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Il Contributo italiano alla storia del Pensiero - Tecnica (2013)
di Roberto Masiero, David Zannoner
Le cupole e la scienza
Indubbiamente, la scienza delle costruzioni non può fare a meno dei processi
astrattivi che conducono all’autonomia della teoresi. Nel contempo, questa
scienza è intimamente legata alla sperimentazione e quindi a delle ragioni
empiriche. Quello che la scienza moderna cerca di mettere in atto è
l’unificazione di ciò che il mondo antico teneva diviso, cioè pensiero e
percezione sensibile, argomentazione logica e verificabilità empirica, ragione
ed esperienza. Lo fa proprio mettendo continuamente in relazione teoria e
prassi, senza pretendere che l’una risolva l’altra. Con la scienza delle
costruzioni la cupola diventa ‘calcolabile’ in quanto si ‘rappresenta’ come
semisfera; e questa dapprima è un ente geometrico, per poi diventare, con
René Descartes, un ente algebrico. Grazie alla geometria analitica, le figure
geometriche sono formulabili attraverso funzioni algebriche che non hanno
più bisogno di una rappresentazione grafica e i cui dati, inoltre, sono l’esito
di una ‘quantificazione’ sempre più precisa degli enti sottoposti ad analisi o a
manipolazione. Gli enti vengono tutti omologati come gravi, perdendo così il
loro carattere, la loro specificità, la loro sostanza. Una mela non è una pera,
ma ambedue hanno un peso. È su questa trasformazione degli enti in gravi
che può essere formulata la legge della gravitazione universale di Isaac
Newton. È anche per questo doppio registro, teorico e sperimentale, che si
potrà dire non solo che un determinato materiale è più resistente di un’altro,
ma anche, e con precisione, di quanto.
Una delle particolarità del modello di Neri era che prevedeva una struttura
architettonica piuttosto rara: le cupole erano infatti due, una all’interno
dell’altra. Possiamo trovare questa soluzione in edifici precedenti: nella
basilica di S. Vitale a Ravenna (6° sec.) e, ancor più, nel battistero di S.
Giovanni a Firenze (11°-12° sec.), che è una doppia cupola in quanto volta
ottagonale sormontata da un tetto piramidale in legno. Curiosamente, però,
l’esempio più simile si trova nella lontana Persia: è la tomba del sovrano
mongolo Khudābanda Öljeytü a Sulṭāniyya, eretta tra il 1307 e il 1313. Si
tratta di una struttura avente una luce paragonabile a quella fiorentina,
caratterizzata da costolature (sia verticali sia orizzontali) di collegamento dei
due paramenti, che hanno un parallelo evidente con gli ‘sproni’ e gli archi
interni della cupola di Brunelleschi (fig. 1). Inoltre, la presenza di elementi in
legno di pioppo – disposti radialmente con funzionamento a mensola e in
seguito tagliati sul filo d’intradosso della calotta, con il chiaro scopo di
sostenere locali impalcati provvisori – mostra con evidenza come la struttura
sia stata realizzata senza l’uso di centine.
Fig. 1
Dal punto di vista concettuale, l’idea di base nella costruzione di una volta
sferica, senza uso di centine, sta nel fatto di dotarsi, a ogni passo successivo
del processo d’innalzamento, di un anello orizzontale chiuso e continuo in
sommità. Questo anello funge da elemento di stabilizzazione del sistema, nel
senso che su di esso trovano equilibrio, sotto forma di compressione, e
secondo uno schema a simmetria assiale, le forze che tenderebbero a far
ruotare verso il basso gli infiniti ‘archi incompleti’ che si ottengono
sezionando la cupola, con piani verticali passanti per il suo asse centrale.
Il Pantheon è una cupola sferica del diametro di 43,3 m, che dispone sul
perimetro di appoggio di una muratura verticale dall’enorme spessore di 6,5
m, alleggerita con nicchie radiali. Certo, nella Firenze di Brunelleschi non
esiste né la possibilità di realizzare un volume sferico, né la disponibilità di
una massa muraria così consistente all’appoggio. Vi è però nel Pantheon
un’evidenza immediata: considerato che, anche in ragione del loro spessore, i
muri perimetrali non presentano aperture, aria e luce penetrano attraverso un
grande occhio zenitale, un foro circolare del diametro di 9 m, ricavato sulla
sommità della cupola. Quest’occhio rappresenta una prova diretta del fatto
che l’equilibrio necessario e sufficiente alla realizzazione senza centine
poteva essere realizzato anche su una struttura di così enormi dimensioni.
Mettendosi all’interno di Santa Maria del Fiore, a poca distanza dal portale
principale a circa 35 metri dal Battistero, dipinge su un piccolo pannello, in
prospettiva perfetta, utilizzando un piano pittorico costruito
geometricamente, tutto ciò che era visivamente contenuto entro la ‘cornice’
del portale della cattedrale: il Battistero e le vie adiacenti. […] Sostituì la
raffigurazione del cielo con un pezzo di argento brunito, uno specchio che
avrebbe riflesso in tempo reale le nuvole, gli uccelli e i cambiamenti intensi
della luce. Infine, praticò un foro della dimensione di una lenticchia nel punto
di fuga del dipinto, punto centrale all’orizzonte nel quale convergono tutte le
rette di fuga. Il pannello fu quindi pronto per la dimostrazione. L’osservatore,
posizionandosi a due metri all’interno del portale di Santa Maria del Fiore –
in definitiva nel punto esatto dove Filippo aveva eseguito il dipinto – doveva
girare il lato dipinto del pannello verso l’esterno e guardare attraverso il
piccolo foro. Nell’altra mano aveva uno specchio, tenuto alla distanza della
lunghezza del braccio, il cui riflesso (al contrario) mostrava l’immagine
dipinta del Battistero e della piazza San Giovanni. L’effetto era così realistico
che l’osservatore era incapace di dire se l’immagine attraverso il foro era
quella attualmente in corso dietro il pannello oppure una perfetta illusione di
quella realtà (King 2001, pp. 67-68).
Per misurare le distanze (tramite il metodo dei triangoli simili, ben noto
all’epoca) bastava mettere davanti alla tavoletta uno specchio parallelo e
della stessa forma, e calcolare poi quanta distanza serviva per inquadrare tutta
l’immagine: più lo specchio era piccolo e più lontano doveva essere messo.
Si poteva così stabilire un rapporto proporzionale costante tra immagine
dipinta e immagine riflessa nello specchio (misurabile in tutte le dimensioni),
e calcolare la distanza tra gli oggetti reali (il vero battistero) e il punto di
osservazione, tramite un sistema di proporzioni. Quindi si poteva disegnare
una sorta d’intelaiatura prospettica utile alla rappresentazione artistica, e
inoltre era dimostrata l’esistenza del punto di fuga verso il quale gli oggetti
rimpicciolivano.
L’impresa pretende l’ingegno, e questo si mette in opera con l’astuzia, per far
sì che la natura agisca a comando e diventi calcolabile. Il cantiere di S. Maria
del Fiore era governato da Brunelleschi, si racconta, con assoluta
determinazione e controllo. Vi lavoravano circa 300 operai, e il suo indotto
esterno coinvolgeva tutti gli artigiani presenti nel comune di Firenze. Vi si
potevano ammirare macchine aventi diverse funzioni, alcune ‘inventate’
dallo stesso Brunelleschi.
Brunelleschi, tra l’altro, inventò una delle macchine più celebri del
Rinascimento: un argano azionato non da uomini, ma da buoi. Una macchina
mai vista prima. L’aspetto tecnologicamente significativo era che permetteva
ai buoi di girare sempre dalla stessa parte, mentre l’andamento degli argani
poteva essere reversibile. La variazione del senso di marcia era effettuata per
mezzo di un dispositivo a vite senza fine, a filettatura elicoidale. A seconda
del senso dell’avvitamento, sollevava o abbassava il rotore di molti
centimetri, azionando l’una o l’altra delle ruote orizzontali con i pioli del
subbio grosso, il più grande dei tre tamburi della fune. Così, un solo bue
poteva sollevare un peso di 450 kg, a una altezza di 60 m, in 30 minuti.
L’altra impresa e l’altra macchina (le due questioni stanno assieme) riguarda
il sollevamento della lanterna alla fine della costruzione della cupola. La
lanterna permette di chiudere la cupola, portando nel contempo la luce
all’interno. Essa assume anche una connotazione retorica: chiude la
costruzione verso il cielo; la rende in modo più evidente il centro di una
spazialità urbana diffusa; permette di ribadire, grazie a colonne, capitelli e
cornici delle finestrature, un determinato linguaggio architettonico, oggi si
direbbe uno stile. La lanterna si era già vista, per es., nelle cupole della
basilica di S. Marco a Venezia, nella cattedrale di Saint-Front a Périgueux e,
pochi anni prima, nel 1420, nella Yeşil Cami (moschea verde) di Bursa in
Turchia. Dopo la messa in opera della lanterna di Brunelleschi, peraltro
prevista anche nel progetto di Neri, tutte le cupole che disegneranno i cieli
delle città europee useranno questo stratagemma.
La volta sferica, una tra tutte, non richiede armatura: poiché essa non è fatta
soltanto d’archi ma anche di anelli sovrapposti; e non è possibile immaginare
fino a che punto gli uni e gli altri risultino reciprocamente collegati in
innumerevoli intersezioni ed angoli uguali e diseguali, sicché in qualunque
punto della volta si ponga una pietra, ci si accorgerà di aver posto con essa un
concio appartenente ad innumerevoli archi ed anelli. […] E una volta che si
siano costruiti gli anelli uno sull’altro, e allo stesso modo gli archi, anche
facendo l’ipotesi che la costruzione voglia crollare, non si vede da che parte
potrebbe cominciare (Di Pasquale 2002, p. 170).
Una volta resa manifesta la necessità di procedere alla costruzione senza uso
di centine, egli tenta di ricostruire a Firenze le condizioni di stabilità, in fase
costruttiva, che sono apparse un’evidenza ai suoi occhi nel caso del
Pantheon.
Fig. 2
Fig. 3
Nel caso della cupola di S. Maria del Fiore, gli espedienti di Brunelleschi
hanno consentito di evitare questo comportamento. Le fessure principali
procedono qui su linee meridiane presso la mezzeria delle vele soprastanti i
pilastroni. Rappresenta un vantaggio, in questo senso, il fatto che le vele
abbiano, in mezzeria, una sezione indebolita, corrispondente alla minima
dimensione, in chiave, degli archi disposti sui paralleli.
Abbiamo già mostrato che nella costruzione delle cupole italiane, a partire
dal Rinascimento, si assiste a una conferma di come i processi di definizione
delle teorie strutturali vengano anticipati nella forma dell’intuizione statica.
Fig. 4
A oltre 150 anni dal completamento della cupola di S. Maria del Fiore,
questa, di luce lievemente superiore a quella che si sarebbe dovuto costruire a
Roma, imponeva la propria ingombrante presenza come prova diretta della
realizzabilità dell’impresa. Nonostante ciò, nella cupola di S. Pietro i risultati
costruttivi di Brunelleschi vennero in parte disattesi. L’evoluzione del
progetto mostra infatti una sorprendente serie di incertezze in merito alle
scelte strutturali.
Fig. 5
Questo schema sarà anche alla base del progetto della chiesa di S. Maria della
Consolazione a Todi, costruita con il contributo prima di Cola da Caprarola,
poi di Baldassarre Peruzzi e di Antonio da Sangallo il Giovane. Anche lo zio
di quest’ultimo, Antonio da Sangallo il Vecchio, utilizzerà la pianta centrale
per uno dei capolavori del Rinascimento, la chiesa di S. Biagio a
Montepulciano.
Borromini è uno degli ultimi interpreti […] di una tradizione ben nota alla
storia della geometria, che affonda le proprie origini in età romana,
sopravvivendo per secoli all’intero medioevo e all’età rinascimentale: la
cosiddetta ‘geometria operativa’ usata da agrimensori, navigatori, artisti e
costruttori, fatta di metodi senza alcuna dimostrazione, talora di semplici
ricette visive che fanno a meno del calcolo, e che quando ammettono il
calcolo indulgono volentieri ad approssimazioni anche grossolane,
indispensabili a fini pratici (p. 24).
Ciò non significa affatto che la religione deve trovare altri linguaggi per
esprimersi nell’architettura, ma che deve anch’essa sapersi misurare con una
‘ragione’ rappresentata dalla potenza del passato, e che tale potenza non è in
sé solo religiosa. Questa sintesi avviene in due basiliche veneziane progettate
da Palladio, S. Giorgio Maggiore (1565) e il Santissimo Redentore (1577). In
particolare, in quest’ultima chiesa accade che la cupola con la sua imponenza
ottenga sul piano della percezione ottica, anche per il fatto di dover essere
osservata dalle Zattere (ovvero dal lato opposto del grande canale della
Giudecca), la sintesi tra tipologia a croce latina e a croce greca, tra il
linguaggio dell’antichità e quello della modernità.
Guarino Guarini
Questo aspetto appare ancora più marcato nel progetto (1668) per la cappella
della Sacra Sindone all’interno del duomo di Torino, in cui Guarini riprende
il tema dell’arco, proponendone un nuovo ruolo strutturale e una nuova
modalità di utilizzo nell’ambito della costruzione di una cupola. La struttura
si costituisce qui come sovrapposizione di gruppi di sei archi, disposti in
verticale, sui lati di un esagono regolare. La distanza tra due lati contrapposti
dell’esagono interno è di poco inferiore a 14 m, mentre l’altezza interna della
cupola corrisponde a circa 9,5 m. Ogni livello è ottenuto da quello inferiore,
con una rotazione di 30°, in pianta, che porta la sezione d’imposta di ciascun
arco a trovare appoggio sulla sezione in chiave dell’arco sottostante. A ogni
livello le spinte alla base degli archi si equilibrano a vicenda, lasciando libera
unicamente una componente radiale, che viene assorbita per mezzo delle
catene orizzontali, presso la base di ogni arco. La struttura della cupola è
completata da 12 costoloni meridiani, che intersecano gli archi ai vari livelli,
presso l’imposta e sulla sezione in chiave, sotto la quale si inseriscono con un
modiglione.
La cupola romana si mostra del resto meno efficiente, dal punto di vista del
comportamento statico, rispetto a quella di Brunelleschi. Questo appare
evidente confrontando i valori probabili delle azioni strutturali sulla sommità
del tamburo nei due casi. La cupola di S. Maria del Fiore, dal peso
complessivo di 290 MN (meganewton), esercita alla base una spinta radiale
di circa 210 kN/m, mentre quella di S. Pietro, pur gravando con un carico di
190 MN, determina una spinta di ben 290 kN/m. Questa differenza
prestazionale spiega il progressivo aggravarsi delle lesioni sulla cupola
romana: lesioni che, a partire dagli ultimi decenni del 17° sec., suscitarono
una crescente preoccupazione e un intenso dibattito in merito alla ricerca dei
possibili rimedi.
Cosciente di questo clima culturale, nel 1742 papa Benedetto XIV chiese
l’intervento di tre dei più importanti matematici dell’epoca, Thomas Le Seur,
François Jacquier e Ruggero Giuseppe Boscovich, il cui Parere venne
presentato l’8 gennaio 1743.
Si tratta di un documento di grande interesse scientifico, perché introduce,
nell’ambito di un problema di sicurezza strutturale, procedimenti di calcolo
fondati su un approccio di tipo matematico: il teorema dei lavori virtuali
viene impiegato determinando una prima stima delle spinte radiali alla base
della cupola, e si esegue un calcolo della forza agente su eventuali anelli
cerchianti, da introdurre allo scopo di contenere questa stessa spinta.
Nell’applicazione del teorema vengono descritti due cinematismi limite, che
considerano la presenza di ‘cerniere’ alla base del tamburo, sulla sommità
dell’attico e in corrispondenza della lanterna. Il primo cinematismo considera
rigido il collegamento tra contrafforti e doppie colonne sul tamburo,
assumendo che queste due componenti possano ruotare come un unico
concio, mentre nel secondo, meno conservativo e più realistico del primo, si
considera l’elevato livello di fessurazione presente in questa regione della
cupola, assumendo che i due elementi debbano ruotare come conci separati.
In seguito, anche Giovanni Poleni mostrerà il convincimento che la cupola, a
partire dall’attico e dal tamburo, per effetto della fessurazione, fosse stata
ripartita in spicchi, e che tali spicchi avessero subito un cinematismo, con
attico e tamburo che ruotano verso l’esterno e cupola che ruota verso
l’interno.
Il Parere non riporta nel dettaglio i calcoli svolti, né offre una descrizione
esaustiva delle ipotesi formulate. È possibile però, alla luce della moderna
teoria strutturale, cercare un’interpretazione dei risultati ottenuti. Questo tipo
di valutazione può in qualche modo spiegare il forte allarme che traspare nel
Parere: i suoi tre autori propongono di rinforzare la cupola con ulteriori
cerchiature, ma anche con l’irrigidimento dei contrafforti e con incrementi di
peso sul tamburo per contrastare le sollecitazioni. È la prima volta che la
necessità di un rinforzo viene determinata con procedimenti scientifico-
matematici.
Come Le Seur, Jacquier e Boscovich, anche Poleni non rese esplicite, nei
suoi scritti, alcune determinazioni di grande importanza, come la spina
radiale alla base della cupola. È però interessante osservare come questo dato
sia immediatamente disponibile nei risultati che descrive. La spinta è infatti
semplicemente la componente orizzontale del vettore della forza, relativo alla
funicolare dei carichi, presso la sezione d’imposta della cupola. Il valore che
emerge da questa valutazione diretta, non esplicitata da Poleni, corrisponde a
circa 300 kN/m. In realtà, nei termini di una teoria moderna si deve
riconoscere come la spinta corretta corrisponda al valore minimo tra quelli
associati a tutte le possibili configurazioni staticamente ammissibili. Poleni,
invece, analizza un’unica funicolare, ma l’errore che commette è
relativamente piccolo, oltre che a favore della sicurezza, perché deriva
unicamente dall’arbitrarietà con cui egli ha fissato il passaggio della
funicolare sul baricentro della cupola, all’imposta e in corrispondenza della
lanterna. È possibile che la differenza tra questa determinazione e quella che
deriverebbe dal portare sino in fondo il modello di calcolo dei tre matematici,
di tipo cinematico, abbia sorpreso Poleni.
In ogni caso, anche se nei suoi scritti non compare esplicitamente un calcolo
degli anelli di rinforzo, egli: a) scelse, con Vanvitelli, di adottare cerchiature
per assorbire la spinta non equilibrata, argomentando correttamente che la
cerchiatura può conferire resistenza aggiuntiva come la catena in un arco; b)
portò così sul tamburo un carico prevalentemente verticale; c) eliminò di
fatto la partecipazione del tamburo, difficile da analizzare per la sua articolata
geometria, al problema della sicurezza strutturale, giustificando così la scelta
di limitare lo studio della funicolare alla sola cupola.
Una conferma dell’efficacia delle scelte strutturali adottate e della possibilità
che il significato di queste scelte, nei termini di una determinazione
scientifico-matematica, facesse già parte dei risultati che Poleni aveva
raggiunto, deriva dal controllo della resistenza offerta dalle cerchiature
introdotte, attraverso un calcolo del tutto immediato. Poleni, infatti, propose
inizialmente l’introduzione di 5 anelli cerchianti (in posizioni da lui indicate
con A, B, C, D, E: cfr. fig. 6), aventi sezione di 9,1×5,6 cm. Di questi anelli,
due furono collocati nella regione della cupola che si trova immediatamente
sopra il tamburo. Nella stessa regione vi sono 2 cerchiature esistenti (n e u, di
sezione 6,0×4,0 cm).
Fig. 6
Considerazioni finali
Il fatto è che per tutta la modernità si dà ancora il primato della prassi sulla
teoria: la trattatistica architettonica, prima della nascita di un’editoria
dedicata all’arte del costruire, svolge una valenza teoretica solo in quanto
ragionamento attorno al linguaggio o ai linguaggi dell’architettura. Soltanto
con molta fatica avviene quel processo di matematizzazione del reale che
permette la formulazione di leggi universali e quindi un’assoluta autonomia
della teoresi e lo sviluppo della scienza moderna. L’architettura viene
considerata come ‘figura’ del cosmo, del potere, della natura, e quindi viene
considerata linguaggio, e solo funzionalmente costruzione. La costruzione
(come in generale la tecnica) sino alla fine del Settecento sarà considerata un
semplice mezzo per un fine.
In secondo luogo, ci si chiede perché l’Italia sia (al di là del mondo islamico)
il luogo in cui si è più diffusa la costruzione di cupole nell’architettura
religiosa, e perché proprio in Italia nascano i primi ‘lemmi’ del linguaggio e
delle logiche della scienza moderna, in particolare con Leonardo e Galilei. Si
può rispondere ribadendo che in età rinascimentale dall’Italia emerge una
forte volontà di matrice religiosa per un’universalizzazione astratta, e che, in
sintonia con questo processo di universalizzazione, il rapporto con il passato
che si ‘rinnova’, con l’Umanesimo, produce techno-loghíe.
Infine, ci si chiede come questo intreccio tra le figure (nel nostro caso quella
della cupola) e la scienza (le scienze) si diffonda in Europa, e in che modo il
‘mondo’ delle cupole (con il suo immaginario, ma anche con i suoi cantieri)
si offra alla teoresi scientifica. Il predominio nel resto dell’Europa
dell’architettura gotica, e quindi di una logica costruttiva sommamente
empirica, legata alla stereotomia e ai procedimenti della geometria operativa
o della practica geometriae, si traduce nel tentativo di ‘incarnare’ una
dimensione simbolica in chiave teologico-cosmogonica. L’Umanesimo, o ciò
che chiamiamo modernità, interrompe questa unità, la dichiara presunta, e
apre alla secolarizzazione, che verrà progressivamente accolta dalla cultura
francese, da quella inglese e da quella tedesca. Ci si rivolge alle cupole per
accettare questa rottura e per provare a liberarsi della ‘inclusività’ che l’arte
gotica pretende, e persino per esprimere in modo diverso l’idea stessa di
potere.
Questi, infatti, nella cattedrale di Saint Paul a Londra (iniziata nel 1675)
riprende il progetto di Saint-Denis, pur confrontandosi con Saint-Louis des
Invalides e con il tema delle ‘tre cupole’ di Hardouin Mansard. Al centro
della navata concepisce una cupola formata da tre strutture: una semisfera
interna in muratura, un cono intermedio, ancora in muratura, che sopporta il
peso della lanterna, e una cupola esterna a centine in legno rivestita di lastre
metalliche. La cupola interna risulta così soggetta al solo peso proprio, ed è
strutturalmente autonoma dalle altre due; il cono sostiene la lanterna e la
cupola lignea esterna, con il risultato di rievocare la maestosità delle cupole
parigine e di S. Pietro. Wren non ricorre alla concezione di Michelangelo o di
Brunelleschi di una cupola con struttura portante unitaria, poiché solo in quel
modo avrebbe potuto ottenere il risultato voluto di una proporzionata cupola
interna e una slanciata cupola esterna, ben più alta.
Sarà solo nel 18° sec., con la divulgazione dei trattati sull’arte del costruire
che facevano riferimento alle nuove conoscenze scientifiche, che il bagaglio
di nozioni del costruttore inizierà ad arricchirsi. Le riflessioni attorno alle tesi
di Galilei relativamente alla frattura dei materiali porteranno
progressivamente alla tabulazione dei risultati sperimentali utili al
dimensionamento delle strutture e alle prime trattazioni sull’equilibrio delle
stesse. È in questo periodo che si manifesta un crescente interesse, da parte
dei matematici, per la ricerca di curve che possano risolvere per via
geometrica problemi di natura costruttiva. I primi elementi per una vera e
propria teoria statica degli archi e delle volte furono definiti da de La Hire e
da Claude Antoine Couplet. Ai loro studi si collegano quelli di Bernard
Forest de Bélidor, il cui sistema grafico-analitico sarà largamente impiegato
fino alla fine del 18° sec., quando, grazie agli studi di Charles-Augustin
Coulomb e di Lorenzo Mascheroni, sarà individuato il nuovo meccanismo
flessionale.
Bibliografia
Lo specchio del cielo. Forme significati tecniche e funzioni della cupola dal
Pantheon al Novecento, a cura di C. Conforti, Milano 1997.
A. Becchi, F. Foce, Degli archi e delle volte. Arte del costruire tra meccanica
e stereotomia, Venezia 2002.