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«Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette
parte Sancti Benedicti.»
9. A seguito della distruzione delle corti del Sud della Francia da parte dei
crociati, nascono in Sicilia movimenti poetici che si ispirano ai trobadorici
provenzali, che però compongono versi in dialetto locale: è il primo
esempio di poesia “laica” in volgare italiano. I testi, sfortunatamente, non
ci sono pervenuti nella lingua originale, ma nelle traduzioni dei poeti
toscani a loro successivi. I poeti della Scuola Siciliana nascono in un
contesto politico specifico: il regno degli Svevi sul meridione d’Italia, e
mentre l’Italia settentrionale aveva lottato per l’indipendenza dall’Impero
e l’aveva ottenuta, la Sicilia era il centro della corte imperiale di Federico
II Stupor Mundi. Palermo era il centro politico e culturale, dove lo stesso
Imperatore soggiornava per la maggior parte dell’anno. Era quindi
presente un clima di controllo politico ferreo, da parte delle autorità
centrali, ciò rendeva impossibile per i poeti e gli scrittori esprimersi in
pagine di critica o dichiarazione politica, come avveniva invece in Toscana.
Essendo oltretutto gli autori stessi, spesso, conestabili o cortigiani che
frequentavano le stanze del potere imperiale, sarebbe stata poco saggio
un atteggiamento del genere. Il tema trattato, dunque, rimane l’amore,
come nella lirica provenzale. Difatti è sempre amor cortese. Però i siciliani
compiono un passo avanti verso quello che sarà poi lo stilnovismo: la
situazione immaginata e raccontata dal poeta perde di ogni contatto dal
mondo reale; si ignorano tutti i riferimenti a luogo e tempo, la scena
sembra quasi rarefatta, priva di ogni concretezza e dunque con il “Mondo
della realtà”.
La poesia diventa un escamotage per fuggire dalla quotidianità, i poeti già
convivono con la realtà politica della corte, non desiderano per cui
comporre versi di carattere civile. Il trobare dei siciliani è semplice gioco:
un passatempo per aristocratici.
Celeberrimo autore siciliano della poesia siciliana è Iacopo da Lentini,
inventore del sonetto (Io m'aggio posto in core a Dio servire esempio di
amore sacro e divino, unito all’amore profano che il poeta prova verso la
donna). Il sonetto è un'invenzione dei siciliani, in particolare proprio di
Lentini. L’etimologia suggerisce già la musicalità della composizione
poetica in questione (suono→ sonetto, il che indica anche il legame con la
musicalità, per cui alcuni studiosi indicano che il sonetto sia nato come
evoluzione della canzone). Il sonetto è composto da quattordici
endecasillabi ed è diviso in due quartine (strofe da quattro versi) e due
terzine (strofe da tre versi).
Le quartine possono avere schema rimico alternato (ABAB, ABAB) o
incrociato (ABBA, ABBA). Le terzine presentano maggiore varietà e
possono essere alternate (CDC, DCD), incrociate (CDC, CDC), ripetute
(CDE, CDE) o invertite (CDE, EDC).
14. La raccolta delle poesie di Dante Alighieri “Le Rime” è un prodotto degli
studiosi moderni che riunisce i componimenti della produzione dantesca
dalla gioventù fino alla maturità. Le rime giovanili subiscono la forte
influenza dei suoi contemporanei Guinizzelli, Cavalcanti e financo
Guittoniana (Guittone d’Arezzo, poeta toscano di transizione). Ci sarà poi
un’evoluzione in Dante a seguito della morte di Beatrice, durante la quale
il poeta svilupperà una passione immensa per la filosofia, descritta nel
Convivio. Da questa fase nascono canzoni prevalentemente di carattere
stilnovista. Già all’interno dello stesso Convivio si possono osservare già
poesie di analisi di problemi morali, a questo consegue un abbandono
parziale dello stile dolce (tipico della poesia amorosa) e una scrittura più
aspra e sottile, analizza Contini (principale studioso delle rime dantesche.
Si può dedurre dai componimenti danteschi coevi o posteriori al Convivio
che il poeta osservasse e avesse una rigidissima tempra morale, che lo
portava a condannare ferocemente le azioni dei contemporanei.
Questo sarà un tema che ovviamente ritornerà nella Commedia.
Il periodo compreso fra la morte di Beatrice e l’esilio da Firenze
costituiscono un momento di grande sperimentazione per l’autore. Da un
lato preserva uno stile elevato ed elegante dei grandi componimenti
morali. Dall’altro, però, aderisce alla poesia comico-burlesca (cfr. grande
esponente Cecco Angiolieri). Famosissima in questo campo è la tenzone
con Forese Donati, scritta in linguaggio basso e villano. In questo periodo
Dante ha anche modo di conoscere la poesia trobadorica (Trobar clus→
Arnaut Daniel). Da cui si ispira per comporre le sue Rime petrose. In
queste poesie l’autore rilascia una grande carica erotica e romantica,
lontana dall’estasi stilnovista, i temi sensuali sono corroborati da una
ricerca di suoni aspri e forti.
A seguito dell’esilio, Dante, si lancia nelle canzoni allegoriche, spesso
dedicate alla giustizia, in chiaro riferimento al suo esilio ingiusto dalla città
natìa.
La visione, e di conseguenza la poesia di Dante, negli anni prossimi alla
sua morte si fa sempre più cupa. Si crea una visione apocalittica che si
esprime anche nella Commedia, dove la condanna verso i vizi dell’umanità
si fa sempre più centrale. Dante è dunque desideroso di pace e giustizia,
in un Mondo in cui la realtà sembra essere l’opposto dell’ideale paradisiaco
e divino che Dante propone nei suoi versi della Commedia.
Dante sostiene che l’avarizia, male per eccellenza, avrebbe distrutto gli
ideali e i valori della società cortese, già in declino.