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Tesi di Laurea
in
Storia delle Religioni
SCRITTURA SIBILLINA.
I LIBRI FATALES DELLA STORIA ROMANA.
Laureanda: Relatore:
Correlatore:
1
INDICE.
INTRODUZIONE. …………………………….................……………………………………..…p. 4
I PARTE.
II PARTE
Un secolo cruciale. p. 81 - 295 a.C., Vittorie e fulmini. p. 81 - 293 a.C., L’introduzione del dio
guaritore Asklepios /Aesculapius. p. 84 - 276 a.C. Il grande freddo e l’occupazione dei templi,
p. 89 - 248 a.C., I ludi Saeculares. p. 92 - 238 a.C., I giochi in onore di Flora. p. 93 - 228 a.C.,
Un ‘delitto religioso’. p. 98
Politica dei libri Sibillini e seconda Guerra Punica. p. 103 - 218 a.C., La sconfitta del Ticino e i
prodigi. p. 104 - 217 a.C. /a, I terribilli signa seguenti alla sconfitta della Trebbia. p. 108 - 217
aC. /b, Gli errori di Caio Flaminio, la disfatta del Trasimeno ed i remedia di Fabio Massimo. p.
113 - 216 a.C., Il baratro di Canne: l’orrore della fine, lo stuprum della vestali e il secondo
‘delitto rituale’. p. 117 - 212 e 208 a.C., Le profezie del misterioso Marcio e i ludi Apollinares. p.
119 - 207 a.C. La nascita dell’androgino. p. 124 - 205 a.C. Un aiuto esterno: la ‘Grande Madre’
asiatica a Roma. p. 128
2
CONSULTAZIONI E SOLUZIONI SIBILLINE NEL II SECOLO A. C…..……..… p.131
Un secolo “ripetitivo“: il monstrum ricorrente degli androgini. p.131 - 200 a.C., Un androgino
neonato, uno di sedici anni e altri mostri. p. 133 - 196 a.C., Terremoti: la terra in crisi. p. 134 –
193 a.C., Alluvioni, fulmini e altri prodigi. p. 135 - 191 a.C., Il malaugurato passeggio dei bovi
sul tetto, i fulmini e lo Ieiunium Cereri. p. 137 - 190 a.C., Ancora fulmini ed altri prodigi. p. 139
- 189 a.C, Manlio Vulsone ed il divieto di superare il Tauro. p. 141 -188 a.C., Pietre dal cielo,
fuochi dalla terra. p. 143 - 187 a.C., Pestilenza e supplicatio p. 145 - 186 a.C., Pioggia di
pietre, fulmini, ermafroditi: la destabilizzazione a Roma e in Italia. p. 145 -183 a.C., Piove
sangue e nasce un’isola nuova. p. 146 -181 a.C., Piove sangue, la statua di Iuno piange, la
peste uccide. p.148 - 180 a.C., Continua la pestilenza. p. 149 - 179 a.C., Una tempesta e un
mulo con tre zampe. p. 150 - 174 a.C., Prodigi, pestilenza e mostri. p. 151 - 173 a.C., Una
flotta in cielo e pesci in terra: prodigia e supplicatio. p. 152 - 172 a.C., La colonna fulminata.
p. 153 - 189 a.C., Prodigi che coinvolgono Fortuna. p. 155 -149/146 a.C., Celebrazione dei
Ludi Saeculares. p. 156 -144 a.C., Acqua contestata: la politica degli acquedotti ed i Marcii. p.
157 - 143 a.C., Una sconfitta militare ed una prescrizione sibillina. p.158 -142 a.C., Fame,
peste e un androgino. p. 159 - 133 a.C., Un assassinio sacrilego e la richiesta di aiuto all’
antIquissima Ceres. p. 160 - 125 a.C., L’abominio dell’androgino e il carme sibillino di
Flegonte da Tralles. p. 165 - 122 a.C., L’operato di Caio Gracco, la sua uccisione e un
androgino. p. 166 - 119 a.C, Un androgino gettato in mare. p. 168 - 118 a.C., Un fegato
incompleto, una pioggia di latte ed altri fenomeni. p. 168 - 117 a.C., Vari prodigi e un
androgino a Saturnia. p.169 - 114 a.C., Uno stupro fulmineo. p. 170 - 108 a.C., Un caso di
cannibalismo. p.171
CONCLUSIONE……………………………………………………….........…………..p.205
APPENDICE………………………………………………………...……............…….p.210
BIBLIOGRAFIA.………………………….…………………...............……………….p.216
3
INTRODUZIONE.
1
Sono le culture che non riconoscono un' unica e inconfutabile fonte di sapere e potere non
riconoscendo l’unico Dio dei monoteismi, il quale non può lasciare fuori controllo il vasto
campo della elaborazione di saperi autonomi. Da ciò il rifiuto, nelle culture monoteistiche della
divinazione, ma anche delle pratiche magiche. SABBATUCCI 1989, p.VII – IX; cfr.
SABBATUCCI 1999, p.39. Per l’analisi dei sistemi politeistici, rimandiamo a SABBATUCCI
1998, vedi in particolare vol. I, pp. 9 –19.
2
VERNANT 1982, pp. 5 - 7. La fonte per noi più completa sulla divinazione nel mondo greco
– romano è il de Divinatione di Cicerone. Un utile approccio all’ argomento è costituito
dall’introduzione e dal commento all’opera di Cicerone del Pease, (PEASE 1923). Di questo
lavoro molti aspetti sono ripresi nella traduzione italiana del de Divinatione, TIMPANARO
2001 (prima edizione 1988); cfr. l’ introduzione all’ edizione francese, KANY-TURPEN 2004.
Sulla divinazione nel mondo antico, in generale, rimane notevole l’opera in quattro volumi,
BOUCHE – LECLERQ 1879-82. Per un approccio storico-religioso e antropologico vedi il
volume collettivo curato da J. Vernant ‘Divination e rationalitè’ (trad. it. ‘Divinazione e
4
Proprio per la loro importanza anche sul piano della vita comunitaria, le
pratiche divinatorie sono state variamente istituzionalizzate e sottoposte al
rigido controllo di organi speciali.
La Sibylla, le sibyllai.
5
Collegati invece più propriamente alla mantica ispirata sono i Bakides,
personaggi storici, ben noti nella Grecia del V secolo a. C., fra cui il più noto è
l’indovino beota Bakis, i cui oracoli si riferivano ad eventi storici e mitici della
Beozia 7.
In questa categoria di figure itineranti, non legate ad una sede oracolare e
utilizzanti tecniche proprie della mantica ispirata, si inserisce la Sibilla, figura
di profetessa annunciatrice di sventure, guerre e calamità 8, alla quale il mito
attribuisce una durata della vita straordinariamente lunga 9. Con i Bakides la
Sibilla divide l’utilizzo di una mantica ispirata ottenuta attraverso lo stato di
entheos (posseduto dal dio o avente il dio in sé) o comunque in stato
modificato di coscienza. Tuttavia, rispetto ai Bakides, che appaiono
rigorosamente storici, la Sibilla, o meglio le Sybillai, sfumano sempre in una
10
dimensione mitica ; la ricostruzione dei vari racconti riguardanti la storia e
la genealogia delle varie sibille fu un cruccio degli eruditi ellenistici e rimane
ancora oggi un problema aperto 11.
Comunque, aldilà di una ricostruzione ‘filologica’, a noi importa notare che le
molte Sibille locali ci attestano l’ ampia diffusione che, in diversi momenti della
abbondantemente nei vari santuari greci oracolari come parte del personale; vedi
GEORGOUDI 1999.
7
Cfr. Paus. IV. 27. 4; IX. 17. 5-6; X. 12. 11. Sui Bakides come personaggi storici, vedi in
particolare ASHERI 1993.
8
Sulle caratteristiche della profezie sibilline greche, vedi PARKE 1992, p. 17 ss.
9
Cfr. Heracl. Fr. 92, D-K., frammento contenente la prima occorenza del termine ‘Sibiylla’,
che collega la profetessa ad un frammento di tempo della durata di mille anni.
10
Cfr. tuttavia Arist. Probl. 954° dove i Bakides sono accomunati alle Sibille, in un’unica
categoria.
11
Sulla Sibilla, la diffusione del suo mito e delle sue profezie rimane fondamentale la messa
a punto di W.H. Parke, PARKE 1992; vedi anche POTTER 1990. Di fronte al fiorire di miti
che vedevano la Sibilla legata a più località, alcuni eruditi, (Eraclide Pontico, Pausania,
Varrone) dal quarto secolo a.C, redessero delle ‘liste’ di sibille (PARKE 1992, p.37-67 ). La
più famosa di queste è quella di Varrone, citata attraverso Lattanzio (Div. inst. I. 6), che
elenca dieci sibille, fra cui si possono individuare tre sibille ‘italiche’, la Sibilla Cimmeria, la
Sibilla Tiburtina e la Sibilla Cumana. Fu proprio quest’ultima, sempre secondo Varrone, a
portare i libri Sibillini a Roma; la Sibilla Cumana è famosa per la descrizione di Virgilio nel VI
libro dell’Eneide. Per gli antichi culti cumani e la Sibilla vedi VALENZA MELE 1977;
VANOTTI 1999; per ipotesi dell’esistenza in Cuma di un centro oracolare in epoca arcaica,
vedi principalmente GUARDUCCI 1946; vedi anche PARKE 1992, p. 89 – 123.
6
storia del Mediterraneo, trovò un modello particolare di divinazione ispirata,
mobile, che per certi aspetti può ricordare, il modello storico del profeta
itinerante ebraico 12.
Uno studio sulle ‘profezie sibilline’ può quindi offrirci un paradigma di come
diverse culture accolsero per i propri fini, una figura originariamente estranea,
adattandola alle proprie esigenze e determinando così lo sviluppo di un nuovo
‘prodotto’ culturale.
La parola scritta.
12
Cfr. CHIRASSI COLOMBO 2007. Enorme bibliografia sul profetismo ebraico. Come breve
introduzione all’argomento, vedi SACCHI 1993. La figura della Sibilla venne altresì accolta
dalla comunità giudaica alessandrina, che a partire da non più tardi della fine del terzo secolo
adottò la profetessa come portavoce di numerose profezie. La ‘sibillistica ebraica’ andò a
confluire nella collazione degli Oracula Sibyllina , raccolta di 12 libri (di cui il III è di particolare
interesse nello studio degli adattamenti cui la Sibila venne sottoposta in ambito ebraico),
messa assieme a Bisanzio nel VI d.c. E’ molto controversa e discussa la valutazione del
materiale profetico degli Oracula; in particolare non è risolta la questione delle caratteristiche
profetiche ‘pagane’ rispetto a quelle giudaiche, per cui in ultimo risulta difficile dire quali
modifiche subì la Sibilla nella cultura giudaica e quali caratteristiche rimasero immutate.
Edizioni degli Oracula Sibyllina: GEFFCKEN 1902; KURFESS 1951; vedi anche COLLINS
1983. Fra gli studi, vedi COLLINS 1983 e COLLINS 1987. Sulle caratteristiche pagane
rintracciabili nelle profezie degli Oracula: PARKE 1992, p. 17 – 31, e su posizioni opposte
COLLINS 1983 e COLLINS 1999.
7
13
storia segreta di Roma . La Sibilla era rappresentata come conoscitrice di
tutta la storia romana, passata, presente e futura cioè del destino, fatum, della
città14. Da tener presente che la conoscenza intera della storia, non solo del
futuro, costituisce il sapere topico del mantis, l’indovino tecnico greco 15.
I libri Sibillini, che dovevano per definizione contenere la conoscenza
allargata di tutto il tempo della storia, diventano parte integrante del sistema
divinatorio romano e vengono consultati come un oracolo.
Alla loro custodia e consultazione era preposto un apposito collegio, il quale
poteva leggervi il contenuto solo e quando il senato ne avesse dato ordine,
come avveniva in quelle occasioni di crisi per la comunità intera evidenziate
dalla comparsa di un segno straordinario, un prodigio, evento che faceva
scattare la ricerca dei mezzi attraverso i quali ristabilire il normale ordine delle
cose.
16
Questa ‘doppia valenza’ dei libri Sibillini , intesi sia come depositari della
storia di Roma, che come fonte a cui ricorrere in occasioni di crisi, era ben
presente agli scrittori latini. Secondo Varrone, la Sibilla non solamente aveva
vaticinato i pericoli agli uomini mentre era in vita, ma aveva altresì
provveduto a lasciare attraverso le fonti scritte un mezzo che permettesse di
conoscere ciò che si doveva fare nel caso della comparsa di un prodigio-
13
Cfr. Virg. Aen. VI. vv.65-75; Enea al cospetto della Sibilla Cumana, le si rivolge con queste
parole: Tum Phoebo et Triviae solido de marmore templum / instituam [...] /Te quoque magna
manent regnis penetralia nostris:/ hic ego namquam tuas sortis arcanaque fata,/ dicta meae
genti, ponam lectosque sacrabo/ alma viros.[...] Con l’ espressione sortis arcanaque fata
sono intesi i libri Sibillini; questi erano deposti e conservati nel tempio di Apollo sul Palatino –
Phoebo et Triviae solido de marmore templum. Con i lectos viros si allude al collegio dei viris
sacris faciundis, preposto alla loro custodia. Cfr. CANCIK 1983, pp. 513 ss; lo studioso ritiene
che dovesse esser opinione diffusa che la Sibilla avesse predetto i punti critici dell’intera
storia di Roma con tutte le mancanze, le disgrazie e le riparazioni cultuali e circostanziali
richieste.
14
In questo senso importantissimo il ruolo della Sibilla nel VI libro dell’Eneide di Virgilio, dove
la Sibilla è la ‘sanctissima vates, praescia venturi’ (vv. 65-66), che predice ad Enea le
difficoltà che dovrà affrontare dopo il suo insediamento nel Lazio (vv.83-97) e lo conduce nell’
Averno, dove il padre Anchise presenta al figlio la rassegna dei suoi discendenti che faranno
la grandezza della futura Roma.
15
CHIRASSI COLOMBO 1985.
16
Cfr. FEVRIER 2004; MAZUREK 2004.
8
portentum (Varro. De re rust. I. 1. 3. )17:
‘neque patiar Sibyllam non solum cecinisse quae, dum viveret, prodessent
hominibus, sed etiam quae, cum perisset ipsa, et id etiam ignotissimis
quoque hominibus […] ad cuius libros tot annis post publice solemus redire,
cum desideramus quid faciendum sit nobis ex aliquo portento’.
Tale ‘doppio linguaggio’ però, non deve essere considerato una caratteristica
esclusiva dei libri Sibillini. Anche in Grecia abbiamo casi in cui il responso
conservato consisteva nell’indicazione riguardante l’esecuzione di determinati
rituali e atti espiatori 18.
E’ importante invece notare come la mantica sibillina a Roma - dove il
sistema divinatorio è dominato dalla mantica tecnica - cristalizzi l’esperienza
della mantica a-technos-non tecnica-ispirata nella scrittura, capovolgendo
così la situazione greca .
Roma cioè mette al centro dell’ ‘attenzione divinatoria’ un libro ‘rivelato’ che
non si può leggere a piacimento, ma deve essere interrogato e funziona
quindi come un oracolo19.
Questo testo inoltre si presenta come contenitore di tutta la sua storia, come
a dire che il fatum della città è già stabilito, fissato nella scrittura.
Ora, nonostante il fatto che la effettiva esistenza di un grande testo
divinatorio custodito dallo stato romano e comunemente attribuito ad una
Sibilla sia un dato storico certo, reale20, è interessante riflettere sul fatto
17
Cfr. anche Serv. ad Aen. VI. 72.
18
Un esempio è dato da un oracolo di Apollo ad Argo per i Messeni, in cui è ordinato di
celebrare i misteri; vedi PIERART 1990. Cfr. BREGLIA PULCI DORIA 1999, p. 279-280
19
Ciò non significa che i romani ignorassero le pratiche mantiche orali, le quali erano
ampiamente utilizzate dai popoli mediterranei con cui la città era in contatto e che potevano
essere utilizzate anche in chiave antagonista alla potenza romana; cfr l’esempio dello
schiavo siriano Euno, capo della rivolta servile siciliana (139/136-132 a.C.; vedi Diod. 34-35,
2, 5-7; ROSSI 1980, pp. 35 ss.), di cui Diodoro Siculo dice che ‘dava oracoli’, ἐμαντεύετο.
Euno si presenta come una figura che costruisce la propria influenza attorno alla capacità
profetica e che inoltre rivendica per sè anche un carisma di tipo regale. Proprio la capacità
profetica era una delle principali caratteristiche attribuite dai romani ai mitici re del Lazio
vetus (vedi nota 72). Euno dunque veniva a riproporre quel modello ideologico che la civitas
per farsi tale aveva rifiutato.
20
Per quanto riguarda l’effettiva concretezza materiale dei libri Sibillini, le fonti antiche ci
informano che nell‘ 83 a.C. essi vennero bruciati dall'incendio verificatosi nel tempio di
Iuppiter Optimus Maximus e ricomposti in un secondo momento, (Tac. Ann. VI. 12).
9
come questo rimanga per noi, come del resto la Sibilla stessa, un ‘oggetto,
impalbabile’.
Infatti, nonostante i molti studi, dare una definizione dell’effettiva natura dei
‘libri Sibillini’ risulta problematico, sia in merito alla loro origine sia, in
particolare, per quanto ne riguarda il contenuto, ed il modo in cui questo
doveva essere organizzato.
Al di là dei vari tentativi che sono stati fatti per cercare di determinare la
natura di un contenuto ormai andato perso attraverso mezzi ‘filologici’,
bisogna cercare di capire, quale valore funzionale i libri Sibillini avessero per
la res pubblica romana.
E’ in questo senso che intendiamo indirizzare questa tesi.
10
- Nel quinto capitolo presentiamo le fonti storiche riguardanti il ‘racconto’
dell’introduzione dei libri Sibillini a Roma al tempo della monarchia; in
particolare si cerca di ricostruire la ‘storia’ di questa tradizione, considerata
frutto di una rielaborazione annalistica.
La seconda parte costituisce il momento più impegnativo della tesi, in cui
vengono sistematicamente presentate e analizzate tutte le fonti che ci
rendono conto delle consultazioni sibilline nel corso della storia repubblicana
di Roma.
11
I PARTE
Sono state formulate varie ipotesi, anche molto diverse tra loro, per capire
quale doveva essere l’originario contenuto dei libri Sibillini.
La maggior parte degli studiosi si sono proposti di delinearne le caratteristiche
cercando di determinare la matrice culturale di questi testi. Considerando che
le fonti ci hanno trasmesso il racconto di quello che costituisce il ‘mito
d’acquisizione’ dei libri Sibillini, cioè una narrazione che presenta questi ultimi
come una raccolta di origine straniera che Roma acquista dall’esterno e il
dato attestato dalle fonti per cui i libri Sibillini erano scritti in greco21, molti
studiosi li hanno considerati come un ‘prodotto importato’. I libri sarebbero
stati introdotti a Roma dalle colonie della Magna Grecia con cui l’Urbs si
trovava in contatto sin dalle sue origini 22.
A questo proposito, H.W. Parke, considerando che i primi frammenti profetici
paragonabili a vere e proprie profezie sibilline ci sono attestati a Roma solo
23
dall’inizio del I secolo , esclude che in origine la raccolta contenesse
materiale effettivamente profetico. Il Parke ritiene, invece, che i libri si
21
Da non dimenticare tuttavia che anche la prima annalistica romana (III a.c.) era scritta in
greco, perché doveva assolvere alla funzione di presentare al mondo ellenistico la storia di
Roma, che si proponeva allora come la nuova forza egemone emergente. Sulla prima
annalistica in lingua greca la bibliografia è molto estesa. A livello orientativo, vedi D’ANNA
1987.
22
BOUCHE – LECLERQ 1882, IV, 286 – 290; DIELS 1890; WISSOVA,1912, p.462 ss.; 1923;
NILSSON, 1951.
23
Cfr. PARKE 1992, p. 163 ss.
12
configurassero come un repertorio di riti espiatori, remedia. Tale repertorio
risulterebbe così assimilabile, in parte, a quei particolari scritti circolanti nel
mondo greco attribuiti ai theologoi, poeti epici di età arcaica e ai
chresmologoi, figure ricorrenti, ad esempio, nelle commedie d’Aristofane
(Uccelli, 974), che possono essere definite come ‘dicitori di oracoli’, rientranti
anche essi nella categoria dei ‘profeti itineranti’ greci 24.
Il confronto con questi personaggi e le loro raccolte oracolari è suggestivo;
comunque sarebbe troppo semplicistico prendere in considerazione solo
l’elemento greco e considerare i libri Sibillini come un prodotto di matrice
esclusivamente magno-greca.
Altri studiosi, pur non tralasciando il dato secondo cui i Sibillini erano scritti in
greco – e attribuiti appunto ad una profetessa greca - hanno piuttosto rivolto
l’attenzione sulle caratteristiche presentate da alcuni dei rituali espiatori
introdotti dopo la consultazione dei libri. Questi studiosi hanno rilevato un
possibile riscontro di elementi etruschi o, più generalmente, italici, e hanno
quindi identificato i libri Sibillini come un prodotto originariamente etrusco o
etrusco-italico. Al nucleo ‘autoctono’, in un secondo momento si sarebbe
aggiunto materiale greco e magari autenticamente sibillino-oracolare. La
contaminazione sarebbe avvenuta in età ellenistica.
Queste ipotesi suggeriscono che la stessa attribuzione della raccolta alla
25
‘Sibilla’ sia stata un’aggiunta tarda per un prodotto di matrice diversa .
L’attribuzione sarebbe forse avvenuta nel III secolo a.C., un periodo di
particolare rinnovamento dell’assetto religioso di Roma 26.
Soprattutto convinto dell’origine etrusca dei libri Sibillini è R. Bloch. Lo
studioso ha presupposto che i libri siano stati in origine redatti in etrusco, in
un secondo momento ricopiati in greco, e attribuiti quindi alla Sibilla.
L’ indagine del Bloch, parte dalla considerazione del particolare assetto
multilinguistico e multiculturale dell’Italia antica, ed dal fatto che i libri erano
24
PARKE 1992, pp. 163-164; pp. 229-231. In particolare sui theologoi, pp. 209-227. I
chresmologoi, Secondo H.W. Parke, vanno considerati come professionisti che possedevano
raccolte di oracoli, da cui estrarre versi adatti ad ogni occasione. Cfr. pp. 29-30. Vedi anche
OLIVER 1952.
25
HOFFMANN 1933, p. 18 ss; Cfr. GAGE 1955, p. 24- 38.
26
DUMEZIL 1974, p. 591.
13
27
anche chiamati Fatales, come i corrispettivi Etruschi . Agli Etruschi è infatti
attribuita una cospicua letteratura -testi scritti definiti libri- che abbracciano
vari settori del campo religioso 28.
Un altro studioso, J. Gagè, nel suo monumentale lavoro dedicato allo
sviluppo del graecus ritus 29, indica proprio i libri Sibillini come ispiratori di una
‘mistica apollinea-sibillina’, che avrebbe progressivamente trasformato la
religione romana attraverso l’introduzione di riti e divinità provenienti dalla
Grecia.
Lo studio di J.Gagè risente della vecchia interpretazione secondo cui Roma
avrebbe subito passivamente l’influenza dei culti stranieri e, in particolare, di
quelli greci, che avrebbero irrimediabilmente e radicalmente ‘corrotto’
30
l’originaria, ‘vera’ religione romana . In realtà, i rituali introdotti dai Sibillini
rispondevano ad esigenze ben precise e contingenti, che tenevano conto
delle diverse influenze provenienti da tutte le culture nell’orbita della città.
Fin dal secolo VI a. C. Roma si presentava come ‘città aperta’ pronta ad
31
accogliere elementi religiosi ‘altri’ . Tale caratteristica segue del resto un
modello piuttosto comune nei sistemi politeisti e variamente presente nelle
poleis greche. I sistemi ‘politici - politeisti’ si dimostrano infatti molto adatti
all’integrazione dell’altro. Roma non si comportava diversamente, attuando un
processo di assimilazione che puntava a far diventare romane realtà
27
BLOCH 1940; BLOCH 1963 ( trad. it. 1981) p. 87 –97.; BLOCH 1965. DUMEZIL 1974, pp.
590-591; Vedi anche POTTER 1980, p. 476; GUITTARD 2007, p 238 ss.
28
Cicerone divide i libri etruschi in tre ‘categorie’: Cic. De div. I. 72; ‘Libri Fatales’ degli
etruschi sono nominati in Cens. XIV; Cic. I. 10; Liv. V. 15; a questi ultimi si attribuiva la
dottrina della successione dei saecula. Sulla divinazione etrusca e l’utilizzo di libri oracolari
Vedi DUMEZIL 1974, pp. 620-624; CAPDEVILLE 1997; BRIQUEL 1990; BRIQUEL 1993;
GUITTARD 2007, pp. 289 ss.
29
‘Apollon romain. Essai sur le culte d’Apollon et le développement du “ritus graecus” à
Rome, des origines à Auguste (GAGE 1955). Per il concetto di ‘ritus graecus’, vedi infra, p.
123.
30
Cfr. SHEID 1995, p.15; p.16. Tale è, ad esempio, la visione che sottende al classico lavoro
di Wissova ‘Religion und Kultus der Romer’ (WISSOVA 1912) ed al tentativo dello studioso
di ricostruire la religione romana originaria attraverso il recupero degli elementi cultuali
autoctoni. SCHEID 1995, loc. cit. Sull’importanza dell’opera di G.Wissova, vedi anche
BRELICH 1966, p.216.
31
Vedi AMPOLO 1988.
14
altrimenti destinate a rimanere estranee, non comprensibili.
In conclusione, possiamo affermare come le ipotesi finora proposte dagli
studiosi, sull’ipotetico contenuto dei Sibillini siano molto varie e ognuna in sé
plausibile e articolata. Ci sembra tuttavia che nessuna di esse abbia dato una
risposta esauriente al complesso problema della questione sibillina romana;
rimane difficile individuare le diverse matrici culturali da attribuire ai libri
Sibillini.
I diversi studi, sembrano concorrere ad indicare nei libri della Sibilla un testo
aperto nel quale, nel corso dei secoli effettivamente dovette confluire
materiale di provenienza diversa. I libri – pur riconosciuti dalla tradizione
come segno tangibile di una “rivelazione” stabilita ‘per sempre’ nella scrittura,
in un preciso momento - nella sostanza devono essere considerati una
raccolta divinatoria in fieri nella quale poteva andare a confluire, distribuito nel
tempo, materiale di diversa origine.
Un esempio, il fatto che nei libri Sibillini furono inserite le cosiddette ‘profezie
marciane’ – scritte in latino - e le profezie della etrusca ninfa Vegoia 32.
Tuttavia, se si tenta di spiegare il come e il quando non si spiega perché
Roma avrebbe dovuto adottare un testo divinatorio di questo tipo. Soprattutto
non si spiega perché questo testo fosse stato attribuito ad una Sibilla, una
profetessa greca, che nel suo specifico ambito culturale occupava una
posizione solo marginale. Nelle prospettive esaminate finora i libri si pongono
come originariamente estranei alla cultura romana e come introdotti in essa,
quasi casualmente.
Potremmo invece considerare la presenza dei ‘Sibillini’ a Roma non come un
fatto subito, ma come un’ adozione volontaria, non come una introduzione
imposta, ma come un’ acquisizione culturale voluta, o anche come una
‘invenzione’ specificatamente romana. In questa prospettiva Roma avrebbe
accolto la Sibilla e confezionato l’oggetto ‘libri Sibillini’ per rispondere ad
esigenze proprie. Aldilà dunque della fattibilità di ricostruirne un’ ipotetico
contenuto andato perso, volgeremo ora l’attenzione sulla funzione svolta da
questi nell’ambito della cultura e della politica romana.
Cominceremo con l’osservare che essendo la Sibilla una figura
originariamente greca essa dovette subire inevitabilmente dei cambiamenti
32
Ser. Ad Aen. VI. 72.
15
‘strutturali’ delle sue caratteristiche durante il passaggio nella cultura romana;
tali cambiamenti, o meglio adattamenti, dettero luogo ad una vera e propria
trasformazione della figura stessa della Sibilla, che venne appunto
‘reinventata’. I libri Sibillini si presentano dunque come un prodotto originale
romano.
16
La Sibilla, in Grecia e a Roma. Un profilo.
Un profilo della Sibilla non può prescindere da una pur breve nota introduttiva
sul posto che essa occupava in Grecia, in quanto figura originaria della
cultura ellenica. La Sibilla, come la Pizia, si pone nel campo della mantica
34
cosiddetta ispirata, ma dalla Pizia diverge per molti aspetti . Evidenziamo le
caratteristiche specifiche delle due figure, che risultano contrapposte sul
piano del mito/ mobilità verso storia /fissità.
Sibilla Pizia
mito storia
mobilità fissità
17
36
Plutarco e non aver fatto parte della originaria frase eraclitea . Lo scrittore
con l’aggiunta avrebbe inteso inquadrare la capacità profetica della Sibilla
nella mantica ispirata apollinea. A proposito, è significativo ricordare che
Plutarco era membro del corpo sacerdotale delfico, il cui santuario in quanto
struttura voluta per ‘centralizzare’ il fenomeno della mantica ispirata, era
certo interessato ad una vanificazione sistematica, non solo degli operatori
del sacro individuali, ma anche delle modalità mantiche facenti riferimento a
fonti divine diverse da Apollo37.
Altre fonti ci avvertono di Sibyllai dotate di un potere chiaramente
indipendente. Nel famoso trattato sulla ‘malinconia’, in un passo del Problema
XXX dei Problemata Physikà attribuiti ad Aristotele (Arist. Probl. XXX 9654°
34-38) 38, le Sybillai -esplicitamente al plurale- sono personaggi femminili che
rientrano nella categoria dei ‘perittoi’ gli ‘eccessivi nel sapere e nel potere’.
Sono qui inquadrate come personaggi che devono la loro eccezionalità
solamente alla propria physis, natura, nella fattispecie alla particolare
composizione della loro bile nera, che è ricca di pneuma, soffio/spirito, e si
inquadra come elemento ‘immateriale’, sostanza dotata di ‘movimento in sé’;
qualità che Aristotele riconosce nel primo motore immobile della sua
Metafisica, e che diventa modello di identificazione del Divino, nella sua
39
autonomia di ‘generatore non generato di movimento’ . Gli pneumatici sono
gli uomini geniali poiché hanno in sé, nella propria natura, l’essenza del
Divino e per questo capaci di grandi cose, nel bene come nel male. La Sibilla,
per Aristotele, è in grado di profetare grazie alla sua caratteristica
pneumatica, per cui la capacità profetica è un tratto caratteristico della sua
persona, non prodotta dalla ispirazione divina 40.
A Roma il rapporto Sibìlla/Apollo appare esplicitato in modo inequivocabile
solamente a partire da un certo momento: da che Augusto fece trasferire i libri
36
MARCOVICH 1978, edizione dei frammenti di Eraclito.
37
CHIRASSI COLOMBO 1985a.
38
Sul Problema XXX e la particolare ricezione del trattato nella storia, si veda il commento
PIGEAUD 1988.
39
Cfr.CHIRASSI COLOMBO 1985b.
40
La natura malinconica in virtù della sua eccezionalità può essere considerata alla stregua di
un teras, una ‘mostruosità’ e i melanconici considerati una sorta di ‘ibridi’ umani –divini. Cfr.
CHIRASSI COLOMBO 2007.
18
Sibillini dal tempio di Iuppiter Optimus Maximus al tempio di Apollo sul
Palatino, atto che rientrava ampiamente nella politica “apollinea” del Princeps
41
. Non per nulla il grande poeta dell’età augustea, Virgilio, descrive nel Libro
VI dell’Eneide la trance di possessione della Sibilla in termini assolutamente
analoghi a quelli che riserva la tradizione alla Pythia di Delfi.
La Sibilla di Virgilio, che si situa dalla parte della parola 42, appartiene al mito.
Invece nella storia, a Roma, la Sibilla affida le parole alla materialità fissa del
libro. In tal modo la Sibilla ‘romana’ si colloca in una posizione del tutto
particolare, non solo rispetto alla Pizia, ma anche nei confronti alle Sibille
greche. Infatti se in Grecia la Sibilla è identificata essenzialmente attraverso la
43
voce -come già nel frammento eracliteo- a Roma essa si identifica
principalmente attraverso il libro. Qui la voce della Sibilla viene imprigionata
nel testo scritto, azione che ha come risultato la creazione di un oracolo
permanente, che di fatto sostituiva la persona e la voce della Sibilla.
A Roma, la Sibilla dunque rinuncia alla caratteristica di mobilità, che era una
delle sue principali caratteristiche in Grecia. Allo stesso tempo, proprio con
questo fissarsi in un corpo testuale sempre disponibile, rinuncia alla scelta
dell’occasione per l’intervento mantico. La Sibilla non parla più quando vuole,
ma il suo corpo è diventato libro, disponibile ad un uso rituale sottoposto a
disciplina 44.
41
Sulla politica religiosa di Augusto, vedi GAGE’ 1955 p. 479-523; ZANCKER 1987;
FRASCHETTI 1998 110-115; SCHEID 2001, pp. 85-105.
42
POCCETTI 1999
43
Le tradizioni di linguaggi oracolari in Grecia sono strettamente legate nella produzione alla
formulazione orale del messaggio. Cfr. POCCETTI 1999; CRIPPA 1999. E’ interessante
notare che anche quando il messaggio oracolare non era affidato alla corporeità umana esso
era veicolato e organizzato in messaggi sonori. (per esempio , nel santuario di Dodona, dal
fruscio della quercia sacra)
44
Sul tema del corpo della Sibilla e della sua funzione di luogo segnico, vedi LINCOLN 1999.
19
Ma perché Roma attua questo processo? Perché a Roma la Sibilla viene
associata al Libro?
Sicuramente con questa scelta Roma ribadisce la sua originalità. Una figura
che comunque in Grecia è eccentrica - in ogni caso marginalizzata e mobile -
viene fissata in una struttura completamente nuova, che istituzionalizza la
profezia sibillina e la rende fruibile in modo sistematico e strettamente
ufficiale. Si può dire che con la testualità della Sibilla romana viene rovesciato
il modello della Pythia orale delfica.
20
I libri Sibillini nella divinazione romana.
45
Vedi SCHEID 1998.
46
Sul dibatutto significato di religio, vedi, MONTANARI 1988. Sulla etimologia di religio
collegata al verbo ‘religere’ (o relegere), ‘fare trattenendosi’ cioè attardandosi con
supplemento di cura su ogni dettaglio delle operazioni rituali, vedi BENVENISTE 1969, II, p.
267-272.
47
Cic. Nat. D. II. 3. 8.
48
Cfr. Fest. 337. 4.
49
Fest. 364. 34
50
Il ritus latino ha la stessa radice dello ŗta vedico, termine che indica la struttura giusta e
ordinata del cosmo, fino a significare lo stesso ordine naturale fondato sulla legalità e
regolarità, ordine giusto in quanto corretto e perciò vero; BENVENISTE 1969, II, p. 100; sul
valore fondante del rito nella religione romana, vedi anche SABBATUCCI 1975 pp. 213-214.
21
Importantissimo era dunque, per i romani, il rispetto delle procedure rituali
nella celebrazione dei sacra o atti cultuali: un’infrazione anche involontaria
della prassi poteva compromettere la rottura della pax deorum, ovvero
compromettere il favore divino verso la città, mettendone in pericolo
l’esistenza stessa 51. Possiamo dunque comprende l’importanza politica che il
corretto svolgersi degli atti cultuali aveva a Roma.
Le pratiche divinatorie erano parte integrante della religio romana, finalizzate
ad assolvere lo stesso compito dei sacra, quello di mantenere il favore degli
dèi verso la res pubblica. In particolare, svolgevano due funzioni principali: da
un lato garantivano che l’agire umano fosse in armonia o comunque non
contrario alla volontà degli dèi, dall’altro indicavano i modi con cui ristabilire la
concordia fra sfera umana e sovrumana nel caso di una rottura della pax
deorum.
Alla prima funzione erano preposti gli auguri. L’ auguratio o presa degli
auspicia era destinata a garantire che l’agire del gruppo fosse corrispondente
alla volontà degli dei. All’auguratio si ricorreva, ad esempio, prima di partire
per una battaglia e prima di indire i comizi: essa consisteva principalmente
nell’esame della manifestazione della volontà divina tramite l’osservazione di
determinati fenomeni – in particolare, il comportamento degli uccelli –in
quanto ritenuti segni, signa, indizi dell’ extraumano per orientare l’umano52.
Ora, nonostante tutte le precauzione atte al mantenimento dell’ordine fra
civitas e divinità, poteva comunque avvenire che un’ azione empia o una
mancanza rituale - anche involontaria - venissero ad incrinare la pax deorum.
In tal caso gli dèi esprimevano la loro collera attraverso prodigia cioè eventi
particolari, eccezionali, esulanti dal normale andamento delle cose, quali, ad
esempio, terremoti, pestilenze, fenomeni celesti, particolari nascite di ‘mostri’,
apparizioni, piogge di sangue e pietre, ecc.. E’ indicativo dell’importanza di tali
53
eventi la molteplicità dei termini utilizzati per indicarli: oltre a ‘prodigium’
51
Cfr. SCHEID 1998 p.33 ss.; su concetto di Pax deorum, inteso come pace invocata,
chiesta agli dei, vedi SORDI 1985 p. 340. Pax deorum come pace fra l’ Urbs e le sue divinità,
dipendente dalla corrispettiva concordia tra le classi, SABBATUCCI 1989, p. 170 ss.
52
Sull'auguratio, rimane fondamentale il testo ‘Contributi allo studio del diritto augurale’, di
CATALANO 1960. Cfr. DUMEZIL 1974, pp. 584-590.
53
La parola ‘prodigium’ è di etimologia non sicura. Secondo DELL, s.v. ‘Prodigum’ deriva da
prod-agium, /prod-/ forma di /pro-/ davanti a vocale, /-agium/ forma connessa ad actum
22
troviamo i termini signum54, portentum55, ostentum56, e monstrum 57. Secondo
Servio, così Varrone spiega il significato di questi vocaboli ‘Varro sane ita
definit, ostentum quod aliquid hominibus ostendit, portentum quod aliquid
futurum portendit, prodigium quod porro dirigit, […] monstrum quod
monet.’ (Serv. Ad Aen. III. 336). Essi erano dunque sostanzialmente
equivalenti, non differendo molto di significato nell’uso 58.
I prodigi, segni dell’avvenuta rottura della pax deorum, dovevano essere
adeguatamente “espiati” per evitare l’aggravarsi della collera divina e
assicurare nuovamente alla civitas il sostegno delle divinità 59.
Ciò avveniva principalmente tramite atti cultuali, significativamente chiamati
remedia o piacula 60.
participio di ago, per cui il prodigium indica il segno divino mandato ‘innanzi’, ‘prima’, come
avvertimento. Il termine è, come vedremo, frequentissimo in Livio.
54
Signum è vocabolo che ha un uso tecnico in molti ambiti (vedi DELL, s.v.). Secondo E.
Benveniste, signum e sequi deriverebbero da un’unica radice indoeuropea, per cui signum
sarebbe l’oggetto che uno segue, specialmente l’insegna.; il significato di ‘segno’ si sarebbe
modellato sul greco ‘semeion’. BENVENISTE 1948; cfr. MILANI 1993, p. 42.
55
Portentum è participio passato di portendo (presagire, pronosticare), composto di /por-/,
‘innanzi, prima’ e /-tendo/ ‘porgere, presentare’, vedi DELL, s.v. Il termine è dunque di
significato analogo a prodigium.
56
ostentum è composto da /-os/, adattamento di -/ops/, (obs, ob) ‘contro, verso’ e
analogalmente a portentum da /-tentum/; vedi DELL, s.v. Cicerone, nel De divinatione,
predilige ostentum in luogo di prodigium; cfr. TIMPANARO 2001, p. XLIII.
57
Monstrum è vocabolo usato per indicare in particolare fenomeni prodigiosi della realtà
animata, ed è termine appartenente al lessico religioso, come denota il suffiso /-strum/,
comune anche lustrum. BENVENISTE 1966, II, p. 256-258. Deriva dal verbo monere, con lo
sviluppo semantico da ‘avvertimento’ ad ‘oggetto che è un avvertimento’. (Vedi DELL, s.v.),
per cui il mostro è l’essere la cui anomalia costituisce avvertimento degli dei. Cfr. MILANI
1993, 43. Il monstrum latino equivale al teras greco, termine che copre comunque anche i
significati di prodigium. Vedi in particolare, CHIRASSI COLOMBO ‘Teras ou la logique du
prodige dans le discours divinatoire grec: una perspective comparativiste’, articolo in corso di
stampa. A Roma il monstrum per eccellenza è l’androgino, vedi infra, p. 125 ss.
58
Come si evince, ad esempio da Cic. Nat. D. I. 93. ‘Praedictiones vero et praesensiones
rerum futuram quid aliquid declarant nisi hominibus ea quae sint ostendi monstrari portendi
praedici, ex quo illa ostenta monstra portenta prodigia dicuntur.’ Cfr. MILANI 1993, p. 42.
59
La mancata espiazione di un prodigio poteva compromettere l’esistenza stessa di Roma.
60
Sulle prassi consultativa dei libri Sibillini, attraverso i l collegio dei -viri sacris faciundis, Cfr.
SANTI 1995; SANTI 1996; SANTI 2000; SANTI 2005.
23
Proprio per trovare la tipologia rituale adatta ad espiare i dira prodigia si
ricorreva alla consultazione dei i libri Sibillini.
Alla lettura di questi era preposto uno specifico collegio, quello dei duumviri,
poi decemviri e infine, sotto Silla, quindecemviri sacris faciundi. Solamente i
componenti del collegio potevano avere visione degli oracoli contenuti nei
libri61.
Il collegio aveva la funzione di conservare e consultare – ma solo sotto
richiesta del senato62 - il contenuto dei libri; ai viri sacris faciundi veniva
ordinato di ‘adire ad libros’, ossia recarsi ad interpretare il contenuto dei libri
Sibillini per stabilire il rito espiatorio da applicare.
La pratica divinatoria romana non affidava ai decemviri la valutazione della
qualità di un prodigio, in quanto non spettava al collegio stabilire il significato
di un fatto prodigioso in rapporto al consorzio umano. Di regola era proprio il
senato a stabilire se un dato evento avesse bisogno di un’espiazione e fosse
63
da considerarsi perciò un prodigio nefasto . Quando il senato affidava ai
decemviri l’espiazione di un prodigio questo era già stato considerato
'pericoloso'. Ai decemviri dunque non spettava l’interpretazione ‘esegetica’ del
prodigio, ma solamente il compito di ricercare l’adeguato rituale espiatorio nei
libri Sibillini.
I componenti di questo collegio, che agiva quando e solo se il senato ne dava
ordine, non erano considerati individui ‘carismatici’. Si può dire che agivano
come dei ‘funzionari’ e non quali depositari di una conoscenza particolare,
come gli auguri e gli aruspici
In questo senso i viri sacris faciundi erano interpretes dei Sibillini, in quanto
dovevano applicare ai vari prodigia i remedia adeguati 64.
61
Cass. Dio. LIV. 17. 2.; Lact. Div. Inst. I. 6.
62
Cic. De div. II. 112; Liv. XXII. 9. 8. Cfr. Cass. Dio. XXXIX. 15. 3. In età imperiale la
decisione senatoriale venne subordinata al potere del principe.
63
Sull’ azione del senato nell’accoglimento dei prodigia, cfr. MAC BAIN 1982 pp. 7-43.
64
Cfr. SANTI 1995 e SANTI 2006.
24
I libri Sibillini, un repertorio rituale ‘ispirato’.
La raccolta di remedia che conosciamo come ‘libri Sibyllini’ e/o ‘libri Fatales’
doveva essere dunque, con tutta probabilità, un repertorio rituale abbinato ad
un elenco di casistica di fatti straordinari.
Considerando il procedimento di consultazione, per cui ad ogni prodigium
corrispondeva un piaculum, la carica magistratuale dei viri sacris faciundis
effettuava l’interpretazione dei testi Sibillini secondo un criterio di tipo
‘tecnico’. In un simile contesto potremmo inquadrare i libri Sibillini come
inerenti alla mantica tecnica. Tuttavia questa considerazione, che pure è stata
fatta65, non è del tutto corretta e va discussa.
Cicerone nel De divinatione propone la divisione delle pratiche mantiche,
classificate come inerenti alla divinatio artificialis, la capacità divinatoria
ottenuta dagli uomini attraverso lo studio e l’osservazione dei segni o,
altrimenti, alla divinatio naturalis, la capacità divinatoria che procede
66
direttamente dalla divinità . Egli riprende questa dicotomia in più punti del
trattato ed in particolare all’inizio del primo libro, nell’esposizione del fratello
Quinto:
‘Nihil […] equidem novi, nec quod praeter ceteros ipse sentiam; nam cum
antiquissimam sententiam, tum omnium populorum et gentium consensu
comprobatam sequor. Duo sunt enim divinandi genera, quorum alterum artis
est, alterum naturae. Quae est autem gens aut quae civitas, quae non aut
extispicium aut monstra aut fulgora interpretandium aut augurum […] ea enim
fere artis sunt, aut somniorum aut vaticinatiorum, haec enim duo naturalia
putantur ?’ Cic. De div. I. 6.67
65
Così MONACA 2005, p. 24-25
66
Vedi Cic. De div. I. 33.; I. 49.; II. 11.
67
‘Non dirò nulla di nuovo [...] né opinioni mie divergenti da quelle altrui: io seguo una
dottrina antichissima e, per di più, confermata dal consenso di tutti i popoli e di tutte le genti.
Due sono i generi d divinazione, l’uno che riguarda l’arte, l’altro la natura. Quale popolo c’è
d’altronde, o quale città che non rimanga impressionata dalla predizione degli indagatori delle
viscere di animali o degli interpreti di fenomeni straordinari e dei lampi o degli auguri […]
(questi che ho enumerato si riferiscono all’arte) ovvero dai presagi dei sogni e delle grida
profetiche (queste due si considerano naturali)?’
25
dipendente dalla divinatio naturalis. Cicerone così continua:
‘Et cum duobus modis animi sine ratione et scientia motu ipsi suo soluto et
libero incitarentur , uno furente, altero somniante, furoris divinationem
Sibyllinis maxime versibus contineri arbitrati eorum decem interpretes
delectos e civitate esse voluerunt.’ Cic. De div. I. 2. 68
A Roma, dunque, la mantica ispirata non era del tutto esclusa ma era fissata
su un supporto, ossia il libro, ritenuto contenere le parole scritte espressione
di un sapere ‘naturalis’ 69. La mantica ispirata non era veicolata dalla vocalità
di una persona fisica, (che rivela il messaggio ‘al momento‘ come la Pizia a
Delfi), ma era fissata nella scrittura.
Perché a Roma questa modalità mantica viene istituzionalizzata con un testo,
e non come in Grecia attraverso la presenza di una persona in carne ed ossa,
come appunto la Pizia nel santuario oracolare di Delfi?
Sappiamo che Roma relegava l’ utilizzo della vocalità nella mantica ispirata a
figure agenti nel tempo ‘mitico’ delle origini 70.
Faunus, ad esempio, è il dio profetico il cui nome, secondo gli antichi, si
collegava etimologicamente a fari (vaticinare, dire, cantare in versi) e fatum
(temine che oltre al destino, indica il vaticinio) dicti autem sunt Faunus et
71
Fauna a vaticinando, id est fando (Serv. ad Aen. VII. 47) . Fauno, in
particolare, manifestava il futuro con misteriose voci e richiami, voci che si
udivano nei boschi e che erano espresse propriamente in versi 72.
68
‘E poiché le anime umane, quando non le governano la ragione e il sapere, sono eccitate
spontaneamente in due modi, negli eccessi di follia e nei sogni, i nostri antenati, ritenendo
che la divinazione manifestantesi nel ‘furor’ fosse presente soprattutto nei versi Sibillini,
istituirono un collegio di dieci interpreti di questi, scelti fra i cittadini.’
69
Il termine naturalis mantiene indefinita la questione della provenienza della conoscenza
profetica (dal dio o dalla natura): in particolare, Cicerone considera la Sibilla come profetante
in qualità della sua natura e non perché ispirata dal dio.
70
E' complessa e ancora non pienamente compresa la questione riguardante il valore del mito
a Roma, messa in luce a partire da un’acuto e celebre studio di C.Koch, (KOCH 1936) e
affrontata in seguito dalla Scuola Storico-Religiosa di Roma. (Per una storia degli studi vedi
MONTANARI 1988, pp. 17-49) Cruciale, a riguardo, la valutazione del carattere demitizzato
della religio romana – a cui corrisponde una mitizzazione delle vicende storiche precedenti e
immediatamente posteriori alla instaurazione della res publica.
71
L’etimologia del nome ‘Faunus’ rimane discussa; vedi CARANDINI 1997, p. 175 ss.
72
Cfr. Varro. De L. L.. VII. 36. Fauno, assieme a Iano, Saturno, Pico e Latino è, secondo il
26
Ugualmente collegata al vaticinare ed all’esprimersi in versi è Carmenta (o
Carmentis), altra figura extraumana dai contorni non ben definiti, il cui nome,
per gli antichi, era legato etimologicamente a carmen 73. Carmenta nell’Eneide
(Aen. VIII. 336 ss.) è presentata come la ninfa, madre di Evandro, che
74
profetizza al figlio la futura grandezza di Roma . Essa aveva uno statuto
particolare nel culto romano, come dimostra il fatto che avesse un proprio
Flamen, il flamen Carmentalis75. Veniva riattualizzata nella pratica rituale, nei
Carmentalia, festività che avevano luogo in due giornate festive in gennaio,
(Ovid. Fast. I. 461- 462; 417-18); tuttavia in questo periodo non era attivo un
santuario oracolare, non era possibile interrogare Carmenta 76.
Le prartiche della divinazione ispirate dunque, potevano connotare l’attività di
personaggi pre-politici - agenti cioè prima dell’ instaurazione dell’ordinamento
civico della res publica.
Tuttavia si può dire che Roma, anche nel tempo dell’attualità civica, non
escludeva del tutto dal suo orizzonte la mantica ispirata, ma la reintegrava
77
attraverso i libri Sibillini, recuperandola attraverso la scrittura . Possiamo
riassumere con uno schema:
mito, uno dei primi re del Lazio vetus, personaggi caratterizzati da elementi particolari, quali
teriomorfismo, metamorfosi, silvestrità, pastoralità, violenza, oracolarità e regalià, che li
segnano sia come ‘selvaggi’, pre-cosmici, che come appartenenti alla categoria degli ‘antenati
civilizzatori’. Vedi BRELICH 1976, pp. ; CARANDINI 1997, p. 42; pp. 175-177. Per la
definizione di ‘antenato civilizzatore vedi BRELICH 1966, p. 16. Anche Picus apare
fortemente legato all’oracolarità orale; Il picchio, picus, era uccello auspicale presso Latini ed
Umbri (Plin. N.H. X. 40-41; CARANDINI 1997, p. 172-173).
73
Per un riassunto del dibattito moderno sull'etimologia del nome Carmenta, vedi
MONTANARI 1984.
74
Cfr.Ovid. Fast. I. 461 ss.
75
Cic. Brut. XIV. 56
76
La collettività extraumana delle ninfe ha una collocazione molto particolare nel politeismo
greco ma anche in quello romano; vedi CONNOR 1988; LARSON 2001.
77
Cfr. CHAMPEAUX 1997.
27
mantica ispirata affidata alla voce affidata alla scrittura
(in forme
SI cleromantiche, di
CULTURA GRECA SI
Pizia, Sibilla… importanza
secondaria)
A questo punto la scelta romana di una mantica ispirata ‘scritta’ pone una
serie di domande alle quali si è cercato di rispondere, considerando che tale
scelta dovette risultare alla fine di un preciso processo storico, in particolare
del processo che portò alla nascita della res pubblica e dello stato. In
proposito, ha osservato Claudia Santi: ‘la res pubblica romana, avendo
respinto ogni ipotesi che vedesse un civis sovraordinato rispetto ad altri, non
poteva ammettere una commistione del divino con l’umano né ospitare un
oracolo in senso proprio, […] la città dovette sottoporre la mantica ispirata ad
un processo di “adattamento” tale da renderla compatibilie con l’indirizzo
generale della civitas’ 78.
Affidando la mantica allla scrittura, la si slegava cioè dall’ oralità, al fine di
prescindere dalla necessità di avere una persona fisica ‘posseduta’ dal divino,
operante nell’ambito della quotidianità della civitas.
In una prospettiva più ampia, si possono aggiungere alcune riflessioni sul
passaggio oralità-scrittura. In particolare, in ambito antropologico, è stato
messo in luce come la cristalizzazione di tradizioni orali nella scrittura e nel
libro, si configuri in quanto progressiva espropriazione dei sistemi di
comunicazioni appartenenti alla collettività da parte di nuclei castali, i quali
proprio attraverso gli strumenti di comunicazione costituiti dal libro e dalla
scrittura possono realizzare una forma molto efficace di potere. La
comunicazione orale, fissata una volta per sempre, si distacca dal tempo
reale nell’immobilità della trascrizione e diviene posseso d’elité.
Progresiamente, forme particolari di comunicazione orale, come oracoli o
profezie, vengono progressivamente relegati nella sfera del non credibile, o
78
SANTI 1996, p.521. Cfr. BREGLIA PULCI DORIA 1999, p.279.
28
considerati non rilevanti 79.
Dobbiamo aggiungere che, nel mondo antico, non solo a Roma vi fu ‘un
rifiuto’ della mantica ispirata legata a fome di comunicazione orale. Ad
esempio, fra le popolazione italiche era piuttosto diffuso l’utilizzo della
scrittura nelle pratiche mantiche legate al sorteggio 80. Come il famoso oracolo
prenestino della dea Fortuna.
79
DI NOLA 1979, p. 260.
80
CHAMPEAUX 1997; MANETTI 1999; POCCETTI 1999, p. 21. ss; GUITTARD 2007, pp.
233 ss.
29
La Sibilla e la Fortuna.
Come è stato osservato, Preneste si affidava alla scrittura per far entrare
tramite la pratica cleromantica la dea Fortuna, il caso, nell’organizzazione
stessa del suo assetto civico.
Roma, al contrario, come è stato messo in luce da A.Brelich 82, aveva di fatto
rifiutato la possibilità di un intervento della Fortuna nell’ambito del proprio
81
‘Gli annali di Preneste raccontano che Numerio Suffustio, uomo onesto e bennato,
ricevette in frequenti sogni, all’ultimo anche minacciosi, l’ordine di spaccare una roccia in
una determinate località. Atterrito da queste visioni, nonostante i suoi concittadini lo
deridessero, si accinse a fare quel lavoro. Dalla roccia infranta caddero giù delle sorti incise
in legno di quercia, con segni di scrittura antica’.
82
Nel suo importante studio ‘Roma e Preneste. Una polemica religiosa nell’italia antica’ in
‘Tre variazioni romane sul tema delle origini: BRELICH 1955, p. 9-48. Sulla storia del culto
della dea a Roma vedi CHAMPEAUX 1982 e CHAMPEAUX 1987.
30
orizzonte culturale, cioè escludeva la possibilità di un intervento del fortuito
nelle decisioni di interesse comune. Iuppiter, dio principale del ‘pantheon’
romano è, infatti, il garante di un ordine che si oppone all’intervento
dell’imprevedibile dea Fortuna all’interno della città 83. I libri Sibillini, conservati
nel tempio di Iuppiter e posti sotto l’azione ordinatrice del dio, non venivano
84
dunque utilizzati – come è stato pur supposto - in modo analogo a sortes,
ma offrivano un testo da interpretare, da sottoporre all’ attenta analisi del
collegio dei viri sacris faciundis.
Per riassumere, i libri Sibillini possono essere interpretati in opposizione
dialettica e polemica con le sortes; essi contenevano i fata ma anche le
sortes di Roma e le sortes erano arcana, nascoste85, come le sortes
prenestine che erano appunto, conditae in un’arca di legno. A Roma le sorti,
cioè ‘i destini’, sono organizzate, non mescolate a caso, ma contenute nella
struttura testuale propria del libro; nei libri Sibilini si conservava una
rivelazione scritta che doveva essere ‘interpretata’, seguendo un metodo
analitico di lettura testuale.
Preneste con l’utilizzo cleromantico delle sortes istituzionalizza l’azione di
Fortuna.
Roma invece attraverso l’utilizzo divinatorio dei libri Sibillini/fatales,
all’opposto rende simbolicamente possibile l’intervento del fatum nella vita
quotidiana della città, un fatum che così diviene permanentemente operante e
controllabile 86.
83
Vedi BRELICH 1955, p. 26-27.
84
L’ipotesi formulata da Parke per cui i libri venivano aperti a caso va dunque rigettata. Cfr.
PARKE 1992, p. 231.
85
I libri Sibillini erano appunto custoditi in un luogo inaccessibile, cfr. Gell. I. 19. 18; Lact. De
ira dei, XXIII. 1.
86
Sarebbe utile a questo punto proporre un paragone coi libri Fatales degli etruschi. Tuttavia
di questi libri sappiamo troppo poco e non è sicuro che essi venissero utilizzati come mezzo
divinatorio. Vedi DUMEZIL 1974 pp. 620-657; CAPDEVILLE 1997.
31
Il mito dell’arrivo della Sibilla a Roma; per una lettura delle fonti antiche.
Nel I secolo a.C. era sicuramente affermata la credenza per cui i libri erano
stati portati a Roma, durante la fine della monarchia, dalla Sibilla Cumana.
Varrone, secondo Lattanzio, nella sua lista di Sibille, aveva descritto la
Cumana come colei che aveva venduto i libri Sibillini a Tarquinio Prisco:
Septimam Cumanam nomine Amaltheam, quae ab aliis Herophile vel
Demophile nominetur, eamque novem libros atulisse ad regem Tarquinium
Priscum ac pro iis trecentos philippeos postulasse regemque aspernatur
pretii magnitudinem derisisse mulieris imsaniam; illam in conspectu regis tris
combussisse ac pro reliquis idem pretium poposcisse; Tarquinium multo
magis insanire mulierem putavisse: quae denuo tribus aliis exustis cum in
eodem pretio perseveraret, motum esse regem ac residuos trecentis aureis
emisse; quorum postea numerus sit auctus, capitolio refecto, quod ex
omnibus civitatibus et Italicis et Graecis praecipueque Erythris coacti
adlatique sunt Romam cuiuscuque Sybillae nomine fuerunt. Lact. Div. Inst. I.
6. 9.
Il racconto della vendita dei libri Sibillini è riportata con significative varianti e
da numerose altre fonti, in primis, dallo storico greco Dionigi d’Alicarnasso:
Λέγεται δέ τι καὶ ἕτερον ἐπὶ τῆς Ταρκυνίου δυναστείας πάνυ θαυμαστὸν
εὐτύχημα τῇ Ῥωμαίων ὑπάρξαι πόλει εἴτε θεῶν τινος εἴτε δαιμόνων εὐνοίᾳ
δωρηθέν˙ ὅπερ οὐ πρὸς ὀλίγον καιρόν, ἀλλ᾽ εἰς ἅπαντα τὸν βίον πολλάκις
αὐτὴν ἔσωσεν ἐκ μεγάλων κακῶν. γυνή τις ἀφίκετο πρὸς τὸν τύραννον οὐκ
ἐπιχωρία βύβλους ἐννέα μεστὰς Σιβυλλείων χρησμῶν ἀπεμπολῆσαι
θέλουσα. οὐκ ἀξιοῦντος δὲ τοῦ Ταρκυνίου τῆς αἰτηθείσης τιμῆς πρίασθαι
τὰς βύβλους ἀπελθοῦσα τρεῖς ἐξ αὐτῶν κατέκαυσε˙ καὶ μετ᾽οὐ πολὺν
χρόνον τὰς λοιπὰς ἓξ ἐνέγκασα τῆς αὐτῆς ἐπώλει τιμῆς. δόξασα δ᾽ ἄφρων
τις εἶναι καὶ γελασθεῖσα ἐπὶ τῷ τὴν αὐτὴν τιμὴν αἰτεῖν περὶ τῶν ἐλαττόνων
ἣν οὐδὲ περὶ τῶν πλειόνων ἐδυνήθη λαβεῖν, ἀπελθοῦσα πάλιν τὰς ἡμισείας
τῶν ἀπολειπομένων κατέκαυσε καὶ τὰς λοιπὰς τρεῖς ἐνέγκασα τὸ ἴσον ᾔτει
χρυσίον. θαυμάσας δὴ τὸ βούλημα τῆς γυναικὸς ὁ Ταρκύνιος τοὺς
οἰωνοσκόπους μετεπέμψατο καὶ διηγησάμενος αὐτοῖς τὸ πρᾶγμα, τί χρὴ
πράττειν ἤρετο. κἀκεῖνοι διὰ σημείων τινῶν μαθόντες ὅτι θεόπεμπτον
ἀγαθὸν ἀπεστράφη, καὶ μεγάλην συμφορὰν ἀποφαίνοντες τὸ μὴ πάσας
αὐτὸν τὰς βύβλους πρίασθαι, ἐκέλευσαν ἀπαριθμῆσαι τῇ γυναικὶ τὸ
χρυσίον, ὅσον ᾔτει καὶ τοὺς περιόντας τῶν χρησμῶν λαβεῖν. ἡ μὲν οὖν γυνὴ
τὰς βύβλους δοῦσα καὶ φράσασα τηρεῖν ἐπιμελῶς ἐξ ἀνθρώπων ἠφανίσθη.
Dion. Hal. IV.62.2.87
87
Si dice che durante il regno di Tarquinio un altro evento meraviglioso sia accaduto alla città
di Roma, elargito dalla benevolenza di un dio o di un demone; questo la salvò spesso, e non
32
Come si vede, Dionigi non identificava direttamente la venditrice dei libri con
la sibilla Cumana ma cita una vecchia straniera 88. Inoltre, non lega l’episodio
a Tarquinio Prisco, ma colloca l’avvenimento al regno del Superbo.
Non sappiamo quale fonte avesse utilizzato Dionigi. Aulo Gellio, che riporta
sostanzialmente lo stesso episodio, scrive che esso si trovava negli ‘antiqui
annales’89. Neanche Gellio identifica la Sibilla, e come Dionigi, ascrive
l’acquisto dei libri al Superbo 90.
Possiamo anche prendere in considerazione un altro dato. Secondo Varrone,
Nevio, nella sua opera ‘Bellum Poenicum’, aveva citato una ‘Sibilla Cimmeria’,
legata ai ‘misteriosi’ Cimmeri 91
. Questi ultimi costituivano il mitico popolo del
regno dei morti ed è nel ‘paese dei Cimmeri’ che Ulisse (Od. XI) si reca per
eseguire la nékyia, il rituale di evocazione dei defunti, al fine di poter
interrogare l’indovino Tiresia sul proprio ritorno in patria 92
. I Cimmeri, come
sovente accade per i popoli mitici, erano variamente localizzati.
Generalmente erano ritenuti abitare le pianure a nord del Mar Nero; tuttavia
sappiamo da Strabone che Eforo, nel V secolo a.C., li descriveva come gli
antichi abitanti della Campania, collocati nei Campi Flegrei presso il lago
Averno, quest’ultimo considerato l’entrata del regno dei morti 93
. Si può
per un breve periodo, ma per tutta la vita, da grandi sciagure. Una donna non romana venne
dal principe con l’intenzione di vendergli nove libri, pieni di oracoli sibillini. Poiché Tarquinio
non volle comprarli al prezzo proposto, essa se ne andò e né bruciò tre. Dopo non molto
tempo, riportò i libri rimasti e glieli offrì allo stesso prezzo, ma venne derisa e stimata stolta
per il fatto che proponeva lo stesso prezzo per un numero minore, quando non aveva potuto
ottenerlo per tutti. Essa se ne andò e brucio ancora la metà dei libri rimasti, e riportando poi i
tre superstiti, chiese lo stesso oro. Tarquinio, esterrefatto per le proposte della donna, fece
chiamare gli auguri e, esposto loro il fatto, domandò che cosa bisognava fare. E quelli,
riconoscendo da certi segni che egli aveva respinto un bene mandato dagli dei, e dichiarando
grande sciagura il l fatto che non avesse comperato tutti i libri, lo esortarono a pagare alla
donna tutto il denaro che chiedeva, e a prendere gli oracoli che rimanevano. Quindi la donna,
dopo aver consegnato i libri, e aver raccomandato di averne gran cura, sparì dalla vista degli
uomini.
88
E’ importante considerare il fatto che sia una donna ed una straniera la venditrice dei libri,
ad evidenziare l’estraneità della raccolta dall’ assetto divinatorio romano.
89
Aul. Gell. Noct. Att. I. 19.
90
Cfr. Plin. N.H. 13. 84; Zon. VII. 11. Secondo Servio. (ad Aen. VI. 62) Varrone avrebbe
attribuito i Libri alla Eritrea.
91
Varr. ap. Lact. Div. Inst. I. 6. 7. cfr. Naev. Bell. Poen. Fr. 12 (Strezelecki).
92
Sulla nekyia e la necromanteia, la sua diffusione nel mondo greco-romano e Mediterraneo,
vedi OGDEN 2001 e CECON 2004.
93
Strabo. V. 4. 5.
33
ipotizzare che Nevio, abbia creato ex novo la figura della Sibilla Cimmeria per
ragioni letterarie94; oppure che avesse presente una leggenda simile a quella
raccolta dall’ incertus auctor del ‘De Origine Gentis Romanae’: Secondo
l’anonimo autore di questo trattato del IV d.c., infatti, Enea, fuggito da Troia e
approdato in Italia, consultò la Sibilla, la quale profetava il futuro ai mortali e
viveva presso la città dei Cimmeri 95.
Enea avrebbe così chiesto del proprio destino alla Sibilla la quale gli predisse
l’ insediamento nel Lazio.
La vicenda è sicuramente ispirata all’ episodio della nékyia omerica (a sua
volta ripreso da Virgilio nel VI libro dell’Eneide).
Al di là di questo, è notevole che Nevio abbia scritto di una Sibilla Cimmeria,
anziché Cumana; ma è ancor più degno di nota il fatto che in questo episodio
la Sibilla non sia collegata ai libri Sibillini; invece Virgilio nell’Eneide, descrive i
libri Sibillini conservati a Roma come rivelati dalla Sibilla Cumana e
contenenti gli arcana fata della città 96.
Con queste premesse possiamo supporre che al tempo di Nevio, alla metà
del terzo secolo a.C., la tradizione di una Sibilla – Cumana o meno –
venditrice dei propri libri a Roma non si fosse ancora formata. La metà del III
secolo potrebbe essere presa, dunque, come data ante quam non, per la
formazione del mito dell’arrivo dei libri Sibillini a Roma.
E’ importante notare come sia una Sibilla la disvelatrice del fatum di Enea,
anche secondo Nevio.
Sappiamo inoltre che, sempre nel Bellum Poenicum - un testo che appare
sempre più denso di senso - Nevio aveva scritto di come Venere avesse
consegnato ad Anchise i libri contenenti i suoi fata: ‘Naevius […] dicit
Venerem libros futura continentes Anchisae dedisse […]’ 97.
Possiamo, dunque, supporre che, da un dato momento in poi i fata di Enea,
figlio di Anchise, identificati con i fata Romana, vennero collegati alla Sibilla e
94
Sulla Sibilla Cimmeria come invenzione letteraria, vedi anche FLORES 1986; cfr. PARKE
1992, p. 91.
95
Vedi De Orig. Gent. Rom. 19 g.
96
Aen. VI. . 67.
97
Naevius, Bell. Pun. Fr. 9 (Strzelecki). La notizia viene da uno scolio all’ Eneide, Schol. Ad
Aen. VII. 123. (cod. Paris. Lat. 7930, saec. XI)
34
98
allo stesso tempo considerati contenuti in libri . Il problema che
maggiormente si pone è costituito dalla difficoltà di specificare quando questo
‘determinato momento’ venne a verificarsi. Forse, come ha suggerito L.
Breglia Pulci Doria, ciò avvenne in concomitanza con la sistematica
valorizzazione del mito della discendenza romana di Enea del III secolo a.
C.99
Potremmo dunque accettare il periodo del terzo secolo come il più plausibile
per la formazione del mito dell’introduzione dei libri Sibillini.
Ciò potrebbe avere un legame con l’incremento della diffusione libraria nel
mondo ellenistico che, cominciata nel tardo IV secolo, si diffuse anche in
Italia nel III secolo a.C.100 L’introduzione stessa del libro a Roma si fa spesso
risalire al periodo ellenistico. A proposito è interessante constatare che,
secondo quanto riportato da Plinio, in un passo della Naturalis Historia
dedicato all’utilizzo del papiro, Varrone attribuisce l’invenzione della charta al
periodo della fondazione di Alessandria da parte di Alessandro Magno ‘Et
hanc Alexandri Magni victoria repertam auctor est M.Varro, condita in
Aegypto Alexandria’ 101
. Tuttavia bisogna tener presente che, delineare una
storia del libro a Roma, nonchè del libro in generale, costituisce un problema
tutt’altro che semplice, su cui il dibattito è ancora aperto. Riportiamo a
riguardo le osservazioni di A. Di Nola che, sotto la voce ‘libro’ della
Enciclopedia Einaudi, così scrive: ‘sebbene il libro presupponga, ovviamente,
l’uso della scrittura, la ‘transizione’ scrittura-libro, in sede storica, non si
manifesta quasi mai in forma evidente ma, passa attraverso innumerevoli
stadi in rapporto all’evoluzione complessiva delle varie società, con la
98
BREGLIA PULCI DORIA 1988.
99
BREGLIA PULCI DORIA 1988. Per l’utilizzo della leggenda di Enea quale fondatore di
Roma, in III e II secolo a.C., vedi GABBA 1976, p. 94 ss; GALINSKY 1969; CARANDINI
2006, pp. 109-112. La formazione del mito della fondazione di Roma da parte di Enea
costituisce un problema molto complesso – che ha prodotto una enorme bibliografia - e non
ancora risolto. A titolo orientativo, vedi le indicazioni bibliografiche in HORSFALL 1984, p.
228.
100
Sulla produzione e commercializzazione ellenistica del libro, vedi CAVALLO 1990, pp. XI-
XXIV; KLEBERG 1990, pp. 27-41.
101
Plin. N.H. XIII. 2. 68.
35
conseguenza che può presentare tratti contradditori emergenti in lunghi
periodi ed addirittura regressioni che determinano confusioni interpretative’
102
.
Per riassumere, allorchè Roma assunse in un preciso periodo un testo
divinatorio, di fronte al dualismo oralità/scrittura, optò apertamente e in modo
specifico per la scrittura 103.
A questo proposito si potrebbe aprire un confronto con la cultura ebraica, la
quale ugualmente ha un testo che contiene la sua storia, la toràh. E’
interessante a questo proposito notare che la mise en texte della Bibbia dei
septuaginta risale allo stesso torno di tempo – metà terzo secolo – in cui
verosimilmente risale la creazione del prodotto culturale ‘libri Sibillini’104.
Comunque mentre la comunità ebraica nella sua vita quotidiana ricorre al
testo biblico della torah che rappresenta una autorità atta a fornire leggi,
regole di comportamento, Roma ricorre invece ad un testo che può proporre
solo rituali, remedia. Infatti Roma, come vedremo, opta per il rifiuto del
‘religioso’ come guida decisionale.
102
DI NOLA 1979, p. 74.
103
Per un raffronto sulla problematica del passaggio da cultura orale a cultura scritta nella
cultura ellenistica, vedi HAVELOCK 1963. CARDONA 1981; CARDONA 1986.
104
Sull’edizione della Septuaginta, vedi DORIVAL-HARL-MUNNICH 1988.
36
II PARTE.
37
Sul significato delle registrazioni storico-annalistiche degli eventi relativi ai
prodigi, oggi gli studiosi sono per lo più concordi a riconoscerne la piena
pertinenza strutturale al tessuto narrativo della vulgata108.
In particolare, la notificazione e conservazione in memoria di un prodigium,
segnalava che, in un determinato periodo era avvenuta una rottura dell’
equilibrio uomini-dei, ma che questa si era risolta con l’espiazione del
prodigio 109.
Per quanto riguarda la realtà storica degli eventi prodigiali, Mac Bain ritiene
autentiche le liste a partire dal III secolo. Prima di quest’epoca l’attendibilità di
ogni testimonianza andrebbe valutata caso per caso110. Tuttavia l’effettiva
realtà storica delle consultazioni sibilline, qui non ci interessa direttamente.
Infatti questi episodi, anche e soprattutto quando risultassero dei falsi, vanno
intesi come corrispondenti ad un pattern ricorrente e dunque funzionante a
livello culturale.
L’essenziale rimane che la ‘drammaturgia’ di tali episodi sia asservita ad un
determinato schema, che si adatta, esplicitandolo, alla concezione di un
modello ‘fisso’, stilizzato, utilizzato in modo specifico per le consultazioni dei
libri Sibillini.
ruolo degli aruspici in rapporto ai decemviri rimane una questione aperta. In particolare, vedi
MC BAIN 1982, pp. 82 – 107 e pp. 118-127.
108
RAWSON 1971, p. 166.; MAC BAIN 1982; MONTANARI 1990, p. 45-48; SANTI 1996, p.
509-510.
109
SANTI 1996, p.510.
110
MAC BAIN 1982, p. 8. Cfr. MONTANARI 1990, p. 48, nota 20.
38
CONSULTAZIONI E SOLUZIONI SIBILLINE NEL V SECOLO A.C.
39
Secondo Dionigi i duumviri erano coadiuvati da due ‘assistenti pubblici’ greci
113
. Inoltre il titolo di ‘duumviro’ aveva carattere vitalizio e esentava dalle
cariche civili e militari.
Tali caratteristiche sembrano descrivere i duumviri come diversamente
ordinati rispetto agli altri cittadini in quanto titolari di particolari prerogative e
dunque agenti in funzione della civitas, ma posti al di fuori di essa.
Completamente diverso appare l’assetto del collegio in epoca posteriore. Nel
367 a.C., si colloca la creazione dei decemviri sacris faciundis, composto per
metà da patrizi e per metà da plebei. Non vi è traccia che i componenti del
nuovo collegio decemvirale godessero, in virtù del loro ruolo, di uno status
particolare rispetto agli altri membri della classe senatoria.114
113
Tale notizia è indicativa dell’intensità dei rapporti di Roma con la Magna Grecia in epoca
arcaica e va integrata con quella secondo cui alcune sacerdotesse greche del culto di
Demeter sarebbero state fatte venire dalla Campania a Roma, per il corretto svolgersi del
culto di Ceres istituito nel 496 a.C.; Cfr. Cic. Pro Balbo, 24. 55.
114
Vedi Liv. VI. 42.
40
- 504 a.C.
I ludi Tarentini.
41
116
rapporto esclusivo e privilegiato con i libri Sibillini . Ciò potrebbe dipendere
dalla volontà di attribuire un ruolo “prototipico” alla figura del primo console.
In particolare, e’ stato ipotizzato che Plutarco, nel riportare tale notizia, abbia
seguito una fonte filo-Valeria ‘di parte’, forse dello storico Valerio Anziate, il
quale avrebbe utilizzato memorie gentilizie tramandate dai suoi antenati.
Intento della famiglia Valeria sarebbe stato quello di estendere la propria
tutela sul collegio dei decemviri sacris faciundi attraverso la figura esemplare
del primo console P.Valerio Publicola 117.
Tuttavia le anomalie rinvenibili nel passo plutarcheo potrebbero non essere
il frutto di una falsificazione posteriore, ma il ricordo di una memoria
autentica, in cui la prassi normale e le funzioni del collegio erano ancora in
formazione 118.
Il piaculum, consistente nel sacrificio propiziatorio ad Ade, è collegato alla
celebrazione di ludi.
L’accenno ci costringe ad aprire una brevissima interrogazione sul senso
del termine ludus. Ricorriamo allo studio di G. Piccaluga che propone la
definizione di ‘ludi’ come rituali caratterizzati da elementi spettacolari. Tali
elementi avevano, appunto, la funzione di sottolineare l’ aspetto ‘ludico’, che
segnava, attraverso la gratuità del gioco-spettacolo, il valore di un tempo
‘sospeso’ atto a riproporre il tempo mitico delle origini 119.
Per tornare nello specifico, l’episodio si collega alla questione
straordinariamente complessa dei ludi Tarentini/Saeculares. Su queste
festività sono sorte molteplici ipotesi interpretative, per quanto ne riguarda
l’origine, la cronologia, e l’individuazione della loro prima celebrazione
storica 120
. I ludi Tarentini o Taurii erano considerati essere gli antecedenti
116
Al console era anche attribuita la celebrazione del primo trionfo e l’orazione del primo
elogio funebre, cfr. Plut. Popl. 9; 9-11. Sull’autenticità storica di Valerio Publicola,
ARCELLA 1992.
117
SANTI 2000, p.24.
118
Per questa ipotesi cfr. SANTI 2000, p.24-25 e 28-30.
119
Vedi PICCALUGA 1965. Il termine ludus copre una vasta area semantica; vedi DELL s.v.
ludus; PICCALUGA 1965, p. 32-52. Per una classificazione dei ludi, vedi DUMEZIL 1974,
p. 562 ss.
120
Copiosissima letteratura in proposito. Per una bibliografia, vedi COARELLI 1997, pp.
100. Vedi anche; GAGE 1934; PIGANIOL 1936; WAGENVOORT 1951.
42
dei ludi Saeculares121, che come indica il nome, si volevano celebrati ad
ogni saeculum, termine sulla cui valenza torneremo in seguito. Nella sua
cronologia dei ludi Saeculares, Censorino, presenta i ludi celebrati da
Publicola come prima occorrenza di questi122.
Le origini dei ludi Taurii/Tarentini sono descritte da Valerio Massimo123. Un
certo Valerius, evidente antenato della gens Valeria, per salvare i suoi tre
figlioletti, colpiti da un misterioso male, aveva fatto loro bere l’acqua calda
che sgorgava nel Tarentum, luogo ‘extremo’ del Campo Marzio, ad un’ansa
124
del Tevere, dove si trovava l’altare sotterraneo di Dis e Proserpina . I figli
ne erano stati miracolosamente guariti; come ringraziamente, Valerio offrì
alle due divinità sacrifici, un lectisternium e giochi per tre notti125.
Nel racconto è esplicita la valenza salutare legata all’utilizzo delle acque del
Tevere riscaldate nel Tarentum, utilizzate in un rituale terepeutico atto ad
ottenere una rapida guarigione.
Un altro racconto, riportato da Festo e Servio Danielino colloca l’origine dei
giochi al tempo di Tarquinio il Superbo, allorché una epidemia aveva
colpito le donne in gravidanza, in modo che i bambini morivano in grembo.
I ludi vennero allora istituiti in onore delle divinità infere, celebrati nel Circo
Flaminio con sacrifici di vacche sterili (taureae) 126.
Il racconto di Plutarco sembra presentare i ludi indetti dal console come
una ripresa di celebrazioni più antiche.
Comunque, tutti tre i racconti che qui abbiamo preso in considerazione,
quello che vede la celebrazione dei ludi Tarentini del 504 a. C. in quanto
ordine dato dai Sibillini in risposta a nascite di feti malformati, quello dei figli
121
Sull’identificazione dei ludi Taurei coi ludi Saeculares vedi Festus, s.v. Saecul. Ludi e
Taurii ludi; cfr. anche Val. Max. loc. cit.
122
Cens. De die nat. XVII. 10. Cfr. Festus, s.v. Saecul. Lud. Per la ricostruzione storica
delle celebrazioni dei ludi Saeculares, il documento fondamentale è costituito da un
passo riportato di Censorino,(riportato in Appendice) fonte tarda ma preziosa in quanto
riprende a proposito le notizie di Varrone e dei primi annalisti. (COARELLI 1997, p. 102)
123
Val. Max. II. 4. 5. Cfr. Zos. II. 3.
124
Per la localizzazione del Tarentum e dell’ara sotterranea, vedi COARELLI 1997, pp.
74-100. Per la sua caratterizzazione come luogo di acque salutari, vedi BOYANCE 1925.
125
Per il lectisternium, vedi infra, p. 62.
126
Festus, s.v. Taurii ludi; Serv. ad Aen. II. 140.
43
di Valerius e quello che ricorda la malattia delle donne gravide durante il
regno di Tarquinio il Superbo, presentano come pericolo incombente un
possibile blocco nella riproduzione della generazione, per stornare il quale
le celebrazioni effettuate riconducono al valore salvifico dei ludi in senso
lato. Il problema della continuità della generazione e del rinnovamento del
tempo è appunto quello posto dai ludi Saeculares, di cui i Tarentini
costituirebbero l’antecedente. Fondamentali come segno della struttura
temporale, in quanto i ludi Saeculares, al di là del problema posto dalla loro
ricostruzione cronologica, scandivano la fine del saeculum, spazio di tempo
dalla durata variabile combaciante con la durata di una generazione
umana, di cui il numero di anni era variamente interpretato dagli antichi, e
la cui determinazione costituiva comunque un problema127. Il passaggio da
un saeculum all’altro costituiva un momento critico128; considerando che il
saeculum era inteso come lasso di tempo combaciante con la durata di una
generazione, possiamo già definire i ludi Saeculares come atti ha favorire la
continuità ‘controllata’ della generazione umana.
127
Cens. De die nat., XVII. 6. Vedi GUITTARD 2007b.
128
Le fonti romane ci attestano anche di una dottrina etrusca secolare, secondo cui la fine di
ogni saeculum, era annunciata da prodigi e poteva essere allontanata tramite opportuni
rituali; Cens. De die nat. XXVII. 6; cfr. Serv. ad Aen. VIII. 398. Vedi MAZZARINO 1966, II, p.
525, nota 447.
44
- 496 a.C.
Ceres, Liber e Libera.
La seconda consultazione del quinto secolo a.C. si colloca nel 496 a.C., ed è
riportata solo da Dionigi. Si tratta di un episodio di straordinaria importanza in
quanto pone un intervento sibillino all’ origine della fondazione del tempio di
Ceres, Liber e Libera sull’Aventino, episodio chiave per la strutturazione della
res publica.
129
Il tempio era collegato dalla tradizione alle “secessioni plebee” . Le tre
divinità costituivano la cosiddetta ‘triade plebea’, posta in esplicita
contrapposizione con la parte patrizia della città, rappresentata dalla 'triade
130
capitolina' . Dunque la fondazione del tempio segna un momento fondante
per la storia repubblicana, che si costruisce attraverso la dialettica patrizi-
plebei.
Leggiamo il testo di Dionigi:
[…] τὰς δεκάτας ἀγῶνάς τε καὶ θυσίας τοῖς θεοῖς ἀπὸ τετταράκοντα
ταλάντων ἐποίει καὶ ναῶν κατασκευὰς ἐξεμίσθωσε Δήμητρι καὶ Διονύσῳ
καὶ Κόρῃ κατŒ εὐχήν . ἐσπάνισαν γὰρ αἱ τροφαὶ τοῦ πολέμου κατ᾽ ἀρχὰς καὶ
πολὺν αὐτοῖς παρέσχον φόβον ὡς ἐπιλείψουσαι, τῆς τε γῆς ἀκάρπου
γενομένης καὶ τῆς ἔξωθεν ἀγορᾶς οὐκέτι παρακομιζομένης διὰ τὸν
πολέμονt. διἁ τοῦτο τὸ δέος ἀνασκέφασθαι τὰ Σιβύλλεια τοὺς φύλακας
αὐτῶν κελεύσας, ὡς ἔμαθεν ὅτι τούτους ἐξιλάσασθαι τοὺς θεοὺς οἱ
χρησμοὶ κελεύουσιν, εὐχὰς αὐτοῖς ἐποιήσατο μέλλων ἐξάγειν τὸν στρατόν,
ἐὰν εὐετηρία γένηται κατὰ τὴν πόλιν ἐπὶ τῆς ἰδίας ἀρχῆς οἵα πρότερον ἦν,
ναούς τε αὐτοῖς καθιδρύσεσθαι καὶ θυσίας καταστήσεσθαι καθ᾽ἕκαστον
ἐνιαυτόν. οἱ δὲ ὑπακούσαντες τήν τε γῆν παρεσκεύασαν ἀνεῖναι πλουσίους
129
Secondo Dionigi la prima secessione plebea avvenne appunto sull’ Aventino nel 492 a.C.
In questa occasione la plebe si ritirò in armi su questo colle, dove sorgeva il tempio votato da
Postumio quattro anni prima (Dion.Hal. VI. 45-90). Livio data, invece, lo stesso episodio al
496 a.C. e lo colloca però sul Monte Sacro, dicendo di seguire la tradizione piu’ accreditata,
di contro a quella dell’ Aventino, risalente quest’ultima agli Annali di C. Pisone – la fonte
seguita perciò da Dionigi – (Liv. II. 32. 2). Cfr. CORNELL 1995, pp.256-260. Sulla storicità
delle prime lotte plebee – condotte essenzialmente per la parificazione dei diritti civili - e la
loro proiezione nel racconto storico annalistico, vedi CASSOLA 1988.
130
Sul tema la letteratura è vasta. Vedi LE BONNIEC, 1953, p.277-311; BOYANCE 1959, p.
111 ss.; DUMEZIL 1974 pp. 313-317; SABBATUCCI, 1988, p.140-144. Cfr. CORNELL 1995,
pp. 263-265. Sulla dualità patrizi – plebei, vedi GUARINO 1975, RICHARD 1978; NICCOLINI
1934; BRUNT 1972.
45
καρπούς, οὐ μόνον τὴν σπόριμον, ἀλλὰ καὶ τὴν δενδροφόρον, καὶ τὰς
ἐπεισάκτους ἀγορὰς ἁπάσας ἐπικλύσαι μᾶλλον ἢ πρότερον˙ ἅπερ ὁρῶν
αὐτὸς ὁ Пοστόμιος ἐψηφίσατο τὰς τῶν ναῶν τούτων κατασκευάς. Dion. Hal.
VI. 17. 2-4 131.
L’episodio si colloca poco prima della battaglia del lago Regillo, lo scontro che
segna, secondo la tradizione, la vittoria romana sulla Lega Latina (499/496
a.C.). Dionigi racconta che, poco prima di partire con l’esercito, il dittatore
Aulo Postumio aveva ordinato ai duumviri di consultare i libri Sibillini, per
porre fine ad una carestia che aveva colpito Roma. L’ urgenza di porre
rimedio alla situazione è prioritaria in quanto la carestia, oltre ad affamare la
città, compromette il vettovagliamento dell’esercito.
I duumviri indicano il bisogno di propiziarsi le divinità Ceres, Liber e Libera.
Postumio promette dunque di votare un tempio ed istituire dei ludi alle tre
divinità designate, qualora sia assicurata nuovamente l’abbondanza di generi
alimentari alla città.
In primo luogo notiamo che, in questo episodio, il ruolo svolto dai duumviri
sacris faciundi si limita ad indicare le particolari divinità a cui rivolgere i
piacula, e non include la prescrizione dei riti espiatori da eseguire. E’ lo
132
stesso Postumio, cioè il console , che stabilisce la dedica del tempio e
l’istituzione di ludi annui. Secondo Claudia Santi, si può scorgere nell’episodio
la memoria di un periodo in cui il ruolo dei duumviri sacris faciundi aveva
diversa definizione rispetto a quella che si andò delineando nel periodo
immediatamente posteriore; la prassi prevedeva infatti che fossero i duumviri
ad indicare le modalità di esecuzione dei piacula133. Il fatto che Postumio leghi
131
[Postumio] spese quaranta talenti in giochi e sacrifici agli dei, e stipulò il contratto per la
costruzione dei templi di Demetra, Dioniso e Core, a scioglimento del voto fatto. Infatti
all’inizio, come sembra, i vettovagliamenti per la guerra scarseggiavano, e c’era una grande
paura nei Romani di venir meno, poichè la terra era infeconda nè giungevano rifornimenti dai
mercati stranieri a causa della guerra. Per questo timore Postumio aveva ordinato a coloro
che ne erano i custodi di consultare i libri Sibillini; non appena aveva saputo che gli oracoli
ordinavano di propiziarsi questi dei, aveva fatto voto a loro, mentre era sul punto di condurre
in campo l’esercito, che, se nella citta’ fosse tornata, nel corso del suo comando, la stessa
prosperità di prima, avrebbe eretto loro dei templi e avrebbe celebrato in loro onore sacrifici
annuali. Questi dei, esaudendo le sue preghiere, fecero sì che la terra producesse frutti
copiosi.
132
Invece, il fatto che Postumio, scavalcando il senato, ordini ai decemviri di adire ai libri
rientra nei suoi diritti di dittatore, e non deve perciò essere inteso come una infrazione alla
prassi per cui era il senato a dare tale ordine.
133
SANTI, 2000, p. 25-26. Analogamente all’episodio registrato per il 504 a.C., si può
46
la costruzione del tempio all’ esaudirsi di una richiesta, non è invece inusuale
e può essere paragonato ad altre espiazioni di prodigia soprattutto per il III
a.C.134
Analizziamo le particolari circostanze in cui è collocato tale episodio. Le tre
divinità Ceres, Liber e Libera possono essere accostate alla vegetazione,
all’agricoltura, sia pure con molta cautela. Ceres in particolare era preposta
alla crescita delle messi; ma bisogna aggiungere che essa va più
opportunamente collegata alla dimensione culturale legata al buon uso delle
cerealicoltura, tecnica agricola di per sé avanzata e rivoluzionaria, per la
quale la corrispondente greca di Ceres, Demeter aveva assunto un ruolo
eminentemente politico, come garante dell’ attualità democratica,
simbolicamente rappresentata dal pane bianco dono della dea. 135
L’istituzione del tempio alla triade dunque, ben si colloca in un contesto in cui
e’ necessario porre fine ad una carestia, ma anche dare una svolta politica
nel senso di attualizzare la storia della res pubblica. L’ interpretatio di Ceres
come Demeter richiama al ruolo della dea stessa nel mondo greco ed in
particolare ad Atene. Demeter era colei che aveva dato agli ateniesi i due più
grandi doni, la coltivazione dei cereali ed i misteri, e si presenta come la
divinità che inaugura la dimensione culturale perfetta, la dimensione del pane
bianco. Demeter è interpretata perciò come garante dell’assetto democratico
della polis ateniese, in particolare nel V a.C., come la sola in grado di
assicurare attraverso la panificazione un cibo equamente distribuibile, di
garantire cioè una pagnotta per tutti, base dell’uguaglianza tra i cittadini, fine
ultimo del disegno civico 136.
47
Con questa premessa, è facile inferire perchè i plebei avessero adottato il
culto di Demeter, identificata con Ceres, quale ‘vessillo’ delle loro
rivendicazioni, che si muovevano in senso democratico 137.
Per tornare all’episodio in questione, possiamo notare come già in questo
racconto riguardante la fondazione del tempio venga posto il collegamento
delle divinità con la plebe. La consultazione si colloca poco prima di una
battaglia; coinvolge il piano militare in quanto la carestia impedisce il
vettovagliamento dell’esercito e minaccia, dunque, anche le sorti della guerra
contro la coalizione latina, nonchè l’esistenza stessa di Roma: la crisi
138
economico-agraria rischia di far sorgere una crisi politica interna . In tale
situazione emerge con evidenza, assieme alla necessità immediata di
arrestare la carestia, quella di ‘placare’ la plebe, in particolare coloro che
potevano servire in armi. Il rapporto della plebs con l’esercito è un dato della
massima importanza. Numerosi passi di Livio presentano il rifiuto plebeo di
partecipare alla leve come strumento ricattatorio utilizzato contro il senato. Il
problema di mantenere la pace interna, la celebre concordia ordinum viene
presentato dal racconto annalistico liviano, che riprende i motivi ideologici
fondamentali dell’epoca augustea, come di vitale importanza per consolidare
il modello espansionistico esterno di Roma139.
La discordia interna era temibile non solo poiché minacciava l’espansione
romana, ma soprattutto in quanto favoriva attacchi esterni e metteva in
pericolo l’esistenza stessa di Roma.
137
CHIRASSI COLOMBO, 1975a, p.183-213. Anche per Liber e Libera interpretati come
Dioniso e Kore i problemi che si pongono sono complessi. In particolare su Liber, vedi
BRUHL 1953.
138
Cfr. SABBATUCCI 1989, p.174-175.
139
Cfr. SABBATUCCI 1989, p. 173.
48
- 488 a.C.
Attaccare Coriolano?
140
Il senato decise di non inviare nemmeno allora un esercito oltre i confini, temendo per
l’inesperienza dei soldati (erano per la più parte reclute) e considerando che la titubanza dei
consoli (mancavano totalmente di energia) rendesse rischioso affrontare una dura lotta. Per
di più anche gli dei manifestavano la loro contrarietà alla spedizione mediante avvertimenti
oniromantici, oracoli Sibillini e altre forme tradizionali di divinazione, che gli uomini di allora
non ritenevano di poter trascurare, come invece capita oggi.
49
verso una iniziativa collettiva. L’uso della raccolta oracolare è in questo caso
assimilabile a quello dell’ auspicatio, alla quale è esplicitamente accomunata
da Dionigi. D’altronde è possibile che il greco Dionigi si riferisse non tanto ai
libri Sibillini, ma avesse inteso genericamente indicare col termine ‘oracoli
Sibillini’ le varie voci profetiche non ufficiali, ampiamente attestate come
circolanti nella Roma del I secolo a.C., epoca in cui scriveva lo storico; la
situazione contemporanea poteva suggerire facili analogie per il passato .
Né Livio né Plutarco, nella vita di Coriolano, menzionano i libri Sibillini in
rapporto con la vicenda del patrizio141.
141
Vedi Liv. II. 39-40. Plut. Cor. 32-33. Nella narrazione storico-annalistica, la situazione si
risolve grazie a Veturia e Volumnia, rispettivamente madre e moglie di Coriolano, che si
recano assieme ad altre matrone al campo dei Volsci, dove persuadono il congiunto a
risparmiare la città. Plutarco narra che, come tentativo precedente, era stata mandata presso
il campo una delegazione composta da sacerdoti e auguri, per convincere il romano a
deporre le armi, ma senza risultato. La notizia potrebbe riflettere quella di Dionigi.
50
- 461 a.C.
Numerosi prodigia e un tumultus annunciato.
51
Συνήπτετο δὲ τοῖς ἀνθρωπίνοις λογισμοῖς καὶ τὰ θεῖα δείματα
προσγενόμενα, ὧν ἔνια οὔτ᾽ ἐν δημοσίαις εὑρίσκετο γραφαῖς οὔτε κατ᾽
ἄλλην φυλλατόμενα μνήμην οὐδεμίαν. ὅσα μὲν γὰρ ἐν οὐρανῷ σέλα
φερόμενα καὶ πυρὸς ἀνάψεις ἐφ᾽ ἑνὸς μένουσαι τόπου γῆς τε μυκήματα καὶ
τρόμοι συνεχεῖς ἐγίνοντο, μορφαί τ᾽ εἰδώλων ἄλλοτ᾽ ἀλλοῖαι δι᾽ ἀέρος
φερόμεναι καὶ φωναὶ ταράττουσαι διάνοιαν ἀνθρώπων, καὶ πάντα ὅσα
τούτοις ὅμοια συνέπιπτεν, εὑρίσκετο καὶ πάλαι ποτὲ γεγονότα ἧττόν τε καὶ
μᾶλλον˙ οὗ δὲ ἄπειροί τε καὶ ἀνήκοοι ἔτι ἦσαν καὶ ἐφ᾽ ᾧ δὴ μάλιστα
ἐταράχθησαν, τοιόνδ᾽ ἦν˙ νιφετὸς ἐξ οὐρανοῦ κατέσκηψεν εἰς γῆν πολὺς οὐ
χιόνα καταφέρων, ἀλλὰ σαρκῶν θραύσματα ἐλάττω τε καὶ μείζω. τούτων
τὰ μὲν πολλὰ μετάρσια προσπετόμεναι πτηνῶν ὅσαι εἰσὶν ἀγέλαι τοῖς
στόμασιν ἥρπαζον, τὰ δ᾽ ἐπὶ τὴν γῆν ἐνεχθέντα ἐν αὐτῇ τε τῇ πόλει καὶ
κατὰ τοὺς ἀγροὺς μέχρι πολλοῦ χρόνου κείμενα διέμεινεν οὔτε χρόαν
μεταβάλλοντα, οἵαν ἴσχουσι παλαιούμεναι σάρκες, οὔτε σηπεδόνι
διαλούμενα, ὦζέ τε ἀπ᾿ αὐτῶν οὐδὲν πονηρόν. τοῦτο τὸ τέρας οἱ μὲν
ἐπιχώριοι μάντεις οὐχ οἷοί τ᾽ἦσαν συμβαλεῖν˙ ἐν δὲ τοῖς Σιβυλλείοις εὑρέθη
χρησμοῖς ὅτι πολεμίων ἀλλοεθνῶν παρελθόντων εἰς τὸ τεῖχος ἀγὼν ὑπὲρ
ἀνδραποδισμοῦ καταλήψεται τὴν πόλιν, ἄρξει δὲ τοῦ πρὸς τοὺς ἀλλοεθνεῖς
πολέμου στάσις ἐμφύλιος, ἣν χρῆν ἀρχομένην ἐξελαύνοντας ἐκ τῆς πόλεως
καὶ θεοὺς παραιτουμένους θυσίαις τε καὶ εὐχαῖς ἀποτρέψαι τὰ δεινά˙ καὶ
κρείττους ἔσονται τῶν ἐχθρῶν. ὡς δ᾽ ἐξηνέχθη ταῦτ᾽ εἰς τὸ πλῆθος, ἱερὰ
μὲν πρῶτον ἔθυσαν, οἷς ἡ τούτων ἐπιμέλεια ἀνέκειτο, θεοῖς ἐξακεστηρίοις
τε καὶ ἀποτροπαίοις, ἔπειτα συναχθέντες εἰς τὸ βουλευτήριον οἱ σύνεδροι
παρόντων καὶ τῶν δημάρχων ὑπὲρ ἀσφαλείας τε καὶ σωτηρίας τῆς πόλεως
ἐσκόπουν. Dion. Hal. X. 2. 2-4 146.
imputridire. Dai duumviri furono consultati i Libri; fu predetto il pericolo che da un
assembramento di genti straniere derivassero assalti contro le parti più alti dell’Urbe, con
conseguenti stragi; tra le altre cose si ammonì che ci si astenesse dalle sedizioni. I tribuni
protestavano che si era ricorso a questo espediente per ostacolare la legge e una gran lotta
era imminente.
146
Ai ragionamenti degli uomini si aggiungevano presagi paurosi mandati dagli dei: di alcuni
di questi non si trovano tracce ne’ in tempi precedenti, ne’ negli archivi pubblici ne’ altrove.
Infatti, finché si trattava di lampi che attraversavano il cielo, di fuochi che si accendevano
sempre in un solo luogo, di muggiti e scosse continue di terra, di apparizioni di spettri diversi
in diversi punti dell’aria, e di voci che sconvolgevano la mente degli uomini, questi prodigi e
altri simili si sapeva che anche in tempi precedenti erano avvenuti, in misura maggiore e
minore; ma ce ne fu uno di cui essi non avevano esperienza e che più li spaventava: venne
giù dal cielo una gran nevicata, ma non di neve, bensì di brandelli di carne, più o meno
grandi. La maggior parte finì nel becco di torme di uccelli in volo, che li afferravano a
mezz’aria, invece quelli che arrivavano a terra restarono per molto tempo nella città stessa e
nei campi, senza perdere di colore, come fa la carne quando invecchia, senza marcire e
senza mandare cattivo odore. Gli indovini del luogo non furono capaci d’interpretare un simile
prodigio, ma nei libri Sibillini si trovò quel che esso annunciava: nemici esterni sarebbero
penetrati entro le mura e la città avrebbe corso pericolo di essere fatta schiava; una
sedizione interna avrebbe dato l’ avvio alla lotta con i nemici esterni; sarebbe stato
necessario bloccarla sul nascere e liberarne la città, allontanare i mali con sacrifici e
preghiere, e cosi i romani avrebbero vinto il nemico.
52
Notiamo innanzitutto che, nel passo di Livio, troviamo per la prima volta la
formula libri per duumviros sacrorum aditi. E’ dunque l’apposito collegio dei
147
duumviri a procedere alla lettura dei libri . I duumviri, in questo episodio,
anziché indicare un piaculum, danno una predizione ed un consiglio. Nei libri
infatti: pericola a conventu alienigenarum praedicta, ne qui in loca summa
urbis impetus caedesque inde fierent; inter cetera monitum ut seditionibus
abstineretur. E’ importante sottolineare il fatto che tali parole, costituenti
altresì uno dei pochi esempi di responsi direttamente attribuiti ai libri Sibillini,
pongano in primo piano, ancora una volta, come vero grande pericolo sempre
incombente, la discordia, la situazione di conflittualità interna alla città, la
seditio, (vedi l’ordine sibillino riportato da Livio ut seditionibus abstineretur),
che Dionigi rende in greco con stasis, termine dalle molte implicazioni, che
significa sia ‘fazione’ che ‘sedizione’, ‘discordia’ e che più in generale, indica
la conflittualità interna, che può eventualmente, ma non obbligatoriamente,
sfociare in guerra civile148.
Dunque, nel 461 a.C. vi era un pericolo di disordine interno. Già l’anno
precedente, il 462 a.C. si era effettivamente verificata una “sommossa civile”,
un tumultus, in seguito alla prima proposta della legge Tarentilla Harsa149.
L’ordine di evitare sedizioni risulta così essere rivolto specificatamente ai
plebei, i quali reagiscono non accettando il responso; di più, i tribuni ripudiano
esplicitamente tale responso dichiarandolo un espediente dei patrizi per
impedire l’approvazione della legge Tarentilla: ...Id factum ad impediendam
legem tribuni criminabantur ingensque aderta certamen. E’ evidente che
nell’ottica patrizia la proposta plebea di regolarizzare il potere consolare va
messa in rapporto di causa-effetto con il presentarsi dei prodigia e la rottura
della pax deorum. Secondo quest’ottica, sono i plebei, con il loro
comportamento, a mettere in pericolo l’esistenza della città, che appunto era
fondata sul consenso degli dèi assicurato dalla pace patrizia.
147
SANTI 2000.
148
La stasis, come ha messo in luce in uno studio N.Loraux è necessaria alla vita
democratica, in quanto ‘agente dinamico’ della dialettica politica; vedi LORAUX 2006. Il
concetto della stasis è oggetto di numerosi studi; oltre a quello appena citato, vedi anche,
BOTTERI 1989; INGRAVALLE 1989; BERTELLI 1996.
149
Liv. III. 9. 6-13.
53
Come ha notato D.Sabbatucci, in questo responso, in luogo di un piaculum,
cioè di un’ azione cultuale, viene proposto un comportamento, e
specificatamente un comportamento politico, quello di astenersi dalle
sedizioni150.
L’anno seguente si verificò puntualmente quanto predetto dall’oracolo, come
scrive esplicitamente Dionigi. Il pericolo preconizzato si concretizza
nell’impresa del sabino Appio Erdonio, il quale, a capo di una spedizione
formata da esuli e schiavi, - stranieri - arriva ad occupare il Campidoglio 151.
Dionigi inquadra l’invasione come provocato dalla discordia civile e ricorda
come fosse stata predetta dai Sibillini.
54
religioso, con l’apertura del decisionale, espresso attraverso la prassi
istituzionale, a discapito del divinatorio. Processo attuato proprio in virtù della
dialettica patrizi-plebei 153.
In questa ottica, l’episodio dovrebbe essere considerato emblematico di
questo processo, che possiamo immaginare travagliato, ed espresso, nella
“vulgata “attraverso episodi simili a questo.
A tale proposito possiamo evidenziare come nella quasi totalità delle
consultazioni sibilline registrate fino al 367 a.C., queste avvenissero in
occasione di prodigia e in concomitanza di momenti di crisi interna fra i due
ordini, crisi poi riassorbite in seguito alla procuratio effettuata.
Viene cioè proposto uno schema interpretativo per cui ad uno stato di crisi
interna e discordia civile equivale una rottura della pax deorum ed il
necessario ricorso ad uno strumento flessibile, capillare, soprattutto
multivalente come i libri Sibillini.
Se questo è ciò che si può leggere nel tessuto storico-annalistico, per l’
effettivo accadimento storico si può ipotizzare un tentativo patrizio di utilizzare
l’autorità di un mezzo divinatorio a scopi politici e un tentativo di mantenere
l’ordine civile attraverso il timore di una possibile rottura della pax deorum e
conseguente perdita della protezione divina da parte della città, con pericolo
per l’esistenza della stessa 154.
L’ atteggiamento plebeo ha anche un’altra valenza: viene a stabilire il rifiuto
del divinatorio come fonte autorevole in grado di dettare leggi o indirizzi
politici. 155
Accenniamo qui, per approfondire in seguito, come il processo che porterà al
rifiuto dell’elemento oracolare inteso come autorità in grado di dettare scelte
politiche sarà coronato nel 367 a.C. con la creazione dei decemviri sacris
faciundi, nuovo collegio composto per metà da plebei e per metà da patrizi,
evento che si inquadra come grande conquista paritaria
153
SABBATUCCI 1989, pp. 171-172.
154
cfr. Liv. III. 9. 1-5. Nel discorso di Q.Fabio, il tribuno C. Tarentillo Harsa è equiparato ad un
castigo degli dei.
155
La sconfitta e la conseguente cacciata di Appio Erdonio dal Campidoglio, avvengono
grazie all’intervento del console Publicola (!) che concede ai tribuni di discutere la legge
Tarentilla Harsa. In cambio i tribuni avrebbero dovuto astenersi dal ostacolare la plebe a
partecipare alla guerra contro gli occupanti; Dion. Hal. X. 15. 6-7.
55
Passiamo ora ad esaminare le restanti consultazione del V secolo, alla luce di
quanto detto.
- 436 a.C.
Pestilenze, terremoti, obsecratio e la vicenda di Spurio Melio.
La quinta consultazione si colloca nel 436 a.C. Sono ricordati molti prodigi per
quest’anno, per cui in ultimo si ricorre ai libri, che indicano di eseguire una
156
obsecratio . Anche in questo caso sullo sfondo abbiamo il contenzioso
civico dato dalla dualità patrizi-plebei. Leggiamo da Livio :
M.Cornelio Maluginese L. Papirio Crasso consulibus exercitus in agrum
Veientem ac Faliscum ducti. Praedae abactae hominum pecorumque; hostis
in agris nusquam inventus neque pugnandi copia facta; urbes tamen non
oppugnatae quia pestilentia populum invasit. Et seditiones domi quaesitae
sunt, nec motae tamen, ab Sp. Maelio tribuno plebis, qui favore nominis
motorum se aliquid ratus et Minucio diem dixerat et rogationem de
publicandis bonis Servlii Ahalae tulerat, falsis criminibus a Minucio
circumventum Maelium arguens, Servilio caedem civis indemnati obiciens;
quae vaniora ad populum ipso auctore fuere. Ceterum magis vis morbi
ingravescens curae erat terroresque ac prodigia, maxime quod crebris
motibus terrae ruere in agris nuntiabantur tecta. Obsecratio itaque a populo
duumviris praeeuntibus est facta. Liv. IV. 21. 1-6.157.
156
l’obsecratio era una particolare forma di supplicatio, o ‘preghiera’ pubblica, manifestazione
di venerazione collettiva indirizzata agli dei, a cui partecipava tutta la comunità. Il termine
obsecratio indica in particolare una supplicatio volta a stornare una calamità. Cfr. WISSOVA
1912, p. 58; DUMEZIL 1974, p. 560 ss. Le supplicationes sono piacula ricorrenti nelle
prescrizioni sibilline, come vedremo, soprattutto nel III secolo.
157
Sotto il consolato di M. Cornelio Maluginese e L. Papirio Crasso, gli eserciti furono
condotti nel territorio dei Veienti e dei Falisci. Si fece bottino di uomini e di bestiame; non si
trovò alcuna traccia del nemico, né si ebbe occasione di combattere; veramente le città non
furono assalite perché il popolo fu colpito da una pestilenza. All’interno si tentò anche di
suscitare delle sedizioni interne, ma senza alcun successo: il tribuno della plebe Spurio
Melio, il quale grazie alla popolarità del suo nome credeva di poter provocare qualche
sommossa, aveva citato in giudizio Minucio e presentato una proposta di legge sulla confisca
dei beni di Servilio Aala, sostenendo che Melio era stato vittima delle false accuse di Minucio,
e imputando a Servilio l’uccisione di un cittadino che non aveva ricevuto alcuna condanna;
ma queste accuse riscossero minor credito di chi le aveva formulate. Destavano invece
maggior preoccupazione l’epidemia, che andava aggravandosi, e alcuni terribili prodigi, e
soprattutto la notizia che nelle campagne le case crollavano per i frequenti terremoti. Fu
perciò fatta dal popolo, con a capo i duumviri, un' obsecratio.
56
corrispondenza ad una crisi sul piano extraumano si era verificata anche una
crisi di natura politica, cioè un conflitto fra le due classi sociali componenti il
tessuto civico. Anche in questo episodio si può rintracciare uno schema
analogo alla situazione del 461 a.C.?
Livio scrive per l’anno in questione che, nonostante i tentativi di sobillazione di
uno dei tribuni, tale Spurio Melio, nella città si mantenne una situazione di
tranquillità e di concordia tra le classi.
Vediamo di chiarire la questione.
Il tribuno che cerca inutilmente di fomentare tumulti, è omonimo di un altro
Spurio Melio, un cavaliere che tre anni prima era stato causa di gravi disordini
nella città; in occasione di una carestia, che affamava in particolare i più umili,
aveva fatto incetta di grano in Etruria e lo aveva elargito alla plebe. Era stato
pertanto accusato dal prefetto dell’annona, Minucio, di sobillare la plebe al
fine di restaurare l’ordine monarchico (de regno agitare); chiamato dal
dittatore a rispondere alle accuse, si era rifiutato di seguire il magister
equitum Servilio Aala, che perciò lo aveva ucciso sul posto 158.
Nel 439 a.C. vi era dunque stata una situazione di discordia interna; una crisi
che aveva avuto come causa prima la carestia che aveva esasperato gli
animi della plebe.
Le carestie potevano essere considerati alla stregua di prodigia, come
abbiamo visto nell’episodio del 496 a.C.
Anche i tumulta potevano essere dei prodigia; con la differenza che un
tumultus poteva anche essere la conseguenza di un prodigium non espiato.159
Il senato riconosce come monstrum, non naturale, l’aspirazione alla
monarchia di Spurio Melio: non pro scelere id magis quam pro monstro
160
habendum . L’avvento di Spurio Melio era stato reso possibile in quanto nel
158
Liv. IV. 13. 14. Problematica la storicità di Spurio Melio; vedi Münzer, RE, XIV. 1, 1928, s.v.
‘Maelius’ 2, coll. 239-244. Aspirare alla monarchia era un’accusa capitale e monstrum
ricorrente nella storiografia latina. La stessa uccisione di Cesare, accusato appunto di aspirare
alla monarchia, ad una attenta analisi delle fonti, appare descritta come una ‘uccisione rituale’;
vedi CHIRASSI COLOMBO 1993.
159
Come abbiamo visto in Dionigi per l’anno 461 a.C.
160
Liv. IV. 15; 6-7. In seguito all’uccisione di Sp.Melio la sua casa venne bruciata: nec satis
esse sanguine eius expiatum, nisi tecta parietesque intra quae tantum amentiae conceptum
esset dissiparentur bonaque contacta pretiis regni mercandi publicarentur… (Liv. IV. 15. 8). E’
57
444 a.C. la carestia e le sedizioni non erano stati considerati prodigia e
dunque ‘non espiati’; questo aveva permesso all’eventum di verificarsi. Cioè
la mancata espiazione del prodigium non compreso aveva permesso al
monstrum di verificarsi161.
Nel 436 a.C. la comparsa del tribuno Spurio Melio, che si presenta come un
“doppio” dell’ omonimo di tre anni prima, rischia di replicare la stessa
situazione; in realtà ciò non avviene, poiché i suoi tentativi non vengono
considerati dal punto di vista politico. In tale situazione di concordia, tuttavia
viene comunque organizzata l’obsecratio come remedium, quasi a
compensazione della mancata espiazione della carestia del 444 a.C.
In conclusione, benché nel 436 a.C. la connessione discordia-prodigia-
consultazione sibillina non appaia così evidente, anche questo episodio, alla
luce di un’analisi più approfondita sembra rientrare nello schema che
abbiamo proposto, per cui alla presenza di prodigia-consultazione dei libri
Sibillini corrisponde una crisi fra patrizi e plebei; puntualizzando, una crisi non
direttamente provocata dai plebei, ma da un singolo personaggio, il quale era
però appoggiato da parte plebea.
nella sua casa che Spurio Melio teneva le assemblee con gli esponenti sediziosi della plebe. Il
luogo, ai piedi del Campidoglio fu poi chiamato Equimelio ( Aequimelium da aequare,“spianare
al suolo” ) e, significativamente, era il mercato in cui si distribuiva il grano alla plebe, cfr.
OGILVIE 1965, commento al passo.
161
Notiamo anche che il tumultus poteva essere sia un prodigium da espiare sia un eventum-
monstrum conseguente la mancata espiazione del prodigium.
58
- 433 a.C.
Problemi di ‘salute’.
Per il sesto ed ultimo episodio riguardante i libri Sibillini nel quinto secolo,
disponiamo solo della testimonianza liviana. Nell’ anno 433 a.C., e’
un’epidemia a richiedere la consultazione
Pestilentia eo anno aliarum rerum otium praebuit. Aedis Apollini pro
valetudine populi vota est; multa duumviri ex libris placandae deum irae
avertendaeque a populo pestis causa fecere. Liv. IV. 25. 3 162
Non sono specificati i riti prescritti dai duumviri di cui è detto solo che furono
multa. Il verbo fecere indica che furono gli stessi duumviri a compiere tali atti
cultuali, come più volte sarà registrato nel III secolo. Nello stesso anno Livio
scrive che venne anche votato un tempio ad Apollo.
Non sappiamo se il tempio venne votato sulla base della consultazione
sibillina, il testo non lo specifica. Lo ipotizza Gagè in base al fatto che le
raccolte oracolari dei libri erano attribuite alla Sibilla, ritenuta ispirata da
Apollo. Infatti, secondo, l’ipotesi di J. Gagè è ai libri Sibillini che si deve
163
l’introduzione del dio in ambito romano . Tuttavia, se questa è l’ipotesi dello
studioso, la questione dell’origine del culto di Apollo a Roma, rimane un
problema aperto164.
A Roma, il dio era venerato soprattutto nelle sue qualita’ di guaritore e
vincitore, caratteristiche riassunte nel concetto latino di sospitalis, “salvatore”
dalle calamità della peste e della guerra. Il dio era chiamato a garantire non
solo la ‘salvezza’ dai mali della peste, ma anche la ‘salus’ della repubblica,
preservandola dai mali della discordia. 165
162
Quell’anno una pestilenza non permise che si pensasse ad altro. Si voto ad Apollo un
tempio per la salute del popolo. Molte cose fecero i duumviri, seguendo i lbri Sibillini, per
placare l’ira degli dei e per allontanare l’epidemia dal popolo.
163
GAGE’ 1955, pp. 19 – 24.
164
Cfr. SABBATUCCI 1988, p.238: “Apollo apparteneva da tempo a tutte le culture sottoposte
all’influenza greca: era un dio degli italici, degli Etruschi (Aplu), degli stessi Romani,
probabilmente sin dalla fondazione di Roma.”
165
Sospitalis è termine equivalente al greco ‘sōtēr’, ‘salvatore’. Le divinità legate alla
dimensione iatrica, medica sono quelle che più si prestano ad ‘espandersi’, come
dispensatrici di salvezza ‘ultraterrena’. Vedi SABBATUCCI 1988, loc. cit. Le divinità iatriche
sono state dunque oggetto di particolare attenzione e di controllo. Cfr. CHIRASSI COLOMBO
59
Proprio nell’anno in questione vi era a Roma una situazione di discordia
interna, in quanto i tribuni della plebe stavano conducendo una dura lotta per
ottenere l’elezione di ‘tribuni militari con potestà consolare’ di estrazione
166
plebea . Tale magistratura, secondo la narrazione storica, era stata creata
in seguito alle richieste plebee di accedere al consolato e doveva essere
aperta sia a questi ultimi che ai patrizi; essa dava gli stessi poteri del
consolato ma senza il diritto degli auspicia 167. Tuttavia dal momento della sua
creazione il tribunato con potestà consolare era rimasto di fatto in mano ai
patrizi168.
Ora, la situazione di discordia si prolungava già dall’ anno prima, quando il
dittatore Emilio Mamerco aveva proposto una legge allo scopo di limitare la
durata della carica censoria da cinque a un anno, proposta in seguito alla
quale (per vendetta!) i censori lo avevano iscritto tra gli erari - la classe che, in
base al censo, era tenuta a pagare più tasse - “populi certe tanta indignatio
coorta dicitur ut vis a censoribus nullius auctoritate praeterquam ipsius
Mamerci deterreri quiverit.” ( Liv. IV. 25. 9 ).
Ora, se la creazione della carica censoria nel 443 a.C., può essere vista,
nell’ambito della narrazione annalistica, come una “reazione” all’ istituzione
del tribunato militare con potestà consolare169, l’episodio risulta doppiamente
legato alla storia dell’affermarsi della carica e quindi alla storia dell’ affermarsi
della plebe.
Alla situazione di crisi sul piano extra-umano segnalato dal prodigium
corrisponde, dunque, una situazione di crisi “politica“, che si delinea come
crisi dei due ordini che costituiscono la res publica .
1975b.
166
Tribuni plebi adsiduis contentionibus prohibendo consularia comitia cum res prope ad
interregnum perducta esset, euicere tandem ut tribuni militum consulari potestate crearentur.
Victoria praemium quod petebatur ut plebeius crearetur nullum fuit: omnes patrici creati sunt
[…]. Liv. IV. 25. 1-2.
167
Liv. IV. 7. Nella realtà storica, l’istituzione dei tribuni militum consulari potestate, non fu
probabilmente una conseguenza della lotta fra gli ordini; la carica, fraintesa nei suoi fini dalle
fonti, doveva più verosimilmente essere stata creata per poter coadiuvare i consoli nei loro
compiti, che potevano così essere delegati a tribuni. CASSOLA 1988, p.453-454.
168
Il primo tribuno militare con potesta consolare plebeo secondo Livio venne eletto nel 400
a.C. Vedi Liv. V.13.
169
Vedi l’analisi in SABBATUCCI 1975, p.29-41.
60
In seguito, l’anno dopo, l’epidemia si placa; seguono inoltre anni in cui
l’elezione di tribuni consolari avviene con maggior frequenza di quanto non
fosse avvenuto nei dieci anni precedenti.
In questo caso, dunque, la corretta espiazione del prodigium segnala il
superamento ‘pilotato’ della crisi civile -religiosa.
61
CONSULTAZIONI E SOLUZIONI SIBILLINE NEL IV SECOLO A. C.
399 a.C.
Una pestilenza, il primo lectisternium, ed il primo tribuno militare plebeo
con potesta consolare.
Nel 399 a.C. secondo Dionigi e Livio, i duumviri libri Sybillini aditi sunt, il
collegio duumvirale venne incaricato di ‘andare a consultare’ i libri Sibillini.
Secondo quanto indicato da quest’ultimi, si tenne a Roma un lectisternium,
con l’intento di stornare una pestilenza. Come vedremo, anche in questo
episodio, l’intervento mirato dei Sibillini si colloca in un momento importante
della costruzione istiuzionale della repubblica.
62
eos dies vincula; religioni deinde fuisse quibus eam opem di tulissent vinciri.
Liv. V. 13. 4-8. 172
172
A quel triste inverno seguì, o per l’incostanza del clima, che portò un brusco mutamento di
stagione, o per qualche altro motivo, un’estate funestata da una pestilenza che colpì tutti gli
animali; e poiché non se ne trovava la causa nè si riusciva a por fine a quell’ irrimediabile
flagello, si consultarono per decreto del senato i libri Sibillini. I duumviri sacris faciundis, fatto
allora per la prima volta nella città di Roma un lectisternium, per otto giorni cercarono di
placare Apollo e Latona, Diana e Ercole, Mercurio e Nettuno, stesi su tre letti addobbati con
la massima suntuosità che quei tempi consentivano. Tale sacrificio fu celebrato anche
privatamente. Aperte in tutta la città le porte delle case e posta ogni cosa all’ aperto, a
disposizione di chiunque volesse servirsene, si ospitarono i forestieri, a quanto si racconta,
senza alcuna distinzione, noti ed ignoti, e si conversò in modo affabile e bonario anche coi
nemici; ci si astenne dalle dispute e dai litigi; si tolsero anche, in quei giorni, le catene ai
carcerati, e ci si fece poi scrupolo di incatenare nuovamente coloro ai quali gli dei erano così
venuti in aiuto.
173
I Romani celebrarono quelle feste dette nella loro lingua “letti”, per ordine degli oracoli
Sibillini. A costringerli a ricorrere agli oracoli fu una pestilenza di origine divina , incurabile con
mezzi umani. Adornarono tre letti secondo l’ordine degli oracoli, uno per Apollo e Latona, un
altro per Eracle ed Artemide, un altro ancora per Hermes e Poseidone, e per sette giorni
continuarono a celebrare sacrifici pubblici e a far private offerte di primizie agli dei, secondo le
capacità di ciascuno, e ad allestire suntuosissimi banchetti e ad ospitare stranieri là residenti.
Pisone il Censore aggiunge nei suoi annali seguenti particolari: sebbene fossero stati liberati
gli schiavi prima messi in catene dai padroni e la città rigurgitasse di stranieri, e le case
fossero aperte giorno e notte e vi potessero entrare senza impedimento chi lo volesse,
nessuno ebbe a lamentare furti o violenze a persone, contro la tradizionale serie di disordini e
crimini conseguenti alle feste, a motivo dell’ubriachezza che vi domina.
63
Il lectistenium appare come una tipica prescrizione sibillina174; per il IV secolo
a.C. Livio ne attesta almeno quattro, celebrati esclusivamente in occasione di
epidemie.175Lo storico sottolinea come il 339 a.C. sia stata la prima occasione
in cui venne celebrato a Roma questo tipo di rituale.
Il lectisternium ha un parallelo preciso con la ‘theoxenia’ (da theós, dio e
xénia, ‘accoglienze ospitali’) del rito greco. Il rimando va alla tipologia della
feste celebrate a Delfi nelle quali si richiedeva la presenza delle divinità in
qualità di ospiti 176.
Per tornare all’analisi del rito del 399, al di là del problema posto dalla scelta
delle divinità inserite nel lectisternium in questione, soprattutto importanti
appaiono nei passi di Dionigi e Livio le descrizione delle azioni che
accompagnano il rito: Livio scrive che in questa occasione, furono lasciate
aperte le porte della città e anche quelle delle case private, che ogni cosa
venne messa a disposizione di tutti (abolizione della proprietà privata), anche
dei forestieri, e che vennero tolte le catena ai prigionieri; soprattutto, Livio
scrive ‘iurgiis ac litibus temperatum’.
Ora tutto ciò potrebbe essere spiegato in riferimento agli accadimenti politici
174
GAGE’ 1955, p.168 ss.
175
Per il 365 a.C. Livio menziona il terzo lettisternio [VII. 2. 1-4]; nel 347 a.C. il quarto [VII.
27.1-2]; Per il 326 a.C. è riportato il quinto lettisternio, ma non è specificato il prodigio [VIII.
25.]; Vedi NOUILHAN 1989.
176
La descrizione di una teossenia in Diod. VIII. 32. 2.; vedi BRUIT 1989. Per l’identificazione
del lectisternium con la theoxenia, cfr. OGILVIE 1965, p. 655. Secondo alcune ipotesi il
rituale sarebbe giunto a Roma dalla Grecia attraverso la mediazione etrusca, tenendo conto
di come gli Etruschi coltivassero in quel periodo stretti rapporti con santuario delfico, cfr.
GAGE’ 1955, loc. cit.; DUMEZIL 1974, loc. cit.; OGILVIE 1965, p.656. Il rito sarebbe stato
portato da Cere. Tuttavia Il fatto che per l’anno 398 a.C. sia attestata la prima ambasciata
Romana presso il santuario delfico (Liv. XV. 3) ha fatto pensare altresì ad una diretta
importazione del rito; vedi la discussione sull’origine dei lectisternia , riassunta in OGILVIE
1965, p.655-656. L’antecedente “romano “del rito e’ stato identificato nell’antico culto di
Juppiter Dapalis o Epulo nel quale venivano fatte al dio offerte di cibo - daps - accompagnate
da preghiere per un buon raccolto; cfr. DUMEZIL 1974, p.193-194; OGILVIE 1965, loc.cit. Su
Iuppiter Epulo, Cat. De re rust. 132; Cic. De Orat. III.73.
177
Cfr. SABBATUCCI 1988, p. 249.
64
degli anni immediatamente precedenti. L’anno prima del lectisternium, il 400
a.C., secondo Livio, in seguito ad una violenta lotta dei tribuni della plebe, per
la prima volta, era stato creato un tribuno militare con potestà consolare
plebeo, Licinio Calvo, eletto insieme ad altri quattro colleghi, tutti patrizi; nel
399 a.C., grazie a questo precedente, era stato possibile eleggere a tale
carica quattro plebei con un solo patrizio. Ora, secondo i patrizi, doveva
essere stato proprio questo fatto anomalo di squilibrio ad aver provocato la
pestilenza. Livio, infatti, nel descrivere i comizi per l’anno 400 a.C., così
riporta:.
Di nuovo troviamo traccia, nel racconto storico, della volontà patrizia di dare
significato politico al presentarsi di prodigia. In questo caso il tentativo
sembra dare i suoi frutti, in quanto, per l’anno 398 a.C., vengono eletti,
nuovamente dei tribuni militari patrizi.
Per quanto riguarda le divinità invocate, possiamo supporre che fossero state
178
Già erano vicini i comizi per l’elezione dei tribuni militari, dei quali i patrizi si
preoccupavano quasi più che della guerra [contro Veio], poiché vedevano che il supremo
potere non solo era condiviso con la plebe, ma quasi perduto. Perciò, pur avendo
predisposto di comune accordo per la candidatura i personaggi più illustri, tali da dar loro la
certezza che si sarebbe avuto ritegno a respingerla, nondimeno essi, come se fossero tutti
candidati, ricorrendo ad ogni mezzo, scomodavano non soltanto gli uomini, ma anche gli dei,
dando un significato religioso ai comizi tenuti negli ultimi due anni: l’anno precedente,
dicevano era sopraggiunto all’improvviso un inverno intollerabile, che aveva tutto l’aspetto di
un presagio divino; in quello successivo, non si erano più avuti presagi, ma fatti: sulle
campagne e sulle città aveva infierito la peste, dovuta senza dubbio all’ira degli dei […]; nei
comizi poi che si dovevano tenere dopo aver preso gli auspici, era apparso indegno agli dei
che si rendessero accessibili a tutti le cariche e che si abolisse ogni differenza sociale. E
così, ì cittadini, presi anche dal timore religioso, oltre che dal prestigio dei candidati, elessero
tribuni militari con potestà consolare tutti patrizi, in gran parte già onorati da questa carica
[…].
65
179
prescelte per le loro qualità salutari e salvatrici ; cioè per il fatto di
presentarsi come divinità 'grandi', potenti, in grado di amministrare totalmente
lo statuto di salus, la salvezza ‘relativa’ della quale sono garanti le entità
sovraumane del politeismo. 180
Abbiamo già visto le valenze di Apollo in questo senso. Per quanto riguarda
Latona, essa era associata frequentemente al figlio nelle pratiche cultuali nel
mondo greco.
L’eroe greco Herakles era da tempo diffuso tra le popolazioni italiche da cui
era accolto come un dio 181.
La sfera d’influenza del Hercules italico comprendeva tutte le attività pastorali,
fra cui allevamento e transumanza, nonché le attività commerciali, soprattutto
quelle in collegamento col mercato del bestiame, e, in generale, tutta la sfera
che coinvolge un tipo di economia diversa da quella agricola, legata ad un
tipo mobile di ricchezza.
Se l’epidemia che aveva colpito Roma coinvolgeva anche gli animali si può
ben comprendere la scelta di onorare un dio a cui raccomandare la salute di
questi ultimi e, insieme, la salvezza delle attività economiche. Inoltre e’ da
notare che Hercules, in virtù del suo legame con i luoghi collegati alla
transumanza e ai mercati, luoghi spesso scelti in virtù della presenza di acque
sorgive e minerali era anche venerato come dio salutare182.
179
OGILVIE 1965, p. 656.
180
Sul tema della soterÍa vedi BIANCHI-VERMASEREN 1979.
181
DUMEZIL 1974, p. 433 ss.; SABBATUCCI 1988, pp.260-261. Puntualizziamo che
l’Herakles greco non è un dio ma rientra nella particolare categoria degli ‘eroi’. In una acuta
analisi, A. Brelich ha definito gli eroi come personaggi presenti nel mito, caratterizzati dal
costante coinvolgimento con la morte, e perciò ben distinti dagli dèi, caratterizzati invece dall’
immortalità. BRELICH 1958, pp. 14 ss. E’ bene sottolineare che, tuttavia, sul piano cultuale,
la differenza fra eroi e dèi non è sempre così netta, in quanto la figura eroica può sfociare in
una dimensione divina. Soprattutto questo è il caso di Ercole, l’Héros-theós per eccellenza.
Cfr. CHIRASSI COLOMBO 1994b, pp. 46-47. Ercole comunque è figura extraumana diffusa
in tutto il Mediterraneo antico; vedi JOURDAIN-ANNEQUIN 1992. Nella fattispecie, a Roma,
dove non era adottata la categoria eroica, Hercules era onorato come divinità. Sul culto di
Ercole a Roma rimane fondamentale BAYET 1926; Vedi anche l’interpretazione del culto di
Ercole all’ Ara Maxima in SABBATUCCI 1975, pp. 165 – 203; cfr. SABBATUCCI 1992.
182
Cfr. CHIRASSI-COLOMBO 1975b, p.162. Su Ercole legato alla sfera del commercio, Cfr.
DUMEZIL 1974, loc. cit. I santuari di Ercole erano concentrati nel Foro Boario, centro
66
L’associazione di Diana ad Hercules, ha posto alcuni problemi183. Il significato
dell’accoppiata è stata spiegata tramite l’identificazione della dea con
Artemide che così formerebbe la triade classica Apollo-Artemide-Latona184.
Questa interpretazione tuttavia non coincide con ciò che ci è stato trasmesso
dalle fonti, che propongono le divinità presenti nella celebrazione del
lectisternium ripartite a coppie e non a triadi. Sabbatucci propone una
spiegazione articolata; Diana, antica divinità italica, era celebrata a Roma alle
Idi del mese di agosto. Nello stesso giorno Hercules veniva festeggiato nel
suo tempio presso porta Trigemina ed il giorno prima, la vigilia delle Idi, con
un sacrificio al tempio a lui dedicato presso il Circo Massimo, l’ Ara Massima.
Le due giornate costituivano un unico complesso cultuale in cui venivano
venerate entrambe le divinità; dunque, in un contesto cultuale romano,
l’associazione di queste due divinità non dovrebbe essere considerata
anomala 185.
Anche la coppia di Mercurio-Nettuno può essere stata inserita per inerenza
con la sfera del commercio186; in particolare, vista l’associazione di Nettuno a
Mercurio, per auspicare la protezione degli scambi marittimi o fluviali; questo
è quanto si può dedurre viste le scarsità di notizie tramandataci sull’antico dio
italico Nettuno. Mercurio, identificato col greco Hermes, aveva un tempio nel
circo Massimo, vicino a quello di Ercole, fondato secondo la tradizione nel
496 a.C. A lui era anche dedicata una fonte presso la porta Capena, dove si
recavano i mercanti per attingere l’acqua con rami di alloro, con cui si
187
bagnavano la testa e le proprie merci . Di Nettuno si sa poco; che fosse un
dio collegato con l’elemento acquatico è dedotto dal fatto che fosse
identificato con Poseidone188.
commerciale di Roma fin dalle origini, e luogo di crocevia per diversi influssi culturali,
possibile luogo atto a favorire assimilazione con divinità straniere.
183
Cfr. OGILVIE, 1965, loc.cit.
184
PARKE 1992, p.233.
185
SABBATUCCI 1988, p.264-265.
186
Su Mercurio, vedi DUMEZIL 1974, pp. 439-440.
187
Ov. Fast. V. vv. 663-690.
188
Su Nettuno, DUMEZIL 1974, pp. 393-394.
67
- 390 a.C.
189
[Marco Furio Camillo] rispettosissimo com’era della cerimonie religiose, fece discutere tutte
le proposte che riguardano gli dei immortali, e il Senato decretò che tutti i templi, in quanto li
aveva occupati il nemico, fossero restaurati, delimitati e purificati, e che il rito della
purificazione fosse ricercato dai duumviri nei libri; […].
190
L’ importanza di Furio Camillo fa capo a tutta una vulgata, risalente almeno all’età
augustea, atta a presentare Furio come secondo fondatore di Roma. Vedi CAVALLARO
1984 ; MOMIGLIANO 1942; cfr. SABBATUCCI, 1988, p. 249, sulla valenza di Camillo come
‘garante’ della concordia in Roma.
191
Cfr. Liv. V. 50. 7.
192
Vedi CORNELL 1995, pp. 313-318.
68
stregua di un evento prodigioso, per cui ricorrere alla consultazione dei libri
segreti.
Possiamo anche paragonare l’incendio gallico del 390 con il ‘colpo di mano’ di
Appio Erdonio, nel famoso episodio del 461 a.C.193 Entrambi gli episodi, nel
racconto storico, sono visti non come ‘accidentali’, ma investiti di un preciso
significato religioso, nel senso che erano stati annunciati da determinati signa.
193
Vedi supra, p. 51.
69
- 364 a.C.
I libri Sibillini e la clavifixio.
La terza consultazione del quarto secolo a.C. si colloca nel 364 a.C ed è
particolarmente importante, in quanto è la prima registrata dopo il 367 a.C.,
anno dell’ istituzione dei decemviri sacris faciundis, la nuova magistratura
ampliata che sostituiva il collegio dei duumviri, nonché dell’approvazione delle
leggi Liciniae-Sextiae, che con l’apertura ai plebei del consolato, segnano la
parificazione civile dei due ordini194.Il collegio preposto alla lettura dei Sibillini
non è solo aumentato nel numero dei componenti, ma risulta ora composto,
per metà da patrizi e per metà da plebei. La parte plebea del corpo civico
aveva così sottratto ai patrizi il monopolio delle letture dei libri Sibillini ed un
possibile strumento di manipolazione politica. Significativamente si tratta della
prima carica religiosa di cui i plebei ottennero l’accesso .Livio ci informa che
nel 364 a.C venne celebrato a Roma il terzo lectisternium dalla fondazione
dell’Urbs, per stornare una pestilenza che gravava da due anni sulla città.
Tuttavia a nulla servì il rituale, perché Livio scrive che l’ epidemia non
accennò a diminuire. Vennero dunque introdotti a Roma dall’Etruria, i ludi
195
scaenici , per ordine dei pontefici, come ci informano Agostino e Orosio196.
Leggiamo da Livio:
70
Livio nel passo non specifica se il lettisternio venne approntato per un ordine
sibillino, ma possiamo supporre che lo storico ritenesse implicita tale notizia,
essendo i lettisterni di regola ordinati dai libri. Interessante appare il
confronto, che sembra delinearsi fra potere pontificale e potere decemvirale,
con ingerenza del primo, strettamente in mano patrizia, sul secondo, appena
modificato con l’aperture ai plebei.
Vediamo di analizzare anche questo episodio in rapporto al conflitto patrizio-
plebeo.
Come scrive Livio, la pestilenza affliggeva Roma già dall’anno prima. Era
infatti iniziata nel 365 a.C., anno caratterizzato da una situazione di concordia
sia interna che esterna.
[…] L.Genucio et Q.Servilio consulibus et ab seditione et a bello quietis rebus,
ne quando a metu ac periculis vacarent, pestilentia ingens orta. Liv. VII.1.7. 198
Ora, il 365 a.C. era stato il secondo anno che vedeva in carica un console
plebeo, accanto ad un collega patrizio199. Ma la pestilenza, se si propone
come segno di turbamento fra uomini e dei, non guasta, tuttavia, in questo
caso, la situazione di concordia politica.
Qui assistiamo però, per la prima volta, al fallimento della soluzione cultuale
proposta dai Sibillini; la pestilenza non si placa con il lettisternio, (ma neppure
con la soluzione proposta dai pontefici, l’introduzione dei ludi scaenici) anzi
l’anno dopo, nonostante l’introduzione dei ludi scenici, si verificano nuovi
prodigi.200
Il fallimento della procuratio sibillina del 364 a.C., può essere messo in
relazione con la creazione dei decemviri sacris faciundis. Infatti l’anno dopo,
nel 363 a.C., con l’aggravarsi dell’epidemia, non vengono consultati i libri
Sibillini. Per stornare i prodigia si ricorre invece alla autorevolezza della
tradizione, alla memoria dei seniores, i quali propongono, in base ad una ‘lex
vetusta …priscis litteris verbisque scripta’, il ripristino dell’affissione del clavis
annalis. Livio scrive che:
novità di non grande importanza, come quasi tutte le cose all’inizio, e per giunta straniera
198
Sotto il consolato di Lucio Genucio e Quinto Servilio, quando né sedizioni né guerre
turbavano la pace, perché non si fosse mai liberi dalla paura e dai pericoli, scoppiò una
violenta pestilenza.
199
Il primo nel 366 a.C., Lucio Sestio; Liv. VII. 1.1.
200
Liv. VII. 3.
71
Itaque Genucio L. Aemilio Mamerco iterum consulibus, cum piaculorum
magis conquisitio animos quam corpora morbi adficerent, repetitum ex
seniorum memoria dicitur pestilentiam quondam clavo ab dictatore fixo
sedatam. Ea religione adductus senatus dictatorem clavi figendi causa dici
iussit; dictus L. Manlius Imperiosus […].
Lex vetusta est, priscis litteris verbisque scripta, ut qui praetor maximus sit
idibus Septembribus clavum pangat; fixa fuit dextro lateri aedis Iovis optimi
maximi, ex qua parte Minervae templum est. Eum clavum, quia rarae per ea
tempora litterae erant, notam numeri annorum fuisse ferunt eoque Minervae
templo dicatam legem quia numerus Minervae inventum sit. Volsiniis quoque
clavos indices numeri annorum fixos in templo Nortiae, Etruscae deae,
comparere diligens talium monumentorum auctor Cincius adfirmat.
M.Horatius consul ex lege templum Iovis optimi maximi dedicavit anno post
reges exactos; a consulibus postea ad dictatores, quia maius imperium erat,
sollemne clavi figendi translatum est. Intermissio deinde more digna etiam per
se visa res propter quam dictatur crearetur. Liv. VII. 3. 3-8.201
202
SORDI 1985, p. 147 ss.; cfr. MONTANARI, 1990, p. 84-85.
203
Cic. Part. Or. II. 6. Cfr. Isid. Or. VIII. 3. 6.: ‘Superstitio dicta eo quod sit superflua aut
superinstituta observatio’. Sul concetto di superstitio, vedi CALDERONE 1972; BELARDI
72
dietro ad un atto cultuale che ha come soluzione la nomina di un dittatore.204
Alla dittatura i Romani facevano ricorso in situazioni di emergenza, per
sedare una rivolta o per affrontare pericoli esterni e governare lo Stato in
situazioni di difficoltà; era una carica straordinaria con cui la civitas rinunciava
temporaneamente alle normali cariche repubblicane e dunque alla sua
peculiarità, per far fronte ad una situazione di caos. Come ha scritto J.Maurin,
l’istituzione della dittatura comportava, con la temporanea soppressione delle
cariche repubblicane, una sorta di necessario esorcismo della città su se
stessa.205
La dittatura era una carica saldamente in mani patrizie, per cui ci troviamo
davanti ad un nuovo uso politico dei prodigi da parte dei patrizi. La
clavifissione di quest’anno, dunque, va a mettersi in concomitanza con il
malcontento patrizio in seguito alle leggi Liciniae-Sextiae, che avevano reso
possibile l’accesso al consolato ai plebei.
Come nota E.Montanari ‘spesso la circostanza oggetto di espiazione non è
legata soltanto ad una pestilenza, ma anche ad una grava perturbazione
dell’ordine sociale…Livio, (VIII. 18; 1) quando cita il secondo episodio di
clavifissione piacolare osserva che si “trovava memoria negli
annali” (memoria ex annalibus repetita) che un dictator avesse infisso col
chiodo in occasione di seccessionis plebis e che le mentes homimum,
alienatae dalla discordia, sarebbero tornate compotes sui grazie ad un tale
piaculum’.206
Siamo dunque arrivati al punto in cui i plebei rompono il monopolio patrizio
della lettura della raccolta divinatoria, ma questa conquista non si traduce
ancora in un’effettiva operatività del collegio misto; la clavifixio, cerimonia
vetusta, interrompe infatti il ricorso ai Sibillini.
73
- 362 a.C.
Il martirio per l’eterna salvezza della patria.
Per il 362 a.C. abbiamo una consultazione dei Sibillini testimoniata da Dionigi.
Il prodigium è costituito da una voragine che si apre nel foro per parecchi
giorni. La consultazione dei Sibillini rivela un oracolo secondo cui la terra si
sarebbe richiusa e avrebbe dato grande abbondanza di ogni tipo di beni, per il
tempo a venire, eis ton loipon chronon, se la terra stessa avesse rivevuto i
‘doni più consoni al popolo romano’. Riportiamo il testo di Dionigi:
Ἐν ῾Ρώμῃ πολλὰ μὲν καὶ ἄλλα σημεῖα θεόπεμπτα γέγονε, μέγιστον
δ᾽ἁπάντων τόδε˙ τῆς ἀγορᾶς κατὰ τὸ μέσον μάλιστα διαρραγῆναί τι τῆς γῆς
εἰς βάθος ἄβυσσον καὶ τοῦτ᾽ ἐπὶ πολλὰς ἡμέρας διαμένειν. ψεφισαμένης δὲ
τῆς βουλῆς οἱ ἐπὶ τῶν Σιβυλλείων χρησμῶν ἐπισκεψάμενοι τὰ βιβλία εἶπον
ὅτι τὰ πλείστου ἄξια τῷ. ῾Ρωμαίων δήμῳ λαβοῦσα ἡ γῆ συνελεύσεταί τε καὶ
πολλὴν ἀφθονίαν εἰς τὸν λοιπὸν χρόνον ἁπάντων ἀγαθῶν ἀνήσει. τοιαῦτα
τῶν ἀνδρῶν ἀποφηναμένων ἀπαρχὰς ἕκαστος εἰς τὸ χάσμα ἔφερεν ὧν ᾤετο
δεῖν ἀγαθῶν τῇ πατρίδι, ἀπό τε καρπῶν πελάνους καὶ ἀπὸ χρημάτν
ἀπαρχάς. Μάρκος δέ τις Κούρτιος ἐν τοῖς πρώτοις τῶν νέων ἀριθμούμενος
σωφροσύνης ἕνεκα καὶ τῆς κατὰ πολέμους ἀρετῆς ἔφοδον αἰτησάμενος ἐπὶ
τὴν βουλὴν εἶπεν ὅτι τῶν πάντωνἐστὶν ἀγαθῶν χρῆμα κάλλιστον καὶ πόλει
¼ Ρωμαίων ἀναγκαιότατον ἀνδρῶν ἀρετή˙ εἰ δὴ καὶ ταύτης ἀπαρχήν τινα ᾑ
γῆ λάβοι καὶ γένοιτο ἑκὼν ὁ τοῦτο χαριούμνος τῇ πατρίδι, πολλοὺς ἀνήσει ἡ
γῆ ἄνδρας ἀγαθούς. ταῦτ᾽ εἰπὼν καὶ μηδενὶ παραχωρήσειν ἑτέρῳ τῆς
φιλοτιμίας ταύτης ὑποσχόμενος τά τε ὅπλα περιέθετο καὶ ἐπὶ τὸν
πολεμιστὴν ἵππον ἀνέβη˙ συναχθέντος δ᾽ ἐπὶ τὴν θέαν τοῦ κατὰ τὴν πόλιν
ὄχλου πρῶτον μὲν ηὔξατο τοῖς θεοῖς ἐπιτελῆ ποιῆσαι τὰ μαντεύματα καὶ
πολλοὺς ἄνδρας ὁμοίους αὐτῷ δοῦναι τῇ πόλει τῇ ῾Ρωμαίων γενέσθαι˙
ἔπειτ᾽ ἐφεὶς τῷ ἵππῳ τὰς ἡνίας καὶ τὰ κέντρα προσβαλὼν ἔρριψε κατὰ τοῦ
χάσματος ἑαυτόν. ἐπὶ δὲ αὐτῷ πολλὰ δὲ χρήματα, πολὺς δὲ κόσμος ἐσθῆτος
πολλαὶ δὲ ἀπαρχαὶ συμπασῶν τεχνῶν δημοσίᾳ κατὰ τοῦ χάσματος
ἐρρίφεσαν˙ καὶ αὐτίκα ἡ γῆ συνῆλθεν. Dion. Hal. XIV. 11. 1-5.207
207
Accade a Roma tra molti altri prodigi divini anche questo, che fu il maggiore: nel mezzo del
foro si aprì una voragine di profondità insondabile, che permase per parecchi giorni. Per
decreto del senato gli adetti ai libri Sibillini li consultarono e riferirono che la terra si sarebbe
richiusa e avrebbe da allora in poi dato grande abbondanza di frutti di ogni genere, se prima
avesse ricevuto i doni più degni del popolo romano. Dopo questo annuncio, ciascuno portava
alla voragine le primizie che riteneva abbisognassero alla patria, non solo di frutti ma anche
di denaro. Ma M.Curzio, annoverato tra i primi giovani della città a motivo della sua saggezza
e valore militare, chiese di essere ammesso in senato e qui disse che il bene più bello e
necessario per Roma era il valore dei suoi uomini. Se la terra avesse ricevuto una primizia
anche di questo e colui che fosse così sacrificato per la patria fosse un volontario, la terra
avrebbe prodotto molti uomini valorosi. Ciò detto, e comunicato che non avrebbe ceduto
questo privilegio a nessun altro, indosso le armi e montò sul cavallo da combattimento. Alla
74
Leggiamo che Marco Curzio, fra i giovani della città il più distinto per valore
militare e saggezza, offre quella che a suo parere è l’aparchè, la primizia di
Roma, il valore dei suoi uomini. Come volontario, offre così la sua vita,
affinché la terra produca in abbondanza altrettanti giovani valorosi. Salito a
cavallo, si getta nella voragine e sopra di lui vengono lanciate offerte di ogni
tipo; la terra si richiude.
L’episodio è riportato anche da Livio, il quale omette però il ricorso ai Sibillini,
ma sottolinea, invece, il valore fondante del ‘martirio’ di Marco Curzio come
sigillo dell'eternità di Roma.
Eodem anno [Q.Servilio Ahala L.Genucio consulibus], sev motu terrae sev
qua vi alia, forum medium ferme specu vasto conlapsum in immensam
alitudinem dicitur; neque eam voraginem coniectu terrae, cum pro se quisque
gereret, expleri potuisse, priusquam deum monitu quaeri coeptum quo
pluimum populus Romanus posset; id enim illi loco dicandum vates canebant,
si rem publicam Romanam perpetuam esse vellent. Tum M.Curtium, iuvenem
bello egregium, castigasse ferunt dubitantes an ullum magis Romanum
bonum quam arma virtusque esset; silentio facto templa deorum immortalium,
quae foro imminent, Capitoliumque intuentem et manus nunc in caelum, nunc
in patentes terrae hiatus ad deos manes porrigentem, se devovisse; equo
deinde quam poterat maxime exornato insidentem, armatum se in specum
immisisse; donaque ac fruges super eum a moltitudine virorum ac mulierum
congestas lacumque Curtium non ab antiquo illo T.Tati milite Curio Mettio sed
ab hoc appellatum. Liv. VII. 6. 1-6.208.
presenza del popolo accorso allo spettacolo, scongiurò prima di tutto gli dei di mantenere
quanto era stato promesso dagli oracoli e di concedere a Roma molti altri uomini simili a lui.
Poi allento le redini al cavallo, gli diede di sprone e si precipitò nella voragine. Dopo di lui
furono gettati nell’abisso molte vittime e frutti della terra e denaro e vesti e primizie di ogni
arte, a spese pubbliche. E subito la terra si richiuse.
208
In quello stesso anno [in cui furono consoli Quinto Servilio Aala e Lucio Genucio], in
seguito ad un terremoto o a qualche altro cataclisma, si dice che s’aprì nel Foro, quasi nella
parte centrale un vasto e profondissimo baratro e che non si riuscì a riempire quella voragine
per quanta terra vi si gettasse, portandone ognuno in proporzione alle proprie forze, prima
che si fosse cominciato per avvertimento degli dei a cercare quale fosse il principale della
potenza del popolo romano: predicevano infatti gli indovini (vates) ch’esso doveva essere
consacrato a quel luogo se si voleva che la Repubblica romana durasse in eterno (perpetuam
esse vellent) Allora, a quanto raccontano; Marco Curzio, giovane prode in guerra, rimproverò
coloro i quali si chiedevano se potesse esservi per i Romani qualche bene più grande delle
armi e del valore, e, imposto silenzio, volgendo lo sguardo ai templi degli dei immortali, che
dominano il Foro, e al Campidoglio, e tendendo le mani ora al cielo, ora alla spaccatura che
si apriva nella terra, si votò agli dei Mani; montando quindi in armi un cavallo il più possibile
bardato, si lancio nel baratro; doni votivi e biade furono versate sopra di lui dalla folla degli
uomini e delle donne , e il lago Curzio avrebbe preso il nome non da quell’antico Curzio
Mezzio, soldato di Tito Tazio, ma da questo.
Varrone invece ascrive il responso agli aruspici: In foro Lacum Curtium a Curio dictum
constat, et de eo triceps istoria; nam et Procilius non idem prodidit quod Piso, nec quod is
Cornelius secutus. A Procilio relatum in eo loco defisse terram et id ex S.C. ad haruspices
relatum esse; responsum deum Manlium postilione postulare, id est civem fortissimum eo
75
Nel passo di Livio, il sacrificio risponde alle profezie cantate dai vati che
indicano il modo per garantire l’eternità dell’Urbs: Si rem publicam romanam
perpetuam esse vellent. Il tema della aeternitas della durata nel tempo di
Roma, che emerge nella sua importanza, come vedremo, soprattutto a partire
dal I a.C., si profilerebbe così già nella metà del quarto secolo a. C. Risulta
anche interessante il richiamo alla produzione diretta di uomini dalla terra/
patria 209.
È significativo che il sacrificio di Marco Curzio nell’interpretazione di Livio
sposti decisamente l’attenzione dalla produzione di uomini valorosi alla durata
nel tempo, anzi alla perpetuitas di Roma.
La soluzione proposta è “straordinaria”. Si può far rientrare come motivo
fondante nella casistica speciale della devotio, particolare atto rituale tramite
cui il capo militare poteva offrire se stesso ed i nemici agli dei inferi in cambio
210
della vittoria ; la devotio formalizza, per così dire, e autorizza
comportamenti di oblazione, che richiamano per certi versi al modello del
“martirio”. Come la devotio, anche l’atto di Mettio Curzio può essere
211
considerato come rivolto agli dei inferi . Altresì può essere paragonato
all’episodio del 504 a.C. e agli stessi rituali dei ludi Saeculares, che
prevedevano sacrifici sotterranei.
demitti. Tum quondam Curtium virum fortem armatum ascendesse in equum et a Concordia
versum cum equo eo precipitatum; eo facto locum cosse atque eius corpus divinitus humass
ac reliquisse genti suae monumentum. Varr. L.L. V. 148.
209
Il riferimento va al mito dell’autoctonia ateniese che domina il simbolico politico della polis
nel V seolo a.C. Vedi in proposito LORAUX 1984.
210
Famose le devotiones dei Decii; Publio Decio Mure è il nome di tre comandanti romani che
offrirono la loro vita in voto per la salvezza di Roma. Il primo, fu console nel 340 a.C.,
sconfisse i Latini alle falde del Vesuvio (Liv. VIII. 9. 2). Il secondo, figlio del precedente, fu
console più volte, nonché fra i primi plebei cooptati alla dignità di pontifex. Morì nel 295 a. C.,
sbaragliando la coalizione di Galli, Sanniti ed Etruschi, nella celebre battaglia di Sentinum
(Liv. X. 28). Il terzo, nonostante la devotio, venne sconfitto da Pirro, presso Ausculum, nella
guerra conto Taranto; (Plut. Pyrrh.XXI; D:H: XX: 1). Vedi Münzer, RE, IV.2., 1901,
s.v.‘Decius’ 15, coll. 2279-2286.
211
Cfr. FRASCHETTI 1981, p. 74 – 75.
76
348 a.C.
Una pace troppo duratura.
Nel 348 a.C. a Roma regna una situazione ottimale di otium, caratterizzata da
pax esterna e concordiam ordini. Questo stato viene interrotto da una
pestilenza. Il senato dunque autorizza il ricorso ai Sibillini, che come
soluzione propongono la celebrazione di un lettisternio. Così riporta Livio:
212
Gli eserciti furono congedati: fuori di Roma regnava la pace e all’interno della città
tacevano i contrasti sociali. Ma quasi ad impedire che la situazione fosse del tutto tranquilla,
scoppiò una pestilenza che costrinse il senato a far consultare ai decemviri i libri Sibillini: su
loro ammonimento si tenne un lettisternio.
213
Cens. De die nat. XVII. 10. Censorino riporta essenzialmente due cronologie parallele,
entrambi risultato di complesse operazioni normative, in particolare di epoca tardo
repubblicana e augustea. L’ intervento augusteo, perfettamente riconoscibile, propone una
griglia che prevede saecula di 110 anni : si tratta di una risistemazione artificiale, rispondente
a precise esigenze, che innovava profondamente la struttura tradizionale, la quale, come
dimostra l’analisi degli autori precedenti, prevedeva invece la celebrazione dei ludi ogni 100
anni. Cfr. COARELLI 1997, pp.100-104.
214
PIGANIOL 1936, pp. 220-222.
77
- 344 a.C.
L’aedes di Iuno Moneta e una ‘opportuna’ pioggia di pietre.
Nel 344 a.C. abbiamo la quinta consultazione sibillina per il quarto secolo.
Nell’anno si sarebbe resa necessaria una consultazione dei libri Sibillini per
espiare una pioggia di pietre e l’improvvisa comparsa delle tenebre
verificatasi subito dopo la consacrazione del tempio a Iuno Moneta. Il testo di
Livio dice:
Anno postquam vota erat Aedes Monetae dedicatur C. Marcio Rutulo tertium
T.Manlio Torquato iterum consulibus. Prodigium extemplo dedicationem
secutum, simile vetusto montis Albani prodigio; namque et lapidibus pluit et
nox interdiu visa intendi; librisque inspectis cum plena religione civitas esset,
senati placuit dictatorem feriarum costituendarum causa dici. Dictus P.
Valerius Publicola; magister equitum ei Q.Fabius Ambustus datus est. Non
tribus tantum supplicatum ire placuit sed finitimos etiam populos, ordoque iis,
quo quisque die supplicarent, statutus. Liv. VII. 28. 6-8.215
215
Il tempio di Moneta fu consacrato l’anno dopo che era stato offerto in voto, essendo
consoli Caio Marcio Rutulo per la terza volta e Tito Manlio Torquato per la seconda. La
consacrazione fu immediatamente seguita da un prodigio, simile a quello anticamente
accaduto sul monte Albano; infatti cadde una pioggia di pietre e parve che durante il giorno
calasse la notte: e dopo che si furono consultati i libri, essendo la città in una atmosfera di
fervore religioso, (cum plena religione civitas esset) il Senato decise che si nominasse un
dittatore per stabilire delle ferie. Fu nominato Publio Valerio Publicola: come maestro della
cavalleria gli venne dato Quinto Fabio Ambusto. Si decise che a celebrare le supplicazioni
andassero non soltanto le tribù, ma anche i popoli confinanti, e si stabilì per loro un’ ordine di
successione, fissando il giorno in cui ognuno doveva celebrarle.
216
Dopo e non durante la cerimonia, cosa che ne avrebbe inficiato l’efficacia (Cfr. Cic. De Div.
I. 55).
217
Liv. VII. 28; 4-7.
218
Liv. VII. 28. 1-6. Per gli avvenimenti in questione, vedi CORNELL 1995, p.325.
219
Liv. VII. 27. 5-9.
78
vedremo, per il periodo delle guerre Puniche quando il culto di Iuno venne
utilizzato soprattutto con lo scopo di rinsaldare i rapporti con gli alleati latini e
le città italiche. Un simile utilizzo può essere ipotizzato anche per la metà del
IV secolo a.C.; la dedica di un tempio a Iuno andrebbe così vista nell’ambito
di una politica di alleanze con le città centro-italiche.
La relazione del prodigium con il problema dei rapporti con i popoli vicini è
accennato nello stesso testo di Livio, dove il fenomeno della pioggia di pietre
e dell’improvvisa oscurità è paragonato a quello accaduto anticamente sul
monte Albano220, sede dello Iuppiter Latiaris, centro religioso e punto di
incontro per le comunità appartenenti alla Lega Latina. In virtù del
collegamento col prodigium del monte Albano, possiamo dire che alla pioggia
di pietre del 344 a.C. viene attribuita la valenza di segnalare una crisi nei
rapporti con i popoli confinanti. La soluzione dei Sibillini riportata da Livio
conferma l’interpretazione: i libri prescrivono supplicationes a cui vengono
invitati a partecipare non solo i cittadini romani, ma tutti i popoli vicini,
secondo turni precisi. Notiamo che questa è la prima volta che popolazioni
non romane vengono coinvolte nell’espiazione di un prodigio avvenuto
all’interno della città.
Roma sceglierà nel III secolo a.C. un’altra modalità per coinvolgere le
popolazioni italiche nel culto; come vedremo sarà l’Urbs stessa che si
prenderà carico di espiare i prodigi avvenuti nelle città confederate,
affermando così per sé un ruolo di centro religioso e insieme politico.
220
Per l’episodio vedi Liv. I. 31. 1-4.
79
- 362 a.C.
Il quinto lettisternio: l’abitudine di invitare a pranzo gli dei.
Il 326 a.C, si presenta come un anno tranquillo nella narrazione liviana. Livio
non collega il piaculum ad un specifico evento prodigiale, sappiamo solo che
il rito si tenne placandis habitumest deis. Non sappiamo però quali siano
questi dèi, la cui identità Livio sembra dare per scontata. Da questa data in
poi, lo storico non specificherà più il numero di successione dei lectisternia;
forse questo dato è da considerarsi come un segnale del fatto che nel III
secolo la cerimonia fosse ormai considerata prassi normale e consolidata
come rito espiatorio ordinario.
Nello stesso anno [326 a.C.] fu tenuto il quinto lettisternio dalla fondazione di Roma e
221
80
CONSULTAZIONI E SOLUZIONI SIBILLINE NEL III SECOLO A.C.
Un secolo cruciale.
- 295 a.C.
Vittorie e fulmini.
Il primo ricorso ai libri Sibillini è registrato per il 295 a.C. Livio, riportando
l’episodio, presenta l’anno come fortunato, felix, dal punto di vista militare. Ma
come avvenuto nel 348 a.C., la troppa felicitas provoca segnali evidenti di
crisi.
Vediamo che non viene specificato il tipo di piaculum suggerito dai libri.223 Le
222
Fu quello un anno di grandi fortune militari, ma anche di grandi apprensioni a causa di
una pestilenza e di alcuni prodigi. Infatti girò la voce che in molti luoghi era piovuta terra e
che parecchi soldati dell’esercito di Appio Claudio erano stati colpiti da fulmini. Per queste
cose furono consultati i libri.
223
Nello stesso anno il console Fabio Gurgite fece costruire un tempio a Venus Obsequens
(Liv. X. 31). Ciò ha fatto ritenere che l’introduzione di quest’ultima fosse dovuta ad
un’indicazione sibillina; tuttavia, Livio non collega questi fatti e, anzi, dice che i libri furono
consultati a causa della pestilenza e dei fulmini, mentre il tempio, sempre secondo Livio,
venne costruito grazie al ricavato di un’ammenda pecuniaria imposta ad alcune matrone
81
‘piogge di terra’ o ‘di pietre’, fenomeni della cosidetta ‘meteorologia ominale’,
saranno prodigia frequenti nel secondo secolo a.C.
Nella lunga narrazione, ricca di particolari, che Livio fa della battaglia, non
sono menzionati particolari prodigia a danno dei soldati di quest’ultimo. 226
82
Si può ipotizzare che la notizia riguardante la caduta di fulmini sull’esercito di
Appio Claudio fosse stata utilizzata per screditare l’operato del propretore.
L’azione politica innovatrice di Appio Claudio era stata infatti molto contestata.
Durante la sua censura del 312 a.C., si era avvalso della nuova facoltà,
attribuita ai censori dalla lex Ovinia, che permetteva di integrare la lista dei
senatori annettendovi figli di liberti. Inoltre aveva anche esteso i pieni diritti
politici ai cittadini dei ceti inferiori, distribuendoli in tutte le 31 tribù territoriali,
227
anziché nelle quattro urbane dove erano concentrati . Tali riforme erano
state fortemente osteggiate dall’aristocrazia conservatrice, tanto da venire
abolite, nel 304, dal censore Quinto Fabio, il console proprio nel 295 a.C. 228
prospettiva avevano interesse a privilegiare il ceto mercantile ed affaristico, che con la fine
delle guerre puniche ed il crollo della potenza cartaginese sarà in piena espansione. I Fabii,
invece, erano propensi a indirizzare e rafforzare l’espansione verso l’Italia centrale e
settentrionale e ad appoggiare i piccoli proprietari terrieri. Vedi CASSOLA 1962, pp. 31-36; p.
194 e p. 213
229
Sul sorgere della nobilitas, vedi CASSOLA 1988, p.470 ss. CORNELL 1995, pp.340-344.
83
La crisi politica, evidenziata dai prodigia e dalla richiesta di consultazione dei
Sibillini, non registra comunque il remedium suggerito.
- 293 a.C.
La seconda consultazione sibillina del III secolo 293 a.C. segna l’introduzione
del dio Asklepios/Aesculapius in Roma. Ancora una volta, un grande malus,
una pestilenza, turba un anno per molti altri aspetti felice, laetus. I libri
Sibillini, consultati dai decemviri, indicano, come unica soluzione, quella di
portare il dio medico, dalla sua famosa sede di Epidauro, in Argolide, a
Roma.
Multis rebus laetus annus vix ad solacium unius mali, pestilentiae urentis
simul Urbem atque agros, suffecit; portentoque iam similis clades erat, et libri
aditi quinam finis aut quod remedium eius mali ab dis daretur. Inventum in
libris Aesculapium ab Epidauro Romam arcessendum; neque eo anno, quia
bello occupati consules erant, quicquam de ea re actum praeterquam quod
unum diem Aesculapio supplicatio abita est. Liv. X. 47. 6. 230
Nel 292 a.C., viene dunque inviata una delegazione ad Epidauro. Così
leggiamo in un passo di Livio:
230
La felicità che quell’anno aveva procurato in tanti suoi eventi, servì appenna a
compensare un’ unico disastro: una pestilenza che devastò contemporaneamente la città e le
campagne. Quella pestilenza sembrò ben presto il frutto di un disegno soprannaturale e
furono dunque consultati i libri Sibillini per sapere come sarebbe terminata quella sciagura e
se esisteva un rimedio che gli dei potessero concedere. Nei libri fu trovato che bisognava
portare da Epidauro a Roma il simulacro di Esculapio. Per quell’anno comunque non se ne
fece nulla perché i consoli erano interamente assorbiti dagli impegni militari; ci si limitò a
tenere una giornata di pubbliche supplicazioni ad Esculapio.
Cfr. Ago. Civ.dei III. 17; Oros. III. 22. 5; Ovid. Metam. XV. 622 ff.; Plin. N.H. XXIX. 22; Plut.
Q.R. 94.
84
egresso eodem loco aedis Aesculapio constituta est. Liv. Per. XI. 231
L’episodio mette ben in luce questo aspetto del funzionamento della poilitica
religiosa romana. Sfruttando l’occasione di un determinato prodigio, evento
che segnala una disarmonia con l’extraumano, lo stato romano ridefinisce il
rapporto della res publica con gli dei, riorganizzando la sua visione del mondo
sul piano religioso. L’autorità su cui si basa questa ridefinizione è appunto
quella costituita dai libri Sibillini e dalla magistratura ad essi preposta
Così nel 293 a.C., quando la città ritenne opportuno ridefinirsi rispetto al
problema vasto della salus (concetto complesso che travalica di molto il
quadro igenico), si rivolse al più importante santuario iatromantico
specializzato in materia: quello di Esculapio a Epidauro 233.
Riguardo alla modalità di trasferimento del dio, possiamo riferirci ad un lungo
passo di Valerio Massimo:
[…] triennio continuo vexata pestilentia civitas nostra, cum finem tanti et tam
diutini mali neque divina misericordia neque humano auxilio inponi videret,
231
[…]Poiché la città era in difficoltà a causa di una pestilenza, furono mandati degli
ambasciatori perché trasferissero il simulacro di Esculapio da Epidauro a Roma; essi
riportarono un serpente che si era introdotto nella loro nave e nel quale tutti pensavano che
fosse presente il dio stesso. Siccome quel serpente sbarcò nell’isola Tiberina, in quel luogo
fu eretto un tempio ad Esculapio.
232
Questo paragone in NORTH 1974, p.11. Per tutto quanto detto finora cfr. SCHEID 1998, p.
108-109
233
Per l’episodio cfr. GAGE 1955, pp. 151-154; SCHEID 1998, pp.110.
85
cura sacerdotum inspectis Sibyllinis libris animadvertit non aliter pristinam
recuperari salubritatem posse quam si ab Epidauro Aesculapius esset
accersitus. Itaque eo legatis missis unicam fatalis remedii opem auctoritate
sua, quae iam in terris erat amplissima , impetraturam se credidit. Neque eam
opinio decepit: pari namque studio petitum ac promissus est praesidium e
vestigioque Epidauri Romanarum legatos in templum Aesculapii, quod ab
eorum Urbe V passuum distat, perductos ut quidquid inde salubre patriae
laturos se existimassent pro suo iure sumerent benignissime invitaverunt.
Quorum tam promptam indulgentiam numen ipsius dei subsecutum verba
mortalium caelesti obsequio conprobavit: si quidem is anguis, qui Epidauri
raro, sed numquam sine magno ipsorum bono visum in modum Aesculapii
venerati fuerant, per Urbis celeberrimas partes mitibus oculis et leni tractu labi
coepit triduoque inter religiosam omnium admirationem conspectus haud
dubiam prae se adpetitae clarioris sedis alacritatem ferens ad triremem
Romanam perrexit paventibusque inusitato spectaculo nautis eo conscendit,
ubi Q.Ogulni legati tabernaculum erat, inque multlipicem orbem per summam
quietem est convolutus. Tum legati perinde atque exoptatae rei conpotes
expleta gratiarum catione cultuque anguis a peritis excepto laeti inde
solverunt, ac prosperam emensi navigationem postquam Antium appulerunt,
anguis, qui ubique in navigio remanserat, prolapsus in vestibolo aedis
Aesculapii murto frequentibus ramis diffusae superimminentem excelsae
altitudinis palmam circumdedit perque tres dies, positis quibus vesci solebat,
non sine magno metu legatorum ne inde in triremem reverti nollet, Antiensis
templi hospitio usus, urbi se nostrae advehendum restituit atque in ripam
Tiberis egressis legatis in insulam, ubi templum dicatum est, tranavit
adventuque suo tempestatem, cui remedio quaesitus erat, dispulit. Val. Max.
I. 8. 2. 234
234
[ …] poichè i Romani erano ininterrottamente da tre anni tormentati dalla peste e non
riuscivano a porre fine a tanto e così lungo travaglio né nella misericordia degli dei né
nell’aiuto degli uomini, l’attenta lettura dei libri Sibillini, da parte dei sacerdoti, fece capire che
non si poteva recuperare la normalità di prima se non con il far venire da Epidauro il dio
Esculapio. Così i nostri concittadini pensarono che, se avessero mandato là una legazione,
avrebbero ottenuto l’unico rimedio possibile voluto dai fati, confortati dal prestigio fino ad
allora altissimo di quell’ oracolo. Non si ingannarono: l’aiuto fu chiesto e promesso con tale
zelo, ed immediatamente gli Epidauri accompagnarono la legazione romana al tempio di
Esculapio - distante dalla loro città cinque miglia - e la invitarono con estrema cortesia a
prendervi quanto avessero pensato fosse salutare per la loro patria. Ad una così pronta e
generosa benevolenza, seguì subito la manifestazione del consenso da parte del dio stesso:
se è vero che quel serpente - raramente visto nel passato dagli Epidauri, ma mai senza
propria grande utilità, e venerato come ipostasi di Esculapio - , cominciò a strisciare
tranquillamente, con gli occhi miti, attraverso le zone più frequentate della città e, osservato
per tre giorni tra la rispettosa ammirazione generale, dando chiaramente ad intendere che
desiderava una sede più famosa, proseguì verso la trireme romana e tra il terrore dei marinai
non abituati a quello strano spettacolo, salì sulla nave, fermandosi dove era l’alloggio del
legato Quinto Ogulnio, e tranquillamente avvoltosi in molteplici spire, se ne stette quieto.
Allora i legati, lieti di aver raggiunto lo scopo, dopo i dovuti ringraziamenti e messi al corrente
dagli esperti del rituale riguardante il serpente, salparono da lì e, compiuta una prosperosa
navigazione, approdarono ad Anzio. Qui il serpente, che durante il viaggio era rimasto
sempre immobile sulla nave, strisciando attraverso il vestibolo del tempietto di Esculapio
rimase avvinghiato ad una palma altissima, che si ergeva presso un boschetto di mirto fitto di
rami: gli furono posti accanto i cibi di cui soleva nutrirsi e, non senza che i legati non
temessero fortemente che da lì non volesse tornare sulla trireme, prese dimora nel tempio di
Azio. Dopo tre giorni si fece docilmente trasportare a Roma e quando i legati furono scesi a
terra sull’isola Tiberina, dove si trova il tempio a lui dedicato, vi giunse anch’esso a nuoto e
86
Nel passo appare importante il ruolo del serpente, dell’anguis, ipostasi del
dio, che come manifestazione di consenso, accetta di mostrarsi in pubblico e
salire sulla trireme con la delegazione romana e, in seguito, indica il luogo nel
quale ricevere il culto, secondo un modello che sembra richiamare quello dell’
evocatio, per cui era il dio ad accettare di entrare nel culto romano, dopo che
attraverso la formula rituale veniva chiesto il suo consenso.235
Qui non viene chiaratamente effettuata una evocatio perché i delegati non
pronunciano la formula rituale; comunque essi lasciano il dio, presente nel
serpente, libero di seguirli a Roma secondo il suo volere, ed è sempre il dio
ad eleggere il luogo del suo culto, che significativamente non si pone
all’interno del pomerium, ma in una zona marginale, nell’isola Tiberina.
Tale locazione del culto di Esculapio è stata spiegata in relazione con il dio
romano Vediovis, che già possedeva un culto sull’isola. Vediovis si delinea
come una sorta di anti-Giove, come indica il prefisso Ve- davanti a *Diovis,
forma arcaica di Iovis.236
Nel mito greco, Asklepios, dio-guaritore figlio di Apollo è fulminato da Zeus
per aver resuscitato i defunti237, e quindi aver rotto l’ordine cosmico, che
anche gli dei sono tenuti a rispettare. Asklepios, cioè, sfida con la sua arte
quell’ordine che limita gli dei politeistici e impone l’accettazione della morte
come segno della diversità tra uomini e divinità. Anche il greco Asklepios
poteva a sua volta configurarsi come un anti-Zeus ed essere dunque inserito
nella sfera di Vediovis 238.
Il discorso sulla capacità di donare guarigione e salvezza - soteria, salus - che
diventa attributo particolare degli dei politeistici a partire dall’età ellenistica, è
comunque complesso. Il dio salvatore, soter, epiteto ricorrente per Asklepios,
scacciò col suo arrivo la calamità per cui rimedio era stato richiesto.
235
Per l’episodio dell’evocatio di Giunone da Lanuvio, vedi Liv. V. 22. 4-7. Vedi anche
DUMEZIL 1974, pp. 425-427.
236
PICCALUGA 1963; cfr. SABBATUCCI 1988, p. 20.
237
Apollodoro, Bib. III. 10. 3-4. Gli stessi santuari iatromantici greci erano luoghi dove in un
certo qual modo veniva ‘di prassi’ oltrepassato il confine tra mondo dei vivi e mondo dei morti:
durante la ricerca oniromantica volta alla guarigione, non erano rare le apparizioni di defunti,
di ‘morti sapienti’, dato che rimanda alla necromanzia, tecnica liminale delle arti divinatorie,
che la cultura greca tratta con grande cautela. Vedi CECON 2004, p.9 e p.26.
238
SABBATUCCI 1988, p.20-21.
87
riflette un allargamento straordinario dei poteri salutari della divinità, che
implica una dilatazione dello statuto politeistico, con la progressiva
239
trasformazione in dio grande, potente, quasi onnipotente . In particolare
sono appunto le divinità della sfera medica ad essere assorbite in questo
processo, ed in particolare, ancora, proprio Asklepios ed Apollo 240.
Per quanto riguarda più strettamente il ruolo avuto dai Sibillini nelle vicenda,
sembra di capire tuttavia che le modalità della ‘trasferta’ non vennero date in
base alla lettura di questi testi. Tutte le disposizioni nelle fonti sono prese dal
senato attraverso i legati in rapporto con il santuario di Epidauro. Neppure la
localizzazione del nuovo culto sull’ isola Tiberina è decisa dai Sibillini.
Per concludere, lo spazio dato ai libri risulta dunque marginale in questo
episodio; ma non ne è marginale il ruolo, se considerati ‘mezzo’ attraverso cui
dare una legittimazione extraumana all’introduzione di una divinità ‘nuova’
nel politeismo romano. L’iniziativa si presentava dunque ‘sanzionata’ non da
uomini, ma dal fatum.
239
Vedi sul tema della ‘salvezza’ nei politeismi, BRELICH 1963 e CHIRASSI COLOMBO
1975b; BIANCHI-VERMASEREN 1979.
240
CHIRASSI COLOMBO 1975b.
88
- 276 a.C.
Con la perdita della seconda decade liviana, per gli anni fino alla seconda
guerra punica, dobbiamo utilizzare altre fonti.
89
reperita atque reparata nisi postea eodem modo neglecta atque usurpata
latitarent, non utique magnae peritiae Varronis tribueretur, quod scribens de
aedibus sacris tam multa ignorata commemorat. Aug. De civ. Dei. III. 17.243
L’episodio riportato da Agostino, può essere datato al 276 a.C. attraverso un
passo di Orosio, che descrive lo stesso episodio attribuendolo al consolato di
F.Gurgite e C.Genucio Clepsina, senza però accennare alla consultazione dei
Sibillini:
Nam Fabio Gurgite iterum C.Genucio Clepsina consulibus pestilentia gravis
Urbem ac fines eius invasit; quae cum omnes tum praecipue mulieres
pecudesque corripiens necatis in utero fetibus futura prole vacuabat, et
immaturis partubus cum periculo matrum extorti abortus proiciebantur, adeo
ut defectura successio et defuturum animantum genus adempto vitalis partus
legitimo ordine crederetur. Oros. IV. II. 2.244
Dai libri Sibillini, consultati come rimedio estremo, si venne a sapere che la
causa di tale stato era l’occupazione abusiva dei templi cittadini, usati come
abitazione dai più poveri.
Analogalmente, anche nel 390 a.C. i templi erano stati ‘contaminati’ dall’uso
improprio che ne avevano fatto i Galli, i quali vi si erano accampati dentro,
come ora la parte più povera della popolazione romana.
243
[…] Durante una così grande strage militare scoppiò anche una grave moria di donne.
Morivano nella gravidanza prima di dare alla luce i figli. […]. Morivano con la medesima
patologia anche gli animali domestici al punto di far credere che perfino la generazione di
animali cessasse. Quell’ inverno fu memorabile perchè incredibilmente rigido al punto che a
causa delle nevi, le quali rimasero ad una preoccupante altezza per quaranta giorni anche
nel Foro, perfino il Tevere gelò […]. Allo stesso modo una straordinaria epidemia, finchè
infierì, ne fece morire molti. Ed essendosi prolungata con maggiore virulenza nell’anno
successivo (malgrado la presenza di Esculapio), si consultarono i libri Sibillini. […]. Il
responso fu che a causa dell’epidemia vi era il fatto che molti occupavano abusivamente
parecchi edifici sacri. […] Gli edifici erano stati occupati senza che alcuno lo impedisse,
perché erano state inutilmente a lungo rivolte suppliche a una così folta moltitudine di divinità.
Così un’ po’ alla volta i locali venivano disertati dai devoti in modo che essendo vuoti si
potevano senza offesa di alcuno adibire agli usi umani. Per far cessare la pestilenza furono
fatti restituire e restaurare. (E se in seguito non fossero rimasti sconosciuti perché di nuovo
abbandonati e occupati, non si darebbe certamente merito alla grande erudizione di Varrone
che, scrivendo sugli edifici sacri, ne ricorda molti ignorati)
244
Essendo consoli Fabio Gurgite per la seconda volta e Caio Genucio Clepsina [276 a.C.]
una grave pestilenza divampò in Roma e nel suo territorio. Essa colpì tutti ma in modo
particolare le donne e le femmine degli animali, così che uccidendo i feti nel grembo materno,
toglieva ogni possibilità di futura prole, oppure a causa di parti immaturi venivano alla luce
degli aborti, con grave pericolo per le madri: si poteva prevedere che, non essendo più
osservata la regolarità dei parti vitali, sarebbe venuta a mancare ogni discendenza e gli
animali si sarebbero estinti.
90
Il fermarsi delle generazioni dunque è visto come una punizione inflitta dagli
dèi agli uomini colpevoli di non rispettare più i confini fra spazio divino e
umano (con l’occupazione dei templi, che erano appunto le ’case’ delle
divinità) e perciò di rompere l’ordine delle cose e gettare dunque il cosmo nel
caos. Restituendo i templi alla loro normale funzione, la crisi viene superata.
Possiamo dedurre da tutto questo che il rimedio suggerito dai Sibillini
consistesse in un intervento pubblico di sgombero di edifici occupati
abusivamente, similmente alla norma di polizia comunale ben nota nel
contemporaneo. I ‘multi’, spinti a compiere l’atto sacrilego dell’occupazione
delle ‘case sacre’, vanno verosimilmente interpretati come i ‘poveri’, che
dovevano costituire una parte maggioritaria della popolazione romana,
travolta dai problemi causati dalla guerra.
Aggiungiamo che quanto scrive Agostino produce altro materiale da
considerare nella prospettiva di una verifica della manipolazione del ‘sacro’ in
funzione economica. Gli edifici sacri occupati, nemine prohibente, quindi nella
totale disattenzione dell’autorità, venivano per così dire rimessi nel mercato
una volta ‘profanati’: la ‘profanazione’ li rendeva disponibile al pubblico uso
nella prospettiva della alternanza fra sacro/profano, messa in luce da
D.Sabbatucci245.
245
SABBATUCCI 1975.
91
- 248 a.C.
I ludi Saeculares.
…Varro de scaenicis originibus libro primo ita scriptum reliquit: “Cum multa
portenta fierent, et murus ac turris, quae sunt inter portam Collinam et
Esquilinam, de Caelo tacta essent, et ideo libros Sibyllinos XV viri adissent
renuntiarunt, ut Diti patri et Proserpinae ludi Tarentini in campo Martio fierent
tribus noctibus, et hostiae furvae immolarentur, utique ludi centesimo quoque
anno fierent”. Cens. De die Nat. XVII. 8. 246
Anche Livio ne fa cenno quando registra i ludi del 149 a.C., epoca della terza
guerra punica. (Liv. Per. 49)
La testimonianza Varroniana nel libro de sceniscis originibus sembra proporre
proprio la data del 249 a.C. come prima celebrazione dei ludi Saeculares.
Molti studiosi hanno quindi considerato questa come prima attestazione
247
storica dei ludi . E’ probabile però, che come ci testimoniano le fonti e in
particolare la cronologia riportata da Censorino248, che i ludi Saeculares
abbiano avuto precedenti. E’ possibile, secondo l’interpretazione di F.Coarelli,
che la particolare rilevanza data da Varrone e Livio ai ludi del 249 a.C. sia
dovuta al fatto che i ludi in tale data abbiano subito un riassestamento
organizzativo ed istituzionale. I ludi Saeculares sarebbero cioè passati
dall’ambito gentilizio, in particolare, celebrazioni proprie dalla gens Valeria, a
quello pubblico 249.
Secondo questa ipotesi, è in questa data che nel complesso dei rituali dei ludi
246
…Varrone, nel primo libro delle ‘Origini del teatro’ lasciò scritto così: “Poiché avvenivano
molti prodigi, e il muro e la torre che stanno tra la porta Collina e quella Esquilina erano stati
colpiti da un fulmine, i quindecemviri, dopo avere consultato su ciò i libri Sibillini, dichiararono
che si dovevano celebrare nel Campo di Marte per tre notti dei Giochi Tarentini in onore del
Padre Dite e di Proserpina, si dovevano immolare a loro delle vittime nere e i giochi
dovevano essere tenuti ogni cento anni.
247
Vedi la discussione in PIGANIOL 1936, pp. 220-221
248
Cens. De die nat. XVI. Vedi infra in Appendice.
249
COARELLI 1997 p. 106. Indicativo, secondo l’autore è il fatto che nello stesso periodo
dovette avvenire la publicatio del culto di Ercole all’ ara Maxima.
92
Saeculares sarebbe stata introdotta la coppia Proserpina-Dite/Plutone250.
L’introduzione delle due divinità sarebbe stata dovuta alla volontà di
richiamarsi alla Magna Grecia, la cui fedeltà era divenuta di vitale importanza.
L’introduzione delle nuove divinità va dunque inquadrate nella politica
federativa volta ad unire a sé popolazioni la cui alleanza era indispensabile, e
nel desiderio di proporsi come capitale religiosa delle popolazioni dell’Italia
meridionale 251.
Tuttavia il senso simbolico del complesso rituale trascende di molto
l’indicazione dell’opportunità politica. I ludi Saeculares quali antecedenti dei
ludi Tarentini, che abbiamo visto, richiamano tramite l’elemento spettacolare
la reiteficazione dell’allontanamento del pericolo di una possibile interruzione
nella generazione.
250
Per cui le notizie riguardanti la presenza della coppia in circostanze anteriori, sarebbero
frutto di proiezioni di epoca successiva. Per l’identificazione Dite – Plutone, vedi DUMEZIL
1974, pp. 444-445.
251
GAGE 1955, pp. 233-238; DUMEZIL 1974, loc cit. cfr. SCHEID 1998, p.112-113.
93
- 238 a.C.
I giochi in onore di Flora.
Secondo Plinio, (N.H., XVIII. 286 ), nel 238 a.C.252, vennero istituiti, ‘ex
oraculis Sibyllae’, i Floralia, i ludi Florales, in onore della dea Flora:
Rudis fuit priscorum vitae atque sine letteris. Non minus tamen ingeniosam
fuisse in illis observationem apparebit quam nunc esse rationem. Tria
namque tempora ructibus metuebant, propter quos instituerunt ferias diesque
festos, Robigalia, Floralia, Vinalia. […] Sed vera causa est, quod post dies
undeviginti ab aequinoctio verno per id quadriduum varia gentium
observatione in IIII kal. Mai. canis occidit, sidus et per se vehemens et cui
praeoccidere caniculam nocesse sit. Itaque iidem Floralia IIII kal. easdem
instituerunt urbis anno DXVI ex oraculis Sibyllae, ut omnia bene defloscerent.
Hunc diem Varro determinet sole tauri partem XIIII obtinente. Ergo hoc
quadriduum inciderti plenilunium, fruges et omnia, quae florebunt, laedi
nocesse erit 253.
252
Cfr. Velleio Patercolo (I. 14. 8) che indica il 241 a.C. invece del 238.
253
La vita degli antichi fu rozza e priva di cultura. Tuttavia risulterà chiaro che il loro modo di
osservare non fu meno ingegnoso delle attuali teorizzazioni. Infatti, tre erano i momenti che
essi temevano per il raccolto, e per questo istituirono delle celebrazioni e dei giorni di festa: i
Robigalia, i Floralia, i Vinalia. […] Ma la vera ragione è che diciannove giorni dopo l’equinozio
di primavera, in uno dei quattro giorni (a seconda della latitudine degli osservatori) che
procedono il quarto giorno prima delle calende di maggio [28 aprile] tramonta il Cane, astro di
per sé dannoso e il cui tramonto è necessariamente preceduto da quello della Canicola.
Pertanto gli antichi, nel 516° anno di Roma [238 a.c.], seguendo gli oracoli della Sibilla, il
quarto giorno prima delle stesse calende istituirono i Floralia, perchè tutte le piante potessero
avere una buona fioritura. Varrone data queste feste a quando il sole entra nel 14° grado del
Toro. Pertanto se il plenilunio cade in questi quattro giorni, i cereali e tutto quello che si
troverà in fiore ne verrano necessariamente danneggiati.
254
La stella era appunto considerata dannosa dagli antichi, il suo sorgere (27 luglio)
combaciava con l’inizio del tempo canicolare, caratterizzato da siccità, intenso calore, febbri;
cfr. Virg. Aen. III. Vv. 140 ss.; Plin. N.H. II. 107.
255
Varr. De L.L. VII. 45.
94
suggerimento sibillino, la dea viene inserita nella scia delle festività di fine
aprile-maggio, in gran parte legate a Cerere, coinvolgenti la sfera femminile e
atte a garantire la buona riuscita del raccolto agricolo256.
Flora si presenta come divinità piuttosto complessa e l’introduzione dei
Floralia rispondeva a più esigenze257. A proposito è importante rilevare come
vi siano due diverse tradizioni eziologiche, una costituita dal nostro passo
pliniano, l’altra rappresentata dal racconto contenuto nei Fasti di Ovidio.
Ovidio non collega l’istituzione dei Floralia ai libri Sibillini, ma racconta come
questi vennero istituiti per iniziativa degli edili plebei del 238 a.C., Manlio e
Lucio Publicio Malleolo, per festeggiare la vittoria ottenuta dalla plebe sugli
abusi dei ricchi latifondisti e dei grossi proprietari di bestiame, colpevoli di non
rispettare il suolo pubblico.
Cetera luxuriae nondum instrumenta vigebant,/ aut pecus aut latam dives
habebat humum;/ hinc etiam locuples, hinc ipsa pecunia dicta est./ Sed iam
de vetito quisque parabat opes:/ venerat in morem populi depascere saltus,/
idque diu licuit, poenaque nulla fuit./ vindice servabat nullo sua publica
volgus;/ iamque in privato pascere inertis erat./ plebis ad aedilis perducta
licentia talis/ Publicios: animus defuit ante viris./ rem populus recipit, multam
subiere nocentes:/ vindicibus laudi publica cura fuit./ Multa data est ex parte
mihi, magnoque favore/ victores ludos instituere novos./ Parte locant clivum,
qui tunc erat ardua rupes:/ utile nunc iter est, Publiciumque vocant.’ Ovid.
Fast. V. vv. 279-294 258
Flora, dunque, si presenta come divinità legata non solo alla sfera agraria, ma
anche fortemente caratterizzata in senso ‘plebeo’. Ciò rispondeva a precise
256
Su Flora vedi principalmente LE BONNIEC 1958, p.196 e p.202.
257
Nella celebrazione dei Floralia avevano un ruolo cultuale ben preciso le meretrici; i ludi
servivano, così, all’integrazione nel corpo civico di quella che poteva costituire una classe
sociale imbarazzante. Cfr. CHIRASSI COLOMBO 1981, p.412; SABBATUCCI 1988, pp.152.
258
Non vigevano ancora gli altri strumenti del lusso, il ricco possedeva il bestiame oppure
vaste campagne (da ciò deriva la parola ‘locuplete’ e anche la stessa ‘pecunia’) ma già
ognuno si procurava ricchezze con mezzi illeciti. Invalse la consuetudine di pascolare nei
boschi pubblici, e ciò accade a lungo impunemente, non vi fu alcuna pena; il popolo non
aveva difensori dei beni comuni, e ormai si riteneva da inetti pascolare sul proprio suolo
privato. Tale licenza fu denunciata agli edili della plebe Publicii: agli uomini degli anni
precedenti era mancato il coraggio. Il popolo s’interesso attivamente alla cosa, i rei incorsero
in una multa: la cura dei pubblici beni risultò di gloria ai difensori. Mi si offrì parte di quelle
multe, e i vincitori delle liti istituirono con grande plauso nuovi giochi. Altro danaro delle
multe fu investito in lavori sul colle – allora rupe scoscesa – ora comoda via chiamata
Publicia.
95
259
esigenze politiche e sociali . Nel corso degli anni 238/241 a.C., nell’ambito
della nobilitas patrizio-plebea, è la fazione dei Fabii a controllare la vita
politica della città. Tale fazione, opposta a quella dei Claudii, era pronta a
riconoscere nella piccola media proprietà terriera la base economica su cui
Roma poteva sostenersi, e a favorire pertanto la classe dei piccoli proprietari
terrieri, formanti la cosiddetta ‘plebe rurale’, componente sociale che a partire
dalla prima Guerra Punica si era vista fortemente penalizzata dal formarsi di
grandi latifondi.
Nel racconto di Ovidio, Flora è presentata come divinità atta a favorire il
pubblico, (gli edili plebei, non a caso sono due Publicii!) lo statuale, nei
confronti del privato e le istanze portate avanti dai magistrati della plebe
contro i ricchi proprietari di bestiame e della lata humus. Dunque, una divinità
che può anche farsi ideologicamente ‘patrona’ della piccola proprietà terriera
in contrapposizione al modello del grande latifondo.
La dea, dunque, in quanto antica divinità italica legata alla sfera agraria260,
poteva essere riproposta come simbolo di un’agrarietà collegata all’ideale di
un modello di vita essenzialmente extraurbano, ma la cui esistenza era
fondamentale per la sopravvivenza stessa della città. Tale modello di vita era
quello del vecchio contadino italico, che coltivava il proprio terreno per solo
per il sostentamento personale, e che veniva così riproposto, ‘propagandato’
da una certa parte politico.
Per concludere, il quadro che ci fornisce Ovidio rende conto in maggior
misura del possibile processo storico, rispetto alla notizia di Plinio. Il
collegamento fra libri Sibillini e Floralia, di cui ci informa quest’ultimo, si
259
Vedi CELS-SAINT-HILAIRE 1977, p. 257 – 260.
260
Sulla diffusione di Flora fra i popoli centro italici, vedi LE BONNIEC 1958, loc. cit.
La scelta di onorare la dea sarebbe anche stata legata all’istituzione, nel 241 a. C., delle due
ultime tribù rurali, la Quirina e la Vestina. In questa tribù erano stati iscritti i nuovi cittadini
Vestini e Sabini, popolazioni in cui la dea aveva un ruolo importante. A Roma, Flora era
presentata proprio come una divinità Sabina: secondo la tradizione, la sua prima ara era
stata eretta per volontà di Tito Tazio, il sabino che aveva regnato insieme a Romolo (Varr. De
L. L. V. 74.). L’istituzione di tali giochi sarebbe dunque stato un modo per rinsaldare i legami
fra la repubblica e i suoi nuovi cittadini, CELS – SAINT-HILAIRE 1977, pp. 253-254.
96
presenta quindi come problematico. Forse si tratta di un dato volutamente
‘aggiunto’ alla tradizione originaria; il fine avrebbe potuto essere quello di
instaurare un parallelismo con Cerere, la dea ‘plebea’ e ‘agraria’ per
eccellenza. In tal caso, avremmo una precisa volontà di presentare,
l’introduzione di queste particolari divinità come ‘volute’ dai libri Sibillini.
Considerato il carattere polemico e potenzialmente ‘eversivo’ proprio delle
divinità agrarie – in quanto divinità ‘democratiche’ – con il tradizionale
ordinamento gentilizio, poteva essere vantaggioso presentarle come volute
dal fatum, espresso, appunto, dai libri Sibillini.
97
- 228 a.C.
Un ‘delitto religioso’.
261
La pacificazione delle tribù galliche, fondamentale per la sicurezza di Roma, avvenne nel
218 a.C, con la fondazione delle colonie di Cremona e Piacenza. (Liv. XXI. 25. 1-7); Cfr.
GABBA 1990b, pp.69-72.
262
Liv. Per. XX.
263
Cfr. FRASCHETTI 1981, p. 39.
264
Sul tema controverso del sacrificio umano, in rapporto alla prassi generale del sacrificio
cruento, abbondante letteratura, ma in particolare, da ultimo BRELICH 2007.
98
Al racconto plutarcheo vanno aggiunte le notizie fornite da Cassio Dione e
dallo storico bizantino Zonara (XII d. C.) 266
Leggiamo da Cassio Dione:
Ὅτι χρησμός τις τῆς Σιβύλλης τοὺς Ῥωμαίους ἐδειμάτου, φυλάξασθαι τοὺς
Γαλάτας δεῖν κελεύων ὅταν κεραυνὸς ἐς τὸ Καπιτώλιον πλησίον
Ἀπολλωνίου κατασκήψῃ. Dion. XII. 50. 1.267
e da Zonara:
Λογίου δέ ποτε τοῖς Ῥωμαίοις ἐλθόντος καὶ Ἕλληνας καὶ Γαλάτας τὸ ἄστυ
καταλήψεσθαι͵ Γαλάται δύο καὶ Ἕλληνες ἕτεροι ἔκ τε τοῦ ἄρρενος καὶ τοῦ
θήλεος γένους ζῶντες ἐν τῇ ἀγορᾷ κατωρύγησαν‚ ἵν᾽ οὕτως ἐπιτελὲς τὸ
πεπρωμένον γενέσθαι δοκῇ‚ καί τι κατέχειν τῆς πόλεως κατορωρυγμένοι
νομίζωνται. Zon. VIII. 19. 20 268
99
un’imminente pericolo per la città. Non possiamo stabilire se l’oracolo
attribuito alla Sibilla fosse stato divulgato dai decemviri, oppure si trattasse di
una profezia liberamente circolante, sul tipo di quelle prodotte dai
chresmologoi o vates itineranti. Il passo di Dione comunque sembra
inquadrare la profezia sibillina come interpretazione di un prodigio. Potremmo
trovarci di fronte ad una “ divulgazione” della spiegazione del prodigio della
caduta di un fulmine sul tempio di Apollo, eccezionalmente offerta dai
decemviri. In ogni caso le fonti in questione, ci presentano un quadro che
ricorda le notizie, frequenti per il secondo e primo secolo a.C., riguardanti
‘oracoli circolanti’, in cui il rapporto con gli ufficiali libri Sibillini non appare del
tutto chiaro.
Sul ‘significato’ del rito vi sono state molte interpretazioni.
Le fonti non mancano di denunciarne l’aspetto ‘barbaro’, sottolinearne il
carattere eccezionale e la fondamentale estraneità al ’diritto rituale romano’.
Tale valutazione è stata in parte condivisa anche dai moderni269, per lo più
propensi a rifiutare una origine totalmente romana di un rito così crudele. In
realtà il rito, per essere compreso, va considerato come ‘fatto religioso’
pienamente romano, anche considerando che la sepoltura di due coppie di
stranieri è attesta nuovamente per il 216, il 213 e nuovamente per il 114 a.C.,
delineandosi dunque come remedium ‘tipico’ dei Sibillini 270.
Anzitutto è bene sottolineare come il rito sia definibile propriamente come un’
uccisione rituale e non un sacrificio in quanto non descritto dalle fonti secondo
i canoni normali con cui avvenivano questi ultimi 271.
Secondo la spiegazione di Zonara, l’atto religioso rappresentava
simbolicamente, ritualmente, il controllo del fatto profetizzato: gli stranieri
269
W.Hoffmann era propenso a vedere nel rito un possibile influsso etrusco per il fatto che
Greci e Galli erano i nemici ‘naturali ‘ di questo popolo. (HOFFMANN 1933 p.26 ss). H.W.
Parke invece paragona questa uccisione di due coppie di stranieri all’uso dei pharmakoi nelle
città ioniche (PARKE 1992, p. 236); ma il paragone non sembra pertinente. Sul tema del
sacrificio umano, nell’antica Grecia, vasta bibliografia; vedi BURKERT 1972 (trad. It 1982),
BONNECHERE 1994.
270
FRASCHETTI 1981, pp. 85 - 86
271
Vedi la discussione in FRASCHETTI 1981, p. 38; p. 78; il sacrificio umano rientra nella
categoria più vasta delle uccisioni rituali. Nello specifico il sacrificio si distingue per essere
rivolto a destinatari sovrumani. Vedi BRELICH 2007, p. 25-26.
100
presenti in qualche modo sul territorio vengono ritualmente eliminati dal
territorio stesso. La loro messa a morte elimina l’angoscia del pericolo letale
assolvendo così pienamente a quella funzione stabilizzatrice che all'azione
rituale in quanto tale si attribuisce.272.
La scelta di inumare una coppia di Galli è facilmente comprensibile nel senso
che la profezia riguardava appunto un attacco di tali popolazioni; meno
comprensibile la scelta di includere nell’uccisione anche una coppia di Greci.
Secondo la interpretazione di S. Mazzarino, la scelta delle vittime del rito va
spiegata tenendo conto dell’idea, sviluppata durante la seconda guerra
Punica, di una Italia strutturata geograficamente dall’Appennino. Secondo lo
studioso, tale concetto sarebbe implicito nella descrizione di Appiano della
battaglia del Trasimeno (App. Annib. VIII. 7). Lo storico greco scrive come la
vera e propria Italia sia quella ‘al di quà’ dell’Appennino mentre l’Italia
adriatica e ionica è da considerarsi terra straniera di Galli e Greci. Questa
idea avrebbe portato con sé quella dell’exterminatio dei due popoli
transappenninici, appunto i Galli e i Greci273. Tale interpretazione, dunque,
andrebbe a inquadrare il rito come una ‘exterminatio’ simbolica dei due
popoli.
Ma è soprattutto importante sottolineare l’importanza strategica di tale pratica
rituale che si presenta come totalmente violatrice dell’ordine proposto dal
normale svolgersi degli atti religiosi abitualmente consentiti. A proposito
ricordiamo che più volte e’ stato osservato come in molte culture, il ‘rito
violatore’ costituito dall’uccisione degli interdetti venga a riproporsi
specificatamente in momenti di crisi per le comunità: si inscena un momento
di rottura dell’ ordine, di caos, ‘controllato’, dunque un ‘finto caos’ in risposta
274
ad una minaccia reale . Nella fattispecie l’inumazione delle due coppie di
viventi si colloca in momenti di grave pericolo bellico, allo scopo dichiarato di
stornare un possibile attacco nemico, ma anche agendo come elemento di
altissima rilevanza funzionale simbolica.
Ricordiamo comunque che l’inumazione di un essere vivente era prevista
272
Rimandiamo per un commento in chiave antropologica sull’essenza del rito alle
osservazione di E. De Martino in ‘Furore, Simbolo e Valore’, DE MARTINO 1962.
273
MAZZARINO 1966, vol. II, 1, p.213 ss.
274
Vedi BRELICH 2007, pp. 119-123.
101
non come rituale, ma come tipologia per una condanna a morte, ad esempio
per le sacerdotesse vestali accusate di violazione dell’obbligo di castità. Un
passo di Plinio riporta l’esecuzione del 228 a.C. con imputata la vestale
Tuccia 275.
Extat Tucciae Vestalis incesti deprecatio, qua usa aquam in cribro tulit anno
urbis DXVIII. Boario vero in foro Graecum Graecamque defossos aut aliarum
gentium, cum quibus tum res esset, etiam nostra aetas vidit. Cuius sacri
precationem, quae solet praeire XVvirum collegii magister, si quis legat,
profeto vim carminum fateatur, omnia ea adprobantibus DCCCXXX annorum
eventibus. Vestales nostras hodie credimus nondum egressa urbe mancipia
fuggitiva retinere in loco precatione. Plin. N.H. XXVIII. 12.
275
Cfr. Liv. Per. XX.
276
Vedi comunque FRASCHETTI 1981, p. 73.
277
Sulle vestali e Vesta, vedi BRELICH 1949.
278
FRASCHETTI 1981, p. 69-70.
102
Politica dei libri Sibillini e seconda guerra Punica.
279
Ci riferiamo a ‘La religion pendant la seconde Guerre Punique’ in DUMEZIL 1974, pp.
457-487;
280 BLOCH 1975.
BASSET 1966, pp. 258-273. PICCALUGA 1974a. L’identificazione Hercules-Herakles-col
dio fenicio Melqart è ben nota e al centro di innumerevoli studi. Cfr. VAN BERCHEM 1967,
(Sanctuaires d’Hercule-Melqart’); BONNET 1968, (Melqart. Cultes et mythes de l’Héraclès
tyrien en Méditterranée). Vedi anche VAN BERCHEM 1959-60, sulla possibile identificazione
di Hercules con Melqart nel culto dell’Ara Maxima ; cfr. SABBATUCCI 1992.
103
- 218 a.C.
La sconfitta del Ticino e i prodigi.
Nell’ inverno del 218 a.C., anno d’inizio della seconda guerra punica, Livio
ricorda numerosi prodigi, i quali si verificarono durante l’inverno281,
presumibilmente dopo la disfatta romana del Ticino, la prima grande sconfitta
282
inflitta ai Romani dal generale punico . I prodigia registrati in questo passo
vanno dunque compresi nell’ambito dello sconquasso portato dalla discesa di
Annibale in Italia e ad i disastri militari dell’anno.
Romae aut circa urbem multa ea hieme prodigia facta aut, quod evenire solet
motis semel in religionem animis, multa nuntiata et temere credita sunt, in
quis ingenuum infantem semenstremin foro olitorio triumphum calmasse, et in
foro boario bovem in tertiam contignationem sua sponte escendisse atque
inde tumultu habitatorum territum sese deiecisse, et navium speciem de caelo
adfulsisse, et aedem Spei, quae est in foro olitorio, fulmine ictam, et Lanuvi
hastam se commovisse et corvum in aedem Iunonis desolasse atque in ipso
pulvinari consedisse, et in agro Amiternino multis locis hominum specie
procul candida veste visos nec cum ullo congressos, et in Piceno lapidibus
pluvisse, et Caere sortes extenuatas, et in Gallia lupum vigili gladium ex
vagina raptus abstulisse. Ob cetera prodigia libros adire decemviri iussi; quod
autem lapidibus pluvisset in Piceno, novendiale sacrum edictum; et subinde
aliis procurandis prope tota civitas operata fuit. Iam primum omnium urbs
lustrata est hostiaeque maiores quibus editum est dis caese, et donum ex
auri pondo quadaginta Lanuvium Iunoni portatum est et signum aeneum
matronae Iunoni in Aventino dedicaverunt et lectisternium Caere, ubi sortes
attenuate erant, imperatum, et supplicatio Fortunae in Algido; Romae quoque
et lectisternium Iuventati et supplicatio ad aedem Herculis nominatim, deinde
universo populo circa omnia pulvinaria indicta, et Genio maiores hostiae
caesae quinque, et C.Atilius Seranus praetor vota suspicere iussus, si
in..decem annos rea publica eodem stetisset statu. Haec procurata votaque
ex libris Sibyllinis magna ex parte levaverant religione animos. Liv. XXI. 62.283
281
Cfr. Val. Max. I. 6. 5; Dio XII. (Zon. VIII. 22.5)
282
Liv. XXI. 39-47.
104
La prima cosa che si può mettere in rilievo, è che questa è la prima occasione
in cui vengono specificati i luoghi dove si verificarono prodigia avvenuti fuori
dall’ager Romanus. Se, come abbiamo detto, la volonta’ di farsi carico
dell’espiazione dei prodigia riguardanti altre città si delinea come strategia
volta a stabilire un preciso ruolo religioso-politico nei confronti di tali realtà, in
una situazione di guerra, tale esigenza doveva essere ancora più forte e
rivolta in particolare ai centri che davano maggiormente segnali di possibile
defezione 284.
Alla vigilia della discesa di Annibale in Italia, l sistema di alleanze tra Roma e
le comunità d’Italia non comprese nell’ ager romanus si presentava da tempo
consolidato, ed era imperniato su rapporti bilaterali che legavano direttamente
le singole comunità-stato all’unica potenza romana. Le comunità, così
sottomesse, erano stati sovrani per quanto riguardava gli affari interni, ma
non potevano condurre una politica indipendente nel campo delle relazioni
esterne, salvo rari casi, ed erano tenute ad offrire contingenti a Roma, la
realtà egemone285. Nel corso della guerra Annibalica, questo sistema di
alleanze venne messo a dura prova, con la defezione di molte comunità
283
A Roma o nei dintorni della città accaddero durante quell’inverno dei prodigi. Ma è anche
possibile che, come capita quando le menti sono turbate, ne siano stati raccontati molti e poi
siano anche stati sconsideratamente creduti. Eccone qualche esempio: un fanciullo di sei
mesi, nato libero, lanciò il grido “Io trionfo” nel foro Olitorio; nel foro Boario un bue salì di sua
iniziativa fino al terzo piano di un’edificio e da lì, atterito dal tumulto degli inquilini, si butto di
sotto; nel cielo apparirono le immagini sfolgoranti di alcune navi; il tempio di Spes, che si
trovava nel foro Olitorio fu colpito da un fulmine; a Lanuvio una vittima sacrificale si era
mossa e un corvo era volato nel tempio andando a posarsi proprio sul pulvinare; nel territorio
di Aminterno, in molti luoghi, si manifestarono delle apparizioni che avevano forma umana e
che non si erano avvicinate a nessuno; nel Piceno erano piovute pietre e a Cere le sorti
erano diminuite di volume; in Gallia un lupo aveva strappato dal fodero di una guardia la
spada e l’aveva portata via. Anche per altri prodigi,i decemviri ebbero l’ordine di andare a
consultare i libri; per la pioggia di pietre nel Piceno fu indetto un novendiale e quasi tutti i
cittadini si adoperarono per espiare gli altri prodigi. Prima di ogni altra cosa si provvide alla
purificazione della città e furono immolate vittime adulte in onore degli dei che i responsi
avevano indicato. A Giunone, nel suo tempio di Lanuvio, furono portate in dono quaranta
libbre d’oro. Sempre a Giunone, le matrone consacrarono una statua bronzea sull’Aventino.
A Cere, dove le sortes erano diminuite i volume, fu indetto un lettisternio e fu indetta anche
una supplica alla dea Fortuna sul monte Algido. Furono poi indetti in Roma un lettisternio alla
Giovinezza e una supplicazione riservata presso il tempio di Ercole e poi da parte di tutto il
popolo in tutti i templi. Al Genio furono sacrificate cinque vittime adulte. Fu poi incaricato il
pretore C. Attilio Serrano di formulare voti agli dei, se la repubblica fosse rimasta nelle stesse
condizioni per i dieci anni successivi. Queste purificazioni e queste promesse, compiute
secondo le prescrizioni dei libri Sibillini, avevano liberato la maggior parte degli animi dal
terrore della superstizione.
284
Cfr. MAC BAIN 1982, pp.34 ss.
285
Vedi LAFFI 1990, p. 285.
105
italiche a favore dei cartaginesi286.
Un’elemento della strategia di Annibale consisteva, appunto, nel cercare di
crearsi nuovi alleati fra le genti italiche e galliche, strategia già attuata
ampiamente nella sua discesa attraverso le Alpi287.
Vediamo di interpretare le notizie per l’anno in questione alla luce di quanto
detto sopra. Il prodigio riguardante la spada rubata da un lupo ad un soldato
in Gallia, può essere messo in relazione, e col timore di possibili passaggi di
popolazioni galliche ai Cartaginesi, ma anche con la conquista romana della
Gallia Cisalpina, completata proprio nel 218 a.C., con la fondazione delle
colonie di Cremona e Piacenza a seguito della sconfitta delle tribù galliche dei
288
Boi e degli Insubri . Analogamente, la pioggia di pietre, che si verifica nel
Piceno è da ritenersi collegato col fatto che Roma aveva al momento interessi
precisi nella regione della quale voleva accellerare il processo di
colonizzazione avviata dl tribuno Caio Flaminio nel 232 a.C. La zona era
cruciale, in quanto il Piceno aveva rappresentato, sul versante adriatico, la via
di penetrazione dei Galli verso l’Italia centrale 289.
Pure l’accettazione di prodigi verificatasi ad Amiterno e a Cere può essere
considerata come diretta al rafforzamento dei rapporti con tali città, centri
rispettivamente sannita ed etrusco.
A Cere, in particolare, il lettisternium per espiare la diminuzione delle sorti,
forse era rivolto alla dea Fortuna, tanto più che Livio riporta anche di una
supplica alla dea sul monte Algido, dove è detto che sorgeva un tempio della
dea. Questa ultima iniziativa può essere letta come un azione volta a
bilanciare gli onori rivolti alla Fortuna etrusca.
Nella espiazione dei prodigia dell’anno particolare importanza ha Iuno, a cui
non solo sono riservati grandi onori a Lanuvio, ma anche piacula predisposti a
Roma. Ricordiamo che a Lanuvio sui monti Albani sorgeva l’importante
santuario di Iuno Sospita, e che culti a Giunone erano ampiamente diffusi in
290
tutto il Lazio e nell’Italia centrale . Il prodigium avvenuto nel tempio di Iuno
286
Vedi LAFFI 1990.p. 285-287.
287
Liv. XXI. 30-40. Vedi BLOCH 1975.
288
Vedi GABBA 1990b, p.71.
289
Vedi GABBA 1990b, p. 69-72.
290
SABBATUCCI 1988, p.39. Giunone Sospita era onorata a Roma con l’epiteto di Regina.
106
Sospita a Lanuvio viene espiato con la donazione dell’oro e si spiega con la
volontà romana di rinsaldare i rapporti e le alleanze con le popolazione centro
italiche e latine; anche negli anni seguenti, come vedremo Iuno sarà
destinataria di una serie di iniziative devozionali, sempre a seguito di prodigi
di diversa natura, (negli anni 217, 215, 207, 200 a.C.) 291.
Ma se l’importanza della dea in questi anni si può spiegare certamente in
chiave “pan-laziare” (con Roma che si propone come leadership religiosa ),
anche l’identificazione della divinità con Astarte, importante divinità punica,
dovette giocare il suo ruolo
La presenza di Astarte in Italia sembra essere attestata dalla famosa
iscrizione bilingue etrusco-punica rinvenuta a Pirgy, porto etrusco di Cere.
L’iscrizione riguarda la dedica di un edificio sacro ad Astarte, qui identificata
con la Uni etrusca, corrispondente alla Iuno romana 292.
Un altro possibile indizio di una dentificazione di Iuno con Astarte è
rappresentato dall’episodio, riportato da Livio, in cui Annibale, nel corso della
sua discesa in italia, dedica un altare al tempio di Iuno Lacinia con un
epigrafe redatta in punico e greco. (Liv. XXVIII. 46 16) 293.
Delle altre misure adottate a Roma anche il lectisternium indetto a Iuventus e
i sacrifici rivolti al Genius di Roma, possono essere messe in relazione con
Iuno. In particolare, Iuventus ed il Genius paiono chiamati in causa per
bilanciare il carattere prevalentemente femminile che i piacula avevano
assunto per quell’anno294.
291
Per Giunone durante la seconda punica, vedi BLOCH 1969, pp. 58-65; DUMEZIL 1974, p.
463-469; BLOCH 1976, pp. 1-42 ; BREGLIA PULCI DORIA 1983, pp 147-154.
292
Su Pyrgi ed il famoso ritrovamento della iscrizione bilingue, vastissima bibliografia. Una
messa a punto, anche bibliografica in BONNET 1996, p. 120 – 125, e nota 83. Per la
possibilità di una ‘triplice’ interpretatio Astarte=Uni=Giunone Lucina, vedi BLOCH 1976 e
BLOCH 1981, pp. 123 – 135. La valutazione dell’ iscrizione di Pyrgi e l’identificazione delle
divinità è comunque molto complessa. Altro importante centro di culto di Astarte si trovava in
Sicilia presso Erice, vedi infra, nota 314.
293
Vedi BLOCH 1976, BREGLIA PULCI DORIA 1983 p. 149.
294
Vedi DUMEZIL 1974, loc.cit.
107
- 217 a.C./a
I terribilli signa seguenti alla sconfitta della Trebbia.
108
haberetur; cetera, cum decemviri libros inspexissent, ut ita fierent
quemadmodum cordi esse divinis <e> carminibus praefarentur.
Decemvirorum monitu decretum est Iovi primum donum fulmen aureum
pondo quinquaginta fieret, Iunoni Minervaeque ex argento dona darentur et
Iunoni Reginae in Aventino Iunonique Sospitae Lanuvi maioribus hostiis
sacrificaretur, matronaeque pecunia conlata quantum conferre cuique
commodum esset donum Iunoni Reginae in Aventinum ferrent
lectisterniumque fieret, et ut libertinae et ipsae unde Feroniae donum daretur
pecuniam pro facultatibus suis conferrent. Haec ubi facta, decemviri Ardeae
in foro maioribus hostiis sacrificarunt. Postremo Decembri iam mense ad
aedem Saturni Romae immolatum est, lectisterniumque imperatum – et eum
lectum senatores straverunt – et convivium publicum, ac per urbem
Saturnalia diem ac noctem clamata, populusque eum diem festum habere ac
servare in perpetuum iussus. Liv. XXII. 1. 8-20 297.
297
Ad aumentare la paura, da diverse parti furono annunciati dei prodigi: avevano preso
fuoco in Sicilia le punte delle armi di alcuni soldati e, in Sardegna, un bastone tenuto in mano
da un cavaliere che stava effettuando il suo turno di guardia attorno alle mura; sui litorali si
erano visti risplendere fuochi più e più volte; due scudi avevano sudato sangue; alcuni soldati
erano stati colpiti da fulmini; era sembrato che il disco del sole si rimpiciolisse; a Preneste
erano cadute dal cielo delle pietre infuocate; ad Arpi erano apparsi in cielo degli scudi mentre
il sole combatteva con la luna; a Capena erano sorte, in pieno giorno, due lune; a Cere si era
vista sgorgare acqua mista a sangue; la stessa fonte di Ercole aveva fatto scorrere acqua in
cui si vedevano dei grumi di sangue; ad Anzio, ad alcuni mietitori erano cadute nelle ceste
delle spighe insanguinate; a Faleri il cielo si era aperto e da quello che sembrava un enorme
squarcio si era vista brillare una luce intensissima; le sortes erano diminuite di volume senza
cause evidenti e ne era caduta una che recava questa scritta: “Marte scuote la sua asta”;
nelle stese ore, a Roma, la statua di Marte sulla via Appia e le statue dei lupi avevano
sudato; a Capua si era visto il cielo incendiarsi mentre la luna precipitava in mezzo alla
pioggia. Ebbero poi credito anche prodigi meno clamorosi; alcuni si trovarono con le capre
trasformate in pecore; una gallina divenne gallo e un gallo divenne gallina. Quando questi
prodigi furono riferiti esattamente come erano stati annunziati dai testimoni introdotti in Curia,
il console consultò i senatori sulla liturgia da seguire.
Fu decretato che quei prodigi venissero espiati in parte con vittime adulte, in parte con
animali da latte, mentre dovevano essere tenute suppliche per tre giorni in tutti i templi. Gli
altri prodigi, dopo che i decemviri avessero consultato i libri, dovevano essere espiati nel
modo che i decemviri avessero riferito essere caro agli dei, stando alle formule dei libri.
Secondo le indicazioni dei decemviri, fu decretato come prima cosa che fosse offerto a Giove
il dono di un fulmine d’oro del peso di cinquanta libbre; a Giunone e a Minerva dovevano
essere offerti doni d’argento; a Giunone Regina sull’Aventino e a Giunone Sospita a Lanuvio
dovevano essere sacrificate vittime adulte. Inoltre le matrone, raccolto del denaro secondo le
possibilità di ognuna, dovevano portarlo in dono a Giunone Regina sull’Aventino; doveva
essere celebrato un lettisternio e poi anche le liberte dovevano raccogliere una somma in
proporzione alle proprie ricchezze per fare un dono alla dea Feronia. Quando tutto ciò fu
eseguito, i decemviri sacrificarono un toro nel foro di Ardea e delle vittime adulte. Infine,
essendo ormai giunto dicembre, fu compiuto un sacrificio a Roma nel tempio di Saturno e
furono indetti un lettisternio (furono i senatori a preparare il letto) e un pubblico banchetto. In
tutta la città risuonarono per un giorno e una notte le grida dei Saturnali. Fu ordinato al
popolo di considerare sacro quel giorno e di mantenerlo tale per sempre.
109
erano state sedate soltanto nel 225 a.C.298 Analogamente, la vittoria nella
prima guerra Punica aveva portato alla fondamentale conquista della Sicilia,
divenuta nel 241 a.C. prima provincia romana299. Come si può vedere
dall’elenco, i portenta verificatisi nelle due isole riguardano la vita militare
degli eserciti. Si può supporre che l’interessamento dimostrato a Roma per il
riconoscimento e quindi l’espiazione di tali prodigi fosse diretto a sostenere il
morale degli eserciti.
Fra le altre località elencate, Arpi, importante centro commerciale dell’Apulia,
si alleò con i Cartaginesi dopo la sconfitta di Canne. Analogamente, Capua,
(di cui il prodigio va evidentemente identificato con un’eclisse) si alleò ad
Annibale dopo Canne. E’ probabile che già per l’anno in questione le due città
destassero particolare preoccupazione e si puntasse a rinforzarne i rapporti
con l’Urbs. Capena si trovava vicino a Cere, e l’espiazione dei loro prodigi era
un evidente messaggio agli etruschi; in particolare abbiamo già visto che a
Cere l’anno prima si era accettato il prodigio per cui le sorti erano diminuite di
numero. Il prodigio del 117 a.C. riguardava Hercules, l’altra divinità che come
Iuno ricorre spesso negli eventi portentosi di questi anni. Il sangue appare
anche nei fatti di Anzio.
Passiamo ora a considerare i fatti riguardanti Faleri; essi sono esplicitamente
messi in relazione coi prodigia accaduti a Roma e coinvolgono la sfera di
Marte. Anche altri prodigi del nostro elenco possono essere messi in
relazione col dio. Come abbiamo già visto in Sicilia e in Sardegna i prodigia
riguardano soprattutto la vita militare; in particolare in Sicilia sono le punte
delle armi a prendere fuoco, armi che rimandano alla lancia, l’arma cara al dio
300
; interessante anche il prodigio di Arpi in cui gli scudi appaiono in cielo;
scudi che richiamano alla mente quelli portati in processione dai Salii il primo
marzo, processione che inaugurava la stagione della guerra301. E’ strano, che
il passo non riporti nessun remedium rivolto esplicitamente a questa divinità,
298
Un nuovo tentativo di rivolta verrà a verificarsi nel 115 a.C., con le popolazioni sarde
dell’interno sostenute da Cartagine e dalle città puniche della costa. Sulla colonizzazione
romana della Sardegna, vedi PAIS 1923, pp. 13 ss.
299
Vedi GABBA 1990, pp. 61-65.
300
Cfr. SABBATUCCI 1988 p.94-95.
301
Ricordiamo che gli scudi dei Salii erano stati fatti, per ordine di Numa, ad immagine di uno
caduto dal cielo. SABBATUCCI 1988, loc. cit.
110
come invece ci aspetteremo. Forse le cerimonie in onore di Marte vanno
inseriti nei sacrifici ordinati dal senato accanto ai tre giorni di suppliche in tutti
i templi. I decemviri comunque ebbero l’ordine di consulatare i libri solo dopo
l’esecuzione delle cerimonie, sulle quali si erano già pronunciati i patres,
esplicitamente consultati dal console de religione, cioè riguardo alla retta
modalità di procedere nel culto. Tutti i piacula disposti da questi ultimi sono
volti, di nuovo, principalmente a Giunone, già presente nei rituali dell’anno
precedente. Viene nuovamente onorata Iuno Sospita a Lanuvio e Iuno
Regina sull’Aventino a cui le matrone sono chiamate a offrire un dono.
Vengono inoltre offerti doni alle tre divinità formanti la triade capitolina,
Iuppiter, Iuno e Minerva; questi doni dovevano sia onorare gli dei reggitori
dello stato, e in particolare Iuppiter, e probabilmente “bilanciare” la
preminenza degli onori riservati a Iuno.
Nei riti di quest’anno importante la mobilitazione del mondo femminile nel suo
insieme, dove le liberte sono coinvolte accanto alle matrone. In particolare,
esse sono invitate ad offrire le loro ricchezze alla dea Feronia, il cui santuario
nei pressi di Terracina era un famoso centro di scambi tra le classi sociali.
Infatti valeva come luogo di emancipazione degli schiavi 302.
L’espiazione coinvolge così anche il complesso e stratificato mondo della
condizione servile, in una prospettiva di integrazione di questo nella vita
civica. In quest’ ottica si deve leggere anche il lectisternium a Saturno e il
prolungamento di un giorno dei Saturnali. Queste festività, riproponevano lo
sfondo comune delle festa di Capodanno con l’inversione di tutti i ruoli sociali
- erano i padroni a dover servire gli schiavi 303.
Alle espiazioni del’anno in questione può inoltre essere collegata la notizia di
Macrobio, secondo cui durante la guerra Punica, per espiare alcuni prodigia,
su indicazione dei libri Sibillini si era tenuta una supplicatio a cui erano state
chiamate a partecipare le liberte, nonché un coro di fanciulli sia ‘liberi’ che
liberti.
302
L’emancipazione dalla condizione servile è amministrata in moltissimi santuari legati a
diverse figure divine in tutto il mediterraneo; vedi BOEMER 1963.
303
Vedi SABBATUCCI 1988, p.343 - 355. Sul valore della ‘festa di Capodanno’ vedi anche la
interpretazione antropologica, di V. Lanternari ‘La grande festa’, LANTERNARI 1976.
111
[…] libertinorum quoque filiis praetexta concessa est ex causa tali, quam
M.Laelius augur refert; qui bello Punico secundo duumviros dicit ex senatus
consulto propter multa prodigia libros Sibyllinos adisse et inspectis his
nuntiasse, in Capitolio supplicandum lectisterniumque ex collata stipe
faciendum, ita ut libertinae quoque, quae longa veste uterentur, in eam rem
pecuniam subministrarent. Acta igitur obsecratio est pueris ingenuis itemque
libertinis, sed et virginibus patrimis matrimisque pronuntiantibus carmen: ex
quo concessum ut libertinorum quoque filii, qui est dumtaxat matre familias
nati fuissent, togam praetextam et lorum in collo pro bullae decore gestarent.
Macrob. Sat. I. 6. 13-14.304
304
Durante la seconda guerra Punica, in esecuzione di un decreto del senato per i molti
prodigi avvenuti, i duumviri consultarono i libri Sibillini, e dopo averli esaminati, annunziarono
che bisognava fare una supplica in Campidoglio ed un banchetto sacro con il ricavato di una
colletta a cui potevano partecipare anche le liberte autorizzate a portare la veste lunga. Si
tennero dunque le pubbliche preghiere e l’inno fu cantato da fanciulli liberi e liberti insieme e
da vergini, non orfani né di madre né di padre; da allora anche ai figli dei liberti, purchè nati
da matrimonio legittimo, fu concesso di portare la toga pretesta, e un collare di cuoio in luogo
dell’ornamento del ciondolo.
305
La bulla era un ciondolo, indossato dai ragazzi fino al raggiungimento dell’età virile,
quando veniva deposta insieme alla toga praetexta; Pers. V. 31. Come privilegio, i figli dei
senatori e dei cavalieri potevano portare la bulla aurea, mentre agli altri ingenui delle classi
più povere era consentito portare una bulla di cuoio, il lorum. Vedi DARENBERG-SAGLIO,
s.v. Bulla.
112
-217 aC. /b
Gli errori di Caio Flaminio, la disfatta del Trasimeno ed i remedia di
Fabio Massimo.
Q. Fabius Maximus dictator iterum, quo die magistratum iniit, vocato senatu,
ab dis orsus, cum edocuisset patres plus neglegentia caerimoniarum
auspiciorumque quam temeritate atque inscitia peccatum a C. Flaminio
consule esse, quaeque piacula irae deum essent ipsos deos consulendos
esse, percivit, ut, quod non ferme decernitur, nisi cum taetra prodigia nuntiata
sunt, decemviri libros Sibyllinos adire iuberentur. Qui inspectis Fatalibus libris
rettulerunt patribus, quod eius belli causa votum Marti foret, id non rite factum
de integro atque amplius faciundum esse, et Iovi ludos magno et aedes
Veneri Erycinae ac Menti vovendas esse et supplicationem lectisterniumque
habendum et ver sacrum vovendum, si bellatum prospere esset resque
publica in eodem, quo ante bellum fuisset, statu permansisset. Senatus,
quoniam Fabium belli cura occupatura esset, M. Aemilium praetorem ex
collegii pontificum sententia, omnia ea ut mature fiant, curare iubet. His
senatus consultis perfectis L. Cornelius Lentulus Pontifex Maximus
consulente collegium praetore omnium primum populum consulendum de
vere sacro censet; iniussu populi voveri non posse. Rogatus in haec verba
populus ‘Velitis iubeatisne haec sic fieri? Si Res Publica Populi Romani
Quiritium ad quinquennium proximum, sicut velim eam salvam, servata erit
hisce duellis, quod duellum populo Romano cum Carthaginiensi est quaeque
duella cum Gallis, sunt qui cis Alpes sunt, tum donum duit Populus Romanus
Quiritium quod ver attulerit ex suillo ovillo caprino bovillo grege quaeque
profana erunt Iovi fieri, ex qua die senatus populusque iusserit […]. Eiusdem
rei causa ludi magni voti aeris trecentis triginta tribus milibus trecentis triginta
tribus triente, praeterea bubus Iovi trecentis, multis aliis divis bubus albis
atque ceteris hostiis. Votis rite nuncupatis supplicatio edicta; supplicatumque
iere cum coniugibus ac liberis non urbana multitudo tantum, sed agrestium
etiam, quos in aliqua sua fortuna publica quoque contigebat cura. Tum
306
Vedi Liv. XXII. 4-7.
307
Liv. XXII. 8-12.
308
Vedi anche Plut. Fab. IV. 4-7.
113
lectisternium per triduum habitum decemviris sacrorum curantibus: sex
pulvinaria in conspectu fuerunt: Iovi ac Iunoni unum, alterum Neptuno ac
Minerae, tertium Marti ac Veneri, quartum Apollini ac Dianae, quintum
Vulcano ac Vestae, sextum Mercurio et Cereri. Tum aedes votae: Veneri
Erycinae aedem Q. Fabius Maximus dictator vovit, quia ita ex fatalibus libris
editum erat, ut is voveret, cuius maximum imperium in civitate esset; Menti
aedem T. Otacilius praetor vovit. Liv. XXII. 9. 7-11 309.
309
Quinto Fabio Massimo, dittatore per la seconda volta, convocò il senato nel giorno stesso
in cui entrò in carica. Cominciò a parlare affrontando l’argomento religioso e illustrò ai
senatori come il console C.Flaminio avesse sbagliato più per noncuranza dei sacri riti e degli
auspici che per temerarietà e incapacità, e che bisognava consultare gli dei stessi su quali
fossero i mezzi per placare la loro ira. Riuscì ad ottenere che si desse ordine ai decemviri di
consultare i libri Sibillini, cosa che di solito non viene deliberata se non quando sono stati
annunciati terribili prodigi. I decemviri, esaminai i libri Fatali, riferirono ai senatori che il voto
fatto a Marte per quella guerra, non essendo stato fatto secondo i riti, doveva essere fatto
daccapo e più solennemente, e che si doveva far voto di grandi giochi a Giove e di templi a
Venere Erycina e a Mente e si dovevano tenere una supplicazione e un lettisternio e si
doveva far voto di una primavera sacra, se si fosse combattuto con successo e la repubblica
fosse rimasta nella medesima condizione in cui era stata prima della guerra. Il senato, poiché
la cura della guerra avrebbe tenuto occupato Fabio, dà ordine al pretore M.Emilio di
procurare che tutte quelle prescrizioni siano subito attute, secondo il volere del collegio dei
pontefici. Redatti questi senatoconsulti, il Pontefice Massimo L.Cornelio Lentulo, durante la
consultazione del collegio da parte del pretore, esprime il parere che prima di tutto si debba
consultare il popolo circa la primavera sacra; questa non può essere offerta in voto senza
l’autorizzazione del popolo. La proposta fu fatta al popolo secondo questa formula: ‘volete e
ordinate che questi ritiavvengano in questo modo? Se la repubblica del popolo romano dei
Quiriti nei prossimi cinque anni si salverà, come io vorrei che si salvasse, da queste guerre,
dalla guerra che il popolo romano ha con quello cartaginese, dalla guerra con i Galli che sono
al di qua delle Alpi, allora il popolo romano dei Quiriti dia in dono: tutto ciò che la primavera
produrrà di suini, pecore, capre, buoi, tutto ciò che di solito non si consacra agli dei sia
sacrificato a Giove, dal giorno che il senato e il popolo Romano avranno fissato […] Per il
medesimo scopo furono votati i grandi giochi per la somma di trecentotrentatremila
<trecentotrè> assi e un terzo, con inoltre trecento buoi a Giove , molti buoi bianchi e le altre
vittime ad altri dei. Pronunciati i voti secondo i riti, fu indetta la supplicazione; e si recarono in
gran folla a supplicare con le mogli ed i figli non solo gli abitanti della città, ma anche i
contadini, […]. Si celebrò per tre giorni il lettisternio, per cura dei decemviri addetti al culto.
Sei furono i letti sacri pubblicamente esposti: uno a Giove e a Giunone, un altro a Nettuno e a
Minerva, un terzo a Marte e a Venere, un quarto a Apollo e a Diana, un quinto a Vulcano e a
Vesta, un sesto a Mercurio e a Cerere. Poi furono promessi in voto i templi: il tempio a
Venere Ericina fu offerto in voto dal dittatore Q. Fabio Massimo, poiché era stato ordinato dai
libri fatali che a farne voto fosse colui il quale aveva nella città il supremo potere; il tempio a
Mente fu offerto in voto dal pretore T.Otacilio
310
Su questo punto e i rimandi successivi, vedi DUMEZIL 1974, p. 472-473.
114
segnalato per un votum a Mars non rite factum.
Il coinvolgimento di Marte è importante. La divinità era già stata implicata nei
prodigia seguenti alla sconfitta presso la Trebbia, come abbiamo visto;
l’accenno ad un voto fatto a Mars, potrebbe riferirsi ai voti espressi da Attillio
Serranio nel 118 a.C., per i quali Livio non specifica la divinità destinataria.
Una particolare attenzione a propiziarsi il favore del dio della guerra è
facilmente comprensibile dopo una sconfitta. G.Dumezil parla di una ‘sfrenata
manifestazione di Marte’, riscontrabile nella descrizione liviana della
disastrosa battaglia presso il Lago Trasimeno. (Liv. XXII. 5. 7-8) 311.
Sulle altre divinità implicate è stato osservato da G.Dumezil come le
cerimonie religiose, dopo la sconfitta del Trasimeno, non pongano in evidenza
alcuna divinità invocata in seguito alla disfatta della Trebbia – a parte Giove, il
reggitore dello stato romano. La disastrosa sconfitta avrebbe respinto quelli
dèi, quasi ne fosse stata dimostrata l’insufficienza. Iuppiter invece, sarebbe
stato particolarmente onorato, poichè Flaminio aveva offeso gli auguri in
primo luogo 312.
L’espiazione del comportamento di Flaminio prevede anche l’introduzione di
una nuova divinità, Mens, introdotta per rimediare alla ‘carenza di mente’ con
la quale Flaminio aveva affrontato il nemico. Livio, per descrivere il
comportamento di Fabio sugli Appennini, usa numerose parole come cautus,
consilia, sollertia, che si ricollegano alla sfera di Mens a che contrappone
temeraritas. Il calcolato comportamento di Fabio contrappone anche la nuova
dea del dittatore, la ‘previdente’ Mens alla improvvida e imprevedibile
313
Fortuna, la divinità del console Flaminio . Possiamo osservare che il piano
dei libri Fatales è presentato come un disegno lungimirante e cautelato
rispetto all’improvvisazione sottointesa alla sfera di Fortuna.
Accanto al tempio a Mens, venne anche promesso uno a Venus Erycina.
Ambedue i templi sorgevano sul Campidoglio, e vennero dedicati
contemporaneamente (Liv. XXIII. 30. 9.).
Il voto a Venus rientrava nella strategia di ‘appropriamento’ delle divinità
311
DUMEZIL 1974, pp. 469-470.
312
DUMEZIL 1974, p. 469.
313
DUMEZIL 1974, p. 472-473; cfr. SABBATUCCI 1988 p. 200-201; Vedi anche MONTANARI
1976.
115
nemiche. La Venus Erycina intendeva richiamare l'Aphrodite venerata in
Sicilia sul monte Erice, divinità intesa anche questa, alla pari di Iuno, come
l’Astarte punica314. La Venus Erycina venne altresì interpretata come la Mater
315
Aeneadum , e quindi adottata per richiamare le origini troiane di Enea e di
Roma in un momento pericoloso della guerra contro Cartagine, in cui i
Romani intendevano ribadire il legame con la Sicilia che da poco era passata
ad essere provincia, ed era contesa dai Punici.
Passiamo ora ad analizzare il particolare piaculum del Ver Sacrum. Il rito
consisteva nella consacrazione agli dei, di tutti i ‘nati’ della primavera
seguente al voto, fra cui i prodotti della terra, la prole animale e quella umana.
Normalmente, quest’ultima non veniva immolata, ma inviata ad insediarsi
altrove; il rito è presente nei miti di fondazione di molte etnie italiche che si
presentavano appunto come ‘germinate’ da altre popolazioni in seguito ad
una ‘primavera sacra’316.
La richiesta di una celebrazione di questo rito è unica nei Sibillini e va
considerata come eccezionale; coinvolgeva unicamente la prole animale, la
quale sarebbe stata sacrificata nei cinque anni consecutivi a Giove. Anche la
dedica a questa divinità è stata considerata eccezionale, in quanto le
primavere sacre appartenevano principalmente a Marte. Ma Iuppiter può
ritenersi la divinità maggiormente offesa dal comportamento empio di
Flaminio, e per cui la principale da onorare.
314
Sul culto di Astarte a Eryce, e sulla identificazione Aphrodite-Venus-Astarte, BONNET
1996, p. 115 – 120. Su Venus Erycina, CHIRASSI COLOMBO 2006, pp.233 ss. Vedi anche
SABBATUCCI 1988 p. 133 - 134. Sull’uso della religione nella acculturazione romana della
Sicilia, vedi SCHILLING 1965; CHIRASSI COLOMBO 2006. Secondo G.Dumezil, nell’ordine
gerarchico del voto del 117 a.C., Mens sarebbe una sorta di ‘accolita’ di Venus Erycina in
quanto spettò al dittatore votare il tempio di Venere, ed al pretore quello di Mens; DUMEZIL
1974, loc.cit. Su Venus in generale, rimane valido SCHILLING 1954.
315
Virgilio (Aen. V. 759-760), indica Enea come fondatore del santuario in vertice Erycino alla
Venus Idalia, toponimo che rimanda ad una connotazione anatolica, al monte Ida nella
Troade. Vedi CHIRASSI COLOMBO 2006, pp.233 ss.
316
L’esempio più conosciuto è quello dei Sanniti, di cui Strabone (V. 4. 12) descrive l’origine
da un Ver Sacrum votato dai Sabini. Sul Ver Sacrum vedi HUERGON 1957 e CHIRASSI
COLOMBO 2006 p.220-221.
116
- 216 a.C.
Il baratro di Canne: l’orrore della fine, lo stuprum della vestali e il
secondo ‘delitto rituale’.
La sconfitta romana a Canne del 216 a.C. segna il momento più drammatico
della seconda guerra Punica317. Subito dopo la battaglia si decreta che i
decemviri consultino i libri Sibillini. Il prodigium è costituito dallo stuprum,
inteso come violazione dell’obbligo di castità, da parte di due vestali.
Territi etiam super tantas clades cum ceteris prodigis, tum quod duae
vestales eo anno, Opimia atque Floronia, stupri compertae et altera sub terra,
uti mos est, ad Portam Collinam necata fuerat, altera sibimet ipsa mortem
consiverat; L. Cantilius scriba pontificius, quos nunc minores pontifices
appelant, qui cum Floronia stuprum fecerat, a Pontifice Maximo eo usque
virgis in comitio caesus erat ut inter verbera expiraret. Hoc nefas cum inter
tot, ut fit, clades in prodigium versum esset, decemviri libros adire iussi sunt
et Q.Fabius Pictor Delphos ad oraculum missus est sciscitatum quibus
precibus suppliciisque deos possent placare et quaenam futura finis tantis
cladibus foret. Interim ex Fatalibus libris sacrificia aliquot extraordinaria facta,
inter quae Gallus et Galla, Graecus et Graeca in foro bovario sub terram vivi
demissi sunt in locum saxo consaeptum, iam ante hostiis humanis, minime
Romano sacro, imbutum. Liv. XXII. 57. 2-6 318.
Nel passo di Livio leggiamo come in questa occasione venne un’altra volta
eseguito il ‘sacrificio umano’, cioè l’inumazione di una coppia di galli ed una di
greci, come già avevano ordinato i Sibilllini nell’anno 228 a.C. Esplicitamente
in questo caso, Livio definisce il rito minime romanum sacrum, un
317
Liv. XXII. 44-50.
318
La gente già angosciata per così grandi disastri, si spaventò non solo per ogni tipo di
prodigio, ma anche per il fatto che in quell’anno due vestali, Opimia e Floronia, furono
riconosciute colpevoli di stuprum (violazione del obbligo di castità): l’esecuzione di una delle
due vestali era avvenuta, come sempre in questi casi, seppelendola viva, mentre l’altra si era
suicidata. Lucio Cantilio, segretario dei pontefici (o pontefice minore, secondo la
denominazione odierna), il quale aveva avuto una relazione con Floronia, era stato bastonato
con tanta violenza dal pontefice massimo nel comizio che era morto tra le percosse. Poiché
questo atto di empietà, come accade in un clima appesantito dalle disgrazie era stato visto
come un prodigio, i decemviri ricevettero l’ordine di andare a consultare i libri Sibillini. Quinto
Fabio Pittore fu mandato a Delfi per chiedere con quali preghiere e con quali suppliche i
Romani potessero placare gli dei e quale fine avrebbero mai avuto così diverse disgrazie. E
intanto, seguendo le indicazioni dei libri Fatali, furono tenuti alcuni sacrifici straordinari: tra
questi un uomo e una donna di origine gallica insieme ad un uomo ed a una donna di origine
greca furono sepolti vivi nel foro Boario, in un luogo recintato da pietre che già in precedenza
era stato impegnato dal sangue di vittime umane, con un rito per nulla affato romano. Cfr.
Per. XXII ; Plut. Fab. Max. 18 ; Ovid. Fast. IV. 157-160.
117
procedimento ‘per nulla romano’. Possiamo ipotizzare che in questo caso lo
stuprum, violazione di un corpo interdetto, venisse considerato alla stregua di
un prodigium preannunciante un possibile attacco esterno, oltre che una
colpa portatrice di impurità all’interno dell’ Urbs. Se la consultazione dei libri
rientrava nella prassi normale in situazioni del genere non altrettanto può dirsi
dell’ambascata di Fabio Pittore a Delfi. Come valutare questa ambasciata? Il
viaggio di Pittore doveva servire a ben circostanziati bisogni politici. Forse lo
scopo era quello di stabilire contatti con gli Etoli; ricordiamo che il trattato
319
romano-etolico è di quattro anni più tardi .
319
Cfr. GAGE’ 1955, p. 267; BREGLIA PULCI DORIA 1988, p. 155. Sul significato politico
dell’alleanza con gli Etoli, vedi CLEMENTE 1990, p. 82.
118
- 212 e 208 a.C.
Le profezie del misterioso Marcio e i ludi Apollinares.
Nel 212 a.C. su indicazione dei decemviri vengono istituiti i Ludi Apollinares,
giochi in onore di Apollo, di cui l’esecuzione era affidata ai decemviri stessi.
L’istituzione di questi ludi chiude un periodo molto complesso.
Sappiamo da Livio che nell’anno precedente, il 213 a.C., il pretore M. Emilio
era stato incaricato dal senato di compiere un’ indagine (conquisitio) sui libri
profetici. Lo scopo potrebbe essere stato quello di controllare la circolazione
non ufficiale di profezie, cosa a cui Roma prestava particolare attenzione. Il
pretore era venuto così in possesso di due profezie attribuite ed un misterioso
‘Marcio’320. Una delle due dichiarava di aver previsto la battaglia di Canne;
l’altra prometteva ai Romani di vincere la guerra sui Cartaginesi e gloria
imperitura in cambio della celebrazione di giochi ad Apollo.
I giochi vennero di fatto celebrati l’anno seguente (212 a.C.) dopo un attento
esame dei due testi profetici, e non prima di aver richiesto ai decemviri di
consultare i libri Sibillini in proposito. Leggiamo da Livio:
Religio deinde novo obiecta est ex carminibus Marcianis. Vates hic Marcius
inlustris fuerat, et cum conquisitio priore anno ex senatus consulto talium
librorum fieret, in M. Aemili praetoris urbani, qui eam rem agebat, manus
venerant. Is protinus novo praetori Sullae tradiderat. Ex huius Marcii duobus
carminibus alterius post rem factam editi cum ratio auctoritas eventu alteri
quoque, cuius nondum tempus venerat, adferebat fidem. Priore carmine
Cannensis praedicta clades in haec fere verba erat:
“Amnem, Troiugena, fuge Cannam, ne te alienigenae cogant in Campo
Diomedis conserere manus. Sed neque credes tu mihi, donec compleris
sanguine campum, multaque milia uccisa tua deferet amnis in pontum
magnum ex terra frugifera; piscibus atque avibus ferisque, quae
incolunt terras, iis fuat esca caro tua. Nam mihi ita Iuppiter fatus est”.
Et Diomedis Argivi campos et Cannam flumen ii, qui militaverunt in iis locis,
iuxta atque ipsam cladem agnoscebant. Tum alterum carmen recitatum, non
eo tantum obscurius, quia incertiora futura praeteritis sunt, sed perplexius
etiam scripturae genere.
“Hostis, Romani, si expellere vultis, vomica quae gentium venit longe,
Apollini vovendos censeo ludos, qui quotannis comiter Apollini fiant,
cum populus dederit ex publico partem, partem privati uti conferant pro
se atque suis. Iis ludis faciendis praeerit praetor is, qui ius populo
320
Si tratta di un personaggio di problematica identificazione. Vedi discussione in R.E. s.v.
‘Marcius’, (MüNZER 1930). Vedi anche GAGE’ 1955, p. 275. Riportano della notizia
dell’istituzione dei ludi ad Apollo anche Plin. N.H. VII. 119; Serv. ad Aen. VI. 70; Dio. epit. IX.
1. 4-5.
119
plebeique dabit summum. Decemviri graeco ritu hostiis sacra faciant.
Hoc si recte facietis, gaudebitis semper fietque res vestra melior; nam is
divus extinguet perduellis vestros, qui vestros campos pascit placide”.
Ad id carmen explanandum diem unum sumpserunt. Postero die senatus
consultum factum est, ut decemviri de ludis Apollini reque divina facienda
inspicerent. Ea cum inspecta relataque ad senatum essent, censuerunt
patres Apollini ludos vovendos faciendosque et, quando ludi facti essent,
duodecim milia aeris praetori ad rem divina et duas hostias maiores dandas.
Alterum senatus consultum factum est, ut decemviri sacrum graeco ritu
facerent hisque hostiis, Apollini bove aurato et capris duabus albis auratis,
Latonae bove femina aurata. Ludos praetor in Circo Maximo cum facturus
esset, edixit, ut populus per eos ludos stipem. Apollini, quantam commodum
esset, conferret. Haec est origo ludorum Apollinarium victoriae, no valetudinis
ergo, ut plerique rentur, votorum factorumque. Populus coronatus spectavit,
matronae supplicavere, vulgo apertis ianuis in propatulo epulati sunt,
celeberque dies omni caerimoniarum genere fuit. Liv. XXV. 12. 321
321
Uno scrupolo religioso nuovo s’insinuo negli animi in conseguenza delle profezie di
Marcio. Questo Marcio era stato un vate famoso, e, mentre l’anno precedente sulla base di
un senatoconsulto si procedeva alla ricerca di libri di tal genere, (le sue profezie) erano
venute nelle mani del pretore urbano M. Emilio, che si occupava di quella faccenda. Egli le
aveva direttamente consegnate al nuovo pretore Silla. Delle due profezie di questo Marcio,
l’una – divulgata dopo il verificarsi del contenuto – essendo attendibile in quanto si
presentava con la prova del suo essersi avverata, apportava credibilità anche all’altra, di cui
non era ancora giunto il tempo. Dalla prima profezia era stata preannunciata la sconfitta di
Canne pressappoco in questi termini:“O discendenti dei nati a Troia, fuggi il fiume
Canna, perché gente nata altrove (alienigenae) non ti costringa a venire a battaglia
nella pianura di Diomede. E tuttavia non mi crederai tu, fino al momento in cui avrai
inondato di sangue la pianura, e molte migliaia di tuoi uccisi il fiume trascinerà giù
dalla terra feconda nel grande mare; per i pesi, e inoltre per gli uccelli e per le bestie
che abitano le terre , deve diventare cibo la tua carne. Così infatti mi ha detto Giove”.
E coloro che avevano combattuto in quei luoghi riconoscevano i campi di Diomede di Argo e
il fiume Canna, così come la sconfitta stessa. Fu data in seguito lettura della seconda
profezia, più difficile da capire non solo per il fatto che più indefiniti sono gli avvenimenti futuri
di quelli passati, ma più enigmatica anche per il modo in cui era scritta:
“Romani, se volete strappar via i nemici, tumore che è venuto da molto lontano,
ritengo che si debbano promettere in voto ad Apollo dei giochi, i quali ogni anno con
gioia in onore di Apollo siano celebrati, dopo che la cittadinanza abbia accordato (per
le spese) una parte da trarsi dalle casse dello stato, in modo che <una parte> sia data
in contribuzione dei dai privati cittadini, per se e per i loro. Alla celebrazione di tali
giochi presiederà quel pretore che al più alto grado amministrerà la giustizia per la
cittadinanza e per la plebe. I decemviri compiano dei sacrifici con vittime secondo il
rito greco. Se farete ciò come si deve, sarete contenti sempre e la vostra situazione
migliorerà; annienterà, infatti, i nemici di guerra vostri quel dio che mite impingua i
vostri campi”.
S’impiegò un giorno per interpretare tale profezia. Il giorni dopo con un senatoconsulto si
stabilì che i decemviri esaminassero (i libri Sibillini) circa i giochi in onore di Apollo e la
celebrazione del sacrificio secondo il rito greco. Dopo l’esame di tali punti e la relativa
presentazione della questione al senato, i senatori espressero il parere che si dovessero
promettere in voto ad Apollo e celebrare dei giochi e che, quando i giochi fossero stati
celebrati, si dovessero dare al pretore dodicimila assi per la sacra celebrazione, nonché due
vittime adulte. Con un secondo senatoconsulto si stabilì che i decemviri compissero un
sacrificio secondo il rito greco e con queste vittime: ad Apollo, con un bue ornato d’oro e con
due capre bianche ornate d’oro; a Latona, con una vacca ornata d’oro. Il pretore mentre si
accingeva alla celebrazione dei giochi nel Circo Massimo, ordinò con un editto che il popolo
durante quei giochi contribuisse con un’offerta ad Apollo, la cui consistenza fosse
commisurata alle possibilità. Questa è l’origine dei giochi Apollinari, offerti in voto e celebrati a
120
La questione dei Carmina Marciana sicuramente venne abilmente manipolata
dal senato romano, ma è probabile che non tutto fosse creato ad hoc e che
profezie di tale genere, riguardanti il destino di Roma, attribuite a diversi
personaggi, fossero largamente circolanti fra la popolazione 322.
Questi versi vanno considerati come un prezioso esempio di tali profezie
‘liberamente circolanti’323, che lo stato romano decise di passare al vaglio,
esercitandovi il debito controllo sul contenuto. Lo stato romano, appunto,
proprio attraverso lo strumento altamente operativo dei libri Sibillini, intendeva
presentarsi come il detentore degli arcana fata riguardanti Roma. e
rivendicava per sè la possibilità di decretare la validità di ogni singola profezia
riguardante Roma.324
Comunque, per tornare allo specifico dei ludi Apollinares, possiamo dire che
essi segnano due momenti di cambiamento abbastanza importanti; da un lato
la trasformazione della figura di Apollo, da questo momento in poi visto non
solo come dio legato alla sfera salutare, ma anche al campo della guerra325.
Tutto ciò ben si evince dal passo di Macrobio sulla prima celebrazione dei
ludi:
Nam cum ludi Romae Apollini celebrarentur ex vaticinio Marcii vatis
carmineque Sibyllino, repentino hostis adventu plebs ad arma excitata
occurrit hosti, eoque tempore nubes sagittarum in adversos visa ferri et
hostem fugavit et victores Romanos ad spectacula dei sospitalis reduxit. Hinc
intellegitur proelii causa, non pestilentiae, sicut quidem aestimant, ludos
institutos […]. Sed invenio in litteris hos ludos victoriae, non valitudinis causa,
ut quidam annalium scriptores memorant, institutos. Bello enim Punico hi ludi
ex libris Sibyllinis primum sunt instituti suadente Cornelio Rufo decemviro, qui
propterea Sibylla cognominatus est, et postea corrupto nomine primis coepit
Sylla vocitari. Macrob. Sat. I. 17. 25 – 30.326
motivo di una vittoria, non di una malattia come i più ritengono. Il popolo assisté ad essi con
corone di alloro in capo le matrone supplicarono gli dei, si banchetto dappertutto, a porte
aperte, nei cortili, e il giorno fu solenne per ogni tipo di cerimonie.
322
Cfr. PARKE 1992, p. 240.
323
Per un’analisi strutturale dei Carmina Marciana, vedi GUITTARD 2007, pp. 275-287.
324
Cfr. L’intervento di contollo attuato da Augusto, infra p. 178.
325
Vedi SABBATUCCI 1988, p. 236 ss.
326
Mentre a Roma si celebravano i giochi in onore di Apollo, secondo il vaticinio dell’indovino
Marcio e la profezia della Sibilla, la plebe fu chiamata alle armi per un improvviso attacco
nemico e corse incontro agli assalitori; in quel momento si vide muovere contro gli avversari
una nuvola di frecce che mise in fuga il nemico e permise ai Romani vincitori di ritornare agli
spettacoli del dio salutare. Di qui si capisce che i giochi furono istituiti in seguito ad una
battaglia, non a una pestilenza, come ritengono certuni. […] .Trovo nei testi che i giochi
furono istituiti in seguito ad una vittoria, non per ragioni sanitarie come alcuni annalisti
121
Come si può leggere è esplicitamente detto che i giochi furono istituiti non per
porre rimedio ad un problema di salute, ma per affrontare il pericolo bellico.
Il racconto di Livio nella cronaca successiva ricorda comunque che,
nonostante tutto, i Romani furono duramente sconfitti dai Punici di Annibale
presso la città daunia di Herdonia, dove l’esercito romano cadde per ben due
volte in un agguato nemico negli anni 212 e 210 a.C. (Liv. XXV. 21.; XXVII.
1). La sconfitta di Herdonia, nel 210 a.C. rasa al suolo, è equiparata a quella
di Canne. Si arriva così all’anno 208 a.C, quando a causa di una serie di
prodigia e di una pestilenza per i quali non si riusciva ad ottenere rimedio,
non facile litabant, si decise di tenere i ludi Apollinares annualmente. Così
descrive Livio le vicende dell’anno:
Praetores in provincias profecti ; consules religio tenebat, quod prodigiis
aliquot nuntiatis non facile litabant. Et ex Campania nuntiata erant, Capuae
duas aedes, Fortunae et Martis, et sepulcra aliquot de caelo tacta, Cumis –
adeo minimis etiam rebus prava religio inserit deos – mures in aede Iovis
aurum rosisse, Casini examen apium ingens in foro consedisse, et Ostis
murum portamque de caelo tactam, Caere vulturium volasse in aedem Iovis,
Vulsiniis sanguine lacum manasse. Horum prodigiorum causa diem unum
supplicatio fuit. Per dies aliquot hostiae maiores sine litatione caesae, diuque
non impetrata pax deum; in capita consulum re publica incolumi exitiabilis
prodigiorum eventus vertit. Ludi Apollinaris, Q.Fulvio et Ap.Claudio
consulibus, a P.Cornelio Sulla praetore urbano primum facti erant. Inde
omnes deinceps praetores urbani fecerant; sed in unum annum vovebant,
dieque incerta faciebant. Eo anno pestilentia gravis incidit in Urbem agrosue,
quae tamen magis in morbos longos quam in perniciabilis evasit. Eius
pestilentia causa et supplicatum per compita tota Urbe est, et P. Licinius
Varus praetor urbanus legem ferre ad populum iussus, ut ii ludi in perpetuum
in statam diem voverentur. Ipse primus ita vovit, fecitque ante diem tertium
nonas Quintiles. Is dies deinde sollemnis servatus. Liv. XXVII. 23 327.
ricordano. Questi ludi infatti furono istituiti originariamente durante la guerra Punica, secondo
i libri Sibillini su proposta del decemviro Cornelio Rufo, che per tale ragione fu
soprannominato Sibilla, e fu il primo in seguito ad essere chiamato Silla per alterazione del
nome.
327
I pretori partirono per le loro provincie ; i consoli erano trattenuti da scrupoli religiosi
perchè, per alquanti prodigi di cui era giunta notizia, non si ottenevano presagi favorevoli.
Infatti dalla Campania si era annunziato che due templi, quello della fortuna e quello di Marte,
erano stati colpiti dal fulmine a Capua, insieme con alcune tombe ; che a Cuma – tanto la mal
intesa religione immischia anche nelle cose minime gli dei – i topi avevano rosicchiato l’oro
nel tempio di Giove; a Casino si diceva che un grosso sciame di api era andato a posarsi nel
foro. Venne anche riferito che a Ostia le mura e la porta della città erano stati colpiti dal
fulmine; che a Cere un avvoltoio era volato nel tempio di Giove; che a Vulsini vicino al lago
di Bolsena il lago aveva riversato sangue. Per questi prodigi si fece una supplicazione
pubblica di una giornata. […] I ludi Apollinari erano stati celebrati la prima volta dal pretore
urbano Publio Cornelio Silla, durante il consolato di Q.Fulvio e di Appio Claudio; in seguito, li
avevano celebrati tutti i pretori urbani ma li votavano solo per quell'anno e li indicevano per
un giorno variabile. Quell’anno una grave pestilenzia infierì sulla città e sulle campagne, ma
122
Con l’istituzione annua dei ludi Apollinares, i decemviri che ne curavano
l’esecuzione (come nella descrizione di quelli de 213 a.C.), dall’essere
preposti unicamente alla lettura e all’interpretazione dei libri Sibillini
divengono i ministri del culto apollineo a Roma 328, che assume da questo
momento in poi sempre più importanza nella religio romana e, di
consequenza, probabilmente da questo momento, comincia a prendere corpo
anche l’idea di una Sibilla profetessa del dio.
Il passo pone anche la questione del legame dei Sibillini con il Graecus ritus. I
libri Sibillini, come vedremo, saranno particolarmente legati al graecus ritus,
per tutto il secondo secolo a.C., con la frequenti indicazioni di supplicationes
quali remedia. Cosa si intende con questa espressione ? sotto questa
designazione i Romani classificavano alcuni culti (fra cui quelli dedicati a
Saturno, Ercole e Cere, oltre che a Apollo) e alcune cerimonie come le
supplicationes, i lectisternia, e ludi Saeculares. J. Sheid, nel suo studio,
significativamente intitolato ‘Graeco ritu : a tipically Roman way of honoring
the Gods’329, ha messo ben in luce la caratteristica arbitraria e restrittiva della
classificazione, e considerandola come piuttosto tarda330, ha chiarito come
attraverso essa probabilmente si intendesse presentare come ‘greci’ alcuni
complessi cultuali, in realtà, frutto di elaborazone romana. Ciò con chiari
intenti di natura politico-integrativa, considerando che nel momento in cui si
proponeva come potenza egemone del Mediterraneo, Roma si trovava
inevitabilmente a interagire con un mondo in larga parte ellenizzato, in cui il
termine ‘grecita’ si apponeva a tutto ciò che si voleva indicare come civile 331.
si manifestò in malattie lunghe piuttosto che mortali. Per quell’epidemia si fecero preghiere
publiche in tutti i trivi dell’Urbe, e il pretore urbano P. Licinio Varro fu invitato a proporre al
popolo una legge la quale stabiliva che quei ludi si celebrassero ogni anno in un giorno
determinato. Così egli per primo li votò, e li indisse per il terzo giorno prima delle None del
mese Quintile. E quel giorno rimase ad essi consacrato.
328
SABBATUCCI 1988, p.236-237.
329
Vedi SCHEID 1995.
330
SCHEID 1995, p.19. La prima attestazione è in Cato. Orat. Frg. 77 (MALCOVATI).
331
SCHEID 1995.
123
- 207 a.C.
La nascita dell’androgino.
124
I casi di androginia erano considerati, dai Romani, fra tutti i monstra, i più
gravi334. ll fenomeno costituisce un evento registrato piuttosto frequentemente,
come vedremo, per tutto il secondo secolo e nei primi anni del primo secolo
a.C.
Il rito del 207, per la ricchezza di particolari offerti dalla fonte, è stato oggetto
di molti studi335. La descrizione del rituale è piuttosto complessa; in primo
luogo cerchiamo di delineare il ruolo dei decemviri. In particolare è stata
ipotizzata l’esistenza di una rivalità fra questi ultimi e gli aruspici. Bisogna
però osservare che i due gruppi entrano in azione ognuno nelle proprie
competenze: gli aruspici hanno il compito di eseguire l’abominatio, ovvero
gettare nel mare, chiuso in una cesta o in un sacco, l’androgino; i decemviri si
occupano dei riti espiatori 336.
Il rito è stato variamente interpretato come di origine greca337, etrusca338, o
prettamente romana339. Ma, aldilà, delle varie ipotesi sulle ‘origini’ del rito, va
messo in evidenza come la rilevanza che l’androgino assume nell’Urbs sia
un’offerta, furono convocate sul Campidoglio le matrone domiciliate a Roma ed entro il raggio
di dieci miglia dalla città, ed esse, fra loro stesse, ne scelsero venticinque, alle quali ciascuna
diede un’ offerta di denaro preso dalla propria dote. Con quel denaro fu foggiato e portato
sull’ Aventino un catino d’oro, e le matrone, pure e caste, celebrarono un rituale.
Immediatamente dopo i decemviri indissero un giorno per un altro sacrificio alla stessa dea, e
l’ordine della cerimonia fu il seguente. Dal tempio di Apollo furono condotte nell’Urbe,
attraverso la porta Carmentale, due candide giovenche; dietro queste erano portate due
statue di Giunone Regina, in legno di cipresso; seguivano in lunghe vesti le ventisette
fanciulle, cantando l’inno a Giunone Regina, […]; alla schiera delle fanciulle seguivano i
decemviri, in toga pretesta e coronati d’alloro. Dalla porta, per via Giogaria, pervennero nel
Foro. Qui il corteo si fermò e le fanciulle, facendo scorrere una fune tra le mani, avanzarono,
modulando il loro canto con il battere dei piedi. Quindi, per il vico Tusco ed il Velabro,
attraverso il Foro Boario proseguirono su per il Clivo Publicio fino al tempio di Giunone
Regina. Qui i decemviri immolarono le due vittime, e le statue di cipresso vennero introdotte
nel tempio.
334
Cfr. Cic. De div. I. 98.
335
WISSOWA 1902, p.426; GAGE 1955, p.239 ss.; ABAECHERLI BOYCE 1937;
CHAMPEAUX 1966; BREGLIA PULCI DORIA 1983, p.111 ss.
336
L’espiazione dell’androgino è qui per la prima volta collegato con il collegio decemvirale;
precedentemente abbiamo un altro episodio riguardante il prodigio costituito alla nascita di un
androgino registrato per il 209 a.C., in cui vi erano coinvolti unicamente gli aruspici.
337
Per questa tesi, vedi la discussione in BREGLIA PULCI DORIA 1983, pp. 44 – 66. Si è
insistito su un origine greca del rito e sulla somiglianza coi farmakoi delle polis greche ma il
paragone non sembra pertinente; cfr. PARKE 1992, p. 235-236.
338
MAC BAIN 1982, pp. 65 ss.
339
BREGLIA PULCI DORIA 1983, pp. 83 – 88.
125
assolutamente contestuale alla cultura romana340, nel ambito della quale
l’abominatio si delinea specificatamente come un modo di allontanamento del
monstrum dalla comunità e di purificazione di quest’ultima341.
Ma perché l’androginia viene ritenuta un fenomeno tanto grave? Per
l’antichità greco-romana è stato evidenziato come la presenza di un
‘androgino’ potesse indicare una crisi della sfera della riproduzione342: questo
perché, in quanto mostri, gli androgini scartano dalla regola, enunciata già da
Esiodo (Ta erga, v. 235) che vuole i figli conformi ai genitori ‘eoikota tois
goneusi’. Nello specifico, rompe l’ordine derivato dalla ‘regola del due’,
dall’organizzazione binaria, data in primo luogo dall’irriducibilità della
riproduzione sessuata, del maschio e della femmina343. Se ci riportiamo nello
specifico alla realtà romana, l’androgino è il ‘mostro’, l’avvenimento contro
natura per eccellenza, perché unisce ciò che deve restare diviso, per l’ordine
stesso della città, il maschile ed il femminile. La commistione fra i due generi
infatti rimanda a quel mondo pre-attuale che si oppone all’ ordinamento
attuale; la città, nel mondo antico, era una città di uomini e il femminile poteva
costituire un elemento ‘pericoloso’, se non contenuto. E’ perciò Iuno Sospita
Mater Regina, divinità che assieme a Iuppiter Optimus Maximus e a Minerva
forma la triade capitolina e rappresenta la metà femminile del popolo
romano344, ad essere onorata, con il coro delle vergini e la colletta delle
matrone.
Bisogna mettere in evidenza comunque come gli onori tributati alla dea
nell’anno 207 a.C., si chiariscano anche in rapporto alla situazione di
emergenza provocata dalla guerra Annibalica. Come abbiamo visto, a
Giunone Regina sono infatti state attribuite particolari valenze etrusche e
340
Diverse appaiono le caratteristiche attribuite alle ‘figure androgine’ in Grecia, nella quale,
queste ultime possono anche assumere valenze positive, benché presentino sempre una
presenza ‘problematica’ Sul tema della bisessualità e delle sue valenze culturali nel mondo
greco, vedi lo studio di Brisson dedicato al mito dell’indovino Tiresia BRISSON 1976. Vedi
anche DELCOURT 1958.
341
BREGLIA PULCI DORIA 1983 loc. cit.
342
Vedi DELCOURT 1966, p. 52 ss.; cfr. la discussione dell’ipotesi in BREGLIA PULCI
DORIA 1983, pp. 47 – 48.
343
CHIRASSI COLOMBO 1994, p. 37.
344
SABBATUCCI 1998, p. 146-148.
126
laziali; sarebbe stata fatta oggetto di attenzione cultuale per rinsaldare i
legami con gli alleati dell’ Italia centrale. Il coinvolgimento di Apollo invece
sarebbe stato diretto alle città meridionali greche345.
La processione del coro delle ventisette fanciulle tornerà come punto fisso
dell’espiazione degli androgini; si è molto discusso sulle possibili origini della
cerimonia346.
345
Per Giunone vedi GAGE’ 1955 p, 359; BREGLIA PULCI DORIA 1983, p.147 – 154; per
apollo BREGLIA PULCI DORIA 1981, pp. 154-162
346
Di queste la più probabile sembra quella che la collega a ritualità cento-italiche. In
particolare il confronto è possibile con la processione in onore di Iuno di Faleri. Si può
dunque affermare che il rito di espiazione dell’ androgino aveva origine centro-italiche, con
probabili influenze etrusche e greche. Vedi BREGLIA PULCI DORIA 1988, pp. 120- 147.
127
-205 a.C.
Un aiuto esterno: la ‘Grande Madre’ asiatica a Roma.
Al 205 a.C. per ordine dei Sibillini viene portata a Roma la Magna Madre
Idaea, la Cibele asiatica. La consultazione dei libri è provocata da frequenti
pioggie di pietre (caduta di meteoriti?). Il carmen, la risposta profetica
all’avvenimento rinvenuta nei Sibillini, avverte che un nemico esterno, ‘hostis
alienigena’, può essere vinto solamente con l’introduzione a Roma della
Mater Idaea di Pessinunte.
Si può facilmente commentatare il rimedio proposto tenendo presente che ad
un massimo pericolo esterno si contrappone un massimo rimedio,
l’introduzione di una ‘grande dea’, come la Mater.
128
Non possiamo riassumere qui l’enorme bibliografia che riguarda il tipo della
350
Megale Meter-Magna Mater, l’anatolica Kybebe-Cybele . Sicuramente,
tratto essenziale del culto di questa dea, detta ‘Madre’, attributo che in realtà
non ha alcun riferimento con la sfera della fecondità, come invece più volte
sostenuto nella saggistica a lei dedicata, è l’evirazione rituale dei maschi
facenti parte del suo sacerdozio esclusivo351.
Oltre a rispondere alla necessità di rinsaldare l’alleanza con Pergamo
l’introduzione della Magna Mater, era funzionale anche ad altri scopi. Era
stata voluta principalmente dalla parte aristocratica della nobilitas352, che
voleva richiamare l’origine troiana del fondatore della stirpe romana, Enea;
Cibele era appunto ‘troiana’, in quanto proveniente dalla Troade, e quindi la
sua presenza a Roma serviva alla costruzione della leggenda delle origini
353
troiane della città . E’ significativo, a questo riguardo, che la Magna Mater
fosse l’unica divinità ammessa all’interno del pomerium romano e che la sua
introduzione a Roma fosse considerato uno dei pignora su cui si fondava
l’impero 354.
Nell’introduzione della dea è stata anche messa in evidenza la volontà
patrizia di munirsi di un divinità da contrapporre alla plebea Ceres. Molto
significativa in questo senso appare la posizione calendariale dei ludi
Megalenses in rapporto ai ludi Cereales, entrambi collocati in aprile 355.
A proposito il rapporto della Megale Mater e Ceres è stato letto come
opposizione fra pre o extra-cereale (rappresentato da Cibele) v.s. cereale
(rappresentato da Ceres), significativa soprattutto in quanto può assumere
allora dalla Grecia non ancora alleata, Esculapio, e, inoltre, che ormai si aveva un principio di
amicizia con re Attalo per effetto comune contro Filippo, si pensò che egli avrebbe fatto tutto
il possibile per amore del popolo romano […]
350
Sulle caratteristiche del culto di Cibele, ampia bibliografia. Rimandiamo in particolare a
GRAILLOT 1912; VERMASEREN 1977.
351
Vedi COSI 1986, pp. 13-22. Per una riflessione sul valore extra-attuale del compleso della
Magna Mater ed il suo ruolo nell’ambito del rinnovamento del pantheon politeistico romano,
rimangono molto importanti le osservazioni in BRELICH 1965.
352
COSI 1986; SABBATUCCI 1988, pp. 148-150.
353
SABBATUCCI 1988, p. 149;.BREGLIA PULCI DORIA 1999, p. 294–295.
354
Serv. Ad Aen. VII. 188.
355
SABBATUCCI 1988, pp. 140-141.
129
356
valore di pre o extra politico v.s. politico . La nobilitas si sarebe dunque
richiamata ad un modello simbolico dialetticamente contrapposto alla res
publica della concordia ordinum, alla volontà di equiparazione patrizi-plebei
che si esprimeva sotto il segno di Ceres.
Tutta una serie di fattori dunque determinarono l’intorduzione della Magna
Mater a Roma.
356
BRELICH 1965; SABBATUCCI 1988, p.148-150.
130
CONSULTAZIONI E SOLUZIONI SIBILLINE NEL II SECOLO A. C.
Il secondo secolo a.C. è il periodo in cui dalle fonti ci risulta il maggior numero
di consultazioni sibilline. Ne troviamo testimoniate infatti ben 32. Se le
vicende legate alla attività decemvirale negli anni della seconda guerra punica
sono state oggetto di approfonditi studi, non si può dire lo stesso per le
consultazioni del periodo in esame. Ciò è dovuto al fatto che mentre le
consultazioni precedenti erano collegate per un verso o l’altro ad avvenimenti
unici e particolari - ad esempio, all’introduzione di nuove divinità e nuovi
modelli rituali od a provvedimenti in qualche modo ‘straordinari’ (vedi ver
sacrum ) - ora le fonti delineano un quadro in cui il più delle volte sono
prescritti, dai libri Sibillini, rituali non ‘innovativi’ ma ricorrenti, quasi seriali,
raggruppabili sotto determinati modelli predefiniti di piacula. Questi sono
perlopiù supplicationes e sacrifici, frequentemente condotti secondo ritus
graecus. Spicca, inoltre, il rituale di espiazione degli androgini, proposto,
come abbiamo visto, per la prima volta nel 207.
131
registrati in anni di particolari difficolta interne. La frequenza delle apparizioni
di androgini nel periodo graccano, ad esempio, ha suggerito un uso
‘antipopolare’ del mostro.
Un altro dato rilevante per la storia delle consultazioni sibilline, è che nel
periodo in esame sono riportati, in alcuni casi, i testi degli stessi oracoli
sibillini, citati dai libri: ciò avviene per il 189 a.C. e per il 144 a.C. In tali
occasioni gli oracoli vennero resi pubblici, in quanto ciò poteva essere
funzionale a scopi politici: come vedremo, gli oracoli contenevano divieti, con
cui si cercò di bloccare alcune iniziative.
132
- 200 a.C.
Curam expiandae violationis eius templi prodigia etiam sub idem tempus
pluribus locis nuntiata accenderunt. In Lucanis caelum ardisse adferebant,
Priverni sereno per diem totum rubrum solem fuisse, Lanuvi in templo
Sospitae Iunonis nocte strepitum ingentem exortum. Iam animalium obsceni
fetus pluribus locis nuntiabantur: in Sabinis incertus infans natus, masculum
an femina esset, alter sedecim iam annorum item ambiguo sexu inventus;
Frusinone agnus cum suillo capite, Sinuessae porcus cum capite humano
natus, in Lucanis in agro publico eculeus cum quinque pedibus. Foeda omnia
et deformia errantisque in alienos fetus naturae visa: ante omnia abominati
semimares iussique in mare extemplo deportari, sicut proxime C.Claudio
M.Livio consulibus deportatus similis prodigii fetus erat. Nihilio minus
decemviros adire libros de portento eo iusserunt. Decemviri ex libris res
divinas easdem quae proxime secundum id prodigium factae essent
imperarunt. Carmen praeterea ab ter novenis virginibus cani per urbem
iusserunt donumque Iunoni Rreginae ferri. Ea uti fierent C.Aurelius consul ex
decemvirorum responso curavit. Carmen, sicut patrum memoria Livius, ita
tum condidit P.Licinius Tegula. Liv. XXXI. 12. 5-10.357
357
Dicevano che in Lucania il cielo si era infiammato, che a Priverno, col cielo sereno, il sole
era stato rosso per un giorno intero, che a Lanuvio, nel tempio di Giunone Sospita, di notte si
era udito un grande strepito. In diversi luoghi si annunziava la nascita di esseri osceni: tra i
Sabini era nato un bambino che non si capiva bene se fosse maschio o femmina ed un altro
ne era stato trovato, già di sedici anni di sesso parimenti incerto; a Frosinone era nato un
agnello con la testa di maiale, a Sinuessa un maiale con la testa d’uomo, in Lucania ,
nell’ager publicus, un puledro a cinque zampe. Aspetti tutti ripugnanti e deformi, che
parevano propri di una natura aberrante che confondeva le specie. Sopra tutti aborriti erano
gli ermafroditi, che si ordinò subito di gettare in mare, come poco prima sotto i consoli Caio
Claudio e Marco Livio si era fatto di un simile essere mostruoso. Nondimeno si ordinò ai
decemviri di consultare i Libri su quel prodigio. I decemviri, in base ai Libri, ordinarono che si
compissero i medesimi riti che si erano celebrati subito dopo il secondo prodigio di quel
genere. Inoltre ordinarono a tre cori di nove vergini di percorrere la città cantando un carme
religioso e di portare un dono a Giunone Regina. Il console Caio Aurelio curò l’attuazione di
quei provvedimenti secondo il responso dei decemviri. Il carme venne composto da Publio
Licinio Tegula; l’altro, secondo la tradizione, era stato composto da Livio [Andronico].
133
zampe, sono proprio gli androgini ad essere considerati i più pericolosi. Per la
loro espiazione, i decemviri dispongono nuovamente il rito già eseguito nel
207 a.C. Come scrive Livio i due rituali seguirono precisamente le stesse
disposizioni. L’unica variante è data dal fatto che il carme di Livio Andronico
venne sostituito da uno composto da Licinio Tegula 358.
Non sappiamo quali remedia vennero approntati per gli altri prodigia.
-196 a.C.
Terremoti: la terra in crisi.
Per il 196 a.C. le notizie riguardano una ‘crisi tellurica’ rappresentata dalla
frequenza di terremoti. Leggiamo da Livio:
Principio annis quo L.Cornelius Q. Minucius consules fuerunt terrae motus ita
crebri nuntiabantur ut non rei tantum ipsius sed feriarum quoque ob id
indictarum homines taederet; nam neque senatus haberi neque res publica
administrari poterat sacrificando expiandoque occupatis consulibus.
Postremo decemviris adire libros iussis, ex responso eorum supplicatio per
triduum fuit. Coronati ad omnia pulvinaria supplicaverunt edictumque est ut
omnes qui ex una familia essent supplicarent pariter. Item ex auctoritate
senatus consules edixerunt ne quis, quo die terrae motum nuntiaret. Liv.
XXXIV. 55. 1-5. 359
Non sono nominate località specifiche per il verificarsi dei terremoti; si può
supporre che essi avvennero in territori vicini a Roma.
Questa è l’unica notizia, per tutto il secolo, di ricorso ai libri Sibillini per
l’espiazione di terremoti, i quali entrano in gioco in una situazione già
compromessa dalla presenza di numerosi prodigia; Livio scrive come solo in
seguito al fallimento di una serie di cerimonie espiatorie si ricorse in ultimo
358
Cfr. MAC BAIN 1982, p.128.
359
All’inizio dell’anno del consolato di Lucio Cornelio e di Quinto Minucio giunsero così
frequenti notizie di terremoti che la gente, non solo si stancò delle notizie ma anche delle
cerimonie religiose indette al riguardo. Non si poteva riunire il senato né compiere alcun atto
di governo dato che i consoli erano impegnati nei sacrifici e nelle cerimonie espiatorie. In
ultimo i decemviri ebbero l’ordine di consultare i Libri e in seguito al loro responso furono
indetti tre giorni di supplicazioni. Il popolo si recò a pregare in tutti i templi, col capo coperto di
una ghirlanda, e si stabilì che i membri di una stessa famiglia pregassero insieme. Inoltre per
decisione del senato i consoli proibirono a chiunque di annunziare un nuovo terremoto il
giorno in cui fosse stata fissata una cerimonia propiziatoria per l’annunzio di un altro
terremoto.
134
alla lettura dei libri; pare dunque ribadita, in questo passo, la caratteristica
della eccezionalità dell’intervento dei Sibillini, i quali prescrivono l’esecuzone
di supplicationes.
Le supplicationes si presentano come piacula ricorrenti durante tutto il secolo;
resta dubbio se in questo caso siano stati i decemviri a decidere la durata di
un giorno e gli altri particolari dello svolgersi della cerimonia. Notiamo anche
che la supplica viene presentata come un grande rito coinvolgente i singoli,
suddivisi in base alle famiglie di appartenenza, in quello che si può definire un
grande rito collettivo incentrato sulla coesione di queste ultime.
-193 a.C.
Alluvioni, fulmini e altri prodigi.
Pel 193 a.C., Livio registra numerosi prodigi per cui si rende necessaria una
consultazione dei Sibillini. I prodigia riguardano essenzialmente
sconvolgimenti di tipi meteorologico o comportamenti ritenuti straordinari di
animali, come l’ingens examen vesparum che si insedia nel tempo di Mars nel
foro.
Aquae ingentes eo anno fuerunt, et Tiberis loca plana urbis inundavit; circa
portam Flumentanam etiam conlapsa quaedam ruinis sunt. Et porta
Coelimontana fulmine icta est murusque circa multis locis de caelo tactus; et
Aricia et Lanuvii et in Aventino lapidibus pluit; et a Capua nuntiatum est
examen vesparum ingens in forum advolasse et in Martis aede consedisse;
eas conlectas cum cura et igni crematas esse. Horum prodigiorum causa
decemviri libros adire iussi, et novemdiale sacrum factum et supplicatio
indicta est atque urbs lustrata. Liv. XXXV. 9. 3 -5.360
360
In quell’anno si ebbero grandi alluvioni; il Tevere allagò le parti basse della città; nei
dintorni della porta Flumentana alcuni edifici crollarono. E la porta Celimontana fu colpita dal
fulmine, e così pure le mura in parecchi punti; ad Ariccia, a Lanuvio, sull’Aventino piovvero
pietre; da Capua si seppe che un grosso sciame di api era andato a posarsi sul tempio di
Marte: esse erano state catturate con cura e bruciate. Per questi prodigi fu dato ordine ai
decemviri di consultare i libri Sibillini, si compì un novendiale, furono indette supplicazioni e si
eseguì una lustrazione.
135
situate sui monti Albani. Ad Ariccia si trovava il celebre santuario di Diana
Nemorense, famoso per il suo particolarissimo rituale di successione alla
361
carica di sacerdote-re . Lanuvio, come abbiamo visto, era sede del celebre
tempio di Iuno Sospita-Regina.
Tuttavia i piacula non sono collegati con queste divinità. Invece il prodigium di
Capua, riguardante Marte, potrebbe essere messo in rapporto con la
lustrazione. La lustratio conditum, la grande purificazione dell’Urbs, eseguita
dai censori, che si teneva ogni cinque anni, era infatti dedicata a Mars362. Qui
però, effettivamente, non viene compiuto questo tipo particolare di rito, ma
una lustratio circoscritta ai prodigia dell’anno, e dunque, l’ipotesi può non
essere fondata. Per quanto riguarda il novendiale, ricordiamo che esso è uno
dei pochi riti espiatori corrispondenti ad un preciso prodigium – quello delle
piogge di pietre.
La supplicatio è il tipico rituale sibillino più volte incontrato; Livio in questo
caso non ne specifica le modalità di esecuzione.
361
E’ il rituale dalla cui analisi sir Frazer iniziò la sua famosa enciclopedica ricerca, ‘The
Golden Bought’. Ved FRAZER 1911, par. I-II.
362
Sulle valenze della lustratio, vedi PICCALUGA 1965, p. 58-60 e nota 55.
136
- 191 a.C.
Il malaugurato passeggio dei bovi sul tetto, i fulmini e lo Ieiunium
Cereri.
364
Vedi Hülsen, RE, I. 2., 1894, s.v. ‘Amiternum’, coll. 1840-1841; Philipp, RE, XV. 2, 1932,
s.v. ‘Minturnae’, coll.1935-1936.
137
di penuria alimentare
La fondazione stessa del tempio alla triade Ceres-Liber-Libera era avvenuta
in seguito ad una mancanza di riserve di cibo.
Tuttavia la fondazione dello Ieiunium può essere visto in realtà più
oppportunamete come risposta alla introduzione patrizia della Magna
Mater365, nei confronti della quale Ceres ribadisce quella qualità politica che
contraddistingue il suo ruolo, emblematicamente rappresentato dal rapporto
simbolico con la cerealicoltura. Anche la fulminazione può acquisire un
valore particolare, considerando la sfera di Iuppiter in rapporto a quella di
Ceres. A Minturno è in particolare il tempo del dio ad essere colpito dal
fulmine, che è l’arma-segno del dio stesso. L’istituzione dello Ieiunium Cereri
si rivela come espiazione del prodigio fulgorale, se si considera la dea
‘agricola’ e Iuppiter nel loro ruolo di elementi strutturanti dello stato romano,
nella sua qualità di crezione culturale nuova ed originale366.
365
BREGLIA PULCI DORIA 1983. p. 175.
366
Ciò si può intendere non tanto considerando le due divinità come antagoniste – cioè
considerate ‘appartenenti’ rispettivamente ai patrizi e ai plebei, ma come entrambe garanti
della libertas. CHIRASSI COLOMBO 1981, pp. 409-410.
138
- 190 a.C.
Ancora fulmini ed altri prodigi.
Nel 190 a.C., il fulmini caddero a Roma sul tempio di Iuno Lucina, a Pozzuoli
sulle mura, a Norcia sulla città, con uccisione di due uomini, altri prodigi
occorsero a Tuscolo e a Rieti.
Così scrive Livio:
Priusquam consules in provincias profiscerentur, prodigia per pontefices
procurari placuit. Romae Iunonis Lucinae templum de caelo tactum erat ita, ut
fastigium valvaeque deformarentur; Puteolis pluribus locis murus et porta
fulmine icta et duo homines exanimati; Nursiae sereno satis constabat
nimbum ortum; ibi quoque duos liberos homines exanimatos; terra apud se
pluvisse Tusculani nuntiabant et Reatini mulam in agro suo peperisse. Ea
procurata, Latinaeque insturatae, quod Laurentibus carnis, quae dari debet,
data non fuerat. Supplcatio quoque earum religionum causa fuit, quibus diis
decemviri ex libris ut fieret ediderunt. Decem ingenui, decem virgines, patrimi
omnes matrimique, ad id sacrificium adhibiti, et decemviri nocte lactentibus
rem divinam fecerunt. Liv. XXXVII. 3. 1-6.367
Anche Julius Obsequens, tardo compilatore del IV d.C., nel suo Liber
prodigiorum, elenco di prodigi per gli anni dal 249 a.C. al 12 a.C., ricorda gli
avvenimenti:
Iunonis Luciniae templum fulmine ictum, ita ut fastigium, valvaeque
deformarentur; in finitimis pleraque de coelo icta; Nursiae sereno nimbi orti, et
homines duo hexanimati; Tusculi terra pluit; mula Reate peperit: supplicatio
per decem pueros patrimos matrimos, totidemque virgines habita. Obs. 1. 368
I prodigia coinvolgono località della Campania, del Lazio e del territorio sabino
367
A Roma il tempio di Giunone Lucina era stato colpito da un fulmine in modo che ne
rimasero danneggiati il frontone ed i battenti; a Pozzuoli, le mura ed una porta erano stati
colpiti dal fulmine in più punti ed erano rimaste uccise due persone; si dava per certo che a
Norcia era scoppiato un uragano a cielo sereno; anche là due uomini, liberi di nascita, erano
rimasti uccisi; gli abitanti di Tuscolo davano notizia che nel loro paese c’era stata una pioggia
di terra, e quelli di Rieti che nel loro contado una mula aveva partorito. Questi prodigi furono
procurati, furono rinnovate le Ferie Latine, perché ai Laurenti non era stata assegnata la
porzione di carne che spettava a loro. Per gli stessi scopi religiosi si tennero anche
supplicazione nei giorni indicati a questo scopo dai decemviri in base ai libri Sibillini. Dieci
fanciulli liberi di nascita e dieci vergini, tutti ‘patrimi’ e tutti ‘matrimi’, furono assunti per quel
sacrificio; ed i decemviri celebrarono il rito di notte sacrificando animali da latte.
368
Il tempio di Giunone Lucina fu colpito da un fulmine, così che ne vennero danneggate le
porte ed il frontone; anche nelle zone vicine molti edifici furono colpiti dai fulmini. A Norcia, a
cielo sereno scoppio una tempesta e due uomini rimasero uccisi; a Tusculo piovve terra; a
Rieti una mula partorì; si tennero supplicazioni per dieci giorni con dieci fanciulli ‘patrimi’ e’
matrimi’ e altrettante vergini.
139
ed etrusco. Non è chiaro se l’ordine di rifare le Ferie Latine – feste annuali
curate da Roma a cui erano invitati tutte le comunità latine - venne indicato
dai decemviri; tale prescrizione non è la risposta ad un prodigio ma sembra
derivare da una palese ‘dimenticanza’ nella distribuzione del pasto sacrificale
comune. Tale pasto, offerto alle comunità partecipanti, serviva a rifondare
ogni volta l’unità culturale latina369.
Il particolare prodigium registrato per Roma colpisce la sfera di Iuno Lucina, la
dea che presiedeva alle nascite370: la crisi, dunque, può essere interpretata
come riguardante, un’altra volta, la continuità della generazione umana.
Difficile da interpretare è il monstrum della mula partoriente di Rieti, animale
notoriamente sterile, che partorisce a Rieti. Il prodigio sembra segnalare un
disturbo nella generazione e richiede una ‘super-garanzia’.
La cerimonia di espiazione suggerita, coinvolgendo fanciulli e fanciulle,
rimanda al rito predisposto per Giunone Regina del 207 a.C., mentre il
sacrificio rimanda ai ludi Saeculares, che prevedevano appunto un sacrificio
notturno371. Un discorso a parte dovrebbe riguardare l’uccisione di vittime
lactentes che potrebbe rimandare ad un regolamento sacrificale previdente
l'utilizzo di vittime con caratteristiche specifiche per ciascun destinatario372.
369
BRELICH 1966, pp. 48-50. vedi SABBATUCCI 1998, I, p. 162.
370
SABBATUCCI 1988, p. 92. Le donne invocavano Giunone Lucina affinchè le assistesse
nel parto; vedi Ov. Fast. III. 255 ss.
371
Vedi i ludi Saeculares del 17 a.C.
372
Cfr. Cic. De leg. II. 29.
140
-189 a.C.
Manlio Vulsone ed il divieto di superare il Tauro.
Per il 189 a.C. Livio registra una consultazione particolare dei libri Sibillini, i
quali anziché proporre una soluzione rituale, offrono un enunciato oracolare
che esprime un preciso divieto. Questo responso probabilmente si collegava
a profezie orientali liberamente circolanti.
Legatos sese Cn. Manlio datos pacis cum Antiocho faciendae causa
foederisque legum, quae cum L. Scipione inchoatae fuisset, perficiendarum.
Cn. Manlium summa ope tetendisse, ut eam pacem turbaret et Antiochum, si
sui potestatem fecisset, insidiis expiceret; sed illum cognita fraude consulis,
cum saepe colloquiis petitis captatus esset, non congressum modo, sed
conspectum etiam eius vitasse. Cupientem transire Taurum aegre omnium
legatorum precibus, ne carminibus Sibyllae praedictam superantibus
terminos fatalis cladem axperiri vellet, retentum admosse tamen exercitum et
prope in ipsis iugis ad divortia aquarum castra posuisse. Liv. XXXVIII. 45. 1-4.
Nel passo, non vi sono riferimenti alla consueta prassi ‘comparsa di prodigia –
consultazione dei libri’.
Il tema del divieto di superare i confini della catena dei monti Tauri rientra
nella serie di profezie antiromane circolanti in Anatolia agli inizi del secondo
secolo a.C.373; è molto probabile che il carmen sibillino non facesse parte
della raccolta ufficiale del Campidoglio. Si trattava forse di un annuncio
profetico ‘sciolto’, da mettere in rapporto all'attività di produzione profetica che
fiorì nel Mediterraneo di lingua greca fin dal terzo secolo a.C.374
141
considerato come ’autentico’ sibillino. E’ allora possibile che un enunuciato
profetico riguardante il Tauro circolante in oriente sia arrivato a conoscenza
dei romani durante le campagne d’Asia e opportunamente manipolato a fini
politici, attraverso l’attribuzione alla raccolta sibillina.
La richiesta del confine del Tauro era stata fatta prima della battaglia di
Magnesia dagli Scipioni ad Antioco (Liv. XXXVII. 53. 25). Il confine coincideva
con le propaggini occidentali della catena montuosa dei Tauri, nel punto
d’incontro con il fiume Halys, a sua volta sfociante nel Ponto Eusino. Questa
linea naturale costituiva il confine storico, politico e culturale tra gli antichi
imperi anatolici e la Persia; segnava il punto d’incontro tra oriente ed
occidente e per i greci segnava il limite oltre il quale vi era un mondo
‘barbaro’, inaccessibile e diverso375.
Per questa sua importanza, il confine del Tauro era investito di significati
‘sacrali’; l’oracolo stesso presenta il divieto di superare i termini del Tauro,
inteso come un limite stabilito dal fato.
Ora, nel mondo greco abbiamo notizia di diverse profezie che ci attestano
l’idea che il Tauro rappresentasse una barriera invalicabile, il cui eventuale
superamento avrebbe rappresentato un atto di húbris punibile dagli dei con
una catastrofe. La profezia sibillina avrebbe potuto essere analoga a tali
profezie greche, generalmente attribuite alla Pizia e comunque avere
un’origine varia nella produzione pseudoepigrafa coeva 376.
375
SORDI 1982, loc. cit.
376
Vedi SORDI 1982 p.139-140. In particolare, la studiosa pone l’attenzione sulla risposta
data nel 336/5 a.C. a Filippo, che aveva chiesto se avrebbe potuto vincere il re di Persia all’
oracolo di Delfi: ἔστεπται μὲν ὁ ταῦρος, ἔχει τέλος, ἔστιν ὁ θύσων. (Diod. XVI.91. 2.; Paus.
VIII. 7. 6.). La risposta è data con un testo volutamente enigmatico –caratteristica che ricorre
nella oracolarità delfica, cfr. CRAHAY 1982. M. Sordi ritiene che il termine tauros, contenuto
nell’oracolo, si riferisca appunto alla catena montuosa. In tal caso i monti Tauri sarebbero
propriamente visti come ‘un confine invalicabile, come un compimento, finis e télos,
assegnato dal destino e che il il destino vietava di superare’.
142
legate alla rielaborazione della dimensione temporale (vedi ludi Saeculares),
ma anche ad un ripensamento a livello spaziale. Tema di fondo, in ogni caso,
la preoccupazione di una parte politica di fissare adeguatamente lo
spostamento dei confini dell’impero romano.
-188 a.C.
L’anno 188 a.C., anno che doveva segnalare con la pace di Apamea la fine
delle ostilità tra Antioco e Roma, è segnato da una particolare effervescenza
di eventi prodigiosi che riguardano l’Urbs. Il segno prodigiale è un’eclissi,
seguito da una piogge di pietre:
377
Prima che i nuovi magistrati partissero per le province, fu ordinata a nome del collegio dei
decemviri una supplicazione per tre giorni in tutti i crocevia, perché in pieno giorno, fra la
terza ora circa e la quarta, erano spuntate le tenebre. Fu ancora indetto un sacrificio
novendiale in seguito ad una pioggia di pietre che sarebbe caduta sull’ Aventino.
378
Fra l’ora terza e quarta della giornata, caddero le tenebre; sull’Aventino le piogge di pietre
furono espiate con un novendiale. […]. Fu fatto un novendiale sacro, perchè nel Piceno si era
avuta una pioggia di pietre; in molti luoghi comparvero dei fuochi celesti, dalle cui fiamme, le
vesti di molte persone furono leggermente brucciacchiate.
143
per celebrare i Compitalia, i festeggiamenti deidicati a questi Lari protettori.
Nell’esecuzione di queste feste avevano, un grosso ruolo i collegia
compitalicia, associazioni cultuali fortemente condizionate dagli elementi più
bassi della popolazione 379.
E’ probabile che la supplicatio dell’ anno in questione fosse dedicata ai Lares
viales; non sappiamo però a cosa fosse dovuta questa decisione. E’ possibile
che vi fosse l’intenzione di coinvolgere nella celebrazione della i liberti e gli
schiavi.
E’ possibile che le associazioni schiavili abbiano avuto una parte attiva nella
celebrazione di questa supplicatio eccezionale. Il ricorso alla supplicatio e gli
avvenimenti prodigiosi segnalano comunque una generale inquietudine che la
soluzione di Apamea non riusciva a placare e che continua nell’anno
successivo.
379
Sulla numerosa bibliografia sui Compitalia, vedi almeno SABBATUCCI 1988, p.23 - 25.
144
-187 a.C.
Pestilenza e supplicatio.
-186 a.C.
Pioggia di pietre, fulmini, ermafroditi: la destabilizzazione a Roma e in
Italia.
380
[…] su decreto dei decemviri fu tenuta una supplicazione di tre giorni per la salute
pubblica, poiché una violenta epidemia infieriva in città e nelle campagna.
381
Per la questione della repressione del culto Dionisiaco, vedi il saggio innovativo di Clara
Gallini , ‘Protesta e integrazione nella Roma antica’ , GALLINI 1970.
145
Nell’episodio un’ intervento del collegio decemvirale è solo ipotizzabile per
quanto riguarda l’organizazione della supplicatio, con un riferimento possibile
al rituale per Iuno Regina del 207 a.C.
-183 a.C.
Piove sangue e nasce un’isola nuova.
Supplicatio extremo anno fuit, prodigiorum causa, quod sanguine per biduum
pluvisse in area Concordiae satis credebant, nuntiamque erat haud procul
Siciliam insula, quae non ante fuerat, novam editam e mari esse. Liv.
XXXVIIII. 56. 6. 384
383
[…] per due giorni aveva piovuto sangue nell’area sacra di Vulcano; e così, ad opera dei
decemviri, fu indetta una supplicazione per espiare quel prodigio.
Sugli ultimi dell’anno vi fu una supplicazione a causa di certi prodigi, perché era diffusa
384
credenza che avesse piovuto sangue due giorni nell’area di Concordia, e avevano riferito che
non lungi dalla Sicilia fosse emersa dal mare una nuova isola, mai vista prima d’allora.
385
Nell’area di Vulcano piovve sangue per due giorni, e nell’area di Concordia per altrettanti
giorni. In Sicilia comparve una nuova isola nel mare.
146
Per area di Vulcano‚ ’area Volcani’ si deve intendere il Vulcanal, zona situata
nel Comizio, antichissimo luogo di culto del dio Vulcano, dio-fuoco,
identificato con il greco Efesto.386
L’ area Concordiae era la zona in cui sorgeva il tempio della dea, importante
personificazione del ‘pantheon’ romano387, a cui erano dedicati due santuari,
uno nel Foro e uno sopra il Campidoglio388.
La dea Concordia, è una ‘divinità civica’, garante della pax civilis fra patrizi e
plebei, ‘pax’ conquistata dopo le dure lotte condotte da questi ultimi per avere
maggiore partecipazione al governo della res pubblica. Il prodigium può
essere interpretato facilmente in chiave politica. A questo proposito, possiamo
ricordare che Vulcanus, è anche divinità legata alla dimensione regale, come
padre di Caeculus, il mitico primo re di Preneste e di Servio Tullio; inoltre
secondo una notizia di Pisone è marito di Maiestas personificazione della
qualità regale389. Ricordiamo che l’accusa di aspirare alla monarchia è una
costante della storia romana. Anche l’ emergenza di una nuova isola al largo
della Sicilia, potrebbe essere collegata, alla sfera di Vulcano. La Sicilia era
infatti la patria del dio, il quale secondo Virgilio aveva la sua dimora
nell’isoletta chiamata appunto Vulcania390.
386
Vedi COARELLI 1997, p. 218 ss.
387
‘E’ Concordia una vera dea o non piuttosto un’astrazione, un concetto? […] La religione
romana è un religione che aveva demitizzato i propri dei: dunque questi sono diventati più
simili a concetti che non alle figure divine elaborate dai Greci. Voglio dire: la religione
pubblica di Roma antica poteva porre su uno stesso piano tanto per esempio, una Giunone,
che noi non esitiamo a definire una divinità, e Concordia, che per noi è più un concetto che
una divinità. SABBATUCCI 1988, p. 247.
388
Il tempio del Foro, secondo una tradizione, si voleva dedicato da Camillo. (Plut. Cam. 42).
Su Camillo vedi supra, nota 190. Camillo è l’’eroe cultuale’ che istituisce la Concordia; vedi
Liv. XIX; SABBATUCCI 1988, pp. 248 – 250.
389
Secondo la notizia di Macrobio (Macr. Sat. 1. 12. 18.) Vedi SABBATUCCI 1988, p.
284-286; BRELICH 1976, pp. 34-36.
390
Virg. Aen. VIII. 422-425.
147
181 a.C.
Piove sangue , la statua di Iuno piange, la peste uccide.
Assistiamo ad una ripetizione identica del prodigio del 183 a.C. ; si tratta di
una delle frequenti ‘duplicazioni’ di notizie presenti nella narrazione liviana,
riguardanti in particolare modo le liste prodigiali, forse dovute a ‘sfasamenti’
nelle fonti utilizzate dallo storico392. Livio descrive l’apertio dei libri Sibillini
come una delle iniziative prese dal senato, assieme all’ordine dato ai consoli
di procedere al sacrificio di venti vittime maggiori. Si provvede inoltre ad indire
una supplicatio di tre giorni, coinvolgente l’intera Italia romana. La grandiosità
dell’espiatio è richiesta dalla grave pestilenza, diffusa in agris forisque et
conciliabilis. Ci troviamo di fronte ad una innovazione del rituale, in quanto,
per la prima volta, l’espiazione di un fenomeno occorso in luogo diverso da
Roma non viene attuata nell’Urbs, ma nel luogo in cui si verifica la crisi.
Sicuramente, inoltre, l’ordine di una supplicatio per totam Italiam servì anche
391
Molti tetri prodigi si ebbero in quell’anno a Roma, e molti ne vennero annunciati anche da
fuori. Nell’area di Vulcano e Concordia ci fu una pioggia di sangue ed i pontefici
annunciarono che le aste si erano mosse da sole; i Lanuvini che la statua di Giunone Sospita
aveva lacrimato. Nelle campagne, nei fori, nei mercati e anche a Roma, era scoppiata una
pestilenza così grave, che a stento si poteva provvedere ai funerali. I senatori, preoccupati
per questi prodigi e per queste calamità, deliberarono che i consoli dovevano sacrificare con
vittime maggiori a quali dèi credessero opportuno, e che i decemviri dovevano consultare i
libri Sibillini. Per decisione dei decemviri, fu indetta a Roma una supplicazione di un giorno in
tutti i templi. Sempre sulla loro autorevolezza, il senato decise, ed i consoli pubblicarono
un’ordinanza, che per tutta Italia si celebrasse una supplicazione di tre giorni e delle ferie.
392
Per la questione, vedi RAWSON 1971. Per il passo in esame, cfr. Obs. 4, che - senza
citare i libri Sibillini - data tutti i prodigia registrati da Livio al 182 a.C.
148
a rafforzare e a veicolare l’idea stessa di Italia nel suo insieme 393.
- 180 a.C.
Continua la pestilenza.
393
Sullo sviluppo dell'idea di ‘terra Italia’, vedi MAZZARINO 1966, p. 212-232.
394
Si faceva fatica a riempire l’esercito, per via della pestilenza, che già da due anni
devastava la città di Roma e l’Italia. Ne morirono il pretore Tiberio Minucio e poco dopo il
console Caio Calpurnio e molti altri ragguardevoli cittadini di tutte le classi. Alla fine questa
calamità venne considerata un prodigio. Si inviò Caio Servilio, il pontefice massimo, a
cercare mezzi espiatori per l’ira divina, i decemviri a consultare i libri, il console a votare doni
ad Apollo, ad Esculapio, alla Salute ed a porre statue dorate; tutte cose che egli votò e
dedicò. I decemviri ordinarono una supplicazione di due giorni per la salute di Roma e per
tutti i fori ed i mercati; tutti quelli che erano maggiori di dodici anni, incoronati e tenendo una
corona d’alloro in mano, rivolsero suppliche.
149
-179 a.C.
Una tempesta e un mulo con tre zampe.
395
L’inverno di quell’anno fu rigido per le nevicate e per ogni genere d’intemperie […]. Ed
ecco che le tenebre, che in un’attimo si erano addensate, ed una furiosa tempesta sul monte
Albano turbò le Ferie Latine, che, per decreto dei pontefici, si dovette ricominciare. In più, lo
stesso temporale abbatté sul Campidoglio alcune statue, e con i fulmini diroccò più di un
edificio, il tempio di Giove a Terracina, il tempio a Capua e la porta Romana; in alcuni luoghi
erano stati abbattuti i merli delle mura. Oltre a questi prodigi fu ancora annunciata a Rieti la
nascita di un mulo a tre zampe. Per questi episodi, i decemviri, invitati a consultare i libri,
resero noto a quali dèi e quante vittime sacrificare, e che si tenesse una supplicazione di un
giorno.(Quindi furono celebrati con grande sfarzo i ludi votivi del console Quinto Fulvio per
dieci giorni).
396
Vedi Philipp, RE, IV. A-2, 1932, s.v. ‘Tarracina’, coll. 2395.-2397.
397
Sulle Ferie Latine vedi BRELICH 1966, PP. 48-50.
150
-174 a.C.
Prodigi, la pestilenza e mostri.
Nel 174 a.C., il senato decretò una consultazione dei libri Sibillini per
allontanare una pestilenza, già iniziata l’anno precedente398. Leggiamo da
Livio:
Cum pestilentia finis non fieret, senatus decrevit, uti decemviri libros
Sibyllinos adirent. Ex decreto eorum diem unum supplicatio fuit, et Q.Marcio
Philippo verba praeeunte populus in foro votum concepit, si morbus
pestilentiaeque ex agro Romano emota esset, biduum ferias ac
supplicationem se habiturum. In Veienti agro biceps natus puer, et Sinuessa
unimanus, et Auximi puella cum dentibus, et arcum arcus interdiu sereno
caelo super aedem Saturni in foro Romano intentus, et tres simul soles
effulserunt, et faces eadem nocte plures per caelum lapsae sunt, et Lanuvini
Caeritesque anguem in oppido suo iubatum, aureis maculis sparsum,
aparuisse adfirmabant, et in agro Campano bovem locutum esse satis
constabat. Liv. XL. 21. 10 - 13 399
398
Vedi Liv. XL. 21. 5 -10. Cfr. Obs. 12
399
Poichè non si vedeva la fine del morbo, il senato ordinò che i decemviri consultassero i
libri Sibillini; per loro disposizione fu indetto un giorno di supplicazione e mentre Q.Marcio
Filippo pronunciava la formula il popolo nel foro fece voto, se quell’epidemia di peste fosse
stata allontanata dal territorio di Roma, di celebrare feste e supplicazioni per due giorni. Nel
territorio di Veio naque un bambino con due teste, uno a Sinuessa con una mano sola, ad
Osimo una bambina con i denti, e sopra il tempio di Saturno nel foro Romano si disegnò un
arcobaleno in pieno gorno a cielo sereno e rifulsero contemporaneamente tre soli e nella
stessa notte trascorsero per il cielo molte stelle cadenti, mentre i Lanuvini e i Ceriti
attestarono l’apparizione nelle loro città di un serpente crinito cosparso di macchie gialle e nel
territorio campano risultava in modo fededegno che un bue si fosse messo a parlare.
151
-173 a.C.
Una flotta in cielo e pesci in terra: prodigia e supplicatio.
400
Sulla terza guerra Macedonica, vedi GABBA 1990c, pp. 220-221.
401
Mentre era nell’attesa di tutti lo scoppio della guerra in Macedonia, prima che le si desse
inizio, fu deciso di rendere innocui i prodigi con cerimonie espiatorie e di invocare con
preghiere la benevolenza degli dèi indicati dai libri Fatali. A Lanuvio si diceva che era stata
avvistata nel cielo l’apparizione di una grande flotta e a Priverno erano nati dalla terra bioccoli
di lana scura e nel territorio di Veio, presso Remente, piovute pietre. Tutta la regione pontina
era stata offuscata come da un nugolo di cavalette; nel territorio gallico, dove si affondava
l’aratro, di sotto alle zolle sollevate erano venute alla luce dei pesci. Per tali prodigi furono
consultati i libri Fatali e i decemviri notificarono a quali dei e con quali vittime si doveva
sacrificare e ordinarono una supplicazione per allontanare l’influenza dei prodigi e una
seconda per sciogliere il voto fatto l’anno precedente allo scopo di impetrare la buona salute
del popolo romano: inoltre questi due giorni dovevano essere considerati festivi. Sacrifici e
supplicazioni si svolsero secondo il cerimoniale che i decemviri avevano dichiarato d’aver
trovato scritto nei libri.
152
rituali espiatori e le divinità da onorare, ma anche le modalità con cui questi
dovevano svolgersi; essi si occupano anche di ‘ricordare’ la promessa
supplicatio dell’anno precedente.
- 172 a.C.
la colonna fulminata.
402
Nella città, ansiosa per la nuova guerra, durante una tempesta notturna, la colonna rostrata
collocata sul Campidoglio durante la prima guerra punica a ricordo della vittoria del console
Marco Emilio, collega di Sergio Fulvio, fu completamente abbattuta dal fulmine sino alla
base. Il fatto, considerato singolare prodigio, fu esposto al senato; i padri ordinarono agli
aruspici di far conoscere il loro parere e ai decemviri di consultare i libri sacri. I decemviri
riferirono che bisognava purificare la città, celebrare una supplicazione con pubbliche
preghiere e offrire sacrifici di vittime maggiori, sia a Roma nel Campidoglio sia in Campania
presso il promontorio di Minerva; e inoltre allestire giochi per dieci giorni in onore di Giove
Ottimo Massimo, al più presto. Tutte queste prescrizioni furono eseguite con cura. Gli
aruspici risposero che quel prodigio si sarebbe risolto in loro favore preannunciando
ampliamento dei confini e sterminio dei nemici, in quanto i rostri distrutti nella tempesta erano
spoglie sottrate al nemico.
153
decemvirale romano. I due corpi infatti hanno precise e distinte funzioni: i
decemviri si occupano, come al solito di proporre rituali espiatori, mentre gli
aruspici offrono l’interpretazione del prodigio. Potremmo inferire, da questo
episodio, non solo una indipendenza dei due ordini ma anche una non
collaborazione, una indifferenza degli uni verso gli altri; e’ interessante notare
che il prodigio, interpretato come favorevole a Roma e all’espansione del suo
dominio dagli aruspici, sia comunque trattato come un dirum prodigium dai
decemviri, i quali si occupano appunto di prescrivere rituali che possono
essere considerati come ‘straordinari’, indetti a sottolineare la gravità del
fenomeno occorso. In quest’ottica venne probabilmete visto l’ordine di indire
ludi di dieci giorni in onore di Iuppiter Optimum Maximus, dio supremo,
garante dell’ imperium romano, il cui tempio sul Campidoglio era il simbolo
stesso dello stato, della res publica, la cui nascita era stata segnata
dall’erezione del tempio e dalla sostituzione della triade pre-Capitolina,
formata da Iuppiter-Mars-Quirino con la triade Iuppiter-Iuno-Minerva.403 I ludi,
dunque, dovevano scongiurare, nella fattispecie, possibili pericoli inerenti alla
solidità dello stato e dell’egemonia romana. Per quanto riguarda i sacrifici
rivolti a Minerva, essi certamente erano indirizzati allo stesso scopo, in quanto
Minerva era divinità costituente la triade capitolina.404 Osserviamo che i riti
dovevano svolgersi in Capitolio, ma anche ‘in Campania ad Minervae
promontorium’, cioè a Punta Campanella, presso Sorrento, in territorio greco,
e dunque rivolti alla Minerva locale; le suppliche erano dunque indirizzate a
propiziarsi la divinità del nemico, in un momento cui Roma si preparava alla
guerra contro Perseo.405
403
Per la sostituzione della triade Mars-Quirinus – Iuppiter con la triade Iuppiter- Iuno-
Minerva, vedi DUMEZIL 1974, pp.290-313; cfr. anche SABBATUCCI 1998, I, p. 143 ss
404
Su Minerva e la sua funzione nella triade Capitolina , vedi SABBATUCCI 1998, I, pp. 148
ss.
405
Cfr. BREGLIA PULCI DORIA 1999, p.290.
154
-189 a.C.
Prodigi che coinvolgono Fortuna.
L’anno 169 a.C vede Roma ancora impegnata nel settore orientale (la terza
guerra Macedonica si concluderà l’anno dopo, nel 168 a.C., con la battaglia di
Pidna).
Livio annota molti prodigia, accaduti in diverse località:
In urbe Romana duo aeditui nuntiarunt, alter in aede Fortuna anguem
iubatum a conpluribus visum esse, alter in aede Primigeniae Fortunae, quae
in colle est, duo diversa prodigia, palmam in aera enatam et sanguine interdiu
pluvisse. […]. Publicorum prodigiorum causa libri a decemviris aditi:
quadraginta maioribus hostiis quibus diis consules sacrificarent ediderunt, et
uti supplicatio fieret cunctique magistratus circa omnia pulvinarias victumis
maioribus sacrificarent populusque coronatus esset. Omnia, uti decemviri
praeierunt, facta. Liv. XLIII. 13. 3-8. 406
I prodigia, coinvolgono tutti la dea Fortuna e due dei suoi tanti templi sparsi
nella città, in particolare quello della Fortuna Primigenia in colle (il Quirinale),
detto anche della Fortuna Publica. Il tempio, dedicato nel 194 a.C.407,
stabiliva, con una scelta significante, l’inserimento al centro della città del
culto della Fortuna Primigenia, che, come abbiamo visto, già aveva un culto a
Preneste. Quello della dea era considerato il culto-margine per eccellenza, in
quanto Fortuna Primigenia, rappresentativa del caos pre-cosmico,
primordiale, si voleva contrapposta a Iuppiter, e alla sua sfera cosmica-
attuale408.
Dai libri Sibillini è ancora una volta proposto un remedium coinvolgente
l’intera popolazione, in un rituale collettivo. Significativo il fatto che a celebrare
i sacrifici venissero chiamati “tutti” i magistrati, e che per espiare una crisi
nella sfera di Fortuna fosse indicato di fare supplicationes in “tutti” i templi
406
Nella città di Roma, due guardiani dei templi riferirono, l’uno che nel tempio della Fortuna
da parecchie persone era stato visto un serpente crinito, l’altro che nel tempio della Fortuna
Primigenia, che si erge sul colle Quirinale, si erano verificati due diversi prodigi, la nascita di
una palma nello spiazzo antistante ed una pioggia di sangue in pieno giorno.[…]. In vista di
questi prodigi avvenuti nel territorio dello stato i decemviri consultarono i libri; resero noto che
i consoli dovevano fare sacrifici di quaranta vittime maggiori agli dei e a quali di essi, che si
celebrasse una supplicazione e che tutti i magistrati insieme offrissero sacrifici di vittime
maggiori in tutti i templi e che il popolo portasse corone di alloro. Tutte queste disposizioni
furono eseguite nel modo prescritto dai decemviri.
407
Liv. XXIX: 36. 8.
408
Vedi BRELICH 1955, p. 9-48. Cfr. SABBATUCCI 1988, p. 173.
155
delle altre divinità: i prodigi riguardano la dea Fortuna, ma sembrano
richiedere un coinvolgimento di tutti gli déi.
Nello stesso anno di inizio della terza guerra Punica, il 149 a.C., Livio ricorda
la celebrazione dei ludi Saeculares, in onore di Dis Pater.
Tertii Punici belli initium altero et sescentesimo ab urbe condita anno, intra
quintum annum quam erat coeptum, consummati. […]. Ludi Diti patri ad
Tarentum ex praecepto librorum facti, qui ante annum centesimum primo
Punico bello, quingentesimo et altero anno ab urbe condita facti erant. Liv.
Per. 49. 409
Da Censorino, che nella sua lista indica questi come quarti ludi Saeculares,
sappiamo che Varone e Valerio Anziate li avevano datati al 149 a.C.; ma
anche che gli annalisti, Pisone, Gellio e Cassio Hemina, tutti e tre viventi
durante la metà del II a.C., li avevano collocati invece nel 146 a.C. Al di là
dello scarto fra le due tradizioni possiamo considerare questa celebrazione
come pienamente storica, in quanto testimoniata da fonti coeve410. Nel passo
di Livio, i ludi Saeculares del 149/46 a.C. non sono legati all’insorgere di
prodigia, come i precedenti, ma esplicitamente vengono celebrati per seguire
il modello instaurato dai precedenti. Nell’imminenza dell’ultimo scontro con
Cartagine, viene dunque riproposto un modello rituale ‘rassicurante’, garante
del perpetuarsi dell’intera città, nel tempo scandito dai saecula-generazione.
409
All’ inizio della terza guerra punica, conclusasi entro un quinquennio dal suo principio,
nell’anno 602 dalla fondazione dell’ Urbe. […]. Furono celebrati i giochi in onore di padre
Dite, presso il Tarento secondo le prescrizioni dei libri, giochi celebrati già cento anni prima,
durante la prima guerra punica, nell’anno 502 dalla fondazione della città.
410
Cfr. COARELLI 1997, pp. 103 ss.
156
-144 a.C.
Acqua contestata. La politica degli acquedotti ed i Marcii.
Nel 144 a.C. il senato affida al pretore urbano Q. Marcius Rex il compito della
costruzione di un nuovo acquedotto che avrebbe dovuto raggiungere il
Campidoglio. L’anno dopo, i decemviri, consultati i libri Sibillini, a causa di
alcuni prodigia non specificati, riferiscono di aver trovato un oracolo che
impediva di fatto la costruzione della nuova opera.
411
In quel tempo, i decemviri, avendo consultato I libri Sibillini per altre necessità, dissero di aver
trovato che non era lecito portare l'acqua Marcia, o piuttosto l'Anio – per tradizione più
regolarmente chiamata così – fino sul Campidoglio.
412
GAGE’ 1955, p.397.
413
GAGE’ 1955, p 397. La fonte dell’Anio, secondo Frontino, era di tipo ‘sulfureo’ , e quindi
per le virtù terapeutiche e ‘divinatorie’ dei flussi gassosi, particolarmente adatta ad essere
legata ad una ‘entità fontinale’, nella fattispecie alla misteriosa figura di Albunea: ‘Albunea’,
secondo Tibullo (II. V. 67), era anche il nome della Sibilla Tiburtina, la decima della lista
varroniana, di cui fra le acque dell’Anio era stata trovata la statua portante un libro - da non
confondere con i libri Sibillini – che doveva contenere le sortes di Roma. Sulle entità
acquatiche e fontinali, vedi CHIRASSI COLOMBO 2004b
157
Bisogna anche notare che il divieto dei decemviri non fu rispettato: l’aqua
414
Marcia venne efetivamente costruita qualche anno più tardi . Non ci sembra
che ciò vada letto come una mancanza di prestigio o di mancanza di forza del
collegio. Invece l’azione dei decemviri è da considerarsi – analogamente
all’episodio di Vulsone - come uno sconfinamento del collegio dal proprio
ambito di competenza: i decemviri erano infatti preposti alla procuratio dei
prodigia e non a dare responsi oracolari atti ad influenzare le scelte
organizzative-politiche della città; ma ciò sembra ripetersi nell’anno
successivo.
- 143 a.C.
Una sconfitta militare ed una prescrizione sibillina.
415
Ad Amiterno era nato un bambino con tre piedi; a Caure scorsero rivi di sangue dalla
terra. Poichè i Salassi avevano fatto subire una sconfitta ai romani, i decemviri annunciarono
di aver trovato nei Sibillini che, qualora si facesse guerra ai Galli, fosse opportuno sacrificare
sui loro confini.
416
Liv. Ep. LIII; Diod. Fr. 74.1; Oros. V. 4. 7.
158
confini; se nel 189 a.C. stabilivano un limite da non oltrepassare, nell'anno in
questione forniscono precise indicazioni per superare il confine evitando
pesanti conseguenze. Non sappiamo quale natura potesse avere il sacrificio;
esso poteva essere forse diretto a qualche divinità nemica con scopo
propiziatorio, rimandando cosi al rito dell’evocatio.
-142 a.C.
fame, peste e un androgino.
417
Poiché si erano verificate una pestilenza e una carestia, i decemviri ordinarono una
supplicazione; a Luni naque un androgino che, per ordine degli aruspici, venne buttato in
mare. A Luni la peste fu così grave che i cadaveri giacevano sparsi sul suolo pubblico.
159
-133 a.C.
Un assassinio sacrilego e la richiesta di aiuto all’ antquissima Ceres.
418
Ad Amiterno il sole, di notte fu visto per qualche istante riprendere una viva luce. Un bue,
che aveva parlato, venne perciò nutriro a spese dello stato. Piovve sangue. Ad Anagni la
tunica di uno schiavo prese fuoco e la fiamma si spense da sè, senza lasciare la minima
traccia. Sul Campidoglio, la notte, un uccello gemette in modo simile a quello di un uomo. Nel
tempio di Giunone Regina una lancia presa ai Liguri venne colpita dal fulmine. In Sicilia
cominciò la guerra degli schiavi fuggitivi. In Italia la congiura degli schiavi venne sedata.
Morte di Tiberio Gracco, autore di nuove leggi. […] Nel lago romano si formarono rivi di latte.
A Luna nella terra si aprì uno spazio profondo quattro iugeri, e l’abisso divenne un lago. Ad
Ardea piovve terra, a Minturno un lupo dilaniò una sentinella, fuggì fra il tumulto. A Roma fu
visto un allocco e altri uccelli sconosciuti. Nel tempio di Giunone Regina, con le porte chiuse,
venne udito per due volte il pianto di un bambino. Degli scudi furono trovati macchiati di
sangue fresco. Naque una bambina con quattro piedi. Nel territorio ferentino naque un
androgino che venne gettato nel fiume. Tre cori di vergini purificarono la città. […].
419
Plut. Ti. Gracch. XVII-XX.
160
partire dalle grandi conquiste seguite alle Guerre Puniche, l’allargamento
dell'ager publicus, ovvero del terreno di proprietà statale, acquisito in
occasione delle innumerevoli vittorie su suolo italico, non aveva comportato
un conseguente miglioramento per i piccoli proprietari, perché lo stato
preferiva vendere o affittare ai più ricchi, cosa che alla fine aveva eroso la
piccola proprietà a scapito dei latifondisti. La decadenza dei piccoli contadini
minacciava le basi stesse della potenza romana, in quanto rendeva sempre
più difficile il reclutamento, poiché solo i proprietari di terra erano soggetti al
servizio militare.
Tiberio Gracco durante il suo tribunato portò avanti delle proposte di riforma
con le quali si intendeva recuperare allo stato i terreni dei grandi latifondi, al
fine di redistribuirli fra i piccoli contadini depauperati. Queste proposte erano
state violentemente contestate e avevano prodotto numerosi episodi di
ostruzionismo e disordine pubblico, culminanti con l’uccisione, nel 133 a..C.,
del tribuno stesso e di molti suoi sostenitori, in occasione delle votazioni per
l’elezione del tribuno per l'anno successivo, carica a cui Tiberio si era
nuovamente candidato420.
La morte di Tiberio Gracco dunque, segna un momento cruciale per Roma. E’
in connessione con questo avvenimento che si possono leggere i
contemporanei prodigia e le correlate espiazioni.
Inanzittutto, in un anno segnato dalla discordia interna, nella sua lista,
Obsequens ricorda la nascita di un androgino: appare evidente l’uso politico
dell’annuncio di un tale monstrum, fra tutti il più grave. A Tiberio viene
riservata lo stesso destino dei semimares421. La sua uccisione, è descritta
dalle fonti come un atto dalle connotazioni rituali che ne sottolineano la
gravità sacrilega; dopo essere stato ucciso, il corpo del tribuno, negato al
fratello Caio che lo reclamava per la sepoltura, viene gettato nel Tevere.
Attraverso la privazione della sepoltura e l’abbandono alle acque, viene
420
Enorme la bibliografia sulla politica graccana. Per un inquadramento, vedi ROSSI 1980,
pp. 31-74; CASSOLA-CRACCO RUGGINI 1992, pp. 60-62; GABBA 1990c, pp. 211-213;
GABBA 1990e. In particolare sulle dinamiche che portarono al problema agrario, vedi GABBA
1990d. Per la storia dei tribunati dei fratelli Gracchi le fonti fondamentali sono le Vite di Tiberio
e Caio Gracco di Plutarco, il primo libro delle Guerre Civili di Appiano e frammenti di Diodoro
Siculo, per i quali vedi BOTTERI 1992.
421
Cfr. BREGLIA PULCI DORIA 1983, p.181.
161
segnata l’esclusione dalla città della persona e della azione politica del
422
tribuno, considerato come un monstrum da eliminare . L’equiparazione di
Tiberio Gracco e della sua azione politica ad un monstrum, ad un evento
prodigioso, può essere fatta anche considerando che, allorché si era
ricanditato alla carica di tribuno, era stato accusato di aspirare alla
monarchia423, ambizione per l’appunto ‘mostruosa’, che non trova posto
nell’ordinamento statale della civitas, come insegna la vicenda esemplare di
Spurio Melio, il cavaliere accusato di tale nefandezza nel 436 a.C.424, e perciò
ucciso, indicato espressamente come monstrum dal senato.
Ora, tra le cerimonie di espiazione è indicata una lustratio, che con il coro
delle ventisette fanciulle rimanda alla cerimonia approntata per la prima volta
nel 207 a. C. e riccorente nell’espiazione di androgini. Si può supporre che le
cerimonie fossero indirizzate a Iuno Regina, anche in connessione con le
grida di un bambino infante udite nel suo tempio.
Tuttavia Iuno Regina non è la sola divinità chiamata in causa. Secondo altre
fonti425, in seguito ai molti prodigi occorsi dopo la morte di Tiberio i libri Sibillini
avevano suggerito di onorare l’antichissima Cerere, ‘antiquissimam Cererem
placari oportet.’ Si tratta della Ceres (Demeter) siciliana di Enna, alla quale
venne inviata una delegazione costituita dagli stessi decemviri. Leggiamo di
seguito, il passo di Cicerone e quello di Valerio Massimo:
[…] apud patres nostros atroci ac difficili rei publicae tempore, cum Tiberio
Graccho occiso magnorum periculorum metus ex ostentis portenderetur, P.
Mucio L. Calpurnio consulibus aditum est ad Libros Sybillinos; ex quibus
inventum est Cerem antiquissimam placari oportere. Tum ex amplissimo
collegio decemvirali sacerdotes populi Romani, cum esset in Urbe nostra
Cereris pulcherrimum et magnificentissimum templum, temen usque Hennam
profecti sunt. Tanta enim erat auctoritas et vetustas illius religionis ut, cum
illuc irent, non ad aedem Cereris sed ad ipsam Cererem proficisci viderentur.
Cic. Verr. II. 4. 108.426
422
L’eliminazione attraverso le acque del Tevere segnava l’allontanamento dal corpo civico di
tutto ciò che in qualche modo era passabile di metterne in pericolo l’esistenza stessa. Sulla
tematica vedi LE GALL 1953, pp. 88-89. Sull’episodio di Tiberio gettato nel Tevere, vedi Plut.
Ti. Gracch. XX. 4; App. Bell. civ. I. 16. 70; De vir. ill. 64. 8. La stessa sorte toccò al fratello
Caio,
423 vedi Plut. C. Gracch. XXVI. 2. e Velleio Patercolo, II. 6.
Plut. Ti.Gracch. IX-XX; App. B.C. I.1.9- I.2.17
424
Vedi supra, p. 56 ss.
425
Cic. Verr. II. 4. 108; Diod. Sic. XXXIV; 35. 10.Val. Max. I. 1. 1.
426
[…] al tempo dei nostri padri, quando il nostro stato si trovava in una situazione
terribilmente difficile e, dopo l’uccisione di Ti. Gracco, i prodigi preannunciavano
162
[…] Gracchano tumultu moniti Sibyllinis libris ut vetustissima Cererem
placarent, Hennam, quoniam sacra eius inde orta credebant, Xviros ad eam
propitiandam miseruunt.Val. Max. I. 1. 1.427
dea in favore di quello siciliano; cfr. BREGLIA PULCI DORIA 1983, p. 179-181. Vedi anche
RAWSON 1974, p. 193 – 212
431
CHIRASSI COLOMBO 2006, p. 243
432
Cic. Verr. I. IV. 108.
163
Cereris sed ad ipsam Cererem. Inoltre la preferenza accordata alla Ceres
Siciliana va anche messa in connessione con la contemporanea rivolta
servile che era scoppiata nell’isola e che aveva avuto inizio proprio da Enna.
La sollevazione, che Roma riuscirà a sedare l’anno successivo, nel 132 a.C.,
era capeggiata dallo schiavo siriano Euno che si era fatto proclamare re con
il nome di Antioco433. Appare dunque chiara la neccessità romana di onorare
quella antiquissima Ceres, garante della democrazia, anche in rapporto alle
pretese di regalità emergenti nell’isola.
433
Vedi Diod. 34-35, 2, 5-7; ROSSI 1980, pp. 35 ss.
164
- 125 a.C.
L’abominio dell’androgino e il carme sibillino di Flegonte da Tralles.
434
Per il testo, vedi Appendice.
435
DIELS 1890.
436
BREGLIA PULCI DORIA 1983, p.5 -6.
437
BREGLIA PULCI DORIA 1983 Cfr. MAC BAIN 1982, pp. 129-131; GUITTARD 2007, pp.
257 pp.
438
BREGLIA PULCI DORIA 1983, p. 31.
439
BREGLIA PULCI DORIA 1983, p. 36. Su Hera ed Apollo a Cuma, vedi VALENZA MELE
1992.
165
ad altro di diversa provenienza440. La volontà di ricollegarsi ad un oracolo
cumano potrebbe essere spiegato dalla situazione politica del periodo.
Inoltre possiamo notare come negli oracoli siano riscontrabili diverse
interpolazioni, che ci attestano come uno stesso oracolo Sibillino potesse
essere riutilizzato più volte in diverse occasioni. Il prodigio della nascita dell’
androgino è un fenomeno che si ripeterà più volte, soprattutto negli anni
dell’ultimi decenni del secolo in esame e nel primo di quello successivo441.
Per quanto riguarda la ‘storia dell’evoluzione “dei rituali espiatori dedicati ai
agli androgini, l’oracolo, attesta la presenza di Demetra/Cerere e Persefone /
Proserpina, quali divinità atte a stornare tali prodigi : già nel 133 a.C. la
antiquissima Ceres di Enna era stata coinvollta nelle espiazioni di un
androgino in rapporto alla violazione della sfera della sacrosanctitas del
delitto politico dell’uccisione di Tiberio Gracco.442 Il 125 a.C. era un’anno che
si ‘prestava’ ad essere segnato dalla presenza di un androgino, monstrum
passabile di essere interpretato in chiave anti graccana; il console dell’anno,
Fulvio Flacco, già filograccano, aveva ripreso la politica delle riforme e in
particolare aveva proposto la concessione della cittadinanza agli alleati italici,
con l’intenzione di coinvolgerli nel programma di redistribuzione terriera. La
proposta, che incontrò il favore delle masse popolari italiche, venne
violentemente osteggiata dalla classe dirigente romana e la proposta di Fulvio
Flacco fu per il momento accantonata443.
440
Sull’effettiva esistenza di una tradizione sibillistica cumana, già da epoca arcaica, vedi,
supra, nota 11.
441
A tale proposito, ad esempio, i versi riguardante il ‘troiano’ costituirebbero un’aggiunta dei
primi anni del I secolo a.C. e potrebbero riguardare, forse, Silla. BREGLIA PULCI DORIA
1983, p.265 – 279.
442
BREGLIA PULCI DORIA, 1983 p. 167-185.
443
Vedi ROSSI 1980.pp. 109-116; CASSOLA-CRACCO RUGGINI 1992, pp. 64-65; GABBA
1990e p. 680.
166
- 122 a.C.
L’operato di Caio Gracco, la sua uccisione e e un androgino.
In foro Vessano androgynus natus, in mare delatus est; in Gallia tres soles et
tres lunae visae; vitulus biceps natus; bubo in Capitolio visus, et ex incendio
catena consumpta. […]. Obs. 30. 446
444
Vedi Plut. C. Gracch. XXVI. 2. e Velleio Patercolo, II. 6.
445
Per un inquadramento sulle vicende riguardanti Caio Gracco, vedi ROSSI 1980, pp.
117-146; CASSOLA- CRACCO RUGGINI 1992, pp. 65-67; GABBA 1990e pp. 682 ss.
446
Nel foro di Vessa nacque un androgino, che fu gettato in mare. In Gallia furono visti tre
soli e tre lune […].
167
Nella scarna notizia di Obsequens non viene specificato l’intervento dei
decemviri per l’espiazione. La presenza però, può essere considerata come
sottointesa, vista la prassi rituale che vedeva coinvolti insieme aruspici e
decemviri nella espiazione degli androgini.
- 119 a.C
Un androgino gettato in mare.
Il 119 a.C. segna la fine definitiva delle riforme agrarie con lo smantellamento
della commisione che doveva occuparsi degli aspetti tecnici della
redistribuzione.
Anche per quest’anno è ricordata la presenza di un androgino monstrum che
segnala la situazione di caos e la necessità che questa venga riassorbita.
Come per il 122 a.C., la fonte non cita l’azione decemvirale, che può essere
solo supposta:
Androgynus in agro romano annorum octo inventus, et in mare deportatus;
virgines ter novenae in Urbe cantarunt. Obs. 32. 447
- 118 a.C.
Un fegato incompleto, una pioggia di latte ed altri fenomeni.
447
Un androgino di otto anni fu trovato nell’agro romano e venne gettato in mare; tre cori di
nove vergini cantarono nell’Urbe.
448
Mentre veniva fatto un sacrificio dal console Catone, le interiora delle vittime si corruppero
subito ; non venne trovata la parte superiore del fegato; piovve del latte ; la terra tremò e si
udirono dei muggiti; uno sciame di api si pose nel foro. In base ai libri Sibillini venne fatto un
sacrificio.
168
E’ la prima volta che viene compreso fra i prodigia da espiare la particolare
formazione del fegato di una vittima sacrificale; ciò è dovuto forse
all’importanza sempre più grande data agli aruspici. Per questo e per altri
prodigia vennero comunque consultati i decemviri.
-117 a.C.
Vari prodigi e un androgino a Saturnia.
Per il 117 a.C. sono ricordati prodigia sia nel territorio di Roma che in altri
municipi, Preneste e Priverno; a Saturnia in particolare venne trovato un
androgino; è nuovamente predisposta la cerimonia comprendente il coro di
ventisette vergini, non sono però specificate le divinità che vennero così
onorate. Leggiamo da Obsequens:
Fulmine Romae et circa pleraque tacta; Praeneste lacte pluit; hastae Martis in
regia motae ; Priverni terra septem iugerum spatio in caverna desedit ;
Saturniae androgynus annorum decem inventus, et mari demersus ; virgines
viginti septem Urbem carmine lustraverunt. Reliquum anni in pace fuit. Obs.
34. 449
449
I fulmini colpirono in molti punti Roma e il territorio circostante. A Preneste piovve latte;le
aste di Marte nella regia si mossero. A Priverno la terra si aprì e si formò una caverna di sette
iugeri. Venne trovato a Saturnia un androgino di dieci anni, che venne annegato in mare.
Ventisette fanciulle fecero una lustrazione nella città cantando un inno. Il resto dell’anno
trascorse tranquillamente.
169
-114 a.C.
Uno stupro fulmineo.
450
Allorchè Pompeio Elvio, cavaliere romano, stava ritornando in Puglia, dopo i ludi romani, e
stava attraversando il territorio stellate, sua figlia, una vergine, che procedeva a cavallo,
venne colpita dal fulmine e morì. Quando le si tolsero i vestiti si vide che la lingua usciva
dall’inguine, attraverso le parti inferiori, come se vi fosse uscito il fuoco, entrato per la bocca.
Il responso fu che ciò significava disonore per le vergini e per l’ordine equestre, in quanto gli
ornamenti del cavallo si erano dispersi. Nello stesso tempo tre vergini vestali di nobilissima
famiglia con altrettanti cavalieri romani subirono la pena per aver commesso incesto. Venne
fatto un tempio a Venere Verticordia.
451
Per una comparazione, vedi VERNANT 1970, pp. 89 ss. studio dedicato al valore di Hestia
nel mondo greco.
170
La dedica del tempio a Venus Verticordia si inquadra come provvedimento
teso a preservare sul piano pubblico la virtù delle donne romane; Venus
doveva cioè ‘cambiare i cuori’ volgendoli alla castità intesa, come abbiamo
visto, come virtù femminile civica 452.
- 108 a.C.
un caso di cannibalismo.
452
Su Venus Verticordia, SABBATUCCI 1988, p.120-121
453
A Roma fu visto un uccello infuocato ed un allocco. Nelle Latomie un uomo venne divorato
da un altro uomo; fu dato ordine, dai Sibillini,che trenta fanciulli e altrettante vergini, di
condizione libera, patrimi e matrimi, facessero sacrifici sull’isola Cimolia.[…].
454
PARKE 1992, p. 248
171
CONSULTAZIONI E SOLUZIONI SIBILLINE NEL I SECOLO A. C.
Per il primo secolo a.C., si è parlato spesso di una crisi della religio romana.
Le fazioni politiche in lotta fra loro ricorrevano volentieri ad una intensa
manipolazione del “religioso” 455.
Durante la sua dittatura, che fu costituente, Silla si presentò come il
restauratore della res publica. Nel suo programma di rinnovamento statale
procedette ad una serie di importanti riforme, fra cui quelle rivolte ad
456
aumentare i membri delle magistrature e delle cariche sacerdotali . Sulla
base di un passo di Servio, gli si attribuisce anche l’accrescimento dei membri
del collegio dei decemviri sacris faciundi da dieci a quindici 457.
Tuttavia dobbiamo osservare che la raccolta dei libri Fatales non poteva
essere consultabile all’epoca della dittatura di Silla, dal momento che l’anno
prima del suo ingresso a Roma, nell’ 83 a.C, i libri erano andati distrutti.
nell’incendio che aveva bruciato il tempio di Iuppiter Optimus Maximus sul
Campidoglio, dove la raccolta era custodita 458.
Solamente sette anni dopo nel 76 a.C. una commissione senatoria venne
incaricata di ricostruire la raccolta dei Sibillini. Il console Scribonio Curione
propose in quell’ anno la nomina di una commissione di tre delegati con il
compito di recarsi alla ricerca di oracoli Sibillini in Grecia e, soprattutto, ad
Eritre anatolica, considerata la patria della Sibilla, nonché a Samo, in Ilio, in
Italia, in Sicilia e in Africa 459.
455
Cfr. SCHEID 1998, p.130-134.
456
Su Silla, fra la vasta bibliografia, vedi SYME 1939; VALGIGLIO 1956; LAFFI 1967; ROSSI
1980, pp. 321-503; HINARD 1985. Per la ‘politica religiosa’ di Silla, il suo legame con Venus
e Apollon, vedi DUMEZIL 1974, pp. 530 ss.
457
Serv. Ad Aen. VI. 73.’Sciendum sane primo duos librorum fuisse custodes, inde decem,
inde quindecim usque ad tempora Sullana.’ I quindecemviri sacris faciundi sono nominati per
la prima volta soltanto nel 51 a.C., citati casualmente da Celio Rufo, in una lettera scritta a
Cicerone (Cic. Fam. VIII. 4.1.)
458
Plut. Syll. 27.
459
Varro in Lact. Div. Inst. I.6.6-12; Varro in D. H. IV. 62; Tac. Ann. VI. 12; Fenestella, in Lact.
Div. Inst. I. 6. 12.-14. Su Eritre, vedi GAGE’ 1955, pp 452 ss.
172
E’ stato supposto, in base alle località citate, che si tentasse di recuperare le
profezie delle varie Sibille nominate nella famosa lista fatta conoscere da
Varrone in particolare, le profezie della sibilla Samia, della Marpessia e della
460
Libica . Comunque sia, è possibile che nella nuova raccolta andassero a
confluire materiali profetici di varia matrice culturale. Fra i quali anche
frammenti di materiale ‘apocalittico’, nel quale sicuramente potevano essere
presenti dettati profetici di matrice giudaica 461.
Non possiamo qui analizzare i temi e i contenuti di questa ‘letteratura di
genere’, spesso composta da frammenti ed enunciati di difficile
462
inquadramento e, di solito, molto discussi nei contenuti . Ci limitiamo a
sottolineare come uno dei temi ricorrenti di questo materiale profetico di tipo
propagandistico fosse quello di pronosticare ascesa e declino di grandi
potenze – fra le quali Roma - inserite nell’ambito di un piano già “scritto“ della
storia, piano che il sapere profetico, esteso alla conoscenza del passato-
presente-futuro, ovviamente comprendeva.
Di questo tipo di produzione potevano anche far parte testi profetici ai quali
possiamo attribuire forme e contenuti non dissimili da quelli noti per gli
Oracula Sibyllina, non i libri Sibillini romani, ma gli pseudo epigrafi apocalittici
diffusi nel Mediterraneo 463.
A Roma, politici ed intellettuali e anche i comuni cittadini potevano essere a
conoscenza di simili testi, sia pure su piani diversi. In particolare potevano
essere conosciuti testi riguardanti direttamente la sorte dell’Urbs. Per portare
un esempio, alcuni passi del III libro degli Oracula Sibillina presentano il tema
del contrasto Asia/Roma con la promessa della vittoria della prima sulla
464
seconda . Tali versi della Sibilla ebraica, da un lato sono stati letti come
parte della propaganda di Mitridate -sappiamo da Posidonio, che nell’88 a.C.
diversi oracoli avevano profetato al re Asiatico il dominio sul mondo intero,
460
Cfr. PARKE 1992, p. 166. Per la lista di Sibille, vedi supra, nota 11.
461
Per il complesso tema della produzione apocalittica, soprattutto di matrice ebraica,
indicazioni in SACCHI 1990. I testi pseudoepigrafi giudaici sono pubblicati in inglese da
CHARLESWORTH 1983 (J. Charlesworth ‘The Old Testament Pseudoepigrapha’ vol.I-II
New York).
462
Rimandiamo ad AMIOTTI 1982; LORETO 1999.
463
Per gli Oracula Sibyllina, supra, nota 12.
464
Or. Sib. 3.350 - 380. Vedi COLLINS 1983, p. 358 – 359.
173
465
dopo che questi aveva strappato l’Asia Minore al dominio di Roma - e
dunque risalenti all’inizio del I secolo; dall’altro altrimenti datati a poco prima
della battaglia di Azio, nel qual caso l’oracolo sarebbe da attribuirsi a fautori di
Cleopatra. Si può d’altra parte pensare anche a diversi riutilizzi, per cui i versi
già utilizzati da Mitridate avrebbero potuto ritornare in auge al tempo delle
guerre civili466. Essi comunque ci danno un quadro dell'utilizzo politico e della
manipolazione a cui erano sottopostio gli enunciati profetici.
Forse non è probabile, oltre che dimostrabile che scritti di tipo profetico-
apocalittico fossero entrati a far parte dei nuovi libri Sibillini.
Tuttavia frammenti oracolari Sibillini concorrevano sicuramente a creare quel
467
clima ‘apocalittico’ che avrebbe caratterizzato il primo secolo . Numerosi
sono le fonti che ci attestano di un timore diffuso per una possibile catastrofe
imminente per Roma.
Ampiamente documentato dagli scrittori latini è il tema della decadenza, della
visione della potenza romana che declina per ‘vecchiaia’, un dato spesso
attribuito alla decadenza dei costumi e mancanza di uomini veramente grandi
(vedi, ad esempio, Cic. De re publ. V. 1. 2.) 468
In ogni caso questa attesa di fine assumeva dimensioni variabili e tra di loro
anche opposte per quanto riguarda la consistenza stessa del concetto di
tempo.
La fine dell’Urbs poteva coincidere col chiudersi dell’aetas, il ‘ciclo’ temporale
in corso, come sostiene G. Alfoeldi nella serie di articoli dedicati ai ritorno dei
“Saturnia regna “, per poi in qualche modo ricostituirsi in una nuova
dimensione469.
465
Vedi Posidonius, F.253; 85-92 (Edelstein-Kidd); cfr. FGrF. Hist. 87 s. 36 (= Ath. 5.213).
Vedi PARKE 1992, p. 163-164. Sugli aspetti ‘ideologici’ e propogandistici delle guerre
mitridatiche, vedi DESIDERI 1990, pp. 727 ss.
466
Vedi COLLINS 1983, p. 358 – 359. Sul terzo Libro degli Oracula vedi in particolare
NIKIPROWETZKY 1970; cfr. CHIRASSI COLOMBO 2004a.
467
Vedi specialmente ALFOELDY 1971 e 1975. Vedi anche JAL 1963, pp.238-243, sul ruolo
dell’interpretazione dei veri prodigia durante le Guerre Civili; LA PENNA 1978, pp.81.
468
Vedi, JAL 1963 251-256; SORDI 1972; MAZZARINO 1988, pp. 22-28; LA PENNA 1978,
p. 82 ss.
469
Vedi specialmente ALFOELDY 1971 e 1975. Vedi anche JAL 1963, pp.238-243, sul ruolo
dell’interpretazione dei veri prodigia durante le Guerre Civili.
174
La catastrofe che avrebbe segnato la fine, poteva aprirsi all'aspettativa di una
rigenerazione, che si poteva intendere come accompagnata - o determinata –
dalla venuta di una personaggio nuovo, da una figura dai contorni anche
sovrumani, possibilmente da individuare in un eccezionale personaggio
politico investito di carisma, o più generalmente in qualcuno in grado di
cambiare lo stato delle cose, gli assetti di potere.
Il tema della sconfitta poteva essere anche segno di un radicale mutamento
epocale, il ritorno della irenica età dell’oro470.
La causa della diffusione di simili idee è stata attribuita anche al credito dato
alle cosiddette ‘profezie etrusche’. Ci riferiamo in particolare a quanto viene
raccontato per l’anno 88 a.C. In quest’anno, sotto il consolato di Silla, venne
udito il suono di una tromba provenire dal cielo. Il prodigio, secondo Plutarco,
fu interpretato dagli aruspici come l’annuncio dell’inizio del nuovo secolo, della
nuova generazione (nel testo di Plutarco genos) e di una nuova età per il
mondo – metakosmesis 471.
In questo quadro si può inserire la famosa profezia di Vegoia/Vecu,
probabilmente scritta in etrusco, pervenutaci attraverso una traduzione in
latino popolare, in cui si accenna ad un novissimum octavum saeculum 472 .
470
Cfr. ALFOELDY 1971; ALFOELDY 1975. L’età dell’oro è l’età felice, diversa dall’attuale,
identificata con il tempo mitico delle origini. Il tema è introdotto nel la cultura occidentale dal
famoso mito delle età di Esiodo, riportato ne Le Opere e i giorni (op. 109 ss.); Rimandiamo
all’analisi di BIANCHI 1963; cfr. anche LOVEJOY-BOAS 1997, pp. 25- ss. Secondo Eliade, la
prospettiva di un possibile ritorno di tale tempo mitico, caratterizza la visione ciclica del
tempo. Sul tempo ciclico in opposizione al tempo lineare vedi ELIADE 1949. La distinzione
fra questi due tipi di tempi, l’uno, quello lineare, dotato di un inizio e proiettato verso una fine,
-caratterizzante ad esempio la cultura cristiana ( che prevede apocalisse e tempo del
giudizio)- e quello ciclico, in cui lo spazio è diviso in periodi, cicli, che eternamente si
susseguono l’uno all’altro – concezione, ad esempio, caratterizzante la religione hinduista –
non appare sempre così definita. Tale è, appunto, il caso delle culture del Mediterraneo
antico: ad esempio, per gli Etruschi, il tempo era sì diviso in saecula rinnovabili, ma
comunque per il nomen etrusco era prevista una fine; vedi principalmente, Cens. De die nat.
XVII; SORDI 1972). Analogalmente, la concezione temporale espressa in Esiodo nel mito
delle cinque razze, presenta alcune ambiguità. Per un’analisi del modello adottato negli
Oracula Sibyllina giudaici, vedi NIKIPROWETZKY 1970 p. 88 ss.
471
Plut. Syll. VII. Cfr. GAGE’ 1955, p.431.; la prima testimonianza attestante l’introduzione
della teoria dei secoli etruschi a Roma
472
Sulla profezia della ninfa Vegoia e i libri Sibillini vedi l’interessante articolo di C. Guittard,
175
Da Servio sappiamo che ‘profezie vegoiche’ venivano custodite assieme ai
libri Sibillini nel tempio Palatino:
[…] libri in templo Apollinis servabantur, nec ipsi tantum, sed et Marciorum et
Begoes nymphae, quae artem scripserat fulguritarum apud Tuscos. Serv. ad
Aen. VI .72
176
salute dell’Urbs, avviene con l’elezione da parte di Ottaviano Augusto della
tutela di Apollo anche nella valenza innovativa di Sol-Helios, divinità,
particolarmente in ascesa in età ellenistica, che si fa simbolo, di potere,
potenza, centralità477.
Tale scelta rimanda alla diffusione in ambito ellenistico-orientale di teologie
‘eliolatriche’, che tra le varie divinità politeiste utilizzano Apollo-Helios, come
il più adatto a rappresentare quel reggitore assoluto di un cosmo ordinato
attorno ad un unico ‘centro’ di potere; l’eliolatria, cioè, si avviava già dall’età
ellenistica a fornire un icona strutturale per le esigenze di un governo
“monarchico”, di un cosmo globalizzato nella prospettiva dell’Uno478. Un
modello che trovava il suo riflesso didattico nel dibattuto trattato del peri
kosmou (de mundo), trattato sull’ordine cosmico che la critica recente insiste
a collocare in età alessandrina, sostenendone l’attribuzione ad Aristotele479; il
filosofo lo avrebbe destinato al giovane allievo Alessandro, il principe
macedone che pensò e cercò di attuare una prima globalizzazione del mondo
Le strutture politiche ellenistiche, nuove rispetto alle vecchie ‘poleis’,
esigevano un mutamento delle non più adeguate teologie politeiste, non più
funzionali a rappresentare sul piano ‘religioso’ l’organizzazione politica, alla
quale, invece, l’ assunto di un cosmo retto da un ‘Uno’, poteva essere di
appoggio e presupposto. Questo ‘Uno’, condizione e causa di ordine, tendeva
ad essere identificato attraverso il “sincretismo”, l’assimilazione e
l’interpretazione ottentuta anche attraverso l’accumulo degli epiteti, ad un
grande Dio: un Dio cosmico che poteva essere Zeus, Sarapis, ma anche un
480
Apollo solare, Helios-Sol .
Queste premesse, qui rapidamente elencate, sono le basi di partenza per la
scelta di Apollo quale nume tutelare del nuovo princeps il ”figlio” di Cesare,
477
Vedi GAGE 1955, p. 479-523; SCHEID 2005.
478
Significativa la scelta di Aristotele di porre il noto verso dell’Illiade (v.204) οὐκ ἀγαθὸν
πολυκοιρανίη˙ εἷς κοίρανος ἔστω’ (non è bene il governo di molti – uno solo sia il re’) alla
fine della dissertazione sulle qualità dell’essere nel libro XII libro della Metafisica. Il verso
ricorre in opere, che presupponendo una coincidenza tra macro e micro cosmo possono
essere definite trattati di ‘teologia –politica’, fra cui il trattato pseudo-Aristotelico de mundo.
Vedi CHIRASSI COLOMBO 1979, pp.649-651.
479
In particolare, l’attribuzione ad Aristotele è sostenuta da Giovanni Reale; (REALE 1974).
480
Per esempi rimandiamo a BOYANCE 1966, p. 166 ss.; cfr anche FESTUGIERE 1981.
177
finalmente divenuto, dopo la morte, divus. Come figlio di Cesare defunto e
divinizzato, Augusto poteva, in modo sottinteso, rivendicare per sé
quell’epiteto di “figlio di dio“ che le cancellerie ellenistiche attribuivano senza
problemi ai loro principi e re, ma che in Roma non poteva essere accettato. 481
Nello sfondo della politica apollinea di Augusto, la Sibilla –anche quella dei
segreti libri Fatales- può divenire nel I secolo a.C. la portavoce del dio Apollo,
adeguandosi al modello della Pizia. Tuttavia, la Sibilla a Roma, come
abbiamo già detto, rispetto al modello della Pizia sostituisce alla parola detta
l’autorità della parola scritta, secondo un capovolgimento di prospettiva che
dobbiamo considerare centrale nella cultura del Mediterraneo ellenistico: non
dobbiamo perdere di vista quell’ avvenimento di centrale importanza che fu la
pubblicazione in scrittura della Legge ebraica dell’Antico Testamento ad
Alessandria d’Egitto, nel corso del III a.C.
L’icona sibillina per eccelenza nella Roma di Augusto è quella della Sibilla
Cumana nell’Eneide virgiliana, annunciatrice ‘mitica’ della storia di Roma al
suo protofondatore Enea.
L’interesse, da parte di Augusto, per la sibillistica ed, in genere, la cura per il
controllo dei messaggi mantici-profetici, è dimostrata dagli interventi di
raccolta sistematica di profezie in mano a privati – cioè, delle profezie
‘liberamente circolanti’- e dalla distruzione di quelle ritenute non
autenticamente sibilline. Augusto, inoltre, avrebbe ridefinito personalmente o,
comunque, sotto la sua cura diretta, il contenuto stesso dei libri Sibillini, che
vennero posti apertamente sotto il segno di Apollo. Lo dice esplicitamente
Svetonio nella Vita Augusti, dove leggiamo:
[…] quidquid fatidicorum librorum Graeci Latinique generis nullis vel parum
idoneis auctoribus vulgo ferebatur, supra duo milia contracta undique
cremavit ac solos retinuit sibyllinos, hos quoque dilectos habitos; condiditque
481
Divus non corrisponde a ‘dio’. E’ importante sottolineare l’impasse derivata dalla
impossiblità di tradurre in greco divus; vediamo, ad esempio, la traduzione dell’epiteto
onorifico theou uios = divi filius, presente nella titolature greche degli imperatori romani, dove
il latino divus non corrisponde esattamente al greco theos, dio. (PRICE 1984; PRICE-
CANNADINE-PRICE 1987, p.74 e pp. 79-95; CHIRASSI COLOMBO 1993, nota 33) Proprio
questo ‘equivoco’ tuttavia consentì di proiettare nel Mediterraneo grecofono, soprattutto in
età tardo-repubblicana ed augustea, l’idea di un imperator romano degno della titolatura di
figlio di dio.
178
duobus forulis auratis sub Palatini Apollinis basi’ (Svet. Aug). 31. 482
482
[Augusto] raccolse da ogni parte e fece bruciare più di duemila libri profetici greci e latini,
che anonimi o scarsamente attendibili, andavano per le mani di tutti; conservò solo quelli
ritenuti Sibillini e anche questi dopo averne fatto una scelta. Li ripose, allora in due teche
dorate, sotto la base di Apollo Palatino. Cfr.Tac. Ann. VI. 12.
483
In questo senso va interpretato certamente il divieto della pratica divinatorio nei sistemi
monoteisti, a cominciare da quello ebraico, dove l’Entità assoluta e trascendente, Dio si
assume la guida diretta della storia e proibisce l’interrogazione di altre fonti di sapere; vedi
Levitico XX. 27.
484
Vedi infra, pp. 186 ss.
179
Possiamo dunque postulare l’esistenza di due coesistenti ‘movimenti’,
centrifugo e centripeto, in virtù del quale vi sarebbe stato uno scambio
reciproco di notizie, dall’ interno verso l’esterno del tempio di Giove sul
Campidoglio e vicecversa; i libri Sibillini troverebbero pertanto ribadita la loro
caratteristica di raccolta ‘aperta'.
180
- 98 a.C.
Un fegato anormale.
Altri prodigia importanti sono i fulmini e tuoni a ciel sereno, signa propri della
meteorologia ominale: si aggiungono la presenza dell’allocco ‘bubus’, prodigio
ricorrente, considerato di malaugurio, la pioggia di gesso, l’alterazione del
fegato, l’androgino. Tutti segni che abbiamo già visto più volte. Non è
esplicitata la espiazione per mezzo del collegio decemvirale, ma come
abbiamo già visto, questo può essere sottointeso all’espiazione
dell’androgino.
Non sappiamo se i decemviri stessero sacrificando nel tempio di Apollo per
espiare dei prodigia o stessero celebrando i ludi Apollinares. Un'anomalia
segnalata dall’extispicina - la tecnica aruspicale che prevedeva di trarre
previsioni dall’esame del fegato – viene ad assumere valore prodigiale. Si può
forse supporre che il prodigium del fegato venne interpretato e quindi espiato
dagli aruspici.
485
Fu visto un allocco sopra le statue degli dei in Campidoglio; mentre si espiava questo
prodigio, la vittima sacrificale, un toro, cadde morto. Il fulmine colpì molti luoghi. Le aste di
Marte nella reggia si mossero. Durante i ludi, in teatro vi fu una pioggia di gesso bianco, che
presagì tempi favorevoli e fertilità per i campi. Tuonò, mentre il cielo era senza nubi. Mentre i
decemviri sacrificavano nel tempio di Apollo, non venne trovata la parte superiore del fegato
della vittima, e, durante lo stesso sacrificio, venne trovato un serpente sull’altare. Un
androgino venne gettato in mare.[…].
181
- 97 a.C.
Ancora androgini a Roma.
- 95 a.C.
Un androgino ad Urbino.
[…] Androgynus Urbino natus, in mare deportatus. […]. Obs. 49. 487
486
Si tennero delle supplicazioni nell’Urbe, poichè, era stato trovato un androgino che era
stato gettato in mare.[…] Statue di cipresso vennero portate a Giunone Regina da ventisette
vergini, che fecero una lustrazione nella città. […].
487
Un androgino, nato ad Urbino, fu gettato in mare
182
- 92 a.C.
Due androgini ad Arezzo ed altri mostri.
488
Un allocco, catturato nel tempio di Fortuna Equestre morì nelle mani di chi lo aveva preso
[…] a Fesoli venne udito un boato sotterraneo. Una schiava partorì un bambino in cui
mancava l’orifizio da cui escono gli umori del corpo. Fu trovata una donna che aveva I
genitali doppi.Fu vista una torcia nel cielo. Un bue parlò. Uno sciame d’api andò a posarsi sul
tetto di una casa privata. A Volterra nel fiume scorsero rivi di sangue. A Roma piovve latte.
Ad Arezzo furono trovati due androgini. Nacque un pulcino con quattro zampe. Il fulmine colpì
molti luoghi. Si tenne una supplicazione. Il popolo portò a Cerere e Proserpina. Ventisette
vergini, cantando un inno, fecero una lustrazione nella città. […].
183
consultati raramente.
Ciò dipende da un silenzio da un silenzio delle fonti o da un’ effettiva
situazione storica? Nel secondo caso potremmo constatare un declino dell’
uso istituzionale dei libri Sibillini, forse corrispondente ad un declino
dell’autorità del collegio decemvirale quale organo atto a fornire indicazioni
efficaci sulla espiazione dei prodigia.
Tale decadimento va probabilmente collegato alla sempre crescente
importanza che andavano assumendo gli aruspici nel periodo in esame 489. In
ogni caso il diradarsi del ricorso ai Sibillini va a combaciare con un aumento
della manipolazione di frammenti oracolari da parte di singole personalità, al
fine di sfruttare il pubblico immaginario a fini personali. Infatti, le fonti
attestano, per il periodo in esame, numerosi casi simili a quelli del 189 e del
144 a.C., cioè casi di divulgazione di ‘oracoli Sibillini’, di cui risulta arduo
stabilire l’appartenenza alla raccolta ufficiale romana, oracoli che non
appaiono necessariamente legati ad espiazioni rituali di prodigi. La prossima
consultazione offre un esempio di questo dato.
489
Sullo sviluppo della attività degli aruspici nella storia di Roma vedi MAC BAIN 1982, pp. 43
– 60.
184
- 87 a.C.
Il pericolo della monarchia.
185
In tal caso si volle colpire un rappresentante della parte democratica, il quale
aveva promosso, durante il suo consolato la distribuzione dei nuovi cittadini
494
italici nelle trentotto tribù . Ricorrendo ad un intervento sibillino si voleva
forse indicare Cinna come monstrum, foriero di conseguenze deleterie, se
non espiato, per la città. Rimandiamo, per un paragone, alla vicenda
dell’uccisione di Tiberio Gracco e agli accadimenti del 133 a.C.
- 63 a.C
La profezia dei tre Cornelii.
cavalli nell'erba recentemente schiacciata, come presagi di una grande guerra. In Etruria, nella
città di Chiusi una madre di famiglia partorì un serpente vivo, che fu gettato nel fiume per ordine
degli aruspici e annegò contro la corrente. Una notte prese fuoco il tempio Capitolino, per colpa
del custode.A causa della crudeltà di Silla, ci fu una feroce proscrizione dei più importanti cittadini
di Roma. Centomila uomini, si dice, morirono nella guerra Italica e nella guerra Civile.
494
Su Cinna, vedi BULST 1964. L’episodio della sua cacciata è riportato da diversi autori,
senza allusione ai Sibillini; vedi: Liv. Per. LXXIX; App. Bell.Civ. I. 64. 5; Vell. Pat. II. 20. 3.
495
I Galli confermarono e e dimostrarono che Lentulo era un mentitore, facendo presenti le
lettere ed i discorsi che era solito tenere: diceva che era scritto nei libri Sibillini che a tre
Cornelii sarebbe passato il regno di Roma; e che egli era il terzo, dopo Cinna e Silla,
destinato ad impadronirsi della città; che erano passati esattamente venti anni dall’incendio
del Campidoglio, quindi – secondo le previsioni degli aruspici – in quell’anno si sarebbe
sparso sangue in una guerra civile.
186
In proposito, è stata ipotizzata l’esistenza una tradizione sibillina propria della
gens Cornelia. Sappiamo che il grammatico latino e liberto di Silla, Cornelio
Epicado, faceva derivare il cognomen del suo patrono, Sylla, dalla
contrazione di Sibylla, soprannome attribuito al pretore che, nel 212 a.C.,
496
aveva tenuto i primi ludi Apollinares . Questa volontà sillana di legarsi alla
Sibilla e ai ludi Apollinares va certamente messa in connessione con la
devozione di Silla per Apollo497. Se è esistita una circolazione di profezie
Sibilline riguardanti Silla, questa forse ebbe origine probabilmente durante le
campagne in Asia; in tale prospettiva andrebbe vista la profezia di
quest’anno, che con la sua promessa di regno ci rimanda, alla sibillistica di
498
matrice giudaica ellenistica . E’ difficile dire in base al passo in questione
se la profezia dei tre Cornelii facesse parte dei libri Sibillini (e sia poi venuta a
conoscenza di Lentulo grazie ad una fuga di notizie dal Campidoglio, come
ipotizzato da H.W.Parke499) o se si trattasse di una profezia non compresa
nella raccolta ufficiale romana.
Si può anche ipotizzare che la profezia fosse stata inserita nei libri Sibillini
dopo la ricostruzione del 76 a.C., tenendo conto che la commissione
incaricata della ricomposizione della raccolta era stata istituita
immediatamente dopo la dittatura sillana, periodo in cui il controllo di profezie
riguardanti la gens Cornelia poteva essere di particolare interesse. Plutarco
asserisce che l’oracolo dei tre Cornelii era in realtà una falsificazone di
indovini ciarlatani al servizio di Lentulo500; a tal proposito osserviamo che
questi personaggi avrebbero potuto avere dei modelli a cui ispirarsi ben
precisi.
Anche Cicerone riporta l’episodio nella terza orazione contro Catilina. Egli
496
Cfr. Svet. De gramm. c. 12.
497
Secondo Plutarco, aveva sempre con sé una statuetta del dio; Plut. Syll. XXIX; Cfr. Staz.
V. 239; Val. Max. I. 2. 3. Sull’uso politico dei prodigia nelle vicende syllane, vedi Plut. Syll. V.
7; Vell. II. 24; Liv. Per. LXX; JAL 1963, loc. cit. cfr. BREGLIA PULCI DORIA 1983, p. 290.
498
Nel libro terzo degli Oracula Sibyllina, i vv. 464-469 potrebbero contenere un riferimento
alle guerre civili romane: nei versi 470-471 si parla di un uomo portatore di distruzione venuto
in Asia dall’Italia, personaggio che potrebbe essere identificato con lo stesso Sylla, vedi
COLLINS 1983, p. 359. BUITENWERF 2003, p. 234.
499
PARKE 1992, p.249; vedi anche p. 168 ss.
500
Plut. Cic. XVII. 1. 4.
187
scrive che la profezia proveniva ex fatis Sibyllinis. Ed inoltre, che quello in
corso era l'anno 'fatale' di Roma:
Lentulum autem sibi confirmasse ex fatis Sibyllinis haruspicumque responsis
se esse tertium illum Cornelium ad quem regnum huius Urbis atque imperium
pervenire esset necesse: Cinnam ante se et Sullam fuisse. Eundemque
dixisse fatalem hunc annum esse ad interitum huius Urbis atque imperi qui
esset annus decimus post virginum absolutionem, post Capitoli autem
incesionem vicesimus. Cic. Cat. III. 4. 9 501
Come abbiamo visto la preoccupazione attorno alla durata della città di Roma
non era nuova. Gli stessi ludi Saeculares rispondevano ad una esigenza di
‘rinnovo del tempo’. Comunque sia, particolarmente interessante è che nel
racconto siano implicati sia i libri Sibillini che gli aruspici; questi ultimi
appaiono più volte coinvolti in procedimenti di consultazione dei Sibillini.
Forse a loro potrebbe essere ascritta la preoccupazione di stabilire un tempo
per il verificarsi della profezia, considerando i calcoli etruschi per determinare
la precisa durata dei saecula. L’episodio ci testimonia come computi relativi al
tempo presenti nella cultura etrusca si “contaminassero” con le profezie
Sibilline circolanti a Roma.
La profezia del 63 a.C., va comunque valutata nell’ambito di quel ‘clima
apocalittico’, di attesa di rigenerazione del mondo che non a caso caratteriza
il I a.C., periodo di gravi cambiamenti politici, segnato da sanguinose lotte
civili. Il timore e insieme l’attesa di una fine o di un cambamento radicale
poteva essere coadiuvato dai calcoli etruschi riguardanti i saecula e forse
dalle profezie sibilline di origine ellenistico-giudaica. In particolare agli oracoli
giudaici potrebbe rimandare l’idea di un basileus, rex e di regnum. La futura
venuta di un re, di un messia in grado non solo di riscattare Israele dai suoi
oppressori, ma di inaugurare una nuova epoca per il mondo tutto è infatti un
502
motivo ricorrente negli Oracula Sibyllina, di matrice giudaica . Più in
particolare, l’accenno ai tre Cornelii rimanda ad una profezia presente nel III
501
Lentulo, poi aveva dato loro l'assicurazione che, sulla base degli oracoli Sibillini, e dei responsi
degli aruspici, egli era quel famoso membro della gente Cornelia al quale doveva inevitabilmente
toccare, in questa nostra città, quel potere assoluto, proprio di un re, che un tempo avevano
tenuto Cinna e Silla. Aveva pure aggiunto che questo è l'anno predestinato per la distruzione di
Roma e del suo impero, in quanto è il decimo dopo l'assoluzione delle vergini Vestali e il
ventesimo dopo l'incendio del Campidoglio.
502
Vedi in particolare il libro III degli Oracula Sibyllina, nella presentazione di Valentin
Nikiprowetzky (NIKIPROWETZKY 1970); sul terzo libro degli oracula vedi anche CHIRASSI
COLOMBO 2004a.
188
libro degli Oracula Sibillina (52 ss.) riguardante ‘tre disastri’ incombenti su
Roma e variamente interpretati503.
- 56 a.C.
Il re d’Egitto.
Nel 56 a.C. la statua di Giove sul monte Albano venne colpita da un fulmine,
e si ricorse ancora una volta ai libri Sibillini. Non sappiamo quali rituali
vennero approntati; tuttavia, l’episodio fornì l’occasione per rendere pubblico,
ancora una volta, un oracolo della Sibilla da utilizzare nelle vicende politiche
del periodo. L’episodio è riportato da molte fonti504,fra cui quella più
esauriente, è costituita da un passo di Cassio Dione, che riportiamo:
[… ] τὸ δὲ δὴ θεῖον κεραυνῷ κατ᾽ ἀρχὰς εὐθὺς τοῦ ἐχομένου ἔτους τὸ
ἄγαλμα τοῦ Διὸς τοῦ ἐν τῷ Ἀλβανῷ ἱδρυμένου βαλὸν τὴν κάθοδον τοῦ
Πτολεμαίου χρόνον τινὰ ἐπέσχε. Τοῖς γὰρ Σιβυλλείοις ἔπεσιν ἐντυχόντες
εὗρον ἐν αὐτοῖς ἐγγεγραμμένον αὐτὸ τοῦτο ¼¼ ἂν ὁ τῆς Αἰγύπτο βασιλεὺς
βοηθείας τινὸς δεόμενος ἔλθῃ, τὴν μὲν φιλίαν οἱ μὴ ἀπαρνήσασθαι, μὴ
μέντοι καὶ πλήθει τινὶ ἐπικουρήσητε˙ εἰ δὲ μή, καὶ πόνους καὶ κινδύνους
ἕξετε.᾽᾽ κἀκ τούτου τὴν συντυχίαν τῶν ἐπῶν πρὸς τὰ τότε γενόμενα
θαυμάσαντες ἀπεψηφίσαντο πάντα τὰ περὶ αὐτοῦ ἐγνωσμένα, Γαΐῳ Κάτωνι
πεισθέντες δημάρκῳ. Ταῦτα δὲ ἐχρήσθη μὲν οὕτῶς, ἐδημοσιεύθη δέ (οὐ γὰρ
ἐξῆν οὐδὲν τῶν Σιβυλλείων, εἰ μὴ ἡ βουλὴ ψηφίσαιτο, ἐς τὸ πλῆθος
ἐξαγέλλεσθαι) διὰ τοῦ Κάτωνος. Ἐπειδὴ γὰρ τάχιστα ὁ νοῦς τῶν ἐπῶν
διεθρυλήτη, ὥσπερ εἴωθε γίγνεσθαι, ἔδεισε μὴ συκρυφθείη, καὶ ἔς τε τὸν
ὅμιλον τοὺς ἱερέας ἐσήγαγε, κἀνταῦθα, πρὶν ὁτιοῦν τὴν γερουσίαν ἐπ᾽
ἀυτοῖς χρηματίσαι, ἐξεβιάσατό σφας ἐκλαλῆσαι τὸ λογίον˙ ὅσῳ γάρ τοι
μᾶλλον οὐκ ἐδόκει σφίσιν ἐξεῖναι τοῦτο, […] τὸ πλῆτος ἔσχε. Кαὶ ἐκεῖνο μὲν
ἔσχεν οὕτως, καὶ ἐς τὴν τῶν Λατίνων γλῶσσαν μεταγραφὲν ἀνεκερύχθη
[…]. Dio. XXXIX. 15. 505
503
Per un commento, vedi NIKIPROWETZKI 1970 p.151.
504
Cic. Fam. 1. 7. 4; Cic. Pis. 48-49; Luc. Bell. Civ. VIII. Vv. 823-826; App. Bell. Civ. II. 24. e
Dio. XXXIX. 15-16.
505
[…] All’inizio del nuovo anno la divinità dal cielo colpì la statua di Giove eretta sul monte
Albano, fatto che rinviò per qualche tempo il ritorno di Tolomeo Aulete in Egitto. (i Romani),
infatti, avendo consultato i versi Sibillini, vi avevano trovato scritto questo passaggio: ‘‘Se il re
d’Egitto verrà ad implorare aiuto, non rifiutategli l’amicizia, ma neanche soccorretelo per
mezzo di una moltitudine; o altrimenti avrete lotte e pericoli.’’ Al riguardo, colpiti dalla
189
Il prodigium per cui vengono consultati i Sibillini è un fulmine che colpisce il
tempio di Giove Albano, lo Iuppiter Latiaris, simbolo per eccellenza di potere
‘regale’; potere che in quanto tale non poteva trovare posto nello stato
romano, ma che invece distingueva l’Egitto, in quel momento al centro degli
interessi romani. Cerchiamo di chiarire la situazione politica romana di quei
anni: il re d’Egitto Tolomeo Aulete, nel 56 a.C. era stato esautorato dai
cittadini di Alessandria, durante una rivolta contro il rincaro delle tasse e si
era quindi rifugiato a Roma, chiedendo di essere reinsediato506. Poiché si
temeva che Pompeo aumentasse il proprio potere personale grazie alla
missione, il senato decise alla fine di affidare a Lentulo Spintere, governatore
della Cilicia, l’incarico, nonostante lo stesso Tolomeo Aulete avesse chiesto di
essere scortato da Pompeo507.
Il divieto sibillino venne comunque disatteso dallo stesso Pompeo, il quale nel
55 a.C. scrisse al suo vecchio compagno, Gabinio, proconsole della Siria,
incitandolo a rimettere sul trono Tolomeo, cosa che egli fece con la forza
delle armi. Gabinio, a causa di questa azione venne messo in accusa nello
stesso anno. In quell'occasione, Cicerone chiese al senato una lettura
completa dell’oracolo, confidando nel fatto che contenesse la punizioni per i
trasgressori; pare invece che ciò non fosse contemplato nell’ oracolo. Inoltre i
fautori di Gabinio risposero sostenendo che l’oracolo del 56 a.C. era stato
male interpretato, e si doveva in realtà riferire ad un’altra occasione 508.
Come è stato osservato, l’oracolo fu sicuramente confezionato ad hoc, per
impedire a Pompeo di ottenere di essere posto a capo di un’armata.
coincidenza dei versi con gli avvenimenti contemporanei, annullarono tutte le decisioni prese
nei confronti di Tolomeo, seguendo il consiglio del tribuno Gaio Catone; l’oracolo fu da lui
fatto divulgare. nonostante non fosse lecito rendere noto al popolo nessun oracolo dei libri
Sibillini senza decreto del senato. Ma poiché il popolo aveva avuto già sentore della profezia,
come suole accadere, e Catone temeva potesse venire nascosta, portati i quindecemviri
davanti al popolo li costrinse a pronunciare l’oracolo, prima che il senato avesse preso
iniziative al riguardo. I più scrupolosi di loro erano contrari ad agire, [più insistente] era la
moltitudine. La profezia, dunque suonava così, e venne divulgata trascritta in latino.
506
Dio. XXXIX. 12-14.
507
Dio. XXXIX. 55-56.
508
Cfr. PARKE 1992, p.250. Sugli avvenimenti riguardanti Gabinio abbiamo numerose fonti;
le lettere di Cicerone, ( Ad Fam. I. 1. 3.; I. 4. 2.; I. 7. 4.), e i racconti degli storici, Dio. XXIX.
55. 3.; App. Bel. Civ. II. 24.
190
Similmente al caso del 189 a.C., riguardante Manlio Vulsone, si intendeva
utilizzare una profezia sibillina per impedire un’ azione politica.
Tuttavia lo spunto potrebbe essere stato dato da effettivi oracoli Sibillini.
L’oracolo in questione, con il suo riferimento ad un re d’Egitto, potrebbe
rimandare direttamente alle profezie del già citato terzo Libro degli Oracula
Sibyllina, di cui la parte più antica venne redatta in Egitto dalla comunità
giudaico ellenistica di Alessandria, secondo J.J. Collins nel corso del II a.C.509
A tale riguardo si può osservare che i sostenitori di Gabinio potrebbero aver
avuto effettivamente ragione nel sostenere che l’oracolo non riguardasse
Tolomeo Aulete, ma un altro monarca 510.
Rimane il fatto che non vi è una chiara somiglianza dell’oracolo in questione
con precisi versi degli Oracula. 511.
509
COLLINS 1987; COLLINS 1999.
510
PARKE 1992, p. 251
511
Tuttavia in un verso del III libro (III. 47) - verso che precede l’oracolo dei tre distruttori di
191
- 44 a.C.
Il re di Roma.
Secondo una breve notizia di Svetonio, poco prima della morte di Cesare, nel
44 a.C., il quindecemviro Lucio Cotta, avrebbe presentato al senato la
proposta di dare a Cesare il titolo di rex, in quanto si era trovata nei Fatales
libri una profezia secondo cui soltanto un re avrebbe potuto vincere i Parti:
513
Svet. Iul. LXXX
514
Coloro che volevano concedere questo onore a Cesare, diffusero tra la gente questa voce,
e cioè che secondo i libri Sibillini, i Parti potevano essere vinti da Romani che li avessero
attaccati sotto il comando di un re, altrimenti erano invincibili.
515
Sulla tematica della divinizzazione in vita di Cesare, vedi DOBESCH 1966; WEINSTOCK
1971 e ALFOELDY 1985. Vedi anche CHIRASSI COLOMBO 1993. Su Cesare e la sua
politica, ricordiamo, nell’ immane bibliografia dedicata, il recente libro ‘Cesare. Il dittatore
democratico’, CANFORA 1999.
516
Vedi Dio. XLIII. 45. 3.; Cic. Ad Att. XII. 45. 3
192
Cesare era stato quindi non solo perciò consacrato a dio vivente, ma
specificatamente assimilato a dio soteriologico, sulla tipologia di molte divinità
517
proprie della koinè ellenistica . A proposito ricordiamo che anche il pensiero
giudaico diffuso in età ellenistica, con la sua proposta di Dio ‘monarca’,
garante cosmico di un unico ordine mondiale, si apriva a implicazioni
politiche, in una prospettiva di costruzione di un grande impero globale. Nel
terzo libro degli Oracula Sibyllina, ritorna il tema di un nuovo inizio, di un
rinnovamento legato alla figura – che richiama a quella del messia - del
monarca instauratore del ‘regno di dio’ o anche, dell’ ‘età dell’oro’ 518.
Si può ritenere probabile che influssi di assunti oracolari orientali fossero
presenti nella scelta di proporre l’assegnazione del titolo regale a Cesare
attraverso l’autorità dei libri Sibillini519; l’episodio sarebbe allora significativo,
come esempio del progetto di costruire attorno alla persona di Cesare una
figura di dio-monarca quale instauratore e garante di un nuovo ‘tempo’
qualitativamente diverso da quello precedente520. Proprio tale progetto sarà
destinato ad essere ripreso, in ottica diversa, da Augusto, che, senza proporsi
come monarca, fondando il suo potere sulla sua auctoritas cioè sul suo
carisma personale, in quanto pacificatore delle guerre Civili.521
Augusto inoltre si presenterà esplicitamente, con la celebrazione dei giochi
Saeculares, come garante del nuovo ordine, l’aurea aetas annunciata dalla
Sibilla522.
517
Vedi l’iscrizione di Efeso risalente al 48 a.C., SIG (3) 760. Vedi CHIRASSI COLOMBO
1993.
518
Vedi NIKIPROWETZKY 1970.
519
PARKE 1992, pp. 209
520
Vedi GAGE’ 1955, pp. 445 ss.
521
Cfr. Res ges. Div. Aug. 34. 1-3. Sul valore dell’auctoritas, come prestigio carismatico, vedi
HEINZE 1925; PUGLIESE-CARATELLI 1949; SERRAO 1991, pp. 38; CANALI 2002. Vedi
anche, sulle dinamiche del consenso durante il principato di Augusto, CANALI 1975; GUIZZI
1999. In generale, fra la copiosissima bibliografia su Augusto, vedi FRASCHETTI 1990;
FRASCHETTI 1998; ECK 2000.
522
La morte di Cesare offrì lo spunto per nuove speculazioni ‘profetiche’. L’avvennimento era
stato accompagnato da numerosi prodigia, i quali secondo Obsequens avrebbero
preannunciato le successive guerre civili (vedi Obs. 68). Fra questi soprattutto a destare
scalpore fu la stella cometa, stella crinita, vista durante i giochi indetti da Ottaviano per
l’apoteosi di Cesare nel luglio del 44 a.C.; tale accadimento venne interpretato come segno
193
- 17 a.C.
l’imperium sine fine.
Nel 17 a.C. vennero celebrati i ludi Saeculares. Nelle Res Gestae Divi
Augusti, il testo fondamentale per la propaganda dell’ auctoritas del Princeps
523
, Augusto stesso proclama la sua partecipazione ai giochi, come magister
del collegio dei quindecemviri sacris faciundis:
194
del Carmen Saeculare, l’inno composto da Orazio, che doveva essere
cantato dai due cori di fanciulle e fanciulli nella chiusura dei Giochi Secolari,
nel terzo giorno delle cerimonie:
195
ἡμέριος πέλεται θυέων τρόπος, ὣς δὲ καὶ αὐτὸς/
ἱρεύειν. Δαμάλης τε βοὸς δέμας ἀγλαὸν Ἥρης/
δεξάσθω νηὸς παρὰ σεῦ. Καὶ Φοῖβος Ἀπόλλων,/
ὅστε καὶ Ἠέλιος κικλήσκεται, ἶσα δεδέχθω/
θύματα Λετοΐδης. < Καὶ> ἀειδόμενοί τε Λατῖνοι/
παιᾶνες κούροισι κόρῃσί τε νηὸν ἔχοιεν/
ἀθανάτων. Χωρὶς δὲ κόραι χορὸν αὐταὶ ἔχοιεν,/
καὶ χωρὶς παίδων ἄρσην στάχυς, ἀλλὰ γονήων/
πάντες ζωόντων, οἷς ἀμφιθαλὴς ἔτι φύτλη./
Αἱ δὲ γάμου ζεύγλαις δεδμημέναι ἤματι κείνῳ/
γνὺξ Ἥρης παρὰ βωμὸν ἀοίδιμον ἑδριόωσαι/
δαίμονα λισσέσθωσαν. Ἅπασι δὲ λύματα δοῦναι/
ἀνδράσιν ἠδὲ γυναιξί, μάλιστα δὲ θηλυτέρῃσιν./
Πάντες δ᾽ ἐξ οἴκοιο φερέσθων ὅσσα κομίζειν/
ἐστὶ θέμις θνητοῖσιν ἀπαρκομένοις βιότοιο,/
δαίμοσι μειλιχίοισιν ἱλάσματα καὶ μακάρεσσιν/
Οὐρανίδαις. Τὰ δὲ πάντα τεθησαυρισμένα κείσθω,/
ὄφρα τε θηλυτέρῃσι καὶ ἀνδράσιν ἑδριόωσιν/
ἔνθεν πορσύνῃς μεμνημένος. Ἤμασι δ᾽ ἔστω/
νυξί τ᾽ ἐπασσυτέρῃσι θεοπρέπτους κατὰ θώκους/
παμπληθὴς ἄγυρις. Σπουδὴ δὲ γέλωτι μεμίχθω./
Ταῦτά τοι ἐν φρεσὶν ᾗσιν ἀεὶ μεμνημένος εἶναι,/
καί σοι πᾶσα χθὼν Ἰταλὴ καὶ πᾶσα Λατίνων/
αἰὲν ὑπὸ σκήπτροισιν ἐπαυχένιον ζυγὸν ἕξει.
Phleg. 257 FGrH 37.5; Zos. hist. nova, II. 5. 6. 531
L’oracolo contiene una lunga descrizione dei ludi, che si articolavano in tre
531
….Ma quando giunga il tempo ultimo della vita umana ed esso avrà raggiunto il ciclo dei
110 anni, ricordati, o romano ( e non scordare queste cose ), ricorda bene queste moniti: agli
dei immortali versa nel Campo Marzio presso la tomba della Timbride acqua lustrale, nella
stagione più secca, quando la notte scenderà sulla terra ed il sole avrà nascosto la sua luce.
Ed alle Moire che tutto sanno, sacrifica agnelle e capre nere, e sugli altari di Ilizia che
protegge i parti, sacrifica. E a Gea s’immoli una scrofa nera con i suoi tre porcellini. E siano
condotti, di giorno e non di notte, tori tutti bianchi presso l’ara di Zeus, che agli dei Urani del
sacrificio, il rito avvenga di giorno; in tal modo si compia il sacrificio. Nel tempio di Era da te
sia poi condotta una giovenca bella nel corpo; e Febo Apollo, chiamato anche Helios, il figlio
di Latona, uguali sacrifici riceva. E i Latini, cantando peani con fanciulli e fanciulle vadano al
tempio degli Immortali. A parte abbiano le fanciulle un coro, ed a parte si scelga il fiore dei
fanciulli, e tutti nati da genitori viventi, ai quali è chiara la stirpe. Le matrone fedeli al legame
del matrimonio, in quel giorno, preghino le divinità in ginocchio protese presso l’ara di Era,
perché diano assenso lieto agli uomini ed alle donne ed alle altre creature. Tutti da casa
rechino in offerta rituale le vivande necessarie alla vita mortale dell’essere umano, e vittime
agli dei benevoli ed ai beati Urani. Siano ben conservate tutte quante le offerte; ed alle
matrone ed agli uomini che stanno seduti là ricordalo attento. E sia di giorno, sia di notte, stia
la gente affollata con compostezza ed esultanza, accalcandosi fitta, su splendidi scanni
seduta. Quest’oracolo sia sempre fisso nella tua mente, così tutta la terra italica e tutta la
terra latina, a te staranno strette e salde sotto lo scettro.
196
giornate e comprendevano sacrifici notturni a Ghè, alle Moirae e alle Ilithyiae ;
sacrifici diurni a Zeus/Iuppiter, Hera/Iuno e Apollon; la presenza di un coro di
fanciulle e uno di fanciulli e la partecipazione delle matrone. E’ stato notato
come la presenza di Iuppiter, Hera e Apollon siano probabili innovazioni
augustee: soprattutto l’inclusione di Apollo, è stata considerata in questo
senso; tuttavia F.Coarelli puntualizza come la presenza del dio possa essere
considerata la ripresa di una possibile caratteristica delle celebrazioni più
antiche532. In tal caso, Augusto avrebbe reintegrato gli onori ad Apollon
nell’ambito della sua politica di esaltazione del dio, in linea con il suo
programma di ripresa di alcuni culti di età arcaica e monarchica. 533
I riti notturni, momento centrale delle celebrazione, distribuiti in tre notti
successivi, comprendevano sacrifici rivolti a Tellus, alle Ilithyiae - le divinità
protettrici dei parti - e alle Moirae, responsabili dei destini individuali.
Soprattutto il sacrificio alle Ilithyiae, quali divinità legata alla riproduzione, è
illuminante in quanto ci permette di riconoscere i ludi Saeculares, anche nello
svolgersi della loro prassi, come un rituale volto a propiziare la continuità della
generazione, nel momento critico del passaggio da un saeculum all’altro:
ricordiamo che il racconto della prima celebrazione dei ludi Taurii del 504 a.C.
li collegava a nascite abnormi534.
Nell’ambito della propaganda di Augusto, i ludi dovevano celebrare il periodo
di pace e prosperità iniziato dopo la vittoria di Azio535: ma soprattutto
riprendevano il messaggio di rinnovamento già auspicato nel 40-41 a.C. dalla
famosa quarta Ecloga virgiliana536, in cui la Sibilla Cumana annunciava il
rinnovo dell'ordo saeclorum e la reintegrazone dell’età dell'oro, dei Saturnia
Regna, vale a dire il ritorno ai meravigliosi tempi degli inizi, caratterizzati da
mancanza di conflitti e prosperità. Scrive Virgilio in Ecl. IV. 4-6:
Ultima Cumaei venit iam carminis aetas;
magnus ab integro saeclorum nascitur ordo.
532
COARELLI 1997, p.117.
533
Per la quale, vedi SCHEID 1998, p. 90 – 91.
534
Cfr. COARELLI 1997, p. 115 ss. Per il 504 a.C., vedi supra, p. 41.
535
Per l’utilizzo di motivi inerenti all’ aurea aetas nell’apparato iconologico della propaganda
augustea, vedi ZANKER 1987, p. 179-205.
536
Enorme bibliografia sulla quarta Ecloga, uno dei testi più discussi di tutta la letteratura
occidentale; un prospetto riassuntivo della storia degli studi in NICASTRI 1989; cfr. anche
NISBET 1978 e COLLINS 1999.
197
Iam redit et virgo, redeunt Saturnia regna 537
Sono le parole con cui la Sibilla, ‘mostra’ Augusto ad Enea, nella heroscopia,
la rassegna dei suoi discendenti. Augusto dunque si presenta come colui che
riconduce nel Lazio, nell’Italia pacificata, la mitica e prospera età dell’oro. 540
Nell’ annuncio di un nuovo ‘secolo aureo’ è evidente l’intento di richiamarsi
anche alle profezie di una possibile fine di Roma che avevano iniziato a
circolare nell’ambiente romano a partire, al più tardi, dall’inizio del primo
secolo. Già nella prima metà del secolo, come abbiamo visto erano stati
numerosi gli annunci che dichiaravano la fine del secolo in corso, soprattutto
da parte degli auspici; ricordiamo l’ episodio dell’ 88 a.C. a cui possiamo
aggiungere la notizia di Servio, secondo cui nel 44 a.C., l’aruspice Vulcacio,
immediatamente dopo la morte di Cesare e ai prodigia che erano seguiti,
aveva annunciato la fine del nono secolo e l’inizio del decimo e utlimo secolo
541
; una fine, dunque, che significava un nuovo inizio.
Tali speculazioni trovavano il loro riscontro, come abbiamo visto, nella
sibillistica greco-giudaica, in cui la Sibilla, nella prospettiva di una storia
universale, è l’annunciatrice, fra l’altro, di una nuova età, caratterizzata dalla
situazione di un pieno irenismo sotto la tutela del dio unico, da un nuovo
537
E’ giunta l’ultima età dell’oracolo cumano/ nasce di nuovo il grande ordine dei secoli./ Già
torna la vergine e torna il regno di Saturno.
538
Cfr. SINI 2002, par. 3.
539
Questo è l’uomo che ti senti spesso promettere,/ l’Augusto Cesare, figlio del Divo, che
fonderà/ di nuovo il secolo d’oro nel Lazio per i campi/ regnati un tempo da Saturno; […]
540
Per la heroscopia, uno dei brani più discussi dell’Eneide, vedi la nota 724 al libro VI nel
commento di L. Canali all’Eneide. (CANALI 2003)
541
Serv. Ad Buc. IX. 46.
198
ordine legato all’avvento di un inviato carismatico, un messia, un re 542.
In proposito, purtroppo, non ci è possibile affrontare qui il complesso dibattito
esegetico sulle possibili influenze di vario materiale profetico rintracciabili nel
543
contesto della quarta Ecloga di Virgilio ; ci limitiamo a puntualizzare come
sia possibile rinvenire nella descrizione virgiliana della età dell’oro un pattern
che rimanda con precisione ad annunci messianici presenti negli Oracula
Sibyllina, ma non solo 544.
E’ altresì importante sottolineare come l’ideologia augustea presenti accanto
all’idea rinnovamento del ‘secolo aureo’ anche l’intoduzione del concetto
rivoluzionario di un ‘tempo eterno’ concesso dal fato a Roma.
Il rimando è nel primo libro dell’ Eneide alla profezia sul destino di Roma, la
‘profezia di Iuppiter’, espressa a beneficio di Venus, che si duole per la fine di
Troia. Iuppiter promette alla figlia un imperium sine fine per la città futura che
avrà suo figlio Enea come antenato fondatore.
Inde lupae fulvo nitricis tegmine laetus/ Romulus excipiet gentem et Mavortia
condet/ moenia Romanosque suo de nomine dicit./ His ego nec metas rerum
nec tempora pono, imperium sine fine dedi.[…] Verg. Aen. I. 275-279 545.
L’ espressione ‘imperium sine fine’ può anche essere letta nel senso spaziale
di un impero senza confini546, ma non vi è dubbio che sia da intendersi
prevalentemente in senso temporale. E’ altresì possibile intendere una chiara
connessione tra il concetto di avanzamento infinito dei confini in senso
547
spaziale e l’aeternitas di Roma . L’aeternitas è un tempo nuovo diverso dal
542
NIKIPROWETZKY 1970.
543
Vedi COLLINS 1999. Vedi per i possibili influssi giudaici sulla quarta Ecloga, NICASTRI
1989. Cfr. anche JEANMAIRE 1939
544
Vedi NIKIPROWETZKY 1970; E’ possibile che Virgilio potesse essere a conoscenza di
testi ebraici messianici? La questione è molto dibattuta.Vedi NICASTRI 1989.
545
Allora, lieto del fulvo manto della lupa nutrice/ Romolo accoglierà la gente e fonderà
marziali/ mura, e dal suo nome li chiamerà Romani. /Ad essi non pongo limiti né di durata né
di potenza; / ho assegnato dominio infinito. […]
546
PICCALUGA 1974b, p.209; SINI 2002, par. 3. L’espressione ‘imperium sine fine’ rimanda
anche all’ imperium maius et infinitum, il potere sommo conferito ad Augusto nel 23 a.C,
infinitum nel duplice senso spaziale e temporale, in quanto era perpetuo e valido in tutte le
province e all’interno della città; Cfr. SERRAO 1991, pp. 39-41.
547
Ser. Ad Aen. I. 278. ’Nec metas rerum nec tempora pono: ‘metas’ ad terras rettulit,
‘tempora’ ad annos; Lavinio enim et Albae finem statuit, Romanis tribuit aeternitatem, quia
199
saeculum chiuso, e travalica la prospettiva introdotta dalla età dell’oro
annunciata da Virgilio. Con la celebrazione dei ludi Saeculares si intendeva
garantire ufficialmente l’inizio del nuovo secolo, che poteva essere inteso
diversamente da quello tradizionale, in quanto dilatato nella dimensione del
sine fine. In tal modo si rispondeva sia ai ‘timori etruschi’ che alle suggestioni
provenienti da Oriente, e in particolare a quelle profezie che prospettavano
per Roma un tempo ‘finito’548.
Roma è così sottrata dalla inevitabilità dei ritorni del tempo ciclico, alla
segmentazione degli annunci della Sibilla e affidata all’aeternitas concessa da
Iuppiter 549.
Ora, l’idea dell’eternità di Roma, probabilmente formatasi all’inizio del II
secolo a.C.550, ben presente in Cicerone 551
, proprio a partire dal principato di
Augusto assume particolare importanza 552.
E’ importante mettere in luce come la costruzione di un’ ideologia, attorno al
concetto di un tempo eterno avesse trovato un utilizzo a livello politico in
particolare nel sincretismo religioso mediterraneo in epoca ellenistica.
A proposito assume particolare rilevanza l’utilizzo del concetto espresso dal
termine ‘aion’, significante dalle complesse valenza, comunque inerente
200
all’idea di eternità553. Numerose testimonianza iconografiche, soprattutte
ellenistiche, mostrano un Aion personificato 554.
Nel romanzo di Alessandro dello Pseudo-Callistene (I.30)555, si ricorda
l’apparizione del dio Ammone ad Alessandro stesso. Si tratta di una variante
dei miti di fondazione della città di Alessandria. Ammon si presenta in sogno
ad Alessandro, confermando quella divina paternità che fa del giovane
principe macedone un “figlio di dio“. Ed è Ammon stesso ad indicare il luogo
dove fondare la città, che potrà garantire il mantenimento del nome di
Alessandro ‘aiosin acheiatosin’, per eoni senza termine, per l’eternità. Nella
profezia di Ammon la città si pone sotto l’egida di Aion Plutonios, identificabile
con Sarapis, il famoso nuovo dio della Alessandria Tolemaica.
Il culto di Aion è altresì attestato ad Alessandria in rapporto al famoso
Eleusinion, sede replica del complesso misterico di Eleusis. La notizia sul
culto di Aion bambino, la cui nascita si celebrava ad Alessandria nella notte
del 5/6 gennaio, ci viene dall’autore della patristica Epifanio, Adversus
556
Haereses .
553
Per le valenze polisemiche di Aion, vedi DEGANI 2001.
554
Aion compare nella aprima età ellenistica identificato con il dio iranico. La critica tende a
spiegare il modello dell’Aion ellenistico attraverso il concetto persiano dello zrvan akarana, il
tempo senza confini contrapposto al tempo limitato dall’inizio alla fine, lo zrvan- daregho
-chvadata entrambi presenti nella speculazione più tarda dell’ Avesta, il testo “sacro” della
religione persiana. Il “tempo eterno” come situazione eterna, infinita (sine fine), risolve il
conflitto Ahuramazda –Ahriman, secondo Eudemo di Rodi III a.C. (in Damascio, De principiis,
I.322), che attribuisce questa soluzione ai Magoi, il famoso “clan” di sapienti - teologi. Da qui
l’idea di un’entita che superi la dualità; il dio persiano Zurvan è ‘il Dio’ da cui vengono tutti gli
altri dei. E la personificazione del ‘tutto’, ed è anche il tempo personificato, identico alla
eternità. Puntualizziamo che in un sistema in cui dio e mondo sono pensati in un tutto
panteistico, non c’è divisione tra la vita divina e la durata del mondo, di cui risulta dunque
confermata la durata eterna. Vedi Lackeit‚ RE, Suppl.III, 1917, s.v. ‘Aion’, coll. 64-68;
DEGANI 2001, p. 49-51. Sul dualismo iranico e le sue influenze in ambito ellenistico ci
limitiamo a segnalare CERUTTI 1990, p. 9 – 22. Su Zurvan, in particolare, vedi p. 21. Per un
approfondimento sulle funzioni di Zurvan in ambito iranico, vedi ZAEHENER 1955.
555
Nell’edizione curata da S.Centanni (CENTANNI 1991). L’opera, frutto di diverse
rielaborazioni, risulta comunque di difficile datazione nelle sue parti.
556
Vedi Epifanio, haer. 51. 22. 9f. Cfr. LACKEIT 1917. Aion veniva onorato nel tempio di
Kore; si estraeva dall’ adyton sotterraneo l’immagine di Aion come un bambino in legno con
segni di croce segnati sul mento, le mani e i ginocchi. Il valore del rito si rispecchia nel grido
201
A noi interessa sottolineare soprattutto il rapporto di Aion-Kronos-Chronos
con il tempo inteso nella sua qualità duplice di tempo misurabile e
incommensurabile, ma diverso dal tempo eterno in sé, che rimane un
dilemma del pensiero greco-romano557. In ogni caso “l’eternità” di Aion pare
essere stata importante per definire il “tempo eterno” di alcune città
ellenistiche. Secondo il Lackeit, esempi di questa utilizzazione si possono
ritrovare in rapporto alle città di Byblos e Berytos. Zurvan starebbe dietro
Kronos, onorato come loro fondatore; ciò faceva di queste città delle “prime
città “ destinate ad essere eterne, in base all’eternità attribuita al dio in
questione 558.
202
Nella iscrizione è interessante, oltre il complesso legame con la dimensione
sottesa ai mysteria di Eleusis ,anche il rimando alla concezione di quel
‘mondo unico’, kosmos heis , concetto filosofico – religioso, ben spendibile
anche a livello politico, nel progetto di un’egemonia universale.
Da Augusto in poi ogni imperatore può proporsi come l’inauguratore di una
nuova età dell’oro e collegarsi alle idee di renovatio, felicitas e aeternitas560.
In questa nuova prospettiva la Sibilla diviene appunto garante di tale ‘tempo
infinito
di fine; non partecipe di mutamento, creatore di divina natura, in tutto eterna.’ (Trad. in
DEGANI 2001, p. 47.)
560
La aeternitas, associata o meno alla figura dell’imperatore, diviene motivo ricorrente nella
ideologia imperiale, propagandata in particolar modo a livello iconografico, ad esempio nella
monetazione. Vedi INSTINSKY 1946; BELLONI 1976.
203
Un epilogo inevitabile.
561
Tac. Ann. I. 76. 1.
562
Tac. loc. cit.
563
Tac. loc.cit.
564
Cfr. MONACA 2005, p. 251.
565
Rutilio Namaziano II. 52
204
CONCLUSIONI
566
In questa prospettiva il religiosus rientra nella sfera del privatus; a Roma si stabilisce così
quel rapporto dialettico tra publicus e privatus, dove il publicus rappresenta ciò che dipende
dalla voluntas del popolo e del senato, mentre il privatus coinvolge ciò che appartiene alla
sfera delle credenze negli esseri extraumani, negli dèi o dio. SABBATUCCI 1975, pp. 207 ss
205
famosa introduzione nel 496 a.C. del culto per la triade plebea Ceres-Liber-
Libera, momento chiave per la soluzione dialettica del rapporto patrizi-
plebei567.
Citiamo anche la consultazione dell’ anno 191 a. C., quando in seguito ad una
568
serie di prodigi, venne fissata la celebrazione dello Ieiunium Cereri . Un
analogo interesse verso le divinità plebee-agrarie è riscontrabile nella
569
introduzione dei ludi Florales nel 238 a.C. . Anche le modalità per
l’introduzione del culto per Asklepios di Epidauro, nella panoramica della
religio romana evidenzia la sofisticata abilità dei lettori dei libri di ridisegnare il
pantheon dell'Urbs, in particolare inserendo la divinità guaritrice che dal suo
centro panellenico teneva sotto controllo il delicato campo della salus; salute
intesa in senso ampio, banco di prova per la manifestazione di poteri illimitati,
pericolosi per la definizione di una divinità politeista. Manovrare la salus
significa poter oltrepassare i confini tra vita e morte e ‘giocare’ con
l’’onnipotenza’, qualità negata nell’ ottica politeistica. Appunto i Sibillini
consigliano Asklepios in chiave Vediovis, come anti-Iuppiter, suggeriscono
cioè l’introduzione di una divinità con possibilità di diventare ‘grande’, una
divinità post-politeistica 570.
Analogo prospettiva si può ricostruire per la famosa introduzione del culto di
una divinità che porta già nella titolature il segno della ‘grandezza’. Si tratta di
Cybele, la Magna Mater introdotta nel 207 a. C., in piena crisi annibalica,
quando Roma ha bisogno di allacciarsi allo scacchiere asiatico571.
Potremmo continuare agevolmente a segnalare la opportunità delle soluzioni
sibilline, sempre attente alle necessità del fatto politicio. Importante, in questo
proposito, l’intervento Sibillino del 461 a. C. che vietò ai tribuni, sulla base di
un’enunciato oracolare accompagnato dalla minaccia di una invasione
esterna, di sobillare la plebe 572.
567
Vedi supra, pp. 45 ss.
568
Vedi supra, pp. 137 ss.
569
Vedi supra, pp. 94 ss.
570
Vedi supra, pp. 84 ss.
571
Vedi supra, pp. 128 ss.
572
Vedi supra, pp. 51 ss.
206
L’analisi delle fonti dunque ci permette di avvalorare l’ipotesi che propone di
considerare i libri Sibillini essenzialmente come repertorio di remedia.
L’elemento ‘profetico’ nella consultazione dei libri come ricerca di rivelazioni
su eventi futuri è segnalata particolarmente nel I secolo a. C. e segna un
reale cambiamento di prospettiva. Non si ricorre ai libri per trovare una
spiegazione ad una serie di signa, ma si consultano i testi per trovarvi
l’anticipazione di cose future. Ricordiamo, a proposito, l’episodio, riferito
principalmente da Svetonio, che riguarda direttamente l’accusa a Giulio
Cesare di aspirare alla regalità, causa come ben sappiamo dell’ assassinio
politico delle Idi di marzo del 44 a.C. Nella fattispecie, la consultazione
(immotivata nelle fonti) dei libri Sibillini rivelò al quindecemviro Cotta che i
Parti averebbero potuto essere vinti solo da un re. 573
Lo scarso utilizzo dell’assunto profetico, prima dell’ultimo secolo a.C. è il
risultato di quello che possiamo definire una precisa scelta di ‘stile’ politico: di
fronte al fatto prodigiale, lo stato romano, attraverso il collegio preposto alla
lettura dei libri Sibillini, metteva in atto una strategia di gestione ‘del disordine’
altamente positiva, volta ad indicare essenzialmente il remedium adeguato,
anziché porre l’accento sul momento interpretativo del prodigium. E’ il modo
in cui Roma attua un contenimento del divinatorio, elemento passabile di
divenire potentemente eversivo, in quanto altamente manipolabile. Lo
dimostra ad esempio, al di fuori del contesto dei Sibillini di cui ci occupiamo,
la produzione di profezie antiromane di provenienza mediterranea–orientale,
ma non solo.
La percezione del pericolo sottointeso a tale tipo di produzione è evidenziato
da una serie di provvedimenti presi tra la fine del secondo ed il corso del
primo secolo a. C., come difesa organizzata dalla civitas rispetto ad enunciati
esterni ritenuti pericolosi. Ne è un esempio la conquisitio dei ‘libri profetici’
574
ordinata dal senato e che portò alla individuazione dei Carmina Marciana ,
ma anche l’ordine, dato da Augusto, di sequestrare e bruciare le profezie in
mano di privati 575.
Si inserisce sullo sfondo, molto opportunamente, anche la ricerca delle
573
Vedi supra, pp. 192 ss.
574
Vedi supra, p. 119 ss.
575
Vedi supra, p. 178 ss.
207
profezie sibilline mediterranee attuata dalla commissione incaricata di
ricostruire i libri Sibyllini andati persi nell’incendio del 83 a.C.576. In questo
caso sembrerebbe apertamente riconosciuta alla raccolta Sibillina il valore di
collazione di profezie, non solo di remedia.
A partire dal primo secolo, dunque, dal momento del recupero della nuova
raccolta sibillina, si può registrare una strategia di attenzione posta verso
annunci pienamente profetici. Possiamo azzardare la presenza di una
circolazione in Roma di enunciati analoghi a quelli che compaiono nei testi
pseudo-epigrafi di matrice ebraica, come i più antichi libri della famosa
collazione degli Oracula Sibillina. La presenza a Roma di un personaggio
come Alexander Polyhistor, liberto di Silla, autore di un Perì Iudaion che,
secondo alcuni rari frammenti pervenuti attraverso il IX libro della Preparatio
evangelica di Eusebio, conosceva una Sibilla ebraica in rapporto alla torre di
Babele, accredita la possibilità della circolazione nell’Urbs di materiale
577
sibillino pseudo-epigrafo . Si configura così con buone probabilità l’ipotesi
secondo cui Virgilio era a conoscenza di alcuni celebri passi pseudoepigrafi
giudaici, in particolare la profezia isaica del bambino in culla fra gli animali
feroci divenuti inoffensivi, modello ripreso nella famosa quarta Ecloga. In
questo caso, Virgilio avrebbe potuto avere davanti agli occhi passi del terzo
Libro degli Oracula dove la voce parlante è quella della Sibilla, nuora di Noè
578
.
In questa prospetiva, il concetto di tempo riservato a Roma diviene cruciale
nella formazione della propaganda augustea; a proposito, proponiamo una
riflessione, certamente impossibile da esaurire in questo contesto, sul valore
attribuito al saeculum nella celebrazione dei ludi Saeculares del 17 a.C.,579
intesi come momento inaugurale della nuova Roma, voluti da Augusto su
suggerimento dei libri Sibillini, che egli stesso aveva voluto mettere sotto la
protezione del suo dio Apollo, nel tempio del Palatino. Nell’ ideologia
augustea il saeculum si apre nella prospettiva dell’ imperium sine fine, ripreso
nell’ideologia dell’aeternitas, forse determinata dal complesso concetto
576
Vedi supra, p. 172 ss.
577
Per i frammenti, vedi FGrH 273 e III (Jacoby). Cfr. NICASTRI 1989, 270-271.
578
Sul tema, molto contrastato, oltre quanto detto in precedenza, vedi anche CHIRASSI
COLOMBO 2004; anche NICASTRI 1989.
579
Vedi supra, p. 194 ss.
208
dell’Aion che Roma avrebbe importato da Alessandria580.
Con il nuovo saeculum veniva superata l’idea di saeculum chiuso, benchè
rinnovabile, che sembra aver caratterizzato i ludi Saeculares anteriori, nonché
il tempo chiuso, ampio ma delimitato, di mille anni della Sibilla, già presente
nel frammento eracliteo.
580
Vedi supra, p. 199 ss. Vedi l’articolo in corso, CHIRASSI COLOMBO, ‘Alessandria, un
sogno progettato’ .
209
APPENDICE.
210
Gli Oracoli Flegontei dell’ androgino.
211
Γαίας ὑμετέρας ἀπερυκέμεναι ζὺγον αἰεί,/
Αἰδωνεῖ Пλούτωνι βοὸς κυανότριχος αἷμα/
Λαμπροῖς εἵμασι κοσμητοῦ μετὰ ποιμένος, ὅστις/
Λήματι ᾧ πίσυνος βοὸς ἄρταμος αὐτὸς ὅδ᾽ ἔσται,/
Ὅσσοι τ᾿ἄλλοι ὁμοῦ πίσυνοι κατὰ πατρίδ᾽ ἔασι˙/
Μὴ γὰρ ἀπιστόφιλος θυσίασιν ἀνὴρ παρεπέσθω,/
Ἔξω, δ᾽, ἔνθα νομιστὸν ἐπέπλετο φωτὶ τάδ᾽ ἕρδειν/
Νηπίστῳ καὶ ἄδαιτον ἔχειν θυσίαν. κατὰ δ᾽ αὐτήν,/
Ὅστισ ἂν ἡμετέρων χρησμῶν ἴδρις ἐς τόδ᾽ ἵκηται,/
Σεμνόν Φοῖβον ἄνακτα μετελθέτω ἐν θυσίαισι,/
Προφρονέως βωμοῖς ἔπι πίονα μηρία καύσας,/
Αἰγῶν πανλευκῶν νεάτην˙ ἀτὰρ, οἴδατε πάντες,/
Λισσέσθω Φοῖβον Παιήονα κρᾶτα πυκάσσας/
Ἱκτὴρ ἐσπίπτοντος ὅπως λύσις ᾖσι κακοῖο,/
Νοστήσας δ᾽ ἀπὸ τοῦ βασιλήιδα πότνιαν Ἥρην/
Ἀργὴν βοῦν θύων πατρίοισι νόμοις κατ᾽ αἶσαν˙/
Ὺμνεῖν < δ᾽>, αἴ κε γένει προφερέστεραι ὦς᾽ ἐνὶ λαος/
<………………………….>
Καὶ νήσων ναέται τὴν ἀντιπάλων, ὅτ᾽ἂν αἶαν/
Οὐ δόλῳ, ἀλλὰ βίᾳ Κυμαίδα πρόφρονες αὖτε/
Νάσσωνται, σεμνῆς βασιληίδος οἵδε τιθέντων/
Ἐν πατρίοισι νόμοις Ἥρας ξόανόν τε καὶ οἶκον./
Ἵξει δ᾽, ἂν μύθοισιν ἐμοῖς τάδε πάντα πίθηαι/
Σεμνοτάτην βασίλισσαν ἐπελθὼν ἐν θυσίαισιν/
Νήφαλά τ᾽ εὖ ῥέξας, ὅσαι ἡμήραι εἴς᾽ ἐνιαυτοῦ/
Ἐν πολλῷ χρόνῳ αὖ τόδ᾽ ἐφ᾽ ὕστερον, οὐκ ἔτ᾽ ἐπ᾽ αὐτοῖς./
Ὅς κε τάδε ῥέξῃ, κείνου κράτας ἔσσεται αἰεί˙/
Νηφαλίμων ἀρνῶν τε ταμὼν χθονίοις τάδε ῥέξον./
Ἤμος ἂν ἤδη ἔχῃς μεγάλ᾽ Ἥρης οἰκί᾽ ἁπάντῃ‚/
Ξεστά θ᾽ ὅτ᾽ ἂν ξόαν᾽ ᾖσι καὶ ἆλλ᾿ ὅς᾽ ἔλεξα‚ σάφ᾽ ἴ<σθι>‚/
Ἐν πετάλοισιν ἐμοῖς-ὑπὸ κερκίδος ἀμφὶ καλύπταν/
Ἱμέρτ᾽ ὅσσΔἔβαλον γλαυκῆς ἐλάας πολυκάρπου/
Ἀγλαὰ φῦλλα λαβοῦσα-λύσιν κακοῦ˙ ἦμος ἂν ἔλθῃ/
Ὕμμι χρόνος μάλα κεῖνος, ἐν ᾧ ποτε τἆλλα νεόγν᾽ ᾖ‚/
Τρὼς δῆτ᾽ ἐκλύσει σε κακῶν‚ ἅμα δ᾽ Ἑλλάδος ἐκ γῆς./
Αὐτὰρ ποῦ μεταβᾶσαν ἐποτρύνεις
ἀγορεῦσαι.
<………………………….>
212
e femminili che si mostrano nelle giovani donne. Ma non oltre terrò nascosto,
ma dirò i sacrifici di rito per Demetra e la casta Persefone. La stessa …dea ti
svelerà attraverso la spola i sacrifici, se tu sei disposto ad ubbidirle, per la
veneranda Demetra e la pura Persefone. Per prima cosa un tesoro in denaro,
avendo raccolto insieme, quanto tu voglia, dalle città, dalle molte tribù e da
voi stessi, a Demetra madre di Kore, ordina di fare un sacrificio. E inoltre a
spese publiche ti ordino ventisette tori <…. > sacrificare, splendenti dalle belle
corna e dal pelo bianco, che a vostro giudizio superino gli altri in bellezza.
Fanciulle, quante dissi sopra, ordino che con rito greco, compiano queste
cose, invocando la regina immortale con sacrfici castamente e puramente: e
allora poi accetti doni sacri dalle vostre mogli, e poi oltre a questo, credenti
nella mia tela una splendente luce queste cose portino alla veneranda
Demetra. E come seconda cosa, di nuovo avendo preso tre volte tante
libagioni prive di vino, le pongano su una tenue fiamma, quante anziane
conoscano bene il sacrificio. Ed altre mandino altrettanti doni alla Plutonide,
quante nella fanciulezza hanno animo privo di cure. Preghiamo la veneranda
Plutonide, esperta in tutto, che con l’avanzare della guerra rimanga in patria,
e l’oblio della città e di lei scenda sui Greci. Gli altri e le fanciulle portino il
tesoro
<………………………….>
la trama divina, la veneranda Plutonide sia adornata di vesti variamente
tessute, affinchè ci sia la fine dei mali. E benevolmente quanto di bello e
desiderabile sulla terra per i mortali ci sia a vedersi, anche questo portino,
insieme alla tela, in dono alla fanciulla regina. E quando grazie a Demetra e
alla santa Persefone avrete allontanato per sempre il giogo dalla vostra terra,
a Plutone Adoneo sia sacrificato il sangue di un bue dal vello scuro, adorno di
vesti dal pastore, che egli appunto in obbedienza alla sua parola ucciderà, di
persona, il toro; e quanti altri fedeli ci sono in patria (sacrifichino). Nessun
incredulo si avvicini ai sacrifici. Fuori rimangano i profani, dove è lecito per un
uomo non iniziato compiere queste cose, e avere un sacrificio senza
banchetto. (Dopo questo sacrificio) chiunque esperto dei vostri oracoli venga,
il divo venerando Febo unisca ai sacrifici, benevolmente bruciando sull’altare
grasse cosce, una nata di capra bianca e poi, sappiatelo tutti, implori Febo
Peana con il capo coronato, supplice, affinchè venga la fine del male che si
abbatte su di voi. E tornando qui, sacrificando alla regina potnia Hera una
vacca bianca secondo le leggi patrie, secondo il rito; e cantino un inno quelle
che più si distinguono per stirpe tra il popolo <….> e gli abitanti delle isole di
fronte, quando , non con l’inganno, ma con la forza, occupino a loro volta la
terra di Cuma, questi benevoli, innalzino una statua ed un tempio alla divina
Hera. Giungerà, se ubbidirai in tutte queste cose alle mie parole, facendo
partecipare la veneranda regina ai sacrifici, e compiendo bene le libagioni
senza vino quanti sono i giorni dell’anno, nel lungo corso del tempo, questo
evento (giungerà) di nuovo in seguito, ma non sugli stessi. Chi compie tali
cose, il suo dominio sarà eterno. Compi offerte agli dei inferi, tagliando pezzi
di agnelli non aspersi di vino. Quando tu abbia innalzato ovunque le grandi
case di Hera, e quando i templi siano levigati e tutto come dissi, riconosci
nelle mie foglie (sotto la volontà del fato, copri i desiati occhi, avendo colto le
nobili foglie dal glauco olivo) la soluzione dei mali: quando verrà per voi quel
tempo, in cui saranno generati nuovi prodigi, allora un troiano ti libererà dai
tuoi mali e dalla Grecia. Ma dove passata mi spingi a parlare…
213
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Dizionari.
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