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La vita

Giacomo Leopardi nacque il 29 giugno del 1798 a Recanati (Macerata). Il


padre, dotato di squisiti gusti letterari e artistici, riuscì a collezionare
un'importante biblioteca domestica, contenente migliaia di libri e che
vedrà il giovane Giacomo frequentatore assiduo, tanto che a tredici anni
già si dilettava di letture greche, francesi e inglesi, di fatto insensibile alle
esortazioni paterne che avrebbe voluto per lui la conduzione di una vita
più sana e dinamica.

Nella biblioteca di casa trascorre i "sette anni di studio matto e


disperatissimo" nella volontà di impossessarsi del più ampio universo
possibile: sono anni che compromettono irrimediabilmente la salute e
l'aspetto esteriore di Giacomo, fonte fra l'altro delle eterne dicerie sulla
nascita del cosiddetto pessimismo leopardiano.

La verità è che il precoce letterato soffriva di una forma di ipersensibilità


che lo teneva lontano da tutto ciò che avrebbe potuto farlo soffrire. A
diciotto anni scriveva odi greche facendole credere antiche, e cominciava a
pubblicare opere di erudizione storica e filologica. Il padre, organizzava
accademie in famiglia per farvi brillare l'ingegno del figlio, ma questi ormai
sognava un mondo più grande, un pubblico più vario e meno provinciale.

Tra il 1815 ed il 1816 si attua quella che è divenuta famosa come la


"conversione letteraria" di Leopardi, il passaggio cioè dalla semplice
erudizione alla poesia; quella che lo stesso Leopardi definì appunto
"passaggio dalla erudizione al bello". Seguirà l'abbandono della concezione
politica reazionaria del padre ed il distacco dalla religione cattolica.

La vita di Giacomo Leopardi in sé è povera di vicende esteriori: è la "storia


di un'anima". E' un dramma vissuto e sofferto nell'intimità dello spirito.

Il poeta, e così nella sua trasfigurazione dell'essere umano "tout-court"


aspira ad un'infinita felicità che è totalmente impossibile; la vita è inutile
dolore; l'intelligenza non apre la via ad alcun mondo superiore poiché
questo non esiste se non nell'illusione umana; l'intelligenza serve soltanto
a farci capire che dal nulla siamo venuti e al nulla torneremo, mentre la
fatica e il dolore di vivere nulla costruiscono.

Nel 1817, sofferente per una deformazione alla colonna vertebrale e per
disturbi nervosi, stringe rapporti epistolari con Pietro Giordani, che
conoscerà di persona solo l'anno dopo e che presterà sempre umana
comprensione agli sfoghi dell'amico. In questo periodo il grande poeta
comincia fra l'altro ad annotare i primi pensieri per lo Zibaldone e scrive
alcuni sonetti. Il 1818, invece, è l'anno in cui Leopardi rivela la sua
conversione, in difesa della poesia classica. Intanto, è colpito da una grave
malattia agli occhi che gli impedisce non solo di leggere, ma anche di
pensare, tanto che più volte medita il suicidio.

Matura in questo clima la cosiddetta "conversione filosofica", ossia il


passaggio dalla poesia alla filosofia, dalla condizione "antica"
(naturalmente felice e poetica) alla "moderna" (dominata dall'infelicità e
dalla noia), secondo un percorso che riproduce a livello individuale
l'itinerario che il genere umano si trovò a compiere nella sua storia.

Sfortunatamente, in questo periodo si innamora pure segretamente della


cugina Geltrude Cassi Lazzari, che rappresenta uno dei suoi tanti amori
non corrisposti, amori ai quali il poeta attribuiva capacità di lenimento
delle pene dell'anima. Finalmente nel febbraio del 1823 Giacomo può
realizzare, il sogno di uscire da Recanati dove si sentiva prigioniero di un
ambiente mediocre, che non lo sapeva né lo poteva comprendere. Ma
recatosi a Roma presso lo zio materno, rimane profondamente deluso
dalla città, troppo frivola e poco ospitale.

Lo commuove soltanto il sepolcro del Tasso. Si mantiene con lo stipendio


mensile dell'editore milanese Stella, per il quale cura il commento alle
rime del Petrarca, esegue traduzioni dal greco e compila due antologie di
letteratura italiana: poesie e prose. Venutogli a mancare queste entrate
torna a Recanati (1828). Nell'Aprile del 1830 torna a Firenze su invito del
Colletta; qui stringe amicizia con l'esule napoletano Antonio Ranieri, il cui
sodalizio durerà sino alla morte del poeta.

Nel 1831 vede la luce a Firenze l'edizione dei "Canti". Nel 1833 parte con
Ranieri alla volta di Napoli, dove due anni più tardi firma con l'editore
Starita un contratto per la pubblicazione delle proprie opere. Nel 1836, per
sfuggire alla minaccia del colera, si trasferisce alle falde del Vesuvio, dove
compose due grandi liriche: "Il tramonto della luna" e "La ginestra". Il 14
giugno 1837 muore improvvisamente, a soli 39 anni, per l'aggravarsi dei
mali che lo affliggevano da tempo.

1° video
giacomo leopardi il poeta più importante dell'ottocento, italiano è uno dei più grandi
in assoluto il nome di giacomo leopardi è spesso associato a due parole e due
concetti romanticismo e pessimismo. leopardi era un uomo timido “non bello”
con un fisico fragile solitario, coltissimo. nasce in una cittadina delle marche recanati
da una famiglia tradizionalista di nobili
locali e passa gran parte della sua infanzia e della sua giovinezza a studiare la
biblioteca della casa paterna nella solitudine di un mondo chiuso nel paese che lui
chiamava “natìo borgo selvaggio” sogna universi lontani e felicità irraggiungibili si
innamora facilmente ma a distanza a molte delle donne di cui si è innamorato dedica
delle poesie tra queste silvia nerina e aspasia più che essere pessimista leopardi ha
un'idea dura e spietata della vita che lui chiama “natura” lui la definisce matrigna
ovvero una madre non buona non dolce che mette al mondo i suoi figli
abbandonandoli al loro destino è lei la causa di ogni felicità del male del dolore e
della morte ma è anche vero che leopardi nella poesia “la ginestra” scrive che tutti gli
uomini unendosi in un “social catena” possano contrastare la natura matrigna
proprio come fa la ginestra fiore che resiste nelle condizioni più difficili.l'opera
principale di leopardi è la raccolta delle sue poesie intitolate “canti”(1835).leopardi
non ha scritto solo questi ma anche opere in prosa come “operette morali” e lo
“zibaldone” diario personale un insieme di pensieri filosofici e letterari di appunti di
impressione. è morto di malattia nel 1837 a 39 anni.

2° video
il pessimismo storico e il pessimismo cosmico di giacomo leopardi sono due fasi
differenti del suo pensiero il pessimismo cosmico e successivo a quello storico è il
punto di partenza è naturalmente un pessimismo di tipo individuale che ha
caratterizzato proprio la giovinezza è il primo pensiero di giacomo leopardi
pessimismo individuale era quello per cui il poeta era portato a pensare di essere
infelice mentre gli altri intorno a lui infelici non erano questo pensiero era dovuto
ovviamente al suo tipo di vita alle sue condizioni di salute man mano che leopardi
elabora in quanto filosofo il suo pensiero giunge alla conclusione che rischiamo la
fase del pessimismo storico gli uomini erano felici soltanto nelle civiltà più antiche
quando il rapporto con la natura era costante quando la vita dell'uomo era dominata
dal l'istintività e data dal fatto di sapere molto poco non avevano ancora sviluppato la
ragione questo permetteva all'uomo di coltivare le illusioni proprio le illusioni erano
favorite dall'ignoranza dalla non conoscenza e in questo senso la natura era
considerata da leopardi come benevola perché proprio perché aveva dotato l'uomo
della capacità di immaginazione illusione in una fase successiva invece leopardi
elabora un pensiero più pessimistico e per cui ritiene che quella capacità umana
quella capacità che avevano le civiltà antiche e gli uomini appunto dell'antichità di
illudersi di sperare l'uomo moderno l'uomo contemporaneo non ce l'ha questo perché
la conoscenza non gli permette più di sognare non gli permette più di illudersi la
ragione ha vinto la ragione ha avuto il sopravvento ha avuto la meglio sull'illusione e
quindi il pensiero finale di leopardi il pessimismo cosmico è questo questa
riflessione sulla vittoria della ragione e totalmente distruttiva in realtà no perché per
leopardi nella fase finale del suo percorso e poetico e filosofico la ragione può
diventare la base attraverso la quale l'uomo conosce comprende la vita capisce di
essere piccolo capisce di essere nulla di fronte alla natura malevola o di fronte
semplicemente la natura indifferente che non considera l'essere umano un centro
dell'universo ma non lo vede e lo ignora tutto questo può portare invece l'uomo ad
amare il prossimo suo consapevole della propria fragilità e ad essere solidale cioè la
solidarietà l'amore la fratellanza insieme alla ragione possono essere il perno su cui
costruire una società intellettualmente ed eticamente onesta ed è il succo poi della
ginestra diciamo che le tre fasi che ha intuito leopardi nel nello sviluppo della civiltà
sono le stesse sono diciamo speculari rispetto a quelle dell'individuo cioè come
l'individuo quando e bambino è felice e può illudersi perché non conosce ancora la
realtà e così anche durante la giovinezza è pieno di speranza perché ancora deve
conoscere la vita ancora deve sperimentare la realtà e man mano che cresce la
ragione ha il sopravvento e la realtà stessa vince sull'illusione così nel percorso della
civiltà umana la ragione e la disillusione hanno avuto la meglio sull'illusione e questo
è un pensiero che si sviluppa sia all'interno dello zibaldone sia all'interno delle
operette morali sia nella ginestra che il canto in cui si riassume questo pensiero
poetico e filosofico leopardiano.

3° video L’infinito
la poesia di giacomo leopardi l'infinito è un titolo che delimita quali sono i temi
fondamentali di tutta la poesia ovvero: lo spazio e il tempo. è anche tempo ciclico
che si ripete continuamente l'avvicendarsi delle stagioni della vita che muore e
rinasce, il nucleo centrale di questa poesia con un tema molto caro a l'uomo che
esprime il suo interrogarsi sugli stati del mondo impossibili da sondare fino in fondo
con la sola regione. questa poesia è un componimento di 15 endecasillabi sciolti e
significa che la poesia si riallaccia alla tradizione poetica classica perché viene
espressa in endecasillabi cioè il vecchio classico per eccellenza d'altra parte però
non è costruita con uno schema metrico particolare cioè diversi tra loro non rimano,
gli endecasillabi si dicono appunto sciolti questa specie di libertà metrica permette al
poeta di esprimersi senza troppe costrizioni e soprattutto senza dare troppo
l'impressione che legge dell'artificio letterario rendendo il significato della poesia
quindi molto più personale e intimo con un ritmo foneticamente meno cadenzato e di
respiro più ampio analizzando i temi fondamentali della poesia troviamo sicuramente
quello della natura: l'ermo colle, la siepe, il vento, le piante, le stagioni, il mare, la
presenza di questi elementi è l'unica cosa che ancora il poeta. questa sistema
dell’uso di termini determinativi questo e quello in realtà evidenziano ancora di più
l'indeterminatezza generale di tutto il paesaggio, infatti non viene specificato di quale
colle si parla, di quale selve, non viene ulteriormente descritta in realtà dal poeta, non
interessa parlare della natura ma di ciò che accade a se stesso di fronte ad essa ogni
elemento naturale diventa così soltanto una coordinata vaga per mettere in scena,
rappresentare l'esperienza dell'io poetico che è il vero personaggio di tutta la poesia
come abbiamo visto l'elemento dello spazio è un tema fondamentale infatti
l'elemento descrittivo e metaforico anche su cui si regge tutta la narrazione tutto
nasce infatti da una contrapposizione iniziale tra uno spazio lontano ma cano cioè il
laggiù è rappresentato dal colle è uno spazio vicino e ristretto il cui delimitato dalla
sierra il poeta si trova nel qui e non riesce ad andare oltre a raggiungere il colle tanto
caro perché la si accoglie lo impedisce ma quando il poeta si siede e si mette a
guardare l'orizzonte ecco che grazie alla sua immaginazione riesce a pensare a
interminati spazi oltre la siepe e prende così vita la sua esperienza poetica più per
altro tema fondamentale abbiamo visto il tempo il tempo che viene espresso tra
l'altro fin dall'inizio del primo verso con sempre da cui parte tutto sempre caro mi fu
quest'ermo colle un verso che sembra dall'inizio una descrizione ci si chiede il poeta
parlerà del colle oppure potrebbe dare inizio al racconto di un ricordo passato forse
un ricordo d'infanzia questo abbozzo di ricordo si arresta però alla siepe che quindi
non solo fa da spartiacque spaziale tra ciò che è lontano e ciò che è vicino ma anche
tra il passato sempre caro mi fu eil presente il guardo esclude il passato è passato e
dunque non si può recuperare ma anche presente sempre raggiungibile perché la
siepe rappresenta una barriera mentale ma grazie alla sua esperienza ambientale il
poeta saprà ricordare e riconoscere sia il passato che è presente unendoli in un unico
significato e arricchirsi di questa nuova consapevolezza abbandonandosi ad essa è il
no fregato il mio dolce in questo mare campo semantico fondamentale pure
l'esperienza sensoriale infatti tra la percezione degli elementi naturali e l'elaborazione
mentale di concetti astratti spazio e il tempo in questa poesia c'è un intero sistema
sensoriale che viene vissuto ed espresso da parte del poeta si parte da un dominio
sensoriale visivo la siepe che guardo esclude sedendo e mirando eccetera che
giungerà un dominio sensoriale acustico solo una di silenzi e profondissima quiete il
vento odo stormir quello infinito silenzio a quella voce poi comparando e il suo dilei
analizzando le figure retoriche che sono presenti nella poesia ci accorgiamo che
seppure essa non fa uso di rene in realtà è sapientemente costruita su un'infinità di
piccoli accorgimenti fonetici e sintattici che gli danno una cadenza e una musicalità
particolari ad esempio dopo i primi tre versi introduttivi nel momento in cui proprio a
inizio l'esperienza sensoriale del poeta abbiamo l'uso del gerundio di sedendo e
mirando che costituisce una specie di rima interna abbiamo anche notevole uso del
polisindeto con la ripetizione della congiunzione e sovrumani silenzi e profondissima
quiete e quello dell'assonanza cucciolo sedendo spazi su domani silenzi e
profondissima quiete che danno alla frase un'ampiezza maggiore e una cadenza
anche più lenta e dolce che accompagnano bene il significato espresso dai versi
un'altra assonanza presente nella poesia e quella col suono v ove per poco e come il
vento questa voce o comparando i miei sogni m la presente vi va in assonanza che si
dipana su ben nove versi accompagnata da molte ripetizioni del suono o
particolarmente profondo che lega tra loro tutti i versi centrali della poesia fino a
consegnarli all'epilogo proprio nell'epilogo troviamo di nuovo epolis in dato e mi servì
all'eterno e le molte stagioni è la presente viva e il suo di lei perché aceto al senso del
succedersi dei pensieri nella mente del poeta ed il suo vagabondare da un pensiero
all'altra l'ultima ripresa nel verso finale della convenzione e in pagarmi e dolce in
questo mare non fa che proseguire questo senso del vagabondare del pensiero con
cui si conclude la poesia altre figure retoriche importante è lanciamo del mondo non
c'aveva è quello espediente tramite il quale leggiamo i versi in modo continuo senza
pause diciamo tra la fine di un verso all'inizio del vecchio successivo grazie alla già
boom abbiamo quindi una maggiore enfasi dell'ampiezza di questi endecasillabi
quindi di nuovo si eccettua l'idea di una poesia di ampio respiro infine non
dimentichiamo che tutta la poesia si basa sull'uso di metafore bellissime dove la
siepe e rappresenta la barriera mentale dell'uomo che lo stimola guardare oltre lo
stormire del vento tra le piante ricorda la mente gli spazi infiniti entro cui può
muoversi il pensiero e il male cui annegare è la dimensione senza confini
dell'immaginazione allora come osservazioni conclusive non possiamo dire che
queste esperienze sensoriali che del poeta descrive a partire da un contatto con la
natura permette di raccontare un'esperienza propria alla sua meditazione vengono
descritti pochi elementi naturali in colle una siepe che fa da barriere allo sguardo il
vento che soffia ma questa scarna descrizione solo uno stimolo al poeta per fare una
riflessione su temi come lo spazio e il tempo passato il presente e il loro infinito
dilatarsi ma più che la riflessione in sé in questi versi viene rappresentato lo
sgomento dell'uomo di fronte all'immensità di questi temi i temi sul quale il poeta si
sofferma sono però per lui fonte di dolcezza infatti passato lo sgomento iniziale il
poeta va oltre perché è contento di abbandonarsi a queste riflessioni come se
rappresentassero per lui il senso profondo del suo io più intimo in cui riconoscere
anche il significato del suo passato e quindi del suo presente l'incapacità dell'uomo
di sondare il senso profondo delle cose è per lui quindi uno stimolo è un'occasione
per andare oltre usando la propria immaginazione infatti nello zibaldone leopardi
scrive l'anima s'immagina quello che non vede che quell'albero quella siepe quella
torre e li nasconde e varando in uno spazio immaginario e si figura cosa che non
potrebbe se la sua vita si estendesse dappertutto perché il reale escluderebbe
l'immaginario il racconto espresso in questa poesia è quello quindi di un'esperienza
personale e intima ed è soprattutto in questo senso che la poesia di leopardi viene
chiamata idillio quasi come fosse una pagina di diario in cui il poeta trascrive
sensazioni.

4° video

Testo
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là da quella, e sovrumani 5

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello

Infinito silenzio a questa voce 10

Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,


E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s'annega il pensier mio:

E il naufragar m'è dolce in questo mare. 15

Parafrasi
Ho sempre amato questo colle solitario
e questa siepe, che impedisce al mio sguardo
di scorgere l’interezza dell’estremo orizzonte. Ma quando sono qui seduto, e guardo,
comincio
a immaginarmi spazi sterminati al di là di essa,
e un silenzio sovrumano, e una pace abissale,
fin quasi a sentire il cuore tremante di paura. E non appena sento il fruscio degli
alberi accarezzati
dal vento, questa voce paragono
a quel silenzio infinito: e d’improvviso nella mia mente
affiora l’eternità, e tutte le ere ormai trascorse,
e quella presente, viva, con la sua voce. Così il mio pensiero è sommerso in questa
immensità
ed è dolce, per me, inabissarmi in questo mare.

La ginestra, poesia di Leopardi

La ginestra o Il fiore del deserto è la lirica che chiude i Canti di Giacomo


Leopardi, per una precisa scelta in quanto funge da testamento spirituale dell’autore.
E’ stata composta a Torre del Greco, in provincia di Napoli, nel 1836. E’ stata poi pubblicata
postuma nell’edizione dei Canti del 1845, curata da Antonio Ranieri.

Un cenno sui Canti


In questa definitiva edizione, i Canti comprendono 41 liriche che sono state ordinate sia
secondo criteri cronologici che tematici. L’opera non si pone in continuità con il
Canzoniere di Petrarca perché non è unitaria. E’ ugualmente importante perché è la
testimonianza dell’evoluzione del pensiero leopardiano. Per brevità, si possono
dividere le liriche in tre grandi gruppi che rappresentano le rispettive fasi della produzione
dell’autore.

1818-1823 Piccoli idilli

Leopardi vive la fase del pessimismo storico. L’infelicità è infatti dovuta all’evoluzione
storica della civiltà perché l’uomo, col passare degli anni, si allontana sempre di più dalla
felicità dello stato naturale.

1828-1830 Grandi idilli

Oppure Canti pisano-recanatesi. E’ questa la fase del pessimismo cosmico. L’infelicità


investe tutto e la natura diventa matrigna perché spinge gli uomini a desiderare cose che
non possono ottenere (illusioni).

1831-1836 Ciclo di Aspasia e ultime liriche

(Tra cui La ginestra) Sono in polemica con il facile ottimismo e sono ricchi di pensiero
filosofico.

La ginestra: il testo

La ginestra o fiore del deserto è quindi il testamento poetico dell’autore. L’unico


modo per contrastare il destino così maligno verso gli uomini è quello di comportarsi come la
ginestra. Attorno al fiore ruota tutto il componimento. Tale pianta si trova alle pendici del
Vesuvio. Essa resiste a tutto e diventa il simbolo di una nuova poesia che auspica la
fratellanza tra gli uomini (pessimismo sociale).

La canzone è composta da strofe libere di endecasillabi e settenari. Essa si apre con un


verso del Vangelo di Giovanni (“E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la
luce“).

Leopardi polemizza con quelle persone che scelgono di vivere in uno stato di ignoranza
(nelle tenebre), non tenendo conto dei mali del mondo. La luce rappresenta quindi la
consapevolezza dell’esistenza di tali mali e non va inquadrata dal punto di vista religioso.

Analisi delle strofe

La prima strofa si apre con la descrizione di un paesaggio desolato, quello del Vesuvio. In
questo contesto cresce la ginestra con i suoi fiori profumati. Leopardi ricorda che anche tra
le rovine dell’antica Roma è possibile sentire l’odore di questa pianta. Con grande sarcasmo,
il poeta invita gli ottimisti (coloro che di solito esaltano la condizione degli uomini) a visitare
questo paesaggio desolato per capire come la natura non si cura degli uomini.

La strofa termina con un famosissimo verso: “le magnifiche sorti e progressive“. La citazione
è chiaramente sarcastica verso chi pensa che gli uomini vivano sereni sulla terra.
Nella seconda strofa il poeta accusa il XIX secolo di aver abbandonato il razionalismo
dell’Illuminismo. Per essere invece tornato a credenze religiose ed irrazionali che portano
l’uomo verso un gravissimo regresso culturale. Continua inoltre la polemica verso coloro che
si illudono che questa sia la migliore epoca che gli uomini abbiano mai vissuto.

Le strofe centrali

Nella terza strofa, il poeta invita gli uomini a prendere atto della triste condizione di infelicità
in cui si trovano e soprattutto esalta la solidarietà tra loro. Bisogna infatti stringersi insieme in
una social catena (v. 149). Serve lottare contro la natura perché essa è la principale
responsabile dei desideri non soddisfatti dell’uomo e della condizione di infelicità nella quale
essi si trovano.

La quarta strofa si apre con la contemplazione della volta celeste. Guardando questi spazi
immensi, secondo Leopardi, l’uomo sbaglia a credersi al centro dell’universo e quindi pecca
di superbia. Egli polemizza quindi anche con la religione (vv. 190-195) che ha creato delle
illusioni perché ha spinto l’uomo a pensare che esso sia al centro dell’universo.

La quinta strofa comincia con una similitudine. Il poeta paragona la distruzione del vulcano
con la mela caduta dall’albero che uccide un intero popolo di formiche in un solo istante. In
tal modo simboleggia l’assoluto disinteresse della natura nei confronti dello stato umano.

Strofe finali

Questa riflessione sulla natura termina nella sesta strofa. Qui viene descritta l’eruzione del
Vesuvio di notte con particolari cupi proprio per dimostrare che la vita dell’uomo è molto
breve mentre la natura è eterna e minacciosa.

La poesia termina con una strofa finale dedicata alla ginestra. La struttura quindi è
perfettamente circolare. Il fiore viene esaltato perché è capace di sottostare al proprio
destino senza alzare il capo. E quindi è capace di diventare superbo, senza supplicare il
vulcano di risparmiarla. Gli uomini dovrebbero quindi evitare sia la viltà che l’orgoglio e
diventare umili ma tenaci come la ginestra per continuare a vivere la loro esistenza in
maniera degna.

Commento

Dal punto di vista formale, il poeta abbandona le suggestioni indefinite per adottare una
poesia più filosofica e razionale e soprattutto preferisce utilizzare strofe ampie per sviluppare
il suo discorso.

La sintassi diventa complessa e articolata con periodi ricchi di subordinate, lo stile diventa
quasi quello di una prosa. Prevale anche l’utilizzo di suoni aspri perché il paesaggio
rappresentato desolato ed arido e l’utilizzo di pronomi deittici (or, qui, questo etc.). Sono
presenti inoltre molte sentenze morali.

La ginestra diventa quindi un modello morale da seguire perché accetta il suo destino senza
essere superba e neppure vigliacca: nella sua semplicità sa essere molto più coraggiosa
dell’uomo. Leopardi vuole così lasciare il suo messaggio all’umanità.
Egli infatti non è un poeta pienamente pessimista come si può pensare, ma crede
fortemente nella solidarietà tra gli uomini, che diventa così il valore più importante per
contrastare i mali della vita.

2° link la ginestra

L'epigrafe è polemica e sarcastica. Leopardi capovolge il senso della frase dell’evangelista


Giovanni: il buio rappresenta per il poeta l’illusione della religione e delle menzogne, la luce
la ragione.

Prima strofa. Vengono presentati i protagonisti del componimento: il Vesuvio e la ginestra,


quest’ultima allegoria della natura e dell’uomo saggio, che non cede di fronte agli inganni,
capace di guardare la realtà; con occhio cristallino, di cogliere l’arido vero.

C’è differenza tra passato e presente, a livello culturale, di pensiero, ma anche a livello
stilistico e linguistico. Il passato è rappresentato da Ercolano e Pompei, luoghi di
villeggiatura degli antichi Romani, simbolo di ricchezza. Il presente è “ruina” (v.33). Leopardi
subito mette in evidenza la differenza tra passato e presente per sottolineare che la natura è
la vera artefice del destino dell’uomo.

Il poeta polemizza contro gli individui che si sentono al centro di tutto e artefici del proprio
destino: sulle pendici del Vesuvio possono capire che l’uomo è nulla.

Seconda strofa. Vi è la polemica nei confronti del XIX secolo, definito superbo e sciocco
perché ritiene gli uomini più importanti di quello che sono in realtà. Gli uomini stanno
regredendo invece di progredire, perché non seguono la via tracciata dal Rinascimento e
dall’Illuminismo, che prevede l’uso e l’importanza della ragione per cogliere la realtà. L’uomo
invece cade nelle illusioni della spiritualità.

“Pargoleggiar” (v.59): chi non crede nella religione ritiene che essa sia una favola.

Gli intellettuali cedono anche essi alla spiritualità, benchè in cuor loro scherniscano il loro
tempo (v.62).

“Non io” (v. 63): Leopardi non morirà con la vergogna di aver seguito il pensiero degli uomini
del suo tempo; non si preoccupa di essere dimenticato insieme al suo secolo (vv. 68-71).

Dal v. 72 (“Libertà vai sognando”) Leopardi critica il principio di autorità (ipse dixit: si
ricorreva all’autorità di qualcuno per affermare una propria idea, senza che venisse cercato
un fondamento di questa nella realtà). La "Libertà di pensiero" veniva limitata.

Nel XIX secolo non si accetta la realtà (arido vero), si rifiuta il limite dell’essere umano, la
sua finitezza.

Chi segue la spiritualità (vv. 85-86) o è astuto (perché è consapevole ma vuole manipolare
la gente) o è folle (perché crede davvero nella religione).
Terza strofa. La nobile natura è quella che è in grado di accettare la realtà per quella che è.
E’ ridicolo chi finge sulla sua condizione (vv. 87-93); è stolto chi fa finta di non capire in che
condizione è nato l’uomo e promette felicità (vv. 103-104) a un popolo che può essere
facilmente travolto dalla natura.

L’uomo di nobile natura sopporta le sofferenze, non si inimica i simili, è capace di capire che
la natura è la responsabile di tutte le sofferenze (v.125). Solo l’uomo di nobile natura capisce
che il genere umano deve allearsi in una catena sociale (concetto rousseauviano) (v. 149).

I valori che rendono un popolo civile sono: il consorzio civile, la giustizia, il rispetto (vv. 152-
153).

Quarta strofa. E' caratterizzata da un poetare più vicino alla poetica del vago e dell’infinito, la
conclusione della strofa sarà realistica.

Vi sono contrapposizioni tra la finitezza dell'uomo e l'infinità dell'universo e tra la finitezza


della Terra e l'infinità dell'universo.

La violenta realtà è che l’uomo e la Terra sono nulli.

L’uomo è così presuntuoso che crede che un dio si sia fatto uomo per parlare con lui (v.
193).

Quinta strofa. Vi è una polemica celata. La natura non si occupa delle sue creature: tutti gli
esseri viventi sono uguali e hanno un destino comune.

Sesta strofa. Il Vesuvio semina ancora terrore. C’è la figura poetica dell’umile contadino che
teme di perdere il suo campo.

Dal v. 269 Leopardi parla di Pompei, che rischia di essere ancora travolta;

vv. 280-288: richiamo alla poesia lugubre di Foscolo (e a quella cimiteriale inglese):
l'atmosfera è cupa e funerea, e su questo sfondo la lava è ancora più evidente;

v. 289: opposizione tra la vita dell’uomo e le sue opere e l’immortalità della natura;

“sta”: immobilismo natura;

“caggiono”, “passan”: movimento, caducità degli uomini.

Settima strofa. La struttura del canto è circolare: esso si conclude con la ginestra e il
Vesuvio.

La “lenta ginestra” si piega ma non si spezza, si adatta alle forze. La ginestra è innocente,
non si ribella, ma non è codarda né superba.
La ginestra può essere l’allegoria dell’uomo dalla nobile natura o della voce della poesia,
che consola l’uomo nel deserto dell’esistenza.

Nell’opera, che costituisce il testamento spirituale e letterario di Leopardi, si individua il


pessimismo storico (critica al suo secolo), il pessimismo cosmico (malvagità della natura;
idea che tutte le creature sono destinate a perire), e il pessimismo combattivo (invito a una
catena sociale).

La ginestra è un’allegoria moderna. Mentre nel medioevo l’allegoria era considerata la verità
(Dio) coperta da bella menzogna (simboli), ora la verità non è più Dio. L’uomo si
rivolge a se stesso, non più a Dio; solo in se stesso può trovare la verità (e comprendere la
realtà).

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