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LIGURIA

di A. De Floriani - Enciclopedia dell' Arte Medievale (1996)

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LIGURIA

Regione dell'Italia nordoccidentale, caratterizzata da un territorio


prevalentemente montuoso, solcato da strette valli perpendicolari alla
costa del Mar Ligure.La L. è costituita da contesti storico-geografici
difficilmente collegati tra loro da fattori unificanti e assume, nei secoli
del Medioevo, i caratteri di una regione dallo spiccato policentrismo
politico e culturale, area 'di frontiera' per eccellenza, veicolo di
esperienze mediate da e verso più direzioni, canale di comunicazione
con la Francia, punto d'incontro tra il Mediterraneo e la pianura Padana.I
confini medievali ebbero contorni variabili e non coincidenti con quelli
attuali, soprattutto laddove caratteri geografici o accadimenti militari
diventarono veicoli di coagulo di culture (come nelle Alpi Marittime e in
val Roia, in Lunigiana, nell'Oltregiogo genovese e in val
Bormida).Regione di arroccamento dei Liguri nella protostoria, la L.
visse un momento di parziale unificazione territoriale con la
colonizzazione romana (fu parte della Regio IX Italica augustea),
limitata tuttavia alle grandi strade consolari, lungo le quali, soprattutto a
Ponente, sorsero importanti municipi. Il passaggio dalla Tarda Antichità
al Medioevo fu connotato dall'organizzazione territoriale bizantina, la
Provincia Maritima Italiorum, e da una tardiva conquista barbarica, a
opera dei Longobardi (643).Nel primo riassetto territoriale dato alla
regione da Berengario II del Friuli nel 950-951, con finalità difensive
antiislamiche, vennero poste le basi della rinascita medievale. Tra il sec.
10° e l'11° furono definiti gli spazi politici dei protagonisti: le famiglie
feudali, che arretravano a difendere, in castelli e borghi montani, i loro
privilegi, i comuni, che crescevano in potenza mercantile e libertà
giuridica, e, dal sec. 12°, il Comune di Genova, centro egemone della
regione, che per tutto il Duecento e oltre fu impegnato, con una
progressiva espansione nelle riviere (assegnate giuridicamente alla città
nel 1162 da Federico Barbarossa), nella costituzione di uno Stato che
peraltro non raggiunse una reale continuità territoriale e fu compagine
politicamente instabile, neppure consolidata dal punto di vista
amministrativo.

Architettura

Pur costituendo i secoli dell'Alto Medioevo il momento d'incubazione di


un'organizzazione territoriale che trovò negli insediamenti benedettini e
nella neocostituita rete plebana i propri fattori costitutivi, rari e
frammentari sono gli insediamenti superstiti, piuttosto documentati da
scavi archeologici che da riconoscibili testimonianze
architettoniche.Noti attraverso scavi sono i resti delle cattedrali di
Ventimiglia, di Albenga, di Luni, delle pievi ponentine del Finale e di
Noli; qui (spesso in continuità di insediamento con le epoche antica e
paleocristiana-bizantina) sono emerse tracce più o meno consistenti di
edifici ecclesiastici a una o tre navate, datati tra il sec. 8° e il 10°, in
qualche caso dotati di cripta (la più integra quella di Ventimiglia) e
accompagnati da battisteri coevi o più antichi.Più problematico il quadro
delle pievi rurali del Levante e in particolare il rapporto che sembra
esistere (almeno a Framura e a Montale di Levanto) tra esse e un
ipotetico e molto discusso sistema difensivo di epoca carolingia (sec.
9°), ritenuto all'origine delle poderose torri isolate riadattate a
campanili.Poco unitario è anche il quadro degli insediamenti monastici,
in qualche caso, anche importante, non più riconoscibili (come il S.
Pietro di Varatella, presso Toirano), oppure noti soltanto nella fase
paleocristiana-bizantina (quelli delle isole di Bergeggi e della Gallinara),
o testimoniati da problematici resti: un'abside all'isola del Tino, gli
intonaci e i perduti stucchi dipinti di età carolingia dell'oratorio dell'isola
del Tinetto, la fase altomedievale dell'insediamento bobbiense di
Brugnato e gli ambienti - soprattutto un vano triabsidato - recentemente
ritrovati a S. Fruttuoso di Capodimonte, presso Camogli, datati prima
della fase edilizia del 10° secolo.Notevole ricchezza di manufatti in
elevato si riscontra, al contrario, con l'11° secolo. Piuttosto omogenea e
originale è l'edilizia della riviera di Ponente (e qui soprattutto le diocesi
di Albenga e di Ventimiglia, quest'ultima estesa al contiguo arco alpino
provenzale), che si colloca nei circuiti del premier art roman
meridionale. È un tipo di architettura minimale, dalle semplici
planimetrie senza transetto, dal parato murario a petit appareil,
dall'articolazione delle pareti con cornici, lesene, specchiature; un
linguaggio architettonico diffuso dalla Lombardia alla Catalogna, nel
quale gli elementi morfologici definiti convenzionalmente 'lombardi'
vengono oggi ritenuti non segni di vere trasmigrazioni di maestranze,
ma risultati paralleli, una sorta di 'grado zero' dell'edificare, assestato
nell'attività media di maestranze locali che utilizzavano i materiali
disponibili in loco.A questo quadro vanno ascritte le prime fasi delle
cattedrali di Ventimiglia (facciata e muri perimetrali) - con il suo
battistero - e di Albenga (resti di murature inglobate nella facciata),
insieme a moltissime fondazioni plebane e monastiche del comprensorio
di Ventimiglia (per es. la pieve di Saorgio e S. Pietro di Camporosso),
dell'Albenganese (la cappella della Santa Croce), del Finalese, delle valli
montane del Roia, del Nervia, dell'Argentina, dell'Arroscia. Ma l'edificio
più precoce e più risolto di tutta l'area ponentina è la chiesa di S.
Paragorio di Noli, datata tra la fine del sec. 10° e i primi decenni
dell'11°: coerente a questa data è infatti il parato esterno (seppure in
parte rimaneggiato), a lunghe e strette specchiature; più monumentali
sono la soluzione dei pilastri interni e la copertura voltata delle navate
laterali, che sembra risentire di una continuità costruttiva altomedievale
di derivazione oltremontana.Meno ricco e meno uniforme è il panorama
della riviera di Levante, dove un nucleo omogeneo è formato
dall'insediamento benedettino dell'isola del Tino e dalla chiesa castrense
di S. Pietro di Portovenere (metà del sec. 11°), che presentano
un'identica pratica muraria piuttosto evoluta (blocchi lapidei medi,
sbozzati, in alcune parti disposti nel più regolare stadio della muratura 'a
filaretto'), le stesse scelte planimetriche, simili apparati scultorei, che
parlano, forse, di maestranze identificabili anche da scelte di gusto,
come le superfici prive di elementi di scansione. Tale pratica costruttiva
(presente, seppur variata, anche nella chiesetta biabsidata dell'isola del
Tinetto, nella facciata di S. Prospero di Vezzano e nella cinta muraria di
Portovenere), pur sfuggendo ancora a una precisa collocazione in
termini di maestranze, si enuclea con chiarezza, differenziandosi dalla
produzione media del Protoromanico lombardo e da quella lunigianese
del maturo sec. 12° (S. Maria di Vezzano).L'architettura del golfo si
apparenta al contrario, per nessi planimetrici, costruttivi e scultorei, alla
produzione di area genovese, come l'urbano S. Tommaso di Fassolo, il
castrum della stessa città, ma soprattutto il modello eminente di S.
Fruttuoso di Capodimonte (datati tra il sec. 10° e l'11°). Il paradigma di
riferimento viene così a essere un edificio prestigioso, strettamente
connesso all'ambito vescovile e benedettino della città, che risente di un
ampio contesto di cultura imperiale e bizantino-mediterranea.Riferibile
invece alla vasta produzione lombarda di accezione comasca e alpina è
una serie di chiese, omogenee anche a molte pievi della Lunigiana, che,
tra sec. 11° e 12°, sorsero lungo gli itinerari della riviera (S. Prospero di
Vezzano, S. Venerio di Migliarina, S. Bartolomeo di Ponzò, le pievi di
Montale e di Framura); ancora lungo gli itinerari verso il Genovesato,
nei pochi resti del S. Lorenzo della Costa, a metà, sotto il profilo
litotomico, tra le pievi del Levante e l'edilizia genovese antelamica,
sembra potersi intravedere il momento di svolta nella pratica costruttiva
ligure.Caratterizza infine lo sviluppo architettonico del Levante la
frequente soluzione planimetrica a due navate e due absidi, di tipo
pievano (S. Prospero di Vezzano) e monastico (a Brugnato, al Tinetto),
ma presente anche a Ponente, nella cripta del S. Ampelio di Bordighera
e nel S. Eugenio di Bergeggi. Derivata forse dal prototipo altomedievale
del Tino, sembra trovare una ancora discussa motivazione d'origine in
generiche funzioni liturgiche o nel culto locale delle reliquie (Dufour
Bozzo, 1986).Un ambito limitato e quasi compresso ha in L. la
produzione del pieno sec. 12°, che si presenta scarsa e fortemente
frantumata. È inesistente a Levante, mentre a Ponente si ha invece un
diffuso tessuto edilizio che conserva un lessico di base protoromanico,
talvolta vivificato da deboli apporti antelamici, e che perdurò fino al sec.
14° e oltre. È un'architettura 'senza tempo', diffusa soprattutto ma non
solo in ambito rurale, secondo logiche che sembrano rispondere a
situazioni di indisponibilità economica oltre che a condizioni di
isolamento culturale; riconoscibile per le semplificate soluzioni
planimetriche e per il tipo di muratura, a tessuto molto disordinato e
forse intonacata, continuò a essere prodotta anche in età moderna, quasi
un'"architettura romanica perenne" (De Negri, 1974a, p. 171).In questo
quadro, sul finire del secolo, emerge isolata l'esperienza della parziale
ricostruzione della cattedrale di Ventimiglia, notevole per qualità
(presenta, tra l'altro, un gruppo di reimpieghi) e che, per le molte
assonanze con l'architettura oltralpina borgognona e provenzale (chiare
queste ultime anche nella vicina chiesa di S. Michele, soprattutto nella
copertura voltata a botte ogivale), enuncia visivamente l'omogeneità
culturale del comprensorio delle Alpi Marittime, forse anche in un
ultimo tentativo di autonomia nei confronti dell'avanzata genovese.Il
momento di cesura rappresentato dalla conquista genovese delle riviere
si manifesta infatti anche con il trapianto dell'architettura urbana dei
magistri Antelami (v. Genova), la cui presenza è attestata dai dati
morfologici degli edifici e da alcuni documenti d'archivio, redatti tra il
sec. 12° e il 14° a San Remo, a Ventimiglia, in val di Vara.Questa
produzione - che Formentini (1942, p. 291) definiva "arte coloniale
genovese" - appare uno dei fatti maggiormente simbolici e celebrativi
della conquista: essa si concretizzò in edifici di forte monumentalità,
dalla perfetta muratura in pietra da taglio, in interventi non solo religiosi
ma anche difensivi, infrastrutturali o di pianificazione urbanistica, e
fornì al territorio un'inedita omogeneità costruttiva, seppure limitata ai
centri di specifico interesse militare o politico. Si definì così un tipico
rapporto tra un centro egemone e un territorio periferico dove vennero
esportate, con notevole tempestività rispetto alla presa militare, e a volte
con incarichi dai contorni ufficiali, maestranze dalla ben rodata
organizzazione di cantiere e dai modi costruttivi messi a punto almeno
dal primo 12° secolo. Fu esportata nelle riviere una cultura architettonica
fortemente conservatrice, che si attestò, anche nel sec. 13° e 14°, su un
prevalente linguaggio di 'continuità romanica'; per essa, anche nei casi di
maggior apertura a stimoli esterni, appare oggi improprio accettare
l'utilizzata definizione di Gotico.L'architettura antelamica, già nel sec.
12°, costituì il tessuto edilizio nelle aree di precoce annessione, veri
territori genovesi anche sotto il profilo costruttivo: in alcune città
dell'Oltregiogo, sul promontorio di Portofino con il S. Nicolò, a Rapallo
con la benedettina S. Tommaso al Poggio, a Portovenere con la
parrocchiale, edificio-simbolo del burgus definitivamente acquisito.Il
rapporto centro-periferia assunse in qualche caso connotati dialettici,
soprattutto nel 13° secolo. È il caso di due edifici del golfo della Spezia
(il corpo absidale della chiesa di S. Pietro di Portovenere e la cappella di
S. Anastasia nel castello di Lerici, costruiti tra il 1256 e il 1277; Di
Fabio, 1986), dove gli usuali modi costruttivi produssero risultati di
qualità, vivificati da elementi nuovi, come le coperture a crociera
costolonata su pilastri polistili o le cappelle rettilinee, recepiti con
duttilità all'interno del cantiere.Testo di riferimento è la basilica
gentilizia di S. Salvatore dei Fieschi presso Cogorno, eretta tra il 1244 e
il 1252 da un cantiere antelamico. La chiesa è - certo anche a ragione
dell'eccezionale committenza, papa Innocenzo IV Fieschi (1243-1254) -
insieme il frutto maturo dell'architettura genovese e un prodotto di un
estremo rigore formale, che, nella forte monumentalità, nell'articolata
massa del capocroce, nelle cappelle terminali voltate, nella poderosa
torre quadrata, presenta soluzioni progettuali informate dell'architettura
oltralpina e cistercense. In questo caso è la provincia a diventare sede
dell'elaborazione di un modello che sembrerebbe assunto di lì a pochi
anni nelle grandi chiese mendicanti della città, soprattutto in quella
francescana, oggi perduta.Dopo il caso di S. Salvatore, in genere
l'architettura della conquista procedette sulle codificate scelte delle tre
navate senza transetto, delle facciate dicrome, dell'apparato scultoreo
minimale, come nella parrocchiale di Levanto, nella seconda fase del S.
Lorenzo di Portovenere, nel gruppo omogeneo delle chiese delle Cinque
Terre (edificate tra la metà del sec. 13° e il 1340), edifici per i quali il
ruolo del modello fliscano sembrerebbe opportuno limitare a qualche
soluzione absidale e all'uso enfatico del rosone di facciata.Nella riviera
di Ponente questo momento non presenta la stessa ricchezza di spunti,
ma si manifesta in alcune fondazioni della diocesi di Albenga - cattedrali
di San Remo, di Albenga (seconda fase, 1255-1289) e chiesa castrense
dei Ss. Giacomo e Filippo di Andora - dove l'attività dei magistri
Antelami, seppure attestata su medi livelli provinciali, è confermata
soprattutto dalla scelta, innovativa nella zona, del parato lapideo; per
San Remo, poi, la stessa presenza è documentata da una fonte scritta che
testimonia nel 1254 la conclusione di lavori effettuati dall'Antelamus
genovese Blancus de Molzano.A Ponente, inoltre, la presenza delle
maestranze genovesi sembra aver creato i presupposti per lo sviluppo di
un'architettura di livello medio, per la quale, se non si vuole ipotizzare la
diretta presenza della corporazione genovese, si deve certo pensare a
maestranze venute a contatto con quella esperienza: è il caso di un
piccolo gruppo di edifici dell'Imperiese, come S. Pietro e S. Maria di
Lingueglietta, S. Maria di Diano Castello, S. Caterina di Cervo, datati al
sec. 13° e tecnicamente esemplati sulle chiese antelamiche della
riviera.Nella riviera di Ponente la cultura architettonica dei magistri
Antelami si colloca poi in una circolazione di più ampio raggio: è quello
un tempo definito della école des Alpes, i cui 'caratteri lombardi'
accomunano strettamente (nelle planimetrie ma soprattutto nelle
murature impeccabili in conci di media grandezza, a volte dicrome, e
nelle partiture decorative), tra la fine del sec. 12° e il 13°, alcuni edifici
romanici delle Alpi francesi e della Provenza con l'architettura
antelamica, come le cattedrali di Embrun e di Grasse (la cui facciata
sembra strettamente apparentata con quella di Andora), nelle quali è
stata ipotizzata anche la presenza di maestranze provenienti dall'Italia
(Thirion, 1981). L'adozione di volte con crociere costolonate quadre
avvicina poi le cattedrali di Fréjus e di Grasse alla chiesa genovese di S.
Giovanni di Pré (fabbrica antelamica della fine del sec. 12°, che mediò
forse proprio dalle ricerche provenzali il tipo di copertura).Assai
difficile risulta ricostruire l'immagine dell'architettura degli ordini
monastici e in ispecie di quella cistercense, che, nonostante la precocità
del monastero di S. Maria di Tiglieto (1120, manufatto più padano che
ligure; Pistilli, 1990), non si distingue per i molti insediamenti ed è
piuttosto un fenomeno urbano. Laddove, come a S. Maria di Valle
Christi, presso Rapallo (1204), la presenza cistercense sembra
riconoscibile nella struttura absidale, ancora è necessario leggervi la
presenza costruttiva delle maestranze antelamiche.Più delineata la realtà
architettonica degli insediamenti francescani dei secc. 13° e 14° (a
Sarzana, Noli, Cairo, Finalborgo, Ventimiglia), che presentano
un'originaria facies assai più coerente alle direttive dell'Ordine di quella
degli edifici genovesi.Infine può essere difficilmente ricondotta alle
linee di fondo dell'architettura in L. la chiesa monastica di S. Andrea di
Borzone (in val di Sturla), datata al 1244 da un'epigrafe (e, nonostante
questo, molto discussa). Ad aula unica e cappella terminale rettilinea
voltate a botte (Mazzino, 1956), riecheggiava soluzioni cistercensi, ma
la monumentalità e la raffinatezza di dettaglio (cornici e ordini
sovrapposti di archeggiature cieche in laterizio, chiuse da brani di
muratura in pietrame, articolano le pareti) sono coerenti all'importante
ruolo storico che ebbe l'insediamento, oggetto, tra l'altro, di donazioni
finalizzate a opere edilizie da parte di papa Innocenzo IV.

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Scultura

La L. offre, nell'Alto Medioevo, un panorama scultoreo ricco e di


qualità, anche se frammentario. Numerosi pezzi erratici di arredo
provengono infatti dalle fasi longobarda e carolingia di alcuni edifici
della riviera di Ponente (Ventimiglia, Albenga, Noli), costituendo un
gruppo di manufatti dalla notevole omogeneità stilistica (è stata
individuata la 'bottega delle Alpi Marittime' attiva anche nell'arco
alpino; Casartelli Novelli, 1978). Più modesto e opera di maestranze
provinciali è il corpus dei pezzi altomedievali del Levante (Luni,
Brugnato, Vezzano), spesso anche decontestualizzati e reimpiegati
(Frondoni, 1987).La scultura del Medioevo si connota in termini
piuttosto diversi nelle due riviere. Il Levante soltanto nel sec. 13° e con
l'annessione a Genova offre un panorama scultoreo di una qualche
omogeneità, ma dalla qualità molto modesta, condizionata dalla pratica
antelamica che aveva ormai limitato quasi del tutto il ruolo della
scultura. A Portovenere, a S. Anastasia di Lerici, a S. Salvatore dei
Fieschi l'apparato di scultura architettonica è opera di lapicidi del
cantiere antelamico, mentre i limitati interventi figurativi scelgono toni
arcaicizzanti, nel segno di una 'continuità romanica' di origine lombarda,
incoerente alle più complesse soluzioni architettoniche; resta ancora da
indagare "perché ideologie 'forti' come quelle che si esprimono nel S.
Salvatore e nella S. Anastasia siano affidate a immagini dall'arcaizzante,
'debole', concezione formale" (Di Fabio, 1987). Caratteri precipui ha
invece l'apparato scultoreo dei portali e dei rosoni delle parrocchiali
delle Cinque Terre (Corniglia e Manarola), dove, nella seconda metà del
sec. 14°, a maestranze di cantiere che riproducevano modi e schemi
romanici e protoromanici succedettero botteghe di origine campionese
dal linguaggio rinnovato in senso lombardo-toscano.Più articolata la
situazione pregenovese del Ponente, riflesso di un vitale policentrismo,
dove si evidenzia il centro di Savona, il cui patrimonio scultoreo (come
quello architettonico) è quasi totalmente disperso; i pochi resti denotano
comunque - per l'impianto iconografico e la buona qualità esecutiva
(capitello della loggia Sansoni, prima metà del sec. 13°) - l'importante
ruolo della città. Un'area di produzione omogenea sono le diocesi di
Albenga e Ventimiglia (e il vicino arco alpino provenzale), dove schemi
ripetitivi e provinciali propongono tematiche apotropaiche altomedievali
spesso dalla difficile datazione e dove spiccano le sculture reimpiegate
della cattedrale di Albenga, dei primi del sec. 12°, e i portali laterali del
S. Siro di San Remo, dalle tematiche più varie e dalla più evoluta
concezione volumetrica. Con la conquista genovese la scultura sparì
quasi del tutto e l'apparato di scultura architettonica appare opera
standardizzata dei cantieri antelamici (ad Albenga, Andora, fino a
Fréjus).

Bibl.: Storia di Genova dalle origini al tempo nostro, 3 voll., Milano


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Genova 1955; E. Mazzino, L'abbazia di S. Andrea di Borzone,
Bollettino ligustico 8, 1956, pp. 35-56; N. Lamboglia, I monumenti
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Bordighera-Aix-Marseille 1971, pp. 37-60; N. Lamboglia, La cattedrale
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De Negri, Il Ponente ligustico. Incrocio di civiltà, Genova 1974a; id.,
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dell'arte romanica in Lunigiana, AStParma, s. IV, 25, 1974, pp. 71-84;
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Sampaolesi, Milano 1975, pp. 225-237 (rec.: M. Ricchebono, Atti e
Memorie della Società savonese di storia patria, n.s., 11, 1977, pp. 180-
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Marittime nel divenire della scultura longobarda dai primi del sec. VIII
all'anno 774, StArte, 1978, 32, pp. 11-22; S. Chierici, D. Citi, Il
Piemonte. La Val d'Aosta. La Liguria (Italia romanica, 2), Milano 1979;
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note per un bilancio in prospettiva, ivi, pp. 329-338; S. Paragorio di
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Trecento, ivi, pp. 179-213; C. Di Fabio, Note sulla chiesa romanica, in
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11-20; Archeologia in Liguria III. 2. Scavi e scoperte 1982-1986, a cura
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1990; R. Pavoni, Liguria medievale, Genova 1992; G. Rossini,
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internazionale di archeologia cristiana, Bonn-Colonia-Treviri 1991" (in
corso di stampa).A. Dagnino
Pittura, miniatura e arti suntuarie

La più importante testimonianza della cultura pittorica dell'epoca


protomedievale in L. è il noto mosaico che orna una nicchia del
battistero di Albenga, databile alla fine del sec. 5° o agli inizi del 6°:
l'opera, che presenta sulla volta il triplice cristogramma ΧΡ attorniato da
dodici colombe, due agnelli in adorazione della Croce nella lunetta e,
sull'estradosso, i nomi dei santi di cui si conservavano le reliquie
nell'edificio, si collega alla coeva produzione italiana e provenzale (per
la tecnica di realizzazione e per i contenuti simbolici) e mostra
soprattutto rapporti con la cultura e la liturgia ambrosiane (le menzioni
dei ss. Gervasio, Protasio, Nabore e Felice), dovuti al fatto che la diocesi
di Albenga fu suffraganea di quella di Milano sin dalla fondazione,
probabilmente prima del 451, e fino al 12° secolo.Distruzioni e
dispersioni successive impediscono di colmare la vasta lacuna della
conoscenza della pittura in L. tra il sec. 6° e l'età romanica: è necessario
infatti giungere alla prima metà del sec. 12° per ritrovare le tracce di una
cultura figurativa che - secondo una tendenza costante in tutta la regione
(v. Genova) - si apre alle suggestioni che provengono da altri centri di
produzione, italiani e non. Datata 1138 è la croce dipinta da maestro
Guglielmo, conservata nella cattedrale di Sarzana (dove, secondo
tradizione, sarebbe pervenuta da Luni): l'opera, meglio leggibile nei suoi
caratteri stilistici nelle scene laterali con storie della Passione che non
nell'immagine del Crocifisso, ridipinta agli inizi del sec. 13° (Morassi,
1951, pp. 8-9, 27-28), è tra le più antiche testimonianze del corpus di
croci monumentali pisano-lucchesi; in essa si colgono, accanto a echi
bizantini e romani (Toesca, 1927, p. 953), i riflessi di una più moderna
tendenza classicheggiante (Caleca, 1994, pp. 168-169).Databile alla
prima metà del sec. 12° è anche il martirologio della cattedrale di
Ventimiglia (Genova, Civ. Bibl. Berio, M.r. Cf. Arm. 9; Grassi, 1866;
Spotorno, 1868; Pezzi, 1963; Cervini, 1992, p. 842, con datazione alla
fine del sec. 11°), destinato forse, in origine, a una comunità lombarda di
Canonici regolari (come sembra indicare il rilievo grafico dato ad alcune
festività), ma giunto precocemente a Ventimiglia, dove, probabilmente
nella seconda metà del secolo, furono copiate o inserite varie
annotazioni di contenuto locale. Le due iniziali decorate del codice (cc.
1r, 64v), pur se di qualità non eccelsa, si collegano alla produzione
padana occidentale (per es. il Cassiodori expositionis Psalmorum
compendium, Torino, Bibl. Naz., K.II.1; l'Antiphonarium monasticum,
ivi, F.IV.4; specialmente il codice contenente sermoni e omelie dei
Padri, Piacenza, Bibl. Capitolare, 60) e arricchiscono l'eclettica
fisionomia del panorama pittorico ligure.Il martirologio di Ventimiglia
pone inoltre il problema dell'acquisizione più o meno precoce di
manufatti e quindi del loro possibile influsso sulla produzione locale: è il
caso, per es., della croce-reliquiario in filigrana d'argento dorato di
Savona (Mus. della Cattedrale Basilica Nostra Signora Assunta), opera
mosana dell'ambito di Hugo di Oignies databile intorno al 1240 e
tradizionalmente legata al nome del vescovo Pietro Gara (1472-1498),
che l'avrebbe donata alla chiesa (Algeri, 1982, pp. 43-45). Per la croce
infatti si è formulata di recente l'ipotesi di un'importazione duecentesca -
in eventuale rapporto con la cultura òltremontana' espressa nelle sculture
del duomo genovese (Romano, 1986, p. 25) e con la presenza di orafi
inglesi a Genova (Cervini, 1990, pp. 54-57; 1993, p. 152) -, che trova un
primo possibile riscontro nella menzione di "crux una magna de
argento" elencata nell'inventario della masseria della cattedrale del 1336
(Bruzzone, 1992, p. 294), ma che - ponendo in discussione il riferimento
al vescovo Gara - attende ulteriori verifiche. Esse potrebbero
coinvolgere forse anche il riccio inserito nel pastorale donato nel 1491
alla stessa cattedrale (Savona, Mus. della Cattedrale Basilica Nostra
Signora Assunta), assegnato a scuola mosana del sec. 13° (Algeri, 1982,
pp. 45-46; Di Fabio, 1991, p. 253).Di sicura produzione locale sono le
diverse serie di tavolette di soffitto che ornavano alcune chiese di
Genova e della L. (Noli, S. Paragorio; San Remo, S. Siro, ora Genova,
Mus. dell'Accad. Ligustica di Belle Arti; Diano Castello, S. Giovanni
Battista; santuario di Soviore presso Monterosso), databili fra la metà ca.
del sec. 13° e gli inizi del secolo seguente, accomunate - al di là delle
caratteristiche individuali o di bottega - da una semplificazione del
segno e della cromia e da un gusto decorativo desunto talora dalla
miniatura (Di Fabio, 1983, p. 17; Romano, 1986, p. 28; Dagnino, in San
Paragorio di Noli, 1986, pp. 167-170; Botto, 1994, pp. 7-8, 22-23; Di
Fabio, 1994). Di matrice certo più aulica è la croce dipinta conservata
nella chiesa dei Ss. Giacomo e Filippo a Nicola di Ortonovo, opera di
artista toscano attivo verso la metà del sec. 13°, ispirato a modelli
lucchesi (Berlinghiero) e pisani di poco precedenti (Martini, 1983, pp. 7-
11).Se la penetrazione della cultura pittorica toscana nell'estremo
Levante trova evidenti giustificazioni nella stessa posizione geografica
di quel territorio di confine, va tuttavia ricordato come tale cultura si sia
estesa verso O, nell'ultimo quarto del secolo: a Genova, con Manfredino
da Pistoia e i pittori a lui collegati, e nel Savonese, dove il S. Cristoforo
affrescato nella chiesa del castello di Piani d'Invrea, presso Varazze, già
riferito al Maestro del Giudizio (Torriti, 1970, p. 35) e, recentemente, a
Manfredino stesso (Bologna, 1994, p. 25), è più verosimilmente da
ritenere opera ispirata all'attività pisana di Cimabue (Romano, 1986, p.
28).Nella stessa chiesa si conserva una croce dipinta su due lati (con la
Vergine che abbraccia il Cristo di pietà e gli evangelisti sul verso),
stilisticamente collegata ai modi del Maestro di S. Maria di Castello
(Torriti, 1970, pp. 39-40; Rossetti Brezzi, 1986, p. 33), che Bologna
(1994, p. 27) ha proposto d'individuare in Opizzino Pellerano da
Camogli, artista di cui lo studioso offre una lettura in chiave
protogiottesca e una collocazione cronologica ai primi decenni del 14°
secolo. A un altro seguace del Maestro di S. Maria di Castello,
verosimilmente più precoce dell'autore della croce di Piani d'Invrea,
Bologna (1994, pp. 27-28) assegna anche la croce già in una cappella
presso il ponte delle Pile a Savona e oggi alla Pinacoteca Civ. della città;
croce nella quale certe durezze di tratto, un teso espressionismo e alcuni
perduranti arcaismi denotano una probabile conoscenza non mediata
anche della cultura protoduccesca (Opere restaurate, 1984, pp. 8-13).I
diretti rapporti fra il Ponente ligure e la Toscana sono d'altronde
testimoniati dai precoci affreschi (primo decennio del sec. 14°) del
Maestro di S. Biagio e del Maestro del Presbiterio nella chiesa di S.
Giorgio a Campochiesa, presso Albenga, legati alla cultura del Maestro
di S. Torpé e di Deodato Orlandi (Migliorini, 1980; Rossetti Brezzi,
1990, pp. 1-8), e trovano conferma, qualche tempo più tardi,
nell'attestata presenza di artisti toscani a Savona (Donato Fiorentino nel
1341, Vanni da Pisa nel 1347; Spotorno, 1827; Alizeri, 1870, pp. 97-
107). Il polittico raffigurante la Madonna con il Bambino in trono e
storie della Vita di Maria e di Cristo, datato 1345 e oggi conservato
(mutilo dei pinnacoli superiori con la Crocifissione e quattro santi) nella
cattedrale di Albi, in Francia, ma già nell'oratorio di S. Bernardo presso
il santuario di Nostra Signora della Misericordia, nei dintorni di Savona
(De Floriani, 1979, p. 14), mostra invece d'inserirsi nel più ampio
quadro della c.d. cultura mediterranea (Castelnuovo, 1962, p. 16, n. 1;
Bologna, 1969, pp. 257-258; Rossetti Brezzi, 1986, p. 33): se la struttura
dell'opera si collega tanto ai dossali romanici toscani quanto a quelli
d'area catalana, i caratteri di stile riflettono in parte il 'giottismo
riformato' diramatosi lungo le coste del Mediterraneo occidentale nella
prima metà del sec. 14° (Bologna, 1969, pp. 257-258, 298-323) e in
parte recuperano - semplificandone l'impostazione compositiva, gesti e
fisionomie - la lezione avignonese di Simone Martini e Matteo
Giovannetti, espressa per es. nelle tavolette di Aix-en-Provence (Mus.
Granet) e di New York (Metropolitan Mus. of Art, Robert Lehman
Coll.), che, al pari del polittico di Albi, costituiscono anche un
verosimile precedente per gli affreschi di Ferrer e Arnau Bassa in Santa
Maria de Pedralbes (1348) a Barcellona.Nella seconda metà del sec. 14°
nel Ponente si registra - accanto a sporadici casi di accentuato goticismo
come il frammento con S. Giorgio e un cavaliere, affrescato nel chiostro
di S. Francesco, poi divenuto il duomo nuovo di Savona (Rossetti
Brezzi, 1986, p. 33) - una rilevante presenza di opere dovute ad artisti
documentati e attivi prevalentemente a Genova, città che in molti casi
dovette agire come centro di diffusione di quella produzione. Di
Barnaba da Modena sono la Vergine con il Bambino della cattedrale di
Ventimiglia (oggi in vescovado), del 1380 ca., e il polittico della
Madonna con il Bambino e santi della chiesa di S. Dalmazio a
Lavagnola, presso Savona, del 1386 (Algeri, 1991, pp. 22-24), e alla sua
cerchia vanno riferite la Madonna del santuario di Nostra Signora della
Costa a San Remo e quella della Pinacoteca Civ. di Savona (Algeri,
1991, pp. 25-26, 32); alla tarda attività di Nicolò da Voltri - nei primi
anni del sec. 15° - è poi attribuita la Madonna con il Bambino di S.
Maria di Finalpìa (Algeri, 1991, p. 63).Diverso è il caso di Taddeo di
Bartolo, la cui attività in L. è attestata, prima che a Genova, a Savona,
nei perduti affreschi per la cattedrale (distrutta nel 1595), terminati nel
1392; ma già in precedenza il pittore senese aveva presumibilmente
realizzato la Madonna con il Bambino, angeli e donatori della
Pinacoteca Civ. di Savona, proveniente dal convento di S. Caterina a
Finalborgo, dove lo stesso Taddeo collaborò agli affreschi, oggi
frammentari, con scene della Vita di Cristo e della Vergine nella
cappella Olivieri; a questi parteciparono anche altri due artisti nel cui
stile si integrano influssi barnabiani e componenti toscane (Algeri, 1991,
pp. 34-42). Al secondo periodo dell'attività ligure di Taddeo,
caratterizzato da un marcato gusto decorativo, appartiene il Battesimo di
Cristo della collegiata di S. Maria Assunta a Triora (Imperia), datato
1397, mentre probabile riflesso della produzione del pittore per il
Savonese è il deperito affresco con la Madonna con il Bambino tra s.
Francesco e s. Caterina d'Alessandria del convento di S. Francesco a
Noli, databile ai primi anni del sec. 15° (Tassinari, in L'antica diocesi di
Noli, 1986, pp. 43-44); l'ancor più precario stato di conservazione rende
invece problematico il giudizio sugli affreschi delle tombe ad arcosolio
all'esterno di S. Paragorio a Noli (Ciliento, in San Paragorio di Noli,
1986, p. 165) e sul Battesimo di Cristo, affresco staccato del battistero di
Albenga (Marcenaro, 1993, pp. 216-218).Arricchisce il multiforme
quadro della cultura savonese, aperto a differenti suggestioni figurative,
la frammentaria serie di statuette in alabastro, raffiguranti Cristo e tre
apostoli, forse proveniente dal duomo antico (Savona, Mus. della
Cattedrale Basilica Nostra Signora Assunta), opera inglese della seconda
metà del sec. 14°, forse ab antiquo in possesso del duomo, come
confermerebbe la rete di rapporti commerciali intrecciati tra Savona e
l'Inghilterra (Algeri, 1982, pp. 40-41; Cervini, 1990, pp. 57-58). È
inoltre possibile ipotizzare una precoce acquisizione da parte della
cattedrale di Savona anche per il gruppo argenteo della Fuga in Egitto
(oggi nel Mus. della Cattedrale Basilica Nostra Signora Assunta),
probabilmente opera di orafi francesi della fine del sec. 14° (Toesca,
1951, p. 193; Algeri, 1982, pp. 46-48), ma che non si esclude possa
essere stata invece realizzata in una bottega ligure particolarmente aperta
agli influssi della cultura tardogotica d'Oltralpe (Di Fabio, 1991, pp.
247-250).Soprattutto se confrontata con la situazione del Ponente, quella
dell'estremo Levante del Tardo Medioevo appare oggi frammentaria e
difficilmente riconducibile a un quadro unitario, anche se la Toscana
resta l'ambito di riferimento privilegiato per la produzione scultorea e
anche per alcune testimonianze pittoriche (la lunetta con Cristo in pietà
tra i ss. Chiara e Francesco in S. Francesco a Sarzana, databile al 1330-
1340; Donati, 1991) e di oreficeria (la croce argentea con smalti
traslucidi di S. Maria Assunta a Sarzana, opera quasi certamente senese
della metà del sec. 14°, realizzata forse per la stessa cattedrale sarzanese;
Toesca, 1951, p. 898, n. 125; Donati, 1991). Tuttavia, la presenza in
Nostra Signora di Roverano (La Spezia) di una Madonna con il
Bambino (Meriana, 1993, p. 81), evidente derivazione dai modi della
tarda attività di Nicolò da Voltri, postula un'apertura verso la cultura
figurativa genovese, che già nel sec. 14° si era diramata verso il Tigullio
(come attestano le due Madonne a Chiavari, Mus. Diocesano: l'una
opera di un seguace del Maestro di S. Maria di Castello, l'altra di
derivazione barnabiana; Algeri, 1986, pp. 17-20) e che, nel corso del
secolo seguente, si fece man mano più diretta e percepibile anche nella
L. dell'estremo Levante (Algeri, De Floriani, 1991).

Bibl.: G. Spotorno, Pittori che operavano in Savona tra il 1340 e il 1520,


Giornale ligustico di scienze, lettere ed arti 1, 1827, pp. 436-437; T.
Torteroli, Monumenti di pittura, scultura e architettura della città di
Savona, Savona 1847; L. Grassi, Sul Martirologio della chiesa di
Ventimiglia in mss. del secolo X, esistenti in Genova nella Biblioteca
Municipale, Atti della Società ligure di storia patria 4, 1866, pp. 435-
440; G. Spotorno, Illustrazione di un antico martirologio ventimigliese,
coll'aggiunta di un necrologio e di note storiche del professore Rossi
cav. Girolamo, Miscellanea di storia italiana 5, 1868, pp. 73-89, 91-115;
F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini al
secolo XVI, I, Genova 1870; Toesca, Medioevo, 1927; A. Morassi,
Capolavori della pittura a Genova, Milano-Firenze 1951; Toesca,
Trecento, 1951; E. Castelnuovo, Un pittore italiano alla corte di
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biblioteche genovesi, Atti della Società ligure di storia patria, n.s., 3,
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