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LUIGI PIRANDELLO, IL TRENO HA FISCHIATO

Il Treno ha fischiato è una novella del 1922 di Luigi Pirandello contenuta nella raccolta Novelle per un anno.
Pur essendo una molto breve, è assolutamente emblematica e rappresentativa del pensiero pirandelliano. Il
protagonista del racconto è Belluca, un contabile mansueto, metodico e paziente che viene sottoposto a
pressioni sia nell’ambito familiare che in quello lavorativo. Un bel giorno, infatti, inizia a comportarsi in
modo insolito, al punto tale che i colleghi e il capoufficio, credendolo pazzo, insistono perché sia ricoverato
in un ospedale psichiatrico. Neppure i dottori che lo hanno in cura riescono a comprendere il significato della
frase che egli continua ostinatamente a ripetere: il treno ha fischiato. Sarà poi il vicino di casa, nonché il
narratore, a spiegare il senso di questa strana follia.
Il primo aspetto interessante da sottolineare è che, come accadeva anche ne L’Uomo dal fiore in bocca, la
vicenda si svolge per mezzo della soluzione progressiva di alcuni enigmi: la voce narrante non svela tutto
all’inizio, anzi, attraverso l’uso della retrospezione, c’è il ribaltamento della sequenza dei fatti, che quindi
vengono presentati dal narratore solo in un secondo tempo per far sì che nel lettore cresca l’attenzione e la
meraviglia rispetto alla tesi presentata. Nella novella, infatti, vi è un’alternanza di punti di vista che
conferisce al testo una focalizzazione interna variabile: il protagonista è prima presentato dal punto di vista
degli altri personaggi interni alla vicenda, poi dal narratore stesso, attraverso il quale Belluca svela il
significato della propria esperienza.
La novella comincia con il verbo farneticava, proprio dell’area semantica della follia, ma non vi sono sin da
subito chiare indicazioni sul protagonista della vicenda, che verrà citato poi dai colleghi con l’epiteto povero
Belluca, espressione significativa che ben rappresenta il carattere dimesso e insignificante di questo
personaggio modesto, preso in giro ed abbandonato da tutti, a cui i compagni d’ufficio avevano diagnosticato
encefalite, infiammazione della membrana e febbre cerebrale, tutti termini attinenti al linguaggio medico
volti a definire la malattia del protagonista. Ma, a proposito dei vari colleghi che fanno visita a Belluca,
Pirandello scrive:

“E volevan sembrare afflitti; ma erano in fondo così contenti, anche per quel dovere compiuto; nella


pienezza della salute, usciti da quel triste ospizio al gajo azzurro della mattinata invernale.”

Questo è un passaggio molto indicativo che contiene un’acuta osservazione di Pirandello circa l’assenza di
reale empatia tra gli uomini e la falsità della comunicazione e delle relazioni interpersonali: i colleghi
vanno a trovare Belluca, ormai considerato malato e delirante, e, pur sembrando afflitti per lui, sono in realtà
contenti perché loro hanno invece una pienezza nella salute e possono quindi uscire alla luce del sole,
noncuranti del collega. A questo punto, interviene la voce narrante, che, nonostante la meraviglia dei colleghi
e l’indiscussa spiegazione che Belluca fosse ormai impazzito, sottolinea invece la naturalità del suo caso. I
colleghi, però, avevano ricondotto la malattia di Belluca alla follia perché effettivamente, il giorno prima del
suo ricovero, il protagonista aveva compiuto cose insolite e strane: l’uomo mansueto, sottomesso, metodico e
paziente che era Belluca si è ribellato al suo capufficio, quasi scagliandosi fisicamente contro di lui, tanto che
fu necessario trascinarlo con la forza alla casa di cura. Infatti, uno dei compagni d’ufficio di Belluca lo aveva
definito come circoscritto [povero Belluca] entro limiti angustissimi della sua arida mansione di computista,
metafora che, paragonando il protagonista, addetto alla contabilità, ad un archivio di dati vivente, riduce la
sua persona all’essenza della sua mansione. Allo stesso modo, con l’espressione “piuttosto, vecchio
somaro, che tirava zitto zitto, sempre d’un passo, sempre per la stessa strada la carretta, con tanto
di paraocchi” Belluca viene paragonato ad un somaro, un asino da soma, che, pur essendo carico di pesi,
non li rifiuta perché sa che quella è la sua naturale condizione, è come se avesse i paraocchi per continuare
ad andare dritto lungo quella strada e non sbaragliare. Pur essendo riferita a Belluca, questa metafora
potrebbe essere applicata senza problemi alla condizione dell’uomo in generale: la vita per Pirandello è come
il percorso di un vecchio somaro che lungo una strada cammina con dei paraocchi e una carretta da
trascinare, immagine che lo avvicina ad Eugenio Montale e alla sua concezione della vita come un percorso
lungo una strada assolata al fianco di un muro con cocci aguzzi di bottiglia a renderlo invalicabile. Così, in
un uomo pacato come Belluca che aveva sempre accettato rimproveri e provocazioni, tanto da rappresentare
al meglio l’accettazione della maschera che gli altri impongono, la ribellione sembrò inconcepibile e
spiegabile solo con un’improvvisa alienazione mentale, tanto che, nel corso della sorprendente faida con il
capufficio, Belluca dirà che ora che il treno ha fischiato, ora che ha sentito fischiare il treno, non può e non
vuole più essere trattato in quella maniera:

“pareva che i paraocchi gli fossero tutt’a un tratto caduti, e gli si fosse scoperto, spalancato d’improvviso


all’intorno lo spettacolo della vita”.

Infatti, quando il capufficio gli chiede conto della sua giornata lavorativa, egli, con un’ilarità vaga e piena di
stordimento, alza le mani, come a dire che non ha fatto nulla, e invece di accettare, come solitamente fa, i
rimproveri e le percosse del capo, comincia a parlare di un treno che di notte ha fischiato e che l’ha portato
anche in Siberia e nelle foreste del Congo. Sentendo le sciocchezze che Belluca blaterava, i compagni
d’ufficio decidono di farlo ricoverare in un manicomio, ma anche qui egli continua a parlare con i medici di
questo treno che ha fischiato, arrivando addirittura a imitarne il fischio. Dopo l’esperienza di quel treno che
ora occupa incessantemente i suoi pensieri, anche i tratti somatici di Belluca sono cambiati, in particolare gli
occhi e il suo sguardo, elementi molto cari a Pirandello poiché la vista, che sembrerebbe decodificare tutto,
è in realtà relativa e offre tanti punti di vista, per dipiù non veritieri, quanti sono gli uomini:

“E guardava tutti con occhi che non erano più i suoi. Quegli occhi, di solito cupi, senza lustro, aggrottati,
ora gli ridevano lucidissimi, come quelli d’un bambino o d’un uomo felice.”

Il fischio del treno ha trasformato il protagonista, l’ha svegliato dalla sua misera e infelice vita e spogliato di
quella maschera con cui gli altri lo costringevano a vivere, condannandolo però al contempo a un’esistenza
non liberatoria e felice ma chiusa in manicomio per follia.

“e frasi senza costrutto gli uscivano dalle labbra. Cose inaudite; espressioni poetiche, immaginose,
bislacche, che tanto più stupivano, in quanto non si poteva in alcun modo spiegare come, per qual prodigio,
fiorissero in bocca a lui, i, cioè a uno che finora non s’era mai occupato d’altro che di cifre e registri e
cataloghi, rimanendo come cieco e sordo alla vita: macchinetta di computisteria. Ora parlava di azzurre
fronti di montagne nevose, levate al cielo; parlava di viscidi cetacei che, voluminosi, sul fondo dei mari, con
la coda facevan la virgola. Cose, ripeto, inaudite.”

* interessante notare come l’invasamento che fa vedere paesaggi marini e di montagna ricordi il
passaggio dell’Ippolito di Euripide, in cui Fedra, impazzita per l’amore nei confronti di Ippolito,
inizia a vedere paesaggi lontani.
Questi passaggi indicano proprio come Belluca inizi a vaneggiare e dire cose senza senso, ma prontamente
interviene il narratore a spiegare quello che è accaduto a Belluca: egli non è impazzito come il capoufficio e i
colleghi credono, è anzi un uomo degno di comprensione al quale è accaduta una cosa naturalissima che ora
nessuno riesce a spiegarsi non sapendo, come invece lui sa, come Belluca abbia vissuto fino a quel momento.
In quest’immagine Pirandello esprime proprio la dolorosissima concezione della relatività delle cose e di
ogni punto di vista, che rende gli uomini incapaci di comunicare tra loro e di provare una sincera empatia:
non c’è necessariamente una ragione e un torto, ma gli altri non possono capire le situazioni altrui, come in
questo caso quella di Belluca, poiché non sono loro a viverla:

“Bisogna condurre la spiegazione là, riattaccandola a quelle condizioni di vita impossibili, ed essa apparirà
allora semplice e chiara. Chi veda soltanto una coda, facendo astrazione dal mostro a cui essa appartiene,
potrà stimarla per se stessa mostruosa. Bisognerà riattaccarla al mostro; e allora non sembrerà più tale;
ma quale dev'essere, appartenendo a quel mostro. Una cosa naturalissima.”

Infatti, questa interessante metafora ben rappresenta la relatività dei punti di vista secondo Pirandello: così
come vedere una coda di un mostro isolata dal suo corpo porterebbe gli altri a valutarla come una cosa
mostruosa e vederla invece riattaccata al corpo la renderebbe un’immagine naturalissima, così gli uomini –
come in questo caso i colleghi e il capoufficio – che vedono le cose dal loro punto di vista non possono
comprendere il dolore e le situazione altrui ma possono solo cogliere la follia di quella persona. Infatti, se gli
altri conoscessero la condizione di Belluca, dice il narratore, capirebbero che quello che gli è capitato nella
sua vita impossibile è più che naturale, è un attimo di lucidità che gli ha permesso di evadere dalle maschere
della società. Così il narratore, che si rivela essere vicino di casa di Belluca, spiega che quest’ultimo ha
sempre vissuto una vita impossibile: viveva con tre donne cieche, la moglie, la suocera e la sorella della
suocera, che dovevano essere servite costantemente e con due figlie vedove con rispettivamente quattro e tre
figli. Infatti, a Belluca, per sfamare tutte queste bocce in quell’infernale casa in cui le donne litigavano
sempre tra loro, non bastava il suo umile lavoro da computista, anzi la sera doveva ricopiare delle carte per il
suo secondo lavoro, fin quando non crollava poi su un divanuccio sgangherato, mentre gli altri soli tre letti
erano occupati da quella ciurma che soggiornava nella sua casa. Pur essendo la questione relativa al
particolare modo di vivere di Belluca, il concetto di vita impossibile di cui Pirandello parla può essere
applicato agli uomini tutti, poiché ogni vita ha qualche condizione di insopportabile dolore. Di conseguenza,
per una vita così difficile, come quella di Belluca, quanto gli era accaduto era un fatto naturalissimo:

«A un uomo che viva come Belluca finora ha vissuto, cioè una vita “impossibile”, la cosa più ovvia,
l’incidente più comune, un qualunque lievissimo inciampo impreveduto, che so io, d’un ciottolo per via,
possono produrre effetti straordinarii, di cui nessuno si può dar la spiegazione, se non pensa appunto che la
vita di quell’uomo è “impossibile”.

Gli uomini, quindi, per vivere una vita piacevole vivono in una specie di sogno, perché, se fossero davvero
vigili e se volessero davvero vedere le cose per quello che sono, allora dovrebbero ammettere che la vita è
sciocca e vana e rassegnarsi quindi a vivere nel dolore e nella follia. Ma, in questo sonno che non permette
agli uomini di vedere la drammatica realtà che li circonda, può capitare che una minima cosa, come il fischio
di un treno o, come succede ne Il fu Mattia Pascal, uno strappo sulla carta, riattivino per un attimo la
coscienza degli uomini e facciano loro notare la dolorosità e l’impossibilità dell’esistenza umana. Il narratore
si appresta così a spiegare quanto Belluca gli aveva appena rivelato nell’ospizio: due sere prima del suo
ricovero, steso sul solito divano sul quale la sera dormiva stremato, sente, nel silenzio profondo della notte,
un treno fischiare in lontananza. E questo fischio del treno lo scuote, lo allarma e lo sveglia, mostrandogli per
un attimo la sua miserabile vita, alla quale egli non trova rimedio se non quello di fantasticare e viaggiare
lontano su quel treno, se non quella di uscire dal sepolcro e liberarsi della maschera che lo attanaglia:

“e quasi da un sepolcro scoperchiato s'era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli
si spalancava enorme tutt'intorno.”

È come se a Belluca si fosse aperto un nuovo mondo:

“Ora, nel medesimo attimo ch'egli qua soffriva, c'erano le montagne solitarie nevose che levavano al cielo
notturno le azzurre fronti... sì, sì, le vedeva, le vedeva, le vedeva così... c'erano gli oceani... le foreste...”

Questo passaggio sembra quasi essere un parallelo con L’infinito di Leopardi, poiché è come se dinanzi a
Belluca si aprisse un nuovo ambiente al di fuori della siepe, l’infinito, ma anche qui è una sensazione che,
più che dare un’idea positiva della vita e delle sue possibilità, offre, invece, un’immagine sconsolata sulla
vita che si conduce. Il testo si conclude con un Belluca che, resosi conto di aver tentato un’evasione
impossibile, ha intenzione di chiedere scusa al suo datore di lavoro per ritornare così al suo monotono lavoro,
con la riserva però che avrà il permesso di viaggiare con la fantasia, con la riserva che di tanto in tanto, tra
una partita e l’altra da registrare, egli facesse una capatina, sì, in Siberia... oppure oppure... nelle foreste
del Congo.
Questo testo pirandelliano, dalla prosa asciutta, seppur ricca di termini tecnici volti a rappresentare proprio la
pazzia e l’alienazione mentale, e drammaticamente aderente alla realtà, si serve di molte similitudini e
metafore, come quella del casellario ambulante e quella del somaro, per mostrare come l’uomo sia
schiacciato dalla sua vita terribile e alienante. Anche nella semplice aggettivazione c’è sempre una spia del
dolore che attanaglia l’uomo, come quando si parla dell’ilarità che improvvisamente colpisce Belluca e che
più che essere un’ilarità autentica è invece vaga e piena di stordimento. Quindi, dal punto di vista stilistico,
in questa prosa semplice e lineare, la scelta degli aggettivi rappresenta proprio l’angoscia esistenziale
dell’uomo. Importante poi anche la retrospezione, cioè l’espediente narrativo con il quale gli avvenimenti
che portano alla fine della vicenda sono presentati dal narratore solo in un secondo momento. La
focalizzazione interna è variabile: all’inizio il punto di vista è quello dei medici e dei colleghi, poi diventa
della voce narrante e, infine, dello stesso Belluca. Tra i nuclei tematici introdotti nella novella, sicuramente
acquistano particolare importanza il tema della relatività delle cose e dei punti di vista, come si vede anche
dalla non comprensione delle vicende di Belluca. Se le cose non hanno una loro obiettività e gli uomini non
possono mettersi d’accordo tra loro, ecco che viene meno l’idea di una comunicazione umana fondata sulla
ragione perché tutto in realtà è relativo: nulla è certo se ogni cosa può essere letta da un punto di vista
diverso da quello di un altro, e dunque gli uomini non si capiscono e non possono comunicare tra loro.
Questo racconto, per quanto incentrato sulla vicenda di Belluca, l’ultimo degli ultimi e il più sfortunato di
tutti, è in realtà metafora dell’uomo tutto. Ad esempio, infatti, gli uomini appaiono agli altri uomini come dei
mostri, vivono come degli animali da soma, che conducono questa vita gravosa con tanto di paraocchi che
non gli consentono di vedere attorno a loro poiché, se vedessero quanto impossibile è la vita, sarebbero
considerati folli come Belluca. In questa vita impossibile fatta soltanto di dolore e solitudine, può qualche
volta capitare a quell’uomo che procede con i suoi paraocchi come un somaro un piccolo incidente di
percorso, come il fischio di un treno, che gli fa avere la cognizione di quanto sia impossibile e dolorosa la
sua vita, rendendolo quindi un pazzo agli occhi dei cosiddetti sani: non è possibile liberarsi della maschera
che si sceglie per se stessi e per gli altri, tanto che Belluca ritornerà poi alla sue consuete abitudini, perché se
la si toglie si viene subito additati come un folle. Belluca, infatti, volendosi ribellare alla maschera di sciocco
che gli altri gli avevano affidato, viene subito riconosciuto come pazzo: la vita degli uomini è una gabbia di
sofferenza, in cui gli uomini sono inevitabilmente condannati a un’esistenza dolorosa, e un magma, un
flusso di cose disordinate e in movimento.
A proposito di questa considerazione della maschera, nelle Novelle per un anno vi è un racconto
particolarmente esemplificativo di cosa siano la vita e cosa la maschera secondo Pirandello. Questo narra la
storia di una donna giovane ed ammalata che, sul punto di morire, è accudita al suo capezzale dal marito e da
una cara amica. I due patiscono insieme le sofferenze di questa donna ma improvvisamente, nonostante le
convenzioni sociali richiedano loro di indossare la maschera del marito afflitto e dell’amica inconsolabile,
cominciano ad innamorarsi e a trovare piacere nella compagnia l’uno dell’altro.
La vita, quindi, non ha ordine e non è morale, è caotica, confusa, irrazionale e talvolta violenta, è un magma
confuso che scorre senza regole. Sono gli uomini che, costretti a vivere in questo caos, devono
necessariamente trovare delle sistemazioni e indossare delle maschere che, se da un lato servono all’uomo
per non impazzire, dall’altro diventano esse stesse oppressione e gabbia per gli uomini.

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