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LA QUERELLE CLASSICISTI- ROMANTICI

La cultura italiana era rimasta estranea al primo Romanticismo. In Italia era forte la tradizione classicista,
che teneva lontani gli autori dalle scelte attuate dai poeti e scrittori tedeschi e inglesi.

Quando il Romanticismo penetrò in Italia negli anni venti dell’‘800 il clima politico era quello del
Risorgimento e dell’impegno civile e patriottico: pertanto, il tema della nazione entrò nella produzione
letteraria ma anche nell’arte e nella musica, celebrando il “sentimento” della nazione italiana di cui avevano
parlato i grandi della nostra letteratura (da Dante a Macchiavelli che avevano proposto attraverso le opere
letterarie un progetto di unità politica, rimasto utopico)

Nel primo ‘800 apparvero romanzi e drammi storici e una poesia narrativa di impronta patriottica che
contribuirono a rinnovare la cultura e favorirono collegamenti tra la letteratura italiana e quella europea.

Lo stesso Silvio Pellico nel 1819 considerò i termini romantico e patriota dei veri e propri sinonimi.

Questo cambiamento risulta ancor più importante se pensiamo all’Italia del primo ‘800, in cui la
popolazione contadina, pressocchè analfabeta, viveva da sempre in un orizzonte limitato del villaggio e
impegnata in una lotta quotidiana per sopravvivere e anche i ceti urbani erano ancora lontani dall’idea di
un’Italia unita e indipendente.

In questo periodo fu rilevante il ruolo delle riviste, ossia pubblicazioni periodiche che avevano lo scopo di
raggiungere un pubblico più ampio e di diffondere gli argomenti del dibattito politico.

E’ il caso della Biblioteca italiana fondata a Milano nel 1816, finanziata dal governo austriaco, che dava
spazio soprattutto alle posizioni dei letterati classicisti e si proponeva di influire sull’opinione pubblica
italiana a favore della restaurazione e a favore del governo austriaco.

Poiché era un luogo di scambio culturale relativamente libero e sottoposto alla censura austriaca, molti
intellettuali (Foscolo, Monti, Pellico) ne rifiutarono la direzione.

Su questa rivista, di impostazione conservatrice, paradossalmente venne pubblicato nel 1816 un lungo
articolo in forma di lettera dal titolo “Sulla maniera e sull’utilità delle traduzioni”, firmato da Madame de
Stael, intellettuale francese di origini svizzere, donna coltissima e amante dell’arte e della letteratura
italiana. Madame de Stael svolse la sua attività di scrittrice, intellettuale e divulgatrice di idee soprattutto a
Parigi, e in seguito nel castello di Coppet, sul lago di Ginevra, dove si ritirò a causa delle sue posizioni
antinapoleoniche, raccogliendo intorno a sé un gruppo cosmopolita di letterati e pensatori.

La querelle tra classicisti e romantici in Italia nasce all’indomani della pubblicazione del saggio breve di
Madame de Stael: il provocatorio intervento di Madame de Stael delinea un quadro critico della cultura
italiana del primo Ottocento, gravata da una sterile erudizione e da una tradizione classicista inerte e
provinciale.

Invitando i letterati ad aprirsi alla cultura straniera del tempo, la de Stael innesca un’aspra polemica e
determina la formazione di due schieramenti opposti: da una parte i Classicisti, tenaci sostenitori dei
principi dell’arte classica; dall’altra i Romantici, concordi con gli assunti della de Stael e promotori di una
cultura moderna.

La lettera vuole essere un appello alle coscienze dei letterati italiani che, invece di confrontarsi con il nuovo,
continuano ad imitare la poesia dei maestri greci e latini. Madame de Stael raccomanda agli italiani di
vincere l’isolamento culturale, di rinunciare alla mitologia antica e di cominciare a tradurre le opere dalle
letterature inglese e tedesca.

Infatti afferma “Dovrebbero a mio avviso gl’ Italiani tradurre diligentemente assai delle recenti poesie
inglesi e tedesche”…. P. 439 e nel periodo successivo “perciò gli intelletti… conoscerle”.

Il testo della de Stael esprime inoltre un giudizio sarcastico sugli scrittori eruditi che frugano “nelle antiche
ceneri” e adorano la forma ampollosa ma povera di contenuti e incapace di coinvolgere i lettori.

A sostegno delle teorie della de Stael interviene un gruppo di intellettuali milanesi, tra cui Pietro Borsieri
(1788-1852), Ludovico di Breme (1780-1820) e Giovanni Berchet (1783-1851).

Nel 1816 Berchet firmò il più celebre manifesto del Romanticismo italiano, la “lettera semiseria di
Grisostomo al suo figliuolo” in forma di esortazione di un padre al figlio affinchè legga gli autori moderni,
che hanno un legame profondo con le tradizioni popolari, con la storia e con la vita stessa.

La lettera ha un finale a sorpresa, in cui Grisostomo dice di non aver detto il vero e si dichiara classicista:
perciò Berchet la definisce “semiseria”.

In particolare secondo Berchet la poesia deve tornare ad imitare la natura, cioè la realtà presente anziché
essere imitazione di imitazione, cioè una riproduzione fedele dell’arte elaborata nel mondo antico.

Inoltre ribadisce che la poesia scaturisce dall’esperienza reale e dal contesto storico in cui nasce (leggi
p.442“interrogarono l’animo.. contemporanei”).

Allo stesso modo, egli afferma che i grandi poeti come Omero, Pindaro furono nel loro tempo romantici
perché rappresentarono i sentimenti del loro tempo e non seguirono modelli precedenti.

L’opera quindi definisce un nuovo ruolo per il poeta, non più isolato rispetto al resto dell’umanità, ma
immerso nella società in cui vive e della quale interpreta sentimenti e ideali.

Tutti gli esseri umani, afferma Berchet, hanno un’innata tendenza alla poesia, che si manifesta fortissima in
alcuni e rimane passiva in altri.

Sta a coloro a cui la natura ha donato in maggior misura questa disposizione dell’anima il compito di farsi
capire dal “popolo”, cioè da quel pubblico che si distingue sia dai rozzi e insensibili, ossia le masse incolte e
analfabete, sia dai raffinati parigini, cioè dal mondo chiuso ed elitario degli intellettuali.

Il concetto di popolo che ha in mente Berchet corrisponde alla borghesia colta, la classe sociale che
possiede gli strumenti culturali per avvicinarsi alla letteratura romantica.

La querelle classico-romantica trovò spazio negli stessi anni nella prestigiosa rivista milanese “il
conciliatore”, che nacque con l’intento di svecchiare le forme letterarie e di favorire un’apertura verso
nuove discipline, conciliando la critica letteraria con l’analisi dei problemi scientifici, economici ma anche
sociali e politici.

Vi presero parte Silvio Pellico, Berchet, Pietro Borsieri, sostenitori dell’idea che la letteratura nazionale
dovesse sprovincializzarsi e divenire uno strumento di divulgazione per la crescita del sentimento nazionale
e della coscienza civile.
Nel 1819 le attività della rivista furono presto censurate: gli austriaci chiusero il conciliatore e arrestarono
tutti i redattori e il direttore Ludovico de Breme, un sacerdote, che riteneva conciliabile l’ortodossia
cattolica con la civiltà moderna, sacerdote illuminato che credeva nell’unità d’Italia, nell’istruzione popolare
e nella possibilità di avere uno stato laico in accordo con la religione cattolica. (rettore Domenico Morea
liberale).

Uno dei redattori della rivista, Silvio Pellico (1789-1854), venne arrestato nel 1820, trascorse 10 anni al
carcere duro allo Spielberg dove scrisse il romanzo “le mie prigioni”, pubblicato nel 1832.

L’intervento più autorevole a difesa del Classicismo è firmato da Pietro Giordani nel 1816, sempre sulla
Biblioteca italiana: egli è una figura atipica di intellettuale perché difende, da buon conservatore, le
tradizioni letterarie ma al tempo stesso è un fervente patriota e convinto progressista.

Egli evidenzia una presunta diversità antropologica tra gli italiani e i popoli settentrionali d’Europa, pertanto
ciò che è apprezzato dai poeti e lettori del nord d’Europa non può esserlo per gli intellettuali italiani che
hanno una propria peculiare forma mentis.

Giordani ritiene che gli Italiani non trarrebbero alcun giovamento dalla traduzione e dalla letteratura delle
opere straniere: l’arte greca e latina, cui si ispira la letteratura italiana, sono modelli insuperabili di
perfezione.

Egli riconosceva la crisi della letteratura italiana, ma riteneva che essa avrebbe potuto rifiorire solo
interrogando in modo nuovo la propria tradizione.

Secondo Giordani gli autentici valori della tradizione classica erano stati trascurati per “pigrizia” nel
“coltivare il fondo paterno” e questo aveva determinato l’accesso di retorica e di ricercatezza stilistica fine a
se stessa denunciata dalla de Stael.

Qualche anno dopo fra i classicisti si schierò anche il giovane Leopardi, che nel 1816 indirizzò alla rivista
“Biblioteca italiana” una lettera non pubblicata fino agli inizi del ‘900“Lettera ai sigg. compilatori della
Biblioteca italiana in risposta a quella di Mad. la Baronessa di Staël”, nella quale in polemica con Madame
de Stael esaltava i valori dei classici e metteva in evidenza la diversità con cui i poeti antichi si relazionano
con la natura rispetto ai moderni.

Leopardi infatti condannava l’introduzione in Italia dei modelli della letteratura nordica e nello stesso
tempo respingeva, diversamente dai classicisti, il principio di imitazione considerato falso e artificioso, così
come l’abuso della mitologia; esaltava invece tutto ciò che è spontaneo e originario.

Leopardi non utilizza il mito, nonostante sia un grande filologo classico: afferma che l’Illuminismo ha
segnato una frattura nello sviluppo della civiltà umana facendo si che ci sia un abisso incolmabile fra mondo
antico e moderno, fra modo di pensare degli antichi e dei moderni. Dopo la rivoluzione scientifica non
possiamo più pensare e poetare come gli antichi a meno che copiano e imitiamo gli antichi.

Leopardi sostiene che non appena la scienza ha rivelato il sistema, il funzionamento e le leggi che
governano madre natura l’uomo moderno non può più richiamarsi ai racconti mitici fondati
sull’immaginazione per spiegare il rapporto uomo-natura.
L’uomo antico si serviva dell’immaginazione e del mito per spiegare il rapporto fra l’uomo e la natura e per
darsi una spiegazione dei fenomeni naturali; l’uomo moderno ha la scienza e utilizza la ragione; per questo
non può più far ricorso all’immaginazione come strumento di conoscenza.

Nel “Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica” (1818), il poeta ribadisce la necessità per l’artista
moderno di essere originale rifiutando però di ispirarsi all’attualità: le tendenze realistiche devono essere
sostituite dai sentimenti e dalle passioni di cui i classici costituiscono la massima espressione.

A Firenze nel 1819 fu fondato da Giampiero Viesseux il Gabinetto scientifico letterario, inizialmente un
gabinetto di lettura nel quale venivano messe a disposizione del pubblico le più importanti riviste d’Europa
consultabili in sale di conversazione. Venne anche allestita una biblioteca che proponeva novità librarie in
quattro lingue.

L’Antologia rivista fondata dal Viessieux (esiste ancora adesso a Palazzo Strozzi) era un giornale moderato
non politico e si interessava dell’educazione tecnica dell’Italia, promuovendo il progresso tecnico (sistemi
agricoli, macchine per le imprese) e ospitando tanti patrioti che non potevano altrimenti esprimere le loro
opinioni e pensieri.

Nella prima metà dell’Ottocento si affermò l’idea che l’obiettivo dell’indipendenza dovesse essere connesso
a quello dell’unificazione nazionale; pertanto vennero elaborati programmi politici chiari, capaci di
riscuotere il consenso dell’opinione pubblica e di contribuire al risveglio della coscienza patriottica.

Dopo il fallimento dei moti rivoluzionari si affermarono programmi compiuti che vennero esposti in trattati
politici da rivolgere all’opinione pubblica.

Dal punto di vista ideologico le proposte erano divergenti: da una parte i moderati ritenevano che gli
obiettivi dell’indipendenza e dell’unificazione nazionale dovessero essere raggiunti gradualmente senza
insurrezioni ma con un processo di riforme guidato dai sovrani; dall’altra i democratici ritenevano che il
risorgimento dovesse realizzarsi attraverso un’insurrezione nazionale e pensavano quindi ad un’Italia
repubblicana fondata sul principio della sovranità popolare.

Nella corrente moderata, di matrice cattolica, il massimo rappresentante è Vincenzo Gioberti sostenitore
dell’idea secondo la quale l’Italia ha un primato fra le nazioni civili in quanto sede del papato.

Di qui nasce il progetto neoguelfo per il quale la chiesa deve porsi alla guida della nazione per costruire una
confederazione di stati autonomi guidati dal Piemonte sul piano politico- militare ma affidata moralmente
all’autorità del Papa; nella proposta di Gioberti il Risorgimento politico e civile è accompagnato dalla
rinascita delle lettere attuata attraverso il richiamo alla lezione di Dante.

Per la corrente democratica non è sufficiente il progetto di rinnovamento morale ma occorrono l’azione, il
coinvolgimento del popolo e l’insurrezione.

Questa visione dell’azione politica riguarda le idee di Giuseppe Mazzini (1807-1872) che sostengono il fatto
che l’Italia culla della civiltà moderna debba promuovere l’unità e la fratellanza fra i popoli. (Repubblicano)

Inoltre egli si batte perché il risorgimento abbia un autentico coinvolgimento popolare e affinchè tutti gli
uomini superando le divisioni di classe maturino una coscienza nazionale consapevoli dei diritti e dei doveri
e dei valori fondamentali, cioè indipendenza, unità e libertà.
A differenza di Mazzini, Cattaneo sostiene un federalismo basato sull’autogoverno delle singole regioni; per
lui il risorgimento non è una missione religiosa (come sosteneva Mazzini) ma uno strumento per il
progresso sociale e materiale. Egli scrive sul periodico “il Politecnico” in cui sostiene l’avvento di una società
libera e democratica in cui la borghesia è capace di promuovere lo sviluppo della nazione sul piano
scientifico e tecnico ma anche civile e culturale.

Nell’ambito democratico il napoletano Carlo Pisacane afferma l’idea di una rivoluzione politica affiancata
dalla rivoluzione sociale: lui immagina che il popolo possa riscattarsi dal dominio della società borghese
attraverso una rivolta ispirata da pochi intellettuali illuminati e combattuta da masse di contadini.

Egli stesso pagò con la vita il fallimento di questo progetto: fu repressa nel sangue la spedizione di Sapri del
1857, partita da Genova e diretta verso il Cilento e la Calabria, dove Pisacane pensava di suscitare
l’insurrezione nella popolazione.

L’opera di Luigi Mercantini “la spigolatrice di Sapri” è ispirata alla fallita spedizione di Carlo Pisacane, che
aveva lo scopo di innescare una rivoluzione antiborbonica nel regno delle due Sicilie; la poesia rappresenta
uno dei componimenti patriottici del Risorgimento.

Un altro episodio tragico del nostro Risorgimento, l’uccisione dei fratelli bandiera, fucilati nel 1844 in
Calabria dalle guardie borboniche ispira i componimenti poetici del mazziniano Goffredo Mameli; il più
famoso di essi, il canto degli italiani fu musicato nel 1847 dal genovese Michele Novaro e divenne nel 1946
l’inno nazionale della repubblica italiana.

Questa poesia voleva parlare al popolo e perciò presentava forme metriche e sintattiche semplici e ritmi
regolari e martellanti, anche se il linguaggio non era certo popolare per la presenza di un lessico aulico.

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Benedetta Craveri è una francesista, è specializzata sulla letteratura francese; è la nipote di Benedetto
Croce.

Benedetta Craveri in un passo parla della fede già liberale di Madame de Stael e lei è contro Napoleone per
questo motivo. “la figlia di Necker può oscillare tra uno stato monarchico e repubblicano”.

Craveri ha diffuso gli ideali del regime liberale.

A favore di Madame si schierarono i romantici, che si sono impegnati nello svecchiamento delle forme e dei
generi tradizionali (Foscolo, Leopardi e Manzoni) e avevano bisogno di rinnovarsi.

Manzoni adotta il genere del romanzo e viene attaccato perché i protagonisti del romanzo sono dei
popolani (Renzo e Lucia).

Leopardi si batte per una lingua viva e lavora sulla lingua poetica

Il modello di Leopardi è Petrarca ma lo rinnova e crea quelle che chiameremo “Canzone leopardiana o
canzone libera”; questa operazione di Leopardi ha rilanciato la tradizione lirica italiana perché ha suggerito
ai poeti dopo di lui come si doveva usare la tradizione lirica italiana.

A schierarsi contro erano principalmente i classicisti.

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