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L'Italia in guerra

I. Introduzione
Spesso non ce ne rendiamo conto, ma viviamo in un mondo figlio della Seconda Guerra Mondiale.
Eppure il 1945 sembra così lontano: non esistono più gli imperi coloniali, l'idea di razza non ci
appartiene più e l'essere definito “ebreo” indica solamente la propria fede. I tedeschi, insieme ai
francesi, sono il pilastro economico su cui si regge l'unione monetaria europea: sembra impossibile
immaginare che negli ultimi 150 anni questi Stati abbiano combattuto ben tre guerre di una violenza
inaudita. Anche Pola e Fiume, per fare un esempio “nazionale”, hanno lasciato il posto a Pula e
Rijeka nelle carte geografiche italiane. Quasi nessuno ricorda che l'Italia ebbe un posto al sole e il
terzo più vasto impero coloniale della storia contemporanea: Adua, Macallé, Amba Alagi, Massaua,
Addis Abeba, Mogadiscio, Tripoli, Bengasi, Tobruk sono nomi vuoti, ricordati solo perché di tanto
in tanto compaiono nella segnaletica stradale. Fatichiamo, dunque, a collegare la realtà alla storia
per poi sorprenderci di fatti che non dovrebbero destare tanto scalpore, come la presenza militare
statunitense in Italia o le riparazioni alla Libia di Gheddafi.
Ebbene, questa breve dispensa nasce con lo scopo di favorire una comprensione, sia analitica che
concettuale, della partecipazione italiana al secondo conflitto mondiale e di fornire gli strumenti
fondamentali affinché lo studente possa avvenire ad una rielaborazione personale dei fatti trattati.
Proprio quest'ultimo punto sembra essere un punto di passaggio nevralgico per una più profonda
comprensione del presente.
A scanso di equivoci, è bene specificare che questo elaborato nasce, nell'intenzione dell'autore,
come supporto ai libri di testo e non come loro sostituto. Essi rimangono, infatti, lo strumento
cardine su cui basare lo studio. A più forte ragione se si considera che, per ragioni di opportunità,
non si è potuto in questa sede entrare nel dettaglio di molte questioni, che possono essere invece
approfondite nei manuali.

Illustrazione 1. Firma del


trattato di amicizia italo-libico.

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II. Contestualizzazione e cause
Prima di considerare la partecipazione italiana alla Seconda Guerra Mondiale gioverà considerare
quali siano state le condizioni socio-economiche che portarono allo scoppio del più sanguinoso
conflitto della storia. Si potrebbe essere tentati, non del tutto a torto, di attribuire ogni responsabilità
ad Adolf Hitler, ma in questo modo non si otterrebbe che una visione parziale della realtà.
Per ricercare le cause della guerra occorre tornare alla Prima Guerra Mondiale e al Trattato di
Versailles, firmato il 28 giugno 1919 da Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti d'America, Italia e
Imperi Centrali. L'Impero Germanico, che alla firma dell'armistizio occupava ancora parte del
territorio belga, fu duramente umiliato al tavolo della pace. La linea del presidente americano
Woodrow Wilson, basata sui famosi 14 punti e sul principio di autodeterminazione dei popoli, trovò
solo parziale applicazione, mentre le indicazioni del presidente francese Clemenceau ebbero la
precedenza. La Germania, visto l'Impero guglielmino si era dissolto, vide il proprio territorio ridotto
di un terzo, ebbe sostanzialmente o interamente smantellate armi l'esercito, la marina e l'aviazione e
fu costretta a pagare 6.600.000.000 di sterline agli Alleati (salderà il conto solo il 3 ottobre 2010).
La Prussia Orientale risultava inoltre separata dal resto della Germania, poiché Danzica, sebbene
storicamente tedesca, fu dichiarata città libera.

Illustrazione 2: L'Europa prima e dopo la Grande Guerra.

Questo trattato, come è facile immaginare, fu accolto con malcelata ostilità dai tedeschi, che videro
la loro situazione aggravata dalla politica iperinflazionistica che il governo fu costretto ad assumere
per far fronte alle riparazioni: per comprendere il fenomeno basterà considerare che nel 1923 un

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dollaro valeva quanto 4.200.000.000.000 marchi. Sono diventate famose le foto di quegli anni in cui
una carriola di marchi non bastava per comperare un chilo di pane. Solo il piano Dawes, varato
dagli Stati Uniti nel 1924 e consistente nell'esportazione in Germania di merci e capitali, riuscì ad
contenere il disastro. Ma sei anni dopo l'Occidente fu funestato da una terribile crisi economica, la
tristemente celebre crisi del 1929, che costrinse alla sospensione del suddetto piano. Fu questa una
delle principali ragioni del contagio avvenuto dall'economia americana a quella europea.
Ciascuno Stato si sforzò di trovare la propria via per risolvere la
crisi: gli Stati Uniti d'America ebbero il New Deal rosweliano,
l'Italia si imbarcò in una politica deflazionistica (la battaglia per
la Quota 90, ossia 90 lire per una sterlina) e costituì l'Istituto per
la Ricostruzione Industriale (IRI) e l'Istituto Mobiliare Italiano
(IMI) mentre la Germania, che con l'avvento al potere del
Nazismo aveva sospeso il pagamento delle riparazioni di guerra,
puntò sul riarmo coniugando la ripresa economica con lo spirito
di riaffermazione internazionale che aleggiava fra la
popolazione. Ecco, dunque, portate alla luce, due cause troppo
Illustrazione 3: Il London Herald
spesso dimenticate durante la trattazione della Seconda Guerra annuncia il crollo di Wall Street.

Mondiale: la motivazione ideologica, cioè lo spirito di rivalsa tedesco, intenzionato a ridiscutere


l'assetto di Versailles, e la motivazione economica, visto che la rinascita industriale tedesca poteva
considerarsi ipotecata dalla necessità di una guerra futura. Nella mente di Hitler, infatti, aveva già
preso forma il sogno di una Großdeutchland, cioè di una Grande Germania che comprendesse tutti i
tedeschi, anche quelli che il Trattato di Versailles aveva collocato in altri Stati. L'Europa si avviò in
questo modo ad una continua destabilizzazione che la portò nel baratro.
Nel 1934 fu assassinato da esponenti nazisti il cancelliere austriaco Dollfuss, ma Anchsluss, che si
verificherà nel 1938 in seguito alle mutate condizioni internazionali, venne bloccata da Mussolini
che inviò al Brennero quattro divisioni di fanteria. L'anno successivo si andò formando il Fronte di
Stresa, un accordo anglo-franco-italiano finalizzato ad arginare il riarmo tedesco. Ebbe però vita
breve: già incrinato dai britannici, che firmarono un accordo con la Germania consentendo alla
Kriegsmarine di disporre un tonnellaggio pari al 35% di quello della Royal Navy e di dotarsi di
sommergibili, si sgretolò con quando l'Italia iniziò le operazioni militari in Etiopia.
Proprio la Seconda Guerra Italo-Abissina ebbe un ruolo fondamentale nella destabilizzazione
europea. Si disfaceva, dunque, come già detto, il Fronte di Stresa e successivamente l'Italia compiva
i primi passi in direzione dell'alleanza con la Germania, anche perché la Società delle Nazioni,
l'antenato dell'ONU nato col Trattato di Versailles, le impose delle sanzioni economiche, nonostante

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Mussolini avesse ottenuto il desistment da parte di Laval. Il 25 ottobre 1936 Italia e Germania
diedero vita all'Asse Roma-Berlino, embrione di quello che sarà poi il Patto d'Acciaio, il quale fra le
dirette conseguenze portò alla partecipazione comune nella Guerra Civile Spagnola a fianco di
Francisco Franco e alla rinunzia italiana a difendere l'indipendenza austriaca (l'Anschluss avverrà il
12 marzo 1938). L'Austria, declassata al rango di provincia, si aggiungeva, dunque, alla ricca
regione mineraria della Saar, occupata dagli anglo-francesi come garanzia del pagamento delle
riparazioni, che nel 1935 si era ricongiunta con il Reich in seguito ad un plebiscito. Cominciava a
prendere forma il progetto hitleriano di una Grande Germania egemone nel Continente.
Ma le pretese pangermaniche non si esaurirono. Nel 1938 Hitler, facendosi interprete, a suo dire,
della sofferenza dei Sudeti, pretese l'annessione di parte del territorio cecoslovacco, corrispondente
circa alla regione storica, effettivamente tedesca, della Boemia. L'Europa si riscoprì nuovamente sul
piede di guerra. Gran Bretagna e Francia si dimostrarono inizialmente poco propense ad accettare il
diktat tedesco, ma le resistenze furono vinte dall'intervento di Mussolini. Egli, infatti, organizzò ed
orchestrò la Conferenza di Monaco (29-30 settembre 1938), nel corso della quale riuscì a far
accettare alle democrazie occidentali i desiderata tedeschi. Il dittatore italiano fu acclamato dal
mondo come “Salvatore della Pace”. Ma Hitler non intendeva accontentarsi: ignorando l'accordo
appena sottoscritto, il 13 marzo 1939 le truppe della Wehrmacht entrarono a Praga. La
Cecoslovacchia cessò di esistere: la parte orientale al Reich, quella occidentale divenne la
Slovacchia (uno stato fantoccio) e minori parti di territorio furono spartite fra Polonia e Ungheria.
Le mire hitleriane si volsero verso la Polonia ed in particolare verso quel lembo di terra polacca,
noto come Corridoio di Danzica, che divideva la Germania dalla Prussia Orientale. Nel marzo del
1939 alla Polonia pervenne la richiesta tedesca per la restituzione della città di Danzica e per il
consenso alla costruzione di una linea ferroviaria ed autostradale extraterritoriali attraversanti il
Corridoio. Il governo polacco evase la richiesta e cercò, con successo, di stringere un accordo di
mutua assistenza con la Gran Bretagna e la Francia. Ma anche la diplomazia del Reich non rimase
inoperosa: il 23 agosto 1939 Germania e Unione Sovietica siglarono un patto di non aggressione,
detto Patto von Riddentrop-Molotov, dal nome dei ministri degli Esteri firmatari, che prevedeva fra
le clausole segrete la spartizione della Polonia e, conseguentemente, la divisione delle rispettive
sfere d'influenza nell'Europa centro-orientale. Assicuratosi di evitare una guerra su due fronti, che i
generali tedeschi avevano pronosticato come certamente perdente, Hitler poté proseguire con il suo
piano di conquista del lebensraum: nella notte fra il 31 agosto e il 1 settembre reparti tedeschi
invasero la Polonia, mentre due giorni dopo, il 3 settembre, la Gran Bretagna e la Francia
dichiaravano guerra alla Germania. Era l'inizio della Seconda Guerra Mondiale.

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III. L'Italia degli anni '30
Considerare la partecipazione italiana al secondo conflitto mondiale senza aver ben inteso gli anni
antecedenti al conflitto può dare adito a numerosi fraintendimenti. Per questa ragione si è deciso di
approfondire il ruolo internazionale svolto dalla Penisola nel decennio antecedente alla guerra.
L'Italia, nonostante fosse sin dalla nascita l'ultima delle grandi potenze, era stata una delle nazioni
vincitrici della Grande Guerra. Essa però aveva combattuto in uno scacchiere ritenuto di secondo
livello rispetto al fronte occidentale, nel quale furono impegnate Gran Bretagna, Francia e Stati
Uniti d'America, e principalmente contro l'Austria-Ungheria, un avversario ben meno temibile della
Germania guglielmina. Questi fattori si riflessero sull'esito delle trattative di pace, facendo sì che
molte richieste italiane fossero disattese. Nacque così il mito della Vittoria Mutilata che il Fascismo
canalizzò in una politica revisionistica nei confronti del Trattato di Versailles. Già negli anni '20,
infatti, l'Italia si accordò con la Gran Bretagna per delle ridefinizioni dei confini lungo il confine
libico-egiziano e quello somalo-keniota, e con la Jugoslavia attraverso il Trattato di Rapallo per
trovare una soluzione alla discussa questione del Confine Orientale. Ma fu nel decennio successivo
che questa politica assunse un connotato aggressivo. Dopo aver riconquistato la Libia, Mussolini
volse la sua attenzione verso l'Impero Etiopico, l'unico stato africano indipendente eccetto la
Liberia, per “regolare i conti” del 1896, e far assurgere l'Italia al rango di potenza coloniale e quindi
di grande potenza. Sebbene la preparazione diplomatica fosse stata qualitativamente simile a quella
militare, vale a dire molto buona, Gran Bretagna e Francia scelsero la via sanzionista. Abbiamo già
visto in precedenza quale sorta di spirale fece intraprendere questa decisione. Sarà utile soffermarsi
a riflettere su un altro punto, per avvenire
all'obbiettivo che ci eravamo riproposti all'inizio di
questo paragrafo, cioè quale fosse l'opinione
internazionale sulle capacità industriali e belliche
dell'Italia.
Durante la Guerra d'Etiopia i materiali di
rifornimento giunsero a Massaua, il principale porto
eritreo, attraverso il canale di Suez poiché,
naturalmente, questa rotta era la via più breve.
Avendo in mente la sterminatezza del continente
africano è facile immaginare quali e quanti problemi
logistici avrebbe comportato la chiusura del Canale. Illustrazione 4: Progetto di espansione
dell'Impero Italiano.
Eppure la Gran Bretagna, prodiga di condanne e di

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sanzioni, si guardò bene dall'adottare questo tipo di misura, che, secondo lo Stato Maggiore italiano,
avrebbe implicato quasi sicuramente la catastrofe militare. Possiamo considerare più che lecito, e
anzi legittimo, chiederci quale sia la motivazione. E' presto detta, gli alti comandi britannici
ritenevano che nel 1935-1936 una guerra con l'Italia sarebbe stata molto difficile e, forse, addirittura
con esiti sfavorevoli a causa della grave impreparazione. Lo dimostra, fra l'altro, il fatto che quando
la Home Fleet britannica, ossia la migliore flotta della più grande potenza navale del mondo, entrò
nel Mediterraneo con l'obbiettivo di intimorire Mussolini e farlo desistere dal continuare la guerra,
essa fosse dotata di una riserva di munizioni sufficiente a garantire mezz'ora di fuoco e che
risultasse del tutto priva di copertura aerea. L'Italia, dunque, era considerata una potenza, sia pure
medio-grande, ma comunque agguerrita e pericolosa. D'altra parte fra il 1932 e il 1934 essa aveva
trovato il modo di mettersi in mostra agli occhi dell'opinione pubblica internazionale attraverso le
Crociere Atlantiche organizzate e condotte dal quadrumviro Italo Balbo. Queste trasvolate, la prima
diretta verso il Brasile e la seconda verso gli Stati Uniti, esaltarono le capacità logistiche della Regia
Aeronautica, le possibilità tecniche dell'industria aeronautica e l'addestramento dei piloti, che in
questo periodo, contrariamente a quanto di verificherà nel corso della Seconda Guerra Mondiale,
furono effettivamente degne di nota.
Ma l'Italia non era all'avanguardia, in quegli anni, solo
nella costruzione di aerei. Nel 1933 la FIAT produsse un
ottimo carro armato leggero, il C.V. 33, poi aggiornato nel
L.3/35. Studiato per i territori montuosi, esso aveva
prestazioni molto buone per gli standard della prima metà
degli anni '30, tanto da venire esportato in 9 paesi. Anche la
Illustrazione 5: Uno degli aerei con cui
Marina disponeva di una discreta considerazione, potendo Balbo compì le Crociere Atlantiche.
contare su quattro corazzate del 1912 completamente rimodernate (Conte di Cavour, Giulio Cesare,
Andrea Doria, Caio Duilio), e su altre quattro di ultima generazione in fase di costruzione (Littorio,
Vittorio Veneto, Roma, Impero, quest'ultima mai completata).
Se dal punto di vista tecnico tutte le Armi erano degnamente
considerate all'Estero, parimenti fu apprezzato il loro
impiego. Per la Guerra d'Etiopia i più ottimisti osservatori
avevano stimato, forse pensando ad un impiego massiccio
della guerriglia da parte etiope, una durata minima di tre
anni. Essa invece fu conclusa in appena otto mesi. Per
inciso, l'impiego di gas tossici da parte italiana, per quanto Illustrazione 6: Carro armato L3/35.
odioso, non sembra aver potuto incidere in maniera significativa sulla durata: appare invece

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opportuno ricercare le ragioni della repentina sconfitta etiope nella scelta del Negus Selassiè di
prediligere le battaglie campali, al massiccio impiego italiano dell'aviazione e all'enorme
dispiegamento italiano di truppe e di personale civile per la costruzione di strade.
Dopo l'impressionante vittoria africana, il
Regio Esercito ebbe modo di distinguersi
anche nel teatro spagnolo, riportando esiti
più che discreti con sconfitte molto limitate,
come la famosa Guadalajara, che fu solo un
insuccesso offensivo.
Alla luce dei fatti esposti sembrava legittimo
aspettarsi dall'Italia una qualche sorta di
colpo di scena all'entrata in guerra dell'Italia: Illustrazione 7: Il Corriere della Sera annuncia la fondazione
dell'Impero.
l'invasione di Malta, una puntata fulminea su
Suez, o un attacco alla Mediterranean Fleet alla fonda ad Alessandria. Eppure, si vedrà in seguito,
queste aspettative furono del tutto disattese.

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IV. La situazione italiana all'entrata in guerra
Si è visto in che modo l'Italia si garantì, nel corso degli anni '30, una certa considerazione a livello
militare. Come si spiega dunque la debacle nel corso del conflitto?
Preliminarmente occorre considerare che lo Stato Maggiore italiano non prevedeva nessuna nuova
guerra prima del 1943/1944, poiché la macchina bellica, molto provata dal continuo impiego in
Etiopia e in Spagna fra il 1935 e il 1939, necessitava di un periodo di inattività per riorganizzarsi e
lenire il logorio di reparti e mezzi. In aggiunta, carri armati e aerei, all'avanguardia fino alle metà
degli anni '30, giunsero alla fine del decennio praticamente obsoleti: mentre dalle industrie
continuavano ad uscire tanks da 3 o 14 tonnellate e caccia in tela (i famosi C.R.42), le altre potenze
europee iniziarono a produrre veicoli da 26 tonnellate e velivoli monoplano in metallo. I motivi di
tali deficienze meriterebbero di essere debitamente approfondite, ma, almeno in questa sede, basterà
accennare, per quanto riguarda i carri armati, all'errato calcolo dello Stato Maggiore, che non prese
in considerazione nessun altro teatro bellico al di fuori di quello alpino, e, per quanto riguarda
l'aviazione, all'eccesso di finanziamenti pubblici propulsi alle varie fabbriche dal Regime e alla
mancanza di settorializzazione nelle varie specialità (caccia, aerosiluramento, bombardamento
tattico, bombardamento strategico) di queste.
Ad ogni modo, all'entrata in guerra l'Italia poteva comunque
contare su delle forze armate di non poco conto che
avrebbero potuto gravare non poco su di una Gran Bretagna
rimasta sola a combattere contro le potenze dell'Asse.
Il Regio Esercito poteva contare su 75 divisioni, quasi
esclusivamente di fanteria, ma solo una piccola parte era
effettivamente operativa. L'arma principale era il Carcano Illustrazione 8: Semovente da 75/18.

mod. 1891, il moschetto della Grande Guerra: un'arma affidabile e potente assolutamente pari ai
corrispondenti britannici, francesi e tedeschi. Più scarsa la disponibilità di mitragliatrici, tanto che
una compagnia italiana poteva sviluppare un volume di fuoco pari alla metà di una francese e ad un
quarto di quella tedesca. Buona la disponibilità di artiglierie
a tiro curvo, molto meno quella delle artiglierie anticarro (si
riutilizzerà con risultati eccellenti un cannone antiaereo, il
famoso 90/53). Disastrosa la situazione degli autocarri, del
tutto insufficienti per garantire anche solo il supporto
logistico ai vari reparti. Il problema dei carri armati è già
stato considerato, ma si sente il bisogno di aggiungere che Illustrazione 9: Cannone da 90/53.

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nel 1941 fecero la comparsa i Semoventi 75/18, dei caccia-carri di poco tonnellaggio e scarsa
corazzatura, ma con un'arma potente ed efficace e soprattutto con un profilo estremamente basso. I
risultati furono tanto positivi che i carri armati britannici ricevettero l'ordine di non ingaggiare
battaglia con loro qualora mancasse il supporto aereo.
La Regia Marina era una delle marine militari più potenti del mondo, la quarta dopo quelle di Gran
Bretagna, Stati Uniti d'America e Giappone. Essa vantava ben 6 corazzate (di cui di due di ultima
generazione, la terza entrò in servizio nel corso della guerra), 7
incrociatori pesanti, 12 incrociatori leggeri, 120
cacciatorpediniere e 120 sommergibili.
Nel Mediterraneo la Gran Bretagna, non avendo dislocato il suo
naviglio più moderno, poteva contare su una portaerei, 3
corazzate, 3 incrociatori pesanti, 4 incrociatori leggeri, 31
cacciatorpediniere e 8 sommergibili. Nel complesso,
considerando anche la flotta britannica dislocata a Gibilterra, le
due forze contrapposte potevano considerarsi alla pari. L'Italia
difettava, come un lettore attendo non avrà mancato di osservare,
di portaerei. Le motivazioni che nel corso degli anni '30 Illustrazione 10: La Littorio in
navigazione.
portarono a non prendere in considerazione lo studio di queste navi furono molteplici, ma la
principale fu il considerare il territorio nazionale come “Portaerei Italia”. In effetti la posizione
dominante il Mediterraneo Centrale avrebbe potuto facilmente garantire alla flotta in mare un
supporto aereo più che sufficiente. La vera mancanza fu, in verità, quella di un'aviazione di marina,
cosicché una nave in mare per richiedere l'intervento dell'Arma Azzurra (la Regia Aeronautica)
doveva contattare il comando portuale, che a sua volta contattava Supermarina (il comando
supremo della Marina), che contattava Superaereo (il comando supremo dell'Aeronautica), che
contattava la base aerea più vicina, la quale inviava gli aerei. E' facile intuire quanto elefantiaca fu
la dilatazione temporale. Altro deficit della Regia Marina fu l'assenza del radar per il primo periodo
bellico, anche se questo strumento in questa della guerra nel Mediterraneo non si configurò come
decisivo. Occorre a questo punto fare una considerazione conclusiva in merito alla guerra navale nel
Mediterraneo, poiché molto spesso si tende a dimenticare che in questo scacchiere essa fu una lotta
per garantire la sopravvivenza dei convogli destinati al rifornimento delle truppe in Libia da parte
italiana e in Egitto da parte britannica, piuttosto di uno scontro fra navi finalizzata alla distruzione
delle rispettive flotte.
La Regia Aeronautica può essere assurta, forse, ad emblema del disincanto internazionale sulle armi
italiane. Negli anni '20 e '30 l'Italia aveva esportato velivoli in ben 39 Paesi, eppure si presentava,

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all'inizio del conflitto, con soli 1.200 bombardieri, 1160 caccia, 500 ricognitori, 6.300 piloti e
84.000 uomini del personale a terra. Tuttavia solo metà degli aerei disponibili erano pronti per il
combattimento e, per giunta, essi erano per lo più obsoleti: poco armati, poco protetti (anche quando
si sostituì il metallo alla tela) e con motori poco potenti. L'unico pregio era la maneggevolezza. Non
migliore la situazione dei piloti che avevano un monte-ore di volo inferiore a quello dei corrispettivi
europei. Ciò nonostante essi dettero un'ottima prova di sé nel corso della guerra, conquistando
numerosi apprezzamenti dei piloti anglo-americani. Uno dei problemi peggiori fu l'impossibilità di
sostituire i velivoli danneggiati, a causa delle carenze produttive dell'industria aeronautica italiana,
alle quali il Regime non seppe porre efficiente rimedio.
Appare necessario spendere qualche parola
sull'organizzazione del comando, che rappresentò un
esempio di impressionante incompetenza, come si è già
osservato in merito ai rapporti fra Supermarina e
Superaereo. Analoghi episodi simili al caso trattato si
verificarono anche con Superesercito quasi in ogni fronte e
con una buona frequenza. Ad aggravare la situazione Illustrazione 11: Due bombardieri tattici
Savoia-Marchetti 79 “Sparviero”.
contribuì la categoria degli ufficiali superiori, poco
preparati, poco istruiti e nient'affatto aggiornati sulle
tattiche di combattimento affermatesi in Europa dopo la
Prima Guerra Mondiale.
Sì è così tratteggiata la situazione delle forze armate italiane
al 10 giugno 1940, allorquando Mussolini da Palazzo
Venezia annunciava agli italiani e al mondo l'entrata in
Illustrazione 12: Caccia Macchi 200
guerra. Quale notazione conclusiva, resasi necessaria dal "Saetta".

quadro desolante analizzato, occorre notare che le Armi italiane avrebbero potuto, nonostante le
deficienze, dare buona prova di sé in quel determinato periodo bellico. La Gran Bretagna, infatti,
rimase l'unica a combattere contro le preponderanti forze dell'Asse e, costantemente bombardata sul
territorio nazionale dalla Luftwaffe, e ebbe non poche difficoltà ad organizzare delle offensive
rivolte alla Libia e all'Africa Orientale Italiane. Non a caso essa prese l'iniziativa quando la
Battaglia di Inghilterra era già alla fase conclusiva.

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IV. Schema

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Curiosità

• Negli anni '20 e '30 alcuni aerei italiani stabilirono alcuni record ancora imbattuti quali ad
esempio il record di velocità per idrovolanti a pistoni: il 23 ottobre 1934 a Desenzano del
Garda venne toccata la velocità di 711,462 km/h.
• Nell'aeronautica americana permane ancora il nome di “Balbo” per indicare degli aerei che
compiono un volo in formazione. Questo termine fu introdotto dopo la Crociera Atlantica
del Decennale (Orbetello-Chicago-New York-Roma) compiuta, nel 1933, dall'omonimo alto
gerarca fascista.
• Il 28 agosto 1940 volò sui cieli di Venezia il primo aereo a reazione italiano, il Caproni-
Campini C.C.2. Fu il secondo al mondo, preceduto solo dal tedesco Heinkel He 127, che
spiccò il volo il 27 agosto 1939.
• Si è abituati a considerare la Seconda Guerra Mondiale come ad un rapido movimento di
carri armati. In realtà la maggior parte dei trasporti (inclusi i rifornimenti) erano ancora
ippotrainati. Anche nel modernissimo esercito tedesco, durante la Campagna di Francia del
1940, parteciparono reparti di artiglieria someggiata.
• Pare che durante la battaglia di El Alamein il feldmaresciallo Rommel abbia esclamato: “Il
soldato tedesco ha impressionato il mondo. Il soldato italiano ha impressionato il soldato
tedesco”.
• Nella notte fra il 18 e il 19 dicembre 1941, partendo dal sommergibile Scirè comandato da
Junio Valerio Borghese, alcuni elementi della X MAS (fra cui Durand de la Penne) penetrò
nel porto di Alessandria affondando, con dei siluri a lenta corsa (detti maiali) le corazzate
HMS Queen Elizabeh e HMS Valiant, la petroliera Sagona e il cacciatorpediniere HMS
Jervis.
• L'ultima carica di cavalleria della storia, effettuata da un esercito regolare ai danni di un
altro esercito regolare, fu quella del Savoia Cavalleria il 24 agosto 1942 a Isbuscenskij
(Russia). Gli italiani persero 32 uomini a fronte di 150 sovietici, catturando oltre 600
prigionieri.

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Illustrazioni

Illustrazione 1: http://iltafano.typepad.com/.a/6a00d83451654569e20134875df261970c-800wi
Illustrazione 2: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Map_Europe_1923-it.svg
Illustrazione 3: http://cultura.biografieonline.it/le-cause-della-crisi-economica-del-1929/
Illustrazione 4: http://it.wikipedia.org/wiki/File:ProgettoImperoItaliano.jpg
Illustrazione 5: http://www.finn.it/regia/html/fra_le_due_guerre.htm
Illustrazione 6: http://www.wwii-photos-maps.com/panzer/Italian%20Tanks/slides/Italian%20Tank
%20L3-33.html
Illustrazione 7: http://intoccabili.wordpress.com/2013/05/09/9-maggio-1936-mussolini-annuncia-la-
fine-della-guerra-delletiopia-e-proclama-la-nascita-dellimpero/
Illustrazione 8: http://www.betasom.it/forum/index.php?showtopic=26292
Illustrazione 9: http://www.comandosupremo.com/cannone9053.html
Illustrazione 10: http://it.wikipedia.org/wiki/File:RN_Littorio_seen_from_an_aircraft_(1941).jpg
Illustrazione 11: http://www.finn.it/regia/html/gift.htm
Illustrazione 12: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Macchi200_c.JPG

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Informazioni sull'autore

Livio Tonazzo nasce a Dolo il 19 ottobre 1990. Diplomato al Liceo Scientifico “E.Curiel” di
Padova, si iscrive al corso di laurea triennale in Storia dell'Università degli Studi di Padova. Nel
2012 si laurea con una tesi intitolata “Aspetti Economici del Colonialismo Italiano in Eritrea” e
curata dal prof. Giovanni Luigi Fontana. Attualmente è iscritto al Corso di Laurea Specialistica in
Scienze Storiche.
Nel corso degli studi, iniziati in giovane età, ha avuto modo di approfondire ambiti disparati, quali,
ad esempio, colonialismo italiano, fascismo e storia militare del '900.

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