Sei sulla pagina 1di 7

Osteomieliti

L'osteomielite è un processo infiammatorio suppurativo del midollo osseo, al quale partecipano attivamente
anche l'endostio e il periostio, mentre le trabecole e i sistemi osteonici sono interessati in modo passivo con
fenomeni di necrosi e osteolisi.

La più comune eziologia è quella batterica, ma si possono osservare con relativa frequenza anche
osteomieliti fungine, in particolare nei soggetti immunocompromessi.

CLASSIFICAZIONE

In rapporto alle caratteristiche anatomo – cliniche ed evolutive, si distinguono forme acute e croniche;
tuttavia, dal punto di vista pratico, è più utile una classificazione he tenga conto del meccanismo
patogenetico dell'infezione. Questo criterio trova infatti maggiore corrispondenza in relazione a fattori
epidemiologici, eziologici e clinici,l con implicazioni terapeutiche specifiche.

I meccanismi attraverso i quali il tessuto osseo è colonizzano dai microrganismi che danno luogo
all'infezione sono due: ematogeno e non ematogeno.

Le diverse vie di introduzione dei batteri nell'osso consentono dunque di distinguere le osteomieliti come
segue:

– Osteomieliti ematogene, in cui i microrganismi raggiungono l'osso da un focolaio infettivo a


distanza attraverso una fase batteriemica; tali forme si riscontrano nell'85% dei casi in età pediatrica.

– Osteomieliti non ematogene:

a. da inoculazione diretta, più comunemente a seguito di traumi aperti o interventi chirurgici. Tre
sono i campi della chirurgia dove le infezioni intra – e postoperatorie possono avere le conseguenze
più drammatiche: la cardiochirurgia, nella quale si osserva un'incidenza di infezioni dello sterno pari
all'1 – 3%; la neurochirurgia, con una frequenza attesa del 3 – 5% di infezioni del lembo
craniotomico; l'ortopedia, con un tasso di infezione variabile a seguito di osteosintesi e costituzioni
protesiche articolari;

– per contiguità, cioè per diffusione da un focolaio di infezione adiacente all'osso, abitualmente una
cellulite. Tali osteomieliti sono di regola associate a insufficienza vascolare e si osservano
soprattutto nei soggetti affetti da diabete mellito e vasculopatie periferiche. Colpiscono gli adulti
anziani e sono più frequentemente localizzate al piede (piede diabetico).

Questa classificazione presenta il limite della scarsa efficacia nel definire lo stadio evolutivo della malattia e,
per certi versi, la sua gravità e prognosi. Tale considerazione riveste un'importanza particolare nelle forme
cronicizzate, in cui l'estensione e alcuni aspetti anatomo – patologici del processo osteomielitico
costituiscono parametri di primaria importanza per formulare criteri prognostici attendibili.

La classificazione di Cierny – Mader, pubblicata alla metà degli anni '80, risponde a questi requisiti e
suddivide le osteomieliti in 4 stadi anatomici e tre stati fisiologici del paziente:

– Stadio anatomico:

a. Stadio 1: osteomielite midollare;

b. Stadio 2: osteomielite superficiale;

c. Stadio 3: osteomielite localizzata;


d. Stadio 4: osteomielite diffusa.

– Stato fisiopatologico:

a. Paziente di gruppo A: normale dal punto di vista fisiologico, metabolico, immunologico;

b. Paziente di gruppo B: compromissione sistemica e/o compromissione locale;

c. Paziente di gruppo C: il trattamento è peggiore della malattia.

Tale schema offre la possibilità di caratterizzare il quadro anatomo – clinico in modo preciso al fine di
individuare le scelte terapeutiche, mediche e/o chirurgiche, più adeguate.
La classificazione di Cierny – Maider prende in considerazione alcuni fattori che possono interferire sul
processo di guarigione. Questi si identificano con il grado di necrosi, la condizione dell'ospite, la sede e
l'estensione del processo settico locale.

Gli stadi anatomici hanno una parziale corrispondenza con la modalità patogenetica, essendo l’osteomielite
midollare di regola ematogena e quella superficiale secondaria a un’infezione diffusasi per contiguità dai
tessuti molli. Gli stadi più gravi sono caratterizzati dalla presenza di sequestri ossei corticali a tutto spessore:
nella forma localizzata la loro rimozione non compromette la stabilità del segmento scheletrico, mentre la
forma diffusa è instabile dal punto di vista biomeccanico a causa dell’interessamento circonferenziale
dell’osso. In questa classificazione non si fa distinzione tra forme acute e croniche, ma si caratterizza
l’estensione del processo settico e della necrosi tissutale, valutandone le potenzialità evolutive in base a
peculiari condizioni locali e sistemiche.

OSTEOMIELITE ACUTA

Epidemiologia. L'osteomielite acuta presenta una distruzione bisafica nella popolazione in relazione all'età.
Un primo picco di incidenza si rileva negli indivudi al di sotto dei 20 anni di età (circa l'80% dei casi),
mentre un secondo picco nelle persone oltre i 50 anni. Più della metà delle osteomieliti acute osservate nelle
prime due decadi di vita colpisce i bambini al di sotto dei 5 anni.

In era preantibiotica, l'osteomielite acuta in età pediatrica faceva registrare una mortalità variabile tra il 20 –
50% dei pazienti. Attualmente il decesso a seguito di questa malattia è un evento eccezionale, anche se il
ritardo diagnostico e il trattamento inadeguato continuano a rappresentare le cause principali di sequele
permanenti e/o d cronicizzazione nel 5 – 10% dei pazienti.

Patogenesi. La via di accesso ematogena è la più frequente e la più importante nella patogenesi
dell'osteomielite acuta. Se la batteriemia rappresenta il momento determinante dell'osteomielite, le
condizioni circolatorie a livello della giunzione tra metafisi ed epifisi nel soggetto in accrescimento
rappresentano un evidente fattore predisponente. I flusso ematico nei sinusoidi venosi metafisari è rallentato
e turbolento: tale situazione predispone alla formazione di trombi e microinfarti tissutali, soprattutto in
seguito a traumi locali.

L'ipotesi che il trauma possa essere un importante fattore patogenetico dell'osteomielite ematogena acuta è
supportata da alcuni dati epidemiologici: la fascia di età più colpita è infatti quella compresa tra i 2 e i 5 anni,
con una predominanza del sesso maschile rispetto a quello femminile (2,5:1) e con localizzazione elettiva
agli arti inferiori (75%).

Eziologia. L'agente eziologico più frequente in tutti i gruppi di età è lo Staphylococus aureus, seguito da
streptococchi e stafilococchi coagulasi – negativi. Nei bambini al di sotto dei anni un'elevata percentuale di
osteomieliti è sostenta dall'Haemophilus influenzae, mentre altri germi Gram – negativi, quali Proteus spp.,
Klebsiella spp. e Pseudomonas aeuruginosa causano spesso l'infezione in soggetti immunodepressi o
debilitati. Non è eccezionale il riscontro di microrganismi anaerobi, principalmente Bacterioides spp.

L'osteomielite acuta nel bambino è più frequentemente causata da u singolo agete patogeno. I microrganismi
in causa derivano da un focolaio di partenza evidenziabile solo nel 30% dei casi: di solito dsi tratta di
foruncoli, impetigine, ulcere o ferite infette. Nel 70% dei casi si evidenzia solo l'osteomielite come prima
manifestazione clinica dell'infezione ed è presumibile che i batteri penetrino attraverso le mucose
rinofarigee. Le forme sostenute da una fibra batterica mista, più comuni nei soggetti adulti, comportano
maggiori problematiche da punto di vista terapeutico.

Anatomia Patologica. L'impianto dei batteri nell'osso comporta una risposta infiammatoria con edema,
iperemia e passaggio di polimorfonucleati dal circolo al connettivo perivasale.

Questo primo tentativo di difesa a parte dell'organismo non è però efficace e rapidamente l'infiltrato
infiammatorio si diffonde a tutti gli spazi midollari dell'osso spugnoso e penetra nei canali di Havers e di
Volkmann dell'osso corticale.

L'amento della pressione midollare, compromette ulteriormente le condizioni circolatorie, le cellule vanno
incontro a necrosi colliquativa con la formazione di microascessi che possono confluire a formare raccolte di
maggiori dimensioni. Il pus si può diffondere a questo punto verso la corticale dell’osso e raccogliersi al di
sotto del periostio, formando un ascesso sottoperiosteo. Per propagazione del pus sotto il periostio, questo si
distacca dalla corticale, mentre i vasi sottoperiostei si trombizzano con conseguenti disturbi trofici dell’osso.
Sotto l’azione combinata delle tossine batteriche e dell’arresto circolatorio, porzioni più o meno ampie di
sostanza ossea vanno in necrosi, restando isolate in una massa di materiale colliquato e necrotico, fino a
formare il cosiddetto sequestro osseo, identificabile sui radiogrammi.

La diffusione del processo settico può quindi procedere vero il cilindro diafisario, essendo ostacolata la sua
diffusione verso l'epifisi dalla cartilagine di accrescimento, struttura priva di vasi. Tuttavia nel bambino al di
sotto di 1 anno di età, la presenza di vari transfisari fa si che l'osteomielite possa diffondersi all'estremità
dell'osso. La successiva erosione dell'epifisi e il passaggio di batteri in ambiente articolare possono quindi
dare luogo a un'artrite settica (osteoartrite).

Nelle forme con lesioni molto estese e vasto interessamento epifisario viene danneggiato anche lo strato
germinativo della cartilagine di accrescimento, determinando cosi una crescita asimmetrica dagli arti.

Alla fase puramente essudativa e necrotica segue una fase delimitante e riparativa, caratterizzata da
un'apposizione ossea reattiva da parte del periostio.

Quadro clinico. Nell'osteomielite ematogena acuta del bambino e dell'adolescente, la sintomatologia clinica
è contrassegnata da un esordio brusco, con brividi, cefalea, vomito, prestazione, tachicardia e febbre che può
raggiungere i 40°. Il sensorio è tanto più gravemente compromesso, specie in giovane età, quanto più veloce
è l'aggravamento dello stato settico.

Il dolore nella sede del focolaio è solitamente precoce e intenso, ma non sempre immediato; a volta può
essere riferito all'articolazione contigua con conseguente atteggiamento antalgico della stessa e viva
dolorabilità ai tentativi di mobilizzazione.

A distanza di alcune ore o di pochi giorni dall'inizio dello stato settico, si rendono manifesti i segni locali
dell'infiammazione, con tumefazione, arrossamento, accentuazione del reticolo venoso sottocutaneo e
termotatto positivo, segni che sono evidenti soprattutto se la sede dell'osteomielite è superficiale e comunque
quando la suppurazione ha avuto modo di diffondersi oltre il periostio negli spazi intermuscolari e
raggiungere il sottocute.

La diagnosi dovrebbe però essere posta assai prima che il processo possa giungere a tali gradi avanzati di
diffusione nell'osso e nelle parti molli che lo circondano e lo stesso vale per la messa in atto degli opportuni
provvedimenti terapeutici.

Oltre ai sintomi e ai segni clinici, si assiste rapidamente a un'alterazione di alcuni parametri di laboratorio
con leucocitosi neutrofila, aumento di VES, PCR e alpha – 2 – globuline.

La diagnosi precoce di osteomielite acuta riveste una notevole importanza prognostica, poiché l'impostazione
di un'adeguata terapia antibiotica entro 3 – 4 giorni dall'esordio della malattia aumenta in modo
considerevole la percentuale di guarigioni senza sequele.

La diagnosi differenziale in un bambino con dolore insorto improvvisamente e localizzato a una o più regioni
scheletriche dee essere posta tra diverse patologie locali e sistemiche: osteomielite acuta, malattia reumatica
ì, artrite reumatoide, artrite settica, artrosinovite aspecifica, setticemia, cellulite e malattia neoplastica
(sarcoma di Erwing, leucemia). Si deve comunque sempre sospettare un'osteomielite in un bambino con
dolore muscolo – scheletrico acuto accompagnato da stato tossico, febbre, leucocitosi e altri segni di
infiammazione.

Nel soggetto adulto l'osteomielite ematogena acuta è più rara, mentre l'insorgenza del processo infettivo a
seguito di diffusione per contiguità o per inoculazione dall'esterno (soprattutto dopo interventi chirurgici) è
più comune che nel bambino.

Il quadro clinico è di solito meno eclatante, seppure accompagnato da sintomi locali (dolore, tumefazione,
ecc.) e generali (febbre, malessere), oltre che dall'alterazione di alcuni parametri bioumorali (leucocitosi,
VES, PCR). Dal punto di vista anatomo – patologico vi è la suppurazione degli spazi midollari e la necrosi
ossea, con possibile formazione di sequestri, ma la reazione periostale è meno intensa rispetto a quella che si
osserva in età giovane. Caratteristicamente il focolaio tende a diffondersi a tutto il segmento scheletrico,
poiché nell'adulto non vi è più alcuna struttura cartilaginea posta a barriera tra la metafisi e l'epifisi.

Diagnostica per immagini. La diagnosi di osteomielite si avvale dell'ausilio di numerose tecniche di


diagnostica per immagini, necessarie per la corretta valutazione e stadiazione del processo infettivo e
dell'eventuale coinvolgimento delle parti molli limitrofe.

Il primo accertamento strumentale da effettuare è l'esame radiografico tradizionale. I segni radiografici


compaiono solo al termine della seconda settimana con radiotrasparenza dapprima a chiazze e poi sempre più
diffusa nella zona interessata per la progressiva demineralizzazione tale fenomeno corrisponde a un'intensa
attività osteolitica indotta dall'infiammazione che rapidamente si estende agli spazi midollari. Con il
sopraggiungere di fatti propriamente necrotici compaiono le immagini di sequestri. Questi, trovandosi
bruscamente separati dalla rete circolatoria, non partecipano ai fenomeni osteolitici e perciò conservano una
radiopacità che contrasta con l'osso porotico circostante.

Negli stadi successivi intervengono fenomeni osteoproduttivi con progressiva apposizione ossea periostale
ed endostale. Specialmente intorno ai sequestri si formano zone di addensamento iperostosico che creano
l'immagine di un astuccio osseo sclerotico (sarcofago). Dopo totale o parziale riassorbimento dei sequestri
compaiono immagini cavitarie in mezzo all'osso eburneizzato.

La TC è un'indagine con elevato potere risolutivo delle strutture scheletriche e risulta pertanto utile per
identificare foci infettivi troppo piccoli per essere evidenziati dai radiogrammi tradizionali, si rende
indispensabile per eseguire biopsie mirate e drenaggi di ascessi o raccolte fluide.
La capacità di evidenziare l'iniziale fase infiammatoria degli spazi midollari, rende la RM la metodica più
sensibile per identificare il processo osteomielitico al suo esordio. L'ottima definizione dei tessuti molli fa si
che essa costituisca la tecnica di imaging di elezione nei casi in cui sia utile caratterizzare il coinvolgimento
e l'estensione del processo infettivo alle strutture perischeletriche nel corso dell'infezione ossea, a crescente
disponibilità di apparecchiature e i progressivo sviluppo di competenze specifiche, nonché l'innocuità della
RM, inducono a prospettare per questo esame un sempre maggiore utilizzo nello studio delle infezioni osteo
– articolari.

Le indicazioni ottenute dalle indagini radiografiche tradizionali e/o panesploranti (TC, RM) devono essere
confermate dalle tecniche di radiologia nucleare, esami dirimenti per la diagnosi di osteomielite nei casi
dubbi.
La scintigrafia ossea con leucociti marcati (111In o 99mTc) rappresenta oggi la principale metodica diagnostica
per le infezioni osteo – articolari, in virtù dell'elevata sensibilità e specificità, entrambe superiori al 90%.
efficace per identificare l'osteomielite acuta, è particolarmente utile per riconoscere fenomeni di
riacutizzazione in corso di osteomielite cronica.

Terapia. Una volta posta la diagnosi di osteomielite, in base all'integrazione dei dati clinici, laboratoristici e
strumentali, è importante instaurare prontamente una terapia efficace che domini l'infezione nella fase
iniziale. A questo proposito è necessario isolare il germe in causa e atturare una terapia antibiotica mirata
sulla base dei dati forniti dall'antibiogramma. Si eseguono una serie di emocolture preferibilmente in
corrispondenza delle puntate febbrili; a tale fine può anche essere eseguito un prelievo diretto con ago sul
focolaio, se questo è superficiale.

In attesa dei risultati offerti dall'antibiogramma, è consigliabile comunque attuare una terapia antibiotica
empirica a largo spettro, impostata sulla base dei dati epidemiologici e degli aspetti clinici specifici del
singolo paziente. La terapia antibiotica richiede una particolare attenzione: deve essere praticata per via
parenterale, possibilmente endovenosa nelle fasi iniziali, a dosi elevate per garantire adeguati livelli di
farmaco nel focolaio infettivo, che per la sua sede viene raggiunto con una certa difficoltà da vari farmaci
antibatterici.

La terapia deve avere una durata non inferiore alle 3 – 4 settimane e protrarsi oltre la remissione della
sintomatologia fino alla normalizzazione degli indici di flogosi (leucocitosi, VES, PCR, elettroforesi
sieroproteica).

A seconda dell'esito della terapia si hanno tre differenti modalità di evoluzione:

– Risoluzione dell'infezione: con completa restitutio ad integrum del focolaio;

– Formazione di una raccolta saccata, delimitata da un vallo sclerotico: la sintomatologia generale


migliora, ma rimangono evidenti i segni locali della flogosi. In questo caso non si ha risposta alla
terapia antibiotica ed è richiesta la pulizia chirurgica del focolaio;

– Cronicizzazione: l'attenuazione dei sintomi e dei segni dell'infiammazione acuta può far pensare alla
guarigione del processi infettivo, che tuttavia non si è risolto. Alcune condizioni locali, come la
presenza di sequestri ossei o ascessi ossifluenti, compromettono l'azione degli antibiotici e,
nonostante la riduzione della carica batterica, non si ottiene l'eradicazione dell'infezione. In questi
casi l'evoluzione e la prognosi sono assai variabili
OSTEOMIELITE CRONICA

L'osteomielite cronica consegue spesso a una forma acuta che non è guarita, per quanto possano esistere
delle forme croniche sin dall'esordio, prodotte da germi poco virulenti o sviluppatesi in ospiti poco reattivi
(osteomielite dell'anziano). Poiché nell'osteomielite cronica è la base evolutiva finale di un'infezione che
interessa il tessuto scheletrico senza soluzioni di continuità, appare difficile stabilire una setta linea di
demarcazione rispetto al processo in fase acuta o subacuta. Per questo è stata proposta una definizione
“funzionale” di osteomielite cronica, in cui vengono incluse tutte le infezioni osteo – midollari che
rispondano a uno dei seguenti criteri:

– persistenza di segni clinici e/o radiografici di infezione per più di 6 settimane;

– evidenza radiografica di distruzione ossea, con formazione di sequestri o sclerosi;

– persistenza o recidiva di infezione dopo un appropriato cicli di antibioticoterapia.

Quadro clinico. Il quadro clinico è di solito caratterizzato da un'alternanza di fasi paucisintomatiche,


soprattutto a seguito di cicli di antibioticoterapia, e fasi di riacutizzazione con comparsa di fistole cutanee e
segni locali di flogosi. Queste manifestazioni corrispondono a due condizioni differenti dei microrganismi
infettanti: lo stato sessile, in cui i batteri restano in una condizione di quiescenza (talvolta protetti all'interno
di uno strato glicoproteico da loro stessi prodotto, il cosiddetto glicocalice), e lo stato planctonico, in cui i
germi entrano in una fase di proliferazione, diffondendosi nei tessuti molli perischeletrici.

Talvolta le manifestazioni cliniche, il quadro radiografico e le alterazioni bioumorali dell'osteomielite


cronica non sono dirimenti ai fini diagnostici; in questi casi è consigliabile il ricorso a ulteriori esami
strumentali, quali TC, RM e/o scintigrafia ossea. La biopsia, oltre a fornire ulteriori elementi per la diagnosi,
può essere utile per l'isolamento del microrganismo infettiante, tenendo presente che a livello delle fistole
cutanee (dove si eseguono con facilità i tamponi per esami colturali) possono essere presenti batteri
superinfettanti.

Il più comune agente eziologico, come singolo germe infettante, è lo S. aureus , ma i più recenti dati
epidemiologici indicano che sempre più frequentemente esso fa parte di una flora batterica mista. Tale
condizione si osserva in particolare nei pazienti traumatizzati con fratture esposte, dove si riscontra una
grande varietà di microrganismi infettanti.

Terapia. La terapia dell'osteomielite cronica è molto complessa, includendo misure chirurgiche e


farmacologiche volte all'eradicazione dell'infezione. La terapia chirurgica consiste del debridement di tutti i
tessuti necrotici e devitalizzati e, qualora possibile, nella rivascolarizzazione locale (lembi muscolo –
cutanei, innesti ossei microvascolarizzati). La rimozione di corpi estranei (mezzi di osteosintesi, protesi
articolari) si rende quasi sempre necessaria per eradicare l'infezione. L'antibioticoterapia deve essere
prolungata, adottando farmaci con una dimostrata attività verso tutti i microrganismi isolati, la necessità di
ricorrere a ripetute procedure chirurgiche, seguite da altrettanti cicli di terapia con farmaci antibatterici, non è
un'evenienza rara.
La persistenza di tragitti fistolosi può portare nel tempo all'insorgenza di carcinomi spinocellulari, una
complicanza che si osserva in circa l'1% dei casi di osteomielite cronica.
Infezioni delle protesi articolari

l'infezione rappresenta la complicanza più terribile delle protesi articolari, comportando notevoli
problematiche diagnostico – terapeutiche e alti costi in termini di sofferenza umana e risorse economiche.
Con il perfezionamento delle tecniche chirurgiche e delle misure di profilassi antibatterica, l'incidenza di
infezione si attesta oggi intorno all'1% degli impianti primari.

In relazione al periodo di comparsa delle manifestazioni cliniche del processo settico, si distinguono
infezioni precoci (entro 2 mesi dall'intervento), ritardate (entro 2 anni) e tardive (oltre 2 anni). Seppure con
una certa arbitrarietà, questa distinzione si applica per distinguere le modalità di contaminazione
dell'impianto protesico: da inoculazione diretta durante l'intervento nelle forme precoci e ritardate, per via
ematogena da un focolaio a distanza nelle forme tardive.

Gli agenti eziologici più comuni sono rappresentati dagli stafilococchi (epidermidis e aureus).

in caso di contaminazione intraoperatoria, mentre nelle forme tardive si osserva una crescente presenza di
batteri Gram – negativi (E. coli, Proteus. Spp.) e anaerobi.

Come per le osteomieliti croniche, gli aspetti fisiopatologici e anatomo – clinici delle infezioni prtesiche
sono assai variabili. Accanto a forme facilmente diagnosticabili per la presenza di fistole, si possono
osservare quadri paucisintomatici con alterazioni radiografiche non sempre dirimenti ai fini diagnostici. La
scintigrafia con leucociti marcati deve essere sempre eseguita in caso di sospetto di infezione.

La terapia è condizionata dalla tempestività della diagnosi e dalla presenza dell'impianto, che agisce da corpo
estraneo nel limitare l'efficacia degli antibiotici somministrati per via sistemica. L'eradicazione dell'infezione
non può prescindere dalla rimozione della protesi infetta nella maggior parte dei casi, si possono eseguire
interventi di revisione in un singolo tempo chirurgico (con l'impianto immediato di una nuova protesi fissata
all'osso con cemento addittivato di antibiotico) o in due tempi (rimozione della protesi infetta con impianto
di uno spaziatore articolare in cemento antibiotato, seguito a distanza di qualche mese dall'intervento di
riprotesizzazione).

Potrebbero piacerti anche