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Devozione e devozionismo

La preghiera è la prima delle devozioni. Anzi, è LA devozione, perché nella preghiera si incontra Gesù. Non
a caso la preghiera sincera è suscitata dallo Spirito Santo.

“Chi prega certamente si salva, chi non prega certamente si danna”, dice sant’Alfonso Maria de’ Liguori,
grande moralista e Dottore della Chiesa.
Di fatto Gesù, nel Vangelo, insegna a pregare, e insegna che l’essenza della preghiera consiste
nell’abbandonarsi a Dio con confidenza.
La confidenza con Dio e il desiderio di Dio sono il fine delle devozioni: il Cielo, infatti, è raggiungibile col
desiderio e con l’amore filiale, indipendentemente dalle devozioni secondarie, non essenziali in se stesse ma
che, però, possono aiutare.

Di fatto, Gesù, nel Vangelo, non insegna pratiche devozionali.


Gesù segue le pratiche ebraiche, a cui “aggiunge” la sua Rivelazione.
Egli è la devozione per eccellenza, che insegna che Dio va adorato in spirito e verità e a rivolgersi al Padre
con confidenza estrema. E, sulla Croce, insegna ad essere figli di sua Madre.
E dona la grazia, che non è legata a particolari pratiche, ma alla sua Persona e, assicura, che si fa trovare da
chi lo cerca e lo invoca.
Pregare è cercare e cercare è pregare.

Dice Gesù: “Cosa è più grande, l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta?... chi giura per il tempio,
giura per il tempio e per Colui che l’abita…” (Mt 16,21-22).
Analogamente al rapporto tra l’offerta e l’altare, che rende sacra l’offerta, le grazie particolari delle
devozioni sono meno “grandi” della Grazia della Salvezza portata da Cristo, che le rende sacre.
Come dice l’Apostolo Paolo, “Cristo è tutto in tutti”. Cioè: chi ha Cristo ha tutto. Oppure: chi fa la volontà di
Dio, in un certo senso “possiede” tutte le grazie.

Il luogo santo per eccellenza è l’Eucaristia.


Scrive l’Apostolo Paolo: “E’ in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della verità” (Col 2,9); e
ancora: “Benedetto sia Dio…che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo” (Ef 1,3).
Solo l’Eucaristia è tutto per virtù propria.
Ma anche negli altri Sacramenti, che scaturiscono dall’Eucaristia, è presente la grazia, perché nei Sacramenti
opera direttamente Gesù.
Le pratiche religiose, perciò, devono servire per vivere meglio i Sacramenti.

Ma san Tommaso d’Aquino dice che l’uomo ha bisogno di essere condotto alla conoscenza delle cose divine
attraverso quelle sensibili meglio conosciute, come le devozioni.
La grazia, infatti, si “incarna” non nelle fantasie, ma nella vita concreta.

Ma chi volesse seguire tutte le autentiche devozioni, tutti veri i mistici, tutte le apparizioni veramente da Dio,
e leggere tutti gli scritti dei santi…, è paragonabile a chi pretendesse di ascoltare tutte le omelie che ogni
giorno si tengono in tutte le chiese del mondo, che pure sono portatrici di grazie particolari che scaturiscono
dalla grazia di Cristo.
Costui dovrebbe leggere continuamente e indossare chili di medaglie e di scapolari, col risultato opposto a
quello che si era prefissato. Infatti, come per fare un lavoro non si possono adoperare tutti gli strumenti adatti
ad aiutarci, altrimenti si fa solo confusione, allo stesso modo per stabilire un legame più stretto con Gesù non
possiamo servirci di un eccesso di devozioni, ma di poche.

Nel Vangelo di Giovanni è scritto che sui fatti e detti di Gesù si potrebbero scrivere così tanti libri che,
probabilmente, il mondo non basterebbe per contenerli (cfr Gv 21,25).
Su Gesù tanto si è detto e si è scritto, e tanto ancora si dirà e scriverà. Ma è ancora nulla rispetto a quanto si
potrebbe fare.
Ma tutto si trova nella Rivelazione e nell’interpretazione che ne dà la Chiesa. Tutto il resto, anche gli scritti
dei santi, non sono che strumenti che ci conducono alla fede e ci fortificano in essa, ma non vi aggiungono
nulla.

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Esistono santi grandissimi che non hanno lasciato scritti, o che ne hanno lasciati pochissimi. Esistono mistici
grandissimi di cui poco o nulla si conosce delle loro esperienze. Poco importa: la loro “impronta” è rimasta
nella Chiesa, che “riassume” la loro autentica dottrina e santità.

San Vincenzo de’ Paoli dice che seguire troppe devozioni è controproducente.
Del resto in ogni devozione, in qualche modo, convergono tutte le altre, in quanto ogni autentica devozione
conduce, a modo suo, a Gesù, da cui tutto origina.

Se, come dice sant’Agostino, l’amore supplisce all’ignoranza della Sacre Scritture, quanto più supplirà a
quella delle rivelazioni private? Chi possiede l’amore possiede il fine di ogni devozione.
Nulla importa se la Madonna non ha avuto le stigmate, come invece hanno avuto dei santi: ha avuto l’amore.
Dice sant’Agostino: se hai amato, hai fatto tutto.

San Giovanni della Croce dice che chi è veramente devoto pone la sua devozione principalmente
nell’invisibile e che la vera devozione mira alla sostanza di ciò che le cose spirituali rappresentano.
Come la spiritualità richiede la concretezza (altrimenti sarebbe spiritualismo), la pratica concreta, se attuata
con amore, ha tanto valore ed efficacia per quanto il cuore mira alle realtà del Cielo più che ai segni materiali
che queste comportano.

Tutto è puro per i puri, dice San Paolo, mentre niente è puro per gli impuri, neanche le cose sante: la liturgia,
le pratiche di pietà, ecc..
Dice Dio: “Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni; anche se voi mi offrite
olocausti, io non gradisco i vostri doni” (Am 5,21-22)
Le pratiche religiose e di devozione, perciò, non possono essere vissute solo esteriormente in quanto, in
Cristo, ciò che è umano e concreto ha sempre corrispondenza nel trascendente.
 
Il significato delle pratiche di pietà, così come dei luoghi santi e delle reliquie, è spirituale e trascende lo
spazio e la materia. Di conseguenza, anche se alcune reliquie e luoghi che la Chiesa venera non fossero,
storicamente parlando, quelli originali, sono veri ugualmente, in quanto vero è il loro significato spirituale.

Tutto è nel Vangelo, anche il significato delle devozioni e ciò che promettono, e le stesse devozioni si
possono vivere solo per mezzo della grazia che ha portato Gesù e che ha affidato alla Chiesa.
Nessuna promessa o aspettativa superare quelle del Vangelo.
Gesù ha detto: “Fino ad ora non avete chiesto nulla nel mio nome; chiedete e riceverete, affinché la vostra
gioia sia completa” (Gv 16,24): tutte le promesse delle pratiche devozionali si basano su questa promessa di
Gesù (e altre simili riportate dal Vangelo).

Chi con la fede necessaria (che non è sempre quella che, se fosse opportuno, potrebbe spostare le montagne,
a cui le devozioni vogliono condurre, ma è quella, più o meno forte, dei seguaci di Cristo come vengono
evidenziati dal Vangelo e dagli atti degli Apostoli), pratica una devozione autentica, ottiene sempre le cose
che Dio ha legato a quella devozione, anche se l’efficacia è in gran parte legata alla misura della fede.
Ciò però non toglie che Dio può concedere gli stessi benefici anche a chi non pratica quella specifica
devozione, se egli ne vive lo spirito e, soprattutto, se vive il Vangelo, che tutto compendia.

Ad esempio, cosa potrebbe impedire a Dio, se non la sua libera volontà, a concedere anche a san Francesco
le grazie specifiche riservate ai devoti del Sacro Cuore, che ha rivelato secoli dopo la morte del santo,
attraverso santa Maria Margherita Alacoque?
Se la grazia della Salvezza in qualche modo percorre tutta la storia, perché le grazie delle devozioni, che
hanno senso solo in quanto espressioni della Salvezza, non possono superare anche i limiti imposti dal
tempo? Un po’ come Dio ha creato “tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra…per mezzo…e in vista” di
Cristo (Col 1,16)?

Ancora di più: perché non si possono chiedere nella preghiera tutte le grazie, in modo che il desiderio possa
supplire alle pratiche richieste? E perché Dio non potrebbe esaudire tale richiesta? L’amore di Dio potrebbe
rendere la cosa possibile. Dice infatti la Scrittura: “Il Signore compirà in mio favore l’opera sua” (sal 138,8).

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Di fatto l’uomo, che a livello concreto di tutti i suoi diritti può usufruirne solo di alcuni, a livello spirituale
può goderli tutti.
Ad esempio egli ha il diritto a poter vivere in ogni luogo, ma concretamente non lo può fare, perché è
limitato, come anche lo è il diritto umano, ma spiritualmente a lui “appartiene” ogni luogo. Perché questo
non può valere per tutte le grazie?

Ma se tutto è già nel Vangelo, a che servono le pratiche devozionali?


Esse, se vissute correttamente, sono atte stimolare il desiderio di Dio attraverso gesti concreti e segni
materiali compatibili con la natura umana, composta anche da materia.

Eucaristia e vera devozione

In Cristo tutto può essere in qualche modo memoriale, ma nel Memoriale, cioè nell’Eucaristia, l’unico vero
Memoriale.
Si potrebbe forse dire che il rapporto tra un evento umano e l’Eucaristia è un po’ come il rapporto tra un libro
di spiritualità cristiana e la Bibbia.

Fare memoriale significa ricordare rendendo presente. Di per se, ciò si realizza pienamente e realmente solo
nell’Eucaristia, ma, attraverso la comunione con Cristo, anche un pensiero, un desiderio, un ricordo si può
“eucaristizzare” e, perciò, può partecipare al memoriale di Cristo.

La sostanza dell’Eucaristia è l’Amore, cioè Dio stesso, che tutto supplisce.


La Madonna, ad esempio, non è sacerdote, ma ama, e riceve dal ministero del sacerdozio dei benefici
maggiori degli stessi sacerdoti.

Così in Dio anche i malati e gli handicappati si possono realizzare, anche umanamente, al di là di ogni
aspettativa (essi, anzi, possono essere avvantaggiati). Infatti Dio, che è più intimo a noi di noi stessi,
realizzando la sua presenza in noi, realizza tutta la nostra umanità, che viene elevata fino a Dio anche se
malata.
I criteri di umanità, infatti, sono soprattutto spirituali e comprendono e suppliscono in Dio quelli materiali,
che non possono essere considerati da soli.
In tal caso l’uomo si realizza in Cristo, non solo nonostante la propria malattia, ma anche attraverso di essa.
Che, essendo comunque non conforme al progetto originario e finale di Dio, va combattuta.

Perciò, quando non è possibile fare la Comunione, l’amore, attraverso la comunione di desiderio, o
comunione spirituale, può in certo qual modo surrogare l’Eucaristia secondo la volontà di Dio: come il
Corpo manifesta lo Spirito Santo, in qualche modo lo Spirito rivela il Corpo.
L’Eucaristia manifesta la carità e la carità rende testimonianza all’Eucaristia.

Dio manifesta il suo amore anche attraverso gli altri Sacramenti, i carismi, le preghiere, le opere buone… Ma
grazie all’Eucaristia ed in vista dell’Eucaristia.
E’ come se, di fatto, l’Eucaristia diversificasse la sua azione e agisse: direttamente attraverso la Comunione e
gli altri Sacramenti e, indirettamente, attraverso gli atti di carità dell’uomo, che si servono dei doni divini.

La “gerarchia” in vigore in Paradiso è ordinata alla carità, e perciò alla santità.


Eucaristia, carità e santità sono l’essenza di tutto.
A livello mistico chi più è santo più influisce sull’andamento del mondo, anche se non prende direttamente
decisioni di governo.
La carità compendia anche l’ascesi, anche se la natura dell’uomo la richiede e Dio, che non rinnega ciò che
ha creato, ordinariamente la usa come mezzo.

Come il Figlio e lo Spirito Santo sono della stessa sostanza, così, in un certo senso, l’Eucaristia e l’amore di
Dio, che si comunica attraverso la “conoscenza” (cfr Gv 17,26), cioè attraverso un’esperienza integrale di
Dio.

L’Eucaristia e la carità conducono alla comunione.

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Se la carità, senza Eucaristia, non si manifesta in pienezza, l’Eucaristia, senza la carità, non comunica Dio
all’anima.
Di fatto, una Comunione ricevuta con tiepidezza può produrre meno amore di un desiderio ardente di
ricevere il Corpo di Cristo: se il desiderio di Dio di amare ed essere amato ha prodotto l’Eucaristia, il
desiderio dell’uomo la rende efficace in lui. Perciò il desiderio di comunicarsi spiritualmente con Cristo
produce frutti spirituali in virtù dell’Offerta di Gesù di sé stesso e del mondo al Padre, perché il mistero della
salvezza è eterno e supera il tempo e lo spazio.

Gesù parla di 3 pani:


- quello eucaristico (cfr Gv 6,35);
- la Parola di Dio (cfr Mt 4,4);
- la volontà di Dio (cfr Gv 4,34).
Il Pane eucaristico compendia corporalmente gli altri due, mentre questi esprimono la Presenza reale di Gesù
nell’Eucaristia. Attraverso l’Eucaristia l’Infinito si rende presente nel finito, e la vita eterna nella vita umana.
Essenzialmente abbiamo bisogno solo di Do, e nulla ci “appartiene” di più di Dio che si dona a noi, neanche
noi stessi.

Se, nell’uomo, dal corpo viene la parola, per cui il corpo (inteso come ricapitolazione di tutta la persona) in
un certo modo contiene la parola (mentre la parola manifesta il corpo), per analogia, l’Eucaristia, cioè il
Verbo, contiene la Scrittura e questa manifesta l’Eucaristia.
L’Eucaristia è il Tutto, è Dio stesso. Il resto è una sua manifestazione o una sua conseguenza.

Le devozioni, i luoghi santi, i doni… sono mezzi atti a stabilire e rafforzare la comunione con Dio, mentre
L’Eucaristia, la comunione la FA direttamente.
Pur non essendo un mezzo, ma la sostanza, si fa anche mezzo per potersi comunicare a noi.

L’Eucaristia, perciò, è INFINITAMENTE di più delle devozioni e dei luoghi santi.


Come, ad esempio, un santuario è costituito essenzialmente dello spazio che occupa e non dai suoi affreschi
e dalle sue suppellettili, tanto che esisterebbe anche senza di essi, così è l'Eucaristia rispetto ai luoghi santi.
Come gli affreschi nei santuari ci "raccontano" dei santuari stessi, così i luoghi santi, in certo modo, ci
“raccontano” dell'Eucaristia, il Luogo santo dei luoghi santi.

L'Eucaristia attualizza tutto: tempi e luoghi. Non a caso nel Cenacolo ha attualizzato la Passione, Morte e
Risurrezione di Cristo che temporalmente dovevano ancora accadere là dove si sarebbero concretizzati.
In tal senso l’Eucaristia “eucaristizza” tempi e luoghi per comunicarsi all’uomo.
Nell’Eucaristia anche noi siamo, in un certo senso, oltre il tempo, pur rimanendo ancorati alle nostre
coordinate storiche.

Attraverso l’Eucaristia si può in qualche modo influire nel passato? Sì e no. No, perché è volontà di Dio che
non si possa tornare indietro nel tempo. Eppure in un certo senso sì, perché si può agire nell’eternità: ogni
tempo, infatti, è sotto lo sguardo di Dio, che sa tutto e può agire anche “in vista” di ciò che sarà.

Gesù istituisce l’Eucaristia in anticipo sulla sua passione, morte e risurrezione.


Dopo l’Ultima cena gli Apostoli non avevano ancora la pienezza della fede, perché non sapevano della
risurrezione di Cristo, ma Gesù, che è la sostanza della fede, era con loro.
La salvezza, superando il tempo e lo spazio senza però negarli, e perciò, inserendosi nelle coordinate spazio
temporali degli eventi concreti con cui si manifesta nel mondo, assume una portata universale che, però, si
concretizza nel tempo e nello spazio della vita di ogni uomo che la accetta.

Dio non vuole modificare il tempo, ma può sempre modificare gli effetti sostanziali di certe azioni e di certi
atti, perché può agire nella sostanza dei cuori e nella sostanza del tempo.
Se alcuni santi si sono comunicati al Corpo di Cristo attraverso un’Ostia consacrata apparsa misticamente,
qualunque altra grazia, che dall’Eucaristia sorge e all’Eucaristia conduce, si può comunicare misticamente.

Il vero senso delle devozioni

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A volte i devoti di qualche pia pratica o di qualche santuario, anche sapendo che la loro devozione è solo uno
strumento per meglio mettere in pratica il Vangelo, possono di fatto cadere nell’errore di percepire la loro
devozione al pari del Vangelo.
Non si può negare che le devozioni sono utili, ma lo sono solo come un mezzo, come per bere lo è un
bicchiere, tra i tanti a disposizione (a ognuno il bicchiere più adatto a lui, anche se alcuni sono universali,
cioè sono raccomandati a tutti).

Perciò: se l’annunciare il Vangelo comprende, anche senza farne riferimento, il messaggio di una specifica
devozione secondo il suo autentico spirito, l’annuncio della devozione che omette quello del Vangelo, non
annuncia la salvezza.
Di conseguenza, chi vive il Vangelo beneficia, almeno in germe, dell’essenza di tutte le promesse legate alla
diffusione delle devozioni.

Infatti: chi crede e annuncia il Vangelo, crede e annuncia tutti i suoi aspetti e, di conseguenza, anche le
grazie legate alle devozioni che la Chiesa approva e permette, anche se non lo fa espressamente, mentre chi
annuncia solo una devozione, separandola, di fatto, dal contesto ecclesiale autentico, non annuncia né il
Vangelo, né la devozione.

Ciò nonostante, le devozioni sono utili per prendere avere una coscienza più profonda dl Vangelo e per
viverlo meglio nella sua essenza.

Tutto si ricapitola in Cristo e Chi ha Cristo ha tutto.


Perciò chi si vanta di qualcosa, “frammenta”, nel senso che separa questo qualcosa dal tutto che si ricapitola
in Cristo. E, frammentando, svilisce, e, poiché la verità è il tutto, il frammento è falsità.

Fede e devozione

In molti casi il valore che viene dato alle devozioni è, in un certo senso, quello che dovrebbe essere dato alla
pura fede. Cioè, a volte si possono vivere le devozioni un po’ come fossero esse la fede, mentre la fede si
vive in modo “devozionale”.

Spesso, infatti, si tende, quasi inconsciamente, a considerare che la fede, in quanto è per tutti, abbia sì valore,
ma fino un certo punto. Poi, basate sulla fede, ma che si ergono quasi sopra ad essa, ci sarebbero certe
devozioni, che vengono, se non dichiarate, almeno percepite, come solo per gli “iniziati”.
Cioè: la fede viene considerata, con un processo inconfessato ma vissuto di fatto, un po’come la scuola
dell’obbligo, mentre le devozioni come delle lauree. Ma non è così: e devozioni servono solo a sviluppare la
fede, e non la fede le devozioni!

Vale più una fede nuda e cruda che praticare delle devozioni con una fede, anche autentica, ma minore. Le
devozioni, infatti, se vissute rettamente, altro non sono che degli strumenti per rafforzare la fede, ma non
sono la fede.

Di fatto, la fede forte, che è sì credere, ma credere affidandosi senza riserve a Dio, ottiene tutti i benefici
delle devozioni e anche di più: a chi si fida totalmente di Dio, Dio dona TUTTO Sé stesso.
Le devozioni, quelle a cui siamo chiamati, aiutano proprio ad ottenere questo. E a ottenerlo in modo sempre
più forte.

Se avessimo il massimo della fede possibile, non avremmo bisogno di devozioni, in quanto basterebbe il
Vangelo, ma poiché non siamo puri spiriti, abbiamo bisogno di strumenti che si manifestano attraverso i
sensi e la materia e che vengano in aiuto a noi peccatori.
Abbiamo cioè bisogno delle devozioni che rientrano nei piani divini della salvezza.
Solo che le devozioni devono condurre al Cielo e non alla carne. Per questo occorre equilibrio.

Luoghi santi e tempi santi

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In un certo senso c’è poca differenza tra luoghi e tempi santi con la Terra Santa e gli eventi storici della
Redenzione.
Il devozionismo, cioè la falsa devozione che rende schiavi, può quasi far sembrare che il Mistero di Dio si
identifichi in dato luogo, o nella pratica di una devozione, o nel partecipare a un dato evento. Ma il mistero è
grazia, che si rende presente concretamente usando gesti, luoghi, eventi… per trasmettersi all’anima.

A Gerusalemme nel tempo della Pasqua di Gesù, luoghi ed evento coincisero, ma il Mistero è eterno e
sempre attuale, ed è il cuore dell’uomo a renderlo efficace.
In ogni caso, più ancora di un luogo santo, è santo un luogo in cui opera una comunità santa, in cui, cioè, la
grazia si manifesta con più efficacia.
Anche per questo il tempo è, in un certo senso, più dello spazio.

Se il piano di Dio già operante si manifesta sempre meglio lungo il corso dei secoli, l’uomo può realizzarsi in
relazione coi suoi tempi, cioè inserendosi in un cammino storico che culminerà con la fine dei tempi:
l’eternità caratterizza e realizza ogni tempo “riempiendolo” della sua pienezza.
E’ la santità che tutto realizza ed è l’amore che riempie i vuoti e travalica i limiti: chi ne è pieno, è realizzato.

Gesù e Maria vissero in tempi pieni di limiti in cui molto rimaneva da realizzare anche umanamente. Eppure
quel tempo rappresentava una pienezza che avrebbe riempito ogni tempo.
Sì, Gesù è Gesù e Maria è Maria, ma, pur nella loro situazione specialissima, si presentano come modelli
efficaci di vita.
Esistono tempi e situazioni migliori di altri, ma l’amore compendia tutto.

Nessuna grazia legata a luoghi, tempi, devozioni… riassume tutte le grazie, perché ognuna è originale,
eppure, in un certo senso, ogni grazia, anche se a modo proprio, riassume tutte le altre attraverso la grazia
santificante a cui è ordinata, cioè in Dio, che riassume e realizza tutto il bene.

Naturalmente per l’efficacia e lo sviluppo di grazie particolari come quelle legate a luoghi e tempi, e di
conseguenza della grazia santificante, molto dipende dalla risposta degli uomini.

La maternità di Maria

Secondo il Montfort, la grandezza della Madonna sarà, per opera di Dio, rivelata sempre meglio lungo il
corso della storia, in quanto il popolo cristiano non ne ha ancora piena coscienza.

Ma la grandezza di Maria non è una nuova dottrina: è Parola di Dio.


Maria, infatti, non solo ha partorito Gesù per opera dello Spirito Santo, ma è stata chiamata, sotto la Croce, a
divenire Madre della Chiesa, così come affermato dal Concilio Vaticano II.

Noi oggi siamo così abituati a trattare certe realtà spirituali, che non ci meravigliano più, ma per capire il
significato di certe espressioni occorre capire cosa significano per la Chiesa e per Dio stesso.
Soffermiamoci sinteticamente su alcune riflessioni in proposito.

Per la Bibbia la paternità e la maternità hanno un valore spirituale enorme, tanto che perfino uno dei 10
Comandamenti ordina di onorare il padre e la madre.
Inoltre Gesù dice che Dio è Padre, e si rivolge agli Apostoli con l’espressione “Figlioli” (Gv 21,5).
Gesù dice anche che chi fa la volontà di Dio è per lui fratello, sorella e madre.

Per capire un barlume di cosa significhi la maternità di Maria, basti pensare a cosa significa la genitorialità
spirituale nella Chiesa, come quella dei fondatori di ordini e congregazioni.

I francescani si sentono figli di Francesco e legati alla Regola francescana, ma molto più devono sentirsi figli
di Maria e legati e alla spiritualità mariana.

E cosa significa il Papa per la Chiesa? Essa è fondata su Pietro, eppure il Magistero della Chiesa dice che il
carattere petrino caratterizza la Chiesa di meno di quello mariano.

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La fede nelle rivelazioni private

Con dono della fede Dio si manifesta all’anima in modo soprannaturale, ma occorre che la fede venga
accettata dalla volontà e, poi, che venga “incarnata” vita dei fedeli.

Il credere in un miracolo o in una rivelazione privata, invece, non è conseguenza di una diretta “teofania” di
Dio nell’anima, ma consiste in una convinzione della ragione a qualcosa che la supera, ma che non può
essere escluso.
Così la grazia che si manifesta nelle rivelazioni private non va confusa con la grazia della Rivelazione
pubblica.

Di conseguenza, le rivelazioni private, rispetto alla fede, sono come la musica rispetto alla liturgia.
Come la musica si può integrare bene alla liturgia e farla vivere meglio, così le rivelazioni private possono
essere di aiuto alla fede.
Ma come la musica può essere totalmente omessa senza che la sostanza della liturgia cambi, così le
rivelazioni private possono essere omesse senza che il messaggio del Vangelo venga impoverito.

Dice la Bibbia: “Quale grande nazione ha dei così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi
ogni volta che lo invochiamo?” (Dt 4,7). Dio, perciò, si fa presente non grazie ai pellegrinaggi, alle
devozioni e a pratiche ascetiche, ma se lo invochiamo (con fede).
Allora a cosa servono le pie pratiche? A “ricordarci” di Dio, così come una foto fa ricordare la persona
amata. Non è la foto a produrre l’amore, ma il desiderio. La foto, però, può aiutare a ravvivare il desiderio.

San Giacomo scrive: “Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le
vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo” (Gc 1,27).
Vale più una “sillaba” di Vangelo, che 1.000 devozioni che NON sono il Vangelo, ma che, semmai,
procedono dal Vangelo e sono ordinate a realizzarlo.

Perciò le pratiche di pietà raccomandate dal Vangelo, come le opere di misericordia, che sono frutto
dell’amore e di una fede immune dalla contaminazione dal mondo, in se stesse sono più importanti delle
devozioni. Delle devozioni, infatti, se ne può fare a meno, ma delle opere d’amore no.

Le pie pratiche che tendono ad assumere il posto della fede, assomigliano alle opere di pietà che tendono a
fare a meno della verità, come le opere dovute al buonismo.
Perciò, dare importanza assoluta alle pratiche devozionali e ai luoghi santi, è falsa religiosità.
Gesù, citando la Bibbia, dice: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.
INVANO mi RENDONO CULTO, insegnando dottrine che sono precetti di uomini” (Mc 7,6-7).

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