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Maya amava la magia, ma a causa di questa, lei stava per perdere tutto.

Come poteva essere stata così stupida?

Centinaia, anzi no, migliaia di volte i suoi genitori le avevano detto di non mostrarla, ma
lei non aveva mai capito il perchè.

Ora si trovava in casa, mentre dalla piccola finestra in vetro, osservava i suoi genitori
parlare con delle persone che a prima vista sembravano dei nobili.

Maya decise di dare un ultimo saluto alla sua camera. La casa era piccola, quindi fece
solo qualche passo prima di spostare la piccola porta di legno che dava accesso al suo
piccolo spazio di felicità.

Sapeva già come sarebbe finita il tutto, ma aveva paura lo stesso, paura di non rivedere
più i suoi genitori, paura di non poter più incontrare quella gentile signora che regalava
alla sue famiglia quelle mele tanto buone, ma la cosa che le faceva più paura era quella
di essere considerata un mostro dai suoi coetanei, con cui sin da piccola era cresciuta.

Era la rovina della società, o almeno, questo era quello che quelle persone stavano
ormai gridando fuori dalla casa della povera famiglia.

Non voleva sentire quelle parole, i suoi ultimi istanti di vita avrebbe voluto passarli in un
posto felice e per questo, dopo aver salutato per l’ultima volta la sua amata camera,
decise di uscire sul retro della piccola casa di pietra, che era stata costruita con tanta
cura dai suoi avi.

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Lo sguardo passava sulle piante dai mille colori. Gli Zekrem erano un piccolo frutto
dolce che cresceva solo in quella zona, aveva le sembianze di un pomodoro ma il suo
colore era viola.

Questo le ricordava sua nonna, una donna molto bassa e robusta, dai capelli bianchi e
il viso pacioccone. Quando si arrabbiava assumeva un colore violaceo e iniziava a
sbraitare parole incomprensibili in una lingua che forse si era inventata sul momento.

Avrebbe voluto abbracciarla un’ultima volta, ma quella soffice persona non era più tra
loro da ormai un paio di anni.

Non appena la porta si aprì il cuore della ragazza si fermò.

Una figura possente si presentò dinanzi a lei. L’armatura d’oro copriva gran parte del
corpo.

I raggi del sole non permettevano alla ragazza di vedere i dettagli del viso di quella
imponente persona.

Poteva sentire però il suo tagliente sguardo su di lei, come se disprezzasse la sua sola
esistenza.

Ora si trovava inginocchiata dinanzi alla figura.

Non avrebbe dovuto mostrare la magia a Jhonatan, ma oramai non si poteva più
tornare indietro.

Sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime.

Aveva paura di morire.

Si sentiva così impotente dinanzi a quella figura, voleva scappare, scappare a tutti i
costi, non riusciva a pensare ad altro.

Stava pregando così tanto quel Dio che i suoi genitori le avevano insegnato a venerare,
infatti quello che accadde non poteva che essere un miracolo.

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Per qualche strana ragione l’uomo davanti a lei si era fermato, poteva vedere quel
sorrisetto sulle sue labbra mentre era indaffarato nell’ estrarre la spada che teneva nel
fodero di cuoio con adornato con mille rilegature d’argento.

Il tempo si era fermato per un momento, come se volesse far scappare quella dolce e
innocente ragazza.

Ora non poteva fare altro che correre, correre più veloce del vento che nel momento in
cui Maya era uscita dal cancelletto in legno aveva ripreso a soffiare.

Sentiva le lacrime scivolare sul viso per poi essere spazzate via dall’aria, non si
guardava indietro anche se sentiva che qualcuno la stesse seguendo.

Si sentirono le grida strazianti della madre quando la testa del marito toccò il terreno
Quello che sentiva ora era solo il suono scricchiolante delle foglie secche che venivano
calpestate dall’uomo intento a seguirla.

Era salita su quella collina migliaia di volte ma ora era la sua ultima spiaggia. Doveva
riuscire a scappare, doveva salvarsi.

Calore, era quello che ora sentiva mentre piano piano il passo diminuiva. La mano che
si era appoggiata al fianco si stava colorando di un bellissimo rosso scuro che
sembrava scintillare alla luce del sole.

Per lei era finita ma almeno era contenta di aver provato a scappare, sentiva di aver
sfruttato a pieno dell'opportunità donatale.

Non poteva contrastare la magia di un nobile, soprattutto se questo era un avventuriero.


Sentì l’uomo estrarre la spada, ma lei non aveva il coraggio di guardare. Aveva iniziato
a tremare, le lacrime non accennavano a fermarsi.

Voleva chiedere pietà ma le parole si fermavano in gola.

Le mani coprivano il suo viso, e su una di queste vi era quella che sembrava una voglia.
Erano due linee verticali come una voglia, anche se a vederle meglio sembravano
tatuate.

Alla vista di queste l’uomo sputò con disprezzo sulla ragazza prima di alzare la lama
della spada verso il cielo.

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L’unica cosa che la ragazza poteva vedere era nero, aspettava che l’oblio la
inghiottisse.

Dicevano che i momenti prima della propria morte sembrassero durare un’eternità.

Il corpo della ragazza era rigido, tutti i muscoli erano tirati come se si aspettassero un
forte colpo che però mai arrivò.

Gli occhi piano piano si aprivano, i muscoli iniziavano a rilassarsi.

La luce di quel sole freddo illuminava i fili d’erba e le foglie su quella collina, poco
distante dalla casa della giovane.

Il tempo si era fermato di nuovo?

No, non era così.

Il fianco le doleva ma non vi diede molta importanza.

I dorsi della mani erano bagnati, come se qualcosa fosse schizzato su essi. Era morta
questa era l’unica spiegazione che riusciva a darsi.

L’ombra dell’uomo che poco prima era davanti a lei era sparita.

Gli occhi della ragazza dopo essersi abituati di nuovo alla luce iniziarono a cercare
l’uomo che poco prima la stava per giustiziare.

L’armatura di questo era stata lacerata in diversi punti, pezzi di essa erano staccati e
volati vicino al corpo ormai freddo del gigante.

“Tutto bene signorina?”

La ragazza non conosceva questa voce, sembrava una voce gentile, una voce che in
quel mondo consumato dall'avidità non si sentiva molto spesso.

“Sono morta?”

L’unica domanda che riusciva a porsi era questa.

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“Non è morta signorina-”

“Maya.. il mio nome è Maya”

La figura che ora si trovava davanti a lei sembrava sorriderle. Il sole non permetteva di
vedere la faccia della gentile sconosciuta.

“Zoreter”

Una volta pronunciate queste parole dalle mani della misteriosa figura un cerchio
magico si creava. Era di un bellissimo colore verde, ricordava gli smeraldi e le immense
praterie che lei e suo padre guardavano nei giorni di festa, Maya non poteva sentirsi
meglio in quel momento.

“Questo incantesimo dovrebbe bastare, ora ci conviene scappare però”

Si sentiva così rilassata in quel momento e neanche si accorse di essere finita tra le
braccia della sua salvatrice.

“Mi chiamo J-”

Quelle furono le uniche parole che sentì prima di chiudere gli occhi, e piano piano la
ragazza cadde in un profondo sonno, mentre veniva cullata dal dolce profumo con il
quale la collina le aveva sempre augurato buon riposo.

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Parte 1

Tutto in quel mondo era perfetto, questa sarebbe stata la risposta di un nobile alla più
semplice delle domande.

Tutto in quel mondo era sbagliato, questa sarebbe stata la risposta di un povero
contadino alla più semplice delle domande.

Era un mondo dove veniva tutto deciso alla nascita. I ranghi comandavano la società,
infatti ad ogni bambino ne veniva assegnato uno dal supremo Dio. Questi ranghi erano
impressi nella pelle del neonato e nulla al mondo poteva cambiarli o toglierli neanche se
si ricorreva alla più potente magia.

I ranghi erano il metro di misura della società, partivano da un minimo I (uno) a un


massimo X (dieci). Nessuno sapeva chi aveva deciso la divisione in classi sociali, né si
conosceva il perché di questa decisione, e nessuno si era mai permesso di fare una
singola domanda o esporre pubblicamente i propri dubbi sull’argomento. Secondo la
chiesa era stato il Supremo a decidere la divisione e nessun umano poteva discutere le
sue decisioni.

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La plebe costituiva il settanta percento della popolazione e comprendeva tutti cittadini
che andavano da rango I a rango III.

I meno fortunati erano i ranghi I, a loro era permesso solo di coltivare i campi, potevano
decidere se vivere con i frutti del loro duro lavoro, oppure vendere questi a ranghi
superiori (molto spesso erano i ranghi II a comprare i loro prodotti) in modo da venir
pagati e permettersi così, qualcosa in più della solita zuppa di verdure o dei soliti vestiti
rattoppati.

Ai ranghi II invece era concesso di aprire attività all’interno del territorio cittadino come
per esempio: Erboristerie, Fucine, Panetterie, Locande e via dicendo..

Infine i ranghi III erano gli unici che potevano permettersi di viaggiare tra le città dato
che una delle professioni di questi era il mercante errante. Oltre a questo pericoloso
lavoro gli era concesso di aprire delle attività nella città come ai ranghi II anche se
venivano privilegiati rispetto a questi.

Dal rango IV le persone venivano viste con occhi diversi.

Dal quarto in poi la maggior parte persone otteneva delle particolari abilità, grazie alla
predisposizione che avevano verso la magia. Infatti era scritto negli antichi libri che i
bambini dal quarto rango in poi dovessero essere cresciuti da nobili in modo che un
giorno potessero succedere a questi.

Ovviamente era lasciata la piena libertà di decidere se continuare la vita agiata o meno,
questo accadeva una volta che i ragazzi raggiungevano la maggiore età.

Al posto di vivere come nobili i ragazzi potevano aprire botteghe che venivano
finanziate dalle loro famiglie.

La maggior parte di questi ragazzi però decideva di prendere la strada dell’avventuriero.


Un lavoro decisamente redditizio e con un futuro pieno di fortuna.

La magia era alla base del mondo, ma questa non sempre seguiva regole precise infatti
potevano verificarsi dei casi in cui ranghi II o III sviluppavano una grande affinità verso
questo immenso potere.

Dato che questi eventi potevano sconvolgere tutto il sistema creato dal Supremo la
chiesa impose le proprie regole in quanto portatori della parola del Signore.

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Alle classe III era permesso praticare la magia in quanto era consentito loro di
viaggiare, dato che le bestie magiche erano sempre pronte ad attaccare le carovane
fuori dalle città.

Ai ranghi II invece spettava un triste e doloroso destino.

Coloro affini alla magia venivano strappati dalle proprie famiglie, imprigionati nelle cripte
della chiesa dove diventavano cavie per strani esperimenti, ai più fortunati spettava
invece la morte. I nobili non potevano permettere che dei semplici paesani potessero
rivoltare l’ordine della società guidando rivolte o creando scompiglio.

Questo era il mondo in cui Maya era nata, cresciuta con la costante paura del prossimo
e di se stessa. Un mondo non uguale,un mondo crudele dove vinceva sempre il più
forte.

Questo valeva almeno per il regno degli umani, un regno ormai corrotto dall’avidità delle
persone.

Reberur (così era chiamato il regno degli uomini) aveva come capitale Dreme. Molti
nella vita sognavano di trasferirsi in quel luogo magico, dove si diceva che ogni sogno
potesse prendere vita.

La capitale era immensa, e tutte le creature sotto il dominio di essa erano ben accette.

Il palazzo reale era di un bianco immacolato, si diceva che rappresentasse


perfettamente l'animo gentile delle persone che vi ci vivevano.

Queste almeno erano le storie con cui Maya era cresciuta e come lei molti dei suoi
coetanei immaginavano di scappare da quella città nella quale era così difficile vivere
per trovare rifugio nella magnifica Dreme.

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Eredor assumeva tutt’altro aspetto quando il sole calava.

Per le vie in terra battuta della città milioni di lanterne iniziavano ad accendersi
illuminando le bancarelle, dove su esse milioni di strani e luccicanti prodotti venivano
delicatamente messi via dai mercanti.

L’arancione del tramonto si mischiava benissimo con quel colore scuro che il cielo
iniziava ad avere, e nel momento in cui il sole spariva all'orizzonte, le vie erano
completamente illuminate dalle piccole palline dorate, attaccate sui muri di alcune
strutture.

Jun amava quel panorama, non sapeva bene il perché, ma passare le notti a guardare il
cielo che si trasformava, le creava un forte senso di malinconia.

Maya era ancora profondamente scossa per quello che era successo, e Jun non aveva
intenzione di svegliare quel piccolo angelo dai capelli argentei, che stava trovando
rifugio tra le proprie braccia.

Dopo una lunga passeggiata, le due raggiunsero la locanda nella quale la corvina
alloggiava.

L’esterno dell’edificio era veramente mal ridotto, sembrava che a nessuno importasse di
togliere le piante rampicanti che da terra avevano ormai quasi toccato il tetto in legno
della locanda, oppure pulire le finestre, che venivano sporcate di polvere ad ogni
passaggio delle carovane.

La corvina dopo qualche tentativo, riuscì ad aprire la spessa porta in legno che le
permetteva di accedre così all’interno dell’edificio.

La sala principale era davvero grande, anche se la scarsa luminosità dovuta alle poche
candele non riusciva a illuminarla per intero.
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“É raro vederti con qualcuno”

Jun non potè che sorridere non appena sentì quelle parole, volgendo così lo sguardo
verso la fonte di quelle parole, aggiustandosi nel mentre, una ciocca di capelli che nel
movimento le era finita davanti al viso.

Dall’oscurità comparve una donna, alta e robusta, indossava dei semplici vestiti di stoffa
marroni, ma quello che dava più nell’occhio era il grande grembiule sporco di rosso.

In molti erano quelli che alla vista di tale donna erano scappati in preda al panico,
pensando che se avessero alloggiato in una di quelle stanze anche per solo una notte,
probabilmente non avrebbero fatto più ritorno nel mondo dei vivi.

In pochi sapevano però, che quell’orco di donna amava creare varie ricette con uno
degli ingredienti di punta della città: la Zersa. Questo vegetale cresceva nella foresta lì
vicino, aveva delle proprietà uniche nel suo genere, quindi era molto richiesto, l’unico
problema era che nel tagliarlo si finiva per imbrattare completamente la cucina.

La donna dal viso rotondo si avvicinò alla corvina analizzando la ragazza fra le braccia
di questa

“Due roni, stanza con due letti e niente domande riguardo a lei”

Jun sbuffò appena, due roni era una somma abbastanza alta da pagare ma era
disposta a pagare per le condizioni offertele.

“Vado a stendere la ragazza e torno con i soldi”

Jun non aggiunse altro, superò l’immensa figura che le si era parata davanti, e si avviò
verso le scale che permettevano di accedere al secondo piano.

“Immagino che prenderai sempre il solito.. Devo preparare anche per la signorina?”

“No. Ceno solo io”

Scambiato questo piccolo dialogo Jun sparì nel piano superiore.

“Mi porti solo guai!”

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Disse la signora in un tono abbastanza elevato in modo che la ragazza potesse sentire
le parole appena dette, poi calò il silenzio.

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Le locande erano frequentate da solo due tipi di persone: Avventurieri o Mercanti Eranti.
Questi ultimi erano i più diffusi dato il lavoro dell’avventuriero era considerato il più
pericoloso.

La città di Eredor era rinomata per le sue locande, essendo in una posizione geografica
molto favorevole aveva fatto spiccare il proprio nome grazie a queste.

La “Tana del Viandante” era molto famosa, la sua cucina era una delle migliori e i
vantaggi che aveva.

Era permesso avere degli ospiti ed era garantita la segretezza di questi e delle
informazioni che ci si potevano scambiare.

La padrona di questa locanda era una donna che incuteva timore, alta come due uomini
adulti e larga altrettanti. Se questo non bastava per distinguerla si poteva guardare
l’immenso grembiule che le copriva gran parte del corpo.

Tutti conoscevano il nome “Dena Regress” in quella città, correvano delle voci che in
passato fosse stata una grande Avventuriera e una delle poche persone capaci di
tenere testa agli Eroi del regno di Reberur.

Anche se la fama della locanda era immensa, solo coloro che riuscivano a strappare un
prezzo ragionevole a Dena avevano il permesso di alloggiare al suo interno e così
avere tutti i privilegi di cui godeva.

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Alle guardie non era permesso intromettersi negli affari della locanda, Dena era riuscita
a strappare un contratto al nobile che sovrintendeva la città. Avere quel rotolo di
pergamena voleva dire salvezza per la propria attività, infatti era del tutto normale che
guardie ubriache entrassero in locande iniziando a sfidare gli avventurieri al proprio
interno. Queste risse finivano sempre con una serie di tavoli o finestre rotte. I costi della
riparazione però erano divisi tra l’Avventuriero accusato di aver istigato le guardie e il
gestore della locanda, incapace porre fine a una “semplice” sfida.

I menù delle locande erano molto particolari, infatti comprendevano alimenti che
servivano ad aiutare gli avventurieri e mercanti nel recupero delle forze dopo giornate di
grandi fatiche.

Solitamente coloro che cucinavo queste pietanze erano cuochi usciti da un’accademia
specifica della chiesa. La loro conoscenza in erbe e piante era veramente vastissima,
sapevano perfettamente come abbinare i diversi gusti tra di loro, creando così
fantastiche composizioni. Il vero scopo di questi cuochi però, era prendere informazioni
da avventurieri e mercanti per poi comunicarle alle guardie se era stato infranta qualche
legge.

Avendo fatto l’avventuriero Dena conosceva perfettamente il vero compito di questi


cuochi, quindi aveva passato diversi anni a imparare la cucina di questi in modo da
riproporla fedelmente. Lei era stata fregata in passato da queste persone, e non voleva
che persone di questo genere potessero mettere piede in quella che per lei era
diventata una terra sacra.

Quando Jun arrivò per la prima volta alla locanda fece rimanere di sasso Dena. La
solita lotta di prezzo che faceva con i viandanti aveva preso una brutta piega per lei,
infatti fece pagare la stanza solo due miseri rembli, l’equivalente di due mele al mercato
cittadino.

Teneva sempre d’occhio la corvina, ogni volta che incrociava quei suoi occhi gelidi
sentiva un brivido percorrerle la spina dorsale. Sapeva che prima o poi i guai avrebbero
incontrato la ragazza e di conseguenza la locanda ma le stava bene così, una parte di
lei non vedeva l’ora di rompere quella monotonia che in passato aveva tanto cercato.

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Dopo aver steso Maya su uno dei due grandi letti, Jun spostò la sua sacca dalla
precedente stanza.

Quella in cui le due alloggiavano ora, era decisamente più grande della precedente, i
due letti erano staccati e posizionati verso le due opposte pareti in legno massiccio, tra
essi vi erano due scrivanie in legno scuro, con sopra una piuma di Ferna e accanto ad
essa una boccetta d’inchiostro.

La sacca che Jun aveva preso non conteneva molto, infatti vi erano solo alcune
magliette di ricambio, dei fogli di pergamena, un sacchetto abbastanza pesante e un
piccolo quadernino.

Gli avventurieri amavano viaggiare leggeri, dato che molte delle volte si trovavano a
dormire in mezzo ai boschi, o fra le rocce delle più alte montagne della nazione.

Una volta infilata la mano dentro la sacca, la corvina estrasse un piccolo sacchetto in
tessuto, lo fece saltellare un paio di volte sul palmo della mano per poi aprirlo sfilando
un piccolo laccetto marrone che teneva chiusa l’estremità.

Versò il contenuto sul tavolo e un sacco di monete luccicanti uscirono questo dal piccolo
sacchetto in stoffa che finirono per spargersi sulle venature marroni della scrivania .

Jun contava sempre le monete che le rimanevano, non era una novità venire derubati
all’interno delle locande. Iniziò così a dividere le monete per categorie.

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Gli umani avevano deciso di usare quattro valori distinti per la moneta.

Petro: era la moneta con meno valore fra tutte, veniva usata dai ceti più bassi della
società, era una piccola moneta di ferro che permetteva alle famiglie di comprare i beni
essenziali per la sopravvivenza.

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Rembli: questa moneta valeva dieci Petro, era larga quanto una noce ed era fatta in
rame. Tra i ceti medi era la moneta più diffusa, con questa si potevano
acquistare:indumenti, frutta, spade e utensili di seconda mano.

Il Roni era la moneta più diffusa tra gli avventurieri e i mercanti, era una moneta poco
più grande del Rembli, valeva 100 di questi ed era d’argento. Con questa si potevano
tranquillamente comprare utensili, armature e spade nuove nei vari negozi delle città.

La moneta con il valore più alto era il Dremo. Grande poco più delle altre, ma solo una
di queste valeva mille volte di più della moneta d’argento. Questa moneta era diffusa tra
gli avventurieri di gradi elevati, nobili e ricchi mercanti. Questa moneta permetteva di
comprare incantesimi, armature e spade incantate, e case nella capitale.

Dopo poco, Jun aveva finito di separare in gruppi le monete. Al momento disponeva di:
dieci Petro, trentadue Rembli, dieci Roni e quattro Dremo.

Prese due monete d’argento e le mise da parte, il prezzo che le aveva fatto quella
vecchia era veramente alto, ma era disposta a pagare quella somma per non ricevere
domande.

Di tanto in tanto, con la coda dell’occhio controllava che Maya stesse bene. Gli attacchi
magici erano difficili da curare e molto raramente si riusciva a affievolire il dolore
immenso che questi causavano.

Jun non amava le persone sentiva come se da loro si sprigionasse un fetore tale da far
rivoltare lo stomaco, e per questo, molto raramente passeggiava per le strade principali
delle varie città.

Quella ragazza non puzzava anzi, dai capelli argentei che ora coprivano il volto di lei si
sprigionava un dolce aroma di menta. Forse era per questo che l'aveva salvata.

Una volta alzatasi dalla sedia, Jun si avvicinò al letto occupato da Maya. Osservò
attentamente i vestiti sporchi e piene di pezze che le coprivano quel corpo gracile e
sciupato dalla fame. Le passò con delicatezza una mano fra i capelli unti e sporchi che
sicuramente avevano bisogno di essere lavati.

La faccia quasi agonizzante di Maya non riusciva a rovinare la sua innocente bellezza.

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Dopo un piccolo sospiro prese il piccolo borsellino di stoffa, lo riempì con le monete che
ora si trovavano sul tavolo, e infine lo legò alla cintura in cuoio che si portava alla vita.

Jun si tolse mantello marrone che le copriva il corpo, lo piegò con cura e lo poggiò sulle
coperte del letto. Osservando meglio, delle parti del mantello erano macchiate di
sangue e di sicuro avrebbe dovuto lavarlo, ma questo non era il momento.

✦✦✦

Uscita dalla propria stanza, Jun passò una mano davanti alla serratura in ottone, dopo
aver sussurrato qualcosa di incomprensibile, un piccolo cerchio magico nero spuntò dal
palmo della corvina e, come le rune all’interno del cerchio iniziarono a girare, anche i
piccoli ingranaggi della serratura presero a muoversi, fino a fare scattare quest’ultima,
chiudendo così la porta.

Il secondo piano era spoglio e privo di decorazioni come lo era il primo, sui muri vi
erano situati solo gli alloggi per le candele, e molti di questi avevano ancora la cera
attaccata al supporto in metallo.

Una volta scese le scale e posato sul bancone le due monete d’argento, Jun si sedette
a uno dei pochi tavoli illuminati dalla fievole luce delle candele.

I suoi pensieri erano stati completamenti rapiti dalla ragazza, continuava a domandarsi
perché l’avesse salvata, ma a questa domanda non riuscì a trovare neanche una
risposta.

La luce della candela proiettava sul tavolo la sagoma scura della ragazza, e lo sguardo
di lei sembrava rapito da essa. Era talmente immersa nei suoi pensieri, che non si
accorse neanche del momento in cui Dena lasciò la scodella in legno sotto gli occhi
spenti della corvina.

“Oggi zuppa di Zersa, ho aggiunto anche della carne di Gevi ”

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Queste parole uscirono dalla bocca della proprietaria, non prima però di essersi
schiarita per bene la voce, facendo tornare alla realtà Jun.

La ragazza sollevò il capo annuendo, così alla possente donna che l'aveva appena
servita.

“Devo ammettere, la tua zuppa mi mancherà Dena”

La donna non provò neanche a trattenere la fragorosa risata, prese una sedia da un
tavolo vicino e si sedette a tavolo con la ragazza.

Le due erano abituate a parlare assieme, Jun era da due anni che viveva in quella città
e aveva stretto un forte rapporto di fiducia con Dena

“Quindi è domani che parti..”

Dena portava sempre una bandana in testa e i capelli mori raccolti in una trascurata
coda, gli occhi della donna seguivano i lenti movimenti della corvina, intenta a mangiare
quella deliziosa zuppa.

“Intendi portarti dietro la ragazza?”

Jun non ci aveva ancora pensato, non voleva lasciare Maya nella locanda, dato che le
guardie avrebbero creato problemi a Dena, ma non era neanche sicura di portarla con
sé.

Lo sguardo della giovane si perse nuovamente, la mano continuava a spostare i


pezzettoni di verdura immersi in quel liquido verdastro contenuto nella scodella.

“Sì, ho intenzione di portarmela dietro”

Alzò il cucchiaio che fino a poco prima era immerso nella zuppa, e riprese così a
mangiare. Aveva deciso di proteggere Maya, sarebbe stata dura ne era certa. .

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Il silenzio calò nuovamente sulla grande stanza. Da dentro si potevano sentire gli
schiamazzi delle guardie che facevano la ronda, ogni tanto qualche carro passava
davanti alla locanda alzando un po di polvere che finiva per sporcare i vetri della
locanda.

Quel silenzio a volte interrotto dai rumori dell’ambiente circostante era riuscito a
calmare le idee di Jun, anche la zuppa aveva aiutato riuscendo a rasserenare l’animo
della ragazza.

Sarebbe stato bello se quella pace fosse durata tutta la serata.

Jun chiuse gli occhi per qualche secondo dopo aver finito la cena, una volta riaperti
appoggiò il cucchiaio all’interno della scodella.

La luce calda creata dalle varie candele posizionate senza un’apparente logica sui muri,
rendevano quell’ambiente estremamente calmo e rilassante, finchè qualcuno non
decise di interrompere il tutto.

✦✦✦

La porta della locanda si aprì di colpo, creando un tonfo sordo non appena impattò sul
muro in sassi.

Delle risate e delle parole confuse provenivano dall’entrata.

Il primo a mettere piede nel locale fu un uomo alto circa un metro e settanta, il viso era
rosso probabilmente dovuto all’eccessivo alcohol nel sangue, era una guardia che
probabilmente aveva finito da poche ore la ronda infatti indossava ancora a sua
armatura.

“È questa la famo- -osa locanda del- orchessa? ”

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Questo non riuscì a trattenere le risate dopo aver pensato alla frase appena detta, le
sue risate squillanti riempirono la stanza risultando a tratti molto fastidiose.

Finite le risate fece la sua apparizione un’altro cavaliere, era molto più alto del primo, le
braccia e le gambe sembravano delle spighe di rendor (una pianta simile al granoturco),
se non fosse stata per l’armatura luccicante lo avrebbe scambiato per uno scudiero.

Infine entrò un terzo cavaliere, a differenza degli altri due non era brillo e sembrava
particolarmente irritato dal comportamento dei due compagni.

Dato che nessuno rispose alla domanda il primo cavaliere iniziò ad irritarsi, si mise una
mano fra i capelli aggiustandosi i capelli biondi, che erano arrivati a toccare la punta del
suo naso, e iniziò a cercare qualcuno che potesse rispondere al suo esistenziale
quesito.

Il fetore che i primi due cavalieri emanavano per Jun era veramente troppo, se fosse
rimasta per qualche minuto in più nella sala probabilmente avrebbe rigettato la cena.

Con discrezione la ragazza si alzò, saldò meglio il borsellino contenente le monete alla
cintura e iniziò ad avviarsi verso le scale che portavano al secondo piano.

Non appena l’uomo vide la ragazza non potè che ghignare.

“Non hai sentito la mia domanda?”

Chiese quel viscido uomo, mentre barcollando si avvicinava a fatica alla ragazza.

Lo smilzo seguì a ruota il compagno.

I due non si trattennero dal leccarsi le labbra, mentre ammiravano il corpo di Jun.

“I bordelli si trovano dall’altra parte della città!”

“Se vuoi possiamo accompagnarti noi due lì”

Quelle due piattole si stavano sempre di più avvicinando a Jun che li guardava con
un’espressione impassibile, come se per lei non fossero che infimi scarafaggi.

L’atteggiamento della ragazza fece irritare ulteriormente le due guardie.

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“QUESTO NON È UN POSTO PER LE PUTTANE!”

Urlò il primo cavaliere prima di cadere in ginocchio, lo smilzo non capendo cosa fosse
successo si girò di scatto, ma sembrò andare a sbattere contro un muro.

“E questo non è posto per i maiali.. Quelli si trovano fuori dalle mura in mezzo al
letame”

La voce di Dena si sovrappose ai piccoli striduli che i due avevano iniziato ad emettere.

Il terzo cavaliere si accorse della comparsa dell’immensa figura solo dopo il suono
metallico che si sentì nella sala.

Dena prese per i capelli biondi l omiciattolo lanciandolo con semplicità fuori dalla
locanda, si rivolse poi allo smilzo, che in quel momento non riusciva a formulare delle
parole sensate, mentre cercava di allontanarsi da quel mostro.

“I ramoscelli per il forno dovrebbero arrivare domani, sembra che uno abbia preso vita e
sia scappato”

La donna prese il secondo uomo, e con la stessa noncuranza con cui aveva trattato il
suo compagno, lo scagliò con forza addosso al primo, che nel mentre stava cercando di
rialzarsi.

Il terzo cavaliere era rimasto pietrificato da quello spettacolo surreale. Era pronto ad
agire nel momento in cui i due compagni avessero oltrepassato il limite ma Dena lo
aveva preceduto. Così si avviò verso l’uscita e, prima di chiudere la porta dietro di sé
fece un inchino verso le due.

“Mi scuso per i disagi che vi hanno arrecato”

Una volta chiusa la porta si sentirono delle urla di terrore provenire dall’esterno, poco
dopo calò nuovamente il silenzio.

“Ci vuole del coraggio per mettersi contro un avventuriero di Ossidiana”

Disse Dena verso la ragazza, che intanto aveva iniziato a salire le scale scricchiolanti,
per tornare nella propria stanza.

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“Ti sbagli.. ci vuole del coraggio a mettersi contro un orco”

Ribatté lei prima di essere inghiottita dalle tenebre del corridoio.

Il sorriso che Dena fece in quel momento era un misto tra felicità e tristezza, annuì
confermando l’affermazione della ragazza, una volta vista la sagoma dell’amica sparire
si congedò anche lei.

“Giusto..”

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Quella mattina la città era in totale scompiglio.

Le guardie stavano controllando ogni carovana, correvano su e giù per le strade della
città senza fermarsi.

Molti di questi mostravano ai mercanti delle pergamene nelle quali vi erano i ritratti
abbozzati delle due ragazze, ma nessuno sembrava averle viste.

Ai due cavalieri ancora un po brilli dalla notte precedente, era stato ordinato di fare da
vedetta ai cancelli per due settimane senza alcuna pausa, in più la loro paga era stata
dimezzata.

Il terzo cavaliere invece era pronto a fare irruzione nella locanda dove la misteriosa
ragazza sembrava alloggiare.

Una volta aperta la porta in legno una decina di cavalieri entrarono all’interno
dell’edificio.

“Se ne sono già andate, Goref”

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Il cavaliere fu l’ultimo ad entrare, esattamente come era successo la notte prima. Dopo
aver ascoltato le parole della proprietaria, guardò tutte le guardie facendo poi roteare un
dito verso l’alto.

A quel segnale le guardie iniziarono a perquisire la locanda della donna.

“Non che non mi fidi di te Dena, ma preferisco vedere le cose con i miei occhi”

Finito di ispezionare le stanze al piano terra le guardie salirono le scale, scatenandosi


così sul secondo piano.

“Frase tipica del tanto amato capo delle guardie”

Il cavaliere nascose un sorrisetto, per poi aspettare il ritorno dei suo sottoposti.

Non appena le guardie finirono la sfortunata ricerca lasciarono la locanda.

“La prossima volta non ci andrò tanto leggera con i tuoi subordinati”

Goref annuì alle parole della donna per poi lanciare un sacchetto contenente quaranta
Roni, su uno dei pochi tavoli in legno lasciati intatti.

“Dovrebbero bastare per le riparazioni”

Detto questo, lasciò la locanda chiudendo la porta dietro di sé.

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Le due ragazze erano tranquillamente sedute su delle balle di fieno, erano riuscite a
farsi dare un passaggio da un mercante che era partito alle luci dell’alba, prima che
tutto quel putiferio iniziasse.

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Jun avrebbe pagato una fortuna per non perdersi il momento in cui Goref avrebbe
dovuto riferire al marchese che le due gli erano sfuggite di mano, ora però stava
guardando le nuvole che piano piano andavano a coprire quel sole freddo che segnava
la fine dell’autunno.

Maya invece non riusciva a distogliere lo sguardo dai contadini che lavoravano le terre
accanto alla strada, le veniva in mente che soli pochi giorni prima quella era la sua vita,
e che per un semplice sbaglio aveva perso tutto.

Come Jun si chiedeva il perché era stata salvata, di certo non si lamentava
dell’accaduto ma non poteva fare nemmeno il torrente di domande.

“Jun perché mi hai-”

Jun spostò lo sguardo verso la ragazza con un’espressione abbastanza annoiata, per
poi tornare a guardare il suo amato cielo.

“Alcune domande non hanno una risposta, ma se sento un’altra volta questa domanda
ti taglio la lingua”

Il tono di Jun era giocoso, cosa molto insolita per lei, ma riuscì a strappare un piccolo
sorriso alla ragazza seduta accanto a sé.

“Vecchio, quanto manca a Jodrel?”

Il vecchio di cui si riusciva solo a vedere l’immenso cappello di paglia giallo fece una
piccola risata prima di rispondere.
“Se sento un’altra volta questa domanda ti taglio la lingua, mi sembra siaquesta la
risposta”

Dopo un breve momento di silenzio finirono tutti e tre per scoppiare a ridere, prima di
sparire nella vegetazione che segnava la fine della grande e bellissima città di Eredor.

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Parte 2

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