mille dolci nodi gli avolgea, e ’l vago lume oltra misura ardea di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi; e ’l viso di pietosi color’ farsi, non so se vero o falso, mi parea: i’ che l’esca amorosa al petto avea, qual meraviglia se di subito arsi? Non era l’andar suo cosa mortale ma d’angelica forma, et le parole sonavan altro che pur voce humana. Uno spirto celeste, un vivo sole fu quel ch’i’ vidi: et se non fosse or tale piagha per allentar d’arco non sana.
"Erano i capei d'oro e l'aura sparsi" è il novantesimo sonetto della raccolta di
pensieri del Canzoniere di Petrarca, si presenta con due quartine e due terzine composte rispettivamente da rime incrociate e rime in forma sciolta. Dall'altisonante primo verso del componimento petrarchesco emerge immediatamente il gioco onomastico che il poeta pone tra il nome Laura, la donna amata, e l'aura favorendo così un'enfatizzante e iperbolica allusione nascosta. Nel sonetto ritorna la figura della donna angelo che, contrariamente a quanto viene rimato da Dante, non richiama caratteri stilnovistici bensì si pone come un'immagine lontana e rapida, una vera e propria rievocazione nostalgica dai ricordi intensi ma offuscati dal tempo trascorso. Il ritratto di Laura appare quasi contraddittorio nelle parole di Petrarca, ciò lo spiega lo stesso pensiero del poeta che vede la natura angelica della donna come un fiore destinato a seccarsi poichè imprescindibile dallo scorrere degli anni, perfino un'anima celeste è destinata ad essere limitata nella caducità delle cose terrene. Il tutto viene ancor più evidenziato dal costante dubbio, da parte del poeta, di una natura illusoria e di una realtà confusa dal ricordo. Lo stesso "parea" assume un significato differente rispetto a quello dantesco. Se al primo significato, infatti, attribuiamo il sembrare al secondo l'apparire e, da ciò, tutto torna a ricalcare i meandri della mente e la preziosità che Petrarca da al ricordo piuttosto che alla realtà oggettiva di quello che gli si presenta davanti agli occhi. Vi è quindi una differenza sostanziale tra la donna-angelo dantesca e quella di Petrarca, una differenza che consiste nel dinamismo della seconda per una staticità della prima descritta sempre come eterea e "immortale". Per Petrarca invece è l'amore l'elemento mitico e indistruttibile. Il ritorno e l'elogio al passato non conducono però il poeta ad un affievolimento amoroso, Petrarca, infatti, continua ad amare Laura incondizionatamente, seppur l'aspetto dell'amata muterà modificandone la bellezza e la grazia, egli nutrirà il suo innamoramento poichè " una ferita provocata da una freccia non guarisce nemmeno se si allenta la corda dell'arco che l'ha scagliata". Il gioco equilibrato e simmetrico tra presente e passato racconta l'evoluzione della vita del poeta e del suo amore per Laura, descrivendo come erano i suoi sentimenti al principio e l'aspetto fisico dell'amata con l'avanzare del tempo, infatti, Petrarca pone un' idea quasi utopica d'amore eterno, un' iperbole morale che si scontra con qualsiasi realtà del divenire incessante. Tutto a dimostare la cecità dell'amore, questo concepito proprio come un "omnia vincit amor" che non rende conto alle minuzie e alla superficilità andando oltre ciò che è possibile vedere trasformando in divino ciò che è imperfetto. Non è un corpo stanco che annulla il desiderio, il sonetto vuole trasmettere l'immortalità di due anime amanti e quanto la morte possa essere un fattore certo e potenzialmente trascurabile quando si dona se stessi all'altro. Si può ammetere della religiosità in quanto detto; per Petrarca la donna amata è una figura desiderata ma distaccata e il ricordo vivido la rende ancora più astratta differentemente da Boccaccio che analizza l'amore come un sentimento prettamente terreno conferendogli il limite dell'esistenza e dunque della mortalità. "Erano i capei d'oro e l'aura sparsi" presenta stilisticamente una sintattica selezionata e tradizionale con tendenze stereotipali, le immagini metaforiche riprendono convenzionalità. L'utilizzo delle figure retoriche, invece, ha l'obiettivo di conferire al testo un caratteristico tono morale di grande enfasi e vigore con sfumature particolari e indispensabili. Esaustive sono le metafore (es. v1. d'oro; v.3 ardea; v.7 esca amorosa...) ma anche le allitterazioni della "c" e della "l" donano una maggiore fluidità al testo. Nell'antitesi vv. 9-10 “Non era l’andar suo cosa mortale,/ ma d’angelica forma” inoltre, possiamo riconoscere uno dei messaggi cardine che il poeta vuole trasmettere; il distacco tra anima e corpo. Il componimento connota positività in quanto i limiti dell'essere perdono di finalità quando questo si innamora garantendo così un' immortalità dolce e serena che solo la forza dell'amore, incurante del tempo e dello spazio, è in grado di donare. Evidenziando poi gli aspetti del dissidio interiore petrarchesco si può tener presente che l'amore non sia altro che fede verso Dio, quel messaggio di speranza e quell'eternità che solo Dio può darci in cambio della nostra devozione.