Sei sulla pagina 1di 7


NUMERI VACCINAZIONI

NEWSLETTER

GREEN PASS

APPLE

COP26

WIRED CONSIGLIA

VACCINI

AFGHANISTAN

TRAILER
IN EDICOLA …
VEDI TUTTI

di Cristina Piotti
Contributor
28 SEP, 2021

 131




 *131CONDIVISIONI
HOME  ATTUALITÀ   AMBIENTE

Entro il 2050 216 milioni


di persone dovranno
migrare a causa della
crisi climatica
Tra 3 giorni torna il Wired Next Fest per parlare di sostenibilità - Scopri di più

Gli effetti del riscaldamento globale saranno


sempre più responsabili delle migrazioni. Esiste
uno status di rifugiato climatico ma spesso non
viene rispettato
Il trasferimento di circa 1000 migranti rifugiati del campo incendiato di Moria, sull’isola di Lesbo
in Grecia (Socrates Baltagiannis/dpa via Ipa)

Almeno 216 milioni di persone nel mondo saranno costretti a lasciare


tutto quello che hanno e migrare a causa del cambiamento climatico
entro il 2050. Sono i numeri, drammatici, evidenziati dall’ultimo Rapporto
Growndshell della Banca Mondiale, che ricorda come l’impatto sui mezzi
di sussistenza delle persone e la perdita di vivibilità di luoghi altamente
esposti a eventi climatici estremi spingeranno un numero importante di
cittadini, in tutto il mondo, a spostamenti interni o transnazionali. Entro il
2050, si legge, l’Africa subsahariana potrebbe contare fino a 86 milioni
di migranti climatici interni e 19 milioni il Nord Africa. In Asia orientale
e Pacifico si stimano 49 milioni, 40 milioni per le aree asiatiche meridionali.
Per l’America Latina si prevedono 17 milioni e tra Europa orientale e Asia
centrale 5 milioni.

Pre-Cop26 e migrazione
Numeri dietro i quali si nascondono i volti di chi rischia di perdere la propria
abitazione, i propri beni, il lavoro. Ma anche il futuro dei propri figli, una vita
dignitosa, i diritti più basilari. Nella disperazione, la spinta alla migrazione
climatica, scrive l’International institute for environment and development
nel suo ultimo report Anti-Slavery International, rende i migranti
climatici particolarmente vulnerabili alla tratta di esseri umani e alla
schiavitù moderna, compreso il lavoro forzato. Si tratta di uno dei primi
studi a tracciare in modo netto, e critico, un legame tra migrazione indotta
dal clima e le moderne forme di schiavitù, proprio in vista dell’imminente
vertice delle Nazioni Unite sul clima, Cop26, e l’incontro preparatorio
Pre-Cop26.

Bisogna poi ricordare che diversi tipi di cambiamenti


ambientali (improvvisi, come un tifone, o graduali, come la
desertificazione) producono risposte diverse da parte delle comunità,
che vanno da uno spostamento forzato, di sopravvivenza, a una lenta
erosione della qualità della vita e a spostamenti graduali, soprattutto dei
più giovani. E proprio loro, oltre a essere i primi destinatari delle politiche
volte alla protezione, sono oggi considerati attori decisivi per una azione
concreta di contrasto.
Neeshad Shafi, ambientalista e co-fondatore Arab Youth Climate Movement

Giovani e clima
“A causa delle alte temperature preesistenti, la regione del Medio Oriente
arabo è particolarmente sensibile agli esiti dei cambiamenti
climatici. Una delle aree chiave dei rischi del cambiamento climatico è
l’aumento generale delle temperature, dell’acqua e della migrazione”,
spiega Neeshad Shafi, ambientalista e co-fondatore dell’Arab Youth
Climate Movement (con sede in Qatar), considerato oggi una delle voci
emergenti tra i movimenti giovanili che si battono per il clima.
“Lo scorso 22 giugno la città kuwaitiana di Nuwaiseeb ha registrato
la temperatura più alta del mondo, quest’anno, ovvero 53,2° C. Bisogna
poi considerare che il Medio Oriente è la regione più colpita al mondo in
fatto di scarsità d’acqua, il 70% dei Paesi colpiti da stress idrico si trova
nella regione Mena (Middle East and North Africa, ndr)”, dice Shafi.
Questo quadro comporta notevoli rischi di instabilità politica,
economica e sociale in aree spesso già colpite da conflitti. L’attivista
ricorda che “nel 2017, i disastri nella regione hanno portato a 11,4 milioni
di sfollati interni, principalmente in Iraq, Siria, Yemen, Libia e Nord
Africa. Inoltre, sebbene queste popolazioni siano spesso
considerate “rifugiati climatici”, questo termine non è riconosciuto dal
diritto internazionale e quindi non ricevono le stesse protezioni dei rifugiati
in fuga da conflitti o persecuzioni”.

Il ruolo della Croce rossa


Su questo fronte è attiva anche la Croce rossa italiana. “La missione
della Croce Rossa è quella di alleviare le sofferenze umane a 360 gradi, ci
occupiamo dei bisogni che evolvono e purtroppo oggi bisogna agire non
solo su scenari di conflitto, ma anche fare fronte a emergenze
come migrazioni e cambiamenti climatici”, spiega il vicepresidente e
referente giovani, Matteo Camporeale. Di migrazioni climatiche, sottolinea,
non si parla ancora a sufficienza. Tanto che, in vista della Pre-Cop26, ha
organizzato nei giorni scorsi un appuntamento sul tema per i ragazzi delle
superiori. “Ci rivolgiamo ai giovani perché come associazione crediamo
molto nel volontariato e nella cittadinanza attiva. Inoltre questi momenti
hanno una valenza educativa e formativa ed è fondamentale sviluppare la
comprensione del fenomeno sin da piccoli”, precisa Camporeale. 

Tra gli esperti è intervenuta anche Francesca Basile, responsabile


dell’Unità operativa migrazioni della Cri, che stima: “Dall’inizio della
pandemia, i disastri legati al clima hanno colpito almeno 139 milioni
di persone, e tra di loro ci sono anche molti migranti climatici: questo dice
uno studio portato avanti dalla Federazione internazionale delle Società
di Croce rossa e Mezzaluna rossa”. Tra le emergenze ci sono
il Sahel (colpito da inondazione, siccità e invasioni di cavallette) e
il Bangladesh, che sorge in un’area fluviale e densamente popolata,
storicamente colpita da tempeste tropicali, inondazioni e altri disastri
naturali.

Aumentano le crisi, si aggrava lo stato dei migranti climatici. “Nel diritto


internazionale questa categoria è risultata a lungo inesistente, ma
davanti all’evidenza scientifica è come se stessimo assistendo a un
processo di adattamento del diritto, che dovrà condizionare anche
l’assistenza da garantire a chi fugge da una vita che non può più garantire
la sopravvivenza – spiega Basile -. Anche i decreti sicurezza approvati a
dicembre scorso prevedono per questa categoria lo stesso trattamento
riservato a chi fugge da guerre o carestie, dando quindi diritto a una
protezione umanitaria non solo rispetto al singolo evento, ma
anche all’impossibilità tornare nel proprio Paese”.
Oltre che sull’accoglienza, Croce Rossa e Mezzaluna Rossa lavorano
sulla prevenzione, con le comunità in loco. Per esempio,
in Bangladesh sono stati creati sistemi di allarme rapido che, attraverso
altoparlanti, mettono in guardia sul rischio inondazioni nelle aree a rischio.

Potrebbero piacerti anche