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di Cristina Piotti
Contributor
28 SEP, 2021
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HOME ATTUALITÀ AMBIENTE
Pre-Cop26 e migrazione
Numeri dietro i quali si nascondono i volti di chi rischia di perdere la propria
abitazione, i propri beni, il lavoro. Ma anche il futuro dei propri figli, una vita
dignitosa, i diritti più basilari. Nella disperazione, la spinta alla migrazione
climatica, scrive l’International institute for environment and development
nel suo ultimo report Anti-Slavery International, rende i migranti
climatici particolarmente vulnerabili alla tratta di esseri umani e alla
schiavitù moderna, compreso il lavoro forzato. Si tratta di uno dei primi
studi a tracciare in modo netto, e critico, un legame tra migrazione indotta
dal clima e le moderne forme di schiavitù, proprio in vista dell’imminente
vertice delle Nazioni Unite sul clima, Cop26, e l’incontro preparatorio
Pre-Cop26.
Giovani e clima
“A causa delle alte temperature preesistenti, la regione del Medio Oriente
arabo è particolarmente sensibile agli esiti dei cambiamenti
climatici. Una delle aree chiave dei rischi del cambiamento climatico è
l’aumento generale delle temperature, dell’acqua e della migrazione”,
spiega Neeshad Shafi, ambientalista e co-fondatore dell’Arab Youth
Climate Movement (con sede in Qatar), considerato oggi una delle voci
emergenti tra i movimenti giovanili che si battono per il clima.
“Lo scorso 22 giugno la città kuwaitiana di Nuwaiseeb ha registrato
la temperatura più alta del mondo, quest’anno, ovvero 53,2° C. Bisogna
poi considerare che il Medio Oriente è la regione più colpita al mondo in
fatto di scarsità d’acqua, il 70% dei Paesi colpiti da stress idrico si trova
nella regione Mena (Middle East and North Africa, ndr)”, dice Shafi.
Questo quadro comporta notevoli rischi di instabilità politica,
economica e sociale in aree spesso già colpite da conflitti. L’attivista
ricorda che “nel 2017, i disastri nella regione hanno portato a 11,4 milioni
di sfollati interni, principalmente in Iraq, Siria, Yemen, Libia e Nord
Africa. Inoltre, sebbene queste popolazioni siano spesso
considerate “rifugiati climatici”, questo termine non è riconosciuto dal
diritto internazionale e quindi non ricevono le stesse protezioni dei rifugiati
in fuga da conflitti o persecuzioni”.