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ANGELO MANGIAROTTI

INDICE

1- Introduzione
2- Biografia
3- Architettura\ Scultura
4- Design
5- Il Linguaggio della materia e la Sperimentazione tecnologica
6- La Flessibilità e la Reversibilità
7- Orologi Section
8- Chiesa Baranzate
9- La casa a 3 cilindri
10- Cub8 e In/Out
11- Stabilimento Armitalia
12- Stazione Milano Certosa
13- Sedia Chicago
14- Sedia Clizia
15- Monumento ai caduti sul lavoro
16- Conclusione
INTRODUZIONE
Angelo Mangiarotti è stato uno dei grandi protagonisti della cultura italiana del Novecento, architetto,
urbanista, designer e scultore, ha svolto un’intensa attività di docenza presso università italiane e
straniere per trasmettere la propria idea e il proprio metodo, influenzando generazioni di architetti e
designers di tutto il mondo.
Credeva in un'arte pratica, sobria e funzionale, così come il disegno industriale che era per lui
espressione di manualità artigianale.
Mangiarotti è stato capace di fare propri gli ideali del movimento moderno e superarli con un’opera
sperimentale del tutto originale.
Fa proprie l’insieme di teorie e di esperienze d'avanguardia tese al rinnovamento dei caratteri, della
progettazione e dei principi dell'architettura, dell'urbanistica e del design sviluppatesi in quel
determinato momento storico.
Aveva una visione chiara, pulita e assolutamente all'avanguardia per il suo momento storico,
improntato principalmente sulle innovazioni industriali.
Egli è stato capace di esaltare l'aspetto sensuale degli oggetti attraverso la giusta scelta dei materiali,
la sua sensibilità intuitiva e fortemente espressiva.
Oltre al disegno industriale, ciò che lo ha reso noto in tutto il mondo, più dell'architettura rivolta agli
edifici abitativi, è l'architettura legata alle infrastrutture e all'urbanistica, nonché all'ingegneria
strutturale.
Ricerca il disegno, considerato come strumento di lavoro con cui mettere a fuoco problemi e
individuare soluzioni.
Cominciò ad occuparsi di prefabbricazione per “migliorare la qualità architettonica delle fabbriche in
cui decine di migliaia di persone avrebbero lavorato”.
Oltre che per le sue attività principali, Mangiarotti è noto anche come scultore. La sua passione per la
scultura lo influenza molto nei suoi ultimi 20 anni di carriera di progettista, nonché per essere uno dei
fondatori dell'ADI - Associazione per il Disegno Industriale: il più antico e importante ente legato al
disegno industriale.
Obiettivo della sua ricerca, condotta sempre nel rigoroso rispetto delle caratteristiche della materia, è
la definizione della forma dell’oggetto come qualità della materia.

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BIOGRAFIA
Angelo Mangiarotti è stato uno dei grandi protagonisti della cultura italiana del Novecento.
Nacque a Milano il 26 febbraio del 1921.
Dopo aver conseguito la laurea presso il Politecnico di Milano nel 1948, Angelo Mangiarotti, si avvicinò
agli ideali del Movimento Moderno.
Negli anni 1953-1954 svolse attività professionali negli Stati Uniti partecipando, tra le varie attività, al
concorso per il "LOOP" di Chicago. Durante questo periodo di permanenza all’estero conobbe Frank
Lloyd Wright, Walter Gropius, Mies van der Rohe e Konrad Wachsmann.
Mangiarotti affiancò all’attività professionale un’intensa attività didattica svolta in alcune delle
Università italiane ed estere più prestigiose per trasmettere la propria idea e il proprio metodo,
influenzando generazioni di architetti e designers.
Tra il 1953-1954 fu visiting professor all’Institute of Design dell’Illinois e Institute of Tecnology a
Chicago; nel 1963-1964 tenne un corso all’Istituto Superiore di Disegno Industriale di Venezia; nel
1970 fu, invece, visiting professor all’University of Hawaii; nel 1974 all’Ecole Politecnique Fédérale di
Losanna, nel 1976 all’Univesity of Adelaide e al South Australian Institute of Technology di Adelaide.
Nel 1982 divenne professore a contratto presso la Facoltà di architettura di Palermo e nel 1983
professore supplente presso la cattedra di Composizione alla Facoltà di Architettura di Firenze.
Tra il 1989 e il 1990 svolse l’attività di docente a contratto presso la Facoltà di Architettura di Milano
e nel 1997 invece divenne docente a contratto presso il corso di laurea in Disegno Industriale della
Facoltà di Architettura del politecnico di Milano. Tenne numerosi seminari e conferenze a livello
internazionale.
Nel 1955 di ritorno dagli Stati Uniti aprì uno studio a Milano con Bruno Morassuti, con cui, in seguito
collaborò per la realizzazione di molti progetti.
Dal 1986 al 1992 svolse il ruolo di art director della Colle Cristalleria.
Nel 1989 diede vita al Mangiarotti & Associates Office con sede a
Tokyo.
Nel 1987 espresse i fondamenti teorici della sua attività progettuale
nel libro “In nome dell’architettura” in cui cercò di mettere in
evidenza le caratteristiche intrinseche di ogni oggetto, in quanto,
solo una progettazione “oggettiva” è riconoscibile ed accettata dalla
collettività.
Pur definendosi interprete di un funzionalismo rigoroso, Mangiarotti
non ha mai smesso di perseguire gli ideali di eleganza e bellezza,
razionalità e produzione industriale, pulizia della forma e semplicità. Riversò la sua creatività ecclettica
nei suoi progetti, spaziando dai gioielli, tavoli e arredi, sistemi per uffici, vasi, lampade, oggetti per la
tavola, abitazioni, strutture industriali, infrastrutture fino a progetti di riqualificazione urbana.
Negli ultimi anni si dedicò sempre più alla scultura con cui aveva esordito negli anni ‘80. La sua
scultura rappresenta la sintesi delle proprie filosofie e progettazioni: materia e forma, come design e
rapporto fra uomo e ambiente.
Il suo motto “La felicità viene dalla correttezza” individua nella correttezza della professione, nel senso
civile e nell’impostazione etico e filosofica un riferimento unico ed eccezionale.
Morì a Milano il 30 giugno 2012.

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ARCHITETTURA
Gli edifici progettati, gli oggetti di design e le sculture proposte da Mangiarotti, rappresentano soluzioni
sempre inedite, ma allo stesso tempo sono in grado di mantenere la forma intrinseca della materia.
Dalle sue opere emerge infatti un interesse per l’oggettività dell’espressione artistica, perseguita
attraverso una pratica progettuale.
Egli critica radicalmente coloro capaci di cogliere soltanto la superfice dei problemi giungendo a
soluzioni parziali e opta invece per una visione più estesa del progetto inteso come luogo unico e
necessario nel quale far convergere tutto l’intero processo di ideazione e realizzazione.
Il suo lavoro mostra una ricerca di sintesi, di verità architettonica e di adeguatezza progettuale che
raramente si presentano insieme in un’unica personalità, ciò lo rende un vero Maestro, che con
semplicità e, talvolta anche ironia, riesce a comunicare un
modo molto speciale di vedere e di amare la professione.
Le sue doti gli permettono di comunicare un modo molto
speciale di vedere e amare la professione, grazie alla quale
esprime a pieno il proprio pensiero sull'architettura.
Già nei primi progetti residenziali milanesi, realizzati nella
seconda metà degli anni Cinquanta, Mangiarotti esprime
compiutamente il proprio pensiero sull’architettura, un
pensiero sempre attento a cogliere le potenzialità racchiuse
nelle tecnologie contemporanee.
Stazione Milano Certosa – 1982

SCULTURA
L’attività scultorea del progettista è stata sempre coltivata nel tempo e non episodicamente, raffigurava
infatti un impegno progettuale e costruttivo. È la materia stessa che determina la sua forma, le azioni
scultoree divengono spontanee e distaccate da sollecitazioni esterne.
Egli non teme di parlare di “DNA” della scultura, cui ha esplicitamente intitolato una sua mostra a
Carrara. Un altro esempio è l’opera “Strazio” in marmo di carrara, legata agli equilibri gravitazionali,
che sforza l’assetto stativo provocando effetti di coinvolgimento angoscioso.
Mangiarotti è un autore che ha dimostrato di saper controllare la forma in modo assoluto, attraverso
millimetriche decisioni.
Per Mangiarotti anche la scultura è progetto un progetto sorretto da
metodo e rigore, come sempre immaginato per essere realizzato con
tecnologie e lavorazioni specifiche e adeguate figlie del proprio tempo.
L'opera scultorea di Angelo Mangiarotti è parte coerente e insieme
differente di un unitario impegno progettuale e costruttivo.
Le sue particolari sculture, realizzate per alcuni monumenti e collocate
in piazze e spazi pubblici, rivelano la ricerca di relazioni dinamiche, nella
tensione tra energia, materia e spazio, nella dualità e interazione di
interno ed esterno e di pieno e vuoto.
Equilibrio di una relazione vitale – 2006

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DESIGN
Angelo Mangiarotti si differenzia dalle altre figure della prima generazione del “bel design” italiano per
la sua capacità di adattare il prodotto da progettare alle caratteristiche e alle condizioni richieste dai
materiali impiegati.
Egli sa ridare agli oggetti artificiali la naturalezza originaria del materiale, per esempio rendendo al
vetro, oltre alla trasparenza, la malleabilità e la flessibilità o alle materie plastiche l’elasticità.
L’oggetto principale del suo interesse è infatti l’industrializzazione: dalle tecniche dei vari sistemi di
assemblaggio egli fa nascere moduli e giunti applicabili sia all’architettura che al design.
Dall’assemblaggio di queste strutture Mangiarotti crea diversi tipi di oggetti per funzioni diverse.
I suoi contenitori, le sue librerie, i suoi mobili per l’ufficio nascono dai processi tipicamente industriali
dell’assemblaggio.
La sua logica di progetto trae fondamento dalla funzione e dall’uso dell’oggetto finale, la cui forma è
frutto dell’uso razionale del materiale giusto e delle relative tecniche di costruzione.
La sua logica tuttavia è molto più complessa e tiene conto anche di altri fattori, come la composizione
fisica dei materiali, la quale influenza la forma che verrà alla luce.
L’opera di Mangiarotti è infatti multimaterica e dimostra il suo grande impegno nella ricerca e nella
sperimentazione a partire, appunto, dai materiali.
Ha la capacità di esaltare l’aspetto sensuale degli oggetti attraverso la giusta scelta dei materiali,
sostenuta da una sensibilità formale intuitiva e fortemente espressiva che riconduce i suoi lavori
nell’ambito della soggettività e della razionalità.
Una delle qualità che lo ha reso un designer attuale è stato il suo dono di saper stare al passo con le
tecniche più avanzate in uso nel campo della cultura materiale, lavorando per esempio sul taglio della
pietra con l’ausilio di macchine a controllo numerico.
Dalla sua capacità di applicare a un settore le conoscenze acquisite in un altro settore nasce una
pratica trasversale che si estende a tutti i campi nei quali egli opera: ambiente, architettura,
architettura d’interni, design di prodotto, arte.
La pratica artistica di Mangiarotti è stata segnata dalla vicinanza dell’autore al mondo dell’arte concreta
e astratta. Da qui egli trae una sicurezza della forma che completa e integra le conoscenze tecniche e
pratiche acquisite nel campo della produzione industriale.

Anello Vera Laica - 2000

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IL LINGUAGGIO DELLA MATERIA
Le caratteristiche fisiche dei materiali costituiscono un importante punto di riferimento per i progetti
di Mangiarotti. Egli si è sempre dimostrato molto attento all’ascolto, considerando la forma condizione
necessaria della sua evoluzione.
Emerge una cultura materiale nel progetto, non si tratta quindi di dominare la materia, ma di
comprenderla e interpretarla senza stravolgere le caratteristiche che la contraddistinguono.
Il risultato delle opere del progettista, l’oggetto finito, è espressione dell’incontro tra materia e forma.
Mangiarotti si fa interprete della materia, piuttosto che
artefice geniale di nuove forme.
La materia non obbedisce quindi a un fine, ma suggerisce
la forma che le è propria e in questo senso indirizza le scelte
del progettista.
Nell’architettura e nel design, la conoscenza dei materiali e
delle relative tecniche di produzione costituiscono un
elemento irrinunciabile per una espressione aderente
all’oggettività e alla storia culturale relativa ad ogni materia.
Posate serie ergonomica -1990

LA SPERIMENTAZIONE TECNOLOGICA
L’impegno progettuale di Mangiarotti simultaneamente indirizzato verso l’ambito disciplinare del
disegno industriale e quello dell’architettura, presenta una costante attenzione nei confronti della
sperimentazione tecnologica.
Nella sua attività è infatti possibile riconoscere una serie di progetti non direttamente finalizzati ad una
immediata applicazione, ma tesi a mettere a prova e a verificare la praticabilità concreta di tecnologie
di nuova concezione.
Grazie all’assunzione di questo atteggiamento, predisposto
al continuo aggiornamento dei metodi di costruzione, delle
tecniche, dei materiali e dei nuovi bisogni, Mangiarotti
forza i limiti di una cultura di progetto basata su
conoscenze storiche, scientifiche e tecniche ormai
consolidate, per arrivare a interpretazioni sempre più
innovative.
Ciò obbliga l’architetto ad uscire dall’ambito di competenza
classica del progettista e a percorrere la strada delle nuove
tecnologie, dei nuovi materiali, raggiungendo risultati
difficilmente perseguibili seguendo le vecchie strade.
Lampada Lesbo - 1966

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LA FLESSIBILITÀ
La ricerca di un’architettura capace di adattarsi alle trasformazioni dei contesti produttivi e alle
modifiche dei modi d’uso è oggetto di attenzione nell’attività di Mangiarotti.
Ha mirato alla progettazione di un prodotto che potesse prestarsi ad un utilizzo generalizzato, libero
da quelle connotazioni marcate che generalmente ne impediscono un uso diffuso.
I suoi edifici, realizzati con componenti prefabbricati, devono essere intesi come dimostrazione delle
potenzialità d’uso del sistema costruttivo. L’idea di libertà progettuale è trasferita sull’utente, al quale
vengono messe a disposizione scelte variabili che
contribuiscono a differenziare e a personalizzare
la fruizione degli spazi.
Secondo Mangiarotti, un buon architetto è tenuto
a considerare la realtà architettonica come un
servizio, è necessario quindi risolvere il problema
architettonico nella sua globalità, superando gli
approcci parziali.
Vasi Tremiti - 1964

LA REVERSIBILITÀ
Strettamente connesso al tema della flessibilità degli spazi è il tema della reversibilità dei sistemi
costruttivi. Nella necessità sempre più ricorrente di destinare a nuove funzioni edifici preesistenti, o
di adeguarne le dotazioni impiantistiche, o di porre rimedio alle situazioni di degrado di edifici in fase
di deterioramento.
Tutto questo per un duplice motivo: da un lato la possibilità di riciclare materiali e componenti edilizi
preziosi in uno scenario di scarsità di risorse, dall’altro di rendere sempre più agibili le operazioni di
manutenzione e di riconversione degli edifici tramite la facoltà di smontare e di riconfigurare alcune
parti.
Mangiarotti ha affrontato il tema della reversibilità in termini sperimentali già a partire dalle sue prime
esperienze progettuali condotte negli anni Cinquanta, per assumerlo poi come parte integrante della
propria poetica progettuale.
Egli rivela una sensibilità anticipatrice che è possibile riconoscere in molti suoi progetti, sia sul versante
dell’architettura sia su quello del disegno del prodotto industriale.
“Una progettazione architettonica corretta deve affrontare il progetto a partire dalla considerazione
delle diverse destinazioni che vengono assegnate ad un edificio durante l’intero arco di tempo durante
il quale esso funziona, consentendone anche usi molto differenti rispetto a quelli per i quali era stato
originariamente pensato.”
Secondo il suo punto di vista, la costruzione non viene pensata come qualcosa di statico e definitivo,
ma come un organismo capace di trasformazione e di evoluzione, in risposta ai rinnovati bisogni, in
grado anche di incorporare nuovi elementi di ampliamento o arricchimento, senza che tuttavia ne sia
snaturato il significato originario.

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Orologi Section - 1956
Un corpo unico in materiale plastico ingloba base, supporto e quadrante nel disegnare questa
collezione di orologi da tavolo, da appoggio e da parete. Nel modello più rappresentativo e diffuso, la
forma “a fungo” dà luogo a una base allargata per maggiore stabilità, a una parte centrale a sezione
ridotta, ideale come impugnatura, in cui alloggiare le pile di alimentazione, e a un quadrante ampio e
nitido per una migliore leggibilità.
Mangiarotti progettò la serie di orologi Section in collaborazione con la società Portescap e creò una
gamma di sei modelli diversi di orologi. Quattro da tavolo e due da parete, con scocche in plastica o
acciaio a seconda del modello. Questi articoli furono prodotti a Chaux de Fonds, in Svizzera da “Le
Porte Echappement Universale”.
Il movimento che compone gli orologi è elettromeccanico “Portescap” ed è racchiuso in una scatolina
di plastica trasparente proprio per esaltare il meccanismo e lasciarlo a vista durante il suo
funzionamento.
Il Section venne inizialmente distribuito nel Regno Unito da Hudepohl Ltd, 34 Hatton Garden che
all’epoca erano i fornitori della gamma Portescap di timer ed orologi.
Nel 1961 la stessa linea suscitò molto interesse alla Fiera di Basilea, dal 1962 Baume & Co. Di Hatton
Garden fu nominato distributore esclusivo. La ditta curò gli orologi per cinque anni, dopo di che la
responsabilità per la distribuzione ed il servizio si trasferì nel 1965 a Gent con ufficio e showroom a
Londra.
La vendita degli articoli non fu mai sostanziale e si dice che addirittura ci fu un netto calo della richiesta,
forse dovuto ad un marketing privo di fantasia e poco influente.
Gli orologi venivano presentati come un “orologio elettromeccanico in una scocca di plastica”.
Intorno al 1980 sul mercato arrivarono poi gli orologi con movimenti al quarzo ad un prezzo più
competitivo rispetto a quelli di alta qualità, fu così deciso di cessare la fabbricazione degli orologi
Section e nel 1985 il movimento Section fu ritirato dal mercato e le restanti parti di ricambio vendute
singolarmente.

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Chiesa di Baranzate – 1957
Alla periferia di Milano, un capolavoro dell’architettura contemporanea. Una struttura portante in
cemento armato e un tamponamento in doppia lastra di vetro per un volume purissimo e dalle
proporzioni cristalline. Quattro pilastri sorreggono due travi principali sulle quali poggiano sei travi
secondarie. Queste ultime realizzate con conci prefabbricati di cemento armato (fortemente
caratterizzati da una sezione a X), assemblati l’uno all’altro con cavi di precompressione che li
attraversano seguendo l’andamento degli sforzi in una soluzione tecnico-costruttiva davvero notevole.
I tegoli di copertura, appoggiati sull’orditura secondaria, sono irrigiditi da una nervatura incrociata che
“disegna” l’intradosso.
Le pareti in doppia lastra di vetro (che contengono un pannello isolante di polistirolo) sono separate
dalla copertura da una sottile lastra di vetro. Il livello dell’aula è rialzato rispetto al terreno circostante
e coincide con quello del muro perimetrale (di cemento e ciottoli di fiume) che isola, protegge e
raccoglie il luogo di culto.
La bellezza e l'importanza storica dell'edificio risiedono nell'attento uso di materiali e tecniche
industriali, che vengono piegati alle istanze di rappresentatività imposte dalla funzione sacrale.
Costruita dal 1956 al 1957 su progetto di Angelo Mangiarotti, Bruno Morassutti e Aldo Favini,
costituisce uno degli esempi più importanti di architettura ecclesiale moderna nella diocesi
ambrosiana, e in assoluto quella che meglio ne interpreta lo spirito di rinnovamento radicale dell'epoca.
La chiesa è anche detta "Chiesa di Vetro" per via delle pareti perimetrali realizzate in vetro traslucido.
La chiesa, finanziata da donazioni private, venne costruita per servire la località di Baranzate, allora in
forte crescita demografica.
Nonostante gli architetti avessero progettato la chiesa pensando ad una sua replicabilità seriale in altri
quartieri dell'area milanese, ciò non avvenne mai, anche a causa del precoce e rapido degrado da cui
l'edificio fu affetto: i materiali innovativi si dimostrarono poco durevoli, e il clima dell'ambiente interno
risultò poco gradevole, tanto da suggerire la sostituzione dei pannelli isolanti in polistirolo espanso con
altri in politene bianco.
Nel 1979 la chiesa fu oggetto dell’esplosione di un ordigno incendiario che causò gravi danni; venne
riaperta al culto l’anno successivo, restando però in stato di grave degrado. Nel 1984-85 venne
costruito il campanile, progettato da Morassutti con Favini e C. Piper.
Nel 1994 Mangiarotti e Morassutti proposero un progetto di restauro, a cui seguì cinque anni dopo un
progetto di ampliamento, ma queste proposte restarono senza seguito. Solo nei primi anni 2000,
anche a seguito dell’apposizione di un vincolo da parte della Sovrintendenza e del DARC, si iniziarono
i lavori di rifacimento, conclusisi alla fine del 2014 dallo
studio SBG architetti.

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Casa a Tre Cilindri - 1959-1961

La casa a tre cilindri è situata a Milano in Via Gavirate (San Siro), progettata dagli architetti Angelo
Mangiarotti e Bruno Morassutti.
L'edificio nasce dalla necessità di ottenere il massimo livello di indipendenza delle singole unità
immobiliari. Ognuno dei tre volumi cilindrici, infatti, ospita un appartamento per piano.
I tre volumi sono sollevati da terra, lasciando spazio sottostante al giardino, che si può infiltrare fin
sotto l’edificio.
Gli appartamenti all’ultimo livello sono collegati con una scala a chiocciola ai tetti giardino.
Ogni cilindro è supportato da un pilastro centrale, di 180 cm di diametro.
All’interno il pilastro si allarga diventando un nucleo cavo di 4 metri di lato, utilizzato in pianta come
elemento distributivo per le stanze disposte a raggiera.
Una pianta di questo tipo presenta anche dei limiti, infatti costringe a ritagliare settori di cerchio per
ottenere i diversi ambienti. Tali limiti sono però compensati dalla libertà di spostare le tramezze.
Il sistema modulare di facciata, inoltre, ha dato ai proprietari dei singoli appartamenti la possibilità di
scegliere la posizione dei pannelli vetrati rispetto ai pannelli ciechi, ed in questo modo il disegno delle
facciate è automaticamente determinato dalle esigenze degli abitanti.
Pilotis, facciata libera, pianta libera e tetto giardino sono elementi chiaramente desunti da Le Corbusier,
ma in quest'opera li ritroviamo reinterpretati in maniera assolutamente particolare e adeguata al
contesto.
La casa a Tre Cilindri si caratterizza per le sue forme semplici abbinate a dettagli accurati, è quindi
profondamente milanese nella sintonia che stabilisce con la nascente cultura del design italiano.
I tre cilindri con un diametro che supera di poco i 12 metri, sviluppano tre piani con un appartamento
ciascuno, per un totale di 9 appartamenti più un decimo, al piano terra, destinato al custode. Se
apparentemente risultano essere tre edifici distinti, sono collegati da un elemento centrale vetrato con
al suo interno le scale e gli ascensori.
Lo schema strutturale ha consentito una libera progettazione degli appartamenti dando la possibilità
ai proprietari di disporre e suddividere gli spazi interni con semplicità grazie a pareti, armadi e librerie.
La logica di Mangiarotti era quella di progettare con criterio gli spazi interni per far sì che fosse l’edificio
stesso ad adattarsi ai vari utilizzi che poteva avere nel tempo.
Dall’esterno si può notare l’alternarsi tra le finestre e i pannelli di legno che possono essere disposte
sulla facciata secondo le necessità.

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Sistema CUB8 - 1967
Fu il primo progetto interparete di Angelo Mangiarotti, ossia un armadio, un sistema di contenimento
basato su un modulo quadrato e un giunto in plastica che connetteva tra loro i piani verticali e
orizzontali.
Un arredo industriale che non consentiva solo di separare gli spazi ma permetteva bensì di crearli,
sostituendosi alle tradizionali divisioni in muratura della casa.
Un progetto emblematico per l’architettura degli interni che sembra travasare ricerche e saperi dal
mondo della prefabbricazione edilizia.
Un profilo in PVC estruso destinato alla bordatura di pannelli di legno truciolare bilaminati permette
loro di accostarsi e giuntarsi attraverso un altro profilo C del medesimo materiale che si incastra a
scatto, sfruttando la sua elasticità, nei due profili adiacenti fino a diventare pareti attrezzate.
Un giunto lineare che trasforma il semplice pannello su cui è applicato in un elemento di un sistema
più complesso e dalle notevoli possibilità di sviluppo.
L’applicazione del profilo sul bordo del pannello evita
l’operazione di finitura perimetrale e permette di
distribuire le sollecitazioni lungo l’intero elemento,
consentendo riduzioni spessori e pesi. Brevettato nel
modello e nel nome.
“Anonimo nel senso giusto, a interessare è l’oggetto in
sé – non perché sia disegnato da me. Questa, secondo
me, dovrebbe essere una caratteristica del design: stare
un po’ dietro all’oggetto, al suo risultato, per assicurarsi
una vita molto più lunga, ecco. Questa è la qualità del
Cub8”.

Sistema In/Out - 1968


Evoluzione dei ragionamenti espressi dal CUB8,
IN/OUT è un sistema per pareti attrezzate costituito
interamente da elementi in PVC estruso.
Un pannello a sezione alveolare, un profilo
quadrilobato che funge da montante, una guarnizione
elastica che li fissa insieme. Ulteriori accessori
(rappigiani, cerniere, maniglie) portano a definizione
un sistema che trova nel materiale scelto leggerezza,
resistenza e durata. Brevettato allo stesso modo del
cub8, come modello e nome, dichiara nella
nominazione una possibilità di utilizzo anche per
esterni: abbinando due montanti è possibile ottenere
una robusta, doppia parete ed eventualmente iniettare
tra l’una e l’altra materiale coibente.

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Uffici e stabilimento Armitalia 1968 – 1971
Lo stabilimento Armitalia, progettato da Angelo Mangiarotti, Giulio Ballio,
Alberto Vintani e Giovanni Colombo, è situato in Via Giuseppe Pelizza da
Volpedo 109, a Cinisello Balsamo (MI). È frutto dell'aggregazione di tre
volumi, desinati a uffici, direzione e produzione, che sono concepiti
secondo lo stesso sistema tecnologico e costruttivo, basato
sull'accostamento tra un telaio di pilastri in cemento armato gettato in
opera e lastre continue di tamponamento e di copertura, realizzate di
nuovo in cemento armato ma gettate in casseforme e finite con graniglia
colorata (all'esterno) e intonaco (all'interno).
Il primo ed il secondo volume, destinati agli uffici e ai magazzini, sono a più piani fuori terra e sono
impostati su una maglia rettangolare; il terzo destinato all’officina, è di un solo piano fuori terra ed è
impostato su una maglia quadrata.
Tutti gli elementi dell’edificio sono in c.a., gettati in opera con casseforme riutilizzabili o prefabbricati
in stabilimento, trasportati a piè d’opera e successivamente montati.
Ciascun pannello ha un caratteristico profilo curvato in sommità, che consente contemporaneamente
di dare un'impronta caratteristica al progetto e di risolvere verso l'interno del blocco il sistema di
raccolta dell'acqua piovana. Tra le lastre sono sistemate delle
intercapedini a sezione quadrata, dentro cui sono stati fatti correre gli
impianti e il sistema di condizionamento. I pannelli di facciata sono
prefabbricati in stabilimento, pur essendo di tipi ed altezza differenti,
sono unificati per quanto riguarda le dimensioni e i particolari di
appoggio, sono resi solidali con le strutture portanti alla base mediante
squadrette montate in opera, mentre sono liberi di scorrere
verticalmente in sommità per consentire la dilatazione.
Essi hanno consentito di realizzare l’intera facciata senza la necessità
di ulteriori finiture oltre alle sigillature nei giunti con mastice.
Le venti lastre dell'edificio per la produzione, realizzate in opera con
il riutilizzo dei casseri lignei, sono a maglia quadrata e bucate da
altrettanti lucernai, mentre quelle degli edifici per la direzione e gli
uffici si sviluppano a partire da un profilo rettangolare. Al centro di
ogni piastra, che si appoggia sui quattro lati a travi sagomate, c’è un
lucernario. L’elemento geometrico comune ai tre blocchi è la
facciata, che sporge di 2,5 metri dai pilastri perimetrali con una
struttura a sbalzo. Tale soluzione per le facciate ha permesso di
unificare la tipologia costruttiva dei pannelli di tamponamento, prefabbricati, ed ha costituito l’elemento
condizionante di tutta l’orditura strutturale.
La facciata è caratterizzata da lastre continue di tamponamento, finite a graniglia colorata di pietra e
mattoni. I serramenti invece sono in metallo con oblò in cristallo temperato, assemblato nei pannelli
di tamponamento con una guaina sagomata in gomma, di forma quadrata e rettangolare, ad angoli
arrotondati. Si può dire che questo edificio rappresenti a pieno il progettista, per la preoccupazione
avuta nell’offrire lo stesso comfort ai diversi ambienti destinati a impiegati, dirigenti e operai.

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Stazione Milano Certosa - 1982
Tra le sue opere più importanti, sei, di enorme importanza
infrastrutturale e architettonica, le ha realizzate nella sua città
natale, a Milano.
Angelo Mangiarotti disegna una pensilina tipo per le Stazioni delle
Ferrovie dello Stato che viene utilizzata lo stesso anno nelle
stazioni delle Ferrovie dello Stato di Certosa e Rogoredo, ora nella
rete Passante Ferroviario e Sistema Ferroviario Regionale, ma
anche in numerose altre come nella stazione di Villapizzone
(1995).

La copertura vera e propria è realizzata alternando pannelli ciechi e trasparenti, appoggiati a una
struttura in tubolari metallici appesa al colmo della trave, che consentono di coprire tanto la zona delle
banchine destinata alla sosta dei passeggeri quanto le aree di transito dei convogli, in cui la pensilina
raggiunge i sei metri di altezza.
La trave principale che sorregge la copertura è reticolare spaziale a sezione triangolare sovrapposta a
colonne ovali di acciaio rastremate verso l'alto, da cui in sommità si dipartono due bracci inclinati.
Le colonne raccolgono l’acqua piovana in due pluviali nascosti all’interno dei due bracci su cui la trave
è appoggiata in coincidenza del canale di gronda. La sua base è il piano continuo visibile dal sotto
mentre i suoi montanti laterali, il colmo e gli irrigidimenti sono profili aperti posti al di sopra.
La carpenteria metallica, in tubolari e pannelli ciechi alternati in file di pannelli trasparenti, che
costituisce la pensilina, è appesa al colmo della trave.
L'alternanza tra pannelli garantisce inoltre l'apporto di una corretta illuminazione naturale, evitando
gli effetti di surriscaldamento che spesso si manifestano sotto strutture completamente trasparenti.
Questa soluzione differenzia la stazione di Certosa dalle altre, che in genere sono illuminate
artificialmente, la pensilina costituisce quindi un sistema di copertura del piano della banchina e delle
parti d’accesso e uscita passeggeri.
Mangiarotti realizza anche un piccolo fabbricato a due livelli, destinato a ospitare attività accessorie a
quelle dell'utenza, che viene interamente rivestito in alluminio lucidato posto a contrasto con l'effetto
arrugginito della carpenteria delle pensiline, dei binari e del materiale rotabile ferroviari.

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Sedia Chicago - 1983
È la città americana a ispirargli la sedia Chicago, un monoblocco in vetroresina, realizzata nel 1983 per
Skipper Milano. La Chicago di Mangiarotti è in realtà una scultura astratta, un guscio
ergonomico sostenuto da una gamba. Lineare e geniale allo stesso tempo, il design ricorda
il background funzionalista di Mangiarotti, ma cede il passo alla linea moderna, alla sperimentazione e
sottolinea l’attenzione alle potenzialità tecniche della materia.
Difatti, la ricerca plastica ha un ruolo importante in tutta la produzione del poliedrico designer
milanese, che sfocia in sperimentazioni di taglio con macchine a controllo numerico, o nel campo della
cromo-plastica.
Questo articolo nasce dall’idea iniziale di un sedile appoggiato su una struttura indipendente, al
monoblocco in fibra di vetro rinforzata. Essa ha funzione di sedia da pranzo dove la struttura consente
durante l’uso, una flessione in avanti, avvicinando il commensale al tavolo piuttosto che allontanandolo
come avviene solitamente.

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Sedia Clizia - 1990
Angelo Mangiarotti disegna "Clizia" per Agapecasa: una seduta caratterizzata da un piano a sbalzo
sorretto da un sostegno centrale, una scultura per accomodarsi, di evidenti valori plastici, sinuosa
e filante.
Realizzata in marmo bianco di Carrara o marmo nero Marquina con base in ferro ossidato.
Il contrasto tra la durezza del marmo, statico ed elegante, e la forma dai valori plastici, sinuosi,
caratterizza questa seduta. Il profilo superiore coincide con quello inferiore, richiamando alcuni studi
di Escher per complessità e architettura. "Clizia" estrae dallo stesso blocco di marmo i suoi corpi
monolitici, attraverso un unico taglio, eseguito con macchine a controllo numerico, capace di definire
due sedute contemporaneamente. Gli scarti sono ridotti al minimo, l'utilizzo del materiale lapideo è
ottimizzato al meglio, Clizia è un capolavoro per interni o esterni.

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Monumento ai Caduti sul Lavoro – 2000 (Foggia)
Per ricordare i caduti sul lavoro nelle cave di estrazione della pietra di Apricena, un monumento di
quel materiale da posizionare sulla collina di fronte alla città.
Blocchi di pietra spaccati manualmente vengono posati distanti l’uno dall’altro. Il vuoto tra loro
presenta, drammaticamente, la vita delle persone cadute: di notte, un fascio di luce lo attraversa
proiettandolo sull’abitacolo.
Angelo Mangiarotti dona alla città di Apricena il Monumento ai caduti sul lavoro, dove i protagonisti
sono tutti gli uomini, e in particolar modo, quelli che nella quotidianità della fatica hanno perso la vita.
Le superfici di questo monumento sono segnate da evidenti tratti spessi e frastagliati, indicazione di
un materiale che è duro, grave.
I blocchi sono tagliati e sbozzati a mano. La scomparsa degli uomini che lavorano la pietra sono le
fessure nella continuità del muro, un vuoto drammatico nel tessuto sociale.
I sei monoliti sono poco più alti di una statura media, confrontandosi perciò con la figura umana,
imitandola nelle forme sinuose che rimandano ad una danza solo immaginata. Ciò trasferisce all’opera
una doppia valenza, due significati, l’assenza e la presenza.
Nella composizione, il ritmo architettonico, come per i templi con i colonnati, accoglie il paesaggio al
suo interno scandendolo in ogni suo tratto morfologico, scrutandone la natura, inquadrandone le
nuvole, accettandone le forme.
Come sempre la pietra porta con sé un filo continuo tra il passato di un luogo e il suo futuro, tra Stele
Daune di altre epoche e quelle più recenti dedicate a lavoratori caduti, tracciando una storia fatta di
riferimenti vaghi o coincidenti.
La collocazione, nel disegno, era suggerita sulla collina più vicina alla città. Sovrastante, l’altura,
avrebbe permesso la proiezione di un fascio di luce posto sul retro dei sei blocchi estendendo gli
effetti del monumento a chiunque avesse guardato la notte illuminata da ombre eterne.

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CONCLUSIONE
Mangiarotti, un architetto di grandi passioni, dove l'audacia e la perizia tecnica sono ovunque evidenti
nei suoi disegni, mai complicati, mai incomprensibili, ha saputo applicare il suo ingegno all’architettura
e al design, con rigore, ma senza tralasciare mai eleganza e bellezza. Si è spinto fino alla scultura
attraverso un’attenta riflessione sulla forma impiegando materiali e processi produttivi del proprio
tempo, alimentato dai propri principi etici e valori morali riuscendo ad unire etica ed estetica fino a
raggiungere la felicità attraverso la correttezza.
È arrivato al piacere attraverso la correttezza del fare, in grado di coniugare il difficile dualismo tra
etica ed estetica.
Lo ricordiamo oggi come un grande progettista, che non si è mai limitato a risolvere i problemi
superficiali, ma è sempre stato attento ad ogni singolo particolare per rendere tutti i suoi lavori
completi e reversibili.
Il suo lavoro appare oggi come una ricerca che dura tutta la vita, dove ogni progetto, che sia oggetto,
arte o architettura, è una pietra miliare in un processo molto più ampio, ma sempre coerente.

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BIBLIOGRAFIA

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progetto. Sez. Monografie)

• Angelo Mangiarotti : scolpire/costruire / a cura di Beppe Finessi ; grafica di Italo Lupi ; contributi critici Marco
Meneguzzo, Toyo Ito ; note ai progetti Matteo Pirola. - Mantova : Corraini, 2009.

• Design anonimo in Italia : oggetti comuni e progetto incognito / Alberto Bassi. - 2. ed. - Milano : Electa, 2008.

• La figura delle cose : Cleto Munari in Castel Sant'Angelo / [a cura di] Achille Bonito Oliva. - [Napoli] : Electa Napoli,
1999.

• Su Mangiarotti : architettura design scultura : 72 progetti, 227 inediti, 3 contributi critici / Beppe Finessi ; grafica di
Italo Lupi ; contributi critici di François Burkhardt, Luciano Caramel, Guido Nardi. - Milano : Abitare Segesta cataloghi,
2002.

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• Design https://angelomangiarottifoundation.it/design/
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• Architettura https://angelomangiarottifoundation.it/architettura/
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• Scultura https://angelomangiarottifoundation.it/scultura/
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• Il disegno litico di Angelo Mangiarotti http://www.architetturadipietra.it/wp/?p=3118


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• Casa a tre cilindri (San Siro) https://www.mies.it/post/architetture-moderne-milanesi-la-casa-


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• Sedia Clizia https://shop.mohd.it/it/clizia-sedia.html


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• Sedia Clizia https://www.archiproducts.com/it/prodotti/agapecasa/seduta-per-interni-


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Consultato il 10/06/2021
• Chiesa di Baranzate
https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Nostra_Signora_della_Misericordia_(Baranzate)
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• Sedia Chicago https://www.teknoring.com/news/design/angelo-mangiarotti-e-la-sedia-
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• Orologi Section https://www.arredativo.it/2018/approfondimenti/tre-iconici-orologi-da-


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• Biografia https://angelomangiarottifoundation.it/biografia/
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• Angelo Mangiarotti Angelo Mangiarotti. Retrospettiva | Wall Street International Magazine


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• Stazione Milano Certosa https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture900/schede/p4010-


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