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Come dalle profondità del mare degli Elisi, e il dardo infallibile,

appare il pianeta più caro a Venere e i monti, e il carro della luna in cielo.
con i suoi raggi simili a chiome cariche di rugiada Allo stesso modo il canto dei poeti
tra le tenebre che si dileguano, consacrò divinità Bellona,
e abbellisce il suo cammino celeste un tempo amazzone invincibile.
con la luce del suo eterno raggio; Ella ora prepara l’elmo, lo scudo,
così le tue divine le cavalle e il furore guerriero
forme sorgono dal letto dove giacesti contro l’avara Inghilterra.
malata e in te ritorna la bellezza, E anche quella dea della quale
la splendida bellezza grazie alla quale ti vedo cingere, devota, di sacro mirto
le menti degli uomini, destinate a errare, la statua, che marmoreo presiede
ebbero il solo ristoro ai propri mali. le tue stanze segrete
Vedo tornare sul tuo caro viso dove solo a me ti presenti in qualità di sacerdotessa,
il colore roseo; tornano fu regina; regnò felice su Citera
a sorridere i grandi occhi, e Cipro, dove una perpetua e serena
abili a sedurre; e a causa tua le madri preoccupate primavera emana il suo profumo
e le amanti insospettite sono prese da timore e restano e regnò sulle altre isole
sveglie, che con i loro monti
tormentate da nuovi pianti. ricoperti di selve ostacolano il flusso dei venti
Le Ore che prima mestamente e il corso dello Ionio.
erano le somministratrici delle medicine, Nacqui in quel mare
oggi ti portano la veste pregiata, dove vaga l’anima, ormai priva del corpo
e i monili su cui splendono della fanciulla di Faone,
le effigi di divinità e se lo zeffiro notturno
opera immortale di artigiani greci, soffia dolcemente sui flutti del mare,
e i candidi stivaletti da ballo si sentono i lidi risuonare il lamento della sua lira.
e gli altri ornamenti Per questo motivo, io, ispirato
a causa dei quali, vedendoti nelle danze notturne, nella vocazione poetica dalla mia stessa patria,
i giovani dimenticano le danze per te traspongo l’accento della poesia eolica
intenti a contemplarti, o donna divina, nella severa tradizione italiana
che sei per loro causa di affanni e di speranze d’amore. e così anche tu, una volta fatta dea, riceverai le offerte
Sia quando abbellisci il suono dell’arpa votive
con nuove armonie e con i morbidi delle future donne lombarde tra il canto dei miei inni.
contorni delle tue forme che la stoffa aderente
asseconda, e nel frattempo il tuo canto
giunge più insidioso
fra i sommessi sospiri;
sia quando danzando
disegni una serie di volteggi, e affidi
all’aria il tuo agile corpo,
sfuggono dalla veste e dal velo
scomposto e trascurato sul petto
ansante nascoste bellezze.
Mentre ti muovi nella danza,
cadono le trecce allentate, lucenti per gli unguenti
profumati cosparsi di recente sul tuo corpo,
mal tenute dal pettine d’oro
e dalla ghirlanda di rose che Aprile ora ti invia
insieme alla salute che ti infonde la vita.
Così le Ore, come ancelle d’Amore,
volano intorno a te,
suscitatrici di invidia;
Le Grazie guardino intristite
chi ti ricorda che la bellezza è un dono fugace,
e che anche per te arriverà il momento della morte.
Le pendici del Parnaso
furono casa della pura Artemide,
un tempo cacciatrice mortale
che guidava una schiera di ninfe marine,
e incuteva paura ai cervi,
facendo fischiare la corda dell’arco cidonio, scoccando
lontano le frecce.
La fama la celebrò
come prole degli dei dell’Olimpo; impauriti
gli uomini la chiamano dea,
e le consacrarono il trono

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