1
In questo capitolo viene proposto un confronto tra l’interpretazione del pensiero di
Talete di Aldo Bonet con quella di Livio Rossetti. Più di preciso, vengono messi a
confronto Bonet 2009b (la parte intitolata Il cosmo di Talete e il calcolo del numero
divino, pp. 24-30) e Bonet 2010 (cap. 19 e 25) con Rossetti 2013 e Rossetti 2015 (cap.
V, Talete il misuratore, pp. 173-221, in particolare le nove pagine del § 4: Misurare il
sole (e/o la luna), pp. 199-207). Attraverso tale confronto ci si propone di sottolineare
le convergenze e le divergenze interpretative dei due autori. Il confronto non è però
fine a se stesso: è, piuttosto, una scelta metodologica finalizzata a proporre
un’interpretazione controcorrente del pensiero di Talete, in cui emerga la sua impor-
tanza all’interno della storia del pensiero filosofico e scientifico, nonostante le pochis-
sime e poco generose parole che Platone ha scritto al riguardo.
2
Alcune parti di questo capitolo sono state aggiunte dal curatore di questo volume,
Andrea Muni, e verranno siglate con: a. m..
3
Tra gli studi sulla storia dell’astronomia pubblicati negli ultimi 50 anni, cfr. Becker
1968; Roth 1987; Waerden 1988; Godoli 1993; North 1997; Francescato 1998; Ansari
2002; Dick-Hamel 2002; Hamel 2002; Maeyama 2003; Heilbron 2005; Couper-
Henbest 2008; Hockey 2011 [a. m.].
4
Si può essere in parte d’accordo con Rossetti 2015, p. 151 (bisogna procedere
«sgombrando il campo dalle congetture fondate sulla nozione di meraviglia […]. In-
fatti non è e non è stata un po’ di meraviglia a cambiare il corso degli eventi»). Il rife-
rimento polemico implicito, sottinteso, a cui si allude, è E. Berti, In principio era la
meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica, Roma-Bari 2007. Berti a sua
volta riprende Socrate che risponde a Teeteto in Platone, Theaet. 155 d: µάλα γὰρ φι-
λοσόφου τοῦτο τὸ πάθος, τὸ θαυµάζειν, «è tipico del vero filosofo (φιλοσόφου) que-
sto stato d’animo (πάθος), la meraviglia (θαυµάζειν)» (tr. it. Ferrari 2011, in cui, a p.
139
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
vita quotidiana. La misura del tempo che passava era, per gli uomini
della storia più arcaica, un’idea molto vaga: vedevano ogni giorno il
sole sorgere e tramontare per far posto alla notte. Questo dovette esse-
re riconosciuto come un tempo qualificabile come “breve”, composto
dal giorno (luce) e dalla notte (buio). Poi è verosimile immaginare che
gli uomini riconobbero tempi più lunghi, che si ripetevano. Attraverso
l’osservazione degli alberi, ad esempio. Dapprima fiorivano. Poi ma-
turavano i frutti. In seguito ingiallivano e staccavano le foglie. Infine
rimanevano spogli. Ed allora ritornava il freddo. È anche in questo
modo che gli antichi potevano aver scoperto l’alternarsi delle quattro
stagioni e riconoscere che ogni volta che gli alberi rifiorivano, col ri-
torno del tepore del sole, era passato un tempo qualificabile come
“lungo”: un anno. Ma, in una prima fase della storia più antica, è diffi-
cile pensare che gli uomini potessero conoscere molto di più.
Quando incominciarono ad osservare la notte, gli uomini poterono
imparare qualcosa in più sullo scorrere del tempo. Ogni mese (trenta
notti circa) la luna aumentava fino a diventare piena, poi gradualmente
decresceva fino a scomparire di nuovo. Poterono contare che in un an-
no ci sono dodici lune piene: perciò dodici periodi di tempo, corri-
spondenti ai nostri “mesi”. Ma poterono vedere che il fenomeno aveva
una regolarità e si ripeteva immutato in tempi ancor più lunghi: gli an-
ni. È verosimile che fu così che gli uomini poterono cominciare a sud-
dividere il trascorrere del tempo con quegli eventi, divenuti a loro più
familiari, e a darne una misura.
266 n. 89, si fa presente anche il parallelo in Plutarco De E, 385c-d: «inizio del filoso-
fare, φιλοσοφεῖν, è l’indagare, ζητεῖν, e l’inizio dell’indagare, ζητεῖν, è il meravigliar-
si, τὸ θαυµάζειν, e il trovarsi in stato di aporia, ἀπορεῖν», τῷ διαλέγεσθαι καὶ φιλοσο-
φεῖν πρὸς ἀλλήλους. ‘ἐπεὶ δὲ τοῦ φιλοσοφεῖν’ ἔφη ‘τὸ ζητεῖν τὸ θαυµάζειν καὶ ἀπορε-
ῖν; Ferrari rimanda, per questo parallelo tra Platone e Plutarco, a Opsomer 1998, pp.
78-80), e Aristotele, Metaph. I, 2, 982 b 12-13: «gli uomini hanno cominciato a filoso-
fare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre in principio restavano me-
ravigliati…» (tr. it. Reale 2004), in cui πρώτων φιλοσοφησάντων e πρῶτον ἤρξαντο
φιλοσοφεῖν vengono messi in relazione diretta con θαυµάζειν e θαυµάσαντες. Infine,
resta da osservare che la filosofia e la scienza possono nascere dalla meravigia, la me-
raviglia può cambiare il corso degli eventi, se per «meraviglia» intendiamo quello che
intende Wilamowitz (Markowitz 1848-Berlino 1931) nella sua Geschichte der Philo-
logie (Storia della filologia) del 1921 quando scrive «come ogni scienza, come in o-
gni filosofia, per dirla alla greca, anche qui si comincia con lo stupore che suscita ciò
che non si comprende» (Wilamowitz 1921 in Canfora 2014c, pp. 57-58) [a. m.].
140
ALDO BONET
5
Cfr. Singer 1954, cap. 31: Matematica e Astronomia antica, p. 807.
141
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
6
Al tempo di Talete, meteorologia e astronomia non erano ancora distinte e costitui-
vano lo stesso ambito di studio.
7
Su alcuni antichi strumenti egizi di misurazione cfr. Giacardi-Roero 1978, pp. 70-73
e tavola IX A-B, tra p. 256 e p. 257.
8
Ci sono indizi che portano a pensare ad un influsso della cultura egizia anche su Pla-
tone, non solo riguardo a questioni di carattere mitologico, religioso, o spirituale (ad
es. sull’anima o sull’aldilà), ma anche a questioni politiche. Sulla provenienza egizia
della politica della Repubblica di Platone, cfr. Isocrate, Busiride, 16-23; Livingstone
2001, pp. 48-56. Il Timeo di Platone «riprende e ribadisce il nucleo della Repubblica e
inquadra l’utopia in Egitto» (Canfora 2014a, p. 269). Cfr. infra la parte bibliografica
L’Egitto e l’Oriente come punto di riferimento comune a Talete e Platone [a. m.].
9
In Rossetti 2015 Ateneo non viene mai nominato come fonte su Talete, ma se ne
142
ALDO BONET
Φοῖνιξ δ᾽ ὁ Κολοφώνιος ἐν τοῖς Ἰάµβοις ἐπὶ φιάλης τίθησι τὴν λέξιν λέγων
οὕτως:
parla soltanto, in tre paginette (pp. 114-116), riguardo ad altri aspetti, vale a dire della
storia del concetto di filosofia, o meglio delle prime attestazioni di questa parola, par-
lando di un socratico, Eschine di Sfetto, nel fr. 1 di Lisia (in Ateneo XIII 611e-612b e
93-94 Kaibel, in cui si trovano tre ricorrenze: 611e φιλόσοφοι, 612a φιλοσόφῳ, φιλο-
σοφίᾳ). Né, in Rossetti 2015, si fa mai il nome di Fenice di Colofone. Fenice è un po-
eta greco (vissuto nei primi decenni del III sec. a.C., e fiorito intorno al 280 a.C.), che
scrisse poesie in versi trimetri giambici scazonti (chiamati anche coliambi o ipponat-
tei) moraleggianti, di cui ci restano pochi frammenti citati proprio da Ateneo, oltre ad
un papiro di Heidelberg (pubblicato nel 1909). Su Fenice, cfr. G.A. Gerhard, Phoinix
von Kolophon. Texte und Untersuchungen, Lipsia 1909. Su Talete in Fenice, cfr. Di
Marco 2007, pp. 11-14. Ateneo scrive di Fenice dopo la morte di Commodo (192
d.C.). Ateneo è di Naucrati, la più antica città greca d’Egitto, che si trova a oriente di
Alessandria, fondata come colonia dei milesii intorno al 620 a.C. Platone conosce be-
ne questa città, dato che la nomina in Phaedr. 274c parlando di Teuth, il dio inventore
del calcolo, dell’astronomia, della scrittura e del gioco dei dadi. Le origini egizie di
Ateneo rimangono sempre molto importanti, anche se lui si trasferisce a Roma, anche
perché, come leggiamo in Jacob 2001, «l’Egitto rappresenta comunque un orizzonte
affettivo e intellettuale che sottende all’opera [di Ateneo] nel suo insieme. Orizzonte
affettivo che si manifesta nella presenza diffusa dell’Egitto nell’opera […]. Ateneo
manifesta il suo attaccamento alla patria quando evoca i “miei Naucratiti” (III 73a)»
(p. XIX). Su Ateneo, cfr. D. Thompson, Atheneus’ in His Egyptian Context, in D.
Braund-J. Wilkins (a cura di), Atheneus and His World. Reading Greek Culture in the
Roman Empire, Conferenza su Ateneo tenuta a Exeter dal primo al 5 settembre 1997,
Exeter 2000, pp. 77-84; D. Braund-J. Wilkins (a cura di), Athenaeus and his world:
reading Greek culture in the Roman Empire, Exeter 2000; C. Jacob, The Web of Athe-
naeus, Washington 2013 [a. m.].
143
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
In queste poche righe viene presentato Talete in uno dei più autorevoli
libri di storia greca scritti in questi ultimi trent’anni. Si tratta di 44 pa-
role inserite come Note integrative (pp. 254-268) alla fine del cap. III,
Sviluppi politici del vi secolo (pp. 227-272: qui si parla di Solone,
10
Musti 1989, p. 255. Su Domenico Musti (Sezze, Latina 1934-Roma, 2010) cfr. P.
Vannicelli et Al., Fare storia antica. In memoria di Domenico Musti, Atti del Conve-
gno dell’Accademia nazionale dei Lincei svolto a Roma il 18 e 19 aprile 2012, Roma
2014. Musti è uno dei sostenitori dell’origine greca della democrazia e del suo valore
positivo. Cfr. D. Musti, Demokratía. Origini di un’idea, Roma-Bari 19951, 19972, ri-
preso in P. Vannicelli, Demokratía, in Id., Fare storia antica, cit., 127-148. Nonostan-
te Musti si sia occupato di democrazia per circa cinquant’anni, non si è accorto che la
democrazia non è nata in Grecia, ma in Persia, e che non è stata qualcosa di positivo,
ma, al contrario, qualcosa di terribile nella sua realtà storica, così come ci viene atte-
stata dalle varie fonti. Canfora ne prende atto e scrive che Musti 1995 (così come Clo-
ché 1951) si distingue per «adesione emotiva», «nobile ingenuità» e «imbarazzante
difesa» della democrazia (Canfora 2011, p. 469 = Canfora 2014b, p. XXX). La parola
demokratía non è mai attestata prima di Erodoto, ed Erodoto ci fa sapere che la demo-
kratía è nata per la prima volta in Persia, prima di cominciare ad Atene, e che la de-
mokratía non è stata portata alle altre città da Atene, ma da parte persiana. La questio-
ne meriterebbe un approfondimento a parte. In questo capitolo ci si limita a sostenere
che, se a Talete non possiamo attribuire “meriti” di carattere politico-democratico, è
meglio così, perché la democrazia, nella storia greca, e ateniese in particolare, non è
mai stata niente di meritorio: al contrario, è stata la realizzazione storica di una trage-
dia, che ha trascinato Atene all’autodistruzione. Riguardo all’origine persiana della
democrazia, i due principali passi su cui ci si deve basare sono Erodoto III, 80-83 e VI,
43, 3. Erodoto VI, 43, 3: ὡς δὲ παραπλέων τὴν Ἀσίην ἀπίκετο ὁ Μαρδόνιος ἐς τὴν Ἰω-
νίην, ἐνθαῦτα µέγιστον θῶµα ἐρέω τοῖσι µὴ ἀποδεκοµένοισι Ἑλλήνων Περσέων τοῖσι
ἑπτὰ Ὀτάνεα γνώµην ἀποδέξασθαι ὡς χρεὸν εἴη δηµοκρατέεσθαι Πέρσας: τοὺς γὰρ
τυράννους τῶν Ἰώνων καταπαύσας πάντας ὁ Μαρδόνιος δηµοκρατίας κατίστα ἐς τὰς
πόλιας, «E come, costeggiando l’Asia, Mardonio giunse nella Ionia, allora narrerò un
fatto che susciterà grandissima meraviglia in quei Greci i quali non credono che Otane
abbia espresso ai sette Persiani l’opinione che era necessario che i Persiani avessero
un regime democratico: Mardonio, infatti, deposti tutti i tiranni degli Ioni, istituiva
nelle città democrazie» (tr. it. Nenci 1998) [a. m.].
144
ALDO BONET
11
Musti 1989, p. 221, rimanda per questo aspetto a J. Labarbe, Les premières démo-
craties de la Grèce antique, in Bull. Acad. Royale de Belgique, 58, 1972, pp. 223 ss.
[a. m.].
12
Se a Talete gli fu attribuita anche quest’opera, si può supporre che viaggiò anche
sulle navi, quei mezzi che all’epoca salpavano dai porti alla scoperta di un mondo
sconosciuto, e che, oggi, si potrebbero paragonare alle nostre astronavi. Navigare sulle
navi greche era tanto rischioso quanto di grande privilegio e, forse, furono la culla
delle prime idee geniali di Talete.
13
ἀλλ᾽ οἷα δὴ εἰς τὰ ἔργα σοφοῦ ἀνδρὸς πολλαὶ ἐπίνοιαι καὶ εὐµήχανοι εἰς τέχνας ἤ
τινας ἄλλας πράξεις λέγονται, ὥσπερ αὖ Θάλεώ τε πέρι τοῦ Μιλησίου καὶ Ἀναχάρσι-
145
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
ος τοῦ Σκύθου: «Ma, com’è proprio di un uomo esperto nelle cose pratiche, se ne tra-
mandano molte ingegnose invenzioni, come avviene per Talete il milesio e per Ana-
carsi scita?» (tr. it. Vegetti 2007). Cfr. Diog. Laert. I 23-27. Nel Teeteto Platone aveva
rifiutato questa tradizione, ammettendone solamente «l’immagine di un sapiente in-
tento alla pura contemplazione dei cieli (174a)» (Vegetti 2007, p. 1110 n. 27. In que-
sto passo del Teeteto, Socrate risponde a Teodoro: ὥσπερ καὶ Θαλῆν ἀστρονοµοῦντα,
ὦ Θεόδωρε, καὶ ἄνω βλέποντα, πεσόντα εἰς φρέαρ, Θρᾷττά τις ἐµµελὴς καὶ χαρίεσσα
θεραπαινὶς ἀποσκῶψαι λέγεται ὡς τὰ µὲν ἐν οὐρανῷ προθυµοῖτο εἰδέναι, τὰ δ᾽ ἔµπρ-
οσθεν αὐτοῦ καὶ παρὰ πόδας λανθάνοι αὐτόν). In questo passo della Repubblica, in-
vece, cambia idea e lo riconosce come ingegnoso tecnico e inventore. Riguardo ad
Anacarsi, cfr. Erodoto IV 46; 76-7 e Diog. Laert. I, 101-5. In Rossetti 2015, pp. 145-
147, viene sottolineata l’unitarietà del Theaet. 172c-177c, che arriva al tema
dell’aspirazione al rendersi simili a Dio (ὁµοίωσις θεῷ), ma viene soprattutto messo in
rilievo che: 1. «il Socrate platonico si trova a suggerire l’idea di una continuità che
vada, appunto, da Talete ai suoi tempi» (p. 145); 2. «la cosiddetta digressione del Tee-
teto [172c-177c] può ben ritenersi del tutto priva di valore documentario sul passato
dei tempi di Socrate» (p. 147). Sul Teeteto 172c-177c, cfr. Spinelli 2002 [a. m.].
14
Cfr. Plutarco, De Iside et Osiride, 34.364d (DK 11 A 11): «I sacerdoti ritengono
anche che Omero, come pure Talete, abbia appreso (µαθόντα) dagli Egiziani il concet-
to secondo cui l’acqua è principio e origine (ἀρχὴν καὶ γένεσιν) di tutte le cose (ἁπάν-
των)» (…οἴονται δὲ καὶ Ὅµηρον ὥσπερ Θαλῆν µαθόντα παρ᾽ Αἰγυπτίων ὕδωρ ἀρχὴν
ἁπάντων καὶ γένεσιν τίθεσθαι, τὸν γὰρ Ὠκεανὸν Ὄσιριν εἶναι, τὴν δὲ Τηθὺν Ἶσιν, ὡς
τιθηνουµένην πάντα καὶ συνεκτρέφουσαν…). Inoltre, Talete, quando si riferisce al
principio primo, l’archè, presuppone l’universalità intrinseca della sua divina scienza
strumentale. Riguardo al pensiero religioso egizio nel pensiero di Plutarco, cfr. Hani
1976.
146
ALDO BONET
giungibile. Grazie a lui, si tracciò un mondo che ormai non era più
dominio esclusivo dei faraoni o degli dei, poiché Talete predispose un
potente strumento razionale e mise i risultati delle sue ricerche a di-
sposizione di tutti nel VII-VI secolo a.C.
Lasciò un’immensa eredità scientifica. Tra le molteplici scoperte, va
ricordata anche una planimetria del cosmo, il primo “mappamondo”
dell’universo sospeso nel vuoto e posto in equilibrio dal principio
primo (l’archè) dal quale ora i suoi primi discepoli (Anassimandro,
Anassimene, Pitagora) potevano addirittura avanzare nuove ipotesi,
un’immensa avventura alla scoperta di un cosmo incredibilmente rag-
giungibile e determinabile con l’uso dell’intelletto, indirizzando così
l’umanità verso un grande futuro, poiché, da quel giorno in poi,
l’uomo non doveva e non poteva più contare sull’Olimpo, ma soltanto
sulla forza razionale della Scienza.
Talete di Mileto fu il conquistatore di alcuni importanti aspetti di quel-
lo che ai suoi tempi era considerato l’inaccessibile (terrestre e celeste),
il primo protagonista di grandi imprese compiute nelle civiltà arcaiche
in direzione di una spiegazione logica e naturalistica di alcune grandi
questioni, ritenute allora appartenenti alla sfera dell’incognito,
dell’inaccessibile e dell’irraggiungibile.
15
Prima di poter ricostruire correttamente l’astronomia, la cosmologia di Talete o il
metodo della misura angolare sole/luna: la sua “conquista” dell’irraggiungibile celeste
è avvenuta quando era ormai molto vecchio (Cfr. Apuleio-Flor.18, DK 11 A 19) è in-
147
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
dispensabile ricostruire prima, e correttamente, quei nuclei di sapere di Talete che ri-
guardano le sue «dimostrazioni e scoperte matematiche» e la sua “conquista”
dell’inaccessibile terrestre, avvenute all’inizio del suo percorso scientifico, nell’ordine
che ci viene riferito da Proclo e Apuleio, Flor. 18: «Talete […] fu tra i greci il primo
inventore della geometria, infallibile indagatore dei fenomeni naturali ed espertissimo
osservatore degli astri».
16
Cfr. Proclo (DK 11 A 20): «Dicono che sia stato il famoso Talete il primo a dimo-
strare che il cerchio è bisecato dal diametro; ma la causa della dicotomia è
l’inflessibile avanzata della retta attraverso il cerchio».
17
Rizzi 1980, p. 309: «Euclide, giudicando il teorema degno di dimostrazione scienti-
fica, lo inserisce negli Elementi (I, 15). Certo si rimane perplessi sulla necessità di va-
lorizzare questo risultato, basta infatti riferirsi ad un altro degli angoli formati dalle
due rette, per ottenere due piatti ecc. È necessario osservare però che questi angoli
non erano considerati da Euclide (né dai Greci); da qui la maggiore complicazione per
pervenire ad una dimostrazione razionale dell’enunciato».
18
Rizzi 1980, pp. 310-12: «E in effetti, questo II criterio di uguaglianza (I, 26), appare
enunciato senza alcun riferimento ad un contesto più ampio (che pure presupporreb-
be), si può anche essere indotti a formulare l’ipotesi (abbastanza verosimile) che la
proposizione magari oscuramente “intuita” da Talete, gli sia stata attribuita solo suc-
cessivamente. Che fosse, insomma, una sorta di “tributo” dei successori alla memoria
148
ALDO BONET
VI. «Panfila dice che, appreso dagli Egizi lo studio della geometria,
egli Talete per primo iscrisse in un cerchio il triangolo rettangolo (6a),
(6b), e sacrificò un bove, altri, fra cui il matematico Apollodoro, dico-
no che la scoperta è di Pitagora» 19.
VII. «Geronimo (o Ieronimo) dice anche che misurò indirettamente le
piramidi (7a) dall’ombra aspettando il momento in cui le nostre ombre
hanno la nostra stessa grandezza» e «Plutarco dice che misurò indiret-
tamente l’altezza delle piramidi (Punto 1.1b) misurandone l’ombra e
stabilendo una proporzione» 20. Va detto però, che il calcolo delle pro-
porzioni come esso richiede, non era noto a Talete e tanto meno agli
egizi, poiché esso fu il prodotto dei matematici greci posteriori.
VIII. «A Talete si ascrive pure il merito di avere adottato l’arco di cir-
colo (8a) come misura degli angoli». Talete avrebbe raggiunto un
concetto evolutivo dell’angolo molto somigliante a quello ciclo-
metrico a settore circolare 21. Un concetto precursore del più moderno
radiante!
IX. «Dai teoremi tramandatici si è argomentato che, a Talete, era an-
che noto il teorema sulla somma degli angoli di un triangolo. Da un
passo del matematico Gemino, conservatoci da Eutocio, si apprende
che gli antichi geometri dimostrarono questo teorema per tutti i casi
del vecchio maestro. Infatti anche se Talete non fu proprio un “maestro” - come lo
furono Pitagora, Socrate, Platone, Aristotele-fu di certo colui che più di ogni altro sol-
lecitò all’indagine scientifica e speculativa i pensatori della scuola milesia».
19
Rizzi 1980, pp. 318-19: «Rileviamo infine che in questa testimonianza non si parla
di dimostrazione (ma di scoperta)… pur trattando di proprietà relative agli angoli, pa-
radossalmente non ne garantisce l’acquisizione del concetto generale, tuttavia da essa
traspare il maggior risultato scientifico conseguito da Talete. E inoltre è possibile in-
dividuare, almeno in potenza, un duplice atteggiamento: statico qualora avesse fatto
riferimento ad un unico semicerchio e ad un unico triangolo, dinamico pensando alle
“successive” posizioni assunte da un punto sul semicerchio».
20
Rizzi 1980, p. 319: «Questa testimonianza ci riporta alla questione…della cono-
scenza o meno, da parte di Talete, della similitudine. Questa è di per se concetto sem-
plice ed intuitivo, su di essa avevano lavorato pur con i loro limiti empirici e finalisti-
ci, gli egizi. Nulla vieta pertanto di pensare che Talete ne abbia fatto qualche signifi-
cativa (elegante o generale) applicazione».
21
Rizzi 1980, pp. 316-318: «Bisogna comunque riconoscere che le intuizioni e le no-
zioni di Talete relative agli angoli non erano poi del tutto elementari…va comunque
sottolineato che Talete, pur non essendo pervenuto alla completa accezione di angolo,
è riuscito ugualmente a conseguire risultati che secondo altri autori, postulano in Tale-
te la nozione di angolo come grandezza».
149
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
22
In Bonet 2010 il calcolo matematico della similitudine come esso richiede è sosti-
tuito da una genialità, fatta di pratica semplicità: idee semplici ed eleganti quelle di
Talete, fatte con quei pochi oggetti di uso comune dell’epoca, proprio lì, sotto gli oc-
chi di tutti, ma che soltanto il suo genio creativo seppe guardare dove gli altri avevano
semplicemente visto. Talete, con un semplice strumento da lui ideato e che lo accom-
pagnò fedelmente tutta la vita, scoprì e superò cose impossibili agli altri.
150
ALDO BONET
23
Cfr. Bonet 2010, p. 135, n. 51: i tre teoremi (nr. 18, 19 e 20) dell’Ottica di Euclide
risultano essere più dei problemi che dei veri teoremi, e sono anche gli unici tre in tut-
ta l’opera nei quali si parla di ombre e di raggi solari o di giornate con assenza di om-
bra. Forse, se non è un’introduzione spuria, è altrettanto probabile che anche
l’anomalo teorema nr. 19 dell’Ottica, il quale permette di conoscere un’altezza altri-
menti inaccessibile (per esempio quella delle piramidi) quando non c’è sole (ovvero
con il sole dietro le nuvole o quando non c’è ombra alla base della piramide), sia stato
inserito da Euclide per ricordare la tradizione e la paternità: Talete in questo caso. Eu-
clide ha sempre dato prova della sua onestà intellettuale.
151
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
152
ALDO BONET
Punto 8.8a
Punto 9.9a
153
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
24
Proclo, nel Commento al I libro degli Elementi di Euclide, attribuisce a Enopide due
proposizioni riprese poi da Euclide: la proposizione I, 12 e la I, 23. Euclide, proposi-
zione I,12: «Ad una data retta illimitata, da un punto dato ad esso esterno, condurre
una linea retta perpendicolare». A proposito della proposizione I, 12 Proclo scrive che
Enopide si interessò all’argomento perché utile per i suoi studi di astronomia.
25
Cfr. Klimpert 1888, p. 35-1901: «E Bretschneider (in Die Geometrie und die Geo-
meter vor Euklide: ein historischer Versuch, Leipzig 1870) dice in proposito: “Quanto
a questo problema (Prop. I, 12) si può ammettere con certezza che una qualunque so-
luzione semplice di esso, probabilmente con l’uso di un mezzo speciale, fosse già nota
a Talete; e dovrebbe allora considerarsi come un arricchimento della scienza il meto-
do con il quale Enopide costruì la perpendicolare”».
154
ALDO BONET
Per rendere meno ardua la geometria essi (Archita e Eudosso) avevano risolto
mediante esempi meccanici concreti quei problemi geometrici che non pote-
vano essere immediatamente compresi. Così avevano risolto per via mecca-
nica il problema dei due segmenti medi proporzionali, come fondamento per
la risoluzione di molti altri problemi, impiegando a tale scopo dei mesolabi
derivati da curve e sezioni coniche. Platone tuttavia ne era rimasto afflitto e li
aveva rimproverati, deplorando che essi in tal guisa tradissero lo spirito della
geometria, trasportano questa scienza dal campo delle cose irreali ed astratte
a quello degli oggetti sensibili e impiegando oggetti che si addicevano ai co-
muni e rozzi operai. A seguito di tali considerazioni la meccanica venne scis-
sa dalla geometria e per lungo tempo fu disprezzata dalla filosofia pura 26.
26
Klemm 1954, p. 15.
155
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
156
ALDO BONET
nomica della Terra nel cosmo, di unicità di quest’ultimo e con gli astri
che passavano sotto la Terra in un determinato ordine cosmico 31; il
primo cosmo basato su dati e mezzi scientifici 32 e con la Terra rimasta
per moltissimi secoli, ad eccezione del pitagorico Filolao, di Aristarco
di Samo e fino a Copernico, in una posizione cosmica centrale o privi-
legiata, sin dal primo modello taletiano.
grandezza del sole è la 720 ma parte dell’orbita solare come pure che la grandezza
della luna è nelle stesse proporzioni rispetto all’orbita lunare» 2. Apuleio Flor. 18
(DK 11 A 19): «Egli [Talete], quando era ormai assai vecchio, scoprì un divino teo-
rema concernente il sole, che non mi sono limitato ad apprendere ma ho anche verifi-
cato con l’ausilio dell’esperienza, teso a dimostrare quante volte il sole, nelle sue di-
mensioni, sia contenuto nell’orbita che percorre».
31
1. Aezio II 1-2 e III 11.1 [Dox.327] «Affermazione di unicità del cosmo e della cen-
tralità della Terra». Queste due affermazioni sono strettamente collegate al teorema di
Talete; cfr. infra nota 32. 2. Ippolito ref 1 7- Dox. 560: «Dice pure [Anassimene] che
le stelle non si muovono sotto la terra, come altri [Anassimandro e Talete?] hanno
supposto, ma intorno alla Terra, al modo che il berretto si avvolge intorno al nostro
capo. Il sole si cela ai nostri occhi non perché sta sotto la terra, ma perché è riparato
dai luoghi della Terra molto alti e perché la sua distanza da noi è molto grande. Le
stelle non riscaldano a causa della grande distanza». Queste fonti dossografiche sono
notizie-indizio da tenere in considerazione, dato che l’ipotesi innovativa di Bonet
2009 sul cosmo di Talete viene oggi rafforzata.
32
Notare come il cosmo di Talete fu scaturito dal calcolo dell’ampiezza angolare so-
le/luna avvenuto con successo grazie al suo notevole Teorema sull’uguaglianza degli
angoli opposti; quest’ultimo, è chiaramente visibile nella sezione planimetrica della
fig. c. Ogni ipotesi, per il calcolo dell’ampiezza angolare sole/luna, che non include il
notevole Teorema di Talete citato, è improponibile.
158
ALDO BONET
159
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
33
Questa ipotesi cosmologica innovativa, di Bonet 2010, è stata ripresa, anni dopo, in
Rossetti 2013, cap. 3, e in Rossetti 2015, p. 200.
34
Prima di cimentarsi con successo al calcolo dell’ampiezza angolare sole/luna, Tale-
te doveva aver, innanzitutto, compreso appieno l’illusione o il fenomeno ottico che
avviene per sole/luna, sia nel momento della loro comparsa (o levata) che nel momen-
to della loro scomparsa (o calata), i quali, danno solo l’impressione di essere più
grandi del normale. E non fu una comprensione da poco. Poiché solo così avrebbe
portato a pensare a un’orbita dei corpi celesti di forma circolare. Questo fenomeno
illusorio fu dibattuto anche da Tolomeo (85-165 d.C.) e ancora verso il 1000 d.C. dal-
lo studioso arabo Alhazan. Se un sole più grande, sia all’alba che al tramonto, avesse
fatto supporre a un diametro solare più grande nel suo percorso notturno sottostante
rispetto a quello diurno soprastante, avrebbe indotto, per giustificare il fenomeno, a
pensare a un’orbita solare non più circolare ma oblunga (oggi diremo ellittica); un tale
pensiero avrebbe ostacolato e fallito il calcolo. Il fenomeno illusorio non è compren-
sibile, all’acuità visiva, occludendo direttamente sole/luna con un diaframma (come
propone Rossetti 2015, p. 204) ma solo includendoli dentro un semplice campo diot-
trico di mira e di verifica: Bonet 2010, pp. 122-3, n. 48. Peraltro, il metodo del prof.
Rossetti, poiché occlude direttamente il sole con un diaframma, evita i due momenti
più propizi (alba/tramonto), implicando così, a Talete, l’incomprensione del fenomeno
illusorio, indispensabile invece per il successo del metodo e del calcolo.
Nell’Arenario, per esempio, Archimede descrive un metodo per la misura angolare
del sole che gli consentì di ricavare un intervallo angolare (tra 32’56” e 27’) dentro il
quale collocare il diametro solare apparente. Si servì di una diottra con un piccolo ci-
lindro mobile, con il quale nascondere l’astro mentre spuntava all’orizzonte, perché
quello era il momento meno ricco di luce che gli consentì di poterlo guardare diretta-
mente. Archimede, prima di procedere con un metodo diottrico occlusivo verso un
sole albeggiante, doveva avere ben chiaro il fenomeno illusorio della maggiore perce-
160
ALDO BONET
zione sull’orizzonte, che deve aver sperimentato attraverso un campo diottrico inclu-
sivo: cfr. Bonet 2010, pp. 171-174 e n. 63 alle pp. 173-174.
35
Il galleggiamento della Terra nell’oceano, secondo le varie testimonianze, era pen-
sato da Talete analogamente ad un legno galleggiante o ad una nave e, quando essa è
scossa o fluttua per il movimento dell’acqua, allora diciamo che c’è il terremoto (Se-
neca, Nat. Quaest., III, 14). Ne consegue che per Talete, la causa del terremoto doveva
accadere quando l’equilibrio cosmico naturale (garantito dalla calotta oceanica) veni-
va a scuotersi improvvisamente (cfr. Bonet 2010, p. 117, n. 47).
36
Anassimandro, non riuscendo ad accettare il rivoluzionario pensiero (newtoniano
ante litteram) del Maestro, fa un grosso passo indietro, trasforma e ridimensiona subi-
to i due emisferi di Talete riducendoli a un cilindro roccioso, una sorta di stampo di
pietra a ciambella: ripieno di acqua oceanica che circonda una Terra abitata, di forma
circolare, e posta nel centro della superficie superiore del cilindro. Anassimandro, so-
stituisce così, l’acqua taletiana che garantiva sostegno ed equilibrio alla Terra nel co-
smo (ma che non approvava per quella sospensione emisferica nel vuoto) con una so-
stanza indefinibile come: l’apeiron, quale ipotetico garante dell’equilibrio cosmico
che teneva sospesa una Terra (rocchio-cilindrica) senza farla cadere. Anassimene in-
vece, ritorna per certi aspetti a un elemento più vicino a Talete e ai nostri sensi, cioè:
l’aria, quale nuovo garante o equilibratore cosmico più accettabile alla percezione.
Tuttavia, Anassimene, fa un passo indietro ancora più grande rispetto al suo illustre
predecessore, dovendo di conseguenza, ipotizzare che gli astri non potevano più pas-
sare al di sotto ma intorno ai bordi della Terra, celandosi dietro i luoghi più elevati, in
quanto, i turbini delle sterminate masse di aria che tenevano sospesa la Terra piatta e
in equilibrio nel cosmo, ne avrebbero impedito il percorso sottostante. Forse, l’unico
passo che Anassimene compì in avanti rispetto ad Anassimandro e Talete, fu l’aver
indovinato l’ordine cosmico: Terra, Luna, Sole, Costellazioni. L’acqua, l’apeiron e
l’aria, più che sostanze generanti o soggette a un processo (Aristotelico) di alterazio-
161
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
ne, erano, per i tre maestri di Mileto, dei primordiali principi equilibranti del cosmo,
analogamente al principio (fisico primordiale) di equilibrio che si può riscontrare, con
una bilancia, sulla Terra.
37
Talete aveva un peculiare metodo sistemico: tramite l’uso di uno stesso strumento
di rilevazione da lui inventato e di un unico principio fisico (l’equilibrio) indagò in
molteplici direzioni speculative. Non possiamo pertanto essere d’accordo con chi so-
stiene che le eterogenee misurazioni effettuate da Talete non ci hanno lasciato alcun
indizio che ci faccia pensare ad una indagine compiuta dal maestro con uno stesso
accorgimento e decisivo per diverse situazioni. Abbiamo invece una eccellente testi-
monianza di Apuleio Flor. 18: «Talete di Mileto, certamente il maggiore di quei sette
celebrati sapienti, infatti fu tra i greci il primo inventore della geometria, infallibile
indagatore dei fenomeni naturali ed espertissimo osservatore degli astri, con piccole
162
ALDO BONET
linee (parvis lineis) fece scoperte importantissime: il volgere delle stagioni, il soffio
dei venti, i percorsi delle stelle, la sonora meraviglia dei tuoni, il corso obliquo dei
corpi celesti, il periodo o il ritorno annuale del sole e, in modo analogo, l’espandersi
della luna crescente, il ridursi di quella calante e le sovrapposizioni (o gli ostacoli) di
quella che si eclissa. Egli [Talete], quando era ormai assai vecchio, scoprì un divino
teorema (divinam rationem) concernente il sole, che non mi sono limitato ad appren-
dere ma ho anche verificato con l’ausilio dell’esperienza, teso a dimostrare quante
volte il sole, nelle sue dimensioni, sia contenuto nell’orbita che percorre». Apuleio ci
dice sostanzialmente che, tutte queste eterogenee indagini, invenzioni, osservazioni e
importantissime scoperte, furono compiute da Talete con: piccole linee, quindi, attra-
verso uno stesso accorgimento. Grazie alla mia ipotesi ricostruttiva, ho interpretato le
«piccole linee» come le tacche del multifunzionale strumento di Talete: cfr. Bonet
2010, p. 131. Apuleio scrive di «un divino teorema concernente il sole» che apprese e
verificò. Per qualificarlo come «divino» doveva essere un metodo degno di
quell’aggettivo.
38
Lo stile peculiare e inconfondibile di Talete era fatto da: osservazione, spiegazione,
scoperta e calcolo, che poi confluivano nella sua scienza strumentale in una pratica
metodologia indiretta; la determinazione dell’altezza delle piramidi e il calcolo della
distanza delle navi in mare, abbiamo visto che, sono soltanto due degli esempi elo-
quenti ascrivibili a Talete.
163
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
39
In Apuleio Flor. 18 si legge: «itidem lunae vel nascentis incrementa vel senescentis
dispendia vel delinquentis obstiticula»: «e, in modo analogo, l’espandersi della Luna
crescente, il ridursi di quella calante e gli ostacoli di quella che si eclissa». Si è dibat-
tuto molto su cosa volesse dire Apuleio con: «e gli ostacoli di quella che si eclissa».
Cfr. Bonet 2010, pp. 130-31. Scorrendo l’intera frase, si potrebbe anche tradurre: «e,
in modo analogo, l’iniziale espandersi della luna crescente, il ridursi di quella calante,
fino all’eclissarsi della stessa mediante gli ostacoli», ovvero, data una luna piena, A-
puleio poteva riferirsi al metodo ad ostacoli diretto della doppia eclisse! Vedremo più
avanti il disegno di cui al Punto 4. Interessante è notare che la citata frase di Apuleio è
propedeutica a quella che vedremo descritta nella successiva nota 41, nella quale ri-
porta il «divino teorema» al solo astro solare, come se, per l’astro lunare il «divino
teorema» valesse per logica conseguenza.
164
ALDO BONET
40
Questo metodo, avrebbe rappresentato una vera novità assoluta se si pensa che il
diametro apparente sole/luna è visto esattamente sotto uno stesso e piccolissimo ango-
lo, pari a 0,53 gradi, ovvero 32’ (tra afelio e perielio varia tra 0,525 e 0,543 gradi) e
che Talete aveva quasi raggiunto con il suo rapporto di 1/720, ponendolo, con i nostri
calcoli a 30’ ovvero: 0,50 gradi. Un doppio diametro apparente quindi, avrebbe avuto
un’ampiezza angolare doppia (pari a 1 grado) e pertanto, avrebbe raddoppiato anche
l’ampiezza della tacca strumentale rilevabile sullo strumento; un’ampiezza doppia da
riportare nel calcolo, avrebbe agevolato notevolmente sia l’acuità visiva che la buona
riuscita del metodo.
41
Apuleio Flor. 18: «Egli [Talete] quando era ormai assai vecchio, scoprì un divino
teorema concernente il sole, […] teso a dimostrare quante volte il sole, nelle sue di-
mensioni, sia contenuto nell’orbita che percorre». Notare che Talete, quando scoprì il
divino teorema, era già molto avanti con l’età e, per un uomo che ha passato una vita a
studiare intensamente gli astri a occhio nudo [cfr. Platone, Theaet. 174 a] anche la sua
vista doveva essere molto più compromessa rispetto ad altri della sua età. Pare che
Talete morì al tempo della 58ª Olimpiade e Diog. Laert. I 39 ricorda l’epigramma: «Il
sapiente Talete rapisti dallo stadio, o Elio Zeus, mentre assisteva ad un ginnico agone.
166
ALDO BONET
Ti lodo per averlo condotto vicino: ormai vecchio, dalla Terra non poteva più vedere
gli astri». Per questo, forse, Apuleio Flor. 18 ha intercalato, nella sua citata frase e nel
punto indicato dalle parentesi quadre, con: «che non mi sono limitato ad apprendere
ma ho anche verificato con l’ausilio dell’esperienza», togliendo così ogni dubbio
sull’efficacia o meno del metodo ideato da Talete, in tarda età. Talete quindi, per
giungere a una tale scoperta (ma con una vista ormai debilitata) doveva aver già a di-
sposizione il suo fedele strumento, che aveva utilizzato ampiamente per le sue prece-
denti scoperte, pertanto, senza doverlo costruire ex novo.
42
Per un veterano scienziato come Talete, la cui vista si era ormai compromessa con
l’età (affetto da plausibile miopia) il geniale metodo ad ostacoli indiretto della doppia
eclisse, con la proiezione di un sole quasi a tavolino, rispetto al più debilitante metodo
visivo diretto, dovrebbe averlo accolto come un dono del Cielo considerato anche,
come vedremo, che consentirà di raddoppiare sullo strumento l’ampiezza della singola
tacca, venendo così incontro allo stile inconfondibile del vecchio Talete, all’acuità
visiva e alla buona riuscita del risultato.
167
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
43
Bonet 2010, p. 133, n. 49: «1. - L. Giacardi-S.C. Roero, La matematica delle civiltà
arcaiche, Stampatori didattica 1978, pp. 99-101 e 102; 2. Singer 1954, p. 215 e 401».
Questo concetto è molto importante. Solitamente gli studiosi hanno dato notizie in tal
senso, senza mai approfondire la potenzialità pratica di un tale metodo. Una questione
di non poco conto se si pensa che questo metodo pratico serve a compiere una misura-
zione curvilinea che si può stendere in una comoda forma rettilinea. Un rapporto ma-
tematico che generalmente si compiva su corpi rettilinei (funi distese) consentiva, con
questo metodo empirico, di trasportarlo anche su corpi circolari (funi circoscritte) da
poter paragonare a quelli in movimento curvilineo (orbite sole/luna) e viceversa.
44
Il foro perfetto si potrebbe ottenere anche senza il metodo diretto della doppia eclis-
se per via strumentale: cfr. infra nota 47.
45
Il fenomeno del foro stenopeico si verifica già in natura attraverso i fori millimetrici
(o stenopeici naturali) presenti nelle foglie delle piante e quindi, è un fenomeno indi-
retto più antico dell’uomo stesso, cfr. Url: <http://www.elamit.net/astro/eventi.htm>.
In termini probabilistici, questo semplicissimo fenomeno di proiezione indiretta, do-
veva esser stato notato (ma senza particolare interesse) sin dall’esperienza più primiti-
va dell’uomo, osservando l’ombra proiettata dal sole sul fogliame del sottobosco op-
pure, attraverso l’ombra che si potrebbe ottenere dagli oggetti d’uso comune, per e-
sempio: monili ornamentali forati e, una eclisse anulare o parziale di sole, si sarebbero
potute verificare e facilmente osservare in un momento fortuito e soleggiato del gior-
no. Proprio quello che dovrebbe essersi verificato agli occhi attenti di Talete, grazie
all’uso frequente e protratto nel tempo, che avrebbe fatto con il suo strumento diottri-
168
ALDO BONET
ziale o anulare che in quel tempo era casuale osservare o captare sulla
superficie dell’acqua guardando i riflessi del sole e di giungere, dopo
anni di osservazione, ad affermare che tutte le possibili eclissi di sole
annuali si verificano sempre in coincidenza del novilunio: Papiro 46 di
Ossirinco nr. 3710 e Bonet 2010, p. 154.
IV. Verificare poi il foro perfetto ricalcolandolo per praticità e preci-
sione con lo stesso strumento, prima sull’astro lunare nella fase di luna
piena 47 e poi su quello solare; la perfetta coincidenza porterà ad af-
fermare la medesima ampiezza angolare per i due astri principali del
cosmo e quindi, per una teoria Euclidea della visione conica che sa-
rebbe sopraggiunta anche la conseguente affermazione della differente
co per poter scoprire o raggiungere con precisione quella molteplice concordanza, sia
di dati astronomici sia di problemi pratici, che la tradizione gli attribuisce. Un feno-
meno indiretto, probabilmente scoperto da Talete anche in una fase costruttiva del suo
multifunzionale strumento, mediante la realizzazione fortuita di un foro stenopeico
praticato nel traguardo dell’oculare della diottra in costruzione (cfr. Bonet 2010, p.
151-62).
46
Papiro di Ossirinco 3710-col. II (Od. XX 156): «Il fatto che l’eclissi (si verificano)
durante il novilunio è illustrato da Aristarco di Samo quando scrive: Talete ha detto
che il sole è eclissato quando la luna si trova davanti ad esso, cosicché
[l’oscuramento] segna il giorno in cui si verifica l’eclissi (giorno) che taluni chiamano
triakas (il trenta) e altri neomenia (luna nuova)». Queste informazioni, Talete, poteva
averle avute con l’ausilio della sua diottra fissata o puntata verso il sole nei giorni di
novilunio, ovvero, quando la luna nuova nel cielo, coperta dai raggi solari, non era
visibile all’occhio umano. Attraverso i fori della diottra si sarebbe proiettata indiret-
tamente l’immagine del sole, con la probabilità, durante i giorni di novilunio, di capta-
re una eclisse parziale o anulare e, ancor più nitida, se si fosse realizzato nei traguardi
strumentali, anche un fortuito foro stenopeico.
47
Bonet 2010, p. 140, n. 54: «Se invece, viceversa, si vuole realizzare lo strumento in
funzione del foro perfetto, basta fissare sull’obiettivo un traguardo con un foro arbitra-
rio d’inquadramento che può risultare leggermente più grande del plenilunio in osser-
vazione, determinato anche dall‘iniziale vicinanza dell’occhio al foro e poi, con l’altro
traguardo forato, basta allontanarsi o indietreggiare lungo l’asta radiale sino all’istante
in cui la luna piena coincide con la circonferenza del foro posto sull’obiettivo, il punto
trovato lungo l’asta radiale risulterà il punto su cui fissare il traguardo oculare. La
lunghezza dell’asta radiale così ottenuta tra i due traguardi, sarà quindi il raggio del
cerchio dello strumento-progetto, da costruire». Notare che, la tecnica alternativa e-
sposta in questa nota, descritta in Bonet 2010, è stata ripresa in Rossetti 2015, p. 202 e
note correlative. Per sapere come ragionava prima Rossetti, riguardo l’ampiezza ango-
lare del sole, basta leggere Marcacci 2001, pp. 265 ss., fig. 1.
169
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
grandezza tra i due astri, ricercata poi dagli astronomi successivi (di-
segno-punto 4).
Probabilmente, questi primi 4 punti dovevano essere già stati raggiunti
da Talete nel corso delle sue ingegnose osservazioni e scoperte astro-
nomiche, ovvero, raggiunti molti anni prima del divino calcolo
dell’ampiezza angolare del sole che sappiamo, da Apuleio Flor. 18,
raggiunse per ultimo, in tarda età.
Anche in questo caso, sempre per dare un’indicativa visione panora-
mica d’insieme dell’evoluzione e dell’applicazione di questo strumen-
to multifunzionale, che portò Talete alla storica impresa astronomica,
vengono qui di seguito ripresi i seguenti disegni (autore: Aldo Bonet,
2009), enumerati e correlati alle tappe elencate nei primi quattro punti
descritti in precedenza:
Punto 1 Punto 2
170
ALDO BONET
Punto 3 Punto 4
171
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
Punto 5
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ALDO BONET
Punto 6
173
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
48
Cfr. Apuleio Flor. 18 (DK 11 A 19). Cfr. Bonet 2010, p. 103 e pp. 130-131.
49
A favore dell’ipotesi che Talete si servisse di una diottra a proiezione per
l’osservazione indiretta del sole e quindi della possibilità di aver osservato nitidamen-
te la frequenza dell’eclissi di sole parziali e anulari che si formano durante l’anno e
che avvengono esattamente nel giorno del novilunio, come egli ha affermato, abbiamo
la curiosa testimonianza di Aezio II 24, 1-Dox 353, che riporta: «Talete per primo dis-
se che il sole si eclissa quando la luna, di natura terrosa, gli passa sotto perpendico-
larmente. Allora la sua immagine, stando sotto il disco solare, si vede riflessa» (cfr.
Bonet 2010, p. 155, n. 58).
174
ALDO BONET
50
Talete non conosceva ancora la definitiva connotazione di angolo come grandezza,
e tanto meno quella di angolo giro suddiviso in 360 parti o gradi (cfr. Bonet 2010, p.
21, n. 10). Inoltre calcolò il rapporto divino senza alcuna esitazione, evitando (contra-
riamente all’ipotesi di Rossetti 2015, p. 205) aree di oscillazione nei risultati per non
doverli delineare in una media. Diogene Laerzio non dice «la grandezza del sole è
pressoché, è all’incirca la 720ma parte» ma: «Talete […] stabilì che la grandezza del
sole è la 720 ma parte dell’orbita solare, come pure che la grandezza della luna è nelle
stesse proporzioni rispetto all’orbita lunare». E Apuleio Flor. 18 fa la verifica con un
suo proprio esperimento: «Talete scoprì un divino teorema concernente il sole, che
non mi sono limitato ad apprendere ma ho anche verificato con l’ausilio
dell’esperienza, teso a dimostrare quante volte il sole, nelle sue dimensioni, sia conte-
nuto nell’orbita che percorre». Pertanto, un tale convincimento dovette provenire più
per l’affascinante rilevanza di un metodo ambizioso ma semplice da comprendere e
insegnare che dal mero calcolo, altrimenti, non si spiega nemmeno ciò che narra Apu-
leio, nel seguito dei Florida 18, su Mandrolito di Priene: «Si narra che Talete avesse
insegnato questa sua recente scoperta a Mandrolito di Priene, il quale, molto dilettato
da questa nuova e inattesa conoscenza, lo esortò a dire quanto volesse essere retribuito
per un insegnamento così importante». La verifica di Apuleio e quest’ultima sua nar-
razione, ci fanno capire inoltre, che Talete non coinvolse né squadre di collaboratori
né cantieri di lavoro (cfr. Rossetti 2015, cap. V, pp. 205 e 206) per questa sua grandio-
sa scoperta, altrimenti, Apuleio non avrebbe fatto lui stesso la verifica, mentre, a Man-
drolito di Priene, che distava a circa 20 Km da Mileto, l’eco della notizia non gli sa-
rebbe giunta né nuova né tanto meno inattesa per voler retribuire Talete ad ogni costo
e con qualsiasi somma richiesta e, sappiamo anche, dai Florida 18, che il saggio Tale-
te rifiutò la ricca ricompensa in cambio dell’onestà intellettuale: « sarebbe per me una
ricompensa sufficiente se ciò che hai appreso da me non lo attribuirai a te stesso ma,
quando inizierai a divulgarlo, dirai che io e non altri sono l'autore di questa scoperta».
175
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
(a) apparente del sole e, all’epoca, non esistevano nemmeno unità me-
triche di misura per poterla eventualmente rilevare, poiché l’unità mi-
nima conosciuta e dalla quale partire con i calcoli ordinari, era il dito
greco 51 (δάκτυλος) pari ai nostri 1,85 cm o quello egizio, pari ai nostri
1,88 cm.
Predisponendo lo strumento ad uso astronomico, ovvero, mediante
l’applicazione verticale di una grande ruota 52 (o di un cerchio solido
in legno e metallo) avente un diametro ideale, a misura d’uomo, pari a
quattro cubiti 53 reali ovvero, pari a circa 210 cm e, attorno alla quale è
stata circoscritta una fune alloggiata in una scanalatura semicircolare
lungo tutta la circonferenza della ruota; lo sbordo della stessa fune 54
sommato alla misura precedente del diametro della ruota (pari a circa
210 cm) si presuppone che avrebbe portato a un diametro tecnico
strumentale di circa 212 cm. La fune alloggiata lungo la circonferenza
della ruota astronomica taletiana sarebbe stata lunga 666 cm, pari a 15
piccoli cubiti greci 55 equivalenti a 20 piedi di Egina, che poniamo u-
guale a “2p”. Pertanto, il raggio strumentale risultava pari a: 212 cm /
2 = 106 cm, che corrispondeva all’ampiezza dell’asta radiale dello
strumento (disegno-punto 6).
Il semicerchio superiore di ampiezza “p” rappresenta l’arco apparente
(o di collimazione strumentale) della calotta sferica celeste soprastante
51
Bisogna pensare che Talete visse in un periodo della Grecia arcaica, nel quale ini-
ziavano a delinearsi quelle riforme metrologiche in materia di misure unitarie per ope-
ra di Solone ad Atene e Fidone ad Argo. Una misura più piccola del dito greco (circa
1, 85 cm) si poteva ricavare empiricamente ma poi, sarebbe stata inesprimibile per i
calcoli ordinari. Difatti, sottomultipli del dito, pur non impensabili (cfr. Bonet 2010,
p. 134), non vennero mai indicizzati nelle tabelle metrologiche.
52
Quest’idea, presentata per la prima volta in Bonet 2010, pp. 163 ss., viene ripresa,
con criteri analoghi, in Rossetti 2015, cap. V, pp. 201-205 e n. 22. Cfr. supra, nota 47.
53
Il cubito reale (πῆχυς βασιλήιος) era in uso sia in Egitto che in Grecia ed era pari ai
nostri 52,5 cm. Quattro piccoli cubiti erano pari a una orgya (ὀργυιά) e corrisponde-
vano all’apertura di 177,6 cm, due braccia distese: l’uomo vitruviano dentro la ruota
taletiana.
54
Si ipotizza, vista l’ampiezza della ruota astronomica taletiana, una spessa fune, una
di quelle che veniva usata per l’attracco delle navi nel porto. L’attracco richiedeva
spesse funi da impugnare con forza a tutto tondo per garantire una buona presa nelle
manovre.
55
Il piccolo cubito greco (πῆχυς) - equivaleva a 24 dita greche, pari ai nostri 44,4 cm.
Il piede di Egina, invece, a 18 dita greche.
176
ALDO BONET
56
L’ampiezza del foro perfetto sui traguardi strumentali che era corrispondente
all’ampiezza apparente del diametro (a) solare e, in questo caso, realizzata empirica-
mente, sarebbe risultata pari alla metà di un dito greco, ovvero: 1,85 / 2 = 0,925 cm.
Difatti: 0,925 cm x 720 = 666 cm, lunghezza totale della corda circoscrivente. Cfr.
anche Bonet 2010, pp. 134-143.
177
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
360 dita = numero di volte in cui il sole, col doppio del suo diame-
tro, occupa la sua stessa orbita.
Infine, non rimaneva che raddoppiare questo numero (pari a 360 dita)
per ottenere quello esatto: che indica il numero di volte in cui il dia-
metro solare è contenuto nella sua stessa orbita. Talete, fissò il numero
divino:
57
Oggi possiamo fare questa verifica anche con i nostri calcoli. Con un manuale tec-
nico del geometra e del perito agrario si possono trovare delle tavole per la lunghezza
dello sviluppo S di un arco di cerchio di raggio R= 1 sotteso da un angolo α°. La for-
mula che calcola lo sviluppo S dell’arco è: S = π R α°/ 180°. Poiché l’angolo strumen-
tale, formatosi con il metodo ad ostacoli indiretto della doppia eclisse, è pari a 1 gra-
do, si rileva nelle tavole uno sviluppo S = 0,0174533. Sapendo che il raggio strumen-
tale R dell’asta oculare è: 212 cm /2 = 106 cm, avremo, ponendo S = 2a: 106 cm x
0,0174533 = 2a = 1, 85 cm. [disegno-punto 6].
58
Le unità di misura nella Grecia arcaica erano basate su parti del corpo umano e va-
riabili a seconda delle zone geografiche. A Egina il piede valeva 33,3 cm mentre ad
Atene era più corto: 29,6 cm. Egina fu una delle più notevoli basi navali della Grecia
arcaica. Difatti vedremo alla nota 63 come Eraclito di Efeso (VI -V sec.a.C) in un suo
famoso frammento si esprime sul sole facendo riferimento al piede umano, inteso
proprio come unità di misura naturale [cfr. Bonet 2010, p. 168, n. 61]
59
Nell’Ellade, il dito (δάκτυλος) era l’unità minima riconosciuta o standardizzata per
essere rapportata con le altre misure multiple unitarie: il palmo (παλαιστή o δῶρον) -
la spanna (σπιθαµή) - il piede (ποῦς) - il cubito ecc.
178
ALDO BONET
360 x 2 = 720 = numero di volte in cui il sole, col suo diametro, oc-
cupa la sua stessa orbita.
60
Rivedere al precedente paragrafo 8 il punto nr. 4, nonché le precedenti note nr. 39 e
41.
61
Rossetti 2015, cap. V, pp. 199 e ss. si cimenta con un metodo che si basa su un dia-
framma solido da far corrispondere alle dimensioni apparenti del disco solare (e luna-
re) puntandolo direttamente per occlusione davanti ai due astri e tramite un piccolo
apparato, sommariamente descritto. Interessante è notare che Rossetti passa da un
mega-apparato (cfr. supra, nota 47) a un piccolo apparato ma, soltanto dopo Bonet
2010 (dal cap. 19 al cap. 27). -Supporre che il vecchio saggio Talete si sia orientato
con un ostico metodo diretto rispetto a un più preciso e agevole metodo indiretto vuol
dire, innanzitutto, non considerare il suo stile peculiare ma anche, non vedere sia
l’improponibilità per l’imprecisione che ne scaturisce da un metodo diretto, sia la sua
inapplicabilità per le naturali difficoltà che sopraggiungono a un astronomo veterano
e, delle quali, ne abbiamo ampiamente accennato nell’articolo. - Rossetti contraddice
se stesso quando, giustamente, presume, alla sua nota 17 di p. 201, «Presumo però
che, quando si prova a riportare il segmento o arco svariate centinaia di volte, il ri-
schio di imprecisione divenga altissimo (è possibile che dieci misurazioni effettuate
179
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
da dieci persone diano dieci risultati differenti)»; poi però, a p. 205, sviluppa il meto-
do proprio in quella rischiosa direzione. - E ancora, quando giustamente segnala, a p.
204: «Incomincio col segnalare la difficoltà che comporta la realizzazione di un trian-
golo fisico che abbia le proporzioni richieste (l’operazione sarebbe in grado di creare
dei problemi, suppongo, anche a un artigiano dei nostri giorni e malgrado la possibili-
tà di macchinari piuttosto sofisticati)»; poi però, prosegue, a p. 205, con
l’applicazione di un metodo ancor più ostico per l’asperità del materiale,
l’imprecisione e per le tantissime insidie aggiuntive. Il metodo taletiano possedeva
genialità, sistematicità, eleganza, semplicità e precisione, lo aveva già mostrato con le
notevoli misure indirette fatte nell’Egitto dei faraoni o anche, con la distanza delle
navi in mare ma anche, con le scoperte e le spiegazioni dei teoremi fondamentali della
geometria ecc. Inoltre Talete sapeva portare tutto a percezione distinta per facilitarne
subito il convincimento: la rotazione micrometrica dell’asta strumentale percorreva
esattamente una porzione circolare dell’orbita solare uniformemente riprodotta sulla
fune e non un’ambigua porzione poligonale inscritta o circoscritta. Il metodo diretto
per occlusione dell’astro solare, per il suo scarso rigore all’acuità visiva, viene tutt’al
più applicato quando si cerca un risultato approssimativo del diametro apparente, den-
tro un intervallo di minima oscillazione angolare. Ciò che fece Archimede con il suo
calcolo dell’ampiezza angolare del sole mediante un alternativo metodo ad ostacoli
diretto della doppia eclisse, che però, lo applicò per una ragione metodologica ben
precisa. Con una scienza cosmologica che andò a poggiare le sue basi sopra una più
corretta concezione sferica degli astri e con il sopraggiungere, nell’Ottica di Euclide,
del teorema nr. 23: «Di una sfera vista in qualunque modo da un solo occhio appare
sempre meno di un emisfero, e questa parte vista della sfera appare come una circon-
ferenza di cerchio» l’innovativo calcolo del numero divino che Talete determinò con
una diottra di puntamento che inquadrava o includeva l’astro e che inoltre concepì di
forma circolare, fu messo (erroneamente) in discussione, ritenendolo non più idoneo
per la determinazione angolare di un sole sferico e, per questa ragione, Archimede
ritenne di rideterminarla con un’alternativa diottra di puntamento che lo occludeva,
cercando così un intervallo minimo angolare in cui fosse contenuto il diametro sferico
del sole: Bonet 2010, pp. 171-174 e n. 63 tra p. 173 e p. 174.
180
ALDO BONET
166,5 cm) coprivano esattamente ogni quarto della fune 62 distesa (666
cm / 4 = 166, 5 cm). Minore erano i riporti unitari distribuiti lungo la
fune e minore risultava l’errore accumulato nella verifica del numero
divino.
Quest’ultimo metodo di verifica 63 dell’ampiezza angolare del sole,
avrebbe consentito a Talete (o ai suoi discepoli) non solo di ridurre
conseguentemente l’accumulo complessivo dei riporti e quindi gli er-
rori, per eventuali o future verifiche del numero divino, ma anche, di
ridimensionare a piacimento la fattezza stessa dello strumento; per e-
sempio, modificando lo strumento in un semicerchio e con una semi-
fune ad esso circoscritta, o in un quarto di cerchio e con la quarta parte
della fune ad esso circoscritta, precorrendo in quest’ultimo caso, uno
strumento di fattezza molto simile al quadrante 64 astronomico Tole-
maico.
62
Il quarto della fune si poteva ottenere empiricamente mediate una prima piegatura
su se stessa, facendo combaciare le prime due metà della fune e, con una seconda pie-
gatura su se stessa, facendo combaciare le seconde due metà della medesima fune.
63
Quest’ultimo metodo di verifica dell’ampiezza angolare del sole che utilizza, per
natura, il piede umano di Egina, echeggia con il frammento fr. 3 DK di Eraclito (il
famoso frammento sul sole): «il sole per natura ha la misura di un piede umano», cfr.
Rossetti 2015, cap. V, pp. 209-214. A mio parere, Eraclito non si riferiva né a una pa-
rodia su Talete né a un piede umano con funzione di diaframma. È più verosimile che
Eraclito (VI -V sec. a.C.) si riferisse alla verifica metrologica dell’ampiezza angolare
del sole che fu fatta, per semplificazione, con il piede greco, utilizzato come unità
multipla di misura: «il sole per natura (con le parti del corpo umano) ha la misura di
un piede umano». In Fronterotta 2013, pp. 128-132, troviamo una traduzione e
un’interpretazione migliore: «il sole, la cui larghezza è per natura di un piede umano,
non oltrepassa i suoi confini, perché se uscirà dall’arco del suo corso, le Erinni, che
amministrano la Giustizia lo sorprenderanno». Mouraviev propone invece: «Questo
sole, che per natura ha la larghezza di un piede umano, non oltrepasserà i confini ap-
propriati: se esce dall’arco del suo corso, le Erinni, che amministrano la Giustizia lo
sorprenderanno». Nelle pagine citate, ci sono analisi sulle singole parti della frase.
64
L’allievo di Talete, Anassimandro, non solo fu il primo ad introdurre in astronomia
lo gnomone per l’osservazione dell’ombra variabile proiettata da un bastone vertica-
lizzato sul terreno, ma fu anche il primo ad introdurre, come misuratore dell’ora sola-
re, una meridiana, guarda caso, a forma di quarto di cerchio o di quadrante, nonché il
primo a dare luogo ad una stesura cartografica terrestre, che seppur ingenua, doveva
esser stata concepita soltanto dopo una dimestichezza topografica - strumentale e co-
smologica pur minima o elementare, ma non certamente improvvisata (cfr. Bonet
2010, p. 169, n. 62).
181
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
10. CONCLUSIONI
La scienza strumentale o “meccanica”, iniziata da Talete, è stata
osteggiata in epoca platonica anche a causa dell’influsso che ancora
esercitava presso i geometri, e che non doveva piacere a Platone e ai
platonici. Per questo è stata allontanata dalla filosofia da Platone stes-
so. Ma, «indipendentemente dal fatto che egli [Talete] sia stato o non
sia stato anche il primo filosofo» (Rossetti 2015, p. 225), non si può
mettere in dubbio che l’apporto di questa scienza strumentale è straor-
dinario, essendo precorritrice della moderna topografia, cartografia,
astronomia terrestre, nautica e fisica sperimentale, ma che è anche
stimolo e punto di riferimento per la geometria e la filosofia naturali-
stica posteriori. Tutto sta a intendersi sul significato di “filosofia”.
Perché, nel senso platonico del termine, Talete non pare esser stato un
filosofo, e neppure Socrate. È questa la tesi di fondo di Rossetti
201565, in cui non si fa altro che sostenere dall’inizio alla fine che è
65
In Rossetti 2010 Socrate è il filosofo per eccellenza (questo viene riconosciuto in
Rossetti 2015, p. 169). Cinque anni dopo, in Rossetti 2015, si cambia idea, e la tesi di
fondo diventa quella di Platone come padre della filosofia, chiarissima fin da p. 45
(«la filosofia […] è decollata […] con pagine di Platone»). Il titolo di questo libro a-
vrebbe potuto esser completato in questo modo: La filosofia non nasce con Talete e
nemmeno con Socrate, ma con Platone. A p. 60 si legge della «svolta epocale […] di
Platone, […] passaggio decisivo». A p. 62 si legge che la filosofia «è entrata in scena
ai tempi di Platone e, sostanzialmente, per merito suo»; a p. 76 questa affermazione è
ribadita («si è cominciato a parlare (e scrivere) intensivamente di filosofia solo ai
tempi di Platone e sostanzialmente per suo merito»); a p. 70 si legge che il pensiero di
Platone è «terribilmente innovativo» (la parola «innovativo», in riferimento a Platone,
è presente due volte a p. 70, il «terribilmente» ricorda la parola δεινὰ, così come viene
usata in Sofocle, Antigone, v. 334: πολλὰ τὰ δεινὰ κοὐδὲν ἀνθρώπου δεινότερον πέλε-
ι: «molte sono le cose mirabili [o: terribili], ma nessuna è più mirabile (o: terribile)
dell’uomo»); a p. 84 si insiste a ripetere che l’idea di filosofia è di Platone, è «la sua
idea» (ripetuto a p. 164, mettendo, anche questa seconda volta, «sua» in corsivo); a p.
105 ci si trova nuovamente a sentirsi ripetere che la filosofia, così come la intende
Rossetti con Platone, «è largamente attestata da Platone in poi». Si può anche essere
182
ALDO BONET
d’accordo con Rossetti 2015 p. 132, quando scrive: «solo con - e grazie a - Platone la
filosofia è diventata una cosa pubblica, dichiarata e riconoscibile, un sapere, una di-
sciplina ben identificata, un ideale di vita e altro ancora, con tanto di libri di filosofia,
di filosofi riconosciuti come tali e di aspiranti filosofi». Ma in Rossetti 2015 si fa as-
soluto silenzio del fatto che i meriti di Platone non sono meriti suoi, ma del pensiero
orfico, pitagorico e, a ben vedere, egizio di cui Platone si fa mero portavoce, che Pla-
tone ha imparato da loro, lo ha assimilato, lo ripete e fa finta che sia suo, omettendo
spesso di citarne la fonte, come invece sarebbe stato forse giusto fare, approfittando-
sene probabilmente delle circostanze storiche a lui favorevoli, tali per cui trova un
terreno già pronto ad accogliere la filosofia egizia proposta con la maschera di Plato-
ne, il quale Platone si vuole nascondere dietro a un’altra maschera, quella di Socrate,
che diventa il portavoce del pensiero egizio che Platone porta ad Atene senza dire che
è egizio, ma dicendo che è socratico. No: questo in Rossetti 2015 non interessa, non
viene considerato importante, anzi non viene nemmeno preso in considerazione,
nemmeno per ipotesi. Viene censurato. Molto sbrigativamente, in Rossetti 2015, pp.
138-9 ci si limita a riportare Isocrate, Busiride, 17, 23 e 28 (i sacerdoti egizi come
fondatori della filosofia greca: cfr. Chirico 1995-1996, pp. 219-28), per concludere
allegramente «questo tipo di documentazione non è rilevante per la presente indagi-
ne». Così, a p. 135 riecco il ritornello del Platone primo filosofo: «prima di Platone e
Aristotele, non ci sono stati intellettuali il cui sapere sia stato percepito come filosofi-
co», che viene ripetuto a p. 136: «la filosofia […] ha una sua data di inizio o di nasci-
ta: intorno al 385-80 a.C., a Atene, nella testa di Platone e, inizialmente, di nessun al-
tro», queste sono «le specialissime benemerenze di Platone» (p. 137), su cui si torna
anche a p. 151: «un protagonista certo [Platone] (quindi anche una data fondamentale
[poi, alle pp. 161-163, la data deve esssere quella in cui viene scritto Fedone 61c-d,
vale a dire, come si legge a p. 164 e di nuovo a p. 165, tra il 385 ed il 380 a.C. - ed è
proprio questa una delle tre date considerate della massima importanza da Rossetti,
oltre al 430-420 e al 350 circa: cfr. la parte conclusiva-riepilogativa di Rossetti 2015,
p. 328, ma anche pp. 149-51 e p. 87])». Rossetti afferma con la massima certezza che
Platone è capace di «far sognare» (5 volte: una volta a p. 64, un’altra volta a p. 65,
due volte a p. 66 e una volta a p. 67), che il suo è un pensiero «attraente», che «attrae»
(questa parola è attestata 5 volte: pp. 66, 151, 164, 217 e 223; ricorda lo Ione 533c-
533e (ἄγει, ἄγειν, «attirare», «attrarre», parlando della δύναµιν del magnete: cfr. an-
che Euripide, fr. 567 (dall’Oineo); Democrito DK 68 A 165; Giuliano 2005, pp. 177-
83), che la sua è una filosofia come validissima «suggestione» (p. 67), di un pensiero
da apprezzare più di quello degli altri in quanto dà luogo ad una «profonda empatia»
(sempre a p. 67). E ancora: «la filosofia egli [Platone] l’ha saputa […] far amare»).
Una volta addirittura troviamo una presentazione quasi evangelica di Platone, diviniz-
zata, quasi a modo di adorazione, quando leggiamo che «lui [Platone] il pane ce lo
spezza, lui si dedica con impegno a spezzarci il pane» (p. 45). Al contrario, tutti gli
altri autori (Talete, Socrate, Aristotele, Senofonte, ecc.) vengono trattati con distacco,
dubbiosità, diffidenza, sospetto. A Platone si concede un trattamento privilegiato, che
non si concede a nessun altro. Qui le motivazioni filosofiche sembrano cedere il passo
a motivazioni di carattere piuttosto affettivo, emozionale (senza nulla togliere
183
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
I, 74. ∆ιαφέρουσι δέ σφι ἐπ᾿ ἴσης τὸν πόλεµον τῶι ἕκτωι ἔτει συµβολ-
ῆς γενοµένης συνήνεικε, ὥστε τῆς µάχης συνεστεώσης τὴν ἡµέρην
ἐξαπίνης νύκτα γενέσθαι. τὴν δὲ µεταλλαγὴν ταύτην τῆς ἡµέρης Θαλ-
ῆς ὁ Μιλήσιος τοῖσι ῎Ιωσι προηγόρευσε ἔσεσθαι, οὖρον προθέµενος
ἐνιαυτὸν τοῦτον, ἐν τῶι δὴ καὶ ἐγένετο ἡ µεταβολή.
Platone
67
[a. m.].
185
IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
Aristotele
De caelo b, 13, 294a28. Οἱ δ᾿ ἐφ᾿ ὕδατος κεῖσθαι [sc. τὴν γῆν]. Τοῦ-
τον γὰρ ἀρχαιότατον παρειλήφαµεν τὸν λόγον, ὅν φασιν εἰπεῖν Θαλῆν
τὸν Μιλήσιον ὡς διὰ τὸ πλωτὴν εἶναι µένουσαν ὥσπερ ξύλον ἤ τι τοι-
οῦτον ἕτερον [καὶ γὰρ τούτων ἐπ’ ἀέρος µὲν οὐθὲν πέφυκε µένειν,
ἀλλ’ ἐφ’ ὕδατος], ὥσπερ οὐ τὸν αὐτὸν λόγον ὄντα περὶ τῆς γῆς καὶ
τοῦ ὕδατος τοῦ ὀχοῦντος τὴν γῆν.
Pol. a, 11, 1259a 6. Πάντα γὰρ ὠφέλιµα ταῦτ᾿ ἐστὶ τοῖς τιµῶσι τὴν
χρηµατιστικήν, οἶον καὶ τὸ Θαλέω τοῦ Μιλησίου. Τοῦτο γάρ ἐστι κα-
τανόηµά τι χρηµατιστικόν· ἀλλ᾿ ἐκείνωι µὲν διὰ τὴν σοφίαν προσάπ-
τουσι, τυγχάνει δὲ καθόλου τι ὄν. Ὀνειδιζόντων γὰρ αὐτῶι διὰ τὴν πε-
νίαν ὡς ἀνωφελοῦς τῆς φιλοσοφίας οὔσης, κατανοήσαντά φασιν αὐ-
τὸν ἐλαιῶν φορὰν ἐσοµένην ἐκ τῆς ἀστρολογίας, ἔτι χειµῶνος ὄντος
186
ALDO BONET
De an. a, 5, 411a7. Καὶ ἐν τῶι ὅλωι δέ τινες αὐτὴν [sc. τὴν ψυχήν] µε-
µεῖχθαί φασιν, ὅθεν ἴσως καὶ Θαλῆς ὠιήθη πάντα πλήρη θεῶν εἶναι. i,
2, 405a19. Ἔοικε δὲ καὶ Θαλῆς, ἐξ ὧν ἀποµνηµονεύουσι, κινητικόν τι
τὴν ψυχὴν ὑπολαβεῖν, εἴπερ τὸν λίθον ἔφη ψυχὴν ἔχειν ὅτι τὸν σίδηρ-
ον κινεῖ.
Simplicio
Phys. 23, 21. Τῶν δὲ µίαν καὶ κινουµένην λεγόντων τὴν ἀρχήν, οὓς
καὶ φυσικοὺς ἰδίως καλεῖ [Aristotele], οἱ µὲν πεπερασµένην αὐτήν
φασιν, ὥσπερ Θαλῆς µὲν ᾿Εξαµύου Μιλήσιος καὶ ῞Ιππων, ὃς δοκεῖ καὶ
ἄθεος γεγονέναι, ὕδωρ ἔλεγον τὴν ἀρχὴν ἐκ τῶν φαινοµένων κατὰ τὴν
αἴσθησιν εἰς τοῦτο προαχθέντες· καὶ γὰρ τὸ θερµὸν τῶι ὑγρῶι ζῆι καὶ
τὰ νεκρούµενα ξηραίνεται καὶ τὰ σπέρµατα πάντων ὑγρὰ καὶ ἡ τροφὴ
πᾶσα χυλώδης· ἐξ οὗ δέ ἐστιν ἕκαστα, τούτωι καὶ τρέφεσθαι πέφυκε·
τὸ δὲ ὕδωρ ἀρχὴ τῆς ὑγρᾶς φύσεώς ἐστι καὶ συνεκτικὸν πάντων· διὸ
πάντων ἀρχὴν ὑπέλαβον εἶναι τὸ ὕδωρ καὶ τὴν γῆν ἐφ᾿ ὕδατος ἀπεφή-
ναντο κεῖσθαι.
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IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
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Indice
II.
Jonathan Molinari, Pensare il mito. Il problema dell’origine
dalla “prisca theologia” alla “nova philosophia” di Pico della
Mirandola, pp. 19-34.
III.
Pasquale Indulgenza, Oralità e scrittura. La riflessione di
Platone e la «rivoluzione dell’informazione», pp. 35-52.
VIII.
Filippo Parmeggiani, Essere e intuizione. Platone: filosofia
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200
ALDO BONET
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IL TALETE NON DETTO DA PLATONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE
DA UN LIBRO DI LIVIO ROSSETTI
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