata in
forma consultiva, come nel testo del 1923, o comunque per renderla più conforme
al concetto islamico di shūrā, che già il Parlamento afghano porta nel nome55, se del
caso tracciando un parallelismo, come pure è stato fatto da diversi autori56, con l’i-
dea occidentale di democrazia. In caso di applicazione diretta di norme sharaitiche,
probabilmente in corti dedicate, la funzione legislativa non potrà che essere ripensata

  Cfr. Frederick Mathewson Denny [1994], An Introduction to Islam, Routledge, Londra-New


54

York 2016, p. 201; Sayed Khatab, Gary D. Bouma, Democracy in Islam, Routledge, Londra-New York
2007, pp. 16-17.
  Analogamente a quanto avviene in altri Paesi islamici, anche in Afghanistan il Parlamento, nella
55

sua denominazione in arabo, adotta il nome di shūrā.


  Cfr. Abdelwahab El-Affendi, “Democracy and Its (Muslim) Critics: An Islamic Alternative to
56

Democracy?”, in Islamic Democratic Discourse. Theory, Debates, and Philosophical Perspectives, a


cura di M. A. Muqtedar Khan, Lexington Books, Lanham 2006, p. 23. Per un esempio di parallelismo
tra l’idea di consultazione come presente in al-Ghazālī e la moderna concezione di democrazia, si veda
Mohammed Moussa, Politics of the Islamic Tradition. The Thought of Muhammad al-Ghazali, Rout-
ledge, Londra-New York 2016, pp. 105-108.

128
proprio per garantire un coordinamento tra i due rami del sistema. Alla luce di una
prassi giuridica e giudiziale che, necessariamente, non ha ancora avuto il tempo di
svilupparsi, la questione di una teorizzazione tra sharīʿa e legislazione, che finora
sembra essere stata elusa, apparirà in futuro come inelubile, e dovrà in qualche modo
essere affrontata, o in via regolamentare o ermeneutica.
Ad ogni modo, se il nuovo Governo intende servirsi di parti e senzioni della
vecchia Carta, non è escluso – ed anzi appare probabile – che in futuro possa adot-
tare una propria normativa costituzionale volta all’integrazione o alla sostituzione di
quella in vigore ad interim. Un processo di costituzionalizzazione talebano potrebbe
essere senza dubbio di grande interesse, da molteplici punti di vista, sia con riferi-
mento al profilo della sua legittimazione, necessariamente sospesa tra religione rive-
lata e pragmatica realpolitik, sia con riferimento alle linee direttrici che seguirà. La
questione del ruolo della sharīʿa, come detto, sarà dirimente per definire alla radice
l’architettura istituzionale – e costituzionale – del nuovo Stato, non solo in fatto di
contenuti sostanziali di norme afferenti a due mondi completamente diversi, che si
trovano a convivere in un medesimo ordinamento, quanto piuttosto in termini di più
o meno implicita concettualizzazione di un modello che potrebbe essere più o meno
simile a quelli sino ad oggi adottati dai Paesi islamici, trovandosi necessariamente ad
affrontare sfide similari nel medio e lungo periodo.

4. La decisione di riattualizzare in via parziale la Costituzione del 1964 apre


la strada ad una forma, benché embrionale, di costituzionalismo talebano, evocato
nel titolo del presente articolo. Chiaramente, con tale locuzione ci si riferisce alla
rielaborazione e alla reinterpretazione dell’idea di costituzionalismo da parte del
movimento islamista, che come detto sembra porsi un doppio obiettivo: da un lato,
utilizzare lo strumento costituzionale in vista di un possibile riconoscimento, quindi
in chiave politica, e dall’altro creare una prima cornice di regolamentazione pratica
delle nuove istituzioni, e quindi in chiave giuridica.
Ciò che più parrebbe interessante, ossia il ruolo della sharīʿa in questo nuo-
vo assetto costituzionale, viene per ora lasciato ad una futura reinterpretazione degli
scarni riferimentoi del testo del 1964 o ad un loro definitivo superamento, comunque
in assenza di una stabile elaborazione teoretica. Ciò, come detto, non solo sposta
l’attenzione alla funzione pratica di fornire regole concrete alle nuove strutture go-
vernative, cosa a cui il movimento appare maggiormente interessato; più signifi-
cativamente, ciò può costituire anche un indizio sulla volontà del nuovo regime di
fornire applicazione diretta alla sharīʿa senza avvertire la necessità di giustificare
l’operazione mediante un dato normativo positivo, in ragione della divergenza nei
concetti di legittimazione e validità tra i due sistemi ordinamentali, che pur coesisto-
no sullo stesso territorio.
L’accettazione stessa di una forma di Costituzione postula l’acettazione di
un livello di normatività umana che distanza il regime talebano da movimento an-
cor più radicali come isis, accettandosi implicitamente la mediazione istituzionale di

129
legislatori terreni. Tale ultimo punto apre necessariamente la possibilità ad un costi-
tuzionalismo che si connatura nella tensione tra due principi appartenenti a visioni
filosofiche diverse – di per sé non una novità – o, in modo maggiormente innovativo
e meno comune, ad un sistema duale che procede in parallelo senza la necessità di
un raccordo teoretico.
Se il movimento talebano concepirà lo strumento del diritto costituzionale
come mera pratica di regolamentazione del potere, quindi di per sé estraneo all’ambito
sharaitico che al contrario incarna l’idea di normativo nella tradizione islamica, sarà
possibile iscrivere anch’esso in un più ampio pluralismo giuridico, finora pressoché
inedito nell’ambito del costituzionalismo dei Paesi islamici. Il diritto costituzionale
“vivente”, nel nuovpo regime, potrebbe quindi non essere semplicemente limitato
alla cornice costituzionale, che in altri contesti più o meno coerentemente sussume
sotto il proprio dominio anche la sharīʿa e si erge a regolatore di una complessità
normativa culturalmente orientata; al contrario, potrebbe essere un diritto vivente
non scritto ma fondato sulla prassi concreta, in cui la Costituzione appare come uno
dei vari elementi, insieme alla visione sharaitica, che formano parte di un più ampio
tutto. Del resto, come è stato fatto notare in letteratura57, il diritto costituzionale si
pone usualmente in una posizione di sostanziale ineguaglianza nel gestire un plura-
lismo e un multiculturalismo giuridico di cui non è parte, ma gestore sovraordinato
ai suoi vari componenti. Al contrario, la nuova disciplina costituzionale del nuovo
Emirato Islamico dell’Afghanistan potrebbe potenzialmente procedere secondo una
logioca pluralista tale da scardinbare la supremazia del diritto costituzionale per dare
spazio ad un dualismo fattuale, di cui il costituzionalismo di tipo occidentale rap-
presenti solo uno degli elementi. Si tratterebbe, in tal caso, di superare la dicotomia
tra diritto ufficiale, inteso come diritto prodotto dalla Stato, e diritto non ufficiale,
inteso come sistema informale spontaneamente emerso dai rapporti sociali58, per
andare a contestare implicitamente la stessa nozione di “ufficialità” del diritto. Si
tratterebbe, qui, di un pluralismo che rinvia la questione della sua stessa legittimità
ad una dimensione extra-costituzionale e pre-costituzionale, che concepisce la stessa
Costituzione come un suo prodotto, e non come la sua origine.
Certo, solo una solida prassi giuridica, che al momento ancora non esiste,
potrà mostrare il percorso evolutivo di un costituzionalismo ancora embrionale ed
appena annunciato, che può essere a buon diritto definito non solo come provviso-
rio, ma anche come sperimentale. Si tratta per l’appunto di un primo esperimento
di istituzionalizzazione di un sistema che, richiamandosi idealmente a puri canoni

57
  Così Benjamin L. Berger, “The Cultural Limits of Legal Tolerance”, in After Pluralism. Rei-
magining Religious Engagement, a cura di Courtney Bender, Pamela E. Klassen, Columbia University
Press, New York 2010, p. 100.
58
  Per una teoria di pluralismo giuridico fondata sui concetti di diritto ufficiale e non ufficiale,
arricchita tuttavia dal concetto di postulato giuridico, si veda la fondamentale opera di Masaji Chiba,
Legal Pluralism. Toward a General Theory Through Japanese Legal Culture, Tokai University Press,
Tōkyō 1989.

130
islamici, non si era mai del tutto confrontato nella prassi con la visione giuridica
occidentale. Alla luce di ciò, solo il confronto con la dimensione della temporalità,
che pure è suscettibile di essere interpretata secondo una pluralità di modi, saprà
mostrarci quale potrà essere il volto di questa nuova forma di costituzionalismo, che
non potrà che richiedere “una metodologia giuridica nuovamente rinvigorita per dare
un senso alle nuove e vecchie pluralità giuridiche”59.

A taliban constitutionalism?
some perspectives on the juridical future of Afghanistan

Abstract: After the fall of Kabul and the return of the Taliban in Afghanistan, in
September 2021 the new Taliban Minister of Justice Abdul Hakim Ishaqzai an-
nounced that the regime would temporarily adopt the monarchical constitution of
1964, wherever not in contrast with the Islamic sharīʿa. This announcement is par-
ticularly interesting in that it paves the way for a first form of Taliban constitutional-
ism, with all of its possible juridical and philosophical implications. In particular,
this article analyzes the reenactment of the idea of emirate as a form of government,
the role of the sharīʿa, having regard to Afghan constitutional history, and discusses
some theoretical possibilities for future developments.

Keywords: Taliban, Afghanistan, sharīʿa, constitution, emirate

59
  Werner F. Menski, “Cherrypicking Customs: on What Happens When Custom is not Taught”, in
The Shade of New Leaves. Governance in Traditional Authority. A Southern African Perspective, a cura
di Manfred O. Hinz, Helgard K. Patemann, Lit Verlag, Berlino 2006, p. 402.

131
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-8
pp. 133-145

NOTE E COMMENTI

LA NECESSARIA RIFORMA DELLA L. 218/95 ALLA LUCE


DELL’ALTALENANTE GIURISPRUDENZA DELLA CASSAZIONE
IN MATERIA DI GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ITALIANO

Francesco Maiello*

Sommario: 1. Prefazione.- 2. Le teorie sulla corretta interpretazione del rin-


vio operato dall’art. 3 co. 2 L. 218/1995.- 3. Gli interventi delle Sezioni Unite nella
vexata quaestio.- 4. Critica all’interpretazione del dinamismo dell’art. 3 co. 2 L.
218/1995, fornita dalla giurisprudenza interna.- 5. Considerazioni finali.

1. L’altalenante giurisprudenza della Cassazione in materia di giurisdizione


del giudice italiano fornisce lo spunto per alcune considerazioni in ordine all’impro-
crastinabile riforma sistematica della nostra legge di Diritto internazionale privato.
Com’è noto, l’art. 3 co. 2 della L. 218/1995 (in seguito Legge) aveva operato
una perfetta armonizzazione tra i criteri di giurisdizione meramente interni e quelli
cui l’Italia era obbligata in virtù di convenzioni internazionali, utilizzando i criteri
di giurisdizione contenuti nelle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione di
Bruxelles del 19681 (in seguito Convenzione) anche al di fuori del suo campo di
applicazione rationae personarum2.
Ad un tale risultato il legislatore nazionale era giunto, non mediante la ripro-
duzione integrale dei criteri convenzionali, ma, piuttosto, attraverso un rinvio alla
disciplina pattizia.
Al fine poi di evitare che eventuali modifiche dell’accordo potessero riverbe-
rarsi negativamente sulla uniforme applicazione dei criteri di giurisdizione richiama-
ti, la Legge faceva oggetto del richiamo anche le eventuali successive modificazioni

*
  Professore Aggregato di Diritto internazionale privato presso l’Università degli Studi di Cassino
e del Lazio Meridionale.
1
  Convenzione di Bruxelles del 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione
delle decisioni in materia civile e commerciale, in gu c 27 del 26.01.1998, pp. 1–27, resa esecutiva in
Italia con L. 21 giugno 1971 n. 804, in gu n. 254 del 8.10.1971.
2
  Sul valore di un siffatto rinvio vd. Gaja, Il rinvio alla convenzione di Bruxelles in tema di
giurisdizione, in Salerno (a cura di), Convenzioni internazionali e legge di riforma del diritto
internazionale privato, Atti del Convegno di Studi organizzato dall’Università della Calabria, Crotone
- Isola di Capo Rizzuto 30-31 maggio 1996, Padova, 1997, p. 3; Giardina, Il rinvio alle convenzioni di
diritto internazionale privato e processuale, ivi, p. 3; Picone, Le convenzioni internazionali nella legge
italiana di riforma del diritto internazionale privato, ivi, p. 377.

133
della Convenzione, operando in tal modo un rinvio definito da alcuni “dinamico”3.
Tuttavia il legislatore europeo, dopo una prima fase caratterizzata dalla pro-
posta agli Stati membri di ratificare accordi internazionali di cooperazione, ex art.
293 dell’allora tce4, ha ritenuto di trasfondere le convenzioni ancora in vigore in al-
trettanti atti di diritto derivato, perseguendo la completa realizzazione dell’obiettivo
della libera circolazione delle decisioni in materia civile e commerciale5.
In materia di riparto di giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle
sentenze civili, a tanto si era pervenuti sin dal 2001 con l’emanazione del Regola-
mento (ce) N. 44/2001 del Consiglio6, successivamente abrogato e sostituito dal più
recente Regolamento (ue) n. 1215/2012, applicabile dal 10 gennaio 2015 (in seguito
Regolamento).
L’entrata in vigore del regolamento (cd. Bruxelles i bis) 7, ha acuito i ben noti
problemi di coordinamento tra la nostra legge di riforma del Diritto internazionale
privato e la normativa internazionale da essa richiamata.
Invero, la nuova legislazione europea, che pure espressamente prevede il su-
peramento della precedente Convenzione di Bruxelles, non è perfettamente sovrap-
ponibile a quest’ultima in relazione al suo campo di applicazione né può intendersi
sic et simpliciter una sua successiva modificazione in senso stretto.
Dalla difficoltà incontrata dalle stesse Sezioni Unite della Cassazione
nell’individuare la disciplina effettivamente richiamata dalle norme nazionali, in
presenza di un quadro normativo non sempre esaustivo e comunque non aggiornato
alla regolamentazione internazionale in vigore, appare chiaro che l’unica soluzione
percorribile è quella di un intervento definitivo del legislatore italiano.

2. Sin dalla sua emanazione l’art. 3 co. 2 della Legge, che espressamente
estende la giurisdizione italiana “in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del
titolo ii della Convenzione” di Bruxelles del 68 … “anche allorché il convenuto non
sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle
materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione”, ha destato notevo-
le interesse in dottrina.

  In questo senso vd. Franzina, Interpretazione e destino del richiamo compiuto dalla legge di
3

riforma del diritto internazionale private ai criteri di giurisdizione della Convenzione di Bruxelles in
Riv. dir. int., 2010, fasc. 3, p. 820.
4
  L’art. 293 tce (già 220) è stato definitivamente abrogato dal Trattato di Lisbona.
  La materia è ad oggi confluita nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile ai sensi
5

dell’articolo 81 tfue (già art. 65 tce).


6
  Regolamento (ce) N. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, gu l
12 del 16.1.2001, pag. 1.
7
  Regolamento (ue) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012,
concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia
civile e commerciale, in gu L 351 del 20/12/2012, pp. 1–32.

134
Alcuni autori hanno sostenuto, infatti, che la disposizione testé richiamata
rappresenterebbe la volontà del legislatore italiano di rinunciare a una regolamenta-
zione interna della giurisdizione, rispetto ai convenuti non domiciliati in uno Stato
parte, estendendo a tali ultimi la disciplina convenzionale8. In altre parole e secondo
la ricordata opinione l’ordinamento italiano, allo scopo di operare una semplificazio-
ne, avrebbe di fatto ampliato la sfera di applicazione della Convenzione creando, in
questo modo, un sistema unico di riparto della giurisdizione anche nei confronti di
quei soggetti che non presentano un collegamento con Stati parte.
Un diverso orientamento ha, pero, inteso la formulazione dell’art. 3 co. 2
come “una norma positiva di giurisdizione”9 mediante rinvio ad una convenzione
preesistente10. Si è, invero, messo in luce come la locuzione “la giurisdizione sus-
siste”, posta nell’incipit dei commi 1 e 2 della citata disposizione11, dia conto di
un’espressa volontà del legislatore, tutt’altro che rinunciataria, rispetto all’indivi-
duazione dei criteri di giurisdizione12.
Quanto poi all’avverbio “inoltre” utilizzato nel secondo comma, questo, se-

8
  Seppure con diverse motivazioni sostengono questa teoria Mari, Delimitazione della giurisdizione
italiana mediante rinvio alla convenzione di Bruxelles del 1968 e competenza pregiudiziale della Corte
di giustizia in Foro it., 1996, fasc. iv, p. 365 e ss.; Bariatti, Commento all’art. 2 della legge 31 maggio
1995 n. 218, in Legge 31 maggio 1995 n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale
privato, Commentario diretto da S. Bariatti in Le nuove leggi civili commentate, 1996, p. 889 e ss.;
Carbone, Lo spazio giudiziario europeo:la Convenzione di Bruxelles (con la proposta di Regolamento
comunitario) e la Convenzione di Lugano,Torino, 2000.
  Vd. Starace, Il richiamo dei criteri di giurisdizione stabiliti dalla Convenzione giudiziaria di
9

Bruxelles nella legge di riforma del Diritto internazionale privato, in Riv. dir. int., 1999, fasc. 1, p. 20.
10
  Tale tecnica è utilizzata nella legge di riforma in altre quattro disposizioni. Si ricorda, infatti, che
l’art. 42 rinvia alla convenzione dell’Aja del 5.10.1968, l’art. 45 a quella dell’Aja del 02.10.1973, l’art.
57 alla Convenzione di Roma del 19.06.1980 e l’art. 59 alle Convenzioni di Ginevra del 07.06.1930 e
19.03.1931. Per una esaustiva analisi delle varie tecniche di utilizzo da parte del legislatore interno di
convenzioni internazionali al fine di regolamentare fattispecie non ricadenti nella sfera di applicazione
delle regole pattizie si rinvia a Picone, La teoria generale del diritto internazionale privato nella legge
di riforma italiana in aa.vv., La riforma del diritto internazionale privato italiano, Atti del Convegno
organizzato dalla Sidi, Roma 11-12 aprile 1996, Napoli, 1997, p. 86 e ss.
11
  Cfr. art. 3 co. 1 e 2 della legge 31 maggio 1995, n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto
internazionale privato, in gu n.128 del 3.6.1995: “1) La giurisdizione italiana sussiste quando il
convenuto e’ domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in
giudizio a norma dell’articolo 77 del codice di procedura civile e negli altri casi in cui e’ prevista dalla
legge. 2) La giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II
della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia
civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968, resi esecutivi con la legge 21
giugno 1971, n. 804, e successive modificazioni in vigore per l’Italia, anche allorché il convenuto non
sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel
campo di applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in
base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio”.
  Vd. Starace, Il richiamo dei criteri di giurisdizione stabiliti dalla Convenzione giudiziaria di
12

Bruxelles nella legge di riforma del Diritto internazionale privato, cit., p. 12 e ss.

135
condo l’opinione ricordata, fornirebbe la riprova che i criteri convenzionali sono
considerati nella mens legis come alternativi rispetto a quelli già individuati nel pri-
mo comma13. Anche tale considerazione esclude, allora, che il legislatore nazionale
avesse voluto, mediante il richiamo operato anche ai convenuti non domiciliati, di-
sciplinare i criteri di giurisdizione esclusivamente per relationem.
Chiarito dunque che l’utilizzo dei criteri di giurisdizione convenzionali ha
una funzione integrativa e di completamento della regolamentazione interna, va ul-
teriormente analizzata la problematica della sua esatta qualificazione quale rinvio
formale o recettizio14.
Gli autori schieratisi per il primo orientamento15, oltre a rilevare che in ge-
nere la recezione materiale si opera attraverso una riformulazione delle norme ete-
ronome nell’ordinamento interno, hanno anche messo in luce come l’estensione del
rinvio alle eventuali successive modificazioni della Convenzione sia incompatibile
con uno strumento di adattamento recettizio che per definizione ha natura statica.
Per la tesi del rinvio materiale si sono schierati, invece, gran parte degli
studiosi della materia16, i quali hanno inteso evidenziare come, in base al richiamo
di cui all’art. 3 co. 2, il legislatore del 1995 avesse voluto nazionalizzare i criteri di
giurisdizione contenuti nelle sezioni 2, 3 e 4 del titolo ii della Convenzione, affian-
candoli a quelli già individuati al comma precedente17.

13
  In ordine alla funzione di completamento delle norme nazionali riservata ai criteri convenzionali
richiamati cfr. Salerno, Il coordinamento dei criteri di giurisdizione nella legge di riforma in Riv. dir.
int., 1996, p. 886 e Gaja, Il rinvio alla convenzione di Bruxelles in tema di giurisdizione, cit., p. 27.
  Senza volere entrare nell’ampia speculazione scientifica sulle differenze tra le due tipologie di
14

richiamo di nome eteronome, giova in questa sede ricordare che, se con il rinvio materiale la norma
esterna entra definitivamente a far parte dell’ordinamento, diventando insensibile alle vicende che
dovessero caratterizzare la vita di quella originaria, nei casi di rinvio non recettizio, la stessa resta
ancorata all’ordinamento di provenienza con conseguenze diametralmente opposte.
15
  Per tutti Gaja, Il rinvio alla convenzione di Bruxelles in tema di giurisdizione, cit., p. 27.
  Luzzato, Commento all’art. 3 della Legge 31 maggio 1995 n. 218, in Pocar, Treves, Carbone,
16

Giardina, Luzzato, Mosconi, Clerici, Commentario del nuovo diritto internazionale privato, Padova
1996 p. 28; Ballarino, Diritto internazionale privato, Padova, 1996, p. 109; Boschiero, Appunti sulla
riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, Torino, 1996, p. 106; Picone, Le convenzioni
internazionali nella Legge italiana di riforma del diritto internazionale privato, in Salerno (a cura
di) Convenzioni internazionali e Legge di forma del diritto internazionale privato. Atti del convegno
Università di Reggio Calabria. Crotone - Isola Capo Rizzuto, 30-31 maggio 1996, Padova, 1997, p.
377 ss.; Pocar, Il nuovo diritto internazionale privato italiano, Milano, 1997, p. 16; Id., Incidenza delle
convenzioni internazionali di diritto internazionale privato e processuale sul nuovo diritto internazionale
privato italiano, in aa.vv., La riforma del diritto internazionale privato italiano. Atti del convegno di
Roma 11-12 aprile 1996, Napoli, 1997, p. 244 e ss; Starace, Il richiamo dei criteri di giurisdizione stabiliti
dalla Convenzione giudiziaria di Bruxelles nella legge di riforma del Diritto internazionale privato, cit.;
Picone, Diritto internazionale privato e pluralità di metodi di coordinamento tra ordinamenti in Picone (a
cura di), Diritto internazionale privato e diritto comunitario, Padova, 2004, p. 524; Pocar, Sulla riforma
dell’art. 3 comma 2 della Legge n. 218/1995, in Riv. dir. int. priv. proc., 2011, p. 631.
  Sul punto si noti come alcuni autori parlano di “trasformazione in diritto comune” delle norme
17

convenzionali. Cfr. Mosconi, Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale, i, Torino, 2020, p. 49 e ss.

136
Tale operazione, evidentemente volta all’ampliamento della giurisdizione
italiana, ha creato però, anche in ragione della stratificazione normativa intervenuta
con l’emanazione dei regolamenti Bruxelles i e Bruxelles i bis, un sistema misto e,
in ogni caso, sensibilmente differente per le distinte ipotesi di convenuti domiciliati
e non in Stati parte.
Si deve, allora, concludere che la particolare tecnica legislativa utilizzata
dal legislatore del 1995 non consente una completa ed esatta sussunzione della fatti-
specie così delineata né nel genus del rinvio fisso né in quello mobile. Se da un lato,
infatti, appare evidente la scelta di rendere il sistema interno permeabile alle norme
della Convenzione, dall’altro la mancata trascrizione delle stesse nelle norme co-
muni e l’estensione del richiamo alle eventuali successive modificazioni parrebbero
orientare il lavoro dell’interprete verso la tecnica del rinvio non recettizio.
Questa impasse non è mai stata superata come appare manifesto ad una an-
che superficiale analisi degli schieramenti dottrinali fronteggiatisi sul punto, ognuno
dei quali, facendo leva su taluni aspetti piuttosto che su altri, è riuscito a enucleare
una tesi convincente e ben argomentata.
In tali condizioni appare assai interessante la tesi di chi, riconoscendo le diffi-
coltà legate all’ammissione dell’una o dell’altra soluzione, ha evidenziato come il vero
problema interpretativo della disposizione in parola risiede nel valore da attribuire al
“dinamismo” in essa certamente presente come si evince dal suo tenore letterale18.
L’autore rileva come i suoi predecessori pronunciatisi sulla vexata quaestio in
nessun caso avessero potuto riscontrare nell’art. 3 co. 2 i caratteri rigorosi ed esclusivi
dell’una o dell’altra tipologia di rinvio. Tant’è che la maggior parte di quelli propensi
al rinvio materiale aveva tentato di mitigarne il rigore attraverso un’interpretazione
orientata a tenere in debito conto la volontà uniformante del legislatore. Allo stesso
modo gli autori schieratisi per il rinvio mobile ne avevano fornito una caratteriz-
zazione “incompleta”, denotando come l’allineamento delle norme comuni a quelle
convenzionali è solo parziale, in quanto i criteri di giurisdizione convenzionali si
aggiungono a quelli generati dal comma 1 del più volte citato articolo 3 della Legge.

3. Il primo intervento delle Sezioni Unite in materia, reso sotto la vigenza del
Regolamento (ce) N. 44/2001, è relativo a un caso risalente al 2006 e riguardava l’a-
zione intrapresa innanzi al Tribunale di Napoli da una società italiana contro un’altra
di diritto monegasco e volta ad ottenere la condanna al pagamento del prezzo per una
fornitura di beni mobili già effettuata presso la sede di Montecarlo19.

18
  Franzina, Interpretazione e destino del richiamo compiuto dalla legge di riforma del diritto
internazionale private ai criteri di giurisdizione della Convenzione di Bruxelles, cit.
19
  Cfr. Cass. civ. Sez. Unite Ordinanza, 21/10/2009, n. 22239. Per una critica dell’interpretazione
fornita dalla Sezioni Unite vd. Franzina, Interpretazione e destino del richiamo compiuto dalla legge
di riforma del diritto internazionale private ai criteri di giurisdizione della Convenzione di Bruxelles,
ult. cit., p. 817 e ss; id., An Italian View on the Living Dead Convention in conflictoflaws.net, News and
Views in Private International Law, 29 novembre 2010.

137
Preso atto che l’acquirente aveva eccepito il difetto di giurisdizione del Giu-
dice italiano, l’attrice proponeva regolamento preventivo di giurisdizione.
Preliminarmente la Corte correttamente osservava la differente disciplina in
materia posta dalla Convenzione e dal successivo regolamento ce 44/2001. Invero
l’art. 5 co. 1 della prima, in ambito contrattuale, attribuiva la giurisdizione al giudice
del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio “è stata o deve essere eseguita”. Il
regolamento Bruxelles 1, invece, innovando profondamente la disciplina previgente,
dettava all’art. 5 co. 1 lett. a) e b) regole specifiche in materia di compravendita,
ancorando la giurisdizione in materia al luogo in cui i beni sono stati o avrebbero
dovuto essere consegnati in base al contratto.
Considerato che nessuna delle due norme internazionali era direttamente ap-
plicabile al caso in oggetto, trattandosi di convenuto non domiciliato, veniva in rilie-
vo la disciplina internazionalprivatistica italiana e segnatamente l’art. 3. co. 2 della
Legge che, come più volte ricordato, estende la disciplina contenuta nelle sezioni 2,
3 e 4 del titolo II della Convenzione e successive modificazioni alle fattispecie prive
di collegamenti con gli Stati parte.
La Corte, allora, escludendo che il reg. 44/2001 potesse considerarsi una
modifica della Convenzione in senso stretto, applicava la disciplina pattizia e, uti-
lizzando il criterio del luogo dell’esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio
(pagamento di somma di danaro al domicilio del creditore), si pronunciava per la
sussistenza della giurisdizione italiana.
In un successivo giudizio, nel quale si discuteva della validità della proroga
di giurisdizione in favore del giudice straniero, contenuta in un contratto di acquisto
di titoli tra due consumatori e un Istituto di Credito avente sede nella Repubblica di
San Marino20, la Corte sembra totalmente dimenticare il problema.
Ritiene, infatti, la Cassazione irrilevante valutare la validità della proroga di
giurisdizione ai sensi dell’art. 4, comma 2 della Legge giudicando prevalente “l’art.
3, comma 2 della medesima legge, secondo la quale - vertendosi in tema di contratti
del consumatore - si applicano le disposizioni della sezione 3 del Regolamento ce n.
44 del 2001”.
Ancora con la successiva Ordinanza n. 32362 del 13/12/2018, la Suprema
Corte dà quasi per scontata l’applicazione del Regolamento ue 1215/2012, in virtù
del rinvio operato dalla Legge21.
Si trattava in questo giudizio di un decreto ingiuntivo richiesto e ottenuto da
una società italiana contro una venezuelana per il pagamento del prezzo di una com-
pravendita internazionale di beni mobili. Nella conseguente opposizione, la società

20
  Cfr. Cass. civ. Sez. Unite Ordinanza, 20/02/2013, n. 4211.
  Cfr. Cass. civ., Sez. Unite, Ord., (data ud. 06/11/2018) 13/12/2018, n. 32362. Al punto 4 della
21

motivazione è dato leggere: “la norma oggi applicabile è quindi l’art. 7, lett. b, primo trattino, del
Regolamento ue 12 dicembre 2012 n. 1215, sostitutivo dell’art. 5, n. 1, lett. b del Regolamento ce 22
dicembre 2000, n. 44, quali disposizioni sostitutive della Convenzione di Bruxelles del 1968”.

138
straniera aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano non avendo do-
micilio in Italia né sedi secondarie o un rappresentante autorizzato a stare in giudizio.
Facendo, allora, piena applicazione dell’art. 7 lett. b del Regolamento Bru-
xelles I bis, implicitamente inteso come oggetto del rinvio della Legge, dichiarava il
difetto di giurisdizione del Tribunale adito.
Con un improvviso ma più che comprensibile revirement, la Suprema Corte
ritorna, invece, sulle posizioni già espresse nel 2009, con l’ordinanza n. 15748 del
12/06/2019, allorquando si è pronunciata sulla giurisdizione del Giudice italiano,
adito per ottenere il pagamento del compenso ai sensi degli artt. 1709 e 1720 c.c.,
nascente da un mandato di riorganizzazione del patrimonio22.
Tralasciando le numerose censure espresse dalle parti in relazione al dictum
del Tribunale di Roma prima e della Corte di Appello poi, ciò che rileva ai fini questa
trattazione è la lunga digressione operata dalla Corte di legittimità in relazione al rin-
vio operato dall’art. 3 co. 2 della Legge alla Convenzione, che in base alla sua esatta
formulazione non può considerarsi esteso ai successivi regolamenti.
Le ragioni del convincimento della Corte sono sostanzialmente due e appa-
iono ineccepibili.
In primo luogo la Convenzione non può dirsi definitivamente sostituita (e quindi
implicitamente abrogata) dal sopravvenuto regolamento, continuando, invece, ad opera-
re relativamente ai rapporti con soggetti non domiciliati in uno degli Stati dell’Unione
ovvero che non hanno adottato il predetto regolamento (ad esempio la Danimarca).
La seconda motivazione di una tale decisione si pone, poi, in aperto contra-
sto con la teoria del rinvio mobile fondata, tra l’altro, sulla diretta applicabilità della
norma intertemporale contenuta nell’art. 68 del regolamento a mente della quale “Il
presente regolamento sostituisce, tra gli Stati membri, le disposizioni della conven-
zione di Bruxelles … Nella misura in cui il presente regolamento sostituisce, tra gli
Stati membri, le disposizioni della convenzione di Bruxelles ogni riferimento a tale
convenzione si intende fatto al presente regolamento”.23
Denota la Corte come una siffatta disposizione non possa comportare la di-
sapplicazione dell’eventuale norma interna incompatibile, se la norma domestica
non si riferisce a rapporti “tra” gli Stati membri.
L’ultima pronuncia in materia, resa nel mese di giugno del 2021, è stata
innescata dall’azione promossa dalla Binda Italia s.r.l. contro la Retkie Industries
Limited (con sede a Hong Kong) innanzi al Tribunale di Busto Arsizio24.
Il giudizio ha avuto ad oggetto la domanda della società italiana di risolu-

22
  Cfr. Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 16/04/2019) 12/06/2019, n. 15748.
  Vd. I punti della motivazione 6.7 e 6.8 della sentenza Cass. civ., Sez. Unite, n. 15748 del 2019, ult. cit.
23

24
  Cfr. Cass. civ., Sez. Unite, Ord., (data ud. 22/06/2021) 25/06/2021, n. 18299, punti da 4.1.1 a
4.1.6. Per una compiuta ed esaustiva analisi del provvedimento vd. Zarra, La Cassazione si pronuncia
sul rinvio alla Convenzione di Bruxelles del 1968 nell’art. 3, comma 2, della Legge 218 del 1995: fine
dell’epopea?, in Diritto del Commercio internazionale, 2022, n. 1.

139
zione, per inadempimento della convenuta, del rapporto commerciale in essere fra
le parti sin dal 1993 e consistente nell’acquisto su ordinazione di orologi e gioielli
prodotti dalla Retkie. Quest’ultima, invero non aveva evaso gli ordini di acquisto del
2015, per i quali erano stati già pagati anticipi sul prezzo pattuito e aveva provveduto
alla commercializzazione sul mercato italiano, con conseguente violazione dei diritti
di privativa industriale.
Il difetto di giurisdizione del giudice italiano, eccepito dalla convenuta, è
stato fondato su una diversa qualificazione del rapporto in essere tra le parti in base
alla quale la società straniera si sarebbe limitata ad assemblare il prodotto finito e,
quindi, ad effettuare una prestazione di servizi in luogo di una vendita.
In tale ipotesi, infatti, secondo la ricostruzione della convenuta, la Conven-
zione come richiamata dalla L. 218/1995, avrebbe attribuito la giurisdizione al giu-
dice straniero del luogo in cui era prestato il servizio.
La Suprema Corte, però, fornendo i più ampi riferimenti della giurispruden-
za europea in ordine alla esatta interpretazione dell’art. 68 del regolamento, afferma
nuovamente che la Convenzione, nazionalizzata dalla Legge, “si intende ormai tra-
sfusa nel Regolamento (ue) del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre
2012, n. 1215” del quale fa piena applicazione nella soluzione del giudizio.
Sul punto occorre, peraltro, rilevare che in tale specifico caso, anche ad uti-
lizzare i criteri di giurisdizione della Convenzione, non vi sarebbe stata alcuna dif-
ferenza nel decisum qualora la Corte avesse ricostruito il rapporto come prestazione
di servizi, in quanto rispetto a tale fattispecie le discipline convenzionale ed euro-
pea sono sovrapponibili, nel senso di attribuire giurisdizione al giudice del luogo di
esecuzione della prestazione. Al contrario, sussumendo il rapporto nel contratto di
compravendita, l’art. 7 lett. b, primo trattino del regolamento, consente al Giudice
del luogo della consegna dei beni di pronunciarsi in ordine alla lite. Con tale ultima
motivazione la Corte ha ritenuto sussistente la giurisdizione del Giudice italiano.

4. La questione relativa all’identificazione del rinvio fisso o mobile posto in


essere dall’art. 3 co. 2 L. 218/95, lungi dall’assumere i toni di una mera speculazione
dottrinale, diventa dirimente per individuare l’esatta estensione della giurisdizione
italiana in relazione al contratto più diffuso nei rapporti transnazionali, qual è la
compravendita.
La soluzione fornita dalla Cassazione con l’ordinanza n. 15748 del
12/06/201925 era stata poi successivamente approfondita da quella parte della dottri-
na che, condividendone le conclusioni, ha avuto modo di spiegare come il legislatore

  Il principio enucleato nell’ordinanza appare sufficientemente motivato anche considerata anche


25

la natura particolarmente complessa della questione giuridica affrontata ed il dibattito dottrinale sul
punto. La Cassazione si limita ad affermare che il rinvio contenuto nelle norme italiane non potrebbe
estendersi al successivo regolamento in quanto la Convenzione non è stata definitivamente sostituita e
continua ad operare relativamente ai rapporti con soggetti non domiciliati in Stati membri dell’Unione
ovvero in quelli che non hanno adottato il regolamento.

140
del 1995 aveva ben precisato l’oggetto del rinvio, prevedendo di accettare solo le
successive modificazioni provenienti dalla stessa fonte normativa internazionale26.
Questa scelta trovava una sua precisa ratio nell’escludere che, in un campo
così delicato, potessero intervenire modificazioni non sottoposte al vaglio parlamen-
tare e alle garanzie che ne conseguono. Solo in quest’ottica assumerebbe un signifi-
cato rilevante l’espressione utilizzata dall’art. 3 co. 2 che, in maniera tutt’altro che
pleonastica, precisa che sono fatte oggetto del rinvio le successive modificazioni
della Convenzione “in vigore per l’Italia”.
A tale situazione immaginata dai redattori della Legge, allora, secondo il
riportato orientamento non potrebbe certamente equipararsi il procedimento di ado-
zione di un successivo regolamento nel quale, seppure il Governo italiano è parte del
processo decisionale, il Parlamento nazionale non ha alcuna ingerenza27.
Tuttavia l’ultimo e recentissimo pronunciamento della Suprema Corte appare
allo stesso modo ben motivato, facendo leva sulla rilevanza che potrebbe certamente
assumere, nella soluzione del caso prospettato, la norma contenuta nell’articolo 68
co. 2 del reg. 1215/12 che, nel dettare le norme intertemporali per l’applicazione della
nuova regolamentazione, sancisce che “nella misura in cui il presente regolamento so-
stituisce, tra gli Stati membri, le disposizioni della convenzione di Bruxelles del 1968,
ogni riferimento a tale convenzione si intende fatto al presente regolamento”28.
Non si può negare che in base alla citata disposizione l’effetto estensivo del
richiamo operato dall’art. 3 co. 2 potrebbe derivare dalla legislazione europea diret-
tamente applicabile in tutti gli Stati membri29.
Ma anche volendo escludere che la stessa possa spiegare effetti diretti30, la
norma intertemporale dettata dal legislatore sovranazionale potrebbe almeno impor-
re ai giudici di diritto comune di superare tutte le ricordate difficoltà esegetiche op-
tando per una sua interpretazione conforme che consenta di ritenere che l’art. 3 co. 2
richiami l’attuale disciplina europea vigente tra gli Stati membri31.

26
  Sul punto si veda Biagioni, La connessione attributiva di giurisdizione nel regolamento ce 44/2001,
Padova, 2011, p. 50 e ss.; Pocar, Sulla riforma dell’art. 3 co. 2 della Legge n. 218/1995 in Riv. dir. int. priv.
proc., 2011, fasc. 3, p. 631. Contra Conetti, Manuale di diritto internazionale privato, Torino, 2013, p. 21.
27
  Contra Franzina, Interpretazione e destino del richiamo compiuto dalla legge di riforma del
diritto internazionale private ai criteri di giurisdizione della Convenzione di Bruxelles, cit., p. 821.
28
  Una tale possibile soluzione, peraltro, era stata adombrata dalla dottrina prima del pronunciamento
della Corte anche se si era concluso in senso contrario per le considerazioni che seguono. Cfr. Maiello,
La Jurisdicción Internacional del Juez Italiano en la coordinación del Art. 3º CO. 2 L. 218/1995 con el
sucesivo Reglamento(ue) N. 1215/2012”, in Utopía y Praxis Latinoamericana, 2014, nº. 67, pp. 121-130
  L’unico autore ad adombrare questa soluzione, pur senza prendere posizione sul punto, è
29

Castellaneta, Competenza giurisdizionale, in Baratta (a cura di), Diritto internazionale privato,


Milano, 2010, p. 56.
30
  Come si dirà in seguito sembra che il regolamento si possa considerare incompatibile solo con
gli obblighi reciproci a cui gli Stati parte erano legati in virtù della precedente convenzione, dal cui
campo di applicazione è esclusa la materia della giurisdizione rispetto ai convenuti non domiciliati.
31
  Sull’interpretazione conforme ed i relativi obblighi del giudice nazionale vd. Cafari Panico, Per

141
Tale materia dovrebbe, comunque, essere oggetto di sindacato da parte della
Corte u.e. che, ex art. 267 tfue, è competente a pronunciarsi su disposizioni di dirit-
to europeo anche in situazioni in cui i fatti della causa principale si collocano al di
fuori dell’ambito d’applicazione del diritto dell’Unione, ma nelle quali tale ultimo è
oggetto di un rinvio operato dei legislatori nazionali32.
In numerose sentenze, infatti, la Corte ha avuto modo di sostenere che, quan-
do la normativa interna oggetto di rinvio, intende conformarsi, per le soluzioni che
essa apporta a situazioni puramente interne, a quelle adottate nel diritto europeo,
anche allo scopo di assicurare una procedura unica in situazioni paragonabili, esiste
un interesse certo dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione,
le disposizioni o le nozioni riprese dal diritto sovranazionale ricevano un’interpreta-
zione uniforme a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate.
Tuttavia, non va in questa sede sottaciuto che, da un’analisi più ampia del
regolamento, appare evidente l’intento del legislatore europeo di sostituire mediante
abrogazione solo gli obblighi reciproci a cui gli Stati parte erano legati in virtù della
precedente convenzione, lasciandoli in ogni caso liberi di regolamentare attraverso
norme comuni la giurisdizione rispetto ai convenuti non domiciliati33.

un’interpretazione conforme, in Dir. pubb. comp. eur., 1999, p. 383 e ss.; Celotto, Giudici nazionali e
Carta di Nizza: disapplicazione o interpretazione conforme, in Giust. amm., 2006, p. 329 e ss.; Ruvolo,
Interpretazione conforme e situazioni giuridiche soggettive, in Europa e dir. priv., 2006, p. 1407 e
ss.; Carbone, Corte Costituzionale, pregiudiziale comunitaria e uniforme applicazione del diritto
comunitario, in Dir. un. eur., 2007, p. 707 e ss.; Conti, L’effettività del diritto comunitario ed il ruolo
del giudice, in Europa e dir. priv., 2007, p. 479 e ss.; Pace, La sentenza Granital, ventitré anni dopo,
in Studi int. eur., 2007, p. 451 e ss.; Guidi, Sulla questione dell’obbligo di interpretazione conforme
di una direttiva rispetto al termine della sua entrata in vigore, in Studi int. eur., 2008, p. 409 e ss.;
Piccone, Effetti Diretti, interpretazione conforme e principi generali dell’ordinamento comunitario,
in Riv. dir. sicur. soc., 2008, p. 157 e ss.; Luminoso, Fonti comunitarie, fonti internazionali e regole
interpretazione, in Contr. impresa eur., 2009, p. 659 e ss.; Scalisi, Interpretazione e teoria delle fonti
nel diritto privato europeo, Riv. dir. civ., 2009, p. 413 e ss.; Di Seri, Le conseguenze dell’inesatta
trasposizione delle direttive “attuative” di principi generali del diritto comunitario, in Rass. avv. stato,
2010, p. 25 ss.; Trocker, Il diritto processuale europeo e le tecniche ella sua formazione: l’opera
dalla Corte di Giustizia, in Europa e dir. priv., 2010, p. 361 e ss.; Daniele, Direttive per la tutela dei
consumatori e poteri d’ufficio del giudice nazionale, in Il Dir. un. eur., 2011, p. 683 e ss.; Iadicchio,
Integrazione europea e ruolo del giudice nazionale, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2011, p. 393 e ss.
  Cfr. Corte giust. 18 ottobre 1990, cause riunite c-297/88 e c-97/89, Dzodzi, Racc. p. I- 3763, punto 37;
32

28 marzo 1995, causa C346/93, Kleinwort Benson, Racc. p. i615, punto 16; 17 luglio 1997, causa c-28/95,
Leur-Bloem, Racc. p. i-4161, punto 32; 11 gennaio 2001, causa c-1/99, Kofisa Italia, Racc. p. i-207, punto
32; 29 aprile 2004, causa c-222/01, British American Tobacco, Racc. p. i-4683, punto 40; 16 marzo 2006,
causa c-3/04, Poseidon Chartering, Racc. g. i-2505, punto 16; 11 dicembre 2007, causa C280/06, ETI e a.,
Racc. p. i10893, punto 25; 21 dicembre 2011, causa c482/10, Cicala, punto 17. In dottrina Carbone, Corte
costituzionale, pregiudiziale comunitaria e uniforme applicazione del diritto comunitario, cit.
  Sono certamente espressione di questo principio le seguenti norme contenute nel Regolamento
33

(ue) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, cit.: il 13° considerando
che recita “Occorre un collegamento tra i procedimenti cui si applica il presente regolamento e il
territorio degli Stati membri. Di conseguenza, quando il convenuto è domiciliato in uno Stato membro
dovrebbero applicarsi in linea di principio le norme comuni in materia di competenza giurisdizionale”

142
In conseguenza andrebbe escluso che la automatica sostituzione dei riferi-
menti alla Convenzione del 68 contenuti nella legislazione nazionale, pure imposta
dal regolamento, possa operare anche con riguardo alla materia della giurisdizione
italiana del convenuto non domiciliato, in quanto questa certamente esula dal campo
di applicazione delle norme pattizie.
Tralasciando, poi, il dato teleologico, anche da un approccio sistematico
sembra potersi escludere che l’art. 68 possa produrre effetti modificativi del rinvio
contenuto nell’art. 3 co. 2 della Legge.
La locuzione utilizzata dalla disposizione in parola “Il presente regolamento
sostituisce tra gli Stati membri …” sembra valorizzare lo spettro dei rapporti colpiti
dagli effetti sostitutivi dello strumento convenzionale, volutamente limitati dal legi-
slatore europeo agli obblighi reciproci a cui gli Stati parte erano legati in virtù della
precedente convenzione34.
Non a caso, in una ipotesi più che similare, la tecnica legislativa utilizzata
appare sensibilmente difforme. Ci si riferisce in special modo all’art. 24 del rego-
lamento n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma i),
che nel disciplinare i rapporti con la precedente Convenzione di Roma precisa “Il
presente regolamento sostituisce la convenzione di Roma negli Stati membri …”35.
Non si può, allora, non valorizzare la differente terminologia utilizzata dal
legislatore sovranazionale che nel primo caso utilizza la locuzione “tra gli” mentre
nel secondo “negli”.
La sottile ma comunque significativa differenza appare perfettamente com-
patibile con lo spirito di ciascuna delle regolamentazioni riportate.
Invero, nella delicata materia di riparto della giurisdizione, una disciplina
meramente domestica o anche convenzionale certamente non può estendere i suoi
effetti nei riguardi di Stati terzi mentre nell’ambito dell’individuazione della legge
applicabile ciò appare non solo assolutamente ammissibile ma addirittura risponden-
te allo stesso fondamento del Diritto internazionale privato.
Cosicché il Regolamento Roma i, dotato del cd. “Carattere universale”36,

e l’art. 6 co. 1 che prevede “Se il convenuto non è domiciliato in uno Stato membro, la competenza
delle autorità giurisdizionali di ciascuno Stato membro è disciplinata dalla legge di tale Stato, salva
l’applicazione dell’articolo 18, paragrafo 1, dell’articolo 21, paragrafo 2, e degli articoli 24 e 25.
34
  Né in questo senso possono apparire rilevanti le sentenze della Corte ue riportate dalla Cassazione
nell’Ordinanza 18299/2021, al fine di giustificare gli effetti sostitutivi del Regolamento rispetto alla
Convenzione (sentenza del 3 settembre 2020, Supreme Site Services GmbH-Supreme Headquarters
Allied Powers Europe, c-186/19 e quella del 29 luglio 2019, Tibor-Trans, c-451/18). In entrambi i citati
casi, infatti, si tratta di questioni intraeuropee rispetto alle quali non vi è dubbio che il regolamento
abbia sostituito la Convenzione.
  Cfr. art. 24 del Regolamento (ce) N. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17
35

giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), in gu l177/6 del 4.7.2008.
  Vd. art. 2 del Regolamento 593/2008, ult. cit., rubricato “Carattere universale”, in base al quale
36

“La legge designata dal presente regolamento si applica anche ove non sia quella di uno Stato membro”.

143
sostituisce la precedente convenzione negli Stati ue, non residuando alcuno spazio
negli ordinamenti nazionali per l’applicazione di una disciplina diversa anche di
natura convenzionale.
Al contrario il Regolamento Bruxelles i bis intende sostituire tra gli Stati ue
solo gli obblighi convenzionali e segnatamente quelli relativi al riparto di giurisdi-
zioni dei giudici appartenenti a tali Stati, senza in alcun modo intaccare le scelte dei
legislatori interni nei riguardi dei convenuti non domiciliati37.

5. Tutte le difficoltà esegetiche ed i rilevanti problemi di coordinamento,


riscontrati all’esito dell’adozione del regolamento Bruxelles i, nell’applicazione del
rinvio operato dalla legislazione internazionalprivatistica italiana alla convenzione
di Bruxelles del 68 e successive modificazioni, non sono stati superati dalla emana-
zione del successivo Regolamento (ue) n. 1215/2012 né dalla giurisprudenza e dalla
dottrina che si sono pronunciate sulla questione.
Probabilmente ben conscia della complessità del sistema che doveva, inve-
ce, portare una semplificazione in materia di cooperazione giudiziaria, la Commis-
sione in sede di proposta di modifica del reg. n. 44/2001 aveva optato per l’estensio-
ne automatica delle norme sulla giurisdizione ivi contenute anche ai convenuti non
domiciliati in uno stato membro38.
Nel testo definitivo, però, all’articolo 6 si è tornati ad una formulazione analo-
ga a quella contenuta nel precedente reg. 44/2001, in base alla quale al convenuto non
domiciliato in uno Stato membro si applicano le regole nazionali sulla giurisdizione.
Considerato il fallimento dell’occasione pure fornita al Legislatore europeo
di dettare una disciplina sul riparto della giurisdizione civile uniforme, non può non
rilevarsi come, il sistema interno deve considerarsi estremamente frammentato im-
ponendo all’interprete soluzioni diverse per coloro che hanno un domicilio in uno
Stato membro e quelli che non presentato alcun attaccamento con tali nazioni.
Per i primi dal 10 gennaio 2015 troveranno certamente integrale applicazione
i criteri di giurisdizione fissati dal Regolamento ue n. 1215/12, mentre per le azioni già
iniziate alla stessa data continuerà ad applicarsi il Regolamento ce n. 44/200139.
Ove si dovesse consolidare la tesi seguita dalla Cassazione nel 2009 e nel

  Contra tra gli altri Marongiu Bonaiuti, Il rinvio della legge italiana di riforma del diritto
37

internazionale privato alle convenzioni internazionali, tra adeguamento al mutato contesto normativo
e strumentalità alla tutela dei valori ispiratori, in Annoni, Forlati, Franzina (a cura di), Il diritto
internazionale come sistema di valori. scritti in onore di Francesco Salerno, Napoli, 2021.
38
  Cfr. art. 4 co. 2 della proposta di regolamento com/2010/0748 def. che prevedeva: Le persone
che non sono domiciliate nel territorio di uno Stato membro possono essere convenute davanti ai
giudici di uno Stato membro solo in base alle norme enunciate nelle sezioni da 2 a 8 del presente capo.
39
  Si precisa che il reg. n. 1215/2012 non è applicabile in Danimarca dove, in base all’accordo del
19 ottobre 2005 concluso con la decisione 2006/325/ce del Consiglio (in gu L 120 del 5.5.2006, p. 22),
continuerà ad avere vigore il reg. n. 44/2001. Allo stesso modo, in base all’art. 68, il reg. n. 1215/2012
non entra in vigore nei territori degli Stati membri esclusi ai sensi dell’articolo 355 tfue.

144
2019, per certi versi ritenuta preferibile da chi scrive, in relazione ai convenuti domici-
liati in uno Stato extraeuropeo, i criteri generali di giurisdizione nazionali di cui all’art.
3 co. 1 sarebbero integrati da quelli della Convenzione del 68 mentre alle questioni
transnazionali in ambito europeo si applicherebbe il regolamento Bruxelles I bis.
Tanto chiarito pare che una riforma almeno dell’art. 3 co. 2 sia più che au-
spicabile. Non sfugge a chi scrive che molti autori hanno messo in guardia rispetto
ad intenti riformatori che, se non ben calibrati, potrebbero creare altrettanti problemi
interpretativi non sempre prevedibili40.
Tuttavia e per tutto quanto premesso, mantenere immutato il testo di una
disposizione che non è più in grado, seppure in ragione della proliferazione di atti
internazionali, di svolgere il ruolo per il quale era stata immaginata, comporta effetti
di frammentazione non sempre componibili attraverso la preziosa opera interpretati-
va compiuta dagli operatori del diritto.
Se, quindi, pare indubbio che l’intento del legislatore del 1995 era quello di
creare un sistema di riparto della giurisdizione analogo a quello convenzionale, pur non
rinunciando ad estendere le competenze dei giudici nazionali in base ai criteri generali
dettati dal comma 1 dell’art. 3, sembra che la soluzione preferibile vada nel senso di una
semplice modifica legislativa che sostituisca il riferimento alla Convenzione del 68 con
uno volto a nazionalizzare il sistema di norme derivante dal nuovo Bruxelles 1 bis.

The necessary reform of Law 218/95 based on the Jurisprudence of the


Court of Cassation relating to the jurisdiction of the italian judge

Abstract: The Article 3 co. 2 of Law 218/1995 had brought about a perfect har-
monization between the internal criteria of jurisdiction and those to which Italy was
obliged under the 1968 Brussels Convention. The treaty was replaced, between the
eu states, by the Regulation (eu) No 1215/2012 of the European Parliament and of
the Council of 12 December 2012 on jurisdiction and the recognition and enforce-
ment of judgments in civil and commercial matters.
The Court of Cassation and the doctrine have not clarified whether the reference to
foreign law must be understood as referring to the criteria of jurisdiction dictated by
the Convention or by the Regulation.
Considering that the intent of the 1995 legislator was to create a system of division
of jurisdiction similar to the conventional one, it seems that the preferable solution
is to make a simple legislative modification aimed at replacing the reference to Con-
vention 68 with one made to the Regulation Brussels i bis.

Keywords: Allocation of Jurisdiction, Bruxelles Convention, Article 3 of Law


218/95, Defendants domiciled outside the eu, Bruxelles i bis Regulation.

40
  Cfr. Martello, Considerazioni introduttive, in Riv. dir. int. priv. proc., 2011, p. 628.

145
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-9
pp. 146-160

CHILDREN’S RIGHT TO INFORMATION


IN CIVIL PROCEEDINGS IN ITALY

Roberta Bendinelli*

Table of contents: 1. Introduction. – 2. Children’s right to information as


closely linked to their right to be heard and to participate in a civil proceeding. – 3.
Children’s right to be informed and heard in the Italian legal system: a) the Italian
Constitution, the Italian Civil Code, the Italian Code of Civil Procedure, and other
relevant provisions of Italian Law. – 4. Following: b) Legal provisions relating to
children’s right to be informed outside judicial proceedings. – 5. Relevant case law.
– 6. Conclusions.

1. The present article refers to the Italian National Report drafted in the
context of the project Minor’s right to information in eu civil actions (miri)1, aimed
at contributing to the establishment of more efficient best practices concerning chil-
dren’s right to information in civil proceedings in the eu.
The report at hand consists of various sections, mainly dedicated to the anal-
ysis of the Italian legal system, relevant supranational provisions and case law, and
the analysis of the answers to a questionnaire distributed to legal professionals with
the goal of assessing how the child’s right to information is currently implemented,
in Italy, in civil proceedings2.
Given that, it should be underlined that minors’ right to be informed becomes
especially important in case the judge hears them: children must be given informa-
tion – in a child-friendly language – about the nature of the judicial proceeding and the
implications of being heard in this specific context, otherwise they would not be put in
the position to consciously express themselves. Therefore, we will analyse these two
rights together3, with a focus on both the Italian provisions of law and case law.

2. As stressed above, the child must be provided with the necessary infor-
mation to express his or her view on the case in which he or she is involved, in a
language that can be easily understood by a minor.

  Dottore di ricerca in Scienze Giuridiche presso l’Università degli Studi di Sassari.


*

1
  Such a report is available at http://dispo.unige.it/node/1159 (last consulted on 08.04.2022), under
the title National report Italy.
2
  The present article refers to the sections of the National report Italy drafted by the author in the
context of her participation in the miri project (in the report, see paragraphs dedicated to the connec-
tion between children’s right to information and their right to be heard, to relevant legal provisions in
the Italian system and to relevant case law, including Italian case law and some judgments of both the
European Court of Human Rights and the eu Court of justice).
3
  The same approach was adopted in the report.

146
Even though law and case law put emphasis on the act of receiving informa-
tion prior to the child being heard, we point out that, at a closer look, informing him
or her could also be beneficial in other moments of the proceeding or even after its
closure, to brief children about both the content of the judge’s final decision and its
possible impact on their lives4.
That said, the case law on children’s right to be heard by the judge has
evolved5: the need to give them prior information is explicitly mentioned in one
of the judgments marking this change, according to which children should receive,
before being heard, relevant and appropriate information (informazioni pertinenti
e appropriate). The decision at issue is judgment 27 July 2007, No. 16753 of the
Italian Corte di cassazione6. Referring to a more recent case, the Corte di cassazione
claimed that hearing minors is the best way to inform them about the proceeding in
question, which is their fundamental right7.
In the Italian legal system, the link between the child’s right to be heard and
his or her right to be informed results from Article 336-bis of the Civil Code, which
sets out that the judge gives the child all the information regarding the nature of the
proceeding and the consequences of the hearing. This should be read in light of su-
pranational provisions.
Both the un Convention on the Rights of the Child and the European Con-
vention on the Exercise of Children’s Rights consider adequate information essential
in this respect8. The un Convention lays down that: States Parties shall assure to the
child who is capable of forming his or her own views the right to express those views
freely in all matters affecting the child […] (Article 12, para. 1). It also affirms that
children’s right to freedom of expression includes freedom to receive information
(Article 13, para. 1).
According to Article 3 of the European Convention on the Exercise of Chil-
dren’s Rights: a child with sufficient understanding, in the case of proceedings be-
fore a judicial authority affecting him or her, shall be granted, and shall be entitled
to request, the following rights: a. to receive all relevant information; b. to be con-

4
  About this specific remark, see Bendinelli R., Maoli F., Il diritto del minore a ricevere adeguate
informazioni nei procedimenti civili che lo riguardano, in Familia. Il diritto della famiglia e delle suc-
cessioni in Europa, 2021, pp. 517-538.
5
  See infra, para. 5.
6
  Cass., 27 July 2007, No. 16753, available at dejure.it (infra, para. 5).
7
  Cass., 7 May 2019, No. 12018, available at dejure.it. This judgment defines the act of informing
the child as follows: una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo – del minore – diritto
fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguar-
dano, […] (infra, para. 5)
8
  Recinto G., Legge n. 219 del 2012: responsabilità genitoriale o astratti modelli di minori di
età?, in Dir. fam. pers., 2013, pp. 1475-1487; Seveso L., La sottrazione internazionale di minori: alcuni
aspetti processuali, in Minori giust., 2009, pp. 101-115.

147
sulted and express his or her views; […]9. According to Article 6 of the Convention,
the judicial authority shall ensure that the child has received all relevant information
before taking a decision.
Furthermore, a focus on the child’s right to be informed was put by the Com-
mittee of Ministers of the Council of Europe in its Guidelines on child-friendly jus-
tice (adopted in 2010): Children should be provided with all necessary information
on how effectively to use the right to be heard […]10.
The above has been commented by several authors11. One of them affirms
that the link between children’s right to receive information and their right to be
heard in judicial proceedings also results from the Italian Forensic Psychology As-
sociation Guidelines on the child’s hearing12.

3. In the Italian legal system, the child’s right to be heard in civil proceedings
is protected on multiple levels: the Constitution, the Civil Code, the Code of Civil
Procedure, Law No. 898 of 1 December 1970, Law No. 184 of 4 May 1983, Law No.
64 of 15 January 1994, Decree-Law No. 132 of 12 September 2014 (converted into
Law No. 162/2014), Legislative Decree No. 142 of 18 August 201513.
Although the legal provisions referred to below do not constitute an exhaus-
tive list of every possible case where the child is heard by a civil judge in Italy, we
consider them the most significant ones. They provide a clear indication of how
children’s right to be heard is enshrined in Italian law. They also indicate that the
Italian legislator doesn’t seem to have focused enough on the child’s right to receive
relevant and adequate information prior to being heard, and after the conclusion of
the proceeding14.

9
  Article 2 of the same convention provides the following definition of «relevant information»:
information which is appropriate to the age and understanding of the child, and which will be given to
enable the child to exercise his or her rights fully unless the provision of such information were con-
trary to the welfare of the child.
  See the English version of the Guidelines, available at the website of the Council of Europe,
10

p. 28. On how the Guidelines highlight children’s right to receive information prior to being heard in
judicial proceedings, see Ruo M.G., Giusto processo civile minorile e spazio giuridico europeo, indica-
zioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo e Linee Guida del Consiglio d’Europa per una Giustizia
Child Friendly, in Dir. fam. pers., 2013, pp. 297-349.
  Besides Recinto and Ruo (notes 8 and 10), see Lombardi R., L’ascolto del minore nei proce-
11

dimenti di separazione e divorzio su accordo delle parti tra fonti sovranazionali e diritto interno, in
Familia, 2019 (online); Siliberti A., Ascolto del minore in sede di separazione: il giudice deve motivare
la decisione di non disporre l’ascolto diretto, in Ilfamiliarista.it, 2018 (online); Italia E., L’ascolto del
minore, in Fam. dir., 2020, pp. 713-729.
12
  The author who refers to the Italian Forensic Psychology Association Guidelines is Italia
E., L’ascolto del minore, cit.; the guidelines are available at https://aipgitalia.org/ (last consulted on
07.04.2022).
13
  Legislative Decree No. 142/2015 specifically concerns children seeking asylum in Italy.
14
  See the observation made supra, para. 2.

148
The child’s right to be heard falls within the scope of Article 31 of the Italian
Constitution, according to which the Republic protects children and the young by
adopting necessary provisions15. Moreover, the right in question seems to fall within
the scope of Article 2 (regarding the inviolable rights of the person), Article 21 (free-
dom of expression) and Article 32 (right to health) of the Constitution.
The Italian Civil Code (1942) has been deeply reformed over the years, es-
pecially concerning the provisions on Family Law. Two legislative acts have been of
paramount importance as regards the child’s right to be heard: Law No. 219 of 10 De-
cember 2012 and Legislative Decree No. 154 of 28 December 2013. They added to the
Code – among others – the following provisions: Article 315-bis and Article 336-bis.
Before moving on to them, it is important to note that the Civil Code had
formerly been amended by Law No. 54 of 8 February 2006, which led to Article
155-sexies (then repealed by Legislative Decree No. 154/2013). It introduced ex-
plicit reference to children’s right to be heard. This came as no surprise since Law
No. 54/2006 was meant to put children’s protection first.
The above-mentioned law also introduced the exercise of joint parental re-
sponsibility as a general rule16. As affirmed by the Corte di Cassazione in judgment
18 June 2008, No. 1659317, Law No. 54/2006 was intended to lay down children’s
right to keep a healthy and harmonious relationship with both their parents, to ulti-
mately pursue their best interest.
Both Articles 315-bis and 336-bis of the Civil Code are considered to be of
general application: it means that they should apply in any civil proceeding whose
effects, direct or indirect, affect a minor18. That said, Article 336-bis is of special
importance since it sets out some fundamental rules about how to hear the child. In
Italy, these rules have led to some protocols applied locally19.

  See the English version of the Italian Constitution published on the website of the Senate of the
15

Republic.
16
  See the version of Article 155 of the Civil Code resulting from Law No. 54/2006.
  Cass. 18 June 2008, No. 16593, available at https://osservatoriofamiglia.it (last consulted on
17

08.04.2022).
18
  Among the authors stating that Articles 315-bis and 336-bis of the Civil Code are of general appli-
cation, see: Ballarani G., Contenuto e limiti del diritto all’ascolto nel nuovo art. 336-bis c.c.: il legislato-
re riconosce il diritto del minore a non essere ascoltato, in Dir. fam. pers., 2014, pp. 841-858; Cianci A.G.
et al., Nuovo titolo ix del Libro i rubricato “Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio”,
in Bianca M. (ed), Filiazione, Commento al decreto attuativo. Le novità introdotte dal d.lgs. 28 dicembre
2013, n. 154, Milan, 2014, pp. 128-129, 134; Danovi F., L’ascolto del minore nel processo civile, in Dir.
fam. pers., 2014, pp. 1592-1616; Galgano F., Diritto privato, Padua, 2019, pp. 892; Galanti L., Il minore
come parte: finalmente il riconoscimento della Cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, pp. 349-371;
Lombardi R., L’ascolto del minore nei procedimenti di separazione e divorzio su accordo delle parti tra
fonti sovranazionali e diritto interno, cit.; Lupoi M.A., Il procedimento della crisi tra genitori non coniu-
gati avanti al tribunale ordinario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, pp. 1289-1325; Malfa V., L’ascolto del
minore alla luce della legge n.219/2012, in Iura & Legal Systems, 2015, pp. 15-29.
19
  These protocols have been mentioned by a number of authors, as: Siliberti A., Ascolto del mi-

149
Article 315-bis, para. 3, establishes that children have the right to be heard in
all the matters and proceedings concerning them when they are at least 12 years old,
or even younger if capable of judgment.
Moving on to Article 336-bis, its para. 1 affirms that children are heard about
all the matters and proceedings concerning them when they are at least 12 years old,
or even younger if capable of judgment. Children are heard by the President of the
court or by the delegated judge, except when this clashes with their best interest or is
manifestly unnecessary. In those cases, the judge needs to explain his or her position20.
According to para. 2 of the same provision, who hears the child is the judge,
possibly with the assistance of experts (like psychologists, social assistants, or other
professionals). The child’s parents, their lawyers, the child’s special curator – when
appointed – and the public prosecutor can take part in the hearing as long as the
judge allows them. The goal of this provision is to make sure that children won’t feel
pressured when expressing their views.
Para. 2 of Article 336-bis must be combined with Article 38 of the Imple-
menting provisions for the application of the Civil Code: if the child is heard in a
protected space, the parties’ representatives, the child’s special curator and the public
prosecutor – but not the parents – won’t need the above-mentioned authorisation.
As stated earlier, according to para. 3 of Article 336-bis, the judge gives
the child all the information regarding the nature of the proceeding and the conse-
quences of being heard, before this happens. Minutes – or a video recording of the
act – must be produced.
When analysing Article 336-bis under the guidance of legal theory, some
aspects seem worthy of particular attention.
Firstly, the age limit (to inform and then) to hear the child shouldn’t be in-
terpreted strictly. What makes the hearing necessary is not the child’s age, but his or
her capacity of judgment21.
Capacity of judgment means that children understand what is necessary for
their own sake and are capable of making decisions independently, at least to a cer-
tain extent22. Another definition of capacity of judgment focuses on children’s ability

nore in sede di separazione: il giudice deve motivare la decisione di non disporre l’ascolto diretto, cit.;
Iannicelli M.A., La crisi della coppia genitoriale e il “diritto” del figlio minore di essere ascoltato, in
Familia, 2016, pp. 87-100; Micela F., Interesse del minore e principio del contraddittorio, in Minori
giust., 2011, pp. 145-152.
20
  In particular, the provision lays out the following: […] Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse
del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con
provvedimento motivato.
  On the importance of the child’s capacity of judgment (which could be considered as a sort of
21

safeguard clause), see Galanti L., Il minore come parte: finalmente il riconoscimento della Cassazione,
in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, pp. 349-371.
  For this definition of capacity of judgment, see Italia E., L’ascolto del minore, cit., p. 716
22

(which quotes the definition developed by the Italian Forensic Psychology Association, note 12).

150
to express their desires, opinions, aspirations independently23. Supranational provi-
sions contain further definitions: the child is capable of judgment when capable of
forming his or her own views or when he or she has sufficient understanding24.
According to some decisions of the Corte di cassazione (see in particular
judgments 16 February 2018, No. 3913 and 17 April 2019, No. 1077425), the judge
always needs to explain the choice not to hear a minor, regardless of his or her age.
A lack of justification would amount to violating both the adversarial principle and
the principle of fair trial26.
Nevertheless, in other judgments the Corte di cassazione expressed a differ-
ent view on the subject: the judge has no obligation to explain his or her choice not
to hear a child under the age of 12, unless specifically asked27.
According to one interpretation, the more the child is close to the age of 12,
the more is detailed the justification needed from the judge when the hearing is omit-
ted28. According to another interpretation, it is however not possible, in practice, to
assess whether children are capable of judgment without listening to them29.
Secondly, it should be determined when the right to be heard can be dis-
regarded (besides when children lack capacity of judgment). As said, according to
Article 336-bis, para. 1, the judge can omit the hearing when it clashes with the
minor’s best interest or is clearly unnecessary. Hearing children could be in contrast
with their best interest when they are physically or emotionally vulnerable30. It is not
sufficient, however, that the judge refers to a generic condition of psycho-physical
stress due to the parents’ clash31.
The hearing seems unnecessary when the proceeding only concerns property
or economic issues, when the matter is irrelevant for the child, when his or her opin-
ion has already been expressed in the same proceeding – or in another one regarding
the same matters – or when the child’s opinion is requested about uncontested facts.

23
  Iannicelli M.A., La crisi della coppia genitoriale e il “diritto” del figlio minore di essere ascol-
tato, cit., p. 95.
24
  See respectively the UN Convention on the Rights of the Child and the European Convention
on the Exercise of Children’s Rights.
25
  Cass., 16 February 2018, No. 3913, and Cass., 17 April 2019, No. 10774, both available at
dejure.it (see infra, para. 5).
26
  See the view expressed by the Italian Corte di cassazione (Cass., 21 October 2009, No. 22238,
available at https://www.minoriefamiglia.org, last consulted on 08.04.2022); infra, para. 5.
  See in particular: Cass., judgment 7 March 2017, No. 5676; Supreme Court, judgment 9 August
27

2019, No. 21230 (infra, para. 5).


28
  Iannicelli M.A., La crisi della coppia genitoriale e il “diritto” del figlio minore di essere ascol-
tato, cit., p. 96.
29
  Galanti L., Il minore come parte: finalmente il riconoscimento della Cassazione, cit., p. 356.
30
  Iannicelli M.A., La crisi della coppia genitoriale e il “diritto” del figlio minore di essere ascol-
tato, cit., p. 98.
31
  Cass., 27 July 2017, No. 18649, available at dejure.it (infra, para. 5).

151
Furthermore, children shouldn’t be heard when they refuse to do so. Being
heard is their right – as stated in Article 315-bis – but this would no longer be the
case if they were obliged to express themselves.
Following an interpretation, in practice it is hardly possible to violate the
child’s best interest by hearing him or her32. In many cases, assessing children’s point
of view (rather than having a traumatising effect) gives them an opportunity to share
their opinions and feelings about the situation they are in. Pursuing the child’s best in-
terest shouldn’t be an excuse for depriving him or her of the procedural safeguards pro-
vided by law, as stated in the above-mentioned Guidelines on child-friendly justice33.
Thirdly, it is necessary to pay attention to the questions of who hears the child
and what he or she is informed about. As mentioned earlier, Article 336-bis sets out
that it’s the judge who carries out the hearing, possibly with the assistance of experts
like psychologists, social assistants, other professionals. This provision is aimed at
establishing direct contact between the judge and the minor. It also requires the judge
to inform the child about the nature of the proceeding and the effects of the hearing. In
particular, children should know that the final decision won’t rest with them34.
Someone has claimed that children must be informed by others besides the
judge: their parents, their relatives and third parties (like the public prosecutor, experts,
social service workers, judicial assistants, professionals, the child’s special curator)35.
Fourthly, under Italian law hearing a child isn’t the same as examining a
witness36. As said, the hearing is a right and pursues the child’s best interest, in ac-
cordance with supranational provisions like Article 3 of the un Convention on the
Rights of the Child. The last remark leads to the following conclusion: the judge
doesn’t always have to abide by what children claim to want.
On the one hand the judge is compelled by law to hear them and to provide
an explanation when this doesn’t happen, on the other he or she can disregard chil-
dren’s desires when they are against their best interest37. Articles 315-bis and 336-bis

32
  Mazza galanti F., La tutela e l’ascolto dei figli minorenni nelle controversie separative in regi-
me di affidamento condiviso, in Minori giust., 2018, pp. 23-31.
33
  Tommaseo F., Il processo civile familiare e minorile italiano nel contesto dei principi europei, in
Dir. fam. pers., 2012, pp. 1265-1280.
34
  On how minors shouldn’t feel responsible for the judge’s decisions after being heard, see Marti-
nelli P., La professionalità mite del giudice delle relazioni, in Minori giust., 2015, pp. 133-145. On how
this aspect should be explained carefully when informing the child, see Mazza galanti F., La tutela e
l’ascolto dei figli minorenni nelle controversie separative in regime di affidamento condiviso, cit., p. 30.
  Ballarani G., Contenuto e limiti del diritto all’ascolto nel nuovo art. 336-bis c.c.: il legislatore
35

riconosce il diritto del minore a non essere ascoltato, cit., p. 851.


  Danovi F., L’ascolto del minore nel processo civile, cit. On the specificity of the child’s hearing if
36

compared to other similar acts, see Pellicciotta S., Sottrazione internazionale di minori e mediazione, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2017, pp. 763-772, spec. p. 766 (L’ascolto del minore costituisce una figura sui generis).
  With regard to this matter in international child abduction cases, see Lupoi M.A., La sottrazione
37

internazionale di minori: gli aspetti processuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, pp. 111-144.

152
should thus be interpreted in accordance with case law; for example, in accordance
with the European Court of Human Rights C. v. Finland judgment38.
The ecthr didn’t share the view of the Supreme Finnish Court, which supported
two children’s desire to live with their dead mother’s partner rather than with their fa-
ther. The Strasbourg Court found that the decision didn’t pursue the minors’ best inter-
est, since it didn’t consider the possibility that they had been manipulated. Besides, it
deprived the children of a relationship with their father. In the Court’s view: […] the de-
cision-making procedure failed to strike a proper balance between the respective inter-
ests and […] there has been a violation of Article 8 of the Convention in that respect39.
In addition to Articles 315-bis and 336-bis, a further provision of the Civ-
il Code deserves special attention: Article 337-octies, which some have criticised.
Before coming to that, two observations should be made. Article 315-bis has been
criticised too, essentially because it doesn’t refer to the child’s right to be informed.
More specifically the provision doesn’t require that – prior to the hearing – he or
she is informed in a child-friendly language about the proceeding and its outcome40.
With regard to Article 336-bis, we underline that it doesn’t specify the way in which
information is transferred from the appointed professional to the minor.
Article 337-octies regards the child’s hearing in case of conflicts between the
parents . The first issue is that the provision seems to put emphasis on the judge’s
41

powers (see its title: Poteri del giudice e ascolto del minore). Secondly, according
to Article 337-octies, the judge orders that the child is heard (il giudice dispone
l’ascolto del figlio minore). The focus appears therefore to be, once again, on the
judge rather than on the child and his or her rights42.
Besides the aforementioned provisions of law: the Civil Code, the Code of
Civil Procedure, as well as the other legal sources cited at the beginning of this para-
graph contain several provisions that don’t mention the child’s right to be informed,
while explicitly addressing his or her right to be heard43.

38
  ECtHR, C. v. Finland, app. No. 18249/02, 9 August 2006 (infra, para 5).
  Ibidem, § 59. Concerning this judgment, see Ruo M.G., Ascolto e interesse del minore e “giu-
39

sto” processo: riflessioni e spunti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in
Minori giust., 2008, pp. 115-135.
40
  Recinto G., Legge n. 219 del 2012: responsabilità genitoriale o astratti modelli di minori di
età?, cit., p. 1482.
41
  Article 337-octies belongs to Title ix, Chapter ii, of the Civil Code, relating to parental responsi-
bility after separation of the spouses, dissolution of marriage or cessation of its civil effects, annulment
or nullity of marriage or after proceedings concerning children born out of wedlock.
42
  On this aspect, see (among others) Virgadamo P., L’ascolto del minore in famiglia e nelle proce-
dure che lo riguardano, in Dir. fam. pers., 2014, pp. 1656-1673. On Article 337-octies of the Civil Code
containing an exception to Article 316-bis, see Cianci A.G. et al., Nuovo titolo ix del Libro I rubricato
“Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio”, cit., p. 134.
43
  About these provisions, regarding the Civil Code see (in a non-exhaustive manner): Article 250,
para. 4; Article 252, para. 5; Article 262, para. 4, Article 316, para. 3, Article 336, para. 2, Article 348, para.
3; Article 371, para. 1, No. 1. For the sake of completeness, see also Article 273, para. 2, which requires

153
We also note that, in these same legal sources, there are other provisions re-
ferring to the adoption of decisions whose effects impact on children, but neither the
need to prior hear them nor the need to inform them appropriately are mentioned44.
Concerning the first category, see for example Article 4, para. 8, of Law No.
898/1970 (relating to divorce)45. It sets out that, in case the spouses don’t want to recon-
cile, the President of the court issues an order to take all temporary and urgent measures
in the interest of the spouses themselves and their children, to appoint the examining
magistrate and to set a date for the hearing before him or her. The President previously

the minor’s consent if he or she is at least 14 years old, to take – or to continue – a legal action aimed at
obtaining a declaration of paternity or maternity issued by a judge. Neither this last provision nor the other
ones refer expressly to the need to inform the child, in a language that he or she can easily understand,
before he or she makes a statement about the case at hand. Concerning the Code of Civil Procedure,
see Article 248, according to which minors less than 14 years old can be heard in the context of a civil
proceeding only when it is necessary considering specific circumstances (I minori degli anni quattordici
possono essere sentiti solo quando la loro audizione è resa necessaria da particolari circostanze. […]). In
regard to Law No. 898/1970, see Article 4, para. 8. With respect to Law No. 184/1983, see Article 4, para.
1, para. 5-quarter and para. 6; Article 7, para. 3; Article 10, para. 5; Article 15, para. 2; Article 22, para.
6; Article 23, para. 1; Article 25, para. 1; Article 45, para. 2. Concerning Law No. 64/1994, see Article 7,
para. 3, which sets out that – in case of requests aimed at: obtaining that the minor is back in the foster par-
ent’s custody, reinstating the effective exercise of visiting rights – the court decides after hearing, where
appropriate, the child (about the minor’s right to information when the 1980 Hague Convention is appli-
cable, see for example Cass., 14 February 2014, No. 3540, available at dejure.it). Moving on to Legislative
Decree No. 142/2015, see in particular Article 18. However, this last provision, while neglecting to men-
tion the informative aspect (it only addresses the hearing, in para. 2), mentions, in para. 2-bis, the need to
give unaccompanied foreign minors emotional and psychological assistance during the proceeding, which
could include the act of informing them adequately. As said before, while all the listed provisions make
reference to the need to consult the minor, they don’t explicitly mention his or her right to be informed.
44
  Regarding the Civil Code, see Article 402, para. 1, that doesn’t expressly require the act of hear-
ing the child, assisted by an institution, in case the judge decides to give his or her custody to the institu-
tion itself. Moving on to the Code of Civil Procedure, see in particular: Article 78, that doesn’t refer to
the need to prior hear the child, in case there is no person representing him or her, there are reasons of
urgency, and it is then necessary to appoint a special curator; Article 708, para. 3, which doesn’t mention
the need to hear children about the temporary and urgent measures to be taken in their interest by the
President of the court, and in the interest of the spouses when they don’t want to reconcile; Article 709-
ter, para. 2, that doesn’t expressly require the judge to hear children before amending former decisions
concerning the exercise of parental responsibility, when parents’ behaviour goes against the child’s best
interest (for example, by violating custody arrangements); Article 732, that doesn’t make explicit refer-
ence to the need to hear a minor when the court takes a decision affecting children – or incapacitated
persons – in closed session. In regard to Law. No. 184/1983, see in particular Article 19, where the child’s
right to be heard is no mentioned in case, due to a declaration of adoptability, the exercise of parental
responsibility is suspended, and the juvenile court appoints a guardian and takes further measures in the
child’s interest. The same remark applies to a decision revoking adoptability (case referred to in Article
21 of the same Law). Concerning Decree Law No. 132/2014 (converted into Law No. 162/2014), see
Article 6, para. 2, which sets out that the Prosecutor of the Italian Republic approves the agreement found
by the parties under their lawyers’ guidance – convenzione di negoziazione assistita – if it pursues the
child’s best interest, with no explicit reference to the need to hear the involved minor.
45
  Supra, note 43.

154
hears the spouses, their representatives and the involved children when they are at least
12 years old, or even younger if capable of judgment. However, no reference is made
to the need to inform the minor before the hearing takes palace, about the nature of the
proceeding and the effects of the hearing itself, with a clear and accessible language.
Concerning the second category of provisions, we could mention inter alia
Article 19, para. 2, of Law No. 184/198346, according to which the juvenile court
appoints a guardian and takes further measures in the child’s interest, in case the
exercise of parental responsibility is suspended: there is no reference to the neces-
sity to prior inform the involved minor, in the appropriate manner, about the above
measures and their consequences.
Some could argue that these shortcomings relating to children’s right to infor-
mation should be analysed in light of the aforementioned Articles 315-bis and 336-
bis of the Civil Code, given that they are considered to be of general application.
Nevertheless, as said earlier, these provisions present some critical issues themselves,
precisely regarding the informative aspect. We underline once again that Article 315-
bis doesn’t make explicit reference to such an aspect, and Article 336-bis omits to
establish how relevant information is given to the minor involved in the proceeding.
Basing on these remarks, we could claim that the Italian legal system cur-
rently pays insufficient attention to the child’s right to information in the context of
civil proceedings.

4. Considering the above, children’s right to be informed in civil proceed-


ings appears to be only an incidental question, dealt with by law in connection with
the right to be heard; the same could be observed about case law47.
However, Italian law contains, in other fields, some provisions focusing on
informing the child. We are referring to two fundamental rights in particular: data
protection and health.
The right to data protection was deeply reformed, in the European Union,
by Regulation (eu) 2016/67948. In Italy, this regulation led to Legislative Decree No.
101 of 10 August 2018, which amended Legislative Decree No. 196 of 30 June 2003.
Among the provisions of the General Data Protection Regulation on the data
subject’s right to information when he or she is a minor49, Recital 58 and Article 12
should be mentioned.

46
  Supra, note 44.
47
  Infra, para. 5.
  Regulation (eu) 2016/679 of the European Parliament and of the Council of 27 April 2016 on the
48

protection of natural persons with regard to the processing of personal data and on the free movement of
such data, and repealing Directive 95/46/ec (General Data Protection Regulation), in oj l 119, 4.5.2016.
eu Regulations, as is well known, have general application, are binding in their entirety and directly
applicable in the Member States (see Van Raepenbusch S., Droit institutionnel de l’Union européenne,
Bruxelles, 2016, pp. 400-402).
  For the definition of data subject, see Article 4, No. 1, of the General Data Protection Regulation.
49

155
According to Recital 58: […] Given that children merit specific protec-
tion, any information and communication, where processing is addressed to a child,
should be in such a clear and plain language that the child can easily understand.
According to Article 12, para. 1, the information about the data processing
shall be given to the data subject in a concise, transparent, intelligible and easily
accessible form, using clear and plain language, in particular for any information
addressed specifically to a child […].
Moving on to children’s right to be informed about their health, reference
should be made to Law No. 219 of 22 December 2017 on informed consent and the
so-called biotestamento (which states the person’s will in regard to medical treatment).
Pursuant to Article 3, para. 1, of the law at issue, value is given to the child’s
abilities to understand and to make decisions. Depending on those abilities, children
are informed about possible actions to be taken concerning their health, so that they
can express their will.
In our view, these provisions constitute a benchmark to appreciate that the
Italian legislator could have addressed in a more specific and adequate way the
child’s right to information in the context of civil proceedings.
Nonetheless, in spite of the shortcomings stated above, in recent years there
has been a significant change in the relevance of minors’ right to be consulted on
certain matters. It suffices to recall that Legislative Decree No. 154/2013 replaced
(in Italian Family Law) «parental authority» with «parental responsibility»50. On
this basis, it could be argued that Italian law no longer sees minors as subject to their
parents’ authority. In contrast it sees them as – vulnerable persons but – independent
actors with their own views, feelings and wishes, to be taken into account depend-
ing on their level of maturity. Therefore, on the one hand legal systems should grant
children the protection they need, on the other hand children shouldn’t be deprived
of their right to be asked what they think about significant events in their lives51.
In line with this idea, the Italian legislator could consider improving the
existing provisions on the child’s right to be heard in civil proceedings, by stressing
the need to prior inform him or her in an appropriate way.

5. Although the judgments referred to below clearly don’t comprise all pos-
sible cases where Italian civil courts have dealt with the need to inform and hear a
child, they provide a useful indication of how judges have been addressing the mat-
ter at issue in recent years; regarding national case law, the focus will be put on the
Corte di cassazione.

  Respectively, potestà genitoriale and responsabilità genitoriale. On the second concept being
50

inserted by Legislative Decree No. 154/2013, see Cianci A.G. et al., Nuovo titolo ix del Libro i rubricato
“Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio”, cit., p. 89.
  On children’s freedom of self-determination, see Irti C., Persona minore di età e libertà di
51

autodeterminazione, in Giust. civ., 2019, pp. 617-649.

156
In the author’s opinion, a change in the view of the Court on the informative
aspect was marked in specie by judgment 16 April 2007, No. 9094 and judgment 27
July 2007, No. 1675352. In compliance with the last decision, a child has the right to
be heard; moreover, he or she should be given relevant and appropriate information53.
Before the above decisions, the Corte di cassazione had affirmed – for ex-
ample, in judgment 7 December 1999, No. 1365754 – that it was within the judge’s
discretion whether the child was heard or not55; it should be mentioned, however,
that even in those years Italian judges had paid some attention to the child’s opinion
in the context of Family Law56.
Following judgment 21 October 2009, No. 2223857, hearing a child is necessary
when his or her custody is at stake. Omitting the hearing without adequate justification
would amount to violating both the adversarial principle and the principle of fair trial58.
In accordance with another judgment of the Corte di Cassazione59, being heard
grants the child the opportunity to be informed and to express himself or herself. Both
these possibilities constitute a fundamental right, which pursues children’s best interest:
L’ascolto costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del diritto fon-
damentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria opinione […] nei
procedimenti che lo riguardano, costituendo lo strumento peculiare di partecipazione
alle decisioni che lo investono e al conseguimento del suo preminente interesse.
Nevertheless, as specified in the same judgment, the judge has no obligation
to explain his or her choice not to hear a child under the age of 12, unless specifically
asked: non si ravvisa l’obbligo endoprocedimentale del giudice […] di motivare an-
corché senza alcuna sollecitazione di parte, sulla valutazione discrezionale relativa
all’omesso ascolto60.
The Court affirmed, on another occasion61, that the act of hearing a child
party to the proceeding – about a matter affecting him or her – is an essential step
to be taken, resulting in the judge needing to consider the outcome of the hearing:

52
  Cass., 16 April 2007, No. 9094, available at dejure.it; Cass., 27 July 2007, No. 16753, cit.
53
  Supra, para. 2.
54
  Cass., 7 December 1999, No. 13657, available at dejure.it.
  Malfa V., L’ascolto del minore alla luce della legge n.219/2012, in Iura & Legal Systems, 2015,
55

pp. 15-29.
  With regards to that, see Court of Naples, 10 December 1981; Cass., 15 January 1998, No. 317;
56

Cass., 9 November 2004, No. 21359 (all available at dejure.it).


57
  Cass., 21 October 2009, No. 22238, cit.
  In Italian: Costituisce […] violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto
58

processo il mancato ascolto dei minori.


59
  Cass., judgment 7 March 2017, No. 5676, cit. See, on this line: Cass., 13 February 2019, No.
4246, https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-4246-del-13-02-2019 (last con-
sulted on 08.04.2022); Cass., 7 May 2019, No. 12018, cit.
60
  Note that the Corte di Cassazione stated the same in Cass., 9 August 2019, No. 21230, cit.
61
  Cass., judgment 27 March 2017, No. 7762, available at dejure.it.

157
l’imprescindibilità dell’audizione […] non solo consente di realizzare la presenza
nel giudizio dei figli, in quanto parti ‘sostanziali’ del procedimento […], ma impone
certamente che degli esiti di tale ascolto si tenga conto.
Furthermore, according to the Corte di Cassazione62, in case of separation of
the spouses, a child less than 12 who has some capacity of judgment must be heard,
under penalty of nullity, on the matters involving him or her. If the child is not heard,
the judge will have to explain it: Ritiene la giurisprudenza di legittimità che nel giu-
dizio di separazione personale tra coniugi, l’audizione del minore infradodicenne
capace di discernimento – direttamente da parte del giudice ovvero, su mandato
di questi, da parte di un consulente o del personale dei servizi sociali – costitui-
sce adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano provvedimenti che lo
riguardino, salvo che il giudice non ritenga, con specifica e circostanziata motiva-
zione, l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore,
Cass. civ. sez. I n. 19327 del 29 settembre 2015.
In light of the case law referred to in the present paragraph63, it could be ar-
gued that, despite the growing attention to the act of prior informing the child, it still
seems to be considered as an incidental question, strictly linked to children’s right
to be heard.
For completeness, we could also mention a judgment of the Italian Corte
costituzionale and some supranational case law. Concerning the Corte costituzio-
nale, see judgment 30 January 2002, No. 164, according to which – in case of ques-
tions related to parental authority – the child capable of judgment is a party to the
proceeding65; it is thus necessary that the adversarial principle applies in regard to
him or her. In the view of the Court, Article 12 of the Convention on the Rights of
the Child completes the Civil Code, nel senso di configurare il minore come parte
del procedimento, con la necessità di contraddittorio nei suoi confronti66.
Moving on to supranational case law and, in specie, to the European Court of
Human Rights, it could be pointed out – without presuming to be exhaustive – that,
whilst most of the ecthr decisions referred to focus on the act of hearing a child in
a proceeding involving him or her (or, more broadly, on the relevance of a child’s

62
  Cass., 24 May 2018, No. 12957, available at dejure.it.
  Further judgments of the Corte di Cassazione on the topic are, for example (in chronological or-
63

der): Cass., 26 March 2010, No. 7282; Cass., 16 June 2011, No. 13241; Cass., 17 May 2012, No. 7773;
Cass., 8 March 2013, No. 5847; Cass., 15 March 2013, No. 6645; Cass., 15 May 2013, No. 11687;
Cass., 7 October 2014, No. 21101; Cass., 26 March 2015, No. 6129; Cass., 29 September 2015, No.
19327; Cass., 27 July 2017, No. 18649, cit.; Cass., 16 February 2018, No. 3913, cit.; Cass., 13 Decem-
ber 2018, No. 32309; Cass., 17 April 2019, No. 10774, cit.; Cass., 9 August 2019, No. 21230, cit. (all
these judgments available at dejure.it).
64
  Cost., 30 January 2002, No. 1, available at dejure.it.
65
  On the concept of parental authority, see supra, para. 4.
  About the importance of the judgment in question, see (among others) Labriola M., L’avvocato
66

del minore, in Familia, 2019 (online).

158
opinion in this context), only a small percentage of them deal expressly with the
importance of prior informing him or her67.
A decision where, in the author’s view, the informative aspect is stressed is
the W.S. v. Poland judgment68. Even though it refers to how a child should be heard
in a non-invasive way in a judicial proceeding, rather than to the need to inform him
or her specifically, one of the methods suggested by the court consists in hearing the
child with the assistance of a psychologist; it seems reasonable to think that giving
the child adequate information about what the conversation entails forms part of the
appointed professional’s duties. In our opinion, by referring to it the Court under-
lined the significance of informing the child about the possible effects of the hearing.
Moving on to the Court of justice of the European Union, only one of the
judgments considered in the present analysis regards the act of hearing a child in
a judicial proceeding – with respect to eu Regulation 2003/220169 –, without ad-
dressing the need to prior informing him or her70. The rest of the eu Court case
law referred to concerns a broader question: the necessity to interpret Regulation
2003/2201 by following children’s best interest71.
Such a question seemed relevant since, according to Article 11 of the above
regulation, the child must be given the opportunity to be heard during the proceed-
ings unless this appears inappropriate having regard to his or her age or degree of
maturity72. In light of the best interest principle, it should mean that the judge hears
the child every time this is beneficial for him or her and, in addition, that the child
receives relevant and appropriate information prior to the hearing.

  For example, see (in chronological order, noting that the date mentioned always refers to the final
67

decision): Ecthr, Hokkanen v. Finland, app. No. 19823/92, 23 September 1994, § 61; ecthr, Bronda v.
Italy, app. No. 22430/93, 9 June 1998, § 62; ecthr, T. v. The uk, app. No. 24724/94, 16 December 1999,
§ 84; ecthr, Sahin v. Germany, app. No. 30943/96, 8 July 2003, § 73; ecthr, Sommerfeld v. Germany,
app. No. 31871/96, 8 July 2003, § 72; ecthr, Pini et al. v. Romania, apps. Nos. 78028/01 and 78030/01,
22 September 2004, § 157; ecthr, C v. Finland, cit.; ecthr, Eski v. Austria, app. No. 21949/03, 25 April
2007, § 40; ecthr, W.S. v. Poland, app. No. 21508/02, 24 September 2007, § 61; ecthr, Plaza v. Poland,
app. No. 18830/07, 20 June 2011, § 86 (in the same vein, ecthr, Sbârnea v. Romania, app. No. 2040/06,
28 November 2011, § 131); ecthr, M.K. v. Greece, app. No. 51312/16, 1 May 2018, § 91.
68
  The other one is the T. v. The uk judgment (supra, note 67).
  Council Regulation (ec) No 2201/2003 of 27 November 2003 concerning jurisdiction and the
69

recognition and enforcement of judgments in matrimonial matters and the matters of parental responsi-
bility, repealing Regulation (ec) No 1347/2000, in oj l 338, 23.12.2003.
70
  Court of justice, Joseba Andoni Aguirre Zarraga v. Simone Pelz, case C-491/10 ppu, 22 Decem-
ber 2010 (in particular, §§ 66 and 68).
  Concerning this aspect, see Court of justice, Barbara Mercredi v. Richard Chaffe, case c-497/10
71

ppu,22 December 2010, § 46; Court of justice, E. v. B., case C-436/13, 1 October 2014, § 44 (in the
same vein, Court of justice, L v. M, case c-656/13, 12 November 2014, § 48); Court of justice, C v.
M, case c-376/14 ppu, 9 October 2014, § 56 (in the same vein, Court of justice, W and V v. X, case
C-499/15, 15 February 2017, § 60; Court of justice, hr, case c-512/17, 28 June 2018, § 40).
72
  Article 11 (referring to the «return of the child»), para. 2, of the regulation at issue.

159
6. In conclusion it could be observed that, amongst the analysed provisions
of Italian law, only Article 336-bis of the Civil Code makes explicit reference to
children’s right to information in the context of civil proceedings concerning them.
However, as said earlier, this provision appears to present two critical points.
On the one hand, children’s right to be informed seems to be considered as
an element closely connected with the right to be heard. In other words, it appears
that the legislator gave value to the informative aspect as a preparatory act in the
perspective of the hearing: in our opinion, the legislator has so far disregarded that
informing minors properly could be beneficial for them even in other stages of the
proceeding and after its closure73.
On the other hand it’s not specified, in Article 336-bis, that the information
should be transferred to the involved minor in an effective and appropriate way,
which involves an adequate language.
We have observed that, besides the Italian legislator, also Italian and supra-
national courts need to pay more attention to this delicate question. In the meantime,
it is in our view possible that a contribution towards an improvement on this topic
comes from the establishment of a set of guidelines distributed to legal professionals
working in the field of civil justice. Such an instrument could, indeed, go into detail
about the ways of giving children all the information they need to consciously take
part in a civil proceeding, with the ultimate goal of making civil justice more adher-
ent to their best interest.

Children’s right to information in civil proceedings in Italy

Abstract: The present article refers to the sections of the Italian National Report
drafted by the author in the context of her participation in the Minor’s right to in-
formation in eu civil actions project; such a project focused on children’s right to
information within the framework of civil proceedings in the eu. In the article, em-
phasis has been put on how the child’s right to be informed in this specific context
is enshrined in the Italian legal system. Furthermore, the paper analyses the right
at issue under the perspective of case law, referring mainly to the Italian Corte di
cassazione, the European Court of Human Rights and the Court of justice of the
European Union.

Keywords: The Minor’s right to information in eu civil actions project; Children’s


right to be heard; Children’s right to be informed; Civil proceedings.

73
  Supra, para. 2.

160
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-10
pp. 161-188

G20- ITALIA 2021

Daniela Marrani*

Sommario: Introduzione. - 1. L’evoluzione del G20 dalle sessioni tematiche


a quelle presidenziali. - 2. Le sessioni ministeriali della Presidenza italiana 2021:
a) Salute. – b) Economia e finanza. – c) Ecologia. – d) Clima ed energia. – 3. Le
sessioni presidenziali: la sessione politica straordinaria sulla questione afgana. – 4.
La sessione finale del 30 -31 ottobre 2021. – 5. Il futuro del G20 come gruppo inter-
nazionale di Stati a competenza economico-politica. 6. Considerazioni finali.

La Presidenza italiana del g20, terminata il 30 novembre 2021, ha realizzato


una fitta agenda di riunioni ministeriali e presidenziali1, in un momento storico par-
ticolare per l’economia globale. Come emerge dalla Dichiarazione adottata all’esito
del Vertice di Roma del 30-31 ottobre 2021 (g20 Rome Leaders’ Declaration), il g20
si è focalizzato sulla gestione collettiva della pandemia da covid-19 ed ha sollecitato
l’adozione coordinata di una serie di misure in attuazione di Agenda 2030 delle Na-
zioni Unite, in primis rivolte a clima, ambiente, finanza e dimensione sociale dello
sviluppo. In tale contesto, l’insieme degli strumenti e dei processi messi in opera
dagli Stati, su impulso politico del g20, testimonia il consolidarsi di una fase nuova
della governance globale che segna una significativa evoluzione del g20 in posizio-
ne apicale, nella direzione dell’integrazione globale2. Due questioni che da tempo
occupano il dibattito dottrinale si ripropongono alla riflessione e suscitano rinnovato
interesse: l’asserita assenza di rilievo giuridico del g20 da un lato3, e, parallelamente,
il sistema delle fonti internazionali: formalistico e stato-centrico (sistema di fonti
a struttura chiusa e gerarchica) oppure sistema aperto che considera «tutti i modi e
processi di produzione, formali o informali, e tutti gli ordinamenti e sistemi, statali
e non statali, da cui scaturiscono regole che nella realtà dei rapporti economici in-
ternazionali sono conosciute ed osservate, nel senso che governano effettivamente

*
  Ricercatore di Diritto internazionale nell’Università degli Studi di Salerno, e-mail: dmarrani@
unisa.it.
1
  Nella definizione dell’agenda dei lavori, la Presidenza italiana è stata coadiuvata da una serie di
“engagemet groups” del g20, rappresentativi di diversi portatori d’interessi (stakeholders) della società
civile, tra cui il Think Tank20 (t20) il quale raccoglie i principali think tank e centri di ricerca impegnati
nella ricerca sull’agenda del g20 e sulle tematiche della governance globale, di cui è stato co-presidente
l’Istituto Affari Internazionali (iai) nel 2021 sotto la Presidenza italiana del g20 (gli altri engagement
groups sono i seguenti: b20, c20, l20, w20 e f20). Agli engagement groups si aggiungono una serie di
Task Force tematiche alcune delle quali sono coordinate dallo stesso iai. Si tratta, in specie, della “tf1:
Global Health and Covid-19”; “tf3: Trade, Investment and Growth”; “tf5: 2030 Agenda and develop-
ment Cooperation”; “tf7: Infrastructure Investment and Financing” e “tf10: Migration”.
2
  M. Panebianco, Diritto internazionale pubblico, ii ed., Napoli, 2009, p. 449 ss.
3
  Cfr. B. Conforti, M. Iovane, Diritto internazionale, Napoli, 2021, p. 240.

161
situazioni e comportamenti»4. In tale novero di fonti si collocano le regole (soft
law) idonee a orientare e/o indurre comportamenti, per l’elevato grado di spontanea
adesione alla regola medesima da parte dei suoi destinatari (assenza di vincolatività
che, pertanto, non significa assenza di giuridicità). Dall’altro lato, viene in rilievo la
dialettica tra i Vertici informali, quindi il g20, e le istituzioni internazionali formali e
a rappresentatività universale (e in una certa misura anche quelle regionali), in par-
ticolare le Nazioni Unite e il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale5.
L’analisi dedicata ai contenuti più significativi emersi dalle riunioni ministeriali e
presidenziali svoltesi nel corso del 2021 (1 dicembre 2020 - 30 novembre 2021),
anno di presidenza dell’Italia, come vedremo nell’ambito del presente lavoro, è em-
blematica di tale evoluzione e consentirà di trarre alcune considerazioni finali e di
indicare possibili prospettive future.
1. L’evoluzione del g20, a partire dalla sua istituzione nel 1999, quale foro
privilegiato di discussione dei problemi economico-finanziari al livello dei ministri
delle finanze e dei governatori delle banche centrali (focalizzato su aspetti tecnici
prima ancora che politici), è segnata da alcune tappe decisive. Va anzitutto eviden-
ziato che la stessa istituzione del g20 in aggiunta al g7 testimonia di un passaggio
epocale che si realizza mediante l’apertura alle economie emergenti6. L’ampliamen-
to del numero dei partecipanti ai vertici, non più limitato ai paesi occidentali, è il
risultato della globalizzazione economica. Come si evince dalla dichiarazione finale
del vertice di Berlino del 15-16 dicembre 1999, il g20 è stato creato «to broaden the
discussion on key economic and financial policy issues among systemically signifi-
cant economies and promote co-operation to achieve stable and sustainable world
economic growth that benefits all» (par. 2). L’attuale g20 è espressione delle mag-
giori economie che, insieme, rappresentano i due terzi della popolazione del pianeta,
l’80% del commercio globale e il 90% del pil a livello mondiale (fonte aspen, 2021)7.

4
  Cfr. A. Mazzoni, M.C. Malaguti, Diritto del commercio internazionale. Fondamenti e prospet-
tive, Torino, 2019, pp. 104- 105.
5
  Ivi, p. 124, dove di osserva che l’operato dei Vertici «realizza di per sé un risultato in qualche mi-
sura “espropriativo” delle competenze proprie delle predette istituzioni formali e dà vita ad una nuova
modalità di cooperazione internazionale in campo economico».
  Al g20 prendono parte l’Unione Europea e 19 paesi tra i più industrializzati del mondo: Arabia
6

Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, India, Indonesia, Francia, Germania,
Giappone, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sudafrica, Turchia. A questi si aggiungono
una serie di invitati occasionali (di norma uno o due Stati scelti dal paese che ha la presidenza di turno) e
permanenti (Spagna, Unione Africana, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e altri).
7
  Si tratta di criteri di rappresentatività di natura economica, riconosciuti generalmente, che tut-
tavia in un processo evolutivo costante di trasformazione del g20 potrebbero lasciare il posto a criteri
differenti. In particolare, la riconosciuta supremazia di un gruppo di Stati potrebbe essere sostenuta
da una autorità sociale (ancora non del tutto affermata) la quale, in concomitanza con il consolidarsi
dell’istituzionalizzazione delle procedure di cooperazione, potrebbe condurre a nuovi meccanismi cen-
tralizzati di produzione normativa. L’attuale processo evolutivo di attrazione di obiettivi e valori non
economici nel g20 (in primis nella prospettiva del superamento della pandemia) inserisce elementi di

162
Dopo un decennio, l’attrazione delle riunioni dal livello ministeriale al livel-
lo presidenziale stabilita dal vertice del 2008 a Washington al fine di gestire al più
alto livello politico la grave crisi economico-finanziario di quegli anni, costituisce un
ulteriore passaggio decisivo. A partire da quel momento, il g20 diventa l’espressio-
ne della volontà degli Stati partecipanti di realizzare quanto dichiarato all’esito del
vertice e quindi impegna i governi al livello politico. Parallelamente, gli Stati con-
tinuano nella compagine tecnica ad essere impegnati con l’elaborazione di standard
economico-finanziari nell’ambito del Financial Stability Board al fine di prevenire
(e, nel caso, di gestire) ulteriori crisi economico- finanziarie globali.
L’attrazione del focus dei vertici al livello politico più alto va di pari passo
con gli sforzi compiuti al livello globale, e portati avanti in primis dalle Nazioni
Unite, di realizzare finalità di più ampio respiro (v. Dichiarazione del millennio). In
tale prospettiva, la dichiarazione finale del vertice di Pittsburgh del 24-25 settembre
2009 appare orientata decisamente verso il perseguimento di obiettivi di sviluppo
sostenibile. La stessa si propone, tra l’altro: «To take new steps to increase access to
food, fuel and finance among the world’s poorest while clamping down on illicit out-
flows. Steps to reduce the development gap can be a potent driver of global growth»
(par. 22), nonché «To phase out and rationalize over the medium term inefficient fos-
sil fuel subsidies while providing targeted support for the poorest. Inefficient fossil
fuel subsidies encourage wasteful consumption, reduce our energy security, impede
investment in clean energy sources and undermine efforts to deal with the threat of
climate change» (par. 24) e «To maintain our openness and move toward greener,
more sustainable growth» (par. 27).
Un’ulteriore tappa significativa nella direzione indicata è costituita, più di
recente, dall’emergenza creata dalla pandemia da Covid-19, nuova sfida globale per
gli Stati del g20, che va ad aggiungersi all’ampio ventaglio di tematiche che, da
qualche anno, formano oggetto di discussione delle riunioni ministeriali e del vertice
annuale. La presidenza dell’Arabia Saudita del g20, nel 2020, ha iniziato a discutere
delle questioni inerenti la pandemia. Le conclusioni, contenute nella Dichiarazione
del 21 novembre 2020, all’esito del Vertice tenutosi in modalità virtuale, testimonia-
no l’importanza di un’azione congiunta di tutti Stati al fine di superare l’emergenza
sanitaria8. La tutela della salute nei confronti dell’emergenza da Covid-19 (e da futu-
re eventuali pandemie) costituisce quindi il problema globale emergente, con l’ulte-
riore novità della diffusione mondiale del virus, per definizione “sistemico”, ovvero
in grado di mettere in crisi tutti i sistemi sanitari del mondo senza escludere nessuno.
La partecipazione di un numero limitato di Stati al g20 non priva di legittimità i

rilievo para-costituzionale in un foro di discussione volontario e informale. Tuttavia, allo stato attuale,
come è stato osservato, «l’istituzione di un vero e proprio modello giuridico di supremazia ad opera di
uno Stato o di un gruppo di Stati è fortemente ostacolato dalle resistenze della comunità internaziona-
le». Così E. Cannizzaro, Diritto internazionale, p. 210.
  La Dichiarazione è consultabile al seguente indirizzo: http://www.g20.utoronto.ca/2020/2020-g20-
8

leaders-declaration-1121.html.

163
vertici né priva di giuridicità i contenuti decisi per consensus all’esito degli stessi: le
decisioni dovranno avere effetto (e beneficiare) anche nei confronti degli Stati non
partecipanti al g20, nella misura in cui saranno utili a superare l’emergenza sanitaria
e a salvare vite umane mediante campagne di vaccinazione sostenute e finanziate dai
paesi del g20.
Al riguardo, occorre ricordare come da circa un decennio sia stata affron-
tata la questione della partecipazione di rappresentanti dell’Africa alle discussioni
nell’ambito del g20. L’istituzione del g20 Development Working Group (dwg) a se-
guito dei vertici di Toronto e di Seoul del 2010 fornisce una prima risposta a tale
esigenza9. Va ricordato anche che il 15 aprile 2021 si è tenuto il primo incontro del
g20 Africa Advisory Group (gruppo di lavoro finalizzato a sostenere gli investimenti
finanziari in Africa) nell’anno di presidenza italiana. Alle medesime finalità è stata
ispirata, inoltre, la decisione dell’Italia di invitare al vertice di Roma del 30-31 otto-
bre 2021 l’Unione Africana.
Nel contesto testé delineato, si inseriscono i temi prioritari della Presidenza
italiana g20, sintetizzati nella triade: Persone, Pianeta e Prosperità10. I suddetti temi
riguardano la protezione della salute delle persone e il contrasto alla pandemia, la
sostenibilità, con un’attenzione al clima e all’ambiente, al fine di stimolare la ripresa
economica a partire dall’utilizzo dei “principali motori di crescita ed innovazione”,
inclusa la digitalizzazione per migliorare la produttività “senza lasciare nessuno in-
dietro”. Al fine di sviluppare queste priorità nell’anno di presidenza, e in vista del
Vertice di fine ottobre, sono state programmate una serie di riunioni ministeriali fo-
calizzate su vari temi, alle quali fa da cornice una fitta agenda di eventi organizzati
sia nell’ambito del finance track (ministri delle finanze e governatori delle banche
centrali)11 sia al livello di sherpa (diplomatici rappresentanti di un capo di Stato o di
governo) in una serie di materie di più ampio respiro, che non rientrano nel finance
track12. Nell’ambito delle riunioni ministeriali, oltre agli incontri dei ministri delle
finanze, spiccano quelli dei ministri degli esteri, del lavoro, dell’ambiente, della sa-
lute, della cultura e del turismo. Le riunioni ministeriali sono precedute da gruppi

  Cfr. g-20 Toronto Summit Declaration, 26- 27 giugno 2010, reperibile all’indirizzo: http://www.
9

g20.utoronto.ca/2010/g20_declaration_en.pdf; g20 Seoul Summit Leaders’ Declaration 11- 12 novem-


bre 2010, reperibile all’indirizzo: http://www.g20.utoronto.ca/2010/g20seoul.pdf .
10
  https://www.mef.gov.it/focus/Persone-pianeta-e-prosperita-il-g20-Finanze-italiano /.
  Nel filone finanziario (Finance Track) i Paesi sono rappresentati dai Ministeri delle Finanze e
11

dalle Banche centrali. Sono operativi sei Gruppi di lavoro dedicati alla crescita sostenibile e inclusiva,
all’architettura finanziaria internazionale, alle infrastrutture, all’inclusione finanziaria, alla finanza soste-
nibile e all’Africa. Ad essi si aggiungono i gruppi tematici sulla stabilità finanziaria e sulla tassazione.
  Nello Sherpa Track i Paesi sono rappresentati dagli sherpa, usualmente dirigenti dello staff
12

dei Capi di Stato e di Governo organizzati in gruppi di lavoro dedicati a tematiche più ampie di quelle
economico-finanziarie quali: istruzione, salute, commercio e investimenti, sviluppo, task force sull’e-
conomia digitale, anticorruzione, lavoro, transizione energetica e sostenibilità del clima, ambiente, cul-
tura, turismo, Academics Informal Gathering, agricoltura.

164
di lavoro composti da deputies (funzionari) competenti nelle diverse materie. Nel
complesso, nel 2021, si sono svolti 175 eventi, 62 riunioni dei gruppi di lavoro, 60
riunioni del finance track13, 20 riunioni ministeriali, 8 engagement group e due riu-
nioni dei leader su Afghanistan e salute14.
Nei paragrafi 2, 3 e 4 saranno ripresi (senza alcuna pretesa di esaustività) i
punti salienti degli incontri che si sono svolti al livello ministeriale e presidenziale
nell’anno di Presidenza italiana del g20 che si è concluso il 30 novembre 2021.

2. Di seguito, sono esaminate le sessioni ministeriali del g20- Italia che, per
una scelta preferenziale, sembrano di maggiore interesse, pur considerando altrettan-
to meritevoli di approfondimento altre riunioni ministeriali in diversi ambiti, tra cui:
turismo, agricoltura, cultura, empowerment femminile, innovazione e ricerca.
a) Salute
Nel 2021 si sono tenute alcune riunioni dedicate al tema “salute” divenuto
prioritario a seguito dell’emergenza economico, sociale e sanitaria causata dalla pan-
demia da Covid-19. Il problema emergenziale è stato affrontato non soltanto nelle ri-
unioni dei funzionari del filone salute (health track), ma anche in alcuni incontri del
filone finanziario (finance track), come si dirà più avanti15. In preparazione della mi-
nisteriale sulla salute (Health Ministers’ Meeting) del 5- 6 settembre, si sono svolte
quattro riunioni del gruppo di lavoro sulla salute (Health Working Group Meeting),
nelle seguenti date: 26- 27 gennaio; 25- 26 marzo; 17- 18 giugno; 24 agosto16. In
aggiunta, sono stati organizzati una serie di eventi collaterali con finalità differenti,
tra cui: Webinar - The Public Health Officer Platform (phop): a training initiative for
preparedness and response to a health crisis (10 marzo); covid-19 and the need for
action on mental health (3 settembre); Public Health Workforce: A Laboratorium for
improving training in prevention, preparedness, and response to health crises (7 lug-
lio; 7 settembre; 19- 20 ottobre). Di particolare rilievo, per l’ampio numero di capi
di stato o di governo e di organizzazioni internazionali rappresentate, nonché per
gli impegni assunti anche in termini di finanziamento della campagna vaccinale al
livello mondiale, è stato anche il Global Health Summit organizzato congiuntamente
dal Governo italiano, in qualità di Paese che detiene la presidenza del g20, e dalla
Commissione europea, il 21 maggio 202117.

13
  https://www.bancaditalia.it/focus/g20-2021/temi-gruppi/index.html?com.dotmarketing.htmlpa
ge.language=1.
14
  https://tg24.sky.it/mondo/approfondimenti/g20-roma-ottobre-2021.
  Il calendario degli incontri è reperibile all’indirizzo: https://www.mef.gov.it/g20-Italy/g20-Italy-
15

Finance-Track.html (consultato il 2 gennaio 2022).


16
  https://www.salute.gov.it/portale/rapportiInternazionali/dettaglioContenutiRapportiInternazio-
nali.jsp?lingua=italiano&id=5459&area=rapporti&menu=vuoto
17
  La Dichiarazione di Roma, adottata il 21 maggio 2021, all’esito del Global Health Summit,
contiene una serie di sedici principi e specifiche linee guida «as voluntary orientation for current and
future action for global health». I Leader si impegnano ad affrontare meccanismi rafforzati, semplifi-

165
La presidenza saudita del g20 aveva già organizzato un vertice straordinario
il 27 marzo 2020 a Riyadh, nell’ambito del quale i leader si erano impegnati a raffor-
zare la cooperazione multilaterale nella risposta al covid-19: «We will work swiftly
and decisively with the front-line international organizations, notably the who, imf,
wbg, and multilateral and regional development banks to deploy a robust, coherent,
coordinated, and rapid financial package and to address any gaps in their toolkit».
Lo sforzo, tuttavia, non è stato ritenuto sufficiente nella misura in cui «a much more
decisive and ambitious set of actions was expected. The g20 should deliver quickly
on the pledges»18. La presidenza italiana ha riproposto la discussione sulla pandemia
da Covid-19 e rafforzato l’impegno multilaterale per una efficace azione degli Stati
come singoli e al livello internazionale, a partire dai gruppi di lavoro e dalla ministe-
riale tenutasi il 5-6 settembre 2021.
Alle riunioni dell’Health Working Group (hwg), hanno preso parte i delegati
dei Paesi membri e di quelli invitati e i rappresentanti delle Organizzazioni interna-
zionali. Inoltre, nell’ambito di alcune sessioni dedicate, «al fine di favorire un dia-
logo multilaterale pubblico-privato, che tenga conto delle diverse esigenze e possa
promuovere azioni comuni, sono stati consultati anche i principali gruppi di interesse
della società civile e del mondo produttivo, attori non governativi»19. Nell’ambito
dei lavori, sono state esaminate quattro priorità tematiche i cui esiti sono confluiti
nei corrispondenti capitoli della Dichiarazione dei Ministri della salute del g2020. Le
priorità sono le seguenti: “Health and sustainable recovery”; “Building one health
resilience”; “Coordinated and collaborative response”; “Accessible vaccines, thera-
peutics and diagnostics”.
Nell’ambito della prima priorità (“Health and sustainable recovery”), i Mini-
stri della salute riconoscono gli effetti sanitari, sociali ed economici della pandemia.
Alla luce del Position Paper on Healthy and Sustainable Recovery prodotto dalla
Presidenza italiana in collaborazione con l’ocse e l’oms 21, gli stessi prendono atto
che i progressi verso il raggiungimento degli sdgs sono stati annullati dall’impat-
to del covid-19. Si impegnano a lavorare affinché il mondo sia meglio preparato a
prevenire e a rispondere a future emergenze sanitarie e a promuovere la salute per

cati, sostenibili e prevedibili per finanziare la preparazione, prevenzione, individuazione e la risposta


alle pandemie a lungo termine, nonché per migliorare la capacità di impulso al fine di mobilitare rapi-
damente fondi e risorse pubbliche in modo coordinato e trasparente, collaborativo e con responsabilità
e controllo. Il testo della Dichiarazione è reperibile al seguente indirizzo: http://www.g20.utoronto.
ca/2021/Global_Health_Summit_Rome_Declaration.pdf
  Così M. Larionova, J. Kirton, Global Governance After the
18
covid-19 Crisis, in International
Organisations Research Journal, n. 15(2), 2020, p. 14.
19
  Così si legge sul portale del Ministero della salute (v. nota 16).
  Si veda il testo pubblicato all’indirizzo: https://www.salute.gov.it/imgs/c_17_ pagineA-
20

ree_5459_8_file.pdf.
21
  https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5459_9_file.pdf.

166
tutti mediante la copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage – uhc)22,
nel rispetto del Regolamento Sanitario Internazionale del 2005 (ihr). Si impegnano
altresì a promuovere una ripresa sana e sostenibile e ad attuare i principi contenuti
nella Dichiarazione dei Ministri della salute del g20 adottata a Okayama (Giappone)
nel 201923. Nel prendere atto che le malattie non trasmissibili possono aumentare
il rischio di gravità e morte per covid-19, alla luce della Dichiarazione dei Ministri
della salute del g20 del 2018, adottata a Mar del Plata (Argentina)24, raccomandano
di intraprendere un’azione intersettoriale per promuovere stili di vita attivi e sani.
Ribadiscono anche l’impegno a proseguire il lavoro iniziato sotto la Presidenza sau-
dita del g20, in collaborazione con le organizzazioni internazionali competenti, e a
rafforzare l’impegno con il Global Innovation Hub for Improving Value in Health25.
La seconda priorità (“Building one health resilience”) evidenzia il ruolo del
g20 allo scopo di promuovere la realizzazione di una maggiore resilienza, di fronte
alle crisi sanitarie e non solo. Si sottolinea, in particolare, l’importanza di rafforzare
l’approccio One Health, che racchiude un concetto olistico di salute umana, animale
e ambientale come determinanti della salute e del benessere, per i quali sono essen-
ziali tra gli altri lo sviluppo sostenibile, i sistemi alimentari, la lotta al cambiamen-
to climatico. Allo scopo di prevenire ed essere meglio preparati e rispondere alle
pandemie del futuro, la Dichiarazione esorta ad una migliore capacità di collabora-
zione e di coordinamento a livello internazionale, ribadendo il ruolo fondamentale
dell’oms in tal senso.
La terza priorità (“Coordinated and collaborative response”) analizza gli
strumenti specifici necessari a realizzare i cambiamenti indicati al punto precedente.
L’importanza di migliorare i sistemi sanitari su scala globale, nazionale e locale, a
partire dalle cure primarie e di investire importanti risorse nella salute e nel benes-
sere, appare decisivo nell’ottica di sostenere il progresso socio-economico mondiale
nel lungo periodo e condividere i benefici di una maggiore prosperità per tutti. Allo
scopo, un ruolo fondamentale è attribuito alla tecnologia digitale per la raccolta dei
dati e la loro condivisione attraverso le frontiere. La Dichiarazione riconosce anche
il ruolo dei professionisti della salute che si sono trovati in prima linea nel contrasto
al Covid-19. Vengono affrontati gli aspetti della loro formazione e del loro dispie-
gamento in situazioni di emergenza, e si richiama l’importanza di iniziative come
quella realizzata dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con l’oms “Public
Health Workforce Laboratorium” (presentata dalla Presidenza italiana del g20) allo
scopo di «improving training in prevention, preparedness, and response to health»
(punto 23). Inoltre, si sottolinea l’importanza dei finanziamenti in questo ambito e
si riconosce il ruolo di due panel indipendenti istituiti allo scopo: il g20 High Level

22
  https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/universal-health-coverage-(uhc).
23
  http://www.g20.utoronto.ca/2019/2019-g20-health.html.
24
  http://www.g20.utoronto.ca/2018/2018-10-04-health.pdf.
25
  https://www.g20hub.org.

167
Independent Panel on Financing the Global Commons for Pandemic Preparedness
and Response (hlip) e l’Independent Panel for Pandemic Preparedness and Respon-
se (ipppr).
Nell’ambito della quarta priorità (“Accessible vaccines, therapeutics and
diagnostics”), sono stati esaminati gli strumenti necessari a contrastare efficacemen-
te la pandemia: vaccini, medicinali e diagnostica. I Ministri della salute incoraggiano
lo sviluppo di strategie globali comuni per sostenere la ricerca, lo sviluppo e l’equa
distribuzione di vaccini e diagnostica. Al punto 29 della Dichiarazione, i ministri
della salute riconoscono che l’immunizzazione dal Covid-19 («extensive covid-19
immunisation») costituisce un bene pubblico globale e riaffermano il loro impegno
«for all collaborative efforts in this respect». A tal fine, gli stessi «reiterate our sup-
port to strengthen the resilience of supply chains, to increase and diversify global,
local and regional vaccine manufacturing capacity, and building expertise for lmics,
including for the raw materials needed to produce vaccines and welcome the co-
vid-19 mrna vaccine technology transfer hub launched by the who».
Inoltre, la Dichiarazione promuove l’accesso più ampio possibile ai vacci-
ni da parte della popolazione mondiale a partire dai meccanismi di collaborazione
esistenti, incluse le donazioni di dosi vaccinali26. Viene sottolineata, inoltre, l’esi-
genza di sostegno finanziario all’Access to covid-19 Tools Accelerator (act-A) e
di continuare a promuovere i programmi di vaccinazione a livello mondiale. Il
29 ottobre 2021, a margine del Summit dei leader, si è svolta anche la riunione mini-
steriale congiunta Finanze-Salute, come da prassi recente del g2027. Il Comunicato
del 29 ottobre evidenzia come la pandemia da covid-19 continui ad avere un forte

  La Dichiarazione stabilisce: We note the intermediate strategic review as a basis for recom-
26

mendations to adapt and enhance the future work of act-a and the possible extension of its current
mandate to the end of 2022. We acknowledge the formation of the task force by the World Bank (wb),
who, International Monetary Fund (imf), and wto on covid-19 vaccines, therapeutics and diagnostics
for developing countries. We reaffirm our Leaders’ support at the Global Health Summit for the global
sharing of safe, effective, quality and affordable vaccine doses including working with the act-a vac-
cines pillar (covax) co-lead by cepi, Gavi and who. The covax Vaccine Manufacturing Task Force and
the covid- 19 Technology Access Pool (c-tap) are working towards enhancing availability and access to
vtds for many countries. We welcome the outcomes of the covax Advanced Market Commitment (amc)
Summit co-hosted by Japan and Gavi, which include mobilizing and exceeding the targeted resources
to ensure the 1.8 billion doses needed to cover nearly 30% of the population of amc eligible economies,
and dose-sharing commitments, and urge additional support for vaccine production, necessary sup-
plies, other delivery and distribution needs, and vaccination support. We support the establishment of
the covax Humanitarian Buffer and the commitment by Gavi/covax to allocate up to 5% of the doses for
this purpose. We recognize the need to complement vaccine supply with financing for vaccine absorp-
tion and delivery, and surge capacity of resources to deploy these vaccines (punto 30).
  Nel 2019, infatti, la Presidenza giapponese aveva promosso la prima riunione congiunta dei
27

Ministri delle Finanze e della Salute, «alla luce della necessità di condividere i bisogni finanziari dei
sistemi sanitari, per assicurare il loro rafforzamento, avanzare verso una copertura sanitaria universale,
promuovere la salute di tutti in tutte le politiche e, infine, considerare la salute un investimento». Così
si legge sul portale del Ministero della salute (v. nota 16). Una riunione nella medesima formazione, pur
se in modalità virtuale, si è svolta anche durante la Presidenza saudita nel 2020.

168
impatto in tutto il mondo: la ripresa economica rimane fortemente divergente tra e
all’interno dei paesi, andando a colpire soprattutto le economie emergenti, i paesi
in via di sviluppo e le popolazioni in condizioni di vulnerabilità. Pertanto, i ministri
delle finanze e della salute ribadiscono gli impegni assunti nelle rispettive riunioni
ministeriali (salute ed economia e finanza), incluso il sostegno ad Access to covid-19
Tools Accelerator (act-a) e l’estensione del suo mandato al 2022, in attesa di coor-
dinare il loro lavoro con quello della Multilateral Leaders Task Force on covid-19
Vaccines, Therapeutics and Diagnostics dell’oms.

b) Economia e finanza
Un ruolo particolare, nell’ambito dei lavori del g20, continua a essere svolto
dal filone finanziario (c.d. Finance Track) nella discussione dei temi economici e,
in senso più ampio, ai fini della governance (economica) globale. Come è noto, i
Ministri delle finanze e i Governatori delle Banche Centrali discutono dei diversi
aspetti economici, finanziari e monetari nell’ambito dell’agenda finanziaria del g20
in raccordo con il Fondo Monetario internazionale e con il Financial Stability Bo-
ard. Nell’ambito della presidenza italiana del g20, e nella cornice delle 3P (Persone,
Pianeta e Prosperità), il Finance Track «si è proposto di collegare gli sforzi per soste-
nere la ripresa con lo sviluppo di strategie a lungo termine per promuovere e accom-
pagnare la trasformazione verso società più sostenibili, più digitali e inclusive»28. A
tal fine, l’Italia «ha promosso un rinnovato multilateralismo come principio guida
della cooperazione internazionale»29.
Nel corso del 2021 si sono tenute quattro riunioni dei Ministri delle Finanze
e dei governatori delle banche centrali, nelle seguenti date: 26 febbraio; 7 aprile; 9
luglio; 13 ottobre; e cinque riunioni dei deputies finanziari, nelle seguenti date: 26
gennaio; 2 aprile; 1- 2 luglio; 14 settembre; 14-15 ottobre30. A queste si sommano le
riunioni dei sei distinti gruppi di lavoro del Finance Track, dedicati alla crescita so-
stenibile e inclusiva (Framework Working Group – fwg), all’architettura finanziaria
internazionale (International Financial Architecture Working Group – ifa), alle in-
frastrutture (Infrastructure Working Group - iwg), all’inclusione finanziaria (Global
Partnership for Financial Inclusion), alla finanza sostenibile (Sustainable Finance
Working Group - sfwg) e all’Africa (Africa Advisory Group)31.
Gli obiettivi del Finance Track, oggetto di discussione nell’ambito delle riu-
nioni dei gruppi di lavoro e delle riunioni ministeriali, in preparazione del Comuni-

28
  Si veda il portale del Ministero dell’Economia e delle Finanze (mef): https://www.mef.gov.it/
focus/Persone-pianeta-e-prosperita-il-g20-Finanze-italiano/.
29
  Ibidem.
30
  Vedi nota 28.
31
  https://www.mef.gov.it/g20-Italy/finance-track.html. Su proposta della Presidenza italiana, il 7
aprile 2021, è stato aggiunto il Sustainable Finance Working Group (sfwg) che trae origine dal Sustai-
nable Finance Study Group.

169
cato dei Ministri delle finanze e dei Governatori delle Banche Centrali del g20, sono
focalizzati sui seguenti temi: “La salute come bene comune globale”; “Un ambiente
favorevole a investimenti e crescita”; “Mantenere la stabilità finanziaria globale”;
“Sostenere le economie vulnerabili”; “Un sistema fiscale internazionale più equo”;
“Salvaguardare il nostro pianeta”.
Il Comunicato del 13 ottobre 2021 costituisce il testo finale elaborato sulla
base del primo Comunicato dei Ministri delle Finanze e dei governatori delle ban-
che centrali approvato nella riunione del 7 aprile 2021 successivamente modificato
in quella del 9 luglio. Il Comunicato riporta, in allegato, un aggiornamento del g20
Action Plan32.
Il Comunicato si apre con l’impegno a continuare a sostenere la ripresa dal-
la crisi generata dalla pandemia da covid-19, preservando al contempo la stabili-
tà finanziaria, una sostenibilità fiscale di lungo periodo, e scongiurando «downside
risks and negative spillovers». L’impegno appare risoluto e di ampia portata: «We
reaffirm our resolve to use all available tools for as long as required», e più avanti:
«We remain determined to bring the pandemic under control everywhere as soon
as possible, and welcome efforts towards pandemic prevention, preparadness and
response (ppr)». Nel riconoscere l’immunizzazione da covid-19 come bene pubblico
globale, viene ribadito l’impegno ad assicurare un accesso sicuro, equo e accessibile
a vaccini, medicinali e diagnostica sostenendo gli sforzi messi in atto nell’ambito di
act-a e di covax. A tale riguardo, va anche menzionata l’istituzione dell’High Level
Independent Panel on financing the global commons for pandemic preparedness
and response (hlip) nella prima riunione dei deputies dei Ministri delle Finanze e dei
Governatori delle Banche Centrali del 26 gennaio 2021.
Un ulteriore tema di rilievo concerne l’accordo raggiunto nella riunione di
luglio relativo alla c.d. global minimum tax e alla riallocazione dei profitti delle im-
prese multinazionali dell’economia digitale. Gli elementi fondamentali dell’accordo,
ispirati a realizzare «a more stable and fairer international tax system», sono con-
tenuti nello Statement on a two-pillar solution to address the tax challenges aris-
ing from the digitalisation of the economy e nel Detailed Implementation Plan pre-
disposti dall’oecd/g20 Inclusive Framework on beps, l’8 ottobre 2021. Le norme
che dovranno essere predisposte da quest’ultimo (model rules e multilateral instru-
ments), alla luce del Detailed Implementation Plan, entreranno in vigore nel 2023.
Il Comunicato evidenzia, in seguito, gli obiettivi di crescita globale e di pro-
duttività con particolare attenzione non solo alle strategie di ripresa ma anche alla
creazione di un ambiente internazionale favorevole agli investimenti e alla crescita.
Le politiche realizzate dagli Stati dovranno al contempo essere orientate «to sustain
productivity growth, and to help ensure that the benefits are evenly shared within
and across countries and sectors». A tal fine, si riconosce l’importanza della good

 32
https://www.mef.gov.it/inevidenza/2021/article_00064/Annex-i-Fourth-Progress-Report-on-
the-g20-Action-Plan-October-2021.pdf.

170
corporate governance e si auspica la revisione dei g20/oecd Principles of Corporate
Governance.
L’impegno a coordinare gli sforzi al fine di affrontare le sfide globali dei
cambiamenti climatici e della protezione dell’ambiente occupa anch’esso uno spa-
zio importante nel Comunicato dei Ministri delle finanze e dei Governatori delle
Banche Centrali. La promozione della transizione «towards greener, more prospe-
rous and inclusive economies and societies», unitamente al problema della perdita
di biodiversità, costituiscono delle priorità che richiedono ai diversi gruppi di lavoro
del g20 di agire in maniera sinergica. Allo stesso modo, la riduzione delle emissioni
di gas a effetto serra e l’analisi costi-benefici delle differenti transizioni richiedono
una analisi degli impatti macroeconomici e la condivisione delle politiche adottate
dagli Stati. Per quanto concerne la transizione energetica, si sottolinea come «our
policy mix should include a wide range of fiscal, market and regulatory mechanisms,
including, if appropriate, the use of carbon pricing mechanisms and incentives». In
tale prospettiva, viene evidenziata l’importanza della finanza sostenibile e, in chiave
operativa, si fa riferimento al g20 Sustainable Finance Roadmap e alla Roadmap
for addressing climate-related financial risks adottata dal Financial Stability Board
(fsb). Inoltre, si sottolinea l’importanza delle infrastrutture digitali e degli investi-
menti per infrastrutture verdi (Green and Circular Infrastructure) e delle relative mi-
sure volontarie suggerite dal Global Infrastructure Hub (gi Hub).
Un obiettivo che ha raccolto ampi consensi al livello internazionale riguarda
l’impegno a sostenere le economie vulnerabili colpite dalla pandemia da covid-19.
Innanzi tutto, si esprime apprezzamento per la nuova assegnazione dei diritti speciali
di prelievo a favore dei paesi più vulnerabili da parte del Fondo Monetario interna-
zionale: «the new general Special Drawing Rights (sdr) allocation implemented by
the International Monetary Fund (imf) on 23 August 2021, which has made available
the equivalent of usd 650 billion in additional reserves globally». Inoltre, si solle-
cita il Fondo Monetario Internazionale a intensificare gli sforzi al fine di favorire la
resilienza del sistema monetario internazionale istituendo allo scopo un nuovo Resi-
lience and Sustainability Trust (rst) al fine di «provide affordable long-term finan-
cing to help low-income countries, small developing states, and vulnerable middle-
income countries to reduce risks to prospective balance of payment stability». Nella
medesima direzione, si prende atto dei progressi realizzati nell’ambito della g20
Debt Service Suspension Initiative (dssi) sostenuta anche dal Club di Parigi. Si rico-
nosce anche l’avanzamento nell’ambito del Common Framework for debt treatment
beyond the dssi. In questo contesto, un ruolo rilevante è svolto anche dalle Banche
Multilaterali di Sviluppo in coordinamento con gli altri soggetti finanziatori al fine
di massimizzare l’aiuto ai Paesi a basso reddito.
L’ultimo tema oggetto del Comunicato riguarda l’impegno a mantenere la
stabilità finanziaria globale mediante un approccio cooperativo «aimed at ensuring
that the financial sector provides adequate support to the recovery while preserving
financial stability». In questo ambito, un ruolo decisivo è svolto dal Financial Stabi-

171
lity Board, anche nel definire le iniziative da adottare sulla base delle lezioni apprese
dallo shock pandemico. In particolare, si stabilisce di procedere all’adeguamento
delle regole e degli standard finanziari globali (completando il quadro normativo
avviato nel 2008) e di rafforzare la resilienza dell’intermediazione finanziaria non
bancaria. In tale prospettiva si prevede anche il rafforzamento della sicurezza infor-
matica nel settore finanziario alla luce del fsb Report on Cyber Incident Reporting.
Un altro impegno che riveste un certo rilievo riguarda l’analisi delle sfide normative,
di vigilanza e di supervisione sollevate dagli accordi gsc (global stablecoins), che
formano oggetto di uno specifico monito dei ministri finanziari: «no so-called “glo-
bal stablecoins” should commence operation until all relevant legal, regulatory and
oversight requirements are adequately addressed through appropriate design and by
adhering to applicable standards». In relazione alla diffusione dei servizi finanziari
digitalizzati, si stabilisce, inoltre, di migliorare l’accesso finanziario per le categorie
vulnerabili e svantaggiate, incluse le micro, le piccole e medie imprese: «to enhan-
cing digital financial inclusion». Infine, si ribadisce il sostegno alle iniziative finaliz-
zate a contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo.

c) Ecologia
La riunione dei ministri dell’ambiente del g20, tenutasi a Napoli il 22 luglio
2021, è stata preceduta dalle riunioni dei funzionari esperti su tematiche ambientali
(Environment Deputy Meeting) che si sono svolte nelle seguenti date: 24 marzo; 28
aprile; 28- 29 maggio; 9- 10 giugno; 21 luglio.
Il Comunicato finale mette in evidenza la varietà dei temi trattati, raggruppa-
ti in tre macro-aree: biodiversità, uso efficiente delle risorse ed economia circolare,
finanza sostenibile33. Nel preambolo, significativamente, gli Stati riconoscono, sulla
scorta del Rapporto 2020 su Biodiversità e Pandemie dell’ipbs, che: «some of the po-
tential underlying causes of some emerging infectious diseases and zoonoses in hu-
mans are the same as those that drive biodiversity loss, land degradation and climate
change and that pandemic risk can be lowered by targeting such drivers» (punto 3).
Pertanto, gli Stati si impegnano «to integrate the One Health approach and other ho-
listic approaches in all relevant policies and decision-making processes» (punto 3).
L’area tematica dedicata alla biodiversità è finalizzata alla protezione del
capitale naturale e al ripristino degli ecosistemi mediante soluzioni che fanno leva su
natura, difesa e ripristino del suolo, tutela delle risorse idriche, protezione rafforzata
di oceani e mari (che tiene conto del grave impatto del “marine litter”). Particolare
rilievo è riconosciuto al Network mondiale di esperti qualificati in campo ambien-
tale, ideato dall’Italia nel dicembre 2020, con l’obiettivo di creare uno strumento di
capacity building a favore dei siti unesco che ne faranno richiesta, mediante azioni di
conservazione, salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, gestione (inclusa

  Il testo del Comunicato finale, unitamente ad una sintesi dello stesso, sono reperibili al seguente
33

indirizzo: https://www.mite.gov.it/comunicati/g20-approvato-il-comunicato-g20-ambiente.

172
la prevenzione, mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici), formazione,
educazione e divulgazione ambientale a favore di giovani e comunità. Le proble-
matiche indicate sono trattate nei seguenti capitoli del Comunicato: i. Nature-based
solutions or ecosystem-based approaches to address climate change, biodiversity
loss and poverty; ii. unesco International Environmental Experts Network; iii. Call
for action on protecting, conserving, sustainably managing and restoring degraded
lands; iv. Call for action on sustainable water management; v. Call for action on our
oceans and seas; vi. Renewing our efforts on Marine plastic litter.
L’area tematica dedicata all’uso efficiente delle risorse e all’economia cir-
colare illustra la vision del g20 che si collega al concetto di sviluppo sostenibile, in
quanto contribuisce in maniera significativa «to sustainable consumption and pro-
duction as well as to addressing climate change, biodiversity loss, land degrada-
tion and pollution» (punto 18) ed è orientata al raggiungimento del sdg 12 e di altri
rilevanti sdgs. Un esplicito riferimento è riservato all’industria tessile e alla moda
sostenibile (punto 19), alle città sostenibili e circolari (punto 20) e ai temi dell’e-
ducazione e della formazione (punto 21). Con riguardo all’inclusione dei giovani
nei processi decisionali legati alle questioni ambientali, il Comunicato sottolinea il
ruolo delle istituzioni nel garantire che le nuove generazioni siano sufficientemente
sensibilizzate rispetto alla tutela dell’ambiente e possano sviluppare le competenze
fondamentali per prendere parte ed accelerare la transizione verso un’economia cir-
colare e verde. Il Comunicato dedica specifici capitoli ai suddetti temi: vii. Call for
action on Sustainable and circular resource use; viii. Sustainable and Circular Cit-
ies; ix. Education, capacity building and training.
L’area tematica dedicata alla finanza sostenibile mira a potenziare gli investi-
menti per le attività a sostegno dell’ambiente. L’obiettivo è di allineare i flussi finan-
ziari per lo sviluppo e la crescita sostenibili promuovendo sinergie tra investimenti
destinati al clima, alla biodiversità e agli ecosistemi. A tal fine, i ministri dell’am-
biente intendono avvalersi del supporto del g20 Sustainable Finance Working Group
e del lavoro già avviato nell’ambito della roadmap pluriennale sulla finanza sosteni-
bile. Il Comunicato descrive i suddetti obiettivi al capitolo x. Sustainable Finance.
In conclusione, i Ministri dell’ambiente, riconoscendo che povertà, salute,
sfide economiche e ambientali sono interconnesse, dichiarano di impegnarsi per una
transizione giusta ed equa verso economie sostenibili considerando altresì i diversi
livelli di sviluppo e le capacità differenziate dei diversi paesi. Gli stessi incoraggiano
il sostegno finanziario, tecnologico e di sviluppo delle capacità ai paesi in via di svi-
luppo e a quelli meno sviluppati. Infine, richiamando i principi della Dichiarazione
di Rio, i Ministri dell’ambiente si impegnano a rafforzare la cooperazione interna-
zionale per lo sviluppo sostenibile.

d) Clima ed energia
La riunione ministeriale dedicata ai temi clima ed energia, per la prima volta
discussi congiuntamente in ambito g20, in ragione delle profonde interconnessioni

173
tra gli stessi, si è tenuta il 23 luglio 2021. In vista della preparazione della riunione
ministeriale, si sono riuniti i seguenti gruppi di lavoro: Energy Transitions Working
Group (etwg) e Climate Sustainability Working Group (cswg) nelle seguenti date:
22- 23 marzo; 26- 27 aprile; 26- 27 maggio; 20 – 21 luglio.
Il Joint g20 Energy-Climate Ministerial Communiqué si compone dei se-
guenti capitoli: Introduction; 1. Combating climate change; 2. Accelerate the clean
energy transitions; 3. Paris-aligned financial flows; 4. Sustainable and inclusive re-
covery and opportunities offered by innovative energy technological solutions; 5.
Smart, resilient and sustainable cities.
Come è stato evidenziato in merito ai lavori del g20: «senza dubbio il tema
più critico è stata la sfida sui cambiamenti climatici in vista della cop26»34. All’esito
dell’incontro del 23 luglio, i Ministri dell’energia e dell’ambiente non sono riusciti
a trovare un accordo unanime sulla formulazione dei principali impegni per il clima
contenuti in due punti cruciali del Comunicato35. Va precisato che la finalità di alcuni
paesi, tra cui l’Italia (oltre a Stati Uniti, Unione europea, Giappone e Canada), era
quella di indicare target più ambiziosi rispetto a quelli previsti dall’Accordo di Parigi
del 2015, anche sulla scorta dei dati scientifici allarmanti diffusi alcuni mesi prima
dell’incontro, e in vista della cop 26 in programma a Glasgow nell’imminenza della
conclusione del Vertice di Roma del 30-31 ottobre 2021. Altri Paesi, invece, tra cui
India, Cina, Russia, Australia, Arabia Saudita e Brasile avevano manifestato il loro
scetticismo giustificato dalla preoccupazione per le ricadute economiche delle restri-
zioni sull’impiego di risorse fossili e degli idrocarburi.
La versione finale del Comunicato (a seguito del rinvio della discussione
al Vertice di Roma del 30-31 ottobre)36, nei punti controversi è la seguente: «We
recall our collective commitment to hold the global average temperature increase
well below 2° and to pursue efforts to limit it to 1,5°C above pre-industrial levels…»
(punto 6), e «…we acknowledge those who already committed to achieve net zero
ghg emissions or carbon neutrality by or around mid-century. We urge all members
to formulate such long-term strategies…» (punto 12). Il testo continua a fare ri-
ferimento all’obiettivo primario di perseguire il limite di surriscaldamento globale
non superiore a 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali ma non viene
eliminato il riferimento ai 2 gradi centigradi, mentre viene eliminato il riferimento
al 2050 per l’obiettivo del raggiungimento della neutralità climatica utilizzando una
terminologia più generica che indica la scadenza “entro o intorno a metà secolo”. In
tal modo si è raggiunto un compromesso con i paesi più refrattari, in particolare la
Cina e la Russia. Alcuni Paesi, invero, tra i quali Cina e India, hanno affermato che la
transizione debba assicurare un principio di “equità” che tenga conto delle emissioni

  Così M. Delli Santi, Dal g20 di Roma il monito per un maggiore impegno per le sfide globali e
34

il multilateralismo, in Astrid Rassegna, n. 345 n. 16/2021, 8 novembre 2021, reperibile on-line.


  Cfr. Reuters, g20 fails to agree on climate goals in communiqué, by Gavin Jones, 23 luglio 2021.
35

  http://www.g20.utoronto.ca/2021/2021_g20-Energy-Climate-joint-Ministerial-Communique. pdf.
36

174
pro capite (in tali paesi nettamente inferiori in ragione del più elevato numero di
abitanti) e della circostanza che gli stessi abbiano raggiunto la fase dell’industrializ-
zazione post-moderna solo in tempi più recenti rispetto a Stati Uniti ed Europa. Su
tali presupposti, la Cina in particolare sembra orientata a iniziare la transizione verde
non prima del 2030 e di raggiungere la neutralità climatica per il 2060.
Nel Comunicato sono, inoltre, ribaditi gli impegni finanziari degli Stati svi-
luppati di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno dal 2020 fino al 2025 a favore
dei Paesi in via di sviluppo: «We recall and reaffirm the commitment made by devel-
oped countries, to the goal of mobilizing jointly usd 100 billion per year by 2020 and
annually through 2025 to address the needs of developing countries, in the context
of meaningful mitigation actions and transparency on implementation…» (punto 7).
Nell’ambito dei summenzionati gruppi di lavoro è stata sottolineata, in parti-
colare, la necessità di accelerare la transizione energetica al fine di contrastare i cam-
biamenti climatici, mediante la costruzione di città resilienti, intelligenti e sostenibi-
li, tenendo anche in considerazione le diverse circostanze nazionali e subnazionali.
Particolare attenzione è stata rivolta alle soluzioni basate sulla natura (nbs)
quali strumenti dei processi di urbanizzazione sostenibile. Le nbs consentono di
supportare e semplificare il processo di adattamento nelle città, ad esempio proteg-
gendole dalle inondazioni, in maniera spesso più durevole rispetto alle alternative
tradizionali. Sono inoltre sempre più riconosciute come determinanti per la salute e
il benessere umano, oltre a fornire un importante contributo in termini di mitigazione
tramite, ad esempio, la rimozione di co2 attraverso la crescita di vegetazione e la
riduzione delle temperature.
Si è discusso anche di processi di transizione energetica mediante l’impie-
go di un’ampia gamma di soluzioni innovative quali l’elettrificazione dei consu-
mi, principalmente guidata dalle fonti rinnovabili, la mobilità sostenibile pubblica
e privata, l’efficienza energetica negli edifici e nelle industrie, le tecnologie digitali,
le reti intelligenti, gli strumenti che consentono alle comunità energetiche locali di
essere al centro del loro sistema energetico urbano e quelli che rendono possibile
un’efficiente gestione della domanda, garantendo un’equa distribuzione dei benefici.

3. Le riunioni presidenziali del g20 sono state due, se si esclude il Global


Health Meeting del 21 maggio, organizzato dalla presidenza italiana del g20 con-
giuntamente con la Commissione europea: la riunione straordinaria sull’Afghanistan
del 12 ottobre (che sarà esaminato nel presente paragrafo) e il Vertice di Roma del
30-31 ottobre che si è concluso con l’adozione della Dichiarazione finale (su cui si
veda al paragrafo 4).
Il 12 ottobre si è tenuta la riunione straordinaria dei leader del g20 sull’Af-
ghanistan. La riunione si è svolta in modalità telematica con la partecipazione dei le-
ader del g20 ad eccezione del Presidente russo Vladimir Putin e del Presidente cinese
Xi Jinping, i quali hanno inviato dei rappresentanti al livello ministeriale. All’incon-
tro hanno partecipato anche Spagna, Paesi Bassi, Qatar e i rappresentanti di Fondo

175
Monetario Internazionale e Banca Mondiale. I diversi aspetti affrontati nell’incontro,
definito dal Presidente Draghi come “estremamente proficuo” nelle considerazioni
finali37, da cui è emersa la convergenza e una forte volontà di agire da parte dagli Sta-
ti, sono riassunti nelle Conclusioni della Presidenza (Chair’s Summary)38. L’incontro
è stato convocato d’urgenza dal Presidente Draghi in ragione dell’aggravarsi della
crisi umanitaria nel Paese a seguito del ritiro dei contingenti militari degli Stati Uniti
d’America e degli alleati completatosi alla mezzanotte del 30 agosto (ora italiana)39.
Non è possibile in questa sede ricostruire le complesse vicende e le motivazioni di
ordine politico-militari e strategiche che hanno portato a porre termine alla presen-
za occidentale in Afghanistan, né esaminare i termini dell’accordo sottoscritto tra
gli Stati Uniti d’America e l’Emirato Islamico dell’Afghanistan (i “Talebani”) il 29
febbraio 2020 a Doha40. Le analisi condotte in merito alla situazione generale nel
Paese e alle prospettive evolutive, inclusi i rischi di degenerazione, erano stati pun-
tualmente evidenziati diversi mesi prima il ritiro dei militari: si tratta quindi di una
crisi annunciata41.
I diversi profili discussi, ripresi nelle considerazioni finali e riportati nella
conferenza stampa del Presidente Draghi42, riguardano innanzi tutto l’esigenza di
agire immediatamente e congiuntamente al fine di affrontare l’emergenza umani-
taria in atto nell’ambito di un ampio mandato alle Nazioni Unite a coordinare le
attività a favore dei cittadini afgani43. Va appena ricordato che è in essere dal 2002
la missione di assistenza delle nu in Afghanistan (unama)44 alla quale il g20 dichiara
di offrire «strongly support(s)». In maniera ancillare rispetto al primo punto è stata

37
  Governo italiano, Riunione straordinaria dei leader del g20 sull’Afghanistan, considerazioni
finali del Presidente Draghi, 12 ottobre 2021, https://www.governo.it/it/articolo/riunione-straordinaria-
dei-leader-del-g20-sull-afghanistan-considerazioni-finali-del
38
  https://www.governo.it/sites/governo.it/files/ChairsSummary.pdf
  Cfr. The New York Times, Afghanistan Updates: The u.s. Occupation is Over, Ending America’s
39

Longest War, 30 agosto 2021.


  L’Accordo, denominato “Agreement for Bringing Peace to Afghanistan”, è reperibile
40

all’indirizzo: https://www.state.gov/wp-content/uploads/2020/02/Agreement-For-Bringing-Peace-to-
Afghanistan-02.29.20.pdf.
  Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazio-
41

ne Internazionale, Osservatorio di Politica internazionale, Afghanistan 2001-2021: il futuro del paese


tra disimpegno internazionale e processo di riconciliazione inter-afghano, Approfondimenti, n. 173,
maggio 2021.
42
  Governo italiano, g20 Afghanistan, riunione straordinaria dei leader, 12 ottobre 2021, https://
www.governo.it/it/articolo/g20-afghanistan-riunione-straordinaria-dei-leader/18202.
43
  Un aggiornamento recente sulla crisi umanitaria e sulle attività di assistenza intraprese e coordi-
nate dall’onu è stato fornito dal Segretario Generale delle Nazioni Unite l’11 ottobre 2021. Vedi https://
unama.unmissions.org/secretary-general’s-press-remarks-afghanistan.
44
  La United Nations Assistance Mission in Afghanistan (unama) è stata deliberata il 28 marzo
2002 dal Consiglio di Sicurezza Nazioni Unite con la risoluzione n. 1401. Per ulteriori approfondimen-
ti, si veda la pagina https://unama.unmissions.org/about.

176
evidenziata, da un lato, l’esigenza di finanziare l’intervento umanitario mediante il
supporto della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale e degli Stati. In
proposito, il Presidente Draghi ha riferito che l’Unione europea ha annunciato uno
stanziamento di un miliardo di euro come obiettivo. In secondo luogo, è stata sotto-
lineata l’importanza di sostenere il sistema bancario afgano al fine di consentire la
continuità dei pagamenti e di scongiurare il collasso economico.
Gli ulteriori punti di natura non economica riguardano il sostegno ai servizi
pubblici, in particolare l’istruzione e la sanità, anche in collaborazione con le orga-
nizzazioni internazionali, e la lotta contro il Covid-19. Un punto condiviso da tutti i
paesi è quello relativo ai diritti delle donne, in particolare il diritto all’istruzione, e
l’aiuto ai bambini. Nella medesima prospettiva della tutela dei diritti umani è stata
sottolineata l’esigenza di fornire assistenza ai migranti e ai rifugiati nei paesi limi-
trofi. Inoltre, è stato affrontato il tema della sicurezza e, in particolare, si è convenuto
sulla necessità di evitare che l’Afghanistan torni ad essere “una specie di rifugio per
il terrorismo internazionale”. Da ultimo, gli Stati hanno sottolineato l’importanza di
mantenere aperto l’aeroporto di Kabul al fine di consentire il coordinamento e l’or-
ganizzazione dell’assistenza internazionale.
La natura squisitamente politica dell’incontro non manca di far emergere
alcuni profili di interesse giuridico-istituzionale, soprattutto nella terminologia uti-
lizzata nelle Conclusioni della Presidenza. Queste ultime si dividono in due parti: 1.
Shared goals and principles; 2. Lines of action.
Per quanto concerne gli obiettivi e i principi condivisi, è singolare che il
g20 inizi ad occuparsi di assistenza umanitaria, tema distante dalle iniziali finalità
di natura economico-finanziaria dello stesso, sebbene con implicazioni economiche,
che è in ogni caso tema “globale”. Al terzo punto delle conclusioni si evidenzia:
«Humanitarian assistance is essential to prevent a humanitarian catastrophe and
consequently uncontrolled migrant flows from Afghanistan to regional countries and
beyond». In effetti, sembra che il g20 stia occupando un ambito di competenza non
proprio e, a tal riguardo, si precisa in un punto successivo che: «The un plays an es-
sential role to address the crisis in Afghanistan». Sono, inoltre, richiamati i principi
contenuti nella Carta delle Nazioni Unite e negli altri strumenti internazionali sui
diritti umani.
Nella seconda parte, dedicata alle linee di intervento, emerge in maniera
chiara il rapporto tra g20 e Nazioni Unite, e nei confronti della comunità interna-
zionale in generale. Il primo punto è formulato come segue: «The g20 will play
an advocacy role within the international community to fully support un activities
and respond to un appeals on humanitarian assistance». In un successivo punto è
ripreso il medesimo termine: «The g20 will advocate international support to the
unodc strategy to eradicate the production of narcotics in Afghanistan and provide
counter terrorism assistance…». Poco oltre, vengono utilizzati i termini «coopera-
te», «in cooperation» e «in coordination» riferiti non al g20 in quanto tale ma ai
«g20 countries». Senza anticipare quanto si dirà nelle conclusioni, preme evidenzia-

177
re una possibile evoluzione del g20 da foro informale di discussione a protagonista
e propulsore di una nuova forma di cooperazione internazionale che si consolida in
modalità inedite che vanno sempre più strutturandosi in relazione alle organizzazio-
ni internazionali classiche. Si potrebbe ritenere, infine, che il g20 stia svolgendo un
ruolo sostitutivo del g7 già da tempo affermatosi quale foro di discussione di temi di
politica estera e dello sviluppo.

4. Il g20 a presidenza italiana ha avuto il suo momento apicale nel Vertice


del 30-31 ottobre a Roma (un mese prima della conclusione dell’anno di presidenza
italiana, il 30 novembre). La riunione del 30-31 ottobre ha raccolto le discussioni
portate avanti nelle riunioni ministeriali dei mesi precedenti. All’esito della stessa è
stata adottata la g20 Rome Leaders’Declaration che fornisce una risposta alle sfide
che erano state poste dall’Italia ai Paesi partecipanti in apertura dell’anno di presi-
denza, il 1° dicembre 2021.
Come si legge sul portale del Governo italiano, alla pagina dedicata: «Nono-
stante le persistenti incertezze sull’evoluzione della pandemia, nel 2021 l’economia
globale si è risollevata dopo la più grande recessione dalla Seconda guerra mondiale,
anche se il retaggio della crisi peserà sulle nostre economie e società per gli anni a
venire. In questo contesto, la Presidenza italiana si è posta l’obiettivo di guidare la
comunità internazionale negli sforzi volti a superare la crisi sanitaria, favorire una
ripresa sostenibile, equilibrata e inclusiva e garantire che le generazioni future siano
più preparate ad affrontare emergenze impreviste»45. Il filo conduttore delle riunioni,
su un numero elevato di tematiche, come detto, è fondato su tre pilastri: Persone
(“nessuno può essere lasciato indietro”); Pianeta (“costruire un mondo più sicuro
e più sostenibile”); Prosperità (“la crescita globale deve essere uno strumento per
garantire prosperità per tutti anche grazie allo sviluppo di nuove tecnologie e alla
trasformazione digitale”). Nell’intervento di apertura del Summit, il Presidente del
Consiglio italiano ha riconosciuto che dopo quasi due anni di pandemia «we can
finally look at the future with great- or with some - optimism».
La Dichiarazione dei leader adottata a Roma si compone di 61 punti e con-
sta di 49 allegati (20 Dichiarazioni ministeriali e comunicati e 29 altri documenti e
gruppi di lavoro). I primi due punti definiscono il contesto attuale con l’importante
precisazione sulla natura del g20 quale «premier forum for international economic
cooperation» (punto 1) e sul ruolo del multilateralismo: «the crucial role of multila-
teralism in finding shared, effective solutions». Seguono i capitoli dedicati ai diversi
temi: Global economy (punto 3); Health (punti 4-8); Sustainable development (punto
9); Support to vulnerable countries (punti 10- 12); International Financial Archi-
tecture (punti 13- 14); Food security, nutrition, agriculture and food systems (punto
15); Environment (punti 16- 19); Cities and Circular Economy (punto 20);

  https://www.mef.gov.it/inevidenza/Presidenza-italiana-del-G20-i-risultati-raggiunti-nel-Fi-
45

nance -Track/. Le parti in italico sono evidenziate nella pagina del Governo.

178
Energy and Climate (punti 21- 29); Policies for the transition and sustain-
able finance (punto 30); Sustainable finance (punto 31); International taxation (pun-
to 32); Gender Equality and Women’s Empowerment (punti 33- 34); Employment
and social protection (punto 35); Education (punti 36- 37); Migration and forced
displacement (punto 38); Transportation and Travel (punto 39); Financial regula-
tion (punti 40- 41); Trade and Investment (punti 42- 43); Infrastructure investment
(punto 44); Productivity (punto 45); Digital economy, higher education and research
(punti 46- 48); Financial inclusion (punto 49); Data gaps (punti 50- 54); Tourism
(punto 55); Culture (punto 56); Anti-corruption (punti 57- 61).
Nella Conferenza stampa di chiusura del Vertice, il Presidente Draghi ha
sottolineato che si è trattato di un Vertice di successo46. Alla luce di alcune considera-
zioni svolte dalla dottrina, il giudizio appare più nuancé ma comunque ampiamente
positivo47. Di seguito saranno esaminati alcuni aspetti di maggiore rilievo critico.
Per quanto riguarda l’obiettivo di contrasto alla pandemia e la campagna di
vaccinazione al livello mondiale, la Dichiarazione riporta l’obiettivo «of vaccinating
at least 40 percent of the population in all countries by the end of 2021 and 70 per-
cent by mid-2022, as recommended by the World Health Organization (who)’s global
vaccination strategy» (punto 4). Si tratta di una sfida significativa tenuto conto che
nei paesi ad elevato reddito più del 70% della popolazione ha ricevuto almeno una
dose di vaccino mentre nei paesi poveri questa percentuale diminuisce drasticamente
e si attesta al 3%. Un contributo rilevante al raggiungimento dell’obiettivo stabili-
to dall’Organizzazione mondiale della Sanità è stato offerto dagli impegni assunti
dagli Stati del g20 di donare dosi di vaccino ai paesi in difficoltà, come annunciato
nell’ambito del Global Health Summit del 21 maggio 202148, e dai meccanismi posti
in essere al livello internazionale49. Su tali presupposti, l’obiettivo è stato ritenuto

46
  Governo italiano, g20 Rome Summit, la conferenza stampa conclusiva del Presidente Draghi,
31 ottobre 2021, reperibile all’indirizzo: https://www.governo.it/it/articolo/g20-rome-summit-la-confe-
renza-stampa-conclusiva-del-presidente-draghi/18429
47
  Si veda E. Greco, The Italian g20 Presidency: A Post-Summit Assessment, in Istituto Affari
Internazionali, 25 novembre 2021, reperibile on-line. A giudizio dell’Autore, malgrado le difficoltà di
realizzare risultati tangibili in un contesto generale di scarsa apertura, significativi risultati sono stati
raggiunti in tre direzioni distinte: far avanzare il dibattito su aspetti centrali quali i nuovi strumenti di
finanziamento dello sviluppo; la definizione di parametri aggiornati per l’implementazione degli sdgs
e il concetto di One Health. Concorda con il giudizio ampiamente positivo sui risultati raggiunti dal
Summit di Roma, del 30- 31 ottobre 2021, J. Kirton, The g20 Rome Summit’s Significant Performance,
reperibile on-line.
  Tra gli altri, il Canada si è impegnato a donare almeno 200 milioni di dosi di vaccino alla covax
48

Facility entro la fine del 2022 e a fornire, nell’immediato, fino a 10 milioni di dosi di Moderna; l’India
ha annunciato di essere pronta a produrre 5 miliardi di dosi di vaccino entro la fine del 2022; il Regno
Unito ha annunciato che avrebbe donato 20 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca ai Paesi in via di
sviluppo; la Francia si è impegnata a raggiungere 120 milioni di dosi di vaccino in donazione entro la
metà del 2022.
  Cfr. J. Kirton, An Analysis of the g20’s Significant Performance at the 2021 Rome Summit, re-
49

peribile on-line http://www.g20.utoronto.ca/analysis/211115-kirton-performance.pdf, p. 5: «g20 health

179
raggiungibile da alcuni, in quanto: «Large and realistic promises of contributions
from India, Canada and others rendered this commitment and the outcome target of
vaccinating 70% of the world’s adults by the end of 2022 credible»50. Altri, invece,
si sono mostrati scettici sulla concreta realizzazione di tali obiettivi51. Al di là delle
previsioni, va anche considerato che forse sarà di aiuto proprio il virus che, a dispetto
delle varianti in circolazione e della difficoltà di distribuzione dei vaccini a tutti i pa-
esi del mondo, specialmente a quelli più poveri, diventerà endemico (come sembra
sia già avvenuto in India) e terminerà di essere così pericoloso52.
Gli impegni in merito alla gestione dell’emergenza climatica, in parte esami-
nati sopra (v. par. 2 d), sono stati oggetto di un vivace dibattito e di qualche delusio-
ne53. Come anticipato, non è stato raggiunto un accordo al livello ministeriale e, di
conseguenza, il Summit del 30-31 ottobre si è fatto carico di trovare un compromesso
tra le posizioni divergenti degli Stati. L’importanza del consenso degli Stati su alcuni
punti decisivi risultava strategica anche in vista della cop26 sul clima nell’ambito
della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si sarebbe te-
nuta a Glasgow a seguire la conclusione del Vertice del g20.
In particolare, è emersa una netta divergenza sull’obiettivo di raggiungere la
neutralità climatica entro il 2050, con forti resistenze da parte di diversi Paesi (prin-
cipalmente Cina, Russia e India). Il testo di compromesso recita: «acknowledging
the key relevance of achieving global net zero greenhouse gas emissions or carbon
neutrality by or around mid-century» (punto 23)54. L’altro obiettivo da raggiungere
ha trovato anch’esso una formulazione non soddisfacente, secondo alcuni, in ragione
dell’urgenza di invertire la tendenza al surriscaldamento globale e di impegnarsi in
maniera più decisa rispetto a quanto stabilito nell’Accordo di Parigi del 2015: «We
remain committed to the Paris Agreement goal to hold the global average tempe-
rature increase well below 2°C and to pursue efforts to limit it to 1.5°C above pre-
industrial levels» (punto 21)55.

ministers in September produced 72 commitments. This was the highest ever, exceeding the 51 at Ber-
lin on May 20, 2017, the 69 at Mar del Plata, Argentina, on October 4, 2018, and the 62 at Okayama,
Japan, on October 20, 2019. The joint health-finance ministers meeting on universal health coverage on
June 28, 2019, produced none. On the eve of the summit, a second joint meeting of health and finance
ministers produced another 28 commitments».
50
  J. Kirton, op. ult. cit., p. 10.
51
  M. Delli Santi, op. cit., p. 1.
  Vedi The New Indian Express, India, the first nation to transition to endemic Covid, 15 novem-
52

bre 2021, reperibile all’indirizzo: https://www.newindianexpress.com/opinions/ columns/2021/nov/15/


india-the-first-nation-to-transition-to-endemic-covid-2383617.html.
53
  Tra gli altri, da parte del Segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres. Cfr. La Voce di
New York, Non è un bel clima, a Roma Guterres striglia i potenti del g20, 29 ottobre 2021, https://www.
lavocedinewyork.com/onu/2021/10/29/non-e-un-bel-clima-a-roma-guterres-striglia-i-potenti-del-g20/.
54
  Corsivo aggiunto.
55
  Come evidenziato dalla dottrina, l’approccio adottato dal Presidente Draghi, di procedere “one

180
In aggiunta, sono stati adottati ulteriori impegni che rivestono un certo rilie-
vo: il ruolo delle nuove tecnologie nella lotta ai cambiamenti climatici e l’importan-
za di sostenere la transizione verde con il contributo di capitali privati; l’impegno a
far cessare i finanziamenti internazionali per la costruzione di centrali a carbone en-
tro la fine del 202156, e il piano di rimboschimento globale che prevede mille miliardi
di alberi da piantare entro il 2030 volto a favorire l’assorbimento del carbonio57. Si è
ribadito, inoltre, l’impegno assunto nel 2009 a Pittsburgh di eliminare gradualmente
e razionalizzare, a medio termine, i sussidi inefficienti ai combustibili fossili, senza
tuttavia indicare un termine o le modalità necessarie a raggiungere tale obiettivo. A
questi si aggiunge l’impegno finanziario di 100 miliardi di dollari all’anno per cia-
scun anno, fino al 2025, a favore dei paesi in via di sviluppo58.
Il consenso raggiunto sulla “global minimum corporate tax” (imposta cal-
colata su un’aliquota minima globale del 15% per le multinazionali digitali e farma-
ceutiche, destinata, a partire dal 2023, a favore dei Paesi in cui i profitti sono effetti-
vamente realizzati) 59, come è stato osservato, riveste un elevato valore simbolico60.
La proposta, peraltro, era già stata discussa nell’ambito del g7 ed elaborata in seno
all’ocse61.
In merito alla riforma della governance globale62, come è stato osservato,
non sono stati raggiunti risultati apprezzabili: resta, di fatto, senza risposta l’attesa di
una auspicata riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio, né sono state
discusse proposte concrete di riforma della governance del Fondo Monetario Inter-
nazionale63. Un consenso è stato raggiunto, invece, sulla nuova allocazione di diritti
speciali di prelievo a favore dei paesi a basso reddito (che ammonta, come detto
sopra a 650 miliardi di dollari usa), ma gli Stati stanno ancora lavorando «on action-
able options for members with strong external positions to significantly magnify its
impact through the voluntary channelling of part of the allocated sdrs to help vulner-
able countries, according to national laws and regulations»64.

step at a time” verso gli obiettivi indicati contrasta con gli scenari apocalittici descritti dal Primo Mini-
stro del Regno Unito in vista della cop26. Cfr. E. Greco, op. cit., v. sopra nota 46.
56
  Dichiarazione, punto 28.
57
  Dichiarazione, punto 19.
58
  Dichiarazione, punto 25.
59
  Dichiarazione, punto 32.
  In primo luogo, in quanto la tassazione costituisce uno dei pilastri della sovranità nazionale e, in
60

secondo luogo, in quanto l’imposta in parola costituisce un tentativo di gestire gli effetti perversi della
globalizzazione. Si veda, al riguardo, E. Greco, op. cit., v. sopra nota 46.
  Per ulteriori approfondimenti, si rimanda a Servizio Studi del Senato, L’accordo di massima in
61

materia fiscale ocse/g20, Nota Breve N. 312, luglio 2021, reperibile on-line.
62
  Al riguardo, si veda E. Greco, F. Botti, N. Bilotta, Global governance at a turning point. The
role of the g20, iai, Roma, 2021, reperibile on-line.
63
  Ibidem.
64
  Dichiarazione, punto 10.

181
Nella medesima direzione di superare le disuguaglianze è la Debt Service Su-
spension Initiative, adottata dal fmi e della Banca Mondiale a maggio 2020 e destinata
ai “low income and lower income countries”65. Anche questa iniziativa trova origine
precedentemente alla Presidenza italiana del g20, la quale estende il numero dei pa-
esi beneficiari e ne prolunga la durata. Sull’efficacia dell’iniziativa si è espressa la
dottrina evidenziando alcune criticità che, di fatto, limitano notevolmente la concreta
possibilità per gli Stati di poterne beneficiare66. Innanzi tutto, va sottolineato che la
sospensione è fondata su una richiesta ufficiale di ciascuno Stato ai suoi creditori ma
la stessa si accompagna in seguito da una condizionalità che dovrà essere monitorata
da fmi e Banca Mondiale nel senso che le risorse rese disponibili dovranno essere
utilizzate per finanziare le spese sociali, sanitarie ed economiche in risposta alla crisi.
Inoltre, non tuti i Paesi vulnerabili possono beneficiarne, né tutti i debiti sono coperti
(ad esempio non lo sono gli indebitamenti multilaterali, es. somme dovute al fmi e
alla Banca Mondiale). Si deve aggiungere che non di rado i debiti sono frammentati
tra creditori pubblici e privati (questi ultimi non sarebbero coinvolti ma sono stati
incoraggiati dal g20 a partecipare all’iniziativa). Infine, è stato sottolineato un effetto
perverso, ovvero l’ipotesi che i creditori pubblici possano utilizzare la sospensione
del debito quale occasione per compiere un’ingerenza negli affari interni degli Stati
debitori67. Viceversa, la sospensione del debito potrebbe essere scambiata con investi-
menti in progetti inerenti i cambiamenti climatici (c.d. condizionalità verde).
Come è stato osservato dal Presidente Draghi nella conferenza stampa di
apertura del Summit: «Toghether, we are building a new economic model». Le crisi
globali, moltiplicatesi negli ultimi vent’anni, hanno favorito l’emergere di valori
condivisi che si sono affermati nella comunità internazionale. Oltre ai principi am-
bientali, sembra potersi rilevare la progressiva emersione di un criterio di equità, a
diversi livelli e in diversi ambiti, economici e non. L’economia permea ogni altro
ambito del vivere sociale e tali ambiti sono interconnessi. La complessità, quindi,
aumenta in una società globale fortemente interdipendente e gli strumenti di gover-
nance globale evolvono di conseguenza.
Dopo aver elencato i risultati raggiunti nel Summit di Roma, il Presidente ha
sottolineato che agli impegni assunti al livello politico occorre far seguire la realizza-
zione effettiva e concreta di quanto si è stabilito di fare68. In questo apparente iato tra

65
  Dichiarazione, punto 11.
  Si veda, per tutti, M. Frappier, Initiative de suspension du service de la dette des pays les plus
66

vulnérables face à la pandémie, Chronique deis faits internationaux (Fonds monétaire international –
Banque Mondiale), in Revue Générale de Droit International Public, n. 3, 2021, pp. 601- 604.
67
  Id, p. 603. Viene evidenziato, ad esempio, che la Cina è il principale creditore di molti Paesi africani
e che la stessa potrebbe vantare interessi diversi, anche in termini di investimenti, nel Continente africano.
68
  Dal testo del discorso, testualmente: «Siamo riusciti nel senso di mantenere vivi i nostri sogni,
impegnarci a ulteriori provvedimenti, ulteriori stanziamenti giganteschi di denaro, ulteriori promesse di
riduzione. E questo è un successo visto che negli ultimi mesi sembrava che soprattutto i Paesi emergenti
non avessero nessuna intenzione di prendere altri impegni. Ma ricordiamoci che il giudizio finale, come

182
impegni dichiarati e attuazione concreta si inserisce la riflessione sul futuro del g20.

5. Il g20 sta fornendo un contributo fondamentale al processo evolutivo di


governance della globalizzazione che muove, da un lato, dalla verticalizzazione di
interessi e valori comuni e, dall’altro, dalla partecipazione dei diversi attori coinvolti
in tale processo. Se è vero che non si sia (ancora) affermata una organizzazione con
competenza nella governance della globalizzazione è altresì evidente che le forme
tradizionali della cooperazione internazionale tra Sati sovrani tendono ad essere su-
perate da nuove forme di cooperazione internazionale.
La delicata fase di gestione della questione afgana ha visto fronteggiarsi
potenze appartenenti a schieramenti distinti e contrapposti: da un lato gli Stati Uniti
d’America e i Paesi dell’Alleanza atlantica e dall’altro la Cina, la Russia, la Turchia
e altri Paesi dell’area orientale. In questo scenario, sono presenti anche organizza-
zioni internazionali e attori non statali che prendono parte attiva (e in alcuni casi de-
cisiva) alla cooperazione internazionale (ad esempio, Nazioni Unite, oms, ue, Croce
rossa internazionale, ong). È lecito domandarsi se il tema del multilateralismo, che
più volte ricorre nei comunicati e nella dichiarazione finale del Vertice di Roma,
costituisca un baluardo contro il rischio di nuove egemonie che potrebbero portare al
fallimento del modello finora dominante di cooperazione, fondato sulla volontà so-
vrana degli Stati, sui principi democratici e sulla rule of law, oppure siano maturate
le condizioni per un nuovo multilateralismo, giustificato dall’esigenza di rispondere
in maniera coordinata alle emergenze globali rimodellando anche la sfera di prero-
gative sovrane degli Stati.
Il multilateralismo fa leva sulla convinzione che nessuno Stato basti a sé stesso
e che la cooperazione internazionale sia l’unica strada percorribile per tutti gli Stati.
Si tratta, peraltro, di una cooperazione internazionale rinnovata rispetto alla coopera-
zione internazionale classica del secondo dopoguerra, messa in discussione da nuove
tendenze contrastanti e da conflittualità e disordini, accentuati dall’insorgenza della
pandemia69. I protagonisti sono aumentati in numero, includono diverse istituzioni e
attori privati, ed esprimono una marcata eterogeneità. In questo contesto, il multilatera-
lismo (applicato alle emergenze globali) non permea soltanto l’attività ordinaria delle
organizzazioni internazionali classiche70 ma è esercitato anche dal g2071.

ci ricordano sempre gli attivisti e anche soprattutto i più giovani tra loro, viene poi formulato sulla base
di quello che noi facciamo e non di quello che noi diciamo. C’è stato un impegno collettivo a essere più
concreti e più seri anche nelle azioni che intraprenderemo in futuro», Governo italiano, g20 Rome Sum-
mit, la conferenza stampa conclusiva del Presidente Draghi, 31 ottobre 2021, https://www.governo.it/
it/articolo/g20-rome-summit-la-conferenza-stampa-conclusiva-del-presidente-draghi/18429.
69
  Una riflessione sulle tendenze più recenti è svolta da A. Cerretelli, Nasce un nuovo ordine
mondiale, sotto il segno dell’incertezza, Il Sole24Ore, 11 marzo 2020, reperibile on-line.
70
  Vedi L.S. Rossi (a cura di), Le organizzazioni internazionali quale strumento di governo mul-
tilaterale, Milano, 2006.
71
  Sembrerebbe, quindi, meno netta la contrapposizione tra il metodo di lavoro del g20, consisten-

183
Sul modo di intendere il multilateralismo, peraltro, incide il nuovo equilibrio
tripolare che si è consolidato nell’ultimo decennio con l’ascesa della Cina quale po-
tenza economica e politica mondiale rivale degli Stati Uniti72. Come è stato evidenzia-
to, la stabilità del quadro economico internazionale è in larga parte dipendente dalle
dinamiche e dalle forme di cooperazione che si riusciranno a realizzare tra tre distinti
“poli”: Stati Uniti, Europa e Asia del Pacifico73. In tale prospettiva, riveste particolare
interesse lo spostamento del baricentro del g20 dall’Europa, quindi dall’area europea-
occidentale, a quella dell’Asia del Pacifico, con la Presidenza dell’Indonesia nel 2022
(iniziata il 1° dicembre 2021)74 e, a seguire, dell’India nel 2023. Si tratterà quindi di
verificare in quale misura il g20 nella nuova Presidenza indonesiana sarà in grado di
portare avanti gli impegni che sono scaturiti dall’agenda del Vertice di Roma, in nu-
merosi ambiti (a partire da quello sanitario che, come illustrato sopra, prevede, entro
il 2022, la vaccinazione di buona parte della popolazione mondiale).
Considerata la situazione di relativa debolezza nella quale, da alcuni anni (e
ancor più a seguito della pandemia), si trovano le organizzazioni internazionali con
competenze in materia economica, tradizionalmente riconosciute come protagoniste
della governance globale (omc, fmi e Banca Mondiale)75, e la fatica con la quale
l’oms sta affrontando le sfide poste dalla pandemia da covid-19, sembra rivestire par-
ticolare rilievo il ruolo del g20 nel futuro nella cooperazione internazionale76. Si può
ritenere, ad esempio, che il lavoro svolto nell’ambito delle riunioni dei deputies e dei

te nella concertazione tra leader dei Paesi economicamente più avanzati, e il c.d. multilateralismo uni-
versalistico del sistema delle Nazioni Unite, su cui si veda, tra gli altri, A Di Stasi, Il contributo del g20
e del g8 alla definizione di nuove regulae dell’ordine internazionale tra effettività pseudo-istituzionale
e partnership di gruppo, in Rivista della Cooperazione giuridica internazionale, 2006, p. 44.
72
  L’ascesa della Cina al livello geo-politico e commerciale non ha comportato soltanto una cre-
scente conflittualità con gli Stati Uniti d’America ma anche ricadute sugli equilibri con altri Paesi da
tempo impegnati in intensi rapporti economici e commerciali con la Cina, tra cui l’Italia. Al riguardo,
si veda Xixi Hong, Italy Changes Track: From the Belt and Road to (Re)Alignment with Washington, in
IAI Commentaries n. 21/62, dicembre 2021, reperibile on-line.
73
  Si veda, tra gli altri, P. Guerrieri, Partita a tre. Dove va l’economia del mondo, Il Mulino, 2021.
L’Autore sottolinea, tra l’altro, il ruolo che l’Unione europea potrà svolgere nello scenario descritto
nella duplice veste di alleata degli Stati Uniti d’America e partner coinvolto attivamente nella coopera-
zione con la Cina e con i Paesi dell’Asia-Pacifico.
  Come si legge sul sito ufficiale della Presidenza dell’Indonesia, l’agenda dei lavori (“Recover
74

Together Recover Stronger”), si concentrerà su tre priorità: “Global Health Architecture, Sustainable
Energy Transition, and Digital Transformation”. Ulteriori approfondimenti sono disponibili sul sito:
https://g20.org/g20-presidency-of-indonesia/
75
  Si veda, di recente, G. Adinolfi, A tale of two crises: quali risposte dell’Organizzazione Mon-
diale del Commercio alla pandemia da Covid-19?, in P. Acconci, E. Baroncini (a cura di), Gli effetti
dell’emergenza Covid-19 su commercio, investimenti e occupazione. Una prospettiva italiana, Bolo-
gna, 2020, pp. 63- 85.
76
  P.H. Henley, N.M. Blokker, The Group of 20: A Short Legal Anatomy from the Perspective
of International Institutional Law, in Melbourne Journal of International Law, vol. 14, n. 2, 2013, p.
550- 607.

184
Ministri della salute con particolare riguardo all’approccio One Health e agli stru-
menti di prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia (ppr) possa servire da
punto di partenza per la negoziazione, nell’ambito dell’oms, di una convenzione o di
un altro strumento internazionale al fine di rafforzare la prevenzione, la preparazio-
ne e la risposta alle pandemie77. Nel frattempo, gli Stati stanno svolgendo un ruolo
significativo, coordinando le rispettive politiche sanitarie: il loro impegno tende alla
convergenza delle misure di contrasto alla pandemia78. La continuità del lavoro in
questo ambito, non dovrebbe essere compromessa dal cambio di presidenza del g20:
in tal senso, Arabia Saudita, Italia e, da ultimo, Indonesia si sono fatte carico, pari-
menti, di portare avanti gli sforzi congiunti per far fronte all’emergenza sanitaria.
Da tali osservazioni emerge il paradosso dell’attuale assetto di governance
globale centrato sul g20: sono proprio le caratteristiche del g20, quale soft inter-
national organization79, a decretarne il successo nell’attuale momento storico, che
segna un’evoluzione nell’ordine internazionale preesistente80. In definitiva, a rile-
vare maggiormente è il lavoro minuzioso di elaborazione dei contenuti negoziali
e di ricerca del consenso che viene svolto dai funzionari, dai tecnici, unitamente ai
contributi degli stakehoders, lungo tutta la durata dell’anno di presidenza del g20,
più che i contenuti (pur significativi) della dichiarazione finale.
Innanzi tutto, si consolida una articolazione sempre più complessa del g20
che è testimoniata dall’istituzione di gruppi di lavoro, task force, panel a carattere
permanente che continuano a lavorare senza sosta anche sotto la presidenza del pa-
ese che succede a quello che ha istituito l’organo suddetto81. Pertanto, assistiamo ad
una cooperazione sempre più “strutturata” e stabile tra gli Stati (sebbene la continu-

77
  Il 1° dicembre 2021 l’Assemblea dell’oms ha deciso di avviare il processo negoziale in vista
dell’adozione di uno strumento vincolante sulla prevenzione, preparazione e risposta alle pandemie,
come si legge dal comunicato ufficiale: https://www.who.int/news/item/01-12-2021-world-health-
assembly-agrees-to-launch-process-to-develop-historic-global-accord-on-pandemic-prevention-prepa-
redness-and-response.
  Cfr. M. Panebianco, Lo Stato post-globale. Ascesa e resistenza dello Stato globale Covid-free,
78

Napoli, 2020.
79
  Si veda, ex multis, J. Klabbers, Institutional Ambivalence by Design: Soft Organizations in
International Law, in Nordic Journal of International Law, 2001, pp. 403-421; A. Di Stasi, Le soft in-
ternational organizations: una sfida per le nostre categorie giuridiche?, in La Comunità internazionale,
n. 1, 2014, pp. 39-63.
80
  Cfr. M. Larionova, J. Kirton, op. cit. (v. nota 18); R. Benson, M. Zürn, Untapped potential:
How the G20 can strengthen global governance, in South African Journal of International Affairs,
2019, vol. 26, n. 4, pp. 549- 562; M. Frigessi di Rattalma, La riforma della governance mondiale nel
tempo della crisi, in La Comunità internazionale, 2011, pp. 211- 230.
81
  Un esempio è costituito dalla Task Force per la salute digitale (Digital Health Task Force), istitu-
ita dalla presidenza g20 dell’Arabia Saudita, con l’obiettivo di elaborare delle “Linee guida sulla salute
digitale per l’innovazione e la trasformazione”. Alla Task Force sono stati invitati a partecipare l’oms,
l’ocse, la Global Digital Health Partnership (gdhp), l’Unione internazionale delle telecomunicazioni
(itu) e il Global Fund. Cfr. ispi, Il g20 del 2021: il summit “italiano” nell’anno della pandemia, in
Osservatorio di Politica internazionale, n. 168, febbraio 2021, p. 16.

185
ità e il coordinamento tra presidenze a rotazione non sia sempre garantito in ragione
dell’assenza di un segretariato permanente)82, che non corrisponde al modello tra-
dizionale di organizzazione internazionale ma è senza alcun dubbio più inclusivo e
più flessibile83. In secondo luogo, le caratteristiche strutturali vanno di pari passo con
il perseguimento di obiettivi di rilievo globale che trovano diversi contesti di affer-
mazione al livello internazionale in quanto sono espressione di valori riconosciuti al
livello universale: salute, ambiente, clima, crescita economica e stabilità finanzia-
ria. In questa dinamica di cooperazione internazionale aperta e fluida trova spazio
e ideale espressione anche l’impulso che l’Unione europea riesce ad offrire, quale
organizzazione regionale dotata di personalità giuridica84, e mediante il contributo
fondamentale dei suoi Stati membri (nell’analisi sin qui condotta, dall’Italia), nel
momento in cui assumono la presidenza del g20.

6. Sul piano della concreta realizzazione degli impegni assunti dagli Stati
nell’ambito del g20 si gioca la sfida del global law85. L’assenza di vincolatività di
comunicati e della dichiarazione del Vertice finale del g20 ha fatto considerare tali
atti nell’ambito della più generale categoria del soft law. Gli stessi, quale espressio-
ne di conferenze o riunioni periodiche di Stati al vertice (capi di Stato e di Governo)
sono più precisamente accordi di natura non obbligatoria (o accordi di concertazio-
ne politica), anche indicati come diritto presidenziale o di vertice (top law). Il loro
carattere non convenzionale e non coercitivo, in ogni caso, non significa assenza di
rilievo giuridico in quanto «pur non esprimendo la cosiddetta volontà di obbligare,
rispondono ad una voluntas agendi aut operandi “di vertice”, producendo altresì un
effetto cosiddetto permissivo o raccomandatorio, di legittimazione dei comporta-
menti in essi previsti»86.
La dottrina si è soffermata diffusamente ad esaminare la natura degli atti
prodotti dai vertici informali (g7/g8/g20), talvolta inquadrando questi ultimi nel

82
  Cfr. N. Bilotta, F. Botti, The Role of the g20 in Promoting Global Governance: Challenges
and Opportunities for the Italian Presidency in 2021, in E. Greco, F. Botti, N. Bilotta, op. cit., p. 31.
83
  Vi è vasta letteratura in tema di organizzazione internazionale.
  A tal proposito, sia consentito rinviare a D. Marrani, L’Unione europea nel g7 e nel g20. Geo-
84

diritto e Bio-diritto, in Rivista della Cooperazione giuridica internazionale, Vol. 68, 2021, pp. 161- 181.
  Definire la nozione di “global law” è un’operazione complessa in quanto, da una parte, non
85

tutti gli studiosi riconoscono l’esistenza di questa categoria e, tra quelli che la riconoscono, ciascuno
la esamina da una diversa prospettiva (che, di volta in volta, si focalizza su elementi diversi: lo Stato,
la norma, l’ordinamento giuridico). Tra i numerosi contributi dottrinali in argomento, si vedano: M.
Delmas-Marthy, Global Law: A Triple Challenge, Transnational Publishers, 2003; P. LeGoff, Global
Law: a legal phenomenon emerging from the process of globalization, in Indiana Journal of Global
Legal Studies, vol. 14, 2007, pp. 119 ss.; G. Ziccardi Capaldo, The Pillars of Global Law, Routledge,
2018; S. Cassese, A World Government?, Global Law Press, 2018. Di recente, una interessante rico-
struzione sul “global law” delle piattaforme digitali è stata offerta da F. Bassan, Digital Platforms and
Global Law, Cheltenham, 2021.
86
  Così A. Di Stasi, Il contributo del G20 e del G8, cit., p. 36.

186
c.d. pre-diritto (pre-law)87. La riflessione si è concentrata altresì sulla trasformazio-
ne degli atti di soft law in atti di hard law in una molteplicità di ambiti del diritto
internazionale88. Non si intende ripercorrere, in questa sede, le argomentazioni e le
conclusioni raggiunte: il dibattito resta ancora aperto.
Un profilo sembra emergere dall’analisi condotta in questo contributo, nelle
diverse materie che hanno formato oggetto delle riunioni ministeriali e presidenziali:
il g20 collabora con le organizzazioni internazionali, coordinando il proprio lavoro
con diversi altri soggetti e attori (anche privati), ai fini della definizione di standard
che costituiscono norme globali di riferimento accettate dagli operatori di un de-
terminato settore. Va appena sottolineato, al riguardo, che non ha molta rilevanza
verificare se gli standard siano riprodotti in norme di legge (o contenuti in altri atti a
carattere vincolante), oppur no, dal momento che la logica è di natura funzionale89.
Tale processo, che è stato avviato con l’elaborazione degli standard finanziari, a se-
guito della crisi economico-finanziaria del 2009, su impulso del Financial Stability
Board, si sta allargando ad altri ambiti. Basti pensare al lavoro svolto in diverse sedi
istituzionali (in primis l’ocse) finalizzato all’adozione della “global minimum tax”
per le imprese multinazionali o alla progressiva messa a punto di criteri di imple-
mentazione degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile (sdgs) e, in prospettiva, all’e-
laborazione di standard di sicurezza informatica, di cui già si sta occupando il fsb.
Piuttosto, l’attuale proliferazione di “standard setting bodies” potrebbe generare una
situazione dispersiva che rischia di ripercuotersi sul piano regolatorio, vanificandone
di fatto ogni utilità.
Nello scenario appena delineato, sembra emergere un rinnovato interesse per
la proposta avanzata da più di un decennio, nell’ambito del g8 del 2009 a presidenza
italiana90, di stabilire una iniziativa unificata di elaborazione dei global legal stan-
dards al fine di assicurare il governo della globalizzazione. Come è stato osservato:
«Such standards can help to re-bundle an otherwise fragmenting global economy,
addressing various forms of inequality and imbalances, and deflecting from the risk
of differential, local-standards-based globalization (or rather de-globalization)»91.

87
  Si veda F.V. Kratochwil, Rules, norms and decisions, Cambridge, 1989.
88
  Per uno studio sul ruolo del soft law «with a view to assessing the impact on the formation of
binding international law of instruments formally devoid of normative force within the international
legal order», si veda, di recente, G. Adinolfi, Soft Law in International Investment Law and Arbitration,
in The Italian Review of International and Comparative Law, n. 1, 2021, pp. 86- 112.
89
  In proposito, particolare interesse ha suscitato una recente sentenza della Corte di giustizia che
ha riconosciuto l’ammissibilità del rinvio pregiudiziale avente ad oggetto la validità di atti di soft law,
in specie, si trattava degli orientamenti dall’Autorità Bancaria Europea (eba) in merito ai dispositivi di
governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio. Cfr. sentenza del 15 luglio 2021, Fédération
bancaire française (fbf) contro Autorité de contrôle prudentiel et de résolution (acpr), causa c- 911/19.
90
  Si veda, sul punto, M. Panebianco (a cura di), Il g8 2009, sistema multi-regionale di stati,
Napoli, 2009.
  Così G. Farese, F. Jun, E. Jones (Working Group coordinated by M. Dassù, Aspen) Policy Brief,
91

187
Il rischio di una regionalizzazione anti-global che finirebbe per compromettere gli
sforzi congiunti, in effetti, è reale (anche alla luce del summenzionato equilibrio tri-
polare): la difficoltà a raggiungere il consensus in materia climatica ne è una testimo-
nianza inequivocabile. Gli ambiti che formano oggetto di attenzione riguardano (per
il momento) tre settori interconnessi: “global value chains”, “finance and taxation”, e
“corporate governance”. La proposta, che non ebbe seguito in quegli anni, potrebbe
essere rilanciata in un futuro prossimo dal g20, come è stato suggerito di recente92.

G20 – Italy 2021

Abstract: The paper analyzes the main results of the 2021 Italian g20’s Presidency
in light of the evolution of the g20’s key role in global governance. Starting from the
Ministerial meetings (on the main topics: Health, Economy and Finance, Ecology
and Climate and Energy), following with the Presidential, both analyzing the g20
extraordinary leaders’ meeting on Afghanistan (October 12th, 2021) and the Rome
Summit (October 30-31st, 2021), the article makes some remarks on different issues
(from multilateralism to global legal standards), concluding on the future of g20.

Keywords: g20- g20 Rome Summit- Health- Climate change- Environment- Global
minimum tax, Afghanistan

Global Legal Standards: Pathways to reorganise globalization, Settembre 2021, reperibile on-line, p. 3.
  Vedi nota 91, p. 3: «The first proposal of this kind was made in 2009, at the g8 under the Italian
92

presidency (Tremonti 2012). Subsequently the establishment of the Financial Stability Board and the
adoption of voluntary standards prevailed. Today the g20 – representing 90% of global gdp, 80% of
trade and two-thirds of the world population − offers a better vehicle for success on a global scale. No
other configuration has the legitimacy and capabilities to establish Global Legal Standards, as well as
the political impetus to push them forward».

188
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-11
pp. 189-190

IL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO


E L’USO DELLE ARMI NUCLEARI

Giorgio Bosco *

Un problema sempre vivo è quello della libertà dell’uso dell’arma nucle-


are. In occasione del 20° anniversario (8 Luglio 2016) del parere consultivo della
Corte Internazionale di Giustizia “on the legality of nuclear weapons”, il Comitato
Internazionale della Croce Rossa ha evidenziato l’importanza di tale parere, che ha
rappresentato l’unica volta in cui la Corte ha esaminato in dettaglio le regole di con-
dotta delle ostilità, affermando all’unanimità che l’uso di armi nucleari deve essere
compatibile con i principi e le regole di diritto internazionale umanitario.
Queste norme furono sintetizzate dalla Corte in due capisaldi. Il primo è
quello dell’obbligo di non fare mai i civili oggetto di attacco, da cui discende il di-
vieto dell’uso di armi indiscriminate. Il secondo è il divieto di provocare ai combat-
tenti sofferenze non necessarie. Inoltre, la Corte menzionò la Quarta Convenzione
dell’Aja del 1907 sulle leggi e gli usi di guerra, nonché le quattro Convenzioni di
Ginevra del 1949.
Nel suo commento il cicr sottolinea che dopo un ventennio il diritto consue-
tudinario si è evoluto, e v’è ora una più chiara visione dell’insieme di regole che si
applicherebbero a qualunque uso di armi nucleari. Grazie alla prassi ed all’evolversi
della “opinio juris”, regole come quelle della proporzionalità, del divieto di attacchi
indiscriminati e delle possibili precauzioni, costituiscono ormai degli obblighi giu-
ridici rilevanti per considerare l’uso di armi nucleari in base al diritto internazionale
umanitario. Anche se non specificatamente menzionate nel parere della Corte, tali
regole sono sicuramente applicabili al giorno d’oggi.
La ferma presa di posizione del cicr è stata di ausilio a quel gruppo di Stati
che si sono adoperati affinché l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottasse
nel Luglio 2017 la Convenzione sul divieto delle armi nucleari (peraltro non firmata
dalle principali Potenze nucleari).
Due anni dopo il cicr è tornato sull’argomento delle armi nucleari, inqua-
drato nella più ampia problematica dei “cbrn weapons”, ossia “chemical, biological,
radiological or nuclear”.
Il cicr ha creato una capacità, basata sulla competenza, di rispondere almeno
ad eventi cbrn su scala minore. Vi si comprendono giudizi informati sui rischi, deci-
sioni tempestive su come rispondere, istruzioni su come mobilitare le risorse neces-
sarie ad eseguire tali decisioni e su come istituire uno schedario di emergenza. Oltre
all’acquisizione di esperienze tecniche e di risorse materiali, una cosiffatta capacità
si basa sull’applicazione di procedimenti centralizzati, su una sistematica gestione
delle risposte ai cbrn e sul rispetto di procedure operative.

*
  Già Ambasciatore d’Italia e Professore alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione, Roma.

189
Tutto ciò dovrà essere tenuto presente da qualsiasi ong od altro attore che si
preparino a fornire assistenza umanitaria internazionale in occasione di eventi cbrn,
specialmente se tali eventi sono collegati a conflitti armati.
Il cicr si è anche preoccupato che i cbrn possano essere sviluppati ed usati da
attori non statali in attacchi da essi condotti. Tali attori sono potenziali utenti di armi
cbrn, progressivamente in grado di acquisirne la conoscenza, il know-how ed i rela-
tivi materiali. Comunque, difficoltà tecniche si frapporranno tra la possibilità teorica
e la realtà operativa, per cui attacchi del genere, anche con materiali chimici e radio-
logici, saranno probabilmente di basso livello, “more disruptive than destructive”.

190
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-12
pp. 191-200

DOSSIER STATI
BIELORUSSIA

LAW OF THE REPUBLIC OF BELARUS ON INVESTMENTS


JULY 12, 2013 N 53-Z

ADOPTED BY THE HOUSE OF REPRESENTATIVES


ON JUNE 26, 2013
APPROVED BY THE COUNCIL OF THE REPUBLIC
ON JUNE 28, 2013

[Preamble]
This Law establishes legal foundations and basic principles of making in-
vestments on the territory of the Republic of Belarus and aimed at attracting invest-
ments into the economy of the Republic of Belarus, securing warranties, rights and
legitimate interests, as well as their equal protection.

CHAPTER 1
GENERAL PROVISIONS

Article 1. Key terms used in this Law and their determinations


Investments are any property and other objects of civil rights that belong
to the investor on the right of ownership, other legal basis, allowing him to dispose
of such objects invested on the territory of the Republic of Belarus by the methods
provided for in this Law, in order to make a profit (income) and (or) to achieve other
significant results or for other purposes not related to personal, family, household or
other similar use, in particular:
movable and immovable property, including stocks, shares in the registered
capital, equity interests in the property of the commercial organization established
on the territory of the Republic of Belarus, monetary funds, including the attracted,
among them loans and credits;
rights of claim, with assessment of their value;
other objects of civil rights, with assessment of their value, except for the
types of objects of civil rights, the circulation of which is not allowed (objects taken
out of circulation).
Investors:
the citizens of the Republic of Belarus, foreign citizens and stateless persons
permanently residing in the Republic of Belarus, including individual entrepreneurs

191
and legal entities of the Republic of Belarus making investments on the territory of
the Republic of Belarus;
foreign citizens and stateless persons not permanently residing in the Repub-
lic of Belarus, the citizens of the Republic of Belarus permanently residing outside
of the Republic of Belarus, foreign and international legal entities (organizations that
are not legal entities) making investments on the territory of the Republic of Belarus
(hereinafter referred to as the foreign investors).

Article 2. Scope of application of this Law


The force of this Law applies to the relations connected with making invest-
ments on the territory of the Republic of Belarus, except for:
investments of property to non-profit organizations, in respect of the prop-
erty of which their founders (participants) do not have property rights or other pro-
prietary rights;
acquisition of securities, except for stock certificates;
acquisition or construction by the citizens of the Republic of Belarus, for-
eign citizens and stateless persons of apartment houses, residential accommodations
for those citizens of the Republic of Belarus, foreign citizens and stateless persons
and (or) their family members;
granting of loans and their repayment, placement of bank deposits (depos-
its).

Article 3. Law of the Republic of Belarus in the field of investments


The Law of the Republic of Belarus in the field of investments is based on
the Constitution of the Republic of Belarus and consists of this Law and other legis-
lative acts of the Republic of Belarus.
If the international treaty of the Republic of Belarus establishes other rules,
other from those that are provided by this Law, then the rules of the international
treaty shall apply.

Article 4. Methods of making investments


On the territory of the Republic of Belarus investments shall be made by the
following methods:
the creation of the commercial organization;
the acquisition, creation, including by means of construction, of objects of
immovable property, except for the cases determined by paragraph 4 of Article 2 of
this Law;
the acquisition of rights on the objects of intellectual property;
the acquisition of stocks, shares in the registered capital, equity interests in
the property of the commercial organization, including the cases of increase of the
registered capital of the commercial organization;
on the concession basis;

192
by other methods, except for those prohibited by the legislative acts of the
Republic of Belarus.

Article 5. Basic principles of making investments


Making investments is based on the following principles:
investors, as well as the state, its agencies and officials act within the scope
of the Constitution of the Republic of Belarus and the legislative acts of the Republic
of Belarus adopted in accordance with it (the principle of the supremacy of law);
investors are equal before the law and exercise the rights without any dis-
crimination (the principle of equality of investors);
investors make investments in good faith and in reason without doing harm
to another person, the environment, historical and cultural values, infringement of
rights and legally protected interests of other persons or abuse of rights in other
forms (the principle of fairness and reasonableness of making investments);
intervention in private affairs is not allowed, except in cases when such an
intervention is made on the basis of legislative acts of the Republic of Belarus in the
interests of national security (including the protection of the environment, historical
and cultural values), public order, protection of morality, health, rights and freedoms
of other persons (the principle of inadmissibility of arbitrary interference in private
affairs);
investors are guaranteed to exercise rights and legitimate interests in court
and by other methods allowed by the law of the Republic of Belarus, including inter-
national treaties of the Republic of Belarus (the principle of ensuring the restoration
of violated rights and legitimate interests, their judicial protection).
When making investments the priority of the generally accepted principles
of the international law is recognized.

Article 6. Restriction of rights when making investments


It is not allowed to make investments into the property of legal entities with
dominant position in product markets of the Republic of Belarus, without the con-
sent of the antimonopoly agency of the Republic of Belarus in the cases established
by the antimonopoly law of the Republic of Belarus, as well as the types of activi-
ties prohibited by the legislative acts of the Republic of Belarus. Restrictions when
making investments can also be established on the basis of legislative acts of the Re-
public of Belarus in the interests of national security (including protection of the en-
vironment, historical and cultural values), public order, protection morality, health,
rights and freedoms of other persons.

193
CHAPTER 2
STATE REGULATION IN THE FIELD OF INVESTMENTS

Article 7. Performance of the state regulation in the field of investments


State regulation in the field of investments is performed by the President of
the Republic of Belarus, the Government of the Republic of Belarus, the republican
body of state regulation and control in the field of investments, other republican bod-
ies of state control, other state organizations subordinated to the Government of the
Republic of Belarus, local executive and administrative bodies, the state organiza-
tion authorized to represent the interests of the Republic of Belarus on the issues of
attracting investments into the Republic of Belarus, within their powers in accord-
ance with the law of the Republic of Belarus.

Article 8. Powers of the President of the Republic of Belarus


in the field of investments
The President of the Republic of Belarus in the field of investments:
determines the unified state policy;
determines the republican body of state control performing regulation and
management in the field of investments;
determines the conditions of concluding investment agreements with the Re-
public of Belarus;
exercises other powers in accordance with the Constitution of the Republic
of Belarus, this Law and other legislative acts of the Republic of Belarus.

Article 9. Powers of the Government of the Republic of Belarus


in the field of investments
The Government of the Republic of Belarus in the field of investments:
ensures conducting the unified state policy;
determines priority types of activities (sectors of economy) for making in-
vestments;
determines the procedure for the conclusion, modification, termination and
state registration of investment agreements with the Republic of Belarus;
exercises other powers conferred on it by the Constitution of the Republic
of Belarus, the laws of the Republic of Belarus and the acts of the President of the
Republic of Belarus.

Article 10. Powers of other state bodies and other state agencies
in the field of investments
The republican body of state control performing regulation and control in
the field of investments, other republican bodies of state control, other state organi-
zations subordinated to the Government of the Republic of Belarus, local executive
and administrative bodies ensure the implementation of the unified state policy in the

194
field of investments within its competence.
The state organization authorized to represent the interests of the Republic
of Belarus on the issues of attracting investments into the Republic of Belarus, en-
sures the interaction of investors with the republican bodies of state control, other
state organizations subordinated to the Government of the Republic of Belarus, local
executive and administrative bodies, exercises other powers in accordance with the
law of the Republic of Belarus.

CHAPTER 3
GUARANTEES OF RIGHTS OF INVESTORS AND PROTECTION
OF INVESTMENTS

Article 11. Guarantees of transfer of compensation and other monetary funds


of foreign investors
Foreign investors are guaranteed a free transfer outside the Republic of Be-
larus of the compensation provided for in the second and fourth paragraphs of Article
12 of this Law.
After payment of taxes and levies (duties) and other obligatory payments
established by the law of the Republic of Belarus to the national and local budgets,
state non-budgetary funds foreign investors are guaranteed a free transfer outside
the Republic of Belarus of the profit (income) and other legally obtained monetary
funds related to making investments on the territory of the Republic of Belarus, as
well as the payments made in favor of the foreign investor, and related to making
investments, including:
monetary funds received by foreign investors after the partial or complete
stopping of making investments on the territory of the Republic of Belarus, includ-
ing monetary funds received by foreign investors as a result of the alienation of in-
vestments, as well as formed as a result of making investments of the property, other
objects of civil rights;
monetary funds that are due on account of the payment of wages to foreign
citizens and stateless persons working under an employment contract;
monetary funds owed to foreign investors according to the court decision.
Transfer of the compensation provided for in the second and fourth para-
graphs of Article 12 of this Law shall be performed at the option of the foreign
investor in the Belarusian rubles or foreign currency to the country specified by the
foreign investor, if such a transfer is not contrary to the international obligations of
the Republic of Belarus.
Transfer of monetary funds specified in the second paragraph of this article
may be restricted in the manner and on the conditions specified by the legislative
acts of the Republic of Belarus and (or) according to the court decision, adopted in
accordance with the law of the Republic of Belarus and entered into force.

195
Article 12. Protection of property against nationalization and requisition
The property which is formed by investments or as a result of making invest-
ments may not be nationalized or requisitioned.
Nationalization is possible only on the grounds of public necessity and on
condition of a timely and complete compensation of value of the nationalized prop-
erty and other damages caused by nationalization.
The procedure and conditions of nationalization, as well as payment of com-
pensation of value of the nationalized property and other damages caused by nation-
alization shall be determined on the basis of the law on the procedure and conditions
for the nationalization of this property taken in accordance with the Constitution of
the Republic of Belarus.
The requisition is possible only in cases of natural disasters, accidents, epi-
demics, epizootics and in other circumstances of extraordinary nature in the public
interests by the decision of the state bodies in the manner and on the conditions
provided by the law, with the payment of compensation to the investor of the value
of the requisitioned property.
The investor whose property is requisitioned shall be entitled upon termina-
tion of the circumstances in connection with which the requisition is performed to
require to return the remaining property to him at law.
The size of the compensation provided for in the second and fourth para-
graphs of this Article may be appealed by the investor to the court.

Article 13. Resolution of disputes between the investor and


the Republic of Belarus
The disputes between the investor and the Republic of Belarus arising when
making investments shall be resolved in an out-of-court procedure through negotia-
tions unless established otherwise by the legislative acts of the Republic of Belarus.
The disputes between the investor and the Republic of Belarus not resolved
in an out-of-court procedure through negotiations within three months from the date
of receipt of the written proposal for their resolving shall be resolved by judicial
means in accordance with the law of the Republic of Belarus.
If disputes not being within the exclusive jurisdiction of the courts of the
Republic of Belarus that arose between the foreign investor and the Republic of Be-
larus are not resolved in an out-of-court procedure through negotiations within three
months from the date of receipt of the written proposal for their resolution in an out-
of-court procedure, then such disputes at the option of the investor may be resolved:
in the arbitration court established to resolve each specific dispute in accord-
ance with the Arbitration Rules of the United Nations Commission on the Law of
International Trade (uncitral) if the parties to the dispute will not agree otherwise;
in the International Centre for Settlement of Investment Disputes (ICSID) in
case this foreign investor is the citizen or the legal entity of the state – the party to the
Convention on the settlement of investment disputes between the states and natural

196
persons or legal entities of other states dd. March 18, 1965.
In case the international treaty of the Republic of Belarus and (or) the agree-
ment concluded between the investor and the Republic of Belarus establishes other-
wise with regard to the resolution of disputes between the investor and the Republic
of Belarus arising when making investments, then the provisions of the international
treaty of the Republic of Belarus and (or) the agreement concluded between the in-
vestor and the Republic of Belarus shall apply.

CHAPTER 4
RIGHTS AND OBLIGATIONS OF INVESTORS

Article 14. Rights of investors


Investors are entitled to sell their property and non-property rights in accord-
ance with the law of the Republic of Belarus.
On the part of the investors are the exclusive rights to the objects of intel-
lectual property.
Investors and (or) commercial organizations established in the prescribed
manner with the participation of the investor (investors) have the right to get plots of
land in use, rent, property in accordance with the law of the Republic of Belarus on
the protection and use of land.

Article 15. Right for the creation of the commercial organization


Investors shall be entitled to create on the territory of the Republic of Bela-
rus commercial organizations with any volume of investments, in any organizational
and legal forms provided for by the law of the Republic of Belarus, subject to the
restrictions established by Article 6 of this Law.
Commercial organizations are created and registered on the territory of the
Republic of Belarus in the manner established by the law of the Republic of Belarus,
regardless of participation of the foreign investor in this organization.
Foreign investors shall be entitled during the creation of the commercial
organization to acquire stocks, shares in the registered capital, equity interests in the
property of the commercial organization, including cases of increasing the registered
capital of the commercial organization, to contribute in the foreign currency and
(or) Belarusian rubles, as well as a nonmonetary contribution with assessment of its
value in accordance with the law of the Republic of Belarus.

Article 16. Rights for benefits and preferences


Investors when making investments into the priority types of activities (sec-
tors of economy), and in other cases established by the legislative acts of the Repub-
lic of Belarus and (or) international legislation that are mandatory for the Republic
of Belarus shall be entitled to use benefits and preferences in accordance with the

197
law of the Republic of Belarus and (or) international legislation that are mandatory
for the Republic of Belarus.
Article 17. Right for the conclusion of the agreement (agreements) with the
Republic of Belarus The investor shall be entitled to conclude an agreement (agree-
ments) with the Republic of Belarus connected with the implementation of invest-
ments, on the terms and conditions established by the law of the Republic of Belarus.
In order to create additional conditions for making investments the investor
or investors shall be entitled to conclude an investment agreement with the Republic
of Belarus.
The investment agreement with the Republic of Belarus is concluded on the
basis of the decision of the state body or other public organizations that are deter-
mined in accordance with the legislative acts of the Republic of Belarus.
The investment agreement with the Republic of Belarus shall specify:
the object, the amount, terms and conditions of making investments;
rights and liabilities of investors (investors) and the Republic of Belarus;
the liability of the parties to the agreement for non-compliance of its terms;
other terms determined in accordance with the legislative acts of the Repub-
lic of Belarus.

Article 17. Right to conclusion of a contract (contracts) with


the Republic of Belarus
An investor has the right to conclude a contract (contracts) with the Republic
of Belarus, related to carrying out investments, in the order and on the conditions
established by the legislation of the Republic of Belarus.
For purposes of creating additional conditions for carrying out investments,
an investment or investors have the right to conclude an investment contract with the
Republic of Belarus.
An investment contract with the Republic of Belarus is concluded on the
basis of a decision of a state body and another state organization determined in ac-
cordance with the legislative acts of the Republic of Belarus.
An investment contract with the Republic of Belarus must determine:
object, volume, time limits, and conditions for carrying out investments;
rights and duties of the investor (investors) and the Republic of Belarus;
liability of the contract parties for non-compliance with its terms and condi-
tions;
other conditions determined in accordance with the legislative acts of the
Republic of Belarus.

Article 18. Right for the attraction to the Republic of Belarus


of foreign citizens and stateless persons for work
Investors and (or) commercial organizations established in the prescribed
manner with the participation of the investor (investors) shall be entitled to attract

198
to the Republic of Belarus foreign citizens and stateless persons, including those not
having a permit for permanent residence in the Republic of Belarus, for the work
activity in the Republic of Belarus under labor contracts in accordance with the law
of the Republic of Belarus.

Article 19. Liabilities of investors


Investors shall be obliged:
to abide by the Constitution of the Republic of Belarus and the legislative
acts of the Republic of Belarus adopted in accordance with it;
not to take actions of unfair competition, as well as actions (inactivity),
aimed at the prevention, elimination or restriction of competition, doing harm to the
rights, freedoms and lawful interests of other persons;
to perform other duties established by the law of the Republic of Belarus.

CHAPTER 5
FINAL PROVISIONS

Article 20. Introduction of changes into the Investment code


of the Republic of Belarus
To exclude Sections I, II, IV and V of the Investment code of the Republic
of Belarus dd. June 22, 2001 (National register of legislative acts of the Republic
of Belarus, 2001, N 62, 2/780; 2004, N 126, 2/1062; N 175, 2/1074; 2006, N 122,
2/1256; 2008, N 172, 2/1469; N 175, 2/1494; 2009, N 276, 2/1607).

Article 21. Transitional provisions


Prior to bringing the legislative acts of the Republic of Belarus in conformity
with this Law that shall be applied in the part which is not contrary to this Law unless
otherwise provided by the Constitution of the Republic of Belarus.
Commercial organizations recognized prior to the entry into force of this
Law as the commercial organizations with foreign investments, shall be entitled:
to use in their names the words indicating the participation of the foreign
investor (foreign investors) before the cessation of membership of the last in the
commercial organization;
to form the registered capital in the amount specified in the charter (the
memorandum of association – for a commercial organization operating only on the
basis of the memorandum of association), within two years from the date of entry
into force of this Law in case the registered capital was not formed in the specified
amount on the date of entry into force of this Law;
to change the size of the registered capital specified in the charter (the mem-
orandum of association – for the commercial organization operating only on the
basis of the memorandum of association), but not less than the minimum amount

199
prescribed by the law of the Republic of Belarus in accordance with the law of the
Republic of Belarus.

Article 22. Measures on the implementation of provisions of this Law


For the Council of Ministers in six months:
to provide bringing the legislative acts of the Republic of Belarus in con-
formity with this Law;
to take other measures necessary for the implementation of the provisions
of this Law.

Article 23. Entry into force of this Law


This Law shall enter into force in the following order:
Articles 1 - 21 – in six months after the official publication of this Law;
Article 22 – after the official publication of this Law.

President of the Republic of Belarus


А. Lukashenko

200
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-13
pp. 201-209

ACCORDI INTERNAZIONALI

ACCORDO
TRA L’UNIONE EUROPEA E LA REPUBBLICA DI BIELORUSSIA
RELATIVO ALLA FACILITAZIONE DEL RILASCIO DEI VISTI *

L’unione europea, in seguito denominata «Unione»,


e
la repubblica di bielorussia, in seguito denominata «Bielorussia»,

in seguito denominate «parti»;

Desiderose di agevolare i contatti diretti tra le persone, quale condizione essenziale


per un saldo sviluppo dei legami economici, umanitari, culturali, scientifici e di altro tipo,
facilitando il rilascio dei visti ai cittadini dell’Unione e della Bielorussia su una base di re-
ciprocità;
riconoscendo che la facilitazione del rilascio dei visti non deve agevolare l’immi-
grazione irregolare e prestando particolare attenzione alla sicurezza e alla riammissione;
tenendo presenti i principi fondamentali che disciplinano la cooperazione tra le par-
ti, nonché gli obblighi e le responsabilità, compreso il rispetto dei diritti umani e dei principi
democratici, derivanti dai pertinenti strumenti internazionali ad esse applicabili;
Tenendo conto del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda ri-
spetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e del protocollo sull’acquis di Schengen
integrato nell’ambito dell’Unione europea, allegati al trattato sull’Unione europea e al trat-
tato sul funzionamento dell’Unione europea, e confermando che le disposizioni del presente
accordo non si applicano al Regno Unito e all’Irlanda;
Tenendo conto del protocollo sulla posizione della Danimarca allegato al trattato
sull’Unione europea e al trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e confermando che
le disposizioni del presente accordo non si applicano al Regno di Danimarca,

hanno convenuto quanto segue:

Articolo 1
Scopo e ambito d’applicazione
Lo scopo del presente accordo è agevolare, su una base di reciprocità, il rilascio dei
visti ai cittadini dell’Unione e della Bielorussia per soggiorni previsti di massimo 90 giorni
su un periodo di 180 giorni.

  L’Accordo è stato approvato a nome dell’Unione europea con Decisione (ue) 2020/752 del Con-
*

siglio, del 27 maggio 2020.

201
Articolo 2
Clausola generale
1. Le facilitazioni del visto previste nel presente accordo si applicano ai cit-
tadini dell’Unione e della Bielorussia solo se questi non sono esenti dai requisiti per l’otte-
nimento del visto in virtù delle leggi e dei regolamenti della Bielorussia, dell’Unione o degli
Stati membri, del presente accordo o di altri accordi internazionali.
2. Le questioni non contemplate dal presente accordo, quali il rifiuto di ri-
lasciare un visto, il riconoscimento dei documenti di viaggio, la prova della sufficienza dei
mezzi di sussistenza, il rifiuto dell’ingresso e i provvedimenti di allontanamento, sono disci-
plinate dal diritto nazionale della Bielorussia o degli Stati membri o dal diritto dell’Unione.

Articolo 3
Definizioni
Ai fini del presente accordo si applicano le definizioni seguenti:
«Stato membro»: qualsiasi Stato membro dell’Unione, tranne il Regno di Danimar-
ca, l’Irlanda e il Regno Unito;
«cittadino dell’Unione»: qualsiasi cittadino di uno Stato membro come definito alla
lettera a);
«cittadino della Bielorussia»: qualsiasi cittadino della Repubblica di Bielorussia;
«visto»: l’autorizzazione rilasciata da uno Stato membro o dalla Bielorussia per con-
sentire il transito o un soggiorno previsto nel territorio degli Stati membri o della Bielorussia,
la cui durata non sia superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni;
«persona che soggiorna legalmente»:
per la Bielorussia, qualsiasi cittadino dell’Unione autorizzato o abilitato a soggior-
nare per più di 90 giorni nel territorio della Bielorussia ai sensi del diritto della Bielorussia;
per l’Unione, qualsiasi cittadino della Bielorussia autorizzato o abilitato a soggior-
nare per più di 90 giorni nel territorio di uno Stato membro ai sensi del diritto dell’Unione o
della legislazione nazionale;
«lasciapassare dell’ue»: il documento rilasciato dall’Unione a certi agenti delle isti-
tuzioni dell’Unione a norma del regolamento (ue) n. 1417/2013 del Consiglio.

Articolo 4
Documenti giustificativi della finalità del viaggio
1. Per le categorie seguenti di cittadini dell’Unione e della Bielorussia, i do-
cumenti di seguito indicati sono sufficienti per giustificare la finalità del viaggio nel territorio
dell’altra parte:
per i membri di delegazioni ufficiali compresi i relativi membri permanenti che,
su un invito ufficiale rivolto agli Stati membri, all’Unione o alla Bielorussia, partecipano a
riunioni, consultazioni, negoziati o programmi di scambio ufficiali o a eventi organizzati da
organizzazioni intergovernative nel territorio di uno Stato membro o della Bielorussia:
una lettera emessa da un’autorità competente dello Stato membro, dell’Unione o
della Bielorussia attestante che il richiedente è rispettivamente membro della sua delegazio-
ne, o membro permanente della stessa, che si reca nel territorio dell’altra parte per partecipare
ai suddetti eventi, corredata di una copia dell’invito ufficiale;
per parenti stretti -coniugi, figli, genitori e persone che esercitano l’autorità parentale,
nonni e nipoti- che fanno visita a cittadini dell’Unione che soggiornano legalmente nel territo-

202
rio della Bielorussia, o a cittadini della Bielorussia che soggiornano legalmente nel territorio
degli Stati membri, o a cittadini dell’Unione che risiedono nel territorio dello Stato membro di
cui sono cittadini, o a cittadini della Bielorussia che risiedono nel territorio della Bielorussia:
una richiesta scritta della persona ospitante;
per le persone che viaggiano per affari e i rappresentanti di organizzazioni di categoria:
una richiesta scritta della persona giuridica o della società o organizzazione ospi-
tante, di un loro ufficio o filiale, delle autorità statali o locali della Bielorussia o di uno Stato
membro, dei comitati organizzatori di fiere commerciali e industriali, conferenze e convegni
che si svolgono nel territorio della Bielorussia o di uno degli Stati membri, avallata dalle
autorità competenti in conformità della legislazione nazionale;
per gli autotrasportatori che effettuano servizi di trasporto internazionale di merci
e di passeggeri tra i territori della Bielorussia e degli Stati membri con veicoli immatricolati
negli Stati membri o in Bielorussia:
una richiesta scritta della società o dell’associazione (sindacato) nazionale dei tra-
sportatori della Bielorussia o delle associazioni nazionali dei trasportatori degli Stati membri
che effettuano servizi di trasporto internazionale su strada, che indichi la finalità, l’itinerario,
la durata e la frequenza dei viaggi;
per il personale di carrozza, di locomotiva o addetto ai vagoni frigoriferi di treni
internazionali che viaggiano verso i territori della Bielorussia e degli Stati membri:
una richiesta scritta dell’organizzazione o dell’azienda ferroviaria competente della
Bielorussia o degli Stati membri, indicante la finalità, la durata e la frequenza dei viaggi;
per i giornalisti e per il personale tecnico che li accompagna a titolo professionale:
un certificato o altro documento rilasciato da un’associazione professionale o dal
datore di lavoro del richiedente, in cui si attesti che l’interessato è un giornalista qualificato e
la finalità del viaggio è la realizzazione di un lavoro giornalistico, oppure che l’interessato fa
parte del personale tecnico che accompagna il giornalista a titolo professionale;
per i partecipanti ad attività scientifiche, accademiche, culturali o artistiche, inclusi
i programmi di scambi universitari o di altro tipo:
una richiesta scritta dell’organizzazione ospitante di partecipare a dette attività;
per gli studenti di scuole inferiori e superiori, gli studenti universitari o post-univer-
sitari e per i docenti accompagnatori che effettuano viaggi di studio o di formazione, anche
nell’ambito di programmi di scambio o di altre attività scolastiche o accademiche:
una richiesta scritta o un certificato di iscrizione dell’università, accademia, istituto,
collegio o scuola ospitante, o una carta dello studente o un certificato attestante i corsi che
devono frequentare;
per i partecipanti a eventi sportivi internazionali e le persone che li accompagnano
a titolo professionale:
una richiesta scritta dell’organizzazione ospitante, delle autorità competenti, delle
federazioni sportive nazionali degli Stati membri o della Bielorussia, o del comitato olimpico
nazionale della Bielorussia o dei comitati olimpici nazionali degli Stati membri;
per i partecipanti a programmi di scambi ufficiali organizzati da città gemellate e da
altri enti municipali:
una richiesta scritta del capo dell’amministrazione/sindaco di tali città o enti municipali;
per le persone in visita a cimiteri militari o civili:
un documento ufficiale attestante l’esistenza e la conservazione della tomba e il
vincolo di parentela o di altro tipo tra il richiedente e il defunto;

203
per familiari in visita per cerimonie funebri:
un documento ufficiale attestante il decesso e l’esistenza di un vincolo di parentela
o di altro tipo tra il richiedente e il defunto;
per le persone che viaggiano per motivi di salute e gli accompagnatori necessari:
un documento ufficiale dell’istituto di cura attestante la necessità di cure mediche
presso quell’istituto e di essere accompagnati, e la prova della sufficienza dei mezzi finanziari
per sostenere i costi delle cure mediche;
per i liberi professionisti che partecipano a fiere, conferenze, convegni e seminari
internazionali o ad altri eventi analoghi che si svolgono nel territorio della Bielorussia o degli
Stati membri:
una richiesta scritta dell’organizzazione ospitante che conferma la partecipazione
dell’interessato all’evento;
per i rappresentanti di organizzazioni della società civile che effettuano il viaggio
per partecipare ad attività di formazione, seminari, conferenze, anche nell’ambito di pro-
grammi di scambio:
una richiesta scritta dell’organizzazione ospitante, la conferma che l’interessato rap-
presenta l’organizzazione in questione e il certificato rilasciato da un’autorità statale ai sensi
della normativa nazionale che conferma l’esistenza di tale organizzazione;
per i partecipanti a programmi ufficiali di cooperazione transfrontaliera dell’ue tra
la Bielorussia e l’Unione;
una richiesta scritta dell’organizzazione ospitante.
2. La richiesta scritta di cui al paragrafo 1 del presente articolo deve indicare:
per la persona invitata: nome e cognome, data di nascita, sesso, cittadinanza, nume-
ro di passaporto, durata e finalità del viaggio, numero di ingressi e, se del caso, il nome dei
figli che la accompagnano;
per la persona che invita: nome, cognome e indirizzo;
per la persona giuridica, la società o l’organizzazione che invita: denominazione
completa e indirizzo, nonché:
se la richiesta è emessa da un’organizzazione o da un’autorità: nome e funzione
della persona che firma la richiesta;
se la persona che invita è una persona giuridica o una società, un loro ufficio o una fi-
liale avente sede nel territorio di uno Stato membro o in Bielorussia: numero di iscrizione nel
registro previsto dal diritto nazionale dello Stato membro interessato o dal diritto bielorusso.
3. Per le categorie di persone di cui al paragrafo 1 del presente articolo, tutti i
tipi di visto sono rilasciati secondo la procedura semplificata, senza che siano necessari altri
inviti, convalide o giustificazioni della finalità del viaggio previsti dalla normativa delle parti.

Articolo 5
Rilascio di visti per ingressi multipli
1. Le rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati membri e della Bielo-
russia rilasciano visti per ingressi multipli, validi cinque anni, alle categorie di persone seguenti:
membri di governi e parlamenti nazionali e regionali e membri di corti costituzionali
o di corti supreme, che non sono esenti dall’obbligo di visto ai sensi del presente accordo,
nell’esercizio delle loro funzioni;
membri permanenti di delegazioni ufficiali che, su invito ufficiale rivolto agli Stati
membri, all’Unione o alla Bielorussia, sono chiamati a partecipare periodicamente a riunioni,

204
consultazioni, negoziati o programmi di scambio e ad eventi organizzati da organizzazioni
intergovernative nel territorio della Bielorussia o di uno Stato membro;
coniugi, figli di età inferiore a 21 anni o a carico, genitori e persone che esercitano
l’autorità parentale, nonni e nipoti, in visita a cittadini dell’Unione che soggiornano legal-
mente nel territorio della Bielorussia o a cittadini della Bielorussia che soggiornano legal-
mente nel territorio degli Stati membri, o a cittadini dell’Unione che risiedono nel territorio
dello Stato membro di cui sono cittadini, o a cittadini della Bielorussia che risiedono nel
territorio della Bielorussia;
imprenditori e rappresentanti di organizzazioni di categoria che si recano periodica-
mente in Bielorussia o negli Stati membri.
In deroga alla prima frase del presente paragrafo, se la necessità o l’intenzione di
viaggiare frequentemente o periodicamente è chiaramente limitata a un periodo più breve, la
validità del visto per ingressi multipli è limitata a tale periodo, in particolare quando:
per le persone di cui alla lettera b), il periodo di validità dello status di membro per-
manente di una delegazione ufficiale è inferiore a cinque anni;
per le persone di cui alla lettera c), il periodo di validità dell’autorizzazione di sog-
giorno regolare di cittadini della Bielorussia che soggiornano legalmente in uno degli Stati
membri o di cittadini dell’Unione europea che soggiornano legalmente in Bielorussia è infe-
riore a cinque anni;
per le persone di cui alla lettera d), il periodo di validità dello status di rappresentan-
te di un’organizzazione di categoria o del contratto di lavoro è inferiore a cinque anni.
2. Le rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati membri e della Bie-
lorussia rilasciano visti per ingressi multipli validi un anno alle categorie di persone seguenti,
a condizione che nell’anno precedente queste abbiano ottenuto almeno un visto e l’abbiano
usato nel rispetto della legislazione che disciplina l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello
Stato visitato:
membri di delegazioni ufficiali che, su invito ufficiale rivolto allo Stato membro,
all’Unione o alla Bielorussia, partecipano periodicamente a riunioni, consultazioni, negoziati
o programmi di scambio ufficiali o a eventi organizzati da organizzazioni intergovernative
nel territorio della Bielorussia o di uno Stato membro;
autotrasportatori che effettuano servizi di trasporto internazionale di merci e di pas-
seggeri tra i territori della Bielorussia e degli Stati membri con veicoli immatricolati negli
Stati membri o in Bielorussia;
il personale di carrozza, di locomotiva o addetto ai vagoni frigoriferi di treni inter-
nazionali che viaggia verso i territori della Bielorussia e degli Stati membri;
partecipanti ad attività scientifiche, accademiche, culturali e artistiche, inclusi i pro-
grammi di scambi universitari o di altro tipo, che si recano periodicamente in Bielorussia o
negli Stati membri;
studenti universitari o post-universitari che viaggiano periodicamente per motivi di
studio o per partecipare ad attività di formazione, anche nell’ambito di programmi di scambio;
partecipanti a eventi sportivi internazionali e le persone che li accompagnano a ti-
tolo professionale;
partecipanti a programmi di scambio ufficiali organizzati da città gemellate e da altri
enti municipali;
persone che hanno necessità di effettuare visite periodiche per motivi di salute e gli
accompagnatori necessari;

205
liberi professionisti che partecipano a fiere, conferenze, convegni, seminari interna-
zionali o altre manifestazioni analoghe;
rappresentanti di organizzazioni della società civile che si recano periodicamente in
Bielorussia o negli Stati membri per partecipare ad attività di formazione, seminari, confe-
renze, anche nell’ambito di programmi di scambio;
partecipanti a programmi ufficiali dell’ue di cooperazione transfrontaliera tra la Bie-
lorussia e l’Unione;
giornalisti e il personale tecnico che li accompagna a titolo professionale.
In deroga alla prima frase del presente paragrafo, se la necessità o l’intenzione di
viaggiare frequentemente o periodicamente è chiaramente limitata a un periodo più breve, la
validità del visto per ingressi multipli è limitata a tale periodo.
3. Le rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati membri e della Bie-
lorussia rilasciano visti per ingressi multipli, con validità minima di due anni e massima di
cinque anni, alle categorie di persone di cui al paragrafo 2, a condizione che, nel corso dei
due anni precedenti alla domanda, queste abbiano utilizzato il visto per ingressi multipli di
validità di un anno nel rispetto della legislazione che disciplina l’ingresso e il soggiorno nel
territorio dello Stato visitato, salvo che la necessità o l’intenzione di viaggiare frequentemen-
te o periodicamente sia chiaramente limitata a un periodo più breve, nel qual caso la validità
del visto per ingressi multipli è limitata a tale periodo.

Articolo 6
Diritti per il trattamento delle domande di visto
1. I diritti per il trattamento delle domande di visto ammontano a 35 EUR.
Detto importo può essere modificato secondo la procedura di cui all’articolo 14, paragrafo 4,
del presente accordo.
2. Gli Stati membri e la Bielorussia applicano diritti pari a 70 EUR per il
trattamento delle domande di visto qualora il richiedente chieda che la decisione in merito
alla sua domanda di visto sia adottata entro due giorni dalla presentazione della domanda e il
consolato accetti.
3. Fatto salvo il disposto del paragrafo 4, sono esenti dai diritti per il tratta-
mento delle domande di visto le categorie di persone seguenti:
membri di governi e parlamenti nazionali e regionali e membri di corti costituzionali
o di corti supreme, purché non siano esenti dall’obbligo di visto in virtù del presente accordo;
membri di delegazioni ufficiali compresi i relativi membri permanenti che, su invito
ufficiale rivolto agli Stati membri, all’Unione o alla Bielorussia, partecipano a riunioni, con-
sultazioni, negoziati o programmi di scambio ufficiali o a eventi organizzati da organizzazio-
ni intergovernative nel territorio della Bielorussia o di uno Stato membro;
parenti stretti — coniugi, figli, genitori e persone che esercitano l’autorità parentale,
nonni e nipoti — di cittadini dell’Unione che soggiornano legalmente nel territorio della
Bielorussia, di cittadini della Bielorussia che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati
membri, di cittadini dell’Unione che risiedono nel territorio dello Stato membro di cui sono
cittadini, e di cittadini della Bielorussia che risiedono nel territorio della Bielorussia;
partecipanti ad attività scientifiche, accademiche, culturali e artistiche, inclusi i pro-
grammi di scambi universitari o di altro tipo;
studenti di scuole inferiori e superiori, studenti universitari e post-universitari e do-
centi accompagnatori che effettuano viaggi di studio o di formazione, anche nell’ambito di

206
programmi di scambio o di altre attività scolastiche o accademiche;
partecipanti a eventi sportivi internazionali e le persone che li accompagnano a ti-
tolo professionale;
partecipanti a programmi di scambio ufficiali organizzati da città gemellate e da altri
enti municipali;
rappresentanti di organizzazioni della società civile in viaggio per partecipare ad
attività di formazione, seminari, conferenze, anche nell’ambito di programmi di scambio;
partecipanti a programmi ufficiali dell’ue di cooperazione transfrontaliera tra la Bie-
lorussia e l’Unione;
persone con disabilità ed eventuali accompagnatori, se necessari;
persone che hanno documentato la necessità del viaggio per motivi umanitari, inclu-
se le persone con necessità di ricevere trattamenti medici urgenti e loro accompagnatori, o di
partecipare al funerale di un parente stretto o di visitare un parente stretto gravemente malato;
minori di età inferiore a 12 anni.
4. Se uno Stato membro o la Bielorussia coopera con un fornitore esterno
di servizi ai fini del rilascio dei visti, tale fornitore esterno può riscuotere oneri a fronte del
servizio prestato. Detti oneri sono proporzionati alle spese sostenute da tale fornitore esterno
per assolvere al suo compito e non possono essere superiori a 30 EUR. Laddove possibile,
lo Stato membro o la Bielorussia mantiene la possibilità per i richiedenti di presentare la
domanda direttamente presso i rispettivi consolati.
Per l’Unione, il fornitore esterno di servizi svolge le sue attività conformemente al
codice dei visti e nel pieno rispetto della legislazione bielorussa.
Per la Bielorussia, il fornitore esterno di servizi svolge le sue attività conformemente
alla legislazione bielorussa e nel pieno rispetto della normativa degli Stati membri.

Articolo 7
Termini per il trattamento delle domande di visto
1. Le rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati membri e della Bielo-
russia decidono in merito alla domanda di rilascio del visto entro 10 giorni di calendario dalla
data di ricevimento della domanda e della documentazione necessaria per il rilascio del visto.
2. In singoli casi il termine può essere prorogato fino a 30 giorni di calenda-
rio, segnatamente qualora si debba procedere a un ulteriore esame della domanda.
3. In casi urgenti, il termine per decidere sulla domanda di visto può essere
ridotto a due giorni lavorativi o a un periodo inferiore.
Se i richiedenti sono tenuti a ottenere un appuntamento per la presentazione della
domanda, tale appuntamento, di norma, ha luogo entro due settimane dalla data in cui è
richiesto. Fatta salva la frase precedente, i fornitori esterni di servizi garantiscono che, di
norma, la domanda di visto possa essere presentata senza indebito ritardo.
In giustificati casi d’urgenza, il consolato può autorizzare i richiedenti a presentare
la domanda senza chiedere l’appuntamento, o tale appuntamento è dato immediatamente.

Articolo 8
Partenza in caso di smarrimento o furto dei documenti
I cittadini dell’Unione o della Bielorussia che abbiano smarrito o abbiano subito il
furto dei documenti di viaggio durante il soggiorno nel territorio della Bielorussia o degli
Stati membri possono uscire dal territorio della Bielorussia o degli Stati membri esibendo un

207
documento di viaggio valido, rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari degli
Stati membri o della Bielorussia, che li autorizzi ad attraversare la frontiera senza necessità
di visto o altre autorizzazioni.

Articolo 9
Casi eccezionali di proroga del visto
Qualora, per motivi di forza maggiore o ragioni umanitarie, i cittadini dell’Unione
europea o della Bielorussia non possano uscire dal territorio della Bielorussia o dal territorio
degli Stati membri entro il termine stabilito nel visto, il loro visto è prorogato a titolo gratuito
conformemente alla normativa applicata dalla Bielorussia o dallo Stato membro ospitante per
il tempo necessario al loro ritorno nello Stato di residenza.

Articolo 10
Passaporti diplomatici e lasciapassare dell’ue
1. I cittadini dell’Unione titolari di un passaporto diplomatico biometrico in
corso di validità rilasciato da uno Stato membro e i titolari di un lasciapassare dell’ue valido
possono entrare, uscire e transitare nel territorio bielorusso senza visto.
2. I cittadini della Bielorussia titolari di un passaporto diplomatico biome-
trico in corso di validità rilasciato dalla Bielorussia possono entrare, uscire e transitare nei
territori degli Stati membri senza visto.
3. Le persone di cui ai paragrafi 1 e 2 possono soggiornare nel territorio della
Bielorussia o nei territori degli Stati membri per un periodo di massimo 90 giorni su un pe-
riodo di 180 giorni.

Articolo 11
Validità territoriale dei visti
Nel rispetto della normativa nazionale sulla sicurezza nazionale della Bielorussia e
degli Stati membri e fatte salve le norme dell’Unione sui visti a validità territoriale limitata, i
cittadini dell’Unione e bielorussi possono spostarsi all’interno del territorio della Bielorussia
e degli Stati membri alle stesse condizioni dei cittadini bielorussi e dei cittadini dell’Unione.

Articolo 12
Comitato misto di gestione dell’accordo
1. Le parti istituiscono un comitato misto di esperti («comitato»), composto
di rappresentanti dell’Unione e della Bielorussia.
2. Il comitato è incaricato in particolare di:
controllare l’applicazione del presente accordo;
suggerire modifiche o aggiunte al presente accordo;
dirimere eventuali controversie in relazione all’interpretazione o all’applicazione
delle disposizioni dell’accordo.
3. Il comitato si riunisce almeno una volta l’anno e ogniqualvolta necessario,
su richiesta di una delle parti.
4. Il comitato adotta il proprio regolamento interno.

208
Articolo 13
Relazione tra il presente accordo e gli accordi bilaterali
vigenti tra gli Stati membri e la Bielorussia
A decorrere dall’entrata in vigore del presente accordo, le disposizioni ivi contenu-
te prevalgono su quelle di qualsiasi accordo o intesa bilaterale o multilaterale vigente tra i
singoli Stati membri e la Bielorussia, nella misura in cui queste ultime disposizioni possano
incidere o alterare l’ambito d’applicazione del presente accordo.

Articolo 14
Clausole finali
1. Il presente accordo è ratificato o approvato dalle parti secondo le rispettive
procedure ed entra in vigore il primo giorno del secondo mese successivo alla data in cui le
parti si notificano reciprocamente l’avvenuto espletamento di tali procedure.
2. In deroga al paragrafo 1 del presente articolo, il presente accordo entra in
vigore soltanto alla data di entrata in vigore dell’accordo tra l’Unione europea e la Repubbli-
ca di Bielorussia relativo alla riammissione delle persone in soggiorno irregolare, se tale data
è posteriore a quella di cui al paragrafo 1 del presente articolo.
3. Il presente accordo è concluso per un periodo indeterminato, salvo possibi-
lità di denuncia ai sensi del paragrafo 6 del presente articolo.
4. Il presente accordo può essere modificato previo accordo scritto delle parti.
Le modifiche entrano in vigore dopo che le parti si sono notificate reciprocamente l’avvenuto
espletamento delle procedure interne necessarie a tal fine.
5. Ciascuna parte può sospendere in tutto o in parte il presente accordo. La
decisione di sospensione è notificata all’altra parte al più tardi 48 ore prima della sua entrata
in vigore. Una volta cessati i motivi della sospensione, la parte che ha sospeso l’accordo ne
informa immediatamente l’altra parte.
6. Ciascuna parte può denunciare il presente accordo dandone notifica scritta
all’altra parte. L’accordo cessa di essere in vigore 90 giorni dopo la data della notifica.
Fatto in duplice esemplare in lingua bulgara, ceca, croata, danese, estone, finlande-
se, francese, greca, inglese, italiana, lettone, lituana, maltese, neerlandese, polacca, portoghe-
se, rumena, slovacca, slovena, spagnola, svedese, tedesca, ungherese e bielorussa, ciascun
testo facente ugualmente fede.

209
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-14
pp. 211-213

COMUNICAZIONI

NON ESISTE UNA SOLA UKRAINA. CE NE SONO TRE.


MA LA NATO FINGE DI NON SAPERLO

Michele Rallo *

Il nócciolo della questione è proprio questo: non esiste una sola Ukraina. Esistono
due Ukraine, nettamente diverse tra loro: quella dell’est e del sud, che è sostanzialmente una
propaggine della Russia; e quella dell’ovest, che guarda al mondo occidentale e, soprattutto,
tedesco. E non è tutto, perché è possibile ritagliare anche una terza Ukraina, estesa nell’area
centrale del paese e, nel tempo, unita ora con l’una, ora con l’altra delle due “nazioni” rivali.
Per comprendere una realtà geopolitica certamente complessa, si deve necessaria-
mente andare indietro nel tempo: fino al Medioevo, quando tutta l’Ukraina a est del Nipro (il
fiume che taglia verticalmente in due il paese e sulle cui rive sorge l’odierna capitale Kyiev)
fu la culla del primo insediamento russo: era quella che allora si chiamava Rus’ di Kyiev e che
successivamente diverrà la Piccola Russia, una di Tutte le Russie dell’impero zarista.
Anche l’Ukraina occidentale affonda le radici nel Medioevo, quando aveva separato
i suoi destini da quelli dei territori orientali – minacciati dai mongoli – facendo blocco con
la Confederazione Polacco-Lituana, avamposto dell’Europa occidentale e della cattolicità.
Successivamente assegnata all’Impero Austriaco con il nome di Regno di Galizia, l’Ukraina
occidentale passerà alla sovranità polacca dopo la prima guerra mondiale, transitando poi nella
sfera tedesca con la seconda guerra mondiale. Contemporaneamente, la parte piú orientale
dell’Ukraina occidentale – scusate il bisticcio – tornava alla sovranità dell’Ukraina russa (Re-
pubblica Socialista Sovietica Ukraina), giusta le previsioni del patto nazi-comunista del 1939.
Quando, nel 1941, il Terzo Reich e l’Unione Sovietica ruppero l’alleanza, gli ukrai-
ni occidentali (filotedeschi e filonazisti) intrapresero una crociata per “liberare” gli ukraini
orientali (filorussi e filocomunisti) e per creare una “Grande Ukraina” unificata. Nel 1945
saranno invece gli orientali a “liberare” gli occidentali, annettendoli – insieme ai ruteni ex-
cecoslovacchi – alla R.S.S. Ukraina, che cosí diventava sostanzialmente la “Grande Ukraina”
sognata dai nazionalisti filonazisti, sia pure con una diversa connotazione politica.
Nel 1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la r.s.s. Ukraina abolí l’e-
tichetta di “Repubblica Socialista Sovietica”, ma mantenne l’assetto artificiale di un ma-
stodonte che teneva insieme non soltanto due o tre popolazioni ukraine molto diverse tra
loro, ma anche una folta comunità etnico-linguistica russa: una robusta minoranza del 30%
rispetto all’intera Ukraina, che però diventava maggioranza nelle regioni orientali e meri-
dionali del paese. Maggioranza che era addirittura schiacciante in alcune regioni: la Crimea
(che Krusciov regalò letteralmente all’Ukraina nel 1954 e che Putin si riprese nel 2014) e il
Donbass, di cui fanno parte anche le due repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk che
sono state appena riunite alla Russia.
Naturalmente, un paese con un sì precario equilibrio etnico (e politico) aveva tutto

* 
Storico dell’Europa orientale. Già Deputato al Parlamento nazionale.

211
l’interesse a mantenersi amico della Russia, anche perché da questa riceveva aiuti e fornitu-
re di gas a prezzo stracciato. Peraltro, dopo la caduta del muro di Berlino, la Russia aveva
lasciato andar via pacificamente le nazioni che avevano fatto parte dell’urss, ma dietro pro-
messa che la nato non si sarebbe spinta “un solo centimetro” verso est.
E, invece, gli Stati Uniti hanno ben presto iniziato a sobillare gli ukraini, fino al
punto da organizzare una “rivolta popolare spontanea” che nel 2013 defenestrò il Presiden-
te Janukovyč (eletto democraticamente, si badi bene) e lo sostituì con una classe dirigente
artificiale, formata da capi e capetti di tutte le formazioni politiche battute alle elezioni e,
naturalmente, filo-usa e filo-Unione Europea; la stessa classe dirigente artificiale che, con
l’aiuto dei “consiglieri” americani, governa ancora oggi l’Ukraina.
Qui mi fermo, chiedendo scusa ai lettori per questa lunga premessa di carattere
storico. Premessa senza la quale, tuttavia, è estremamente difficile comprendere le ragioni
profonde di ciò che sta accadendo in questi giorni.
Attenzione, però: la storia non è certo sufficiente a spiegare tutto, quasi che i destini
del mondo siano governati dai “corsi e ricorsi storici” teorizzati dal nostro Vico. La cono-
scenza dei fatti antecedenti serve a fornire il quadro generale, la cornice degli eventi, soprat-
tutto di eventi complessi come quelli di cui ci stiamo occupando.
Occorre, in parallelo, conoscere e comprendere le dinamiche attuali, le mire stra-
tegiche, gli interessi concreti e, soprattutto, gli obiettivi di lungo termine che si vogliono
raggiungere. E, nel nostro caso, occorre comprendere o, meglio, tentare di comprendere per
quale dannato motivo gli americani hanno voluto mantenere in vita la nato dopo che questa,
a seguito della fine della minaccia comunista verso l’Europa, aveva perduto ogni ragion
d’essere. E, per giunta, per quale dannatissimo motivo questa incredibile neo-nato sia stata
indirizzata al contrasto di una Russia che non minacciava più l’Europa, e non piuttosto alla
vigilanza della minaccia concreta che all’Europa viene da sud, da un mondo islamico che non
riesce a liberarsi dalla cappa fondamentalista. E, ancóra, per quale arcidannatissimo motivo
i governi europei – che avrebbero tutto l’interesse alla maggior collaborazione possibile con
la Russia – accettano di fare le mosche cocchiere degli americani, danneggiando sé stessi con
delle sanzioni da manicomio e rischiando di avere tagliati i rifornimenti di gas.
E si potrebbe continuare a lungo. Per esempio, perché gli americani fanno l’impos-
sibile per gettare la Russia in braccio alla Cina? O perché fuggono dall’Afghanistan davanti
a quattro guerriglieri- straccioni e rischiano la terza guerra mondiale in Ukraina?
Si potrebbe continuare a lungo – dicevo – ma si rimarrebbe spiazzati, perché a tutte
quelle domande – e ad altre ancóra – non è possibile dare delle risposte logiche, razionali.
A meno che non si voglia immaginare che la politica estera e di difesa degli Stati Uniti sia
governata da forze oscure e potentissime, che perseguono interessi privati in contrasto con
quelli che sono gli interessi reali, concreti della nazione americana. É quello che il presidente
Eisenhower – mica un complottista da tastiera – chiamava “il complesso militar-industriale”,
avvertendo che «nell’azione di governo dobbiamo premunirci contro le influenze che, in
modo palese o occulto, vengono esercitate dal complesso militar-industriale.» E aggiungeva:
«La possibilità che certi disastrosi poteri travalichino i loro limiti e le loro prerogative esiste
adesso, ed esisterà anche in futuro. Non dovremo mai permettere che il peso di questo intrec-
cio di poteri metta in pericolo le nostre libertà e le istituzioni democratiche.»
Queste cose – l’ho ricordato già altre volte su queste stesse pagine – il 34° Presiden-
te degli Stati Uniti d’America le diceva nel lontano 1961; ed allora furono in molti a storcere
il naso, perché oggettivamente suscitavano interrogativi inquietanti sul perché e il percome

212
gli usa fossero intervenuti nella prima e nella seconda guerra mondiale.
Rilette adesso, nel 2022, suscitano interrogativi ancor più inquietanti: a quale punto
il complesso militar-industriale americano intende fermarsi? Si accontenterà di una guerric-
ciola in Ukraina, o punterà più in alto, al coinvolgimento della nato e, con la nato, dei paesi
europei che ne fanno parte?
Della nato – non dimentichiamolo – facciamo parte anche noi. E certamente non è
rassicurante ricordare che l’attuale Presidente del Consiglio, all’atto del suo insediamento, si
preoccupò di sottolineare che il suo governo, oltre ad essere “europeista”, sarebbe stato anche
“atlantista”. Allora la situazione in Ukraina non era ancora precipitata, ma negli ambienti
“bene informati”, che credo Draghi ben conoscesse, si sapeva benissimo che si viaggiava
verso scenari assai pericolosi.
Anche per questo (e naturalmente non solo per questo) spero che Mario Draghi
faccia al più presto le valigie. Mi sentirei molto più tranquillo se, in questo momento, a capo
del nostro governo ci fosse un elemento un po’ meno europeista e, soprattutto, un po’ meno
atlantista.

213
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-15
pp. 214-215

L’UKRAINA DEL 2022 COME LA POLONIA DEL 1939:


CONDANNATA A MORTE
PER FAR FELICI INGLESI E AMERICANI

Michele Rallo *

Se si vuole comprendere appieno cosa sta avvenendo oggi in Ukraina (anzi, a spese
dell’Ukraina), bisogna riaprire i libri di storia. Parlo di storia autentica, documentata, non
della propaganda di guerra inglese del ’45, trasformata in vulgata postbellica ed oggi amman-
nitaci da giornali e tv come “veritá storica”.
Dunque, riapriamo i libri di storia alle pagine del 1939 e leggiamo: Germania e
Polonia stavano trattando fra loro per regolare pacificamente la questione di Danzica, ma
l’Inghilterra circuì la Polonia, incitandola a respingere ogni compromesso, anche il piú ra-
gionevole, ed a correre verso la guerra, assicurando che i soldati britannici sarebbero accorsi
a difenderla dalle soverchianti armate del Terzo Reich. In realtà, il governo di Londra – in
perfetto coordinamento con quello di Washington – non era per nulla interessato alle sorti
della Polonia, ma era soltanto alla ricerca di un pretesto per dichiarare guerra alla Germania.
E infatti, quando la Polonia venne invasa dalla Germania nazista e, quindici giorni
dopo, dalla Russia comunista, l’Inghilterra non mandò un solo uomo, un solo aereo, una
sola nave a difenderla, ma semplicemente dichiarò guerra alla Germania; dimenticandosi
completamente di Varsavia, sedotta e abbandonata. Ripeto: non un solo uomo, letteralmente.
La Polonia, dopo essere stata spinta a rifiutare qualsivoglia accordo, venne semplicemente
sepolta nel dimenticatoio, come se non fosse mai esistita. Aveva esaurito il compito che le
era stato assegnato, quello di fungere da casus belli per scatenare la seconda guerra mondiale.
Parallelamente – mi sembra opportuno sottolineare – Londra si precipitava a stop-
pare le iniziative pacificatorie dell’Italia che, allora e poi anche a guerra già iniziata, tentava
una mediazione fra Inghilterra – appunto – e Germania. A ciò spinta – va detto anche questo
– pure da una Francia che non avrebbe voluto “mourir pour Danzig”. La Francia – aggiungo
per completezza – fu parimenti abbandonata al suo destino, quando fu invasa dai tedeschi
nel maggio 1940.
E veniamo ad oggi. L’Ukraina é stata convinta a respingere ogni accomodamento
con la Russia, invitata, corteggiata, pressata dal Segretario generale della nato perché aderis-
se alla nato stessa (e all’Unione Europea), entrando cosí a far parte del sistema d’accerchia-
mento “occidentale” alla Russia. Dopo di che, oggi viene lasciata sola a combattere, come
ieri la Polonia, senza che americani, inglesi e associati mandino un solo uomo in suo aiuto.
Vengono invece mandati mezzi e armi, ma per un calcolo di natura politica che non
mira ad aiutare l’Ukraina, bensì soltanto a creare ostacoli alla Russia. Perché? Perché, essen-
do comunque l’Ukraina destinata a soccombere, rifornirla di armamenti (come stanno facen-
do inglesi, americani e piccoli fans europei) serve soltanto ad allungare i tempi dell’agonia
ed a moltiplicare il numero delle vittime. Ma danneggia la Russia, costretta a scegliere tra il
fare la guerra sul serio – radendo al suolo le città ukraine e guadagnandosi la riprovazione del
mondo intero – e il lasciarsi logorare a lungo da un conflitto infinito, alimentato dalle armi
che l’Occidente manda agli eroici ma ingenui ukraini.

* 
Storico dell’Europa orientale. Già Deputato al Parlamento nazionale.

214
Questo, secondo una interpretazione minimale, se vogliamo pensare che si voglia
soltanto fare qualche dispettuccio a Putin. V’é però un’ipotesi ben più allarmante: quella che
il “complesso militar-industriale” di Washington, il Deep State, riesca a trasmettere la sua vo-
glia di terza guerra mondiale al debole Biden. Se ciò dovesse accadere, saremmo veramente
nei guai.
Mi spiego: Putin è stato spinto alla guerra da una serie infinita di provocazioni, dalle
“rivoluzioni colorate” fomentate da Soros alla periferia dell’ex urss, dalla rivolta made in usa
che nel 2014 abbatté il governo (filorusso) democraticamente eletto in Ukraina, dalla sangui-
nosa guerra condotta dal nuovo governo ukraino contro i separatisti filorussi del Donbass,
dalla pervicace campagna della nato per acquisire l’Ukraina al sistema militare anti-russo, da
tutta una serie di odiose provocazioni che, alla fine, lo hanno indotto alla guerra in Ukraina.
Adesso è in atto una seconda serie di provocazioni, ancor più pericolose: la de-
monizzazione della Russia da parte dell’intero Occidente, le odiose campagne di stampa,
le sanzioni, lo Swift, le banche, la chiusura degli spazi aerei, oltre naturalmente all’invio di
armamenti. Sostanzialmente, nei fatti, Stati Uniti e Unione Europea hanno dichiarato guerra
alla Russia. Una guerra che non è guerreggiata – è il mio personale parere – soltanto perché
si teme che le popolazioni europee, se si vedessero trascinate in guerra, insorgerebbero contro
i loro governi in modo anche violento.
Agli alfieri di una terza guerra mondiale, quindi, non resta che favorire un allunga-
mento dei tempi del conflitto e, nel frattempo, alzare il livello delle provocazioni, sperando
che Putin cada nel tranello e faccia un passo falso. Basta soltanto una fucilata contro un fante
rumeno o un marinaio lituano per poter invocare l’articolo 5 del trattato atlantico e per trasci-
narci tutti in una nuova guerra mondiale.
Ecco perché la nato va sciolta. Lo si doveva fare prima, molto prima, nel 1991,
quando fu sciolta l’alleanza “nemica” del Patto di Varsavia. Oggi non ha più ragione d’esiste-
re. Serve soltanto a chi cerca una scusa per scatenare un conflitto su vasta scala. Un conflitto
da combattersi sul suolo europeo, beninteso, mentre gli americani se ne starebbero belli tran-
quilli oltre l’oceano. A noi, come oggi agli ukraini, toccherebbe il ruolo di carne da cannone.

215
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-16
pp. 216-217

IL “TRATTATO DEL QUIRINALE” PIANO PIANO PER NON


DISTURBARE BERLINO

Michele Rallo *

Il cosiddetto “trattato del Quirinale” potrebbe essere un primo passo in direzione


di una Europa Latina, affrancata dalla soffocante egemonia tedesca. Potrebbe … a patto che
Parigi si decidesse, una volta per tutte, a guardare all’Italia e alla Spagna come a degli alleati
con cui collaborare, e non come a pericolosi rivali e concorrenti da contrastare con ogni mez-
zo. É fin dalla caduta di Napoleone che la Francia – tranne alcune brevissime parentesi – ha
questo tristissimo (e autolesionistico) atteggiamento. Parallelamente alla vocazione a fare la
serva del più forte: ieri dell’Inghilterra (e contro la Germania), oggi della Germania (e contro
l’Inghilterra).
Tutta la storia europea, dal Congresso di Vienna ad oggi, è stata condizionata pesan-
temente da questa bislacca linea diplomatica francese: ivi compresi i difficili equilibri prima,
durante e dopo le due guerre mondiali, e senza dimenticare questa assurda Unione Europea
che è servita soltanto a permettere ai tedeschi di distruggere le economie nazionali dei loro
concorrenti.
L’Italia è sempre stata il bersaglio preferito della singolare politica estera francese,
al punto da aver dovuto in più occasioni rimodulare le sue direttrici diplomatiche per parare
i colpi della “sorella latina”.
Dal raggiungimento dell’unità nazionale, nel 1870, la nostra politica estera aveva
avuto come caposaldo l’alleanza con la Francia. Nonostante ciò, nel 1881 la “sorella” invase
e annesse al proprio impero coloniale la Tunisia, che era di fatto una colonia italiana. Ciò ci
costrinse nel 1882 ad abbandonare la Francia e ad allearci con Germania ed Austria (Triplice
Alleanza).
Tornammo all’alleanza con la Francia (e l’Inghilterra) allo scoppio della Prima
Guerra Mondiale, e fummo determinanti per far vincere gli “occidentali” contro gli Imperi
Centrali. Ma immediatamente dopo, fin dai primi giorni del dopoguerra, il governo di Parigi
si impegnò allo spasimo per cercare di impedire che noi potessimo ottenere alcun beneficio
dalla vittoria: da Fiume in poi, fino alle sanzioni per la nostra conquista dell’Etiopia nel 1936.
Fondamentale fu – nel 1933 – il sabotaggio francese del Patto a Quattro, voluto
da Mussolini per avviare una concreta opera di pacificazione tra le potenze europee. Parigi
aveva firmato quel Patto (insieme a Roma, Londra e Berlino), ma il parlamento francese
non volle ratificarlo, determinandone la decadenza. Dopo tutto ciò (dal Patto a Quattro alle
sanzioni, e senza dimenticare l’ostracismo alla nostra politica diplomatica in ogni angolo
d’Europa e d’Africa) all’Italia non restò che l’alleanza con la Germania, esattamente come
era avvenuto nel 1882.
Né si creda che le cose siano cambiate dopo il 1945 e dopo il disciplinato ritorno
dell’Italia all’alleanza con gli “occidentali”. Ultimo episodio – in ordine di tempo – quello
della sporca guerra d’aggressione contro la Libia del filoitaliano Gheddafi, mossa dalla Fran-
cia di Sarkozy, continuata dagli usa di Obama e della Clinton, e infine sublimata dal maso-
chistico contributo dell’Italia di Napolitano e di Berlusconi. Vergogna!!!
Ma perché l’inimicizia francese, nel tempo, si è concentrata soprattutto verso l’Ita-

* 
Storico dell’Europa orientale. Già Deputato al Parlamento nazionale.

216
lia? Semplice: per la nostra posizione geografica (e per il nostro naturale ruolo geopolitico)
al centro del Mediterraneo; e quindi anche per la nostra influenza nel settore centrale della
dirimpettaia area nordafricana. Posizione e ruolo che impedivano alla Francia – nel Mediter-
raneo e nel Nordafrica – di saldare il suo impero coloniale a quello che l’Inghilterra “demo-
cratica” aveva nel settore orientale (Egitto, Cipro, colonizzazione di fatto della Grecia, e in
un secondo tempo i “mandati” sui paesi Arabi). Ecco perché la Francia ci rubò la Tunisia. Ed
ecco perché non ci perdonò mai di aver strappato la Libia ai turchi. I quali turchi – sia detto
per inciso – sono tornati in Libia adesso, dopo che i geni della nostra politica – da Berlusconi
a Di Maio – avevano alzato le mani.
A onor del vero, ci sarebbe un altro capitolo del contrasto tra Italia e Francia, quello
che negli anni ’20 e ’30 si svolse nell’Europa Sudorientale (Romania, Jugoslavia, eccetera).
Ma adesso in quell’area né Italia né Francia hanno più alcun ruolo.
Nel Nordafrica, invece, sia noi che i francesi abbiamo tutt’ora interessi fortissimi,
che vanno dal settore petrolifero a quello degli armamenti, a quello delle costruzioni, a quasi
tutti i comparti dell’import-export. Senza contare l’aspetto geo-strategico: avere i turchi in
Libia è un azzardo che né noi né i francesi ci possiamo permettere.
Orbene, queste cose l’Italia le ha sempre avute ben presente (tranne che nell’era
Berlusconi-Di Maio). La Francia, al contrario, non le ha capite. O, se le ha capite, le ha
volutamente ignorate, preferendo giocare il ruolo di sgabello di Londra o di Berlino. Vorrei
sbagliarmi, ma ho il timore che anche adesso Parigi non si renda conto della situazione e,
conseguentemente, che questo tanto sbandierato “trattato del Quirinale” possa valere a ben
poco. Forse soltanto a tentare di far recuperare qualche voto a Macron nella prossima corsa
all’Eliseo.
Noi – si diceva – dovremmo avere le idee più chiare. E tuttavia cominciano a trape-
lare voci che lasciano di stucco. Come quella che riferisce di un certo lavorio della diploma-
zia draghista per far seguire al trattato con la Francia, altro analogo trattato con la Germania.
Se fosse vero, Sir Drake meriterebbe un bello zero in geopolitica.

217
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-17
pp. 218-219

BUCHA: UN MASSACRO CON QUALCHE SOSPETTO

Michele Rallo *

Avrei voluto scrivere questo articolo dopo la riunione straordinaria del Consiglio di
Sicurezza dell’onu, richiesta dai Russi per portare le prove – a loro dire – della fabbricazione
di una sceneggiatura falsa del massacro di Bucha. Nulla di strano, se non che per l’opposizio-
ne della presidenza inglese alla convocazione del Consiglio, quasi che Londra – i cui servizi
segreti sono attivissimi a Kyiev – tema che da un dibattito pubblico possano venir fuori delle
verità molto, molto scomode. Al momento in cui scrivo queste note, sembra che Mosca ce
l’abbia fatta. Speriamo.
In ogni caso – a sommesso parere di chi scrive – nessuna delle due versioni sul mas-
sacro di Bucha è esattamente vera al cento per cento. La verità vera – come spesso avviene
in casi del genere – sta probabilmente a metà strada. Ci sarà certamente stata una strage o,
comunque, l’uccisione di un elevato numero di ukraini (civili o combattenti senza divisa) da
parte di soldati russi. Sono orrori “collaterali” ad ogni guerra: basta che un reparto sia coman-
dato da un ufficiale sadico o crudele, e le stragi saranno immancabili, con violenze, stupri,
nefandezze di ogni genere. Crimini di guerra, certamente, ma crimini imputabili ai singoli,
non ad una leadership nazionale. Non a Putin, nello specifico. E non a Zelenskyi, per molti
altri crimini di guerra compiuti da truppe ukraine in questi giorni (e naturalmente ignorati dai
media occidentali).
Ci sarà certamente stata una strage – dicevo – ma probabilmente ci sarà anche stato
il tentativo ukraino di ingigantire la cosa, magari gabellando qualche episodio isolato come
un comportamento generalizzato delle truppe occupanti, e magari “arricchendo” la realtà, già
di per sé drammatica, con l’aggiunta di un rilevante numero di cadaveri estranei – per così
dire – ai fatti di Bucha.
Quella di confezionare fosse comuni e di “uccidere” una seconda volta uomini che
sono morti da qualche giorno è una pratica non proprio rarissima di certi servizi segreti;
soprattutto quando si vuole prendere a pretesto un fatto di sangue per emozionare l’opinione
pubblica ed avere una scusa per massacri più grandi. Non moltissimi anni fa – ricorderà forse
qualcuno – il cosiddetto “Occidente” mosse guerra alla Jugoslavia perché a Račak, in Koso-
vo, erano stati rinvenuti i corpi di 45 civili (o presunti tali) giustiziati con un colpo di pistola
alla testa. Gli americani gridarono al crimine di guerra, gli europei si indignarono a comando,
gli aerei nato andarono a bombardare la Serbia, e gli usa portarono a casa con poco sforzo
il risultato voluto. Cioè, l’aggressione ad uno Stato sovrano (la Jugoslavia), l’amputazione
di una sua parte (il Kosovo) e l’alterazione degli equilibri europei a loro vantaggio. Ebbene,
indagini successive avrebbero sollevato più di un dubbio sulla autenticità del massacro: a
detta di molti, infatti, i 45 cadaveri erano già ... morti, prima che “qualcuno” si prendesse il
disturbo di giustiziarli con un postumo colpo di pistola alla testa.
Ora – se ho ben capito – i Russi sospettano qualche cosa del genere. Pensano che si
sia trattato di un pretesto per la solita recita di Zelenskyi in mondovisione. Senonché, nella
fretta di confezionare il video destinato a indignare il mondo civile, gli hollywoodiani servizi
segreti di Kyiev avrebbero commesso alcuni errori marchiani. Innanzitutto, la scelta della
location: i Russi avevano lasciato Bucha da quattro giorni, e per quattro giorni le autorità

* 
Storico dell’Europa orientale. Già Deputato al Parlamento nazionale.

218
ukraine rientranti non avevano fatto cenno a stragi, torture, esecuzioni sommarie, eccetera.
Dopo quattro giorni, ecco apparire come per incanto file di morti insepolti, fosse comuni e
montagne di cadaveri straziati.
Gli Americani giurano, naturalmente, sulla autenticità del quadro prospettato dagli
Ukraini. E i governi delle colonie europee, manco a dirlo, credono a occhi chiusi alla verità
americana. Al punto di correre a darsi un’altra martellata sugli zebidei pur di “far male” alla
Russia. Anche se – è sotto gli occhi di tutti – fino a questo momento le sanzioni hanno fatto
più male a noi che a Mosca.
Per fortuna, lo spirito di conservazione dei Tedeschi è servito a limitare i danni,
impedendo che le nuove sanzioni europee si estendessero anche al gas. Altrimenti – fosse
stato per i guerrieri italiani – dopo l’estate saremmo già con un altro robusto supplemento
di imprese in liquidazione e con i riscaldamenti spenti. Non per sempre, per carità. Servono
soltanto “due o tre anni” per riuscire a sostituire il gas russo con quello di altri fornitori. Am-
messo che la “transizione ecologica” ci lasci qualche spicciolo per acquistare il gas al doppio
di quanto paghiamo adesso.
Allegria, gente. Questo é il governo “dei migliori”. Temo che ci faranno rimpiangere
anche il governo Monti-Fornero.

219
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-18
pp. 220-222

GEOPOLITICA: PERCHÈ LA NATO È UN NON SENSO

Michele Rallo *

Torna sulla bocca di molti – in questi giorni di guerra all’est – l’insulso ritornello
della necessità che l’Europa si doti di un esercito comune, per avere più voce in capitolo e per
inserirsi con autorevolezza nel gioco delle grandi potenze continentali.
Veramente, più che di un insulso ritornello si tratta di una colossale stupidaggine.
Lo dico – beninteso – senza alcun intento offensivo, come semplice constatazione di natura
tecnica.
E vengo a spiegarmi. Primo: un esercito comune dei paesi della ue non può essere
concepito se non come sviluppo successivo di una politica estera comune. Secondo: una poli-
tica estera comune non può essere neanche sognata in assenza di interessi comuni dei singoli
Paesi; interessi economici soprattutto, ma anche politici e/o geostrategici.
Proviamo ad immaginare – per esempio – che la Germania abbia interesse a far
insediare la Turchia in Libia; e che l’Italia o la Francia, o la Spagna o la Grecia abbiano
l’interesse opposto. Ebbene, come dovrebbe agire – all’atto pratico – una ipotetica politica
estera comune dell’Unione Europea? Favorendo l’insediamento dei turchi a Tripoli, come
converrebbe ipoteticamente a Berlino? o avversandola risolutamente, come converrebbe a
Roma o a Parigi?
E se risultasse impossibile – come nel caso ipotizzato – mettere a punto una linea
diplomatica comune, come si potrebbe immaginare la presenza di una forza militare comune
che dovrebbe sostenere (eventualmente anche con le armi) una tale inesistente linea diplo-
matica?
Ecco perché una cosa sono gli slogan vuoti e pasticcioni, e cosa completamente
diversa è l’azione politica seria, concreta, basata sulla realtà e non sulle elucubrazioni di chi
vive di sogni o di incubi.
Ed ecco perché, al di là della politica estera, l’Unione Europea è destinata ad implo-
dere: perché, alla lunga, saremo costretti a prendere atto della impossibilità di adottare anche
una politica economica e sociale comune. Ma di questo si parlerà in altra occasione.
Dunque – e torno all’argomento – preso atto che le scelte di politica estera sono
propedeutiche all’adozione di una politica militare comune, proviamo ad allargare il discorso
a una campo più vasto, quello di un’Alleanza Atlantica “occidentale” che rappresenti insieme
Stati Uniti e Inghilterra da una parte, ed Europa (con o senza la sovrastruttura ue) dall’altra.
Quando venne fondata la nato i paesi dell’Europa Occidentale avevano tutti un in-
teresse di natura politico-militare che li univa tra loro e con gli Stati Uniti d’America. Lo
ricordavo otto anni fa: «Quando, nel lontano 1949, i paesi del Nord America e dell’Europa
Occidentale sottoscrissero il Patto Atlantico, questo rispondeva ad una logica ben precisa:
creare un’alleanza militare difensiva per dissuadere l’Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche dalla tentazione di invadere uno o più Paesi europei. Nacque così la nato (Orga-
nizzazione del Trattato del Nord Atlantico), struttura militare oggettivamente egemonizzata
dagli Stati Uniti: i soci minori – tra cui l’Italia – lo sapevano perfettamente, ma accettavano
questa diminutio a fronte dell’indubbio vantaggio di poter contare su una formidabile strut-
tura di difesa comune. All’epoca – non v’è dubbio – l’Unione Sovietica rappresentava una

* 
Storico dell’Europa orientale. Già Deputato al Parlamento nazionale.

220
minaccia concreta: era guidata dal forte braccio di Stalin, poteva contare su un’alleanza
militare che riuniva le nazioni dell’Europa Orientale (poi consacrata nel Patto di Varsavia)
e si giovava della solidarietà di forti partiti comunisti, soprattutto in Italia e in Francia.»
Diciamocelo chiaramente: la nato nasceva perché l’Europa aveva paura. Paura della
guerra, paura dell’invasione, paura della rivoluzione, paura che i comunisti prendessero il
potere ed instaurassero dei regimi similsovietici.
Poi, quarant’anni piú tardi, tutto é cambiato: finito il comunismo sovietico, finita
l’urss, sciolto il Patto di Varsavia, liberati i popoli soggiogati e caduto il muro di Berlino,
i partiti comunisti dell’Occidente diventati socialdemocratici e schierati addirittura a difesa
delle esigenze dei “mercati” e dell’alta finanza.
Era finita perciò la paura, ed era quindi svanito l’unico collante che aveva tenuto
insieme i soci atlantici. Sarebbe stato logico sciogliere la nato allora o, quanto meno, rive-
derne completamente la funzione. La Russia, infatti, non era più una minaccia per l’Europa,
neanche per l’Europa Orientale. Europa Orientale che peraltro – non va dimenticato – le era
stata regalata dagli americani nel 1945, a Jalta. Allora Churchill riuscì a stento a salvare la
Grecia. Ma questa – come suol dirsi – è un’altra storia.
Qualcuno storcerà il naso di fronte all’affermazione che la Russia non fosse più una
minaccia per l’Europa. Ma è proprio così. La Russia non ha più minacciato nessuno. L’u-
nica sua forma di pressione militare – fino alla vigilia dell’invasione dell’Ukraina – è stata
quella di difendere dalla pulizia etnica i russi residenti nei paesi confinanti: nel 2008 quelli
dell’Abcazia e dell’Ossezia del Sud, bombardati dalla Georgia; e dal 2014 ad oggi quelli del
Donbass, oggetto di una sanguinosa aggressione da parte dell’Ukraina.
Per inciso, dirò che in Donbass è stata combattuta una guerra vera e propria, mossa
dal governo ukraino con lo scopo di cancellare le due piccole repubbliche che reclamavano
l’autonomia. Una guerra di cui in Italia nessuno ha parlato, né giornali, né televisioni, né
talk-show, né reportages strappalacrime, né richiami ai valori dell’Europa di Mattarella, né
lamentazioni di Bergoglio, né niente di niente. Eppure, si è trattato di una guerra-guerra, con
carri armati, bombardamenti, rastrellamenti, oltre ad episodi di ferocia individuali o colletti-
vi (come la strage di Odessa). Una guerra-guerra il cui bilancio ufficiale (sottostimato) è di
13.000 morti, 34.000 feriti, un milione e mezzo di profughi, oltre a danni incalcolabili in due
vaste regioni [si veda https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Donbass ed anche https://
it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_ Odessa].
Scusate quest’altra lunga parentesi. Torniamo a noi. Torniamo agli interessi comuni
che dovrebbero essere alla base di una politica estera unitaria Europa-usa e di uno strumento
militare comune, come la nato. Ebbene, non soltanto non esistono questi interessi comuni,
ma esistono – al contrario – interessi (economici, politici, strategici) che sono contrastanti,
fortemente contrastanti se non, addirittura, diametralmente opposti. Quali? La lista sarebbe
lunghissima. Ne cito solo alcuni.
Primo, un interesse di ordine strategico generale. Finita l’epoca del bipolarismo
usa-urss, gli americani vogliono affermare una loro esclusiva supremazia monopolare; gli
europei hanno invece l’interesse a nuovi equilibri multipolari, in modo che anche l’Europa
(con o senza l’ue) divenga un “polo” che possa dialogare alla pari con gli altri “grandi”.
Secondo. Gli usa hanno l’interesse a mantenere sull’Europa un controllo totale (po-
litico, economico, militare), mentre l’Europa ha l’interesse a diventare un soggetto autonomo
e indipendente sulla scenario globale.
Terzo, particolarmente d’attualità in questi giorni. Gli usa hanno interesse a impe-

221
dire che si formi un’area di collaborazione e di integrazione (anche soltanto economica) fra
Europa e Russia, perché quest’area diventerebbe la primissima potenza economica al mondo,
peraltro autosufficiente in ogni campo, vanificando così la perversa strategia americana della
“globalizzazione”. L’Europa ha chiaramente l’interesse opposto: quello di giungere ad una
sinergia sempre più ampia con la Russia, con l’obiettivo di creare una vasta area di prosperità
(e quindi anche di pace).
Quarto. Gli usa hanno interesse a mantenere una struttura militare come la nato,
in modo da obbligare l’Europa a farsi strumento della loro politica estera. La nato riduce
gli europei a truppa ausiliaria degli Stati Uniti, da utilizzare come prima linea nel caso di
guerra, segnatamente nel caso di una guerra con la Russia. Parallelamente, imponendo una
lista preconfezionata di “buoni” e “cattivi”, gli usa impediscono che gli europei organizzino
le loro difese in altre direzioni non gradite a Washington (ed ogni riferimento al mondo del
radicalismo islamico non è puramente casuale).
Quinto. In particolare, gli usa vogliono interrompere il flusso del gas e quello del
grano dalla Russia verso l’Europa, perché hanno interesse a venderci (a prezzi più alti) il
loro lng, ovvero Gas Naturale Liquefatto [vedi «C’era una volta il petrolio» su “Social”
del 18 gennaio 2019]. Così come hanno interesse a farci comprare il loro grano (e quello del
Canada). L’Europa – va da sé – ha l’interesse opposto, fosse anche soltanto per risparmiare.
Sesto. Gli Stati Uniti hanno interesse a tirare il più possibile la corda con la Russia.
Tanto, se la corda si spezza, la guerra sconvolgerà l’Europa, mica il continente americano.
Quindi sanzioni, cancel culture verso tutto ciò che è russo (da Dostoevskij alla balalaika),
scempiaggini come l’ostracismo agli atleti, eccetera. L’Europa – scusate se dico questa ov-
vietà – ha tutt’altro interesse.
Settimo, se vogliamo entrare un po’ nel dettaglio. Gli usa hanno interesse a far ap-
plicare sanzioni a tappeto contro la Russia. Sono sanzioni che colpiscono forse più l’econo-
mia europea che quella russa. L’Italia, in particolare, segna autogol da “Striscia la Notizia”:
sono in ginocchio le nostre banche, il nostro export agroalimentare e manifatturiero, il nostro
turismo. Sempre che la Russia non perda la pazienza e non ci chiuda i rubinetti del gas ora,
in pieno inverno. Non “fra ventiquattro o trentasei mesi”, quando i brillanti cervelloni del
governo Draghi prevedono che l’Italia potrà riuscire a sostituire il gas russo con quello di
altra provenienza.
Potrei continuare a lungo, ma qui mi fermo. Mi accorgo di essere andato talora fuori
tema, con ampie escursioni su temi economici. Ma, in fondo, non è stato un male, perché
in politica non ci sono compartimenti stagni: l’economia condiziona la diplomazia; e la di-
plomazia, a sua volta, detta le linee della politica militare. Ergo, la nato è una palla al piede
non soltanto per i nostri interessi geopolitici e geostrategici, ma anche per i nostri interessi
economici. Chissà quando ce ne renderemo conto.

222
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-19
pp. 223-224

I PRESUNTI “ESODI CROATI” DA FIUME DAL 1918 AL 1940,


CAUSATI DA D’ANNUNZIO E POI DAL REGIME FASCISTA:
I CONTI NON TORNANO

Marino Micich *

Ho ravvisato già tempo fa, con stime penso molto ben documentate, che la sto-
riografia jugoslava prima e croata poi abbiano preso un abbaglio molto grande sui presunti
4-5.000 croati andati esuli da Fiume, sia per via del regime dannunziano e successivamente
per via della politica del regime fascista.
Purtroppo tali affermazioni numeriche, soprattutto per quel che riguarda il periodo
dannunziano, vengono portate avanti dai vari Sisic, Sobolevski, Patafta, Volk, Gobetti e altri
con sicurezza estrema senza fare i debiti conti con le fonti statistiche.
Simili errori di valutazione numerica si sono diffusi anche in molti storici italiani.
Di fatto quando i suddetti storici parlano di esodo slavo dalla Venezia Giulia, nel
caso di Fiume riportano la cifra di soli 6.544 croati e sloveni pertinenti a Fiume dopo il 1921
e fanno il confronto, per stimare il calo di popolazione slava sotto l’Italia, con i circa 15.100
slavi esistenti addirittura nel censimento austroungarico del 1910. In effetti, a Fiume, in base
al censimento del 1910 confrontato con quello del 1918, mancherebbero alla conta ben 8.556
croati-sloveni.
Va detto, da subito, che in quel censimento del 1910 le autorità austro-ungariche
conteggiarono anche importanti sobborghi esterni di Fiume, che come si sa erano da sempre
etnicamente croati. A Budapest conveniva in quel periodo soddisfare più i croati e sloveni
che non gli italiani di Fiume; e quindi aggiungere la popolazione dei sobborghi esterni alla
città, politicamente era utile allo scopo di sminuire l’importanza della componente italiana.
Inoltre, bisogna pure chiedersi quanti slavi dal 1910 in poi siano emigrati in quel
periodo nelle Americhe oppure perirono nella prima guerra mondiale (1914-18) e altre cause
ancora.
Il prof. Dubrovic ha scritto un bel libro sull’ emigrazione slava di quel periodo da
Fiume, Sussak e dai paesi dei dintorni, che aiuterebbe ad approfondire l’ analisi demografica
fiumana
Penso a questo punto che il censimento da prendere in considerazione sia quello del
1918 indetto alla fine delle ostilità belliche a Fiume città.
Secondo tale censimento gli jugoslavi, croati sloveni e pochi serbi erano 10.927,
però di questi si dichiararono di lingua materna slava solo in 6.544. I dati sono stati riportati
da Depoli nella rivista “Fiume”, i sem. 1924. Ora l’errore fatto da storici croati come Sisic,
Patafta, Sobolevski (Sobolevski si affida ad un elenco di 1.500 persone perseguitate, ma con-
siderati i dati dei censimenti del 1925 devono essere tornati in massima parte a Fiume) e ul-
timamente Merdzo (lo storico Lucio Villari nel suo libro “La luna di Fiume”, dice addirittura
che gli italiani erano minoranza … ma questo è un altro discorso), è stato quello di riportare,
e non comprendo la ragione, soli 6.544 croati e sloveni rimasti a Fiume dopo il trambusto
dannunziano, senza andare a controllare bene la fonte da cui hanno preso il dato.
In pratica forse non leggendo bene l’italiano hanno preso per buona solo la cifra di

* 
Direttore dell’Archivio del Museo di Fiume (Roma).

223
quei 6544, che hanno riempito la casella relativa alla lingua materna e non, come già riportato
sopra, l’altra cifra dei croati-sloveni dichiaratisi di tale nazionalità, che ripeto ammonta a ben
10.927 individui. Da qui secondo me l’errore, assai evidente, che ha portato molti storici e
opinionisti croati a parlare di esodo croato anche durante il recente centenario dannunziano
usando anche questo motivo, a dimostrazione delle violenze dannunziane, per criticare la
posa di una statua di D’Annunzio a Trieste.
Ora, se nel 1918 prima dell’arrivo dei dannunziani vi erano 10.927 fra croati-sloveni
e pochi serbi e se nel censimento ufficiale italiano del 1925, in pieno regime fascista, gli ju-
goslavi erano ben 10.353, come è possibile il verificarsi di un esodo di 4-5.000 croati-sloveni
tra il 1919 e il 1924? La sottrazione da fare tra 10.927 e 10.353 dà una differenza di 574
persone di etnia slava. A questo punto si può tutt’al più parlare di una fuoriuscita per motivi
politici di croati nel periodo dannunziano, e come appena riportato il numero di esuli politici
è da ricercare nella sottrazione di 10.927 (1918) con 10.353 (1925). In ogni caso è comunque
arduo azzardare una cifra di esuli croati. Forse 200 persone compresi i famigliari?
Non saprei rispondere con dati aritmetici a questa domanda. Non avendo dati certi.
In base al censimento segreto italiano del 1940 si contarono ben 11.199 allogeni e
6933 stranieri. È piuttosto certo che nel 1940 tra gli allogeni vi erano almeno 10.300 jugosla-
vi e gli altri potevano essere una parte di ebrei con cittadinanza italiana. Vi erano inoltre tra
gli stranieri ben 5.482 cittadini jugoslavi che lavoravano nel porto e nelle fabbriche.
Considerando questi dati statistici non si può storicamente scrivere né parlare di al-
cun esodo croato-sloveno di interessanti dimensioni a Fiume dal 1918 al 1940 (fine dell’Au-
stria-Ungheria, occupazione interalleata, impresa dannunziana e periodo fascista) e che su-
peri un paio di centinaia di individui. Né tanto meno si può utilizzare questo termine “esodo
croato” avvalorando il dato di 4-5.000 individui, che non è matematicamente plausibile dall’
analisi dei censimenti ufficiali.
Mi interesserebbe sapere cosa ne pensano in merito i vari Sobolevki, Patafta,
Merdzo, Scotti che per scoprire l’esodo di croati-sloveni da Fiume erroneamente partono tut-
ti dalla cifra del 1918 di 6.544 individui che considera, come ho spiegato sopra, solo coloro
che si sono espressi in merito alla lingua materna. Anche nel caso degli ungheresi, vediamo
che ben 4.441 si dichiarano di nazionalità ungherese, ma di questi solo 1.397 riempiono la
casella relativa alla lingua materna e così succede per altri gruppi nazionali residenti a Fiume.
Insomma basta leggere attentamente i dati prima di affermare cifre e dati poco plau-
sibili alla riprova dei fatti documentati. Il perché abbiano compilato il dato in questo modo
non mi è possibile spiegarlo al momento. Sarà oggetto di discussione futura.

224
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-20
pp. 225-234

GIURISPRUDENZA

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA

SENTENZA DELLA CORTE (SECONDA SEZIONE)


15 LUGLIO 2021

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Parità di trattamento in materia di occupa-


zione e di condizioni di lavoro – Direttiva 2000/78/ce – Divieto di discriminazione fondata
sulla disabilità – Articolo 2, paragrafo 2, lettera a), – Articolo 4, paragrafo 1 – Articolo 5
– Normativa nazionale che prevede requisiti in materia di acutezza uditiva degli agenti peni-
tenziari – Non conformità alle soglie minime di percezione sonora richieste – Impossibilità
assoluta di mantenere le funzioni»

Nella causa c795/19,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai


sensi dell’articolo 267 tfue, dalla Riigikohus (Corte suprema, Estonia), con decisione del 24
ottobre 2019, pervenuta in cancelleria il 29 ottobre 2019, nel procedimento

omissis

La corte (Seconda Sezione),

omissis

ha pronunciato la seguente
Sentenza

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’arti-


colo 2, paragrafo 2, e dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/ce del Consiglio, del
27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro (gu 2000, L 303, pag. 16).
2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra xx e la
Tartu Vangla (istituto penitenziario di Tartu, Estonia) in seguito alla decisione del direttore di
tale istituto di licenziare xx a motivo della non conformità ai requisiti in materia di acutezza
uditiva degli agenti penitenziari.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione
3. I considerando 16, 18, 20, 21 e 23 della direttiva 2000/78 enunciano quanto
segue:

225
«(16) La messa a punto di misure per tener conto dei bisogni dei disabili sul luo-
go di lavoro ha un ruolo importante nel combattere la discriminazione basata sull’handicap.
(...)
(18) La presente direttiva non può avere l’effetto di costringere le forze armate
nonché i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso ad assumere o mantenere nel posto di
lavoro persone che non possiedano i requisiti necessari per svolgere l’insieme delle funzioni
che possono essere chiamate ad esercitare, in considerazione dell’obiettivo legittimo di sal-
vaguardare il carattere operativo di siffatti servizi.
(...)
(20) È opportuno prevedere misure appropriate, ossia misure efficaci e pratiche
destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando
i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo
mezzi di formazione o di inquadramento.
(21) Per determinare se le misure in questione danno luogo a oneri finanziari
sproporzionati, è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che
esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’im-
presa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni.
(...)
(23)      In casi strettamente limitati una disparità di trattamento può essere giustifi-
cata quando una caratteristica collegata alla religione o alle convinzioni personali, a un han-
dicap, all’età o alle tendenze sessual[i] costituisce un requisito essenziale e determinante per
lo svolgimento dell’attività lavorativa, a condizione che la finalità sia legittima e il requisito
sia proporzionato. Tali casi devono essere indicati nelle informazioni trasmesse dagli Stati
membri alla Commissione».
4. L’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Obiettivo», così recita:
«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discrimi-
nazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze
sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effet-
tivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».
5. L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Nozione di discriminazione», di-
spone quanto segue:
«1.      Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si
intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di
cui all’articolo 1.
2.      Ai fini del paragrafo 1:
a)      sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi
di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o
sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;
(...)
5.      La presente direttiva lascia impregiudicate le misure previste dalla legislazione
nazionale che, in una società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela
dell’ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle
libertà altrui».
6. L’articolo 3 della medesima direttiva, intitolato «Campo d’applicazione»,
al suo paragrafo 1 così dispone:
«Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva, si applica a tutte

226
le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto
pubblico, per quanto attiene:
a)      alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che au-
tonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal
ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;
(...)
c)      all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licen-
ziamento e la retribuzione;
(...)».
7. L’articolo 4 della direttiva 2000/78, intitolato «Requisiti per lo svolgimen-
to dell’attività lavorativa», al paragrafo 1 prevede quanto segue:
«Fatto salvo l’articolo 2, paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono stabilire che una
differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a una qualunque dei motivi di
cui all’articolo 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura di un’attività lavo-
rativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito
essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia
legittima e il requisito proporzionato».
8. L’articolo 5 di tale direttiva, intitolato «Soluzioni ragionevoli per i disabi-
li», prevede quanto segue:
«Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono
previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti
appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di
accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una
formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere
finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compen-
sato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a
favore dei disabili».

Diritto estone
9. L’articolo 146 della vangistusseadus (legge penitenziaria) dispone quanto
segue:
«(1)      L’obiettivo del controllo medico dell’agente penitenziario è la scoperta di
problemi di salute causati dal servizio, la riduzione e l’eliminazione di rischi per la salute e
l’accertamento dell’assenza di problemi di salute che impediscano all’agente penitenziario di
adempiere ai suoi obblighi professionali.
(...)
(4)      Le norme relative ai requisiti e al controllo in materia di salute degli agenti
penitenziari, nonché i requisiti relativi al contenuto e alla forma del certificato medico sono
previsti con regolamento del governo della Repubblica di Estonia».
10. Il Vabariigi Valitsuse määrus nr 12 «Vanglateenistuse ametniku tervisenõu-
ded ja tervisekontrolli kord ning tervisetõendi sisu ja vormi nõuded» (regolamento n. 12 del
governo della Repubblica di Estonia «recante requisiti sanitari del personale penitenziario e
procedura per l’esame sanitario nonché contenuto e forma del certificato medico»), del 22
gennaio 2013 (in prosieguo: il «regolamento n. 12»), adottato sulla base dell’articolo 146,
paragrafo 4, della legge penitenziaria, è entrato in vigore il 26 gennaio 2013.
11. L’articolo 3 di tale regolamento così prevede:

227
«(1)      L’acutezza visiva dell’agente penitenziario deve soddisfare i seguenti re-
quisiti:
1)      l’acutezza visiva con correzione non deve essere inferiore a 0,6 su un occhio
né inferiore a 0,4 sull’altro occhio;
2)      un campo visivo normale, una normale percezione dei colori e una normale
visione notturna.
(2)      L’agente penitenziario è autorizzato a indossare lenti a contatto e occhiali».
12. Ai sensi dell’articolo 4 del suddetto regolamento:
«(1)      Il livello di acutezza uditiva dell’agente penitenziario deve essere sufficiente
per comunicare al telefono e per sentire il suono di un allarme e le comunicazioni radio.
(2)      In sede di controllo medico, il deficit uditivo dell’agente penitenziario, nell’o-
recchio con udito migliore, non deve superare 30 dB a una frequenza di 5002 000 Hz e 40 dB
a una frequenza di 3 0004 000 Hz né, nell’orecchio con udito peggiore, 40 dB a una frequen-
za di 5002 000 Hz e 60 dB a una frequenza di 3 0004 000 Hz».
13. L’articolo 5 del medesimo regolamento così dispone:
«(1)      L’elenco dei problemi di salute che impediscono all’agente penitenziario di
adempiere ai suoi obblighi professionali, il quale deve essere osservato in sede di valutazione
dello stato di salute dell’agente penitenziario, è previsto all’allegato 1.
(2)      La presenza di un impedimento assoluto di natura medica osta a che una per-
sona entri in servizio come agente penitenziario o intraprenda una formazione che prepara
alla funzione di agente penitenziario. (...)».
14. L’allegato 1 del regolamento n. 12 prevede l’elenco dei problemi di salute
che impediscono all’agente penitenziario l’adempimento dei suoi obblighi professionali. Tra
gli «impedimenti di natura medica», «l’abbassamento della capacità uditiva al di sotto dello
standard prescritto» è classificato come «impedimento assoluto».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

15. Il ricorrente nel procedimento principale è stato impiegato presso l’istituto


penitenziario di Tartu (Estonia) come agente penitenziario per quasi quindici anni. Dal 2
dicembre 2002 ha lavorato come guardia presso la sezione «Detenzione» di tale istituto pe-
nitenziario, poi, a partire dal 1° giugno 2008, come guardia presso la sezione «Sorveglianza»
dello stesso istituto. I suoi obblighi di servizio in quest’ultimo posto comprendevano, tra
l’altro, la sorveglianza, conformemente alle istruzioni, di persone sotto sorveglianza elettro-
nica attraverso un sistema di monitoraggio, nonché la trasmissione di informazioni relative
a tali persone, la supervisione dei dispositivi di controllo e di segnalazione, la reazione e la
comunicazione di informazioni, segnatamente in caso di allarme, nonché l’individuazione di
violazioni del regolamento interno dell’istituto penitenziario.
16. Un certificato medico del 4 aprile 2017 ha attestato che la soglia di perce-
zione sonora a livello dell’orecchio sinistro del ricorrente nel procedimento principale soddi-
sfaceva i requisiti del regolamento n. 12, mentre quella del suo orecchio destro era compresa
tra i 55 e i 75 decibel (dB) per le frequenze di 5002 000 Hertz (Hz). Secondo il ricorrente nel
procedimento principale, si trattava di un deficit uditivo presente sin dall’infanzia.
17. Con decisione del 28 giugno 2017 il ricorrente nel procedimento princi-
pale è stato licenziato dal direttore dell’istituto penitenziario di Tartu conformemente alle
pertinenti disposizioni del diritto estone, ivi compreso, in particolare, l’articolo 5 di tale re-

228
golamento, a causa della non conformità della sua acutezza uditiva alle soglie minime di
percezione sonora fissate da detto regolamento.
18. Il ricorrente nel procedimento principale ha proposto un ricorso dinanzi al
Tartu Halduskohus (Tribunale amministrativo di Tartu, Estonia) con cui ha chiesto l’accerta-
mento dell’illegittimità di tale licenziamento e un risarcimento, facendo valere che il regola-
mento n. 12 comportava una discriminazione a motivo della disabilità, contraria alla põhise-
adus (Costituzione) nonché alla normativa nazionale in materia di parità di trattamento. Tale
ricorso è stato respinto con sentenza del 14 dicembre 2017, per il fatto che, in particolare,
il requisito in materia di soglia minima di percezione sonora previsto dal regolamento n. 12
costituiva una misura necessaria e giustificata al fine di garantire che gli agenti penitenziari
in servizio siano in grado di svolgere tutti i loro compiti.
19. Con sentenza dell’11 aprile 2019 la Tartu Ringkonnakohus (Corte d’appel-
lo di Tartu, Estonia) ha accolto l’appello del ricorrente nel procedimento principale, ha an-
nullato tale sentenza, ha dichiarato illegittima la decisione di licenziamento e ha condannato
l’istituto penitenziario di Tartu a versargli un risarcimento.
20. Tale giudice ha ritenuto che le disposizioni del regolamento n. 12 relative
ai requisiti in materia di acutezza uditiva fossero contrarie al principio generale di uguaglian-
za sancito dalla Costituzione. Secondo lo stesso giudice, detto regolamento era inoltre in
contrasto con il principio di tutela del legittimo affidamento, parimenti sancito dalla Costi-
tuzione. Il suddetto giudice ha pertanto deciso di non applicare tali disposizioni nella causa
di cui era investito. Ha altresì deciso di avviare un procedimento giurisdizionale di controllo
della costituzionalità delle summenzionate disposizioni dinanzi al giudice del rinvio, la Rii-
gikohus (Corte suprema, Estonia).
21. Quest’ultima espone che lo Justiitsminister (Ministro della giustizia, Esto-
nia) e l’istituto penitenziario di Tartu fanno valere che il regolamento n. 12, più precisamente
il suo allegato 1, è conforme alla Costituzione e che la necessità di garantire la sicurezza delle
persone e l’ordine pubblico giustificano le soglie minime di percezione sonora previste da
tale regolamento, nonché il divieto di ricorrere a un apparecchio acustico per soddisfare tali
requisiti. L’agente penitenziario dovrebbe infatti essere in grado di svolgere tutti i compiti
in vista dei quali è stato formato e di prestare assistenza, se necessario, alla polizia, di modo
che l’acutezza uditiva dell’agente penitenziario dovrebbe essere sufficiente a garantire, senza
l’ausilio di una protesi acustica, una comunicazione chiara e non a rischio con i suoi colleghi,
in ogni circostanza.
22. Il giudice del rinvio rileva altresì che l’obbligo di trattare le persone con
disabilità allo stesso modo delle altre persone che si trovano in una situazione analoga e senza
discriminazione risulta non solo dalla Costituzione ma anche dal diritto dell’Unione, in par-
ticolare dall’articolo 21, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
e dalle disposizioni della direttiva 2000/78.
23. Il giudice del rinvio indica infine, riferendosi alla sentenza del 13 novem-
bre 2014, Vital Pérez (c416/13, eu:c:2014:2371, punti da 43 a 45), che la preoccupazione di
garantire il carattere operativo e il buon funzionamento dei servizi di polizia, penitenziari o
di soccorso, costituisce un obiettivo legittimo, idoneo a giustificare una differenza di trat-
tamento. Occorrerebbe tuttavia verificare se la normativa nazionale di cui al procedimento
principale abbia imposto un requisito proporzionato rispetto all’obiettivo perseguito. Ora, né
il tenore letterale di tale direttiva né la giurisprudenza della Corte consentirebbero di trarre
conclusioni chiare su tale punto.

229
24. In tali circostanze, la Riigikohus (Corte suprema) ha deciso di sospendere
il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 2, paragrafo 2, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 1,
della direttiva [2000/78], debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazio-
nale la quale prevede che una capacità uditiva inferiore allo standard prescritto rappresenta
un impedimento assoluto all’attività di agente penitenziario e non consente l’uso di ausili
correttivi per valutare il rispetto dei requisiti in materia di acutezza uditiva».

Sulla questione pregiudiziale


25. Con la sua questione il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo
2, paragrafo 2, e l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 debbano essere interpretati
nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che prevede un’impossibilità assoluta di
mantenere nelle sue funzioni un agente penitenziario la cui acutezza uditiva non raggiunge le
soglie minime di percezione sonora fissate da tale normativa, senza autorizzare l’utilizzo di au-
sili correttivi in sede di valutazione della conformità ai requisiti in materia di acutezza uditiva.
26. Va preliminarmente ricordato che sia dal titolo e dal preambolo, sia dal
contenuto e dalla finalità della direttiva 2000/78 risulta che quest’ultima si propone di fissare
un quadro generale per garantire a ogni individuo la parità di trattamento «in materia di oc-
cupazione e di condizioni di lavoro», offrendo una protezione efficace contro le discrimina-
zioni fondate su uno dei motivi di cui all’articolo 1, tra i quali sono menzionate le disabilità
(sentenze del 19 settembre 2018, Bedi, c312/17, eu:c:2018:734, punto 28 e giurisprudenza
ivi citata, nonché dell’8 ottobre 2020, Universitatea «Lucian Blaga» Sibiu e a., c644/19,
eu:c:2020:810, punto 30).
27. Quanto all’applicabilità di tale direttiva, alla luce delle indicazioni fornite
dal giudice del rinvio, non contestate dinanzi alla Corte, il regolamento n. 12 riguarda le
condizioni di assunzione e licenziamento, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e c),
di detta direttiva, di un agente penitenziario e rientra pertanto nell’ambito di applicazione di
quest’ultima.
28. Per quanto riguarda, in primo luogo, la questione di stabilire se una norma-
tiva nazionale come quella di cui al procedimento principale introduca una disparità di tratta-
mento fondata sulla disabilità, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della
direttiva 2000/78, ai fini di quest’ultima, per «principio della parità di trattamento» si intende
l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’arti-
colo 1 della direttiva medesima. L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva precisa che
sussiste discriminazione diretta quando, sulla base della disabilità, una persona è trattata meno
favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga.
29. Nel caso di specie, in forza del regolamento n. 12, in particolare del suo
articolo 4 e del suo allegato 1, le persone che presentano un livello di acutezza uditiva ridot-
to, inferiore alle soglie minime di percezione sonora richieste, non possono essere assunte o
mantenute in funzione in qualità di agente penitenziario. Pertanto, esse sono trattate in modo
meno favorevole di quanto lo siano, lo siano state o lo sarebbero in una situazione analoga
altre persone, vale a dire gli altri lavoratori impiegati come agenti penitenziari, ma il cui
livello di acutezza uditiva è conforme a tali norme.
30. Ne consegue che tale regolamento introduce una differenza di trattamento
direttamente fondata sulla disabilità, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della di-
rettiva 2000/78.

230
31. Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione di stabilire se una si-
mile differenza di trattamento possa essere giustificata sulla base dell’articolo 4, paragrafo 1,
della direttiva 2000/78, occorre ricordare che, secondo i termini stessi di tale disposizione, gli
Stati membri possono prevedere che una differenza di trattamento basata su una caratteristica
correlata a uno dei motivi di cui all’articolo 1 di tale direttiva non costituisca discriminazione
laddove, per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata,
la caratteristica in questione costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgi-
mento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato.
32. La Corte ha statuito che non è il motivo su cui è basata la differenza di
trattamento, ma una caratteristica legata a tale motivo che deve costituire un simile requisito
essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa (sentenza del 15 novem-
bre 2016, Salaberria Sorondo, c258/15, eu:c:2016:873, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).
33. Dal momento che consente di derogare al principio di non discriminazione,
l’articolo 4, paragrafo 1, di detta direttiva, letto alla luce del considerando 23 della medesima,
poiché fa riferimento a «casi strettamente limitati» nei quali una simile differenza di trattamento
può essere giustificata, deve essere interpretato restrittivamente (v., in tal senso, sentenza del 13
settembre 2011, Prigge e a., c447/09, eu:c:2011:573, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).
34. Al riguardo occorre rilevare che il considerando 18 della direttiva 2000/78
precisa che la stessa non può avere l’effetto di costringere i servizi penitenziari ad assumere
o mantenere nel posto di lavoro persone che non possiedano i requisiti necessari per svolgere
tutte le funzioni che possono essere chiamate a esercitare, in considerazione dell’obiettivo
legittimo di salvaguardare l’operatività di tali servizi.
35. L’intento di assicurare l’operatività e il buon funzionamento di detti servizi
costituisce pertanto una finalità legittima ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva (v.,
per analogia, sentenza del 13 novembre 2014, Vital Pérez, c416/13, eu:c:2014:2371, punto 44).
36. Inoltre, in forza dell’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78,
quest’ultima lascia impregiudicate le misure previste dalla legislazione nazionale che, in una
società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell’ordine pubblico,
alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui.
37. Per quanto riguarda l’obiettivo perseguito dalla normativa nazionale di cui
al procedimento principale, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che, preveden-
do al suo articolo 4 e al suo allegato 1 soglie minime di percezione sonora, la non conformità
alle quali costituisce un impedimento assoluto di natura medica all’esercizio delle funzioni di
agente penitenziario, tale regolamento mira a preservare la sicurezza delle persone e l’ordine
pubblico, garantendo che gli agenti penitenziari siano fisicamente in grado di svolgere tutti i
compiti loro incombenti.
38. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, di detto regolamento, l’acutezza uditi-
va dell’agente penitenziario deve pertanto essere sufficiente per comunicare al telefono e per
sentire il suono di un allarme nonché le comunicazioni radio.
39. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 45 delle sue conclusio-
ni, il requisito di essere in grado di sentire correttamente e, pertanto, di soddisfare un deter-
minato livello di acutezza uditiva discende dalla natura delle funzioni di agente penitenziario,
come descritte dal giudice del rinvio. Quest’ultimo ha infatti rilevato che la sorveglianza dei
detenuti implica, in particolare, l’essere in grado di individuare e di reagire a disordini che si
manifestano in modo udibile, di sentire il suono degli allarmi, di poter comunicare con gli al-
tri agenti attraverso dispositivi di comunicazione e, in particolare in situazioni rumorose o di

231
conflitti, eventualmente fisici, in caso di infrazioni dei detenuti al regolamento interno dell’i-
stituto penitenziario. Inoltre, dalle medesime indicazioni risulta che un obbligo di prestare
assistenza alla polizia, al quale si applicherebbero gli stessi requisiti in materia di acutezza
uditiva, può essere imposto a ogni agente penitenziario.
40. Ora, la Corte ha già statuito che il fatto di possedere capacità fisiche par-
ticolari può essere considerato un «requisito essenziale e determinante per lo svolgimento
dell’attività lavorativa», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, per lo
svolgimento di determinate professioni, quali il vigile del fuoco o l’agente di polizia (v., in tal
senso, sentenze del 12 gennaio 2010, Wolf, c229/08, eu:c:2010:3, punto 40; del 13 novembre
2014, Vital Pérez, c416/13, eu:c:2014:2371, punti 40 e 41, nonché del 15 novembre 2016,
Salaberria Sorondo, c258/15, eu:c:2016:873, punto 36).
41. Pertanto, a causa della natura delle funzioni di agente penitenziario e delle
condizioni del loro esercizio, il fatto che la sua acutezza uditiva debba soddisfare una soglia
minima di percezione sonora determinata dalla normativa nazionale può essere considerato
un «requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa», ai sensi
del suddetto articolo 4, paragrafo 1, per l’esercizio della professione di agente penitenziario.
42. Dal momento che il regolamento n. 12 mira a salvaguardare la sicurezza
delle persone e l’ordine pubblico, occorre constatare che tale regolamento persegue obiettivi
legittimi, come risulta dai punti 36 e 37 della presente sentenza. In tali circostanze, occorre
ancora verificare se sia proporzionato il requisito previsto da tale regolamento, al suo articolo
4 e al suo allegato 1, secondo cui l’acutezza uditiva dell’agente penitenziario deve soddisfare
soglie minime di percezione sonora – senza che sia autorizzato l’utilizzo di ausili correttivi in
sede di valutazione del soddisfacimento di tali soglie – la non conformità alle quali costitui-
sce un impedimento assoluto di natura medica all’esercizio delle funzioni del suddetto agente
penitenziario, che pone fine alle medesime e può pertanto condurre al suo licenziamento. Di
conseguenza, occorre esaminare se detto requisito sia idoneo a conseguire tali obiettivi e se
esso non ecceda quanto necessario per conseguirli (v., in tal senso, sentenza del 13 novembre
2014, Vital Pérez, c416/13, eu:c:2014:2371, punto 45).
43. Per quanto riguarda, anzitutto, l’idoneità del requisito di cui al punto pre-
cedente a conseguire gli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 12, attinenti al mantenimento
della sicurezza delle persone e dell’ordine pubblico, si può ammettere che la fissazione di
una soglia minima di percezione sonora per l’esercizio delle funzioni di agente penitenziario
senza l’utilizzo di ausili correttivi dell’udito consente di garantire che detto agente sarà in
grado di reagire agli allarmi sonori o a un’eventuale aggressione e di prestare assistenza alla
polizia, senza il rischio di essere eventualmente ostacolato dalla presenza, dal deterioramento
o dalla perdita di un apparecchio acustico.
44. Occorre tuttavia ricordare che una normativa è idonea a garantire la realiz-
zazione dell’obiettivo addotto solo se risponde realmente all’intento di raggiungerlo in modo
coerente e sistematico (sentenze del 12 gennaio 2010, Petersen, c341/08, eu:c:2010:4, punto 53
e giurisprudenza ivi citata, nonché del 21 gennaio 2021, inss, c843/19, eu:c:2021:55, punto 32).
45. Ora, dalle indicazioni contenute nella domanda di pronuncia pregiudiziale
risulta che la conformità alle soglie minime di percezione sonora fissate dal regolamento
n. 12 è valutata senza la possibilità, per l’agente penitenziario interessato, di utilizzare in tale
occasione una protesi acustica, mentre in sede di valutazione della conformità alle norme
previste da tale regolamento in materia di acutezza visiva l’agente può ricorrere a dispositivi
correttivi, quali lenti a contatto od occhiali. Ora, anche l’uso, la perdita o il deterioramento di

232
lenti a contatto od occhiali può ostacolare l’esercizio delle sue funzioni e creare rischi analo-
ghi, per un agente penitenziario, a quelli derivanti dall’uso, dalla perdita o dal deterioramento
di una protesi acustica, in particolare in una situazione di conflitto fisico con cui tale agente
sarebbe confrontato.
46. Per quanto riguarda poi il carattere necessario di tale requisito per rag-
giungere gli obiettivi attinenti al mantenimento della sicurezza delle persone e dell’ordine
pubblico, perseguito dal regolamento n. 12, occorre ricordare che la non conformità alle
soglie minime di percezione sonora fissate da tale regolamento costituisce un impedimento di
natura medica che impedisce in maniera assoluta l’esercizio delle funzioni di agente peniten-
ziario. Tali soglie si applicano nei confronti di tutti gli agenti penitenziari, senza possibilità
di deroga, indipendentemente dall’istituto presso il quale sono assegnati o dal posto da essi
occupato. Inoltre, detto regolamento non consente una valutazione individuale della capacità
dell’agente penitenziario di svolgere le funzioni essenziali di tale professione nonostante il
deficit uditivo che egli presenta.
47. Ora, tra i compiti di tali agenti, come risulta dai punti 15 e 39 della presente
sentenza, alcuni di essi consistono nel sorvegliare persone sottoposte a sorveglianza elettro-
nica mediante un sistema di monitoraggio, nonché nel monitorare dispositivi di controllo e di
segnalazione, senza che ciò implichi contatti frequenti con i detenuti. Inoltre, dalla domanda
di pronuncia pregiudiziale risulta che il regolamento n. 12 non tiene conto del fatto che il de-
ficit uditivo può essere corretto mediante protesi acustiche che possono essere miniaturizzate,
indossate all’interno dell’orecchio o addirittura collocate sotto un casco.
48. Del resto, occorre ricordare che, in forza dell’articolo 5 della direttiva
2000/78, letto alla luce dei considerando 20 e 21 di quest’ultima, il datore di lavoro è tenuto
a prendere i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze di una situazione concreta,
per consentire a una persona disabile di accedere a un lavoro, di svolgerlo o di avere una
promozione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere
finanziario sproporzionato. Infatti, ai sensi del considerando 16 di tale direttiva, la messa a
punto di misure per tener conto dei bisogni dei disabili sul luogo di lavoro ha un ruolo im-
portante nel combattere la discriminazione basata sull’handicap. A tale riguardo, la Corte ha
precisato che la nozione di «soluzioni ragionevoli» deve essere intesa in senso ampio come
riferita all’eliminazione delle barriere di diversa natura che ostacolano la piena ed effettiva
partecipazione delle persone disabili alla vita professionale su base di uguaglianza con gli
altri lavoratori. Inoltre, il considerando 20 contiene al riguardo un elenco di soluzioni ragio-
nevoli di ordine materiale, organizzativo o educativo che non è esaustivo (v., in tal senso,
sentenza dell’11 aprile 2013, hk Danmark, c335/11 e c337/11, eu:c:2013:222, punti 54 e 56).
49. Un simile obbligo è altresì sancito dalla Convenzione delle Nazioni Uni-
te sui diritti delle persone con disabilità, approvata a nome della Comunità europea con la
decisione 2010/48/ce del Consiglio, del 26 novembre 2009 (gu 2010, l 23, pag. 35), le cui
disposizioni – occorre ricordare – possono essere invocate al fine di interpretare quelle della
direttiva 2000/78, di modo che quest’ultima deve essere oggetto, per quanto possibile, di
un’interpretazione conforme alla medesima convenzione (v., in tal senso, sentenza dell’11
settembre 2019, Nobel Plastiques Ibérica, c397/18, eu:c:2019:703, punto 40).
50. Al riguardo, la Corte ha statuito che tale direttiva osta a un licenziamento
fondato sulla disabilità che, tenuto conto dell’obbligo di prevedere soluzioni ragionevoli per i
disabili, non sia giustificato dal fatto che la persona di cui trattasi non è competente, capace o
disponibile a svolgere le mansioni essenziali del suo posto di lavoro (v., in tal senso, sentenza

233
dell’11 luglio 2006, Chacón Navas, c13/05, eu:c:2006:456, punto 52).
51. Nel caso di specie, come risulta dalle indicazioni contenute nella domanda
di pronuncia pregiudiziale, prima di essere licenziato, il ricorrente nel procedimento princi-
pale è stato in servizio in qualità di agente penitenziario per oltre quattordici anni, con sod-
disfazione dei suoi superiori gerarchici. Risulta tuttavia, secondo le medesime indicazioni,
che il regolamento n. 12 non consentiva al suo datore di lavoro di procedere, prima del suo
licenziamento, a verifiche per sapere se fosse possibile prendere provvedimenti appropriati,
conformemente all’articolo 5 della direttiva 2000/78, come l’uso di un apparecchio acustico,
una dispensa, nei suoi confronti, dall’obbligo di svolgere compiti che richiedono di raggiun-
gere le soglie minime di percezione sonora richieste o ancora un’assegnazione a un posto che
non richiede di raggiungere tali soglie, e nessuna indicazione è fornita sul carattere eventual-
mente sproporzionato dell’onere che sarebbe imposto da simili misure.
52. Pertanto il regolamento n. 12 – poiché prevede soglie minime di perce-
zione sonora la non conformità alle quali costituisce un impedimento di natura medica che
osta in modo assoluto all’esercizio delle funzioni di agente penitenziario, senza consentire di
verificare se tale agente sia in grado di svolgere le sue funzioni, eventualmente dopo l’ado-
zione di soluzioni ragionevoli ai sensi di tale articolo 5 – sembra aver imposto un requisito
che eccede quanto necessario per raggiungere gli obiettivi perseguiti da detto regolamento,
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
53. Alla luce di quanto suesposto, occorre rispondere alla questione sollevata
dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 5 della
direttiva 2000/78 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale
che prevede un’impossibilità assoluta di mantenere nelle sue funzioni un agente penitenziario
la cui acutezza uditiva non è conforme alle soglie minime di percezione sonora fissate da tale
normativa, senza consentire di verificare se tale agente sia in grado di svolgere dette funzioni,
eventualmente dopo l’adozione di soluzioni ragionevoli ai sensi di tale articolo 5.

Sulle spese
54. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa co-
stituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle
spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono
dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 5 della


direttiva 2000/78/ce del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro genera-
le per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, devono
essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che prevede un’im-
possibilità assoluta di mantenere nelle sue funzioni un agente penitenziario la cui acutezza
uditiva non è conforme alle soglie minime di percezione sonora fissate da tale normativa,
senza consentire di verificare se tale agente sia in grado di svolgere dette funzioni, even-
tualmente dopo l’adozione di soluzioni ragionevoli ai sensi di tale articolo 5.

Firme

234
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-21
pp. 235-244

DOCUMENTI

UN MODO ESEMPLARE DI RICHIESTA DI INTERPRETAZIONE


PREGIUDIZIALE AI SENSI DELL’ART. 267 TFUE:
L’ORDINANZA DEL 7-17.12.2021 DEL TRIBUNALE DI PADOVA,
SEZIONE LAVORO

ORDINANZA

nel procedimento n. 1953/2021 RG promosso da


omissis
contro
omissis

MOTIVAZIONE

La sig.ra [omissis] dall’1 gennaio 2017 lavora alle dipendenze [omissis], come in-
fermiera professionale in servizio presso il reparto di neurochirurgia degenze. Espone che
con provvedimento del 16 settembre 2021, la predetta Azienda, in applicazione dell’art.
4 del decreto legge 1.04.2021, n. 44, le comunicava la sospensione dal lavoro con effetto
immediato e senza diritto alla retribuzione, poiché ella aveva violato l’obbligo vaccinale
ed era impossibile adibirla a mansioni diverse che non implicassero il rischio di diffusio-
ne del contagio; la sospensione durava fino all’adempimento dell’obbligo vaccinale o, in
mancanza, fino al completamento del piano vaccinale e comunque non oltre il 31.12.2021.
Con ricorso d’urgenza proposto il 14.10.2021 ai sensi dell’art. 700 c.p.c., la sig.ra [omissis]
espone che ella non dispone di altri redditi da lavoro, che le sarebbero comunque preclusi a
causa della sospensione dall’Albo professionale decisa dal relativo Ordine professionale, e
chiede pertanto a questo Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, di essere riammessa in
servizio, sostenendo che il cit. art. 4 del decreto legge 1.04.2021, n. 44, sarebbe contrario,
sotto vari profili, alla Costituzione della Repubblica Italiana, nonché alla normativa dell’U-
nione Europea.
L’ Azienda [omissis]contesta la fondatezza del ricorso.
Il procedimento è stato istruito solo mediante produzioni documentali.
All’udienza del 16 novembre 2021, questo Tribunale si è riservato di decidere.
Ciò premesso, questo Tribunale ricorda che il citato art. 4 del decreto legge 1.04.2021,
n. 44, convertito dalla legge 28 maggio 2021, 76, al primo comma dispone testualmente che
“in considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla
completa attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre
2020, n. 178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubbli-
ca e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e
assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui
all’articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle

235
strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie,
nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gra-
tuita per la prevenzione dell’infezione da sars-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito
essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative
dei soggetti obbligati. La vaccinazione è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite
dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in confor-
mità alle previsioni contenute nel piano”.
Il secondo comma dello stesso art. 4 del decreto legge n. 44 del 2021, prevede che
“solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche
documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione di cui al comma 1
non è obbligatoria e può essere omessa o differita”.
Il sesto comma dispone che “Decorsi i termini per l’attestazione dell’adempimento
dell’obbligo vaccinale di cui al comma 5, l’azienda sanitaria locale competente accerta l’i-
nosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informa-
zioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al
datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza. L’adozione dell’atto di accerta-
mento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere
prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra
forma, il rischio di diffusione del contagio da sars-CoV-2”.
Il settimo comma prevede che “La sospensione di cui al comma 6 è comunicata
immediatamente all’interessato dall’Ordine professionale di appartenenza”.
L’ottavo comma dispone che “Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il
datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da
quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che,
comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansio-
ni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la
retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”.
Il nono comma prevede che “la sospensione di cui al comma 6 mantiene efficacia
fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano
vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021”.
Il decimo comma dispone che “salvo in ogni caso il disposto dell’articolo 26, commi
2 e 2-bis, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge
24 aprile 2020, n. 27, per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 è omessa o
differita e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, il datore di lavoro adibisce i soggetti di
cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da
evitare il rischio di diffusione del contagio da sars-CoV-2”.
L’undicesimo comma del medesimo art. 4 del decreto legge 1.04.2021, n. 44, prevede
infine che “Per il medesimo periodo di cui al comma 10, al fine di contenere il rischio di con-
tagio, nell’esercizio dell’attività libero-professionale, i soggetti di cui al comma 2 adottano le
misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate dallo specifico protocollo di sicurezza adot-
tato con decreto del Ministro della salute, di concerto con i Ministri della giustizia e del lavoro
e delle politiche sociali, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Ciò premesso, la ricorrente sig.ra [omissis], a fondamento della propria pretesa di ri-
pristino del rapporto di lavoro in thesi illegittimamente sospeso, invoca molteplici argomenti
di natura in senso stretto medico-sanitaria (in primis, quello di essere già stata contagiata e
guarita, con un conseguente effetto di “immunizzazione naturale”, certamente rilevante in

236
termini di c.d. green pass) e argomenti più specificatamente giuridici, vuoi di diritto costitu-
zionale che europeo (convenzionale -leggasi cedu- e unionale in senso proprio).
Sotto il primo profilo, anche alla luce della sterminata letteratura in subiecta materia
e del dibattito scientifico finanche sovrabbondante, non appare pensabile o anche solo ragio-
nevole che questo Tribunale possa farsi carico, magari attraverso una consulenza tecnica, di
risolvere il punto sub judice della maggiore rischiosità del vaccino rispetto al possibile conta-
gio, anche a causa di eventuali ricadute nella malattia da parte della ricorrente, e della preferi-
bilità/opzionabilità di cure diverse, oggi comunque disponibili in ambiente ospedaliero (cure
anticorpali: si veda, nel sito dell’Aifa, il Report n. 34 Monitoraggio Anticorpi Monoclonali
per Covid-19 Ufficio Registri di Monitoraggio aifa Dati relativi alla settimana 19 – 25 no-
vembre 2021; o farmaci antivirali, ad esempio, quali Roche (at-527), Pfizer (PF-07321332)
e Merck (Molnupiravir), già in parte in circolazione e con efficacia di prevenzione -per lo
meno per il farmaco Paxlovid prodotto da Pfizer- fino all’89 % rispetto ai vaccini esistenti).
D’altro canto, le autorizzazioni alla messa in commercio dei vaccini anti-Covid,
sia pure condizionate ai sensi del Regolamento n. 507/2006, sono atti di diritto dell’Unione
Europea e, come tali, valutabili sotto il profilo della loro legittimità, soltanto dalla Corte di
Giustizia ai sensi della nota giurisprudenza Foto-frost del 22 ottobre 1987, causa 314/85,
salva la possibilità del giudice nazionale di apprezzarne in via cautelare la possibile illegit-
timità comunitaria, e pur tuttavia con obbligo di rinvio immediato alla Corte di Giustizia ex
art. 267 tfue ai sensi della richiamata giurisprudenza Foto-frost, come letta successivamente
ed autorevolmente in Zuckerfabrick del 21 febbraio1991, cause riunite c-143/88 e c-92/89.
In quest’ultima pronuncia si legge che:
23 “Occorre premettere che le misure di sospensione dell’esecuzione di un atto im-
pugnato non possono essere adottate se non quando le circostanze di fatto e di diritto invocate
dai ricorrenti inducano il giudice nazionale a convincersi dell’esistenza di gravi dubbi sulla
validità del regolamento comunitario sul quale l’atto amministrativo impugnato è fondato.
Solo la possibilità di un’invalidazione, riservata alla Corte, può infatti giustificare la conces-
sione della sospensione. 24 Va poi rilevato che la sospensione dell’esecuzione deve mante-
nere carattere provvisorio. Il giudice nazionale può quindi ordinare la sospensione cautelare
solo fino a che la Corte non abbia statuito sulla questione della validità. Ove la Corte non sia
già stata investita di tale questione, il giudice nazionale è perciò tenuto ad operare il rinvio
pregiudiziale, esponendo i motivi d’invalidità che gli appaiano fondati. 25 Quanto agli altri
presupposti della sospensione dell’esecuzione degli atti amministrativi, si deve osservare
che le norme processuali sono stabilite dai diritti nazionali, le cui divergenze in materia di
condizioni per la concessione della sospensione possono nuocere all’uniforme applicazione
del diritto comunitario”.
Laddove il giudice nazionale, dunque, ravvisasse dei seri dubbi di validità di un atto
comunitario, e intendesse in qualche modo attribuire una tutela cautelare, sarebbe obbligato
comunque ad investire la Corte di Giustizia della questione stessa, ai sensi della richiamata
giurisprudenza.
Orbene, alla luce delle nuove emersioni mediche e delle nuove acquisizioni in ter-
mini di medicinali a disposizione, in parte qui richiamate, la questione di validità delle au-
torizzazioni vaccinali, alla luce del Regolamento n. 507/2006, a questo Tribunale non pare
fuori contesto, o comunque non irragionevolmente ipotizzabile, un dubbio di validità delle
autorizzazioni della Commissione, previo parere ema, alla luce dell’art. 4 del Regolamento,
specie in considerazione del fondamentale valore giuridico in gioco, ovvero dell’integrità

237
fisica e della salute, protetti fra l’altro anche dagli artt. 3 e 35 della Carta europea dei diritti
fondamentali, parametri di legittimità degli atti comunitari e nazionali in sede di attuazione
del diritto dell’Unione europea (cfr. art. 51 Carta).
Orbene, a tenore dell’art. 4, l’autorizzazione condizionata “può essere rilasciata
quando il comitato ritiene che, malgrado non siano stati forniti dati clinici completi in merito
alla sicurezza e all’efficacia del medicinale, siano rispettate tutte le seguenti condizioni:
a) il rapporto rischio/beneficio del medicinale, quale definito all’articolo 1,
paragrafo 28 bis, della direttiva 2001/83/ce, risulta positivo;
b) è probabile che il richiedente possa in seguito fornire dati clinici completi;
c) il medicinale risponde ad esigenze mediche insoddisfatte;
d) i benefici per la salute pubblica derivanti dalla disponibilità immediata sul
mercato del medicinale in questione superano il rischio inerente al fatto che occorrano ancora
dati supplementari”.
Su un tale dubbio di validità comunitaria delle autorizzazioni in parola, questo
Tribunale ritiene utile provocare l’intervento della Corte di Giustizia ai sensi e agli effetti
dell’art. 267 tfue.
In particolare, si pongono alla Corte i seguenti quesiti rilevanti nel caso concreto:
1) “Dica la Corte di Giustizia se le autorizzazioni condizionate della Com-
missione, emesse su parere favorevole dell’ema, relative ai vaccini oggi in commercio, pos-
sano essere considerate ancora valide, ai sensi dell’art. 4 del Reg. n. 507/2006, alla luce del
fatto che, in più Stati membri (ad esempio in Italia, approvazione aifa del protocollo di cura
con anticorpi monoclonali e/o antivirali), sono state approvare cure alternative al covid sars
2 efficaci e in thesi meno pericolose per la salute della persona, e ciò anche alla luce degli artt.
3 e 35 della Carta di Nizza”;
2) “Dica la Corte di Giustizia se, nel caso di sanitari per i quali la legge dello
Stato membro abbia imposto il vaccino obbligatorio, i vaccini approvati dalla Commissione
in forma condizionata ai sensi e agli effetti del Regolamento n. 507/2006, possano essere
utilizzati al fine della vaccinazione obbligatoria anche qualora i sanitari in parola siano già
stati contagiati e quindi abbiano già raggiunto una immunizzazione naturale e possano quindi
chiedere una deroga dall’obbligo”;
3) “Dica la Corte di Giustizia se, nel caso di sanitari per i quali la legge dello
Stato membro abbia imposto il vaccino obbligatorio, i vaccini approvati dalla Commissione
in forma condizionata ai sensi e agli effetti del Regolamento n. 507/2006, possano essere
utilizzati al fine della vaccinazione obbligatoria senza procedimentalizzazione alcuna con
finalità cautelativa o se, in considerazione della condizionalità dell’autorizzazione, i sanita-
ri medesimi possano opporsi all’inoculazione, quanto meno fintantoché l’autorità sanitaria
deputata abbia escluso in concreto, e con ragionevole sicurezza, da un lato, che non vi siano
controindicazioni in tal senso, dall’altro, che i benefici che ne derivano siano superiori a quel-
li derivanti da altri farmaci oggi a disposizione. Chiarisca la Corte se in tal caso, le autorità
sanitarie deputate debbano procedere nel rispetto dell’art. 41 della Carta di Nizza”;
4) “Dica la Corte di giustizia se, nel caso del vaccino autorizzato dalla Com-
missione in forma condizionata, l’eventuale non assoggettamento al medesimo da parte del
personale medico sanitario nei cui confronti la legge dello Stato impone obbligatoriamente
il vaccino, possa comportare automaticamente la sospensione dal posto di lavoro senza re-
tribuzione o se si debba prevedere una gradualità delle misure sanzionatorie in ossequio al
principio fondamentale di proporzionalità”;

238
5) “Dica la Corte di Giustizia se laddove il diritto nazionale consenta forme
di dépeçage, la verifica della possibilità di utilizzazione in forma alternativa del lavoratore,
debba avvenire nel rispetto del contraddittorio ai sensi e agli effetti dell’art. 41 della Carta di
Nizza, con conseguente diritto al risarcimento del danno nel caso in cui ciò non sia avvenuto”.
Le parti in causa non hanno invocato il Regolamento n. 953/2021 che, tuttavia, in
quanto norma direttamente applicabile, pare avere un’indubbia rilevanza ai presenti fini.
Ogni Regolamento dell’Unione Europea possiede, alla stregua dell’art. 288 tfue, la
caratteristica della diretta applicabilità, con conseguente obbligo a carico del giudice dello
Stato membro di assicurarne il rispetto.
Alla luce della nota giurisprudenza Simmenthal, del 9 marzo 1978, c-106/77, “in
forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato e
gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto, nei loro rap-
porti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere «ipso jure» inapplicabile,
per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della
legislazione nazionale preesistente, ma anche - in quanto dette disposizioni e detti atti fanno
parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico
vigente nel territorio dei singoli Stati membri - di impedire la valida formazione di nuovi atti
legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie”.
Per giurisprudenza costante, “ogni giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi
nell’ambito delle proprie competenze, ha, in quanto organo di uno Stato membro, più preci-
samente l’obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione nazionale contraria a una disposizio-
ne del diritto dell’Unione, che abbia effetto diretto nella controversia di cui è investito” (cfr.
recentemente la sentenza del 24 giugno 2019, Popławski, c 573/17, eu:c:2019:530, punto 61
e giurisprudenza ivi citata).
Sulla base di queste premesse, si deve segnalare come, nel Regolamento n. 953/2021,
relativo ad un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di
vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla covid-19 (certificato covid digitale
dell’ue) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di covid-19,
si precisi inter alia che “è necessario che tali limitazioni [n.d.r.: alla libera circolazione delle
persone] siano applicate conformemente ai principi generali del diritto dell’Unione, segnata-
mente la proporzionalità e la non discriminazione”.
A tale ultimo proposito, ovvero della possibile discriminazione derivante dalla di-
sciplina nazionale emergenziale per causa del Covid, questo Tribunale non può esimersi dal
rilevare un punto della predetta disciplina, suscettibile di dare origine a problemi interpreta-
tivi ed applicativi da questo specifico punto di vista.
In virtù del cit. art. 4, comma 5, del decreto legge n. 44 dell’1 aprile 2021, “gli
esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro
attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle
farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione
gratuita per la prevenzione dell’infezione da sars-CoV-2”.
Inoltre, il medesimo art. 4, al comma 11, stabilisce che: “per il medesimo periodo
di cui al comma 10, al fine di contenere il rischio di contagio, nell’esercizio dell’attività
libero-professionale, i soggetti di cui al comma 2 adottano le misure di prevenzione igienico-
sanitarie indicate dallo specifico protocollo di sicurezza adottato con decreto del Ministro
della salute, di concerto con i Ministri della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali,
entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.

239
In altre parole, mentre il sanitario (medico o infermiere che sia) che non possa, per
una qualsiasi ragione, essere assoggettato al vaccino, può continuare a praticare la profes-
sione, sia pure nel rispetto delle regole di sicurezza, chi non vuole assoggettarsi al vaccino
non può più esercitare l’attività professionale sanitaria, sia come dipendente sia come libero
professionista, nonostante sia disposto a seguire rigorosamente le stesse regole di sicurezza.
Alla luce delle osservazioni qui esposte in tema di decreto legge n. 44/2021 e di Re-
golamento n. 953/2021, questo Tribunale ritiene opportuno sottoporre alla Corte di Giustizia
il seguente quesito.
6) “Dica la Corte di Giustizia se, alla luce del Regolamento n. 953/21 che
vieta qualunque discriminazione fra chi ha assunto il vaccino e chi non ha voluto o potuto
per ragioni mediche assumerlo, sia legittima una disciplina nazionale, quale quella risultante
dall’art. 4, comma 11, del decreto legge n. 44/2021, che consente al personale sanitario che è
stato dichiarato esente dall’obbligo di vaccinazione di esercitare la propria attività a contatto
con il paziente, ancorché rispettando i presidi di sicurezza imposti dalla legislazione vigente,
mentre il sanitario che come la ricorrente - in quanto naturalmente immune a seguito di con-
tagio - non voglia sottoporsi al vaccino senza approfondite indagini mediche, viene automa-
ticamente sospeso da qualunque atto professionale e senza remunerazione”.
Infine, alla luce della giurisprudenza della recente Corte di Giustizia Memoria srl e
Dell’Antonia c/ Comune di Padova del 14 novembre 2018, C-342/17, e delle considerazioni
ivi contenute a margine dell’art. 53 della legge n. 234/2012 (recante “Norme generali sulla
partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche
dell’Unione europea”, il quale stabilisce che “nei confronti dei cittadini italiani non trovano
applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti
discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell’ordinamento italiano ai
cittadini dell’Unione europea”), si chiede di conoscere se la misura del vaccino obbligatorio,
nel caso lo Stato membro ospite intendesse imporlo anche ad un sanitario di altro Stato mem-
bro dell’Unione presente in Italia per motivi professionali, sia compatibile con il principio di
proporzionalità espressamente richiamato dal Regolamento n. 953/2021.
Questo, dunque, il quesito.
7) “Dica la Corte se sia compatibile con il Regolamento n. 953 del 2021 e i
principi di proporzionalità e di non discriminazione ivi contenuti, la disciplina di uno Stato
membro che imponga obbligatoriamente il vaccino anti-Covid -autorizzato in via condizio-
nata dalla Commissione - a tutto il personale sanitario anche se proveniente da altro Stato
membro e sia presente in Italia ai fini dell’esercizio della libera prestazione dei servizi e della
libertà di stabilimento”.
Con istanza separata, questo Tribunale chiede che la presente domanda di pronunzia
pregiudiziale, venga decisa con procedimento accelerato.

Per tutti questi motivi,

lo scrivente Giudice del lavoro del Tribunale Ordinario di Padova (Italia), visti l’art.
267 tfue e l’art. 19, par. 3, lett. b, tue, presenta alla eccellentissima Corte di Giustizia dell’U-
nione Europea domanda di pronuncia pregiudiziale, chiedendo che risponda ai seguenti que-
siti:
1) “Dica la Corte di Giustizia se le autorizzazioni condizionate della Com-
missione, emesse su parere favorevole dell’ema, relative ai vaccini oggi in commercio, pos-

240
sano essere considerate ancora valide, ai sensi dell’art. 4 del Reg. n. 507/2006, alla luce del
fatto che, in più Stati membri (ad esempio in Italia, approvazione aifa del protocollo di cura
con anticorpi monoclonali e/o antivirali), sono state approvare cure alternative al covid sars
2 efficaci e in thesi meno pericolose per la salute della persona, e ciò anche alla luce degli artt.
3 e 35 della Carta di Nizza”;
2) “Dica la Corte di Giustizia se, nel caso di sanitari per i quali la legge dello
Stato membro abbia imposto il vaccino obbligatorio, i vaccini approvati dalla Commissione
in forma condizionata ai sensi e agli effetti del Regolamento n. 507/2006, possano essere
utilizzati al fine della vaccinazione obbligatoria anche qualora i sanitari in parola siano già
stati contagiati e quindi abbiano già raggiunto una immunizzazione naturale e possano quindi
chiedere una deroga dall’obbligo”;
3) “Dica la Corte di Giustizia se, nel caso di sanitari per i quali la legge dello
Stato membro abbia imposto il vaccino obbligatorio, i vaccini approvati dalla Commissione
in forma condizionata ai sensi e agli effetti del Regolamento n. 507/2006, possano essere
utilizzati al fine della vaccinazione obbligatoria senza procedimentalizzazione alcuna con
finalità cautelativa o se, in considerazione della condizionalità dell’autorizzazione, i sanita-
ri medesimi possano opporsi all’inoculazione, quanto meno fintantoché l’autorità sanitaria
deputata abbia escluso in concreto, e con ragionevole sicurezza, da un lato, che non vi siano
controindicazioni in tal senso, dall’altro, che i benefici che ne derivano siano superiori a quel-
li derivanti da altri farmaci oggi a disposizione. Chiarisca la Corte se in tal caso, le autorità
sanitarie deputate debbano procedere nel rispetto dell’art. 41 della Carta di Nizza”;
4) “Dica la Corte di giustizia se, nel caso del vaccino autorizzato dalla Com-
missione in forma condizionata, l’eventuale non assoggettamento al medesimo da parte del
personale medico sanitario nei cui confronti la legge dello Stato impone obbligatoriamente
il vaccino, possa comportare automaticamente la sospensione dal posto di lavoro senza re-
tribuzione o se si debba prevedere una gradualità delle misure sanzionatorie in ossequio al
principio fondamentale di proporzionalità”;
5) “Dica la Corte di Giustizia se laddove il diritto nazionale consenta forme
di dépeçage, la verifica della possibilità di utilizzazione in forma alternativa del lavoratore,
debba avvenire nel rispetto del contraddittorio ai sensi e agli effetti dell’art. 41 della Carta di
Nizza, con conseguente diritto al risarcimento del danno nel caso in cui ciò non sia avvenuto”;
6) “Dica la Corte di Giustizia se, alla luce del Regolamento n. 953/21 che
vieta qualunque discriminazione fra chi ha assunto il vaccino e chi non ha voluto o potuto
per ragioni mediche assumerlo, sia legittima una disciplina nazionale, quale quella risultante
dall’art. 4, comma 11, del decreto legge n. 44/2021, che consente al personale sanitario che è
stato dichiarato esente dall’obbligo di vaccinazione di esercitare la propria attività a contatto
con il paziente, ancorché rispettando i presidi di sicurezza imposti dalla legislazione vigente,
mentre il sanitario che come la ricorrente - in quanto naturalmente immune a seguito di con-
tagio - non voglia sottoporsi al vaccino senza approfondite indagini mediche, viene automa-
ticamente sospeso da qualunque atto professionale e senza remunerazione”.
7) “Dica la Corte se sia compatibile con il Regolamento n. 953 del 2021 e i
principi di proporzionalità e di non discriminazione ivi contenuti, la disciplina di uno Stato
membro che imponga obbligatoriamente il vaccino anti-Covid - autorizzato in via condizio-
nata dalla Commissione - a tutto il personale sanitario anche se proveniente da altro Stato
membro e sia presente in Italia ai fini dell’esercizio della libera prestazione dei servizi e della
libertà di stabilimento”.

241
Il presente giudizio è sospeso fino all’esito della presente domanda di pronuncia
pregiudiziale.
Si comunichi alle parti.
La cancelleria deve spedire l’originale della presente ordinanza, del fascicolo d’uf-
ficio e dei fascicoli di parte, alla Cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, o
mediante plico raccomandato a Rue du Fort Niedergrunewald, L-2925 Lussemburgo, oppure
mediante l’applicazione e-Curia (le modalità di accesso a tale applicazione, nonché le con-
dizioni di utilizzo di quest’ultima sono disponibili al seguente indirizzo: https://curia.europa.
eu/jcms/jcms/p_78957/it/). La cancelleria deve inoltre spedire il file della presente ordinanza
e quello dell’ordinanza anonimizzata a: ddp-GreffeCour@curia.europa.eu.
Padova (Italia), 17 dicembre 2021
Il Giudice
-omissis-

DISCORSO AL SENATO DEGLI U.S.A. DI BERNIE SANDERS


DELL’8.02.2022 * **

Mi preoccupo quando sento dei familiari “rombi di tamburo” a Washington soste-


nendo che noi dobbiamo “mostrare la forza”, nel momento in cui stiamo per assistere alla
peggiore guerra europea da 75 anni.
Le guerre hanno delle conseguenze inaspettate. Esse raramente rispettano le pre-
visioni degli “esperti”: per questo ricordiamo a coloro che prevedevano scenari rosei per le
guerre in Vietnam, Afghanistan e Iraq che invece sono avvenute cose orribili. Chiediamolo
alle madri dei soldati che furono uccisi o feriti in azione nel corso di quelle guerre. Chiedia-
molo ai tre milioni di civili che abbiamo descritto come “danni collaterali”.
Per questo dobbiamo fare ogni cosa possibile per cercare e realizzare una soluzione
diplomatica a ciò che potrebbe essere una grande guerra di distruzione in Ucraina.
Nessuno sa esattamente quale potrebbe essere il costo umano di questa guerra, ma
ci sono stime che potrebbe essere di oltre 50.000 civili e milioni di profughi che si rifugiano
nei Paesi vicini per fuggire da quello che potrebbe essere il peggiore conflitto europeo dalla
seconda guerra mondiale.
In aggiunta, naturalmente, ci sarebbero molte migliaia di morti tra i soldati ucrai-
ni e russi. E’ anche possibile che questa guerra “regionale” possa espandersi ad altre parti
dell’Europa e quello che potrebbe succedere è terrificante.
Ma questo non è tutto. Le sanzioni minacciate per rappresaglia contro la Russia
potrebbero causare un massiccio sconvolgimento economico con impatto sull’energia, il si-
stema finanziario, l’alimentazione e tutte le quotidiane necessità della gente comune in tutto

* 
Il discorso del Sen. Bernie Sanders trova posto non senza motivo nella rubrica “documenti”
senza che la Rivista sia coinvolta nelle analisi e nei giudizi da lui espressi.
Nota esplicativa: questo discorso fu pronunciato prima dello scoppio della guerra. Sanders è
** 

l’esponente di quella parte del Partito Democratico che si occupa delle questioni sociali del popolo
americano, e in passato è stato candidato alla Presidenza in opposizione a Obama e Hillary Clinton.
Egli sostiene tesi in parte simili a quelle di Trump sulla difesa dei lavoratori, dei commercianti e dei
piccoli imprenditori americani schiacciati e impoveriti dalle multinazionali e dalla globalizzazione.

242
il mondo: è presumibile che i russi non saranno l’unico popolo a soffrire delle sanzioni.
Inoltre, se si segue questo percorso, qualsiasi speranza di una cooperazione interna-
zionale per affrontare l’attuale minaccia della crisi climatica globale e delle future pandemie
subirà un grande impedimento.
Dovrebbe essere chiaro chi sia il maggior responsabile per questa crisi imminente:
Vladimir Putin. Avendo già occupato parti dell’Ucraina nel 2014, ora il presidente russo
minaccia di prendere l’intero Paese e distruggere la democrazia ucraina. Secondo me, noi
dobbiamo inequivocabilmente sostenere la sovranità dell’Ucraina e stabilire che la comunità
internazionale imporrà severe punizioni a Putin e ai suoi associati se egli non cambia strada.
Detto ciò, io sono estremamente preoccupato quando sento i familiari “rombi di
tamburo” a Washington, la bellicosa retorica che si amplifica ad ogni guerra sostenendo che
noi dobbiamo “mostrare la forza”, “entrare in contatto” e non impegnarci in una “pacifica-
zione”.
Il semplicistico rifiuto di riconoscere le complesse radici delle tensioni in quella
regione impedisce alla capacità dei negoziatori di raggiungere una pacifica soluzione.
Uno tra i fattori che hanno fatto precipitare questa crisi, almeno dalla prospettiva
russa, è la possibilità di una relazione rafforzata in materia di sicurezza militare tra l’Ucrai-
na, gli usa e l’Europa occidentale, compresa la minaccia che la Russia vede se l’Ucraina si
unisce alla nato, un’alleanza militare creata nel 1949 per fronteggiare l’Unione Sovietica.
E’ bene conoscere un po’ di storia. Quando l’Ucraina divenne indipendente dopo
il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991, i dirigenti russi esposero con chiarezza le loro
preoccupazioni circa l’ipotesi che gli ex-Stati comunisti facessero parte della nato e posizio-
nassero forze militari ostili dinanzi ai confini della Russia, e i dirigenti americani ammisero
che quella preoccupazione era legittima. Infatti, una risposta invasiva e intransigente non è
la soluzione: per esempio, è importante ricordare come la Finlandia, uno tra i più sviluppati
e democratici Paesi del mondo, confina con la Russia e non ha scelto di essere membro della
nato.
Putin sarà bugiardo e demagogo, ma gli usa sono ipocriti quando ripetono di non
accettare il principio delle “sfere d’influenza”. Negli ultimi 200 anni il nostro Paese ha agi-
to in base alla dottrina Monroe (dell’anno 1823) basata sulla premessa che, come potenza
dominante nell’emisfero occidentale, gli usa hanno il diritto d’intervenire contro qualsiasi
Paese che potrebbe minacciare i nostri presunti interessi.
In base a questa dottrina, noi abbiamo rivoluzionato e rovesciato almeno una doz-
zina di governi.
Nel 1962 noi fummo vicini ad una guerra nucleare con l’Unione Sovietica in ri-
sposta al collocamento di missili sovietici a Cuba, 160 chilometri dalle nostre coste, che il
Presidente Kennedy considerò un’inaccettabile minaccia alla nostra sicurezza nazionale.
E poi la dottrina Monroe non è una vecchia storia. Recentemente nel 2018 il se-
gretario di Stato di Trump, Rex Tillerson, definì la dottrina Monroe “importante oggi come
quando fu scritta”.
Nel 2019, l’ex-consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, John Burton, dichia-
rò che “la dottrina Monroe è viva e vegeta”.
Per dirlo più semplicemente, anche se la Russia non fosse stata guidata da un leader
autoritario come Putin, essa (come gli usa) sarebbe sempre interessata alle politiche di sicu-
rezza dei suoi vicini. Qualcuno crede veramente che gli usa non avrebbero qualcosa da dire
se, per esempio, il Messico formasse un’alleanza militare con un suo avversario?

243
I Paesi dovrebbero essere liberi di fare le proprie scelte in politica estera, ma facen-
do quelle scelte la saggezza richiede un’attenta considerazione dei costi e dei guadagni.
Il fatto è che se gli usa e l’Ucraina entrano in una più forte relazione di sicurezza, è
più probabile che ci siano dei seri costi: per entrambi i Paesi.
Noi dobbiamo fortemente sostenere l’affievolimento di questa crisi: sostenere l’in-
dipendenza e la sovranità dell’Ucraina e affermare che Putin e il suo governo avrebbero
grandi conseguenze se continueranno sull’attuale cammino.
Allo stesso tempo, però, non dobbiamo mai dimenticare gli orrori che provoche-
rebbe una guerra in quel territorio e dobbiamo impegnarci molto seriamente per realizzare
un realistico e mutuo accordo accettabile, ossia accettabile dall’Ucraina, dalla Russia, dagli
usa e dai nostri alleati europei, per prevenire quella che potrebbe essere la peggiore guerra
in Europa dopo 75 anni.

244
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-22
pp. 245-248

PANORAMA

RIESUMAZIONE DELLE VITTIME DELLE FOIBE


SOLO IN SLOVENIA?

Nella trasmissione sulla piattaforma Zoom che ha avuto luogo 15 febbraio u.s., che
è stata ripresa anche da Facebook, l’assordante silenzio dell’Unione italiana denuncia l’im-
barazzo che parecchi dirigenti dei “rimasti” hanno sull’argomento.
Si tratta degli eredi degli infoibatori italiani che hanno aiutato i comunisti di Tito?
Oppure si tratta di eredi di vittime delle foibe, che si domandano il perché di tanto
silenzio dei fatti che conoscono bene, perché subiti sulla loro pelle?
Certo è che la Voce del Popolo non ne parla. Ma se ne parla, e anche molto, tra i
“rimasti”.
Apprendiamo, inoltre, che l’on. Ziza nelle prossime elezioni in Slovenia verrà ri-
candidato con un grande appoggio da parte dei suoi elettori e che gli verrebbe contrapposto,
come la volta precedente, quando subì una sonora sconfitta, Maurizio Tremul che da trent’an-
ni detiene il potere più assoluto su sedi, giornali, scuole, asili e centri culturali di Unione ita-
liana in Slovenia e Croazia. Ma con scarso successo, come dimostrano i voti che ha raccolto
in Slovenia e con il rischio di ripetere la brutta fine. Basterà aspettare le elezioni in Slovenia
previste per la prossima primavera.
R. de’ Vidovich

CONTINUA LA LOTTA, MA SI RIESUMERÀ A BREVE TERMINE


QUALCHE VITTIMA DALLE FOIBE?

La lotta sordida, sotto traccia, che ha luogo in Slovenia, dove il Primo Ministro
uscente Jansa promette di dare degna sepoltura alle vittime delle 581 foibe regolarmente
mappate, continua a bloccare la situazione ed impedire una soluzione adeguata. Il Partito
comunista, oggi chiamato Social democratico, vorrebbe mettere a tacere l’enorme numero
di vittime anticomuniste e ridurlo a pochi elementi nella narrazione politica, nonostante la
verità dimostri il contrario. Ma se solo in Slovenia uscissero 100 mila - 200 mila infoibati,
come si pensa, il numero delle vittime del comunismo supererebbe di molto un milione per
avvicinarsi alla cifra di 1 milione e 800 mila che viene avanzata da più studiosi. Sarebbe il
10% di tutti i popoli che hanno formato lo sfortunato esempio della Jugoslavia.
Il nome di privati studiosi che hanno riesumato qua e là singole fosse comuni, co-
mincia ad essere abbastanza rilevante: basta pensare a Roman Leljak che ha fatto pressioni
sugli organi governativi sloveni ed è riuscito a far riesumare molti resti dalla foiba di Huda
jama. Altre iniziative ci vengono segnalate dalla Croazia, dove non è stata ultimata ancora la
mappatura delle foibe, che verrebbero ad ammontare ad oltre 700.
Da parte nostra, riteniamo che questa operazione sui comunisti e su Tito, ancorché
limitata per ora a solo due stati dell’ex Jugoslavia, sia sufficiente a documentare l’enormità

245
delle stragi perpetuate e zittire definitivamente negazionisti e riduzionisti che ancora tentano
di ridimensionare il fenomeno delle foibe.
R. de’ Vidovich

MAURIZIO TREMUL CERCA UN RIFUGIO


NEL PARLAMENTO SLOVENO
SI OPPORRÀ ALLA RIESUMAZIONE DELLE VITTIME DI TITO
ED AL LORO CONTEGGIO?

L’Unione italiana ha raggiunto lo scopo fissato da Tito: distruggere la popolazione


italiana in Yugo. Le notizie del Censimento degli italiani in Croazia hanno scatenato un vero
e proprio terremoto e ci si domanda se i fondi copiosamente elargiti dall’Italia abbiano ancora
qualche senso.
Le notizie arrivano dall’Unione italiana sui fondi che saranno tagliati o non più ero-
gati e si registra un fuggi fuggi nel direttivo di singoli dirigenti rimasti soli. Il Presidente che
da trentun anni dirige continuativamente l’Unione italiana attraverso sotterfugi largamente
conosciuti, Maurizio Tremul, si è candidato quale deputato al Parlamento sloveno, ma ha
scarse possibilità di elezione, specie se in questi giorni si candiderà il deputato uscente dott.
Felice Ziza, che ha portato tanti benefici alla piccola popolazione italiana del luogo.
Mentre si ritarda la pubblicazione dei dati ufficiali del Censimento sloveno e del
calo degli italiani di quella zona, l’Ufficio statistico sloveno conferma che non è stato indi-
viduato il numero degli italiani residenti in Slovenia, per cui non ci sarà in quella zona alcun
processo ai capi della minoranza italiana.
R. de’ Vidovich

I BENI DEGLI ESULI ISTRIANI, FIUMANI E DALMATI


NON SONO ALIENABILI

Apprendiamo oggi dalla Voce del Popolo che dopo trentun anni ininterrotti Furio
Radin, quale silenzioso deputato al Sabor di Zagabria, con la complicità dell’Unione italiana
guidata a sua volta per trentun anni ininterrotti da Maurizio Tremul, scopre appena ora che
erano stati sequestrati i beni agli italiani, ma solo quelli appartenuti a Franco Luxardo. Come
si ricorda, è da un decennio che esiste un dissidio insanabile tra la nostra Associazione e
Franco Luxardo, perché sulle posizioni politiche di Tremul e di Radin e che oggi appare in
tutta la sua gravità.
Non credo che il Sindaco di Zara in Esilio con sede a Trieste, Paolo Sardos Albertini,
né il Sindaco con sede centrale a Torreglia, Toni Concina, né lo stesso Luxardo accetteranno
che si restituiscano beni ad una sola famiglia, né che si dimentichi ad onorare l’on. Pietro
Luxardo, solo perché l’ultimo deputato fascista della Camera dei Fasci e delle Corporazioni
di Zara, annegato barbaramente dai partigiani di Tito, assieme alla moglie e ad un cugino,
come descritto dal grande nipote Nico nel libro Dietro gli scogli di Zara.
Evidentemente Radin intende a rioccupare il seggio garantito agli italiani al Parla-
mento di Zagabria, dopo che per trentun anni è stato silente sui beni espropriati agli italiani

246
da Tito e dai comunisti jugoslavi, a differenza della nostra Associazione che ha sempre ri-
vendicato inalienabile e legittima proprietà degli esuli dei loro beni, in nome della ritrovata
inviolabilità della proprietà privata, problema che solo oggi, grazie alla guerra in Ucraina,
torna ad essere di attualità dopo ottant’anni.
R. de’ Vidovich

BOCCIATO PER LA SECONDA VOLTA MAURIZIO TREMUL,


BATTUTO DALL’USCENTE FELICE ZIZA
CHE RAGGIUNGE 61%

Apprendiamo dal Radio Capodistria, con viva soddisfazione, che Maurizio Tremul
da 31 anni ininterrottamente a capo dell’Unione italiana, nonostante lo Statuto gli consentisse
solo 8 anni di presidenza.
Maurizio Tremul non ha raggiunto neanche la soglia di 40%, a dimostrazione della
stanchezza che vige nelle elezioni per il seggio garantito agli italiani dalla Repubblica slovena.
È auspicabile che, dopo le notizie filtrate sul censimento che riduce drasticamente
la presenza italiana in territori ceduti, Maurizio Tremul lasci definitivamente questa associa-
zione e che venga sostituito con una persona che ridia fiducia e garantisca una denuncia dei
partigiani di Tito contro le popolazioni italiane.
R. de’ Vidovich

COME VOLEVASI DIMOSTRARE:


BIDEN HA “PIAZZATO” IL GAS AMERICANO IN EUROPA

“Biden: torna l’America cattiva” titolavo nel giugno dell’anno scorso. L’articolo
era dedicato alla partecipazione del vecchio vice di Obama ai vertici di nato e g7, e si apriva
con alcune considerazioni che – chissà perché? – mi sono tornate alla mente in questi giorni;
adesso che il principale di Kamala Harris è tornato a calcare le scene dei vertici europei,
chiedendo nuove sanzioni per “far male” alla Russia e l’invio di altre armi in Ukraina per
prolungare l’inutile agonia di quel disgraziato paese.
Ricordo a me stesso quelle considerazioni, ormai vecchie di otto mesi: «La
partecipazione di Joe Biden ai recenti summit del g7 e della nato é stata salutata da gior-
nali e tv con lo slogan “l’America è tornata”. Sottintendendo che il ritorno avveniva dopo i
quattro anni della presidenza Trump, contrassegnati da attriti e incomprensioni con gli al-
leati europei. Slogan veritiero ma incompleto. Avrebbero dovuto aggiungere che era tornata
l’America cattiva, quella del Deep State guerrafondaio, quella del “Complesso militar-indu-
striale” che sogna lo scontro all’ultimo sangue con Russia e Cina, quella che vuole usare gli
europei come carne da cannone, quella delle “rivoluzioni colorate” per abbattere i governi
non allineati, quella delle “primavere arabe” per aprire la strada al terrorismo islamico,
quella che vuole dominare il mondo con la scusa della democrazia.»
Sarei tentato di riproporre pari quelle riflessioni come commento ai fatti di questi
giorni, ma la cosa mi sembra riduttiva. Perché – a parte le stupide esternazioni che malcelano
la voglia di terza guerra mondiale – Biden è tornato da queste parti non soltanto per invitare

247
gli europei a partecipare alla “guerra per procura” contro la Russia, a loro rischio e pericolo;
non soltanto per domandare nuove sanzioni che faranno più danni all’Europa che alla Russia;
non soltanto per chiedere o, anzi, per pretendere che Germania e Italia – soprattutto –uccida-
no il loro import-export, facciano chiudere migliaia di imprese, provochino milioni di nuovi
disoccupati e, infine, lascino i loro cittadini senza gas e con il prezzo della benzina alle stelle.
É venuto non soltanto a chiedere tutto questo – dicevo – come una specie di Babbo Natale a
rovescio, ma si è presentato anche nella veste di commesso viaggiatore, come un piazzista
– anche questo a rovescio – che propone agli europei di non comprare il gas a buon mercato
della Russia, e di acquistare invece quello più caro di provenienza usa.
Peraltro, nemmeno di gas si tratta, ma di gas “liquefatto”, che giungerebbe in Euro-
pa non attraverso i normali gasdotti, ma imbarcato su apposite navi “gasiere”. Naturalmente
– come venne a dirci anni addietro il principale di Biden – siccome le spese di trasporto
sarebbero astronomiche, il costo finale del prodotto sarebbe più o meno il doppio rispetto a
quello del gas russo. «Ma – scrivevo allora – avremo la soddisfazione di riscaldarci all’alito
della democrazia.» [“Il piazzista Barak Obama, gli F-35 e il gas americano” su «Social» del
4 aprile 2014]
Ma non basta pagare il doppio il gas americano, perché così com’è non servirebbe
a niente. Occorre ricondurlo dallo stato liquido a quello gassoso. Operazione complessa, da
effettuare in appositi impianti, i “rigassificatori”. Rigassificatori che andrebbero costruiti,
essendo quelli in funzione qui da noi appena tre. Altri soldi da spendere, che peraltro non ci
sono. Ma vuoi mettere la soddisfazione di fare un dispetto a Putin? Dispetto, certo, a spese
del popolo italiano. Senza contare che non saremo in grado di fare questo dispetto prima di un
paio d’anni. E se nel frattempo Putin decidesse di fare un dispetto a noi, dovremo rassegnarci
a passare due inverni senza riscaldamento. Poco male: Yankee-Mario avrà fatto la sua porca
figura, e sarà cresciuto un altro palmo ancora nella stima dei potentati di Wall Street.
Nelle more – ci scommetto – certi incredibili “esperti” dragheschi avrebbero tutto
il tempo per studiare con calma dove andare a reperire i soldi necessari per pagare il gas
americano a prezzi spropositati e per costruire tutti i necessari e costosissimi impianti di
rigassificazione.
Vorrei sbagliarmi, ma si preparano tempi duri, assai duri per le tasche degli italiani.
Sempre nella speranza che, nel frattempo, qualche testa brillante non trovi il modo per trasci-
narci in guerra contro la Russia.
M. Rallo

248
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-23
pp. 249-265

RECENSIONI

LA PROCURA EUROPEA. DALLA LEGISLAZIONE SOVRANAZIO-


NALE AL COORDINAMENTO INTERNO, DI GIOVANNI BARRO-
CU, CEDAM, PADOVA, 2021, PP. 256.

Nel vasto panorama delle pubblicazioni dedicate alla Procura europea, il Volume in
oggetto spicca per completezza e per l’originalità degli spunti di riflessione offerti dall’Au-
tore il quale non si limita ad una analisi ricostruttiva del dato normativo ma sottopone a
riflessioni di carattere critico sia il Regolamento istitutivo della Procura europea che il Rego-
lamento interno che ne disciplina il funzionamento.
Il Volume rappresenta un utile strumento di approfondimento per chiunque, per in-
teresse scientifico o per ragioni professionali, voglia acquisire una completa conoscenza del
funzionamento del cosiddetto Pubblico Ministero europeo.
L’Autore, che mostra una approfondita conoscenza non soltanto del diritto proces-
suale penale, il che è scontato essendo la sua materia di insegnamento universitario, ma anche
del diritto dell’Unione europea, offre una visione disincantata del livello (in realtà inesisten-
te) di integrazione processualpenalistica fra gli Stati membri alla cooperazione rafforzata
che ha dato vita alla Procura europea e ponendosi in un’ottica di obiettiva analisi del suo
Regolamento istitutivo evidenzia come l’impianto regolamentare istitutivo del pm europeo
sia notevolmente sbilanciato in pregiudizio dei diritti della difesa.
In altri termini, l’A. con condivisibili argomentazioni di carattere critico, mette in
luce la circostanza secondo la quale, per quanto per quanto romantica e suggestiva possa
essere l’idea di un Pubblico Ministero europeo che incarna l’idealtipo del kalòs kagathòs
di classica memoria, in realtà questa figura si scontra con le numerose carenze normative
soprattutto in termini di diritti della difesa sia dell’indagato poi eventualmente imputato e sia
della potenziale parte civile.
In effetti, pur nella consapevolezza che soltanto all’esito della chiusura dei futuri
processi le cui indagini sono affidate al Procuratore europeo si potranno trarre definitive con-
clusioni in merito, si rende tuttavia necessario evidenziare le numerose criticità riscontrabili
nell’impianto regolamentare diretto a disciplinare questo nuovo organismo di derivazione
europea.
Nel Volume in commento, con sapiente metodologia e tecnica giuridica, l’A. ri-
percorre le tappe fondamentali che hanno condotto all’adozione del Regolamento (ue)
2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017 relativo all’attuazione di una cooperazione
rafforzata sull’istituzione della Procura europea (eppo) per poi soffermarsi sull’analisi del
Regolamento stesso sul quale esprime numerose perplessità per la sostanziale mancanza di
un unico spazio giudiziario e dunque sulla previsione di un sistema di indagini per così dire
europeo che dà luogo ad una sorta di giurisdizione itinerante, o potenzialmente itinerante,
che mal si concilia da un canto con le esigenze della certezza del diritto e, d’altro canto, con
gli irrinunciabili principi del giusto processo.
In proposito, in un crescendo di ben argomentate considerazioni di carattere criti-
co confortate da numerosi richiami dottrinari, l’A. non manca di evidenziare come il mero

249
richiamo operato nel Regolamento alla Carta dei diritti dell’Unione europea, non significa
perciò stesso il concreto riferimento in norme che consentano il concreto esercizio dei diritti
della difesa.
Il Volume si completa con l’analisi della legge italiana di delega al governo per
l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento istitutivo della
Procura europea il quale, benché fonte normativa di portata generale, obbligatoria in tutti i
suoi elementi e direttamente applicabile all’interno degli Stati per il quale non è necessario un
atto di adattamento al diritto interno, ha determinato la necessità di una previsione normativa
interna ai fini di una sua miglior integrazione nel sistema giuridico italiano.

A.L. Valvo

INTRODUZIONE AL DIRITTO INTERNAZIONALE CONTEMPO-


RANEO, DI ATTILA TANZI, SESTA EDIZIONE RIVISTA E AGGIOR-
NATA, WOLTERS KLUWER CEDAM, MILANO, 2022, PP. liii-633.

È stata recentemente pubblicata la sesta edizione (rivista e aggiornata) del Manuale


di diritto internazionale di Attila Tanzi che, a distanza di quasi tre anni dalla precedente,
esamina alcuni recenti avvenimenti (come, ad es., l’intervento russo in Crimea) che hanno
interessato le relazioni internazionali e dunque il diritto che le disciplina.
Come giustamente evidenziato dall’Autore in quasi tutte le Premesse alle precedenti
edizioni «se è vero che la Storia non finisce mai […] il suo svolgimento si è accelerato […]
non solo negli eventi politici […] ma anche nei processi sociali sottostanti e contraddittori
che hanno permesso tali eventi» (cfr. la Premessa alla sesta edizione, riprodotta nel volume
qui recensito). Le dinamiche sempre più vorticose delle relazioni internazionali, diretta con-
seguenza di un equilibrio globale sempre più in discussione al punto (purtroppo) da potersi
forse prefigurare il tramonto di quel periodo di relativa stabilità internazionale che ha carat-
terizzato i decenni successivi alla fine della II Guerra mondiale (come, inter alia, dimostra
non solo l’attuale conflitto armato tra Russia e Ucraina ma anche le molteplici ragioni che
hanno lentamente precostituito le condizioni di tensioni prodromiche alla deflagrazione del
conflitto), ormai impongono l’aggiornamento costante dei Manuali di diritto internazionale e
quelle che, nel linguaggio editoriale, sono “semplici” rivisitazioni e aggiornamenti diventano
in realtà per l’Autore di turno l’ennesima complessa sfida lanciata dalla politica internazio-
nale alla certezza, chiarezza e prevedibilità del diritto internazionale. Non solo, dunque, il
giurista è impegnato in un servizio costante da “sentinella del diritto” ma tale servizio è anche
molto gravoso e complesso dato che, oggi come non mai, da un canto, certi fenomeni che
sembravano ormai appartenere al passato (come i conflitti armati internazionali) riprendono
prepotentemente la scena e, dall’altro, altri istituti (come la legittima difesa), che hanno costi-
tuito per decenni la pietra angolare di una relativa stabilità internazionale grazie al correlato
restraint che “imponevano” agli Stati, sono oggetto di interpretazioni talmente “estensive”
(si pensi al concetto di “imminenza” elaborato dal Regno Unito per difendersi legittimamente
dal terrorismo o alla global war on terror di ispirazione statunitense) da modificare il com-
plessivo scenario internazionale dell’uso della forza in termini di nuovi margini di legittimità
e dunque di operatività.

250
Va dunque evidenziato lo sforzo e il merito di Attila Tanzi nel dare alla luce una
nuova edizione e va altresì rimarcato l’altro merito di ordine generale che caratterizza la
manualistica di questo Autore sin dalla prima edizione del 2003 e che emerge già dal titolo
stesso del Manuale: descrivere il diritto internazionale non secondo una ottica formale e
statica (quasi classica e giuspositivistica verrebbe da dire) ma secondo una ottica dinamica,
sociale e realistica perché solo questo approccio consente di descrivere il diritto internazio-
nale “contemporaneo”, vale a dire quello che, a torto o a ragione, viene realmente invocato,
interpretato e applicato dagli Stati e dagli attori non-statali (a cominciare dalle organizzazioni
internazionali) nelle attuali relazioni internazionali.
Il volume qui recensito si articola in cinque Parti precedute da una Introduzione e
seguite da una Sintesi ed è corredato da un indice analitico, da un indice dei casi citati e da un
indice delle abbreviazioni (oltre che da tutte le premesse alle precedenti edizioni).
Nell’Introduzione, articolata in cinque paragrafi (di fatto, un vero e proprio primo
capitolo più che una nota espositiva-introduttiva del lavoro), appare di particolare interesse
e utilità (soprattutto per lo studente che si avvicina per la prima volta alla materia) la disa-
mina delle «configurazioni del diritto internazionale», sia nella sua prospettiva storica che
evolutiva contemporanea, nella misura in cui evidenzia sia l’intrinseco nesso costitutivo tra
società e diritto che il continuo divenire del diritto in rapporto alla storia e alla politica (non
a caso l’Introduzione reca giustamente il titolo «Il diritto internazionale tra passato, presente
e futuro»). Ritroviamo dunque quelle due indicazioni metodologiche che non dovrebbero
mai mancare in un Manuale perché costituiscono per lo studente il “libretto di istruzioni” per
capire e far funzionare secondo logica la materia che dovrà studiare.
La Parte Prima si occupa de «Il diritto nella società internazionale» e rappresenta,
secondo noi, un altro “cuore pulsante” del volume nella misura in cui riesce efficacemente a
dar conto e spiegare al lettore le molteplici e intrinseche complessità del diritto internazionale
(e, in genere, di qualunque ordinamento giuridico) sfatando molti luoghi comuni (a comin-
ciare da quello che l’A. chiama «il mito della “certezza” del diritto») che vorrebbero il diritto
scritto nella pietra e sempre in grado di fornire una risposta e, per di più, anche un risposta
chiara ed esaustiva ai problemi, alle controversie e alle dinamiche che è chiamato a discipli-
nare. L’A. rende evidente il filo logico e metodologico che, realisticamente e scientificamen-
te, lega la società al diritto e in modo altrettanto chiaro dimostra al lettore che senza seguire
questo filo, anche prendendo atto della «relatività e della dialettica delle interpretazioni delle
regole giuridiche», difficilmente si comprende il senso e il ruolo del diritto internazionale
nella Comunità internazionale contemporanea.
La Parte Seconda, molto ampia e articolati in numerosi paragrafi e sotto-paragrafi,
si occupa della formazione e trasformazione del diritto internazionale. In questa parte, oltre
alla dovuta disamina delle consuetudini e dei trattati, merita un cenno l’ampia parte dedicata
alla soft law e ricca di esempi a testimonianza, per l’ennesima volta, dell’attenzione che l’A.
dedica ai fenomeni che oggi, proprio nel diritto internazionale appunto “contemporaneo”, in-
fluiscono, se non marcano, in modo significativo lo sviluppo delle relazioni sociali, politiche
e infine giuridiche. In questa ottica, quindi, si spiegano i diversi paragrafi dedicati alle ONG,
altro motore/attore delle relazioni internazionali contemporanee.
La Parte Terza, altrettanto articolata, esamina le questioni relative all’accertamento
e applicazione, osservanza e inosservanza delle regole del diritto internazionale. Impostata in
modo originale rispetto alla maggior parte della manualistica, questa parte del volume (oltre
ovviamente ad esaminare, inter alia, il tema della responsabilità internazionale degli Stati e

251
delle regole di interpretazione normativa) si focalizza sul ruolo primario e decisivo degli Sta-
ti, in tutte le articolazioni interne (fino alle amministrazioni locali), nell’accertare, applicare,
rispettare e violare il diritto internazionale con utili spunti e riferimenti anche al ruolo e alla
posizione dei privati e delle ong (oltre che ovviamente delle organizzazioni internazionali).
La Parte Quarta, senza soluzione di continuità logica, tratta della attuazione coerci-
tiva delle regole di diritto internazionale. Partendo dal concetto, spesso marginalizzato negli
scritti giuridici italiani, di «osservanza spontanea» del diritto (che invece è centrale in quella
dottrina statunitense – da Henkin alla Slaughter fino alla New Haven School della Yale Uni-
versity – che l’Autore ben conosce da molto tempo), questa Parte esamina il tema delle con-
tromisure, del sistema di sicurezza collettiva e dell’esecuzione forzata delle sentenze della
Corte internazionale di giustizia. Di particolare pregio e utilità sono poi gli approfondimenti
sul ruolo degli ordinamenti interni in questa complessa e delicata dinamica e della risposta al
terrorismo internazionale che si leggono, rispettivamente, nei §§ 6 e 4.
La Parte Quinta si concentra sul diritto (internazionale) sostanziale e dunque esa-
mina, in modo inevitabilmente più sintetico dato l’impianto manualistico ma adeguatamente
approfondito per lo studente, in quale modo il diritto internazionale contemporaneo disciplini
le tematiche delle immunità degli Stati e dei loro organi, dell’economia, dei diritti umani, del
mare, dell’ambiente, delle migrazioni e delle organizzazioni internazionali.
Nella parte finale (rubricata In sintesi), l’A. “chiude” il lungo discorso, iniziato nell’In-
troduzione e svolto nelle diverse Parti, ragionando “a voce alta” sul tema che forse è oggi più
centrale nei dibattiti filosofici, politici e giuridici, vale a dire quello del rapporto tra sovranità
dello Stato e internazionalità. Le parole d’ordine di un dibattito complesso, e talvolta sfocato
o eccessivamente semplificato o grossolanamente sviluppato negli scritti e nella manualistica
giuridica, sono richiamate dall’A. (costituzionalismo internazionale, solidarietà, cosmopoliti-
smo, etc.) e puntualmente esaminate, discusse e approfondite in modo da offrire al lettore-
studente, giunto alla fine del viaggio, non solo indicazioni chiare e metodologicamente fondate
in punto di diritto ma anche, e forse soprattutto, spunti di riflessione, anche di natura evolutiva,
che senza dubbio lo stimolano a ragionare sul futuro della Comunità internazionale e del suo
diritto e lo rendono più in grado di comprendere, valutare e giudicare gli sviluppi in atto e quelli
che ancora non si sono profilati all’orizzonte delle relazioni e del diritto internazionali: in altre
parole, che lo rendono più in grado di essere in modo responsabile e informato il “cittadino
cosmopolita” non solo del diritto internazionale contemporaneo ma anche di quello futuro.

P. Bargiacchi

PER UNA DEFINIZIONE DELLA STRUTTURA NORMATIVA DEL


DIRITTO INTERNAZIONALE CONTEMPORANEO, DI GIANCAR-
LO GUARINO, JOVENE, NAPOLI, 2021, PP. 328

Nel panorama attuale, che offre visioni magari avanguardistiche della struttura del
diritto internazionale, sovente la discussione si è spostata su temi sempre più lontani dalle
origini del settore in questione. Ciò è inevitabilmente legato alla evoluzione dell’oggetto
dello studio (il rapporto tra gli Stati, la insorgenza di nuovi soggetti di diritto internazionale)
e alla elaborazione normativa che dottrina e giurisprudenza hanno fornito al riguardo.

252
Nell’ultimo decennio del secolo scorso e nel primo di quello presente, si è fatta strada
una corrente di pensiero molto seguita ed apprezzata, propugnata da studiosi di gran valore.
Tale opinione auspicava lo sviluppo di una sorta di ordinamento giuridico internazionale, che
avesse alla base i principali documenti giuridici esistenti (dalla Carta onu in poi) ed i princìpi
generalmente accettati dalla comunità internazionale. Per tutta una serie di ragioni concate-
nate, l’ondata di approvazione che detta teoria suscitò in un primo momento è andata via via
dissolvendosi. E ciò non perché essa non contenesse fondamenti di idee giuridiche innovative
o di scarso pregio; il mancato accoglimento di essa è attribuibile piuttosto al fatto che oggetti-
vamente le circostanze non erano (e non sono) ancora maturate. La crisi di identità dell’onu, il
dibattito sempre vivo sul deficit democratico di importanti istituzioni come l’Unione Europea,
l’insorgenza di visioni antagonistische al diritto internazionale classico (si pensi ad esempio al
cd. twail), sono tutti elementi che hanno indotto la ricerca a rivalorizzare le radici esistenti per
sostenere una struttura teorica e normativa adeguata agli sviluppi del diritto in questione.
In questo quadro si colloca il volume di cui si parla qui, in quanto esso pone come
scopo la descrizione del sistema del diritto internazionale come struttura, cioè del suo ordi-
namento positivo. L’intento è quello di ricostruire la logica più che gli specifici istituti che
ne derivano. Si direbbe una sorta di ritorno al futuro, laddove la ricerca indica gli obiettivi
da raggiungere attraverso l’analisi delle certezze finora raggiunte. Il sistema che si intende
tratteggiare nell’opera viene riassunto nella brillante citazione di Paul A. Weiss: «A complex
unity in space and time so constituted that its component subunits, by systematic cooperation,
preserve its integral configuration of structure and behavior and tend to restore it after non-
destructive disturbances1». Nel rapporto tra Comunità internazionale e ordinamenti statali, è
possibilie traslare detto schema in quanto a) uno Stato esiste se è riconosciuto dalla comunità
internazionale; b) la Comunità internazionale è tale fino a quando gli Stati lo decidono. Il
rapporto manifesta una certa interdipendenza tra i fattori che lo costituiscono, i quali tuttavia
differiscono tra di loro per carattere e struttura.
Gli ordinamenti statali si fondano sulla effettiva esistenza della autorità; l’ordina-
mento internazionale– che è privo della autorità per l’esplicita non-volontà dei soggetti di
crearla, regola coscientemente anche se non deliberatamente i diritti e i doveri dei soggetti,
tra i quali primeggiano gli Stati: si pensi solamente alla capacità della Comunità internazio-
nale di pronunciarsi sulla legittimità e sulla esistenza degli Stati medesimi. Ciò per definire il
tipo di controllo che il diritto internazionale esercita e che trova espressione, in generale, nei
princìpi di massima rilevanza come quello della autodeterminazione dei popoli, ovvero nei
princìpi in materia di diritti dell’uomo. Questi ultimi conferiscono diritti agli individui (non
soggetti di diritto internazionale; non capaci di agire nel diritto internazionale) e garanzie ai
popoli, imponendo le regole di comportamento agli Stati e, in generale, ai soggetti di diritto
internazionale. Di talché è impossibile o, meglio, illecito sottrarsi ad esse regole, quando gli
ordinamenti statali siano inadeguati rispetto alle norme di diritto internazionale: in tali casi
l’ordinamento interno si pone in contrasto con il diritto internazionale, per cui può essere
privato delle prerogative proprie dei soggetti di diritto internazionale, a cominciare dal limite
degli affari interni (i.e. responsibility to protect); ovvero, nei conflitti di autodeterminazione,
contro lo stesso ordinamento statale può dichiararsi la inesistenza del diritto alla legittima
difesa di fronte all’uso legittimo della forza da parte del popolo.

1
  In: The basic Concept of Hierarchic Systems, in Id., Hierarchically Organized Systems in Theory
and practice, New York, 1971, p. 14, nt. 50.

253
Agli ordinamenti interni compete allora la piena autonomia, ma nei limiti e nei ter-
mini delle esigenze di coordinamento e gestione collettiva dell’ordinamento internazionale,
laddove possono formarsi norme che richiedano la applicazione negli ordinamenti interni e,
quindi, obblighino strutturalmente gli ordinamenti interni medesimi: in altre parole, le norme
di diritto internazionale sono di per sé norme interne. Che esse contribuiscano a loro volta
alla formazione del diritto internazionale, è un discorso diverso ma pure sempre conseguen-
ziale alla logica del sistema descritta nel volume.
Il che vale – secondo l’autore – ad escludere radicalmente la presunta natura esclusi-
vamente contrattuale del diritto internazionale, se non altro perché tale ricostruzione avrebbe
senso solo quando chi stipula l’accordo abbia la legittima aspettativa di poterne pretendere
il rispetto: essa presuppone cioè una norma generale che garantisca il contratto. La regola
pacta sunt servanda, insomma, non è metagiuridica ma deriva da un processo di formazione
giuridica non diverso da quello delle norme generali di diritto internazionale. Per cui, accanto
ad esse va posta la corrispondente garanzia della obbligatorietà della norma non scritta, attra-
verso l’altro principio consuetudo est servanda.
Tra una società umana giuridica ed una comunità umana giuridica la differenza sta
nel fatto che la prima definizione indica una aggregazione intorno ad una autorità, dalla quale
promanano le norme, decise a loro volta con procedimenti tipizzati; nella comunità giuridica
manca sia la autorità capace di produrre le norme e sia il procedimento a monte. Da questa
impostazione, l’Autore deduce che nel diritto internazionale sia concettualmente errato parla-
re di fonti giuridiche: una fonte – viene detto – implica un ente fisico giuridico da cui proma-
nino legittimamente dei comandi. E questo istituto nel diritto internazionale non è presente
neppure in astratto. Le stesse ipotesi di una verticalizzazione del sistema, desunte da atti di
varia natura (politici; militari, come le azioni attribuibili alle Nazioni Unite; economici, come
gli atti dei panel della wto; giudiziari, come gli atti della Corte Internazionale) mostrano
solo la loro origine contrattuale, spesso occasionale, idonea al più per la ricostruzione di una
prassi o la ricostruzione di una norma.
La logica normativa di società e comunità – cioè di diritto statale e Völkerrecht – è
identica; la prerogativa di quest’ultimo ordinamento sarebbe la capacità di controllo che gli
Stati (membri della Comunità internazionale) gli hanno conferito. Si tratterebbe, per fare un
esempio, di un circolo vizioso: uno Stato (soggetto di diritto internazionale) nasce da sè ma
rimane tale fino a quando mantiene il requisito della legittimità. Il punto di equilibrio può
essere giuridicamente trovato solo nell’ordinamento internazionale, il quale deve regolare i
rapporti tra soggetti e valutarne la legittimità dei comportamenti. Ma nulla di più: la Comu-
nità internazionale, in quanto composta dai soggetti di essa, non ha prevalenza giuridica sui
suoi membri ma solo funzionale, cioè ordinatoria.
È infatti nella Comunità che si formano i princìpi di base che regolano la stessa
esistenza, oltre che la vita, dei soggetti. Il fatto che taluni di questi princìpi siano stati formati
all’interno dei soggetti conferma il fatto che, una volta sussunti nella Comunità, regolano il
comportamento di tutti i soggetti di diritto internazionale, ivi compresi quelli all’interno dei
quali quei princìpi non siano compresi: è questo il fenomeno della compenetrazione dei si-
stemi. Per dare una definizione di questo schema, più che di rapporto simbiotico, si potrebbe
parlare di sistema autopoietico. E quindi all’assioma di Weiss sulla struttura del sistema, si
può aggiungere a completamento l’idea di Teubner, anch’egli puntualmente citato nel testo
recensito qui: «Recht ist ein autopoietisches Sozialsystem zweiter Ordnung – zweiter Ordnung
deshalb, weil es gegenüber der Gesellschaft als autopoietischem System erster Ordnung –

254
eine eigenständige operative Geschlossenheit gewinnt, insofern es seine Systemkomponenten
selbstreferenziell konstituiert und diese in einem Hyperzyklus miteinander verknüpft2».
Dal quadro descritto viene fuori, a sua volta, la possibilità di delineare con maggiore
precisione l’elemento centrale, il protagonista (se si vuole) del diritto internazionale, cioè lo
Stato in quanto soggetto di diritto internazionale. Esso appare alla luce di ciò quale ente ca-
pace di agire sul piano dei rapporti internazionali con gli altri soggetti-in posizione di parità.
Questa è la conclusione, per cui il soggetto va considerato – non diversamente da taluni isti-
tuti e norme di diritto internazionale – quale risultato di una sintesi di fattori dialetticamente
considerati: insomma, più che per determinate caratteristiche di uno Stato (territorio, popolo,
etc.), un soggetto di diritto internazionale è identificato come tale per il fatto che riesca effet-
tivamente ad entrare in relazione con gli altri soggetti.
L’indagine dell’autore è svolta in maniera progressiva, cioè partendo dai presuppo-
sti fattuali e giuridici dei singoli istituti presi in considerazione, per sviluppare strada facendo
uno schema che include in sequenza logica i risultati ottenuti al termine di ciascun capitolo
considerato. La caratteristica del metodo adottato consiste in ciò, nella apposizione dei ter-
mini di ricerca non in una ipotetica scala gerarchica, ma in un ordine per così dire sistemico:
ciascun argomento trattato concorre con gli altri nella ricostruzione di una struttura unitaria,
ai sensi dello schema sopra cennato. I temi trattati formano tutti insieme la sagoma della
struttura del diritto internazionale che, nelle intenzioni della analisi, si vuole evidenziare.
La conclusione dell’autore è che tale struttura non è da considerare solamente come
elemento formale: lo Stato per essere soggetto di diritto internazionale deve, prima, disporre
delle prerogative di ogni ordinamento nazionale; e viceversa, un ente che sia capace di essere
soggetto di diritto internazionale deve disporre delle prerogative che sono proprie degli Stati, in
particolare della sovranità. Concetto questo da intendersi come ambito di autonomia del sogget-
to di diritto internazionale(non soltanto dello Stato), così come risultante in ogni momento dal
confronto dialettico tra le pretese degli altri soggetti paritari: non esiste dunque una definizione
assoluta di sovranità, piuttosto un criterio di sintesi della sovranità di tutti i soggetti (Stato,
Organizzazioni Internazionali, Corti internazionali, Movimenti di liberazione, etc.); di contro,
viene a svuotarsi il principio di uguaglianza sovrana, o meglio, viene ad assumere un significato
meramente formale. In base a ciò, andranno meglio definiti i confini in cui la sovranità di un
dato soggetto si svolge. In questo senso, la sovranità sarà sempre eguaglianza.
C. Galloro *

CONFLITS, CRIMES ET REGULATIONS DANS LE CYBERESPA-


CE, SOUS LA DIRECTION DE SÉBASTIEN-YVES LAUREN, iste
EDITIONS, LONDON, 2021, PP. 212.

La comprensione e la regolamentazione del cyberspazio rappresenta certamente una


delle maggiori sfide per il giurista moderno, ancor più quando a venire in rilievo sono la di-
mensione internazionale del fenomeno e i conflitti che lo caratterizzano. Il Volume recensito
si propone di offrire una chiave di lettura, in una prospettiva dichiaratamente internazio-

2
  In: Recht als autopoietisches System, Frankfurt a. M., 1989, p. 36.
*
  Avvocato in Stoccarda, cultore di Diritto privato presso l’Università degli Studi di Siena.

255
nalista, del cyberspazio, inteso come un complesso sistema socio-tecnico costituito da «un
ensemble d’unités sociales en interactions dynamiques, organisées autour des technologies
de l’information ed de la communication».
In particolare, Conflits, crimes et régulations dans le cyberespace esamina, da una
parte, gli attori del cyberspazio, le cosiddette cyber-burocrazie (capitoli 2, 8 e 9) e, dall’altra
parte, i suoi strumenti, cioè le norme di diritto nazionale ed internazionale (capitoli 4, 5 e 7),
nonché i concetti strategici utilizzati dai diversi attori (cyber-sicurezza, cyber-difesa, sovrani-
tà digitale). I nove capitoli che costituiscono il Volume affrontano così le sfide internazionali
legate al cyberspazio (capitoli 1 e 8), ponendo particolare attenzione a due casi nazionali, gli
Stati Uniti (capitoli 1, 2, 6 e 9) e la Francia (capitoli 3, 5 e 8).
A differenza dei numerosi studi che si occupano del fenomeno dal punto di vista del-
la globalizzazione, l’approccio socio-tecnico adottato dai dieci Autori del Volume ha il pregio
di analizzare il cyberspazio nella realtà delle relazioni internazionali, intendendolo come
quello spazio di collaborazione e di conflitto per il quale sono apparse specifiche modalità
di regolamentazione in continuo divenire e ancora tutte da sperimentare. Per queste ragioni,
Conflits, crimes et régulations dans le cyberespace contribuisce, con interessanti spunti di
originalità, al dibattito scientifico in formazione mettendo in luce, attraverso specifici casi di
studio, questioni internazionali e questioni di metodo relativamente al cyberspazio.

V. Ranaldi

REPRODUCTIVE FREEDOM IN THE CONTEXT OF INTERNA-


TIONAL HUMAN RIGHTS AND HUMANITARIAN LAW, BY MAJA
KIRILOVA ERIKSSON, BRILL - NIJHOFF, THE HAGUE, BOSTON,
LONDON, 2021, PP. 591.

L’Autrice di questo interessante Volume edito dalla Casa editrice Brill si propone
di presentare al lettore un’indagine completa sulla libertà riproduttiva alla luce del diritto in-
ternazionale contemporaneo, esaminandola nel contesto della tutela internazionale dei diritti
umani e del diritto internazionale umanitario. Questo approccio olistico rende il Volume di
particolare pregio, rappresentando una risorsa perlopiù completa su questioni particolarmente
controverse del nostro tempo (come, ad esempio, aborto legale, riproduzione medicalmente
assistita, maternità surrogata, gravidanza forzata durante i conflitti armati), con l’obiettivo di
contribuire all’attuale dibattito sull’uguaglianza di genere e sui diritti riproduttivi e di appro-
fondire l’analisi dei concetti giuridici che vengono in rilievo relativamente a tali tematiche.
In particolare, analizzando l’impegno internazionale per i diritti delle donne ed esa-
minando criticamente il modo in cui gli organismi internazionali e regionali per i diritti uma-
ni e i tribunali internazionali ad hoc affrontano questioni relative alla libertà riproduttiva e
alla violenza sessuale, il Volume esamina fino a che punto le norme del diritto internazionale
contemporaneo possano essere utilizzate come strumento di cambiamento e come debbano
essere adattate per venire incontro ai bisogni specifici delle donne.
In una prima parte del Volume, quindi, l’Autrice esamina la «Gender Equality Under
International Law», ponendo particolare attenzione alla definizione a all’approfondimento di
concetti quali la non-discriminazione e l’eguaglianza di genere anche alla luce della giuri-

256
sprudenza e degli «Authoritative Statements of International Treaty Bodies», domandandosi
se al principio di non discriminazione sulla base del sesso sia attualmente da attribuire lo
status di principio di ius cogens.
Una seconda parte del Volume si concentra invece sulla libertà riproduttiva e i suoi
principali elementi costitutivi, mentre una terza ed ampia parte ha riguardo alla violenza di
genere da intendersi come una grave violazione del principio di non discriminazione e un
grande ostacolo alla libertà riproduttiva. In questo contesto, l’Autrice approfondisce la tema-
tica della violenza contro le donne intesa come una questione internazionale, con particolare
attenzione alla violenza perpetrata in contesti di conflitto armato e alle norme di diritto inter-
nazionale umanitario in materia.
Infine, una quarta ed ultima parte del Volume offre un monitoraggio della reale ap-
plicazione degli obblighi legati alla tutela dei diritti umani e al diritto umanitario nella prassi,
fornendo un approfondito e solido strumento di studio su tematiche di costante attualità.

V. Ranaldi

HISTORIA CONSTITUCIONAL DE ESPAÑA. NORMAS, INSTITU-


CIONES, DOCTRINAS, DI JOAQUÍN VARELA SUANZES-CARPE-
GNA, CON PREFAZIONE DI IGNACIO FERNÁNDEZ SARASOLA,
MARCIAL PONS, EDICIONES DE HISTORIA, MADRID, 2020, PP.
718.

Il presente testo rappresenta il climax della produzione scientifica del professore


Joaquín Varela Suanzes-Carpegna, che dopo più di quattro decadi di studio della storia co-
stituzionale in prospettiva comparata, si è qualificato come uno dei principali punti di rife-
rimento a livello internazionale. Come afferma il suo allievo, il professore Ignacio Fernán-
dez Sarasola, quest’opera diventerà un testo di riferimento per la storiografia costituzionale
spagnola, e in questa recensione possiamo aggiungere che questo testo è indispensabile per
chiunque voglia accedere alla materia.
Il testo, diversamente dalle precedenti pubblicazioni, non è concepito soltanto per
gli specialisti del Diritto pubblico, della Filosofia politica e della Storia, bensì per divenire
il manuale ideale per avvicinarsi alla materia per qualsiasi lettore. Il tal senso, il metodo
utilizzato consiste da un lato nell’esamina dell’ordinamento costituzionale, le istituzioni che
lo compongono e i diritti riconosciuti e garantiti in essi; dall’altro percorre le riflessioni in-
tellettuali che generarono le dottrine e i concetti che si susseguirono, nonché il collegamento
con le dinamiche politiche (p. 18). Lo studio parte dall’origine del costituzionalismo spagno-
lo, che ebbe luogo durante gli ultimi anni del regno di Carlo iii di Spagna, e che portò alla
Costituzione di Cadice del 1812, ritenuta un vero e proprio punto di inflessione della storia
iberica. Da allora in totale sono state sette le Costituzioni promulgate dalle Cortes spagnole,
e nel testo, oltre ad esse, vengono anche esaminati: lo Statuto di Bayonne, in vigore solo nella
parte del territorio controllata dai francesi, lo Statuto Reale del 1834, La Costituzione non
nata del 1856 e il progetto di Costituzione federale del 1873.
Il libro è organizzato in quattro parti, nelle prime l’autore suddivise la storia costitu-
zionale in tre fasi: la prima parte dalla fine del xviii secolo fino al 1833, dove Varela Suanzes-

257
Carpegna riafferma il principio secondo il quale la storia costituzionale spagnola non avrebbe
inizio nel 1808, bensì nei decenni precedenti; la seconda fase, da lui definita del costituziona-
lismo del xix secolo, si estende dalla morte del sovrano Ferdinando vii, nel mese di settembre
del 1833, sino alla fine della Restauración, nel mese di settembre del 1923; nella terza parte
si occupa del costituzionalismo del xx secolo, che ha inizio con la Costituzione della Seconda
Repubblica del 1931, e che si differenzia dal costituzionalismo liberale della fase precedente
dall’aggiunta delle componenti democratiche e sociali, e dalla nuova conformazione statale
che coinvolgeva le regioni, allontanandosi in questo modo dal centralismo amministrativo;
la quarta e ultima parte esamina la traiettoria del Diritto politico spagnolo. Allo stesso tempo
per esaminare il dibattito intellettuale del costituzionalismo spagnolo, bisogna tener conto
dell’origine e dell’evoluzione dei partiti politici del paese. Il giurista considera che la sua
opera sia altresì una storia dei diversi liberalismi spagnoli, essendo il socialismo durante la
Seconda Repubblica, l’unica corrente di pensiero non liberale a contribuire al dibattito.
In questo lavoro si è voluto evidenziare la trascendenza del costituzionalismo spa-
gnolo, considerata ignorata e sminuita spesso da una parte della storiografia: «No pocos
autores – muchos de ellos hispanistas franceses y británicos – han menospreciado el valor
del constitucionalismo español, considerándolo, con notoria ignorancia, como atrasado en
relación con otros países […] Como otros países europeos, el constitucionalismo español se
insertó dentro de los grandes modelos constitucionales que se debatieron primero en Francia
y Gran Bretaña, pero también en Estados Unidos y Alemania» (p. 588). All’iniziale incli-
nazione verso il modello rivoluzionario francese del 1791, durante le Cortes di Cádiz, si
succedette dal 1834 una tendenza filoinglese, evidenziando lo studioso in quest’evoluzione
il profondo carattere europeo del costituzionalismo spagnolo. Al contempo l’autore indica
la straordinaria originalità del costituzionalismo storico spagnolo di matrice conservatrice
quando teorizza la sovranità condivisa e crea il concetto di costituzione storica o interna.
Partendo da una voluminosa bibliografia, l’abbondante utilizzo della documentazione dei di-
versi lavori parlamentari, raccolti nei Diario de Sesiones de las Cortes, corredato dallo studio
della stampa di ogni periodo – dall’autore ritenuta una fonte dottrinaria di capitale importan-
za – rende quest’opera degna di essere annoverata tra gli indispensabili che passeranno alla
storia. Joaquín Varela Suanzes-Carpegna, in questo modo, lascia un preziosissimo strumento
utilizzabile multidisciplinarmente da qualsiasi studioso.

J.M. de Lara Vázquez

OLTRE LA DESTRA. STORIE E UOMINI NEL MOVIMENTO SO-


CIALE, DI FRANCESCO CARLESI (A CURA DI), ECLETTICA EDI-
ZIONI, MASSA, 2022, PP. 217.

Alla sempre maggiore produzione scientifica sulla destra italiana viene ad aggiun-
gersi questo agile volume curato dallo studioso Francesco Carlesi dell’Istituto Stato e Parte-
cipazione, che raccoglie i contributi di altri nove studiosi che si sono occupati di alcuni per-
sonaggi di spicco che mossero i primi passi nel complesso periodo dell’immediato secondo
dopoguerra.
Questo lavoro, dopo l’introduzione del curatore, vede Gennaro Malgeri occuparsi

258
del pensiero del giurista Carlo Costamagna. L’autore evidenzia come, sin dalla nascita della
Repubblica Italiana, portò avanti una critica severa del partitismo, proponendo ipotesi isti-
tuzionali che lo studioso sottolinea oggi sono all’ordine del giorno, mentre all’epoca furono
considerati marginali.
Il più noto segretario del msi, Giorgio Almirante, è trattato dal professore Gherardo
Marenghi nella seconda parte, dove pone il focus sulla visione sociale che lo contraddistinse
e come la portò avanti sino alla sua dipartita. Con essa, secondo l’autore: «La fine del Movi-
mento Sociale e la nascita di Fiuggi di Alleanza Nazionale hanno rappresentato una battuta
d’arresto del progetto che nel 1988 aveva perso il suo ispiratore» (p. 38)
Il curatore, nel terzo e nel quarto saggio, si occupa rispettivamente di Gaetano Rasi
e Giano Accame, due esponenti fondamentali dei quali Carlesi si è occupato notevolmente. In
particolare, di Rasi si analizza il pensiero corporativo e le proposte che si posero quale “terza
via” tra i due blocchi socioeconomici che si contrapposero dalla fine degli anni ’40 in poi.
Prosegue lo studioso, dunque, esponendo il contesto dove si manifestò il pensiero di Accame,
riuscendo in poche pagine a collegare l’opera scientifico-culturale con l’abilità intellettuale
del cogliere il momento che si viveva per tentare di storicizzare del Fascismo per fare parlare
parti politiche sino a quel momento isolate fra di loro.
Mario Bozzi Sentieri, successivamente, si occupa di collegare il pensiero di Er-
nesto Massi, caratterizzato dai suoi voluminosi studi concernenti lo Stato nazionale del la-
voro e della partecipazione, con quello di Rauti, di ispirazione evoliana e costantemente
intransigente rispetto alla linea del partito. L’autore delinea come e in quali momenti le due
impostazioni si incontrarono e si allontanarono nel tempo, per poi ritrovarsi negli anni ’60
nel msi guidato da Almirante. Il corpo di note giustifica le tesi e fornisce al lettore un’ampia
bibliografia per approfondire la materia trattata.
Ernesto Massi viene trattato nuovamente nel sesto capitolo da Raimondo Fabbri,
cogliendo in quest’occasione il rilievo delle sue idee in ambito geopolitico. Infatti, lo studio-
so ritrova le radici del suo pensiero nel filone della cosiddetta “sinistra nazionale” (p. 89) per
studiare il modo in cui provarono a porsi al di sopra della polemica Fascismo-antifascismo.
Massi si occupò di approfondire le motivazioni e le traiettorie di localizzazione delle attività
economiche legate ai processi industriali del periodo in cui viveva. In questo modo Fabbri
pone l’accento sulla teorizzazione del «superamento dell’imperialismo nazionalistico e delle
esigenze coloniali» (p. 97), sviluppando così intorno al concetto di Eurafrica un nuovo ruolo
per l’Italia al centro del Mediterraneo.
Successivamente, viene trattato il sindacato della Confederazione Italiana Sindacati
Nazionali dei Lavoratori (cisnal) da Francesco Guarente, come istituzione pratica del sinda-
calismo della “terza via” e come strumento per l’attuazione dello Stato Nazionale del Lavoro.
L’autore, in diversi momenti nel saggio, adoperando la bibliografia esistente e la
documentazione dell’Archivio Rasi, evidenzia come «Il principio della partecipazione e del
superamento della lotta di classe non significava e non significa accondiscendenza allo stra-
potere della partitocrazia e ad un sistema caratterizzato dalla prevalenza delle forze capitali-
stiche interne ed esterne al Paese» (p. 115). Partendo da ciò, si descrivono le battaglie politi-
che principali portate avanti e il modo in cui il sindacato si mosse nel mezzo delle spaccature
e delle crisi nel msi evitando ulteriori divisioni.
Di Rutilio Sermonti, un personaggio mai trattato singolarmente in ambito scientifi-
co, se ne occupa nell’ottavo articolo Juan de Lara Vázquez. Ricorrendo alla consultazione
di fondi inediti presso il Fondo Rauti della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, analizza

259
prima di tutto la vicenda storica giovanile di Sermonti nella Repubblica Sociale Italiana sino
al passaggio fondamentale nel Movimento Sociale Italiano, di cui fu uno dei fondatori.
Nel partito, Sermonti ricoprì incarichi dirigenziali e si pose, in modo spesso contro-
corrente rispetto alle tradizionali parole d’ordine, come fautore d’iniziative di rinnovamento
della speculazione teorica sulla proposta di Stato corporativo e, di poi, tematiche ecologiste
fino alla creazione di associazionismo parallelo - il movimento contadino guidato dal princi-
pe Lillio Sforza Ruspoli e Fronte Verde - al partito missino.
La nona parte ospita un tema molto importante, ed è quello della “Questione meri-
dionale” e la destra, trattata qui dallo studioso Andrea Scaraglino.
Discostandosi dalle classiche analisi sulla situazione del Sud, ripassa brevemente i
periodi storici che si susseguirono fino alla metà degli anni ’50 del secolo scorso, evidenzian-
do puntualmente le criticità per il Mezzogiorno in ognuno di essi.
Una volta istauratasi la Repubblica italiana, l’autore dimostra come: «la concezione
del su come colonia riprese, dunque, il suo posto nella mentalità politica dello “stato partito”,
un’idea di stato negante la dignità del popolo meridionale» (p. 173).
Prosegue il libro con un articolo dello studioso Pierpaolo Naso che si occupa di
Teodoro Buontempo, dove ripercorre la traiettoria che lo portò dal msi alla fondazione del
partito La Destra.
L’autore qui dimostra come l’attiva militanza missina fornì a Buontempo gli istru-
menti per l’intensa attività politica che lo contraddistinse negli anni.
Oltre alla bibliografia storica e memorialistica, Naso adopera una numerosa docu-
mentazione della Camera dei Deputati e del Consiglio Regionale del Lazio, oltre che il mate-
riale audiovisuale archiviato da siti come quello di Radio Radicale, per passarne in rassegna
l’attività parlamentare.
Si chiude l’opera con un contributo di Alessandro Amorese dedicato a Beppe Nicco-
lai, dove la complessità dei suoi interessi e del suo pensiero sono sintetizzati nelle direttrici
che seguì la sua militanza nel msi.
Egli contribuì in grande misura negli ambienti carichi di fermenti intellettuali che
caratterizzarono il partito in diversi momenti.
A. Sinagra

UNA VITA CON IL CAPPELLO ALPINO, DI SILVIO MAZZAROLI,


AVIANI & AVIANI EDITORI, UDINE, 2021, PP. 496.

La grande storia del pensiero e dei valori che ne sono emersi non può naturalmente
prescindere da quella dell’uomo: a più forte ragione, quando i protagonisti si distinguono per
un percorso etico suffragato dalla prassi. Da questo punto di vista, il caso di Silvio Mazzaroli
deve ritenersi esemplare, e quest’opera sostanzialmente autobiografica, pur non potendo pre-
scindere dall’inquadramento vincolante in una stagione politica molto difficile e complessa,
ne costituisce una sintesi destinata a promuovere riflessioni non effimere.
Il Gen. c.a. Silvio Mazzaroli, appartenente a famiglia Esule dall’Istria, ha percorso
tutti i gradi della gerarchia militare fino ai massimi livelli, distinguendosi quale Comandante
che “comanda senza comandare” - come da felice definizione introduttiva di Enrico Poliero -
grazie ad una coerenza esemplare, al comportamento leale, alla capacità di comunicazione e
di condivisione: un patrimonio non facilmente riscontrabile nella società contemporanea, ed

260
a più forte ragione negli ambienti militari, soprattutto di alto grado. Non basta: queste doti,
per diventare trainanti e generalmente accettate, hanno bisogno di ispirarsi ai sacri principi di
Dio, Patria e Famiglia, cui Mazzaroli è stato sempre fedele, come attesta questa “vita” inte-
gerrima, interpretata nella perenne fedeltà alla sintesi risorgimentale di pensiero e di azione.
L’Autore ha dedicato gran parte dell’opera, come emerge sin dal titolo, al proprio
impegno nell’Arma Alpina: dapprima negli anni di formazione (1962-67), poi in quelli con
la penna nera (1967-78) e con la penna bianca (1978-94), e infine in quelli con l’Aquila da
Generale (1995-2002). Il volume si chiude con una lunga Appendice in cui trovano spazio di-
verse decine di documenti, riferiti ai momenti fondamentali della sua straordinaria esperien-
za: tra gli altri, il triennio di permanenza a Belgrado quale Addetto Militare all’Ambasciata
Italiana; Il Comando del Gruppo italiano “Albatros” per un altro biennio nella Missione onu
in Mozambico; l’intervento alla Missione in Kosovo quale Vice Comandante delle Forze
Armate della nato. Non basta: nel corso della carriera, Mazzaroli ha comandato la Brigata
Alpina “Julia”, la Scuola Militare Alpina di Aosta, nonché le Regioni Militari Piemonte, e
Friuli-Venezia Giulia.
Conviene aggiungere che dopo il congedo del 2002 è stato attivo nel mondo esule,
dapprima con la lunga Presidenza del “Libero Comune di Pola in Esilio” (2002-2012) e
Direttore del suo mensile “L’Arena di Pola”; poi con l’incarico di Consigliere nell’Unione
degli Istriani e Direttore dell’omonimo periodico. Anche in tale ambito, si è dedicato con pas-
sione a un’oggettiva informazione storica di ampio spettro, con particolare riguardo a quella
del grande Esodo e alla tragedia delle foibe e degli altri massacri partigiani, che coinvolse
duramente anche la sua famiglia.
In buona sostanza, nella vita del Gen. Mazzaroli è facile, con la lettura di questo
libro, scoprire l’esistenza di un costante filo conduttore che si riassume in esemplare patriotti-
smo idoneo a convivere con valori umani fondamentali come l’amicizia e il rispetto, per non
dire dell’onore alla Bandiera: in ogni caso, senza compromessi e senza curarsi delle possibili
conseguenze di un motivato dissenso, come accadde improvvisamente nel febbraio 2000,
quando fu sollevato “ex abrupto” dall’incarico in Kossovo “per avere denunciato lo scarso
interessamento governativo nei confronti dei militari impegnati nella missione di pace”. Non
mancano nomi e cognomi di autorevoli Ministri e di parlamentari che si resero corresponsa-
bili di quel trattamento, e che l’Autore ha consegnato non soltanto alla storia, ma prima anco-
ra, all’equanime giudizio dei lettori in una valutazione resa oggettiva dal fatto compiuto e da
motivazioni del provvedimento che non avevano benché minima copertura, ma obbedivano
a una logica (si fa per dire) di bassa politica.
Mazzaroli non rinuncia alla chiarezza di giudizio essendo consapevole, sulle orme
di un noto assunto del Vico, che alla fine “verum et factum convertuntur” anche se nel suo
caso si sono dovuti attendere diversi anni prima di apprendere quasi fortuitamente che a
volere la sua “testa” fu un Ministro poi assurto alla suprema Magistratura della Repubblica,
non senza ampie connivenze. Nondimeno, il suo senso dello Stato e delle Istituzioni, che lo
condusse ad accettare la prevaricazione, non può impedire, anche a distanza di un ventennio,
di proporre alla comune attenzione il problema fondamentale di una “moralità della politica”
lontana anni luce sia da quella machiavelliana basata sulla tutela dello Stato come valore
fondante e prioritario, sia da quella cristiana che non può prescindere dal fattore umano quale
misura di tutte le cose.
Del resto, nel volume di Mazzaroli non mancano tanti altri esempi di attenzione ai
valori “non negoziabili”. Basti citare la lettera al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

261
in cui si rivendicano i valori del volontariato militare, e in particolare di quello alpino in
un’ottica di specializzazione e di professionalità oltre che di beninteso patriottismo, anche
alla luce delle decisioni governative già assunte in materia di leva. Considerazioni analoghe
valgono per le premure manifestate sul posto dopo il disastro aereo di Pristina del 12 no-
vembre 1999 in cui persero la vita 24 uomini della missione di pace, fra cui una diecina di
Italiani; o per la coinvolgente storia del mulo “Iroso” e di un’altra ventina di quadrupedi che
dopo la decisione di cancellarli dal servizio alpino corsero il rischio di finire al mattatoio se
non fosse stato per la commendevole “alpinità” dei loro conducenti che li riscattarono nel
vero senso della parola, destinandoli a tranquilla vecchiaia allietata dalla partecipazione alle
Adunate dell’Arma.
Si potrebbero citare tanti altri esempi, ma qui preme attirare l’attenzione su quelli
che Mazzaroli, dialogando con la nipotina, indica sin dall’inizio quali valori fondamentali: la
fedeltà alle origini, la continuità col pensiero e con l’impegno degli Avi, l’amore per la terra
nativa. Non è forse questo il vero patriottismo?
***
Il Comandante che “comanda senza comandare” di cui si diceva a proposito della
pertinente definizione coniata per il Gen. Mazzaroli, richiama alla memoria alcuni condottieri
d’indubbia fama, come Napoleone Bonaparte, Gabriele d’Annunzio, Junio Valerio Borghese,
che tramite il carisma e l’esempio personale misero in luce una straordinaria capacità di farsi
obbedire dai propri uomini, senza la benché minima imposizione. D’altronde, è pur vero che
costoro operarono in condizioni d’emergenza come quelle belliche, mentre il Comandante
triestino è stato impegnato in missioni di pace, dove sono prioritari altri valori come quelli
di umanità, di cooperazione, e soprattutto di giustizia. Quegli stessi valori - sia consentito
aggiungerlo - che furono promossi da grandi Cappellani militari come Don Giulio Facibeni
sul Monte Grappa, Don Reginaldo Giuliani a Fiume, Don Luigi Stefani in Dalmazia.
Silvio Mazzaroli ha avuto il supporto di una grande famiglia unita, dall’impareg-
giabile consorte Tatiana (autentico “angelo custode” come da ottimo e condivisibile giudizio
espresso nella prefazione di Fausto Biloslavo) al Padre Luciano vero e proprio “maestro
d’italianità”, cui l’opera è dedicata non certo casualmente assieme alla mamma e ai figli,
anch’essi Alpini. Ecco un motivo non ultimo del fatto che, a differenza di quei Comandanti
che non ebbero il privilegio di analoghe condizioni familiari e che conobbero anche la “pol-
vere” di manzoniana memoria, il Generale ha avuto l’onore di poter mettere sempre in pratica
l’antico invito romano: Frangar, non flectar!
Mazzaroli, nella sua vita multiforme, ha incontrato alcuni grandi della terra come la
Regina Elisabetta d’Inghilterra e il Santo Padre Giovanni Paolo ii, già sofferente per il male
che lo avrebbe condotto anzi tempo alla Casa del Padre. Nondimeno, in questa “Vita con il
Cappello Alpino” (arricchita da un’ampia e non meno importante documentazione icono-
grafica) si trovano informazioni di semplice sintesi su questi incontri peraltro gratificanti se
non anche emozionanti come quello col Papa, in specie a fronte della Benedizione ricevuta
all’atto del commiato. Di tutt’altra rilevanza, né avrebbe potuto essere diversamente, sono
i riferimenti riservati ai suoi uomini, ai vari Comandanti con cui ebbe rapporti durante la
lunga carriera militare, e per finire, all’Alpino-Segretario Andrea Beltramo, con la cui testi-
monianza il volume si chiude all’insegna di un’affermazione davvero preziosa: “Ne è valsa
la pena”!
Questo libro dovrebbe essere letto in primo luogo dai giovani, in primis per appren-
dere i valori della fede e della speranza, ma non disgiunti dai fondamenti laici di un esempla-

262
re senso dello Stato e delle Istituzioni repubblicane.
Si tratta di valori essenziali che Mazzaroli ebbe modo di testimoniare anche alla fine
del 2003, quando il suo ritorno in servizio parve possibile per la destinazione in Iraq come
Consigliere militare dell’Ambasciata italiana di Bagdad: ebbene, quando l’incarico era stato
confermato con fissazione della data di partenza, all’ultimo momento venne meno l’avallo
politico da parte di un sistema antitetico all’ethos e sostanzialmente autoreferenziale, che
“pur nell’esercizio del proprio potere discrezionale non si è sentito in dovere di fornire la
benché minima spiegazione”. Ciò, fino a negare “la dignità, oltre che la professionalità, di chi
aveva prontamente dato la propria disponibilità a ricoprire un incarico delicato e non esente
da rischi”. Ancora una volta, Mazzaroli doveva prendere amaramente atto, suo malgrado, che
un dissenso tanto immotivato quanto iniquo poteva allignare non soltanto a sinistra, nell’am-
bito di una violenza morale dove il lupo può perdere il pelo ma non il vizio.
Autentico “vir bonus cum mala fortuna compositus” come quello di Seneca e della
sua nobile filosofia, ne emerge un messaggio maturo e consapevole, da cui consegue il ri-
conoscimento che si deve senza “se” e senza “ma” a chi ha interpretato l’arte del comando
in primo luogo come servizio, ma tenendo sempre dritta la schiena “al pari di una lama”.
In definitiva, un esempio per tutti, e in primo luogo per una classe politica che sembra aver
perduto ogni cognizione del suo eletto compito di ogni tempo: quello di “operare nella vita
associata per il conseguimento del bene comune”.

C. Montani

HO INCONTRATO NORMA, DI ALBERTO BOLZONI, AMAZON


ITALIA LOGISTICA, TORINO, 2021, PP. 92.

Nella storiografia, ormai quasi sterminata, circa le vicende del confine orientale,
con particolare riguardo alle tragedie di esodo e foibe, il personaggio di Norma Cossetto ha
assunto una dimensione straordinaria per esserne diventato un simbolo generalmente rico-
nosciuto, grazie al comportamento eroico assunto davanti ai suoi assassini che le valse la
Medaglia d’Oro al Valore conferita dal Presidente Ciampi nel 2006, e molto tempo prima,
la laurea “ad honorem” riconosciuta dall’Università di Padova nel 1949. Del resto, nella
memorialistica è accaduto altrettanto: basti dire che sono almeno cento i Municipi italiani ad
avere onorato la memoria di Norma nella propria toponomastica, quando non l’abbiano fatto
con iniziative di più alto spessore, quali anfiteatri, aule scolastiche, biblioteche, sale comuna-
li, e via dicendo, cui si devono aggiungere i mille riconoscimenti dedicati nella loro globalità
ai Martiri infoibati o diversamente massacrati dai partigiani di Tito.
In diversi casi, si tratta di messaggi necessariamente ripetitivi, che tuttavia rispec-
chiano l’esistenza di crescenti sensibilità nei confronti di una grande tragedia storica per
troppo tempo dimenticata a causa di responsabilità politiche inconfutabilmente documentate.
Non mancano, peraltro, voci che si vanno distinguendo per una serie di riflessioni più appro-
fondite, anche a proposito dell’esempio di alto patriottismo etico affidato all’attenzione dei
posteri dalla giovane eroina istriana. In questo senso, assume rilevanza importante il saggio
di Alberto Bolzoni, tanto più che non si tratta di uno storico tradizionale, ma di un ingegnere
molto interessato all’analisi oggettiva di vicende della seconda guerra mondiale.

263
L’Autore, mosso dall’intento di approfondire “in loco” il dramma di Norma e della
sua famiglia, ha compiuto un recente viaggio in Istria, durante il quale ha visitato i luoghi che
videro l’infanzia e la giovinezza della giovane Cossetto, come la grande casa nativa a Santa
Domenica di Visinada e la chiesa parrocchiale del paese. Poi ha proseguito con quelli dove
ebbe luogo la sua tragedia, con specifico riguardo alla caserma dei Carabinieri di Visignano,
a quella della Guardia di finanza di Parenzo, e in un crescendo di commossa partecipazione,
alla scuola media di Antignana (dove subì le peggiori violenze), per finire con la foiba di Villa
Surani. Bolzoni ha integrato la sua opera con la descrizione di sopralluoghi non meno intensi
al Liceo di Gorizia, dove Norma fu allieva durante i sei anni degli studi che la portarono
al diploma di maturità classica; e quindi, all’Università di Padova, dove si era iscritta alla
Facoltà di Lettere nel 1939 e dove avrebbe dovuto laurearsi con il prof. Arrigo Lorenzi (nel
1943, l’anno della sua agghiacciante scomparsa, aveva in programma di sostenere gli ultimi
quattro esami e discutere la tesi, pur nel contestuale impegno d’insegnante nella scuola media
di Parenzo, in sostituzione di un docente chiamato al fronte).
Norma, con tutta evidenza, era molto impegnata nello studio e nel lavoro, assieme
all’amica del cuore Andreina Bresciani che condivise con lei tutto il percorso dal Collegio di
Gorizia alle soglie della laurea: cosa che la dice lunga sulle falsità storiografiche, o meglio ro-
manzate, diffuse sul suo conto in opere altrettanto recenti che, eufemisticamente, si possono
definire per lo meno disinvolte (ma sarebbe un’altra storia riguardante scarse documentazioni
e troppe fantasie).
Al contrario, quella di Bolzoni si distingue da tutto il resto, non solo per i ringrazia-
menti opportunamente e oculatamente scarsi, ma soprattutto per una partecipazione davvero
immedesimata al dramma di Norma, Vittima di chi, per dirla con l’immaginifica definizione
di Giambattista Vico, apparteneva al tristo genere dei “bestioni tutta ferocia”. L’Autore,
attraverso non comuni doti di partecipazione, sembra rivivere quel dramma in una sorta di
emozione, peraltro lucida e consapevole, in cui c’è spazio per lo strazio delle orribili sevizie
di Antignana e per il terrore della voragine di Villa Surani, seguito - con un paradosso solo
apparente - dalla catarsi nella serenità di una morte che coincide con l’abbraccio imperituro
del Salvatore.
Ecco un’immagine in cui la storiografia cede il passo alla teleologia e quindi alla
fede. Norma vive consapevolmente un’esperienza terribilmente traumatica di avvicinamento
al suo tragico destino, comprende che le “piccole” felicità dell’infanzia, dell’adolescenza
e della giovinezza sono perdute per sempre, e diventa Vittima sacrificale come l’Agnello,
nobilitando ulteriormente il gesto con cui aveva rifiutato la turpe proposta dei suoi aguzzini:
quella di passare dalla loro parte. Se non altro per questo, il lavoro di Bolzoni può essere
definito un “aureo libretto” che si legge con crescenti emozioni, in cui la vicenda di Norma,
senza perdere importanti motivi di approfondimento in chiave umana, storica e civile, diven-
ta strumento, per dirla con l’Autore, di una “consapevolezza lenta, progressiva ma inarresta-
bile”. Quanto basta, per far comprendere che l’estremo sacrificio di Norma è testimonianza
di valori “non negoziabili” e spunto di meditazioni non certo effimere.
Sin dalle premesse, Bolzoni dichiara di non avere avuto l’intenzione di fare un’ope-
ra politica. L’assunto è tutto da condividere nella misura in cui si riferisca alla bassa politica
che costituisce un carattere tristemente ricorrente dell’epoca contemporanea, e non già all’al-
ta politica che secondo un’antica definizione debba essere interpretata quale “arte di operare
per il perseguimento del bene comune”. Nel caso di specie, per l’appunto, il traguardo è
quello posto in una riflessione “con mente pura” sulla perenne validità dell’assunto di Mons.

264
Antonio Santin, eroico Vescovo di Trieste e Capodistria in quegli anni plumbei: “Le vie
dell’iniquità non possono essere eterne”. Con l’avvertenza che il tempo di percorrenza potrà
essere meritoriamente abbreviato nella misura in cui si possa fare affidamento sulla convinta,
diffusa partecipazione della buona volontà comune.

C. Montani

265
ISBN 979–12–218–0023–4
ISSN 1129–2113
DOI 10.4399/9791221800234-24
pp. 266-266

LIBRI RICEVUTI
(e segnalazioni bibliografiche)

Giovanni Barrocu, La Procura europea. Dalla legislazione sovranazionale al coordinamen-


to interno, Cedam, Padova, 2021, pp. 256.

Attila Tanzi, Introduzione al Diritto internazionale contemporaneo, Sesta edizione rivista e


aggiornata, Wolters Kluwer Cedam, Milano, 2022, pp. liii-633.

Ennio Triggiani, Ugo Villani, Comprendere l’Unione europea, Cacucci Editore, Bari, 2022,
pp. 370.

aa.vv., La Convenzione europea dei diritti dell’uomo – I diritti – la procedura, Commentario


diretto da Sergio Beltrani, Zanichelli Editore, Bologna, 2022, pp. 1747.

Massimo Panebianco, Lo Stato anticrisi globale – Il “Recovery State”, Editoriale Scientifica,


Napoli, 2021, pp. 306.

Francesco Carlesi (a cura di) Damnatio memoriae – Italia e Fascismo (Scritti storici sui
tabu del nostro tempo), introduzione di Augusto Sinagra, Eclettica Edizioni, Massa, 2019,
pp. 227.

Pio Moa, Los mitos de la guerra civil, La esfera de los libros Ed., 14^ ed., Madrid, 2020, pp.
509.

Sébastien-Yves Lauren (sous la direction de), Conflits, crimes et regulations dans le cybe-
respace, iste Editions, London, 2021, pp. 212.

Maja Kirilova Eriksson, Reproductive freedom in the context of international human rights
and humanitarian law, Brill - Nijhoff, The Hague, Boston, London, 2021, pp. 591.

Joaquín Varela Suanzes-Carpegna, Historia constitucional de España. Normas, institucio-


nes, doctrinas, con prefazione di Ignacio Fernández Sarasola, Marcial Pons, Ediciones de
Historia, Madrid, 2020, pp. 718.

Francesco Carlesi (a cura di), Oltre la destra. Storie e uomini nel Movimento Sociale, Eclet-
tica Edizioni, Massa, 2022, pp. 217.

Silvio Mazzaroli, Una vita con il cappello Alpino, Aviani & Aviani Editori, Udine, 2021,
pp. 496.

Alberto Bolzoni, Ho incontrato Norma, Amazon Italia Logistica, Torino 2021, pp. 92.

266
Finito di stampare nel mese di maggio del 2022
dalla tipografia “System Graphic S.r.l”.
via di Torre Sant’Anastasia, 61 – 00134 Roma

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