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1.

A seguito della caduta dell’Impero Romano d’Occidente l’unità linguistica


dell’Europa venne progressivamente a mancare. Mentre a Oriente, era
sopravvissuta una forte realtà politica: l’Impero Bizantino, il greco
continuava a essere la lingua ufficiale, nei vecchi territori europei
dell’Impero, invece, ormai frammentati in piccoli regni, si svilupparono
nuove lingue, a seguito della fusione nella società fra abitanti latini e nuovi
venuti germanici. I nuovi regni in questione univano, dunque, la cultura e
l’apparato amministrativo romano, con costumi, leggi e mentalità dei
popoli germanici. Questa fusione, fortemente “incentivata” da fattori
politici, sociali ed economici esterni, diede vita a nuove forme di
espressione: le lingue volgari. Il latino rimase la lingua delle leggi, ancora
nell’Alto Medioevo, e della cultura, paragonabile dunque a quello che fino
all’ottocento era il francese o, in parte, oggi all’inglese; l’unica lingua
internazionale in cui i governanti e, soprattutto, i religiosi del Mondo
Cristiano si esprimevano in forma orale e scritta.
La genesi di queste lingue volgari avvenne per fattori sociali, motivati da
ragioni geografiche e climatiche, come il progressivo abbandono delle
campagne e la creazione di agglomerati urbani distanti gli uni dagli altri. Il
contatto, dunque, fra le comunità e i piccoli villaggi si perse. Da qui ne
discende che il Latino venne progressivamente dimenticato dalla gente
comune, in favore di idiomi dialettali che preservavano accezioni e
vocaboli latini, ma, nonostante questo. differivano in buona parte dalla
Lingua Madre. Questa frammentazione linguistica fu accentuata a tal
punto che fra valli o persino villaggi diversi l’idioma cambiava e aveva
fenomeni lessicali e fonetici differenti. Le lingue volgari sono dunque il
prodotto del Latino parlato (già di per sé differente al Latino letterario) e
delle nuove lingue (dette di superstrato, mentre il Latino viene definito di
sostrato). Il Latino dunque perderà sempre più importanza in favore di
queste nuove lingue. A un certo punto anche i documenti e gli scritti
inizieranno a essere redatti in volgare, e il Latino verrà riservato
all’esclusivo uso diplomatico-internazionale e, ovviamente, religioso: per
la celebrazione delle messe e delle funzioni in tutta l’Europa cristiana.
Solo alcune particolari produzioni scritte continuarono a essere redatte
esclusivamente in Latino, almeno nell’Alto Medioevo: i testi agiografici, i
testi o trattati storici, gli exemplum (racconto di vicende di esemplare
comportamento cristiano) e le cronache.

2. La Chiesa rimase l’unica istituzione culturale dell’Alto Medioevo, dopo la


caduta o dismissione di quelle pagane sia in Occidente che in Oriente,
come la chiusura della Scuola Classica di Atene, nel 529 d.C. da parte
dell’Imperatore Giustiniano. La figura del chierico inizia a coincidere,
dunque, con quella di intellettuale che si esprime sia oralmente che in
forma scritta, esclusivamente in Latino, lingua ufficiale della Chiesa.
Diventa dunque padrone di un patrimonio culturale vastissimo, ben più
ampio di quello che i signori feudali o persino i sovrani barbarici
possedevano. La cultura clericale costituisce, almeno fino all’undicesimo
secolo, la stragrande maggioranza della letteratura medievale, a parte
qualche rara eccezione, ed è in Latino. Alla popolazione comune i chierici
si offrono come intermediari per una fruizione della cultura, anche se con
scarso successo.

3. Testi scritti risalenti alla formazione delle lingue volgari (romanze, in


questo caso), sono molto rari, poichè durante i secoli di formazione (dal VI
al X) queste venivano utilizzate quasi esclusivamente in modo orale. I
primi esempi a noi pervenuti risalgono a dopo l’anno Mille, quando i
volgari si erano già evoluti. Nel caso del volgare Italiano i primi scritti,
sono molto antichi e risalgono a prima dell’anno Mille. Il primo esempio è
noto come Indovinello Veronese, risalente al IX secolo:

«se pareba boves


alba pratalia araba
et albo versorio teneba
et negro semen seminaba»

Il testo non è ancora un volgare “evoluto” ma un esempio primitivo,


ritrovato a Verona, appunto. E’ un chiaro “testo di transizione", dove gli
elementi lessicali e sintattici latini sono ancora chiaramente visibili.
Sono osservabili alcuni fenomeni linguistici che tracciano la linea di
demarcazione dal Latino, come la caduta delle m finali (album→ albo), e,
come nell’esempio, anche la trasformazione delle u in o.
D’altrocanto, del Latino sono rimasti la desinenza dell’accusativo maschile
plurale boves, e quelle dell’accusativo neutro plurale pratalia.
Un documento più recente è il Placito Capuano, risalente al 960. In tale
occasione, un giudice scrisse il verbale del processo (placito, in linguaggio
giuridico medievale) in Latino ma trascrisse letteralmente una
testimonianza nella lingua in cui venne pronunciata: il volgare.

«Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette
parte Sancti Benedicti.»

A livello linguistico si nota una grande demarcazione dal Latino, rispetto


all’Indovinello Veronese.

4. Nell’epoca compresa fra l’XI il XIII, in Francia si assiste a un nuovo genere


della produzione letteraria medievale, destinato ad avere grande
successo: la Chanson de geste. le Chansons (scritte in decasillabi e
costruite con assonanze) sono composte nel volgare parlato nel Nord della
Francia: la lingua d’Oil (dal modo in cui si diceva sì: oi, diventato poi oui),
in contrapposizione con la lingua volgare della Francia Meridionale: la
Lingua d’oc (dal Latino hoc, questo, ma anche sì affermativo), in cui
venivano composte le liriche trobadoriche. (Formazione→ Fronte e sirima,
volta e piede, congedo e chiave)
I testi narrano delle geste, atti eroici, compiuti dai grandi eroi della
tradizione carolingia, personaggi che rispecchiavano in modo esemplare gli
ideali della società cortese: nobiltà d’animo, misura e devozione. I
protagonisti dunque sono fatti risalire ai cavalieri palatini, che
frequentavano la corte di Carlo Magno, e le loro imprese sono azioni di
grande coraggio guerriero nelle guerre dell’Imperatore contro gli arabi o i
pagani dell’est. Gli ideali di crociata e guerra santa, molto sentiti nel
periodo in questione, vengono dunque trasposti e fatti propri dei cavalieri
di secoli prima; trasformando le loro battaglie (anche le sconfitte, cfr.
Roncisvalle 778) in grandiose azioni in difesa della cristianità, proprio
come i coevi crociati francesi, impegnati nelle guerre del Levante.
La trasmissione di queste canzoni avveniva oralmente, con spesso un
accompagnamento musicale, di uno o due strumenti, per dare il ritmo
della storia. Sembravano, dunque, gli antichi aedi greci che, con i loro
versi, trasmettevano e tramandavano le tradizioni guerriere achee della
guerra di Troia. Così loro fanno con le grandi imprese di Rolando in
Spagna: forniscono un esempio da seguire ai cavalieri che vanno alla
crociata, esattamente come Achille o Eracle erano i modelli degli opliti
ellenici. La trasmissione orale della tradizione guerriera diventa dunque
motivo di grande orgoglio e genera ardore e valore militare, tanto nei
soldati dell’antichità quanto in quelli del Medioevo.
I temi affrontati, in conclusione, sono dunque la lealtà verso il sovrano,
anche a costo della vita, come nell’esempio di Rolando, l’onore sul campo
di battaglia, la moderazione nello stile di vita e la pietà cristiana.
Esattamente come i poemi epici, gli episodi raccontati nelle piazze a un
vasto pubblico da un cantore, vennero poi raccolti in cicli e messi per
iscritto, mettendo le basi alla tradizione guerriera francese e europea in
generale, poiché le Chanson de geste, nata in Francia settentrionale si era
diffusa anche in Germania (Lied der Nibelungen) e in Spagna (el Cid
Campeador).

5. Il termine cortesia si riferisce ai luoghi in cui la letteratura volgare


alto-medievale si sviluppa: le corti. Le corti della Francia, frequentate da
menestrelli e giullari che cantavano in Lingua d'oil o d’oc, a seconda della
regione. Ciascuna delle due lingue divenne poi fucina di generi letterari
differenti (proprio come avveniva per le composizione in greco: lo ionico
era usato per i poemi elegiaci, per le composizioni corali, invece, si
scriveva in dorico o l’eolico). Per la prima le composizioni più celebri erano
le già citate Chansons de geste, per la seconda si annoverano le liriche
provenzali e i romanzi di genere cortese-cavalleresco. Cortese poiché si
sviluppano nelle corti della nobiltà francese e cavalleresco poiché avevano
come protagonisti cavalieri, personaggi di mondi che si potrebbero definire
fantasy. Nei romanzi i cavalieri partono all’avventura, che li allontana dal
sovrano e dalla donna amata, che però è irraggiungibile poiché di
lignaggio molto superiore o perché moglie dello stesso sovrano.
Il viaggio è dunque un modo per trovare sé stessi e la sua lealtà nei
confronti del sovrano e degli ideali della cavalleria.
Un esempio di romanzo cortese-cavalleresco è il celebre Ciclo Bretone,
raccolto da Chrétien de Troyes, i cui personaggi sono i molto famosi
Lancillotto, Re Artù e Ginevra, oltre che Mago Merlino, citato poi anche da
Dante come stregone per eccellenza nella mentalità medievale; questo
sottolinea il grandioso successo e la capillare diffusione di questo genere
letterario.
La lingua del romanzo è semplice e dolce, come l’amor cortese; ovvero
l’amore non corrisposto che il cavaliere prova nei confronti della sua
amata che però è irraggiungibile se non allo sguardo del cavaliere. Al
contrario della Chanson de geste, il cui pubblico erano spesso uditori
comuni nelle piazze cittadine, i romanzi cortesi sono riservati agli abitanti
delle corti, appunto; ovvero uomini dotati di coraggio e nobiltà d’animo
(gentilezza, sono gentiluomini, dal francese gentilshommes, ovvero nobili
di ogni tipo dai cavalieri ai grandi signori feudali, che però possono anche
diventare nobiles, grandiosi e nobili soldati a cavallo, fedeli al proprio
sovrano). E le donne delle corti sono le stesse dei racconti: bellissime e
irraggiungibili ai più. E’ chiaro che solo chi è cortese (abiti nelle corti),
possa amare finemente.

6. La letteratura cortese trova nella lirica provenzale la sua più alta


espressione. I versi composti in linguadoca dai trobadori sono incentrati
sull’amor cortese. I cavalieri e la guerra vengono messi in secondo piano,
le protagoniste indirette di queste opere sono le donne adorate dal poeta,
che usa i suoi scritti come ponte per raggiungerle, quantomeno con il
pensiero e la mente. La poesia diventa dunque un ponte per unire amante
e amata. Queste composizioni posseggono stilemi tipici che si ripetono
quasi formulari. Fra questi abbiamo il planh, sirventese molto frequente
(lunghi testi poetici aventi come tema un ragionamento, spesso polemico,
di natura politica o morale). I planh sarebbero dunque lunghi testi di
compianto nei confronti di un personaggio celebre dell’immaginario
cavalleresco. Il plazer, altro stilema tipico, è invece un elenco di cose
piacevoli e care all’autore, l’enueg, ne sarebbe dunque il contrario: un
elenco di cose fastidiose e sgradevoli.
La produzione dei trobadori (dal francese trobar, poetare), poteva essere
composta in due stili differenti: il trobar clus e il trobar leu, letteralmente:
“poetare difficile e poetare chiaro”. Il primo consisteva nella costruzione di
frasi molto artificiose e complesse, riservate alla ricezione di un pubblico
colto. Ebbe come suo massimo rappresentante Arnaut Daniel. Il coevo
Bernard de Ventadorn, invece, fu esponente della corrente del trobar leu,
un poetare più semplice e chiaro, scorrevole e dolce.
7. (cfr. testo dedito alle analisi)

8. Nel corso del duecento la Chiesa venne scossa da violenti cambiamenti e


infestata da nuove correnti, che spesso si tramutavano in eresie e nuovi
movimenti clericali, fortemente opposte alla Chiesa di Roma e al pontefice,
fra i quali si annovervano i catari, sterminati poi con ferocia inaudita dalle
milizie crociate. Questo processo di distruzione causò anche la disastrosa
perdita della letteratura in Lingua d’oc, salvata solo parzialmente dalla
nascita della Scuola Siciliana, di cui si parlerà in seguito. In difesa della
fede, oltre ai cavalieri crucesignati, nacquero nel corso del secolo XIII
nuovi ordini monastici come i domenicani e francescani (a Firenze i
francescani a Santa Croce e i domenicani a Santa Maria Novella). La loro
genesi avvenne in un momento di profonda crisi per il Mondo Cristiano:
un’Europa flagellata da guerre, eresie (di cui si è già parlato), soprusi e
disprezzo verso il debole e le istituzioni. Se i domenicani, che agivano
come emissari della fede presso le corti e le famiglie illustri, continuavano
una loro produzione letteraria in Latino, i francescani, più vicini ai villani,
si esprimevano e scrivevano in volgare. Lo stesso San Francesco produsse
scritti: Cantici, che predicavano l’Amore universale verso il prossimo e la
natura. Questo per un motivo di facile intuizione: dovevano essere scritti
fruibili al più vasto pubblico possibile. Le opere di Francesco ebbero
straordinario successo, infatti, e un’enorme diffusione in tutta Europa,
portando nuovamente in auge il messaggio universale della cristianità.
Un esempio celeberrimo degli scritti di San Francesco fu il Cantico di Frate
Sole, scritto in volgare umbro (Fioretti). E’ degno di nota che la stragrande
maggioranza delle opere religiose dell’Italia duecentesca vennero redatte
in questa lingua, essendo l’Umbria la patria dei Francescani. Era anche
umbro e francescano il più importante esponente della poesia a tema
religioso: Iacopone da Todi. I suoi versi evidenziano una forte personalità,
trasmessa nei versi cupi, ma vividi e animosi. I toni sono spesso profetici
e violenti. E’ considerato un pioniere dell’umanizzazione del motivo
religioso (crf. Donna de Paradiso), nell’ambito del contemptus mundi
(disprezzo del corpo), di cui era un fervente sostenitore.
Il linguaggio utilizzato da Iacopone da Todi è estremamente intenso,
infonde un pathos fervente nel lettore, oltre a essere estremamente
raffinato nonostante la natura del volgare umbro in cui scrive. Idioma
reputato per secoli rozzo, ma in realtà ricco di lemmi ereditati dal latino o
desunti dal provenzale.

9. A seguito della distruzione delle corti del Sud della Francia da parte dei
crociati, nascono in Sicilia movimenti poetici che si ispirano ai trobadorici
provenzali, che però compongono versi in dialetto locale: è il primo
esempio di poesia “laica” in volgare italiano. I testi, sfortunatamente, non
ci sono pervenuti nella lingua originale, ma nelle traduzioni dei poeti
toscani a loro successivi. I poeti della Scuola Siciliana nascono in un
contesto politico specifico: il regno degli Svevi sul meridione d’Italia, e
mentre l’Italia settentrionale aveva lottato per l’indipendenza dall’Impero
e l’aveva ottenuta, la Sicilia era il centro della corte imperiale di Federico
II Stupor Mundi. Palermo era il centro politico e culturale, dove lo stesso
Imperatore soggiornava per la maggior parte dell’anno. Era quindi
presente un clima di controllo politico ferreo, da parte delle autorità
centrali, ciò rendeva impossibile per i poeti e gli scrittori esprimersi in
pagine di critica o dichiarazione politica, come avveniva invece in Toscana.
Essendo oltretutto gli autori stessi, spesso, conestabili o cortigiani che
frequentavano le stanze del potere imperiale, sarebbe stata poco saggio
un atteggiamento del genere. Il tema trattato, dunque, rimane l’amore,
come nella lirica provenzale. Difatti è sempre amor cortese. Però i siciliani
compiono un passo avanti verso quello che sarà poi lo stilnovismo: la
situazione immaginata e raccontata dal poeta perde di ogni contatto dal
mondo reale; si ignorano tutti i riferimenti a luogo e tempo, la scena
sembra quasi rarefatta, priva di ogni concretezza e dunque con il “Mondo
della realtà”.
La poesia diventa un escamotage per fuggire dalla quotidianità, i poeti già
convivono con la realtà politica della corte, non desiderano per cui
comporre versi di carattere civile. Il trobare dei siciliani è semplice gioco:
un passatempo per aristocratici.
Celeberrimo autore siciliano della poesia siciliana è Iacopo da Lentini,
inventore del sonetto (Io m'aggio posto in core a Dio servire esempio di
amore sacro e divino, unito all’amore profano che il poeta prova verso la
donna). Il sonetto è un'invenzione dei siciliani, in particolare proprio di
Lentini. L’etimologia suggerisce già la musicalità della composizione
poetica in questione (suono→ sonetto, il che indica anche il legame con la
musicalità, per cui alcuni studiosi indicano che il sonetto sia nato come
evoluzione della canzone). Il sonetto è composto da quattordici
endecasillabi ed è diviso in due quartine (strofe da quattro versi) e due
terzine (strofe da tre versi).
Le quartine possono avere schema rimico alternato (ABAB, ABAB) o
incrociato (ABBA, ABBA). Le terzine presentano maggiore varietà e
possono essere alternate (CDC, DCD), incrociate (CDC, CDC), ripetute
(CDE, CDE) o invertite (CDE, EDC).

10. (cfr. testo dedito alle analisi)

11.Firenze è l’erede del nuovo movimento poetico nato in Sicilia a partire


dalla metà del XIII secolo è vero però che i fiorentini tenteranno il più
possibile di allontanarsi dalla lirica provenzale e siciliana, preferendo un
orientamento diverso. Fra gli esponenti più iconici della poesia fiorentina
troviamo Guido Cavalcanti (Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira),
Dante Alighieri e Lapo Gianni e anche il bolognese Guido Guinizzelli
(considerato il maestro di Dante, autore del Al cor gentil rempaira sempre
amore). Costoro si distinguono dai predecessori per la spiccata personalità
individuale, per cui è complesso inserirli in una scuola. E’ comune a tutti,
però, uno stile piano e limpido, dolce appunto. (Da qui il termine coniato
da Dante stesso Dolce stil novo canto XXIV Purgatorio). I contenuti della
poesia sostituiscono l’omaggio feudale alla dama, stilema tipico della
letteratura cortese, con una spiritualizzazione di questa, la donna diventa
quasi angelicata: diventa distributrice di salvezza, come un angelo
appunto. (cfr. alcuni spunti primitivi di questo tipo, sono già osservabili
nella poesia siciliana). L’introspezione dell’amante e il fervore
intellettualistico contraddistinguono lo Stilnovo. La prima esclude ogni
elemento della realtà, che, se nella poesia siciliano veniva rarefatto, qui
scompare del tutto. La corte nobile dei trobadori verrebbe sostituita, negli
ideali stilnovisti, sostituita idealmente non da un luogo terreno, appunto,
ma da un convivio di anime e spiriti puri ed eletti, bramosi di cultura
(intellettualismo→ inteso come ricerca filosofica), corroborato dal disdegno
verso i villani. Lo Stilnovo è dunque espressione esclusiva delle classi
dirigenti comunali, non più fondate sulla nobiltà di sangue (corte
provenzale) ma sulla sapienza e “altezza d’ingegno”. La nobiltà, dunque,
non si identifica più con la nascita, ma con la gentilezza d’animo che
consente di amare finemente (ovvero scrivere poesie d’amore e dunque
possedere ampia cultura).
Gli stilnovisti si contrappongono dunque alle corti feudali, rivendicando il
ruolo nella società comunale dei ceti emergenti che si scontrano con la
vecchia e decadente aristocrazia locale per raggiungere una posizione
egemone nella società.

12. Attraverso i secoli (dalle prime produzioni provenzali fino ai componimenti


stilnovisti), la poesia amorosa e la figura della donna mutano
sensibilmente. Quest’ultima, nella letteratura provenzale in Lingua d’oc
viene rappresentata in modo concreto, nonostante sia comunque
considerata un essere sublime e irraggiungibile. L’uomo si pone pertanto
in atteggiamento di inferiorità rispetto alla dama in questione, ponendosi
come servitore di questa. Come il cavaliere è al servizio del nobile,
l’amante deve servire l’amata. Il rapporto di fedeltà è, in qualche misura,
speculare dunque. L’uomo può innamorarsi della donna anche a seguito di
uno sguardo fugace, o, addirittura, senza averla mai vista.
La situazione di contorno alla storia, però, è reale: l’ambientazione è
quella di una tipica corte della piccola nobiltà della Francia meridionale.
L’evoluzione che porta da questo, fino allo Stilnovo, passa attraverso i
poeti della Scuola Siciliana che, come già detto, iniziano ad astrarre la
figura femminile dalla realtà. Il passo avanti dei poeti Toscani spinge in
questa direzione: tutta la connotazione reale e terrena della donna viene
perduta, si dimentica e viene considerata di scarso rilievo per il
componimento poetico. L’amore in questione è, dunque, adultero e
sempre inappagato. La donna dello Stilnovo non è solo rarefatta,
totalmente angelicata: estranea e lontana dal Mondo terreno, quasi dotata
di poteri salvifici. Di lei non si conosce neppure l’aspetto, che della donna
cortese ha tipicamente tratti ritenuti nobili: occhi azzurri e capelli biondi.

13. Osservare le pagine dedicate dal volume

14. La raccolta delle poesie di Dante Alighieri “Le Rime” è un prodotto degli
studiosi moderni che riunisce i componimenti della produzione dantesca
dalla gioventù fino alla maturità. Le rime giovanili subiscono la forte
influenza dei suoi contemporanei Guinizzelli, Cavalcanti e financo
Guittoniana (Guittone d’Arezzo, poeta toscano di transizione). Ci sarà poi
un’evoluzione in Dante a seguito della morte di Beatrice, durante la quale
il poeta svilupperà una passione immensa per la filosofia, descritta nel
Convivio. Da questa fase nascono canzoni prevalentemente di carattere
stilnovista. Già all’interno dello stesso Convivio si possono osservare già
poesie di analisi di problemi morali, a questo consegue un abbandono
parziale dello stile dolce (tipico della poesia amorosa) e una scrittura più
aspra e sottile, analizza Contini (principale studioso delle rime dantesche.
Si può dedurre dai componimenti danteschi coevi o posteriori al Convivio
che il poeta osservasse e avesse una rigidissima tempra morale, che lo
portava a condannare ferocemente le azioni dei contemporanei.
Questo sarà un tema che ovviamente ritornerà nella Commedia.
Il periodo compreso fra la morte di Beatrice e l’esilio da Firenze
costituiscono un momento di grande sperimentazione per l’autore. Da un
lato preserva uno stile elevato ed elegante dei grandi componimenti
morali. Dall’altro, però, aderisce alla poesia comico-burlesca (cfr. grande
esponente Cecco Angiolieri). Famosissima in questo campo è la tenzone
con Forese Donati, scritta in linguaggio basso e villano. In questo periodo
Dante ha anche modo di conoscere la poesia trobadorica (Trobar clus→
Arnaut Daniel). Da cui si ispira per comporre le sue Rime petrose. In
queste poesie l’autore rilascia una grande carica erotica e romantica,
lontana dall’estasi stilnovista, i temi sensuali sono corroborati da una
ricerca di suoni aspri e forti.
A seguito dell’esilio, Dante, si lancia nelle canzoni allegoriche, spesso
dedicate alla giustizia, in chiaro riferimento al suo esilio ingiusto dalla città
natìa.
La visione, e di conseguenza la poesia di Dante, negli anni prossimi alla
sua morte si fa sempre più cupa. Si crea una visione apocalittica che si
esprime anche nella Commedia, dove la condanna verso i vizi dell’umanità
si fa sempre più centrale. Dante è dunque desideroso di pace e giustizia,
in un Mondo in cui la realtà sembra essere l’opposto dell’ideale paradisiaco
e divino che Dante propone nei suoi versi della Commedia.
Dante sostiene che l’avarizia, male per eccellenza, avrebbe distrutto gli
ideali e i valori della società cortese, già in declino.

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