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Maya amava la magia ma grazie a questa lei stava per perdere tutto.

Come poteva essere stata così stupida?

Centinaia anzi no, migliaia di volte i suoi genitori le avevano detto di non mostrare la
magia ma lei non aveva mai capito il perchè.

Ora si trovava in casa, mentre dalla piccola finestra in vetro osservava i suoi genitori
parlare con delle persone che a prima vista sembravano dei nobili.

Maya si spostò così verso la sua stanza. La casa era piccola quindi fece solo qualche
passo prima di spostare la piccola porta di legno che dava accesso al suo piccolo
spazio di felicità.

Sapeva già come sarebbe andata a finire ma aveva paura, paura di non rivedere più i
suoi genitori, paura di non poter andare più al mercato con sua madre o coltivare il
piccolo orto nel retro della casa.

Era la rovina della società, o almeno, questo era quello che quelle persone stavano
ormai gridando fuori dalla casa della piccola ragazza.

Non poteva sentire quelle parole, i suoi ultimi istanti di vita avrebbe voluto passarli in un
posto felice e per questo, decise di uscire sul retro della piccola casa di pietra che era
stata costruita con tanta cura dai suoi avi.

Lo sguardo passava sulle piante, gli Zekrem erano un piccolo frutto dolce che cresceva
solo in quella zona, aveva le sembianze di un pomodoro ma il suo colore era viola.
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Quel frutto gli ricordava sua nonna, una donna molto bassa e robusta, dai capelli
bianchi e il viso pacioccone. Quando si arrabbiava diventava viola e iniziava a sbraitare
parole incomprensibili in una lingua che forse si era inventata sul momento. Avrebbe
voluto abbracciarla un’ultima volta ma quella soffice persona non era più tra loro da
ormai un paio di anni.

Non appena la porta si aprì il cuore della ragazza si fermò.

Una figura possente si presentò dinanzi a lei. L’armatura d’oro copriva gran parte del
corpo.

Gli occhi del soldato erano taglienti, come se disprezzasse la sola esistenza di quella
povera ragazza che ora si trovava inginocchiata dinanzi alla figura.

Non avrebbe dovuto farlo, ma oramai non si poteva più tornare indietro. Sentì gli occhi
gonfiarsi di lacrime. Aveva paura di morire.

Si sentiva così impotente dinanzi a quella figura, voleva scappare, scappare a tutti i
costi, non riusciva a pensare ad altro.

Stava pregando così tanto quel Dio che i suoi genitori le avevano insegnato a venerare,
infatti quello che accadde non poteva che essere un miracolo.

Per qualche strana ragione l’uomo davanti a lei si era fermato, poteva vedere quel
sorrisetto sulle sue labbra mentre era indaffarato nell’ estrarre la spada che teneva nel
fodero di cuoio con adornato con mille rilegature d’argento.

Il tempo si era fermato per un momento, come se volesse far scappare quella dolce e
innocente ragazza.

Ora non poteva fare altro che correre, correre più veloce del vento che nel momento in
cui Maya era uscita dal cancelletto in legno aveva ripreso a soffiare.

Sentiva le lacrime scivolare sul viso per poi essere spazzate via dall’aria, non si
guardava indietro anche se sentiva che qualcuno la stesse seguendo.

Si sentirono le grida strazianti della madre quando la testa del marito toccò il terreno

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Quello che sentiva ora era solo il suono scricchiolante delle foglie secche che venivano
calpestate dall’uomo intento a seguirla.

Era salita su quella collina migliaia di volte ma ora era la sua ultima spiaggia. Doveva
riuscire a scappare, doveva salvarsi.

Calore, era quello che ora sentiva mentre piano piano il passo diminuiva. La mano che
si era appoggiata al fianco si stava colorando di un bellissimo rosso scuro che
sembrava scintillare alla luce del sole.

Per lei era finita ma almeno era contenta di aver provato a scappare, sentiva di aver
sfruttato a pieno dell'opportunità donatale.

Non poteva contrastare la magia di un nobile, soprattutto se questo era un avventuriero.


Sentì l’uomo estrarre la spada ma lei non aveva il coraggio di guardare. Aveva iniziato a
tremare, le lacrime non accennavano a fermarsi. Voleva chiedere pietà ma le parole si
fermavano in gola.
Le mani coprivano il viso e su una di queste vi era quella che sembrava una voglia,
erano due linee verticali anche se a vederle meglio sembravano tatuate. Alla vista di
queste l’uomo sputò con disprezzo sulla ragazza prima di alzare la spada.

Dicevano che i momenti prima della propria morte sembravano durare un’eternità.

Il corpo della ragazza era rigido, tutti i muscoli erano tirati come se si aspettassero un
forte colpo che però mai arrivò.

Gli occhi piano piano si aprivano, i muscoli si rilassavano. La luce di quel sole freddo
illuminava i fili d’erba e le foglie che circondavano la ragazza.

Il tempo si era fermato di nuovo? No non era così.

Il fianco le doleva ma non vi diede molta importanza. i dorsi della mani erano bagnati
come se qualcosa fosse schizzato su essi. Era morta questa era l’unica spiegazione
che riusciva a darsi.

L’ombra dell’uomo davanti a lei era sparita. Gli occhi della ragazza non potevano
credere a quello che vedevano.

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L’armatura era stata lacerata in diversi punti, pezzi di essa erano staccati e volati vicino
al corpo ormai freddo del gigante.

“Tutto bene signorina?”

La ragazza non conosceva questa voce, sembrava una voce gentile, una voce che in
quel mondo consumato dall'avidità non si sentiva molto spesso.

“Sono morta?”

L’unica domanda che riusciva a porsi era questa.

“Non è morta signorina-”

“Maya, il mio nome è Maya”

La figura che ora si trovava davanti a lei sembrava sorriderle. Il sole non permetteva di
vedere la faccia della donna che le aveva appena salvato la vita.

“Zeras”

Una volta pronunciate queste parole dalle mani della misteriosa figura un cerchio
magico si creava. Era di un bellissimo colore verde, ricordava gli smeraldi o le immense
praterie che lei e suo padre guardavano nei giorni di festa, Maya non poteva sentirsi
meglio.

“Questo incantesimo dovrebbe bastare, ora ci conviene scappare però”

Si sentiva così rilassata in quel momento e neanche si accorse di essere finita tra le
braccia della sua salvatrice.

“Mi chiamo J-”

Le uniche parole che sentì prima di chiudere gli occhi e piano piano cadere in un
profondo sonno mentre veniva cullata dal dolce profumo di menta con il quale la collina
le aveva sempre augurato buon riposo.

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Parte 1

Tutto in quel mondo era perfetto, questa sarebbe stata la risposta di un nobile alla più
semplice delle domande.

Tutto in quel mondo era sbagliato, questa sarebbe stata la risposta di un povero
contadino alla più semplice delle domande.

Era un mondo dove veniva tutto deciso alla nascita. I ranghi comandavano la società,
infatti ad ogni bambino ne veniva assegnato uno dal supremo Dio Jedath. Questi ranghi
erano impressi nella pelle del neonato e nulla al mondo poteva cambiarli o toglierli
neanche se si ricorreva alla più potente magia.

I ranghi erano il metro di misura della società, partivano da un minimo I (uno) a un


massimo X (dieci). Nessuno sapeva chi aveva deciso la divisione in classi sociali, né si
conosceva il perché di questa decisione, e per questo nessuno si era mai permesso di
fare una singola domanda o esporre pubblicamente i propri dubbi sull’argomento.
Secondo la chiesa era stato il Supremo e nessun umano poteva discutere le sue
decisioni.

La plebe costituiva il settanta percento della popolazione e comprendeva tutti cittadini


che andavano da rango I a rango III.

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I meno fortunati erano i ranghi I, a loro era permesso solo di coltivare i campi, potevano
decidere se vivere con i frutti del loro duro lavoro, oppure vendere questi a ranghi
superiori (molto spesso erano i ranghi II a comprare i loro prodotti) in modo da venir
pagati e permettersi così, qualcosa in più della solita zuppa di verdure o dei soliti vestiti
rattoppati.

Ai ranghi II invece era concesso di aprire attività all’interno del territorio cittadino come
per esempio: Erboristerie, Fucine, Panetterie, Locande e via dicendo..

Infine i ranghi III erano gli unici che potevano permettersi di viaggiare tra le città dato
che una delle professioni di questi era il mercante errante. Oltre a questo pericoloso
lavoro gli era concesso di aprire delle attività nella città come ai ranghi II anche se
venivano privilegiati rispetto a questi.

Dal rango IV le persone venivano viste con occhi diversi.

Dal quarto in poi la maggior parte persone otteneva delle particolari abilità, grazie alla
predisposizione che avevano verso la magia. Infatti era scritto negli antichi libri che i
bambini dal quarto rango in poi dovessero essere cresciuti da nobili in modo che un
giorno potessero succedere a questi.

Ovviamente era lasciata la piena libertà di decidere se continuare la vita agiata o meno,
questo accadeva una volta che i ragazzi raggiungevano la maggiore età.

Al posto di vivere come nobili i ragazzi potevano aprire botteghe che venivano
finanziate dalle loro famiglie.

La maggior parte di questi ragazzi però decideva di prendere la strada dell’avventuriero.


Un lavoro decisamente redditizio e con un futuro pieno di fortuna.

La magia era alla base del mondo, ma questa non sempre seguiva regole precise infatti
potevano verificarsi dei casi in cui ranghi II o III sviluppavano una grande affinità verso
questo immenso potere.

Dato che questi eventi potevano sconvolgere tutto il sistema creato dal Supremo la
chiesa impose le proprie regole in quanto portatori della parola del Signore.

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Alle classe III era permesso praticare la magia in quanto era consentito loro di
viaggiare, dato che le bestie magiche erano sempre pronte ad attaccare le carovane
fuori dalle città.

Ai ranghi II invece spettava un triste e doloroso destino.

Coloro affini alla magia venivano strappati dalle proprie famiglie, imprigionati nelle cripte
della chiesa dove diventavano cavie per strani esperimenti, ai più fortunati spettava
invece la morte. I nobili non potevano permettere che dei semplici paesani potessero
rivoltare l’ordine della società guidando rivolte o creando scompiglio.

Questo era il mondo in cui Maya era nata, cresciuta con la costante paura del prossimo
e di se stessa. Un mondo non uguale,un mondo crudele dove vinceva sempre il più
forte.

Questo valeva almeno per il regno degli umani, un regno ormai corrotto dall’avidità delle
persone.

Reberur (così era chiamato il regno degli uomini) aveva come capitale Dreme. Molti
nella vita sognavano di trasferirsi in quel luogo magico, dove si diceva che ogni sogno
potesse prendere realtà.

La capitale era immensa, e tutte le creature sotto il dominio di essa erano ben accette.

Il palazzo reale era di un bianco immacolato, si diceva che rappresentasse


perfettamente l'animo gentile delle persone che vi ci vivevano.

Queste almeno erano le storie con cui Maya era cresciuta e come lei molti dei suoi
coetanei immaginavano di scappare da quella città nella quale era così difficile vivere
per trovare rifugio nella magnifica Deremer.

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Eredor assumeva tutt’altro aspetto quando il sole calava.

Per le vie in terra battuta della città milioni di lanterne iniziavano ad accendersi
illuminando le bancarelle che piano piano iniziavano a chiudere.

L’arancione del tramonto si mischiava benissimo con quel colore scuro che il cielo
iniziava ad avere e, nel momento in cui il sole spariva all'orizzonte le stradine erano
illuminate da piccole palline dorate che illuminanavano il terreno sotto di esse.

Jun amava quel panorama. Non sapeva bene il perché, ma passare le notti a guardare
il cielo stellato o il sole che piano scompariva all'orizzonte, le creava un forte senso di
malinconia.

Maya era ancora profondamente scossa per quello che era successo e Jun non aveva
intenzione di svegliare quel piccolo angelo dai capelli argentei che stava trovando
rifugio tra le proprie braccia.

Dopo qualche e due raggiunsero la locanda nella quale la corvina alloggiava.

L’esterno dell’edificio era veramente mal ridotto, sembrava che a nessuno importasse di
togliere le piante rampicanti che da terra avevano ormai quasi toccato il tetto in legno
della locanda.

La corvina dopo qualche tentativo riuscì ad aprire la spessa porta in legno ed entrare
così all’interno.

La sala principale era davvero grande, anche se la scarsa luminosità dovuta alle poche
candele non riusciva a illuminarla per intero.

“É raro vederti con qualcuno”

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Jun non potè che sorridere non appena sentì quelle parole,volgendo così lo sguardo
verso la fonte di quelle parole aggiustandosi nel goffamente una ciocca di capelli che
nel movimento le era finita davanti al viso.

Dall’oscurità comparve una donna alta e robusta. Vestiva con dei semplici vestiti di
stoffa marroni ma quello che faceva più impressione era il grande grembiule sporco di
rosso. In molti erano quelli che alla vista di tale donna erano scappati in preda al panico
pensando che se avessero alloggiato in una di quelle stanze probabilmente non
avrebbero fatto più ritorno nel mondo dei vivi.

In pochi sapevano che quell’orco di donna amava creare varie ricette con ingrediente
primario la Zersa. Questo vegetale cresceva nella foresta fuori dalla città, aveva delle
proprietà uniche nel suo genere quindi era molto richiesto, l’unico problema era che nel
tagliarlo si finiva per imbrattare completamente la cucina.

La donna dal viso rotondo si avvicinò alla corvina analizzando la ragazza fra le braccia
di questa

“Due roni, stanza con due letti e niente domande per la ragazza”

Jun sbuffò appena, due roni era una somma abbastanza alta da pagare ma era
disposta a pagare per le condizioni offertele dalla signora.

“Vado a stendere la ragazza e torno con i soldi”

Jun non aggiunse altro, superò l’immensa figura che le si era parata davanti e si avviò
verso le scale che permettevano di accedere al secondo piano.

“Immagino che prenderai sempre il solito.. Devo preparare anche per la signorina?”

“No, ceno solo io”

Scambiato questo piccolo dialogo Jun sparì nel piano superiore.

“Mi porti solo guai!”

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Disse la signora in un tono abbastanza elevato in modo che la ragazza potesse sentire
le parole appena dette, poi calò il silenzio.

Le locande erano frequentate da solo due tipi di persone: Avventurieri o Mercanti Eranti.
Questi ultimi erano i più diffusi dato il lavoro dell’avventuriero era considerato il più
pericoloso.

La città di Eredor era rinomata per le sue locande, essendo in una posizione geografica
molto favorevole aveva fatto spiccare il proprio nome grazie a queste.

La “Locanda del Viandante” era molto famosa tra avventurieri e mercanti esperti, la sua
cucina era una delle migliori della città, era permesso avere degli ospiti ed era garantita
la segretezza di questi e delle informazioni che ci si potevano scambiare.

La padrona di questa locanda era una donna che incuteva timore, alta come due uomini
adulti e larga altrettanti. Se questo non bastava per distinguerla si poteva guardare
l’immenso grembiule che le copriva gran parte del corpo. Tutti conoscevano il nome di
Dena Regress in quella città, correvano delle voci che in passato fosse stata una
grande Avventuriera e una delle poche persone capaci di tenere testa agli Eroi del
regno di Reberur.

Anche se la fama della locanda era immensa solo coloro che riuscivano a strappare un
prezzo ragionevole a Dena avevano il permesso di alloggiare al suo interno e così
avere tutti i privilegi di cui godeva.

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Alle guardie non era permesso intromettersi negli affari della locanda, Dena era riuscita
a strappare un contratto al nobile che sovrintendeva la città. Avere quel rotolo di
pergamena voleva dire salvezza per la propria attività, infatti era del tutto normale che
guardie ubriache entrassero in locande iniziando a sfidare gli avventurieri al proprio
interno. Queste risse finivano sempre con una serie di tavoli o finestre rotte. I costi della
riparazione però erano divisi tra l’Avventuriero accusato di aver istigato le guardie e il
gestore della locanda, incapace porre fine a una “semplice” sfida.

I menù delle locande erano molto particolari, infatti comprendevano alimenti che
servivano ad aiutare gli avventurieri e mercanti nel recupero delle forze dopo giornate di
grandi fatiche.

Solitamente coloro che cucinavo queste pietanze erano cuochi usciti da un’accademia
specifica della chiesa. La loro conoscenza in erbe e piante era veramente vastissima,
sapevano perfettamente come abbinare i diversi gusti tra di loro creando così
fantastiche composizioni. Il vero scopo di questi cuochi però, era prendere informazioni
da avventurieri e mercanti per poi comunicarle alle guardie se era stato infranta qualche
legge.

Avendo fatto l’avventuriero Dena conosceva perfettamente il vero compito di questi


cuochi, quindi aveva passato diversi anni a imparare la cucina di questi in modo da
riproporla fedelmente. Lei era stata fregata in passato da queste persone, e non voleva
che persone di questo genere potessero mettere piede in quella che per lei era
diventata una terra sacra.

Quando Jun arrivò per la prima volta alla locanda fece rimanere in per la prima volta
silenzio quell’immensa donna. La solita lotta di prezzo che faceva con tutti aveva preso
una brutta piega per Dena, infatti fece pagare la stanza solo due miseri rembli,
l’equivalente di due mele al mercato cittadino.

Teneva sempre d’occhio la corvina, ogni volta che incrociava qui suo occhi gelidi
sentiva un brivido percorrerle la spina dorsale. Sapeva che prima o poi i guai avrebbero
incontrato la ragazza e di conseguenza la locanda ma le stava bene così, una parte di
lei non vedeva l’ora di rompere quella monotonia in passato aveva tanto cercato.

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Dopo aver steso Maya su uno dei due grandi letti Jun spostò la sua sacca di stanza.

La nuova stanza era decisamente più grande della precedente, i due letti erano staccati e
attaccati alle due opposte pareti, tra essi vi erano due scrivanie in legno con sopra una piuma di
Ferna e accanto ad essa

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