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P = P (ρ, T )
κ = κ(ρ, T )
ε = ε(ρ, T )
In tutti e tre i casi è altresì da assumersi, anche se non esplicitata, la dipendenza dalla
composizione chimica della materia. Le tre funzioni dovranno evidentemente coprire tutto il
campo di valori di ρ e T che ci attendiamo nelle strutture stellari. Stante la complessità delle
relative valutazioni, equazione di stato e opacità vengono in genere fornite al programma
evolutivo sotto forma di acconce tabulazioni che riassuono i risultati dei calcoli. In questo
capitolo esamineremo nell’ordine le tre relazioni, al fine di identificare l’intervento dei vari
possibili meccanismi fisici, delineando le generali vie di approccio a tale problematica.
P = Pi + Pe + Pr
con ovvio significato dei simboli. Si assume in ciò trascurabile il contributo di moti
collettivi (convezione, turbolenza), la cui quantità di moto può peraltro giocare un ruolo
non trascurabile nel caso delle atmosfere stellari.
3.2.1 Il gas perfetto
Per ciò che riguarda la componente particellare (ioni ed elettroni), in molti casi la materia
stellare si comporta con buona od ottima approssimazione come un gas perfetto. Ricordiamo
che per un gas perfetto di particelle libere e tra loro non interagenti, vale l’equazione di stato
1
2
P = nkT
P = Pi + Pe = (ni + ne )kT
Tale relazione può essere facilmente portata nelle due variabili ρ, T (proprie delle
equazioni di equilibrio), osservando che per un gas composto da particelle di massa ”m”
si ha n = ρ/m. Poichè nel gas stellare la massa è essenzialmente quella degli ioni, potremo
coaı̀ porre
k
Pi = µi H ρT
e, in totale
k k k
Pgas = µi H ρT + µe H ρT = µH ρT
Trascurando ΣXi /Ai (Xi << 1, Ai ≥ 12) ed osservando che Zi /Ai ∼ 1/2 (ciò è esatto
per C, N, O, Ne che sono tra i maggiori contributori a Z) si ottiene infine
3Y Z ρ
n ' (2X + + )
4 2 H
da cui per il peso molecolare medio (ρ/µH = n)
1
µ= 3Y Z
(2X + 4 + 2)
kT >> Z 2 e2 /d = ECoul
Ni (= ρ/µH) ∼ 1/d3
Z 2 e2 1
T /ρ1/3 >>
k (µH)1/3
da cui
condizione in genere ben verificata nelle strutture stellari. Per temperature T∼ 107 K
(combustione dell’idrogeno, Z=1) si ottiene ρ << 4.107 gr/cm3 , per T∼ 108 (combustione
dell’elio, Z=2) ρ << 109 gr/cm3 , cioè valori di densità che superano ampiamente quanto
avremo occasione di verificare nella larga generalità delle strutture stellari. Le condizioni
per un sensibile intervento di correzioni coulombiane (alte densità, basse temperature) ap-
pariranno solamente nel caso di stelle di piccola massa o di nane bianche, per le quali sarà
necessario introdurre nell’equazione di stato opportuni termini di correzione coulombiana.
Quando ECoul ∼ kT il gas inizia a solidificare e per ECoul > kT gli ioni sono forzati in una
struttura solida sino a cristallizzare (Fig. 3.1).
E’ facile infine riconoscere che se sono trascurabili le interazioni ione-ione, lo sono an-
che quelle ione-elettrone ed elettrone-elettrone. Ciò è immediato per Z=1, mentre per Z
maggiori la diminuzione del prodotto delle cariche interagenti prevale sulla contemporanea
diminuzione delle mutue distanze.
4
Fig. 3.1. Mappatura schematica delle condizioni del plasma stellare al variare dei parametri
temperatura-densità con schema delle traiettorie evolutive delle condizioni centrali di strutture
stellari .
mi vi2 = me ve2
λ = h/p << d
Ove ciò non si verifichi, si manifestano effetti quantistici ed il gas di elettroni viene
definito quantisticamente degenere. E’ immediato riconoscere come queste condizioni sulla
densità siano più stringenti di quelle per le interazioni coulombiane.In effetti la degenerazione
elettronica giocherà un ruolo determinante in molte strutture stellari.
3.2.3 Equazione di stato del plasma stellare
Se alla pressione del gas aggiungiamo il contributo portato dalla radiazione, ove non
intervengano fenomeni di degenerazione elettronica e risultino trascurabili le interazioni
coulombiane, otteniamo l’equazione di stato per il plasma stellare
5
Fig. 3.2. La linea del piano log T, log ρ lungo la quale la pressione di degenerazione eguaglia
quella degli elettroni liberi. La linea a tratti segnala l’instaurarsi di degenerazione relativistica.
k 1 1 a
P = ρT ( + ) + T 4
H µi µe 3
Gli effetti della degenerazione elettronica sono di rendere il gas di elettroni più incom-
primibile di un gas perfetto. Gli elettroni sono infatti fermioni (cioè particelle a spin sem-
intero) per i quali vale il Principio di esclusione di Pauli per il quale non più di due elettroni
possono occupare un identico stato energetico. Ne segue, ad esempio, che nel limite T → 0 un
gas di elettroni possiede energia e quantità di moto, quest’ultima implicando una pressione
non prevista dalla trattazione classica.
Si può porre
Pe = Pe + Pe,d
ove con Pe ePe,d si indicano rispettivamente la pressione di un gas perfetto di elettroni e il
contributo della digenerazione. Pe,d può essere calcolato sulla base del comportamento quan-
tistico di un gas di Fermi (→ A3.2). La Figura 3.2 mostra l’intervento della degenerazione
nel piano ρ, T , riportando in particolare la linea di transizione lungo la quale Pe,d = Pe ,
come definita dalla relazione
Fig. 3.3. Assorbimento della radiazione al variare della lunghezza d’onda da parte di un atomo neu-
tro di Pb. Le varie discontinuità corrispondono all’energia di ionizzazione dell’elettrone sull’orbita
più interna (K) e degli elettroni nella successiva shell L.
κ = Σκi
I possibili meccanismi di interazione radiazione-materia sono riassumibli in quattro cat-
egorie:
→ Scattering eletronico: diffusione di fotoni da parte degli elettroni liberi presenti nel
plasma stellare. Alle energie stellari è in genere valida l’approssimazione di scattering
isotropo non relativistico (Scattering Thomson). Alle alte energie intervengono fenomeni
quantistico-relativistici (Scattering Compton).
→ Processi bound-bound (bb): assorbimento del fotone da parte di un elettrone legato
(bound) ad un nucleo con passaggio dell’elettrone ad orbite ad energia superiore. Si tratta
dunque di processi di eccitazione.
→ Processi bound-free(bf): assorbimento del fotone da parte di un elettrone legato che
viene liberato (free=libero) e portato nel continuo, secondo un processo altrimenti noto come
Effetto Fotoelettrico o Fotoionizzazione.
→ Processi free-free (ff): assorbimento di un fotone libero ma nel campo di un nucleo.
Si può facilmente verificare che l’assorbimento di un fotone da parte di un elettrone libero
ed isolato resta proibito dalle leggi di conservazione di energia e quantità di moto. Il pro-
cesso diventa possibile in presenza di un terzo corpo (il nucleo) che partecipi al bilancio di
conservazione.
Gli ultimi tre processi implicano un assorbimento solo come atto iniziale: gli elettroni
assorbiti ritorneranno in equilibrio termico riemettendo energia sotto forma di radiazione
7
Fig. 3.4. Mappatura nel piano T, ρ dell’efficienza relativa dei vari meccanismi di opacità.
isotropa, ed il risultato netto di tali interazioni sarà quindi di estrarre fotoni dal flusso di
radiazione uscente.
La valutazione dettagliata delle probabilità di interazione per gli eventi bb e bf è cer-
tamente tra le più onerose procedure affrontate dal calcolo astrofisico. Tale calcolo richiede
preventivamente una dettagliata conoscenza non solo del grado di ionizzazione ma anche
della distribuzione degli elettroni nei vari livelli (gradi di eccittazione), la valutazione delle
probabilità di interazione per le varie frequenze della radiazione e infine l’esecuzione di
un’opporuna media (media di Rosseland → A3.4) sullo spettro della radiazione. Ciò implica
in generale la considerazione di milioni di righe di assorbimento dovute agli atomi nei vari
stati di ionizzazione. Il calcolo diventa ancor più oneroso alle basse temperatura a causa del
contributo degli spettri rotazionali delle molecole presenti.
Nel secondo dopoguerra un vasto programma di ricerca sull’opacità fu iniziato per motivi
strategici dai laboratori di Los Alamos. Sulla base di tale lavoro, ripreso e perfezionato
in altre istituzioni, oggi sono disponibli tabulazioni di opacità radiativa per varie miscele
di elementi in funzione dei parametri di stato ρ e T . Nel calcolo di strutture stellari tali
tabulazioni sono ormai d’uso generale, sostituendo antiche approssimazioni analitiche. E’
peraltro opportuno discutere con qualche dettaglio l’efficienza dei vari meccanismi di opacità
al fine di ricavare indicazioni generali sul loro intervento nel calcolo delle strutture stellari.
Per ciò che riguarda lo scattering Thomson, anche classicamente (→ A3.3) si trova che
la probabiltà di interazione tra la radiazione e una particella di carica e e massa m è data
da
8π e2 2 8π 2
σT = ( ) = r
3 mc2 3 0
dove r0 = 2.82 10−13 cm è il raggio classico della particella, cioè il raggio attribuibile
alla particella se tutta la sua massa fosse di origine elettromagnetica. Poichè tale probabilità
va come 1/m2 è subito visto che i nuclei danno un contributo allo scattering trascurabile
rispetto a quello degli elettroni.
Ricordando che l’opacità corrisponde alla probabiltà di interazione per unità di superficie
e per unità di percorso risulta quindi
ne
κT = σ T
ρ
8
Fig. 3.5. Andamento dell’opacità radiativa al variare della temperatura per assunti valori della
densità.
Fig. 3.6. L’intervento della degenerazione elettronica induce un crollo dell’opacità totale κT alle
alte densità.
κT ∼ 0.2(1 + X)
che mostra come l’opacità per scattering Thomson non dipenda dalla densità ma solo
dall’abbondanza in massa di idrogeno. Notiamo infine che in presenza di degenerazione
elettronica la probabilità d’interazione tenderà a diminuire, per divenire proibiti tutti quegli
scattering che porterebbero gli elettroni in stati già occupati. Ad alte energie, in regime di
scattering Compton (hν ≥ me c2 ), occorrerà inoltre tener conto che lo scattering non è più
isotropo ed i fotoni tendono ad essere preferenzialmente scatterati in avanti.
Ove siano presenti elettroni legati (materia non completamente ionizzata) i processi bb e
bf dominano sullo scattering Thomson. Di qui la grande importanza degli elementi pesanti
nel determinare l’opacità della materia stellare, nonostante la loro relativamente scarsa ab-
bondanza, con contributi determinanti in regioni dove ormai H e He sono completamente
ionizzati. Per i processi bf (effetto fotoelettrico) notiamo in particolare che ad ogni stato
legato dell’elettrone corrisponde una ben precisa energia di estrazione (ionizzazione)Wi . Per
ogni possibile ionizzazione esiste quindi per i fotoni una energia di soglia hν = Wi al di sotto
della quale il processo è proibito. Come conseguenza l’opacità presenta un caratteristico
andamento con picchi corrispondenti alle varie ionizzazioni (Fig. 3.3).
9
L’interazione free-free può infine essere riguardata come il processo inverso della ben nota
radiazione di frenamento (Braemstrahlung) dove un elettrone emette un fotone nel campo
di un nucleo. Il principo del bilancio dettagliato assicura che in condizioni di equilibrio
termodinamico le velocità di reazione diretta ed inversa devono essere eguali. Si trova così
Z 3 ρ −7/2
κf f α Z 2 ne ni T 7/2 α T
A2
che con il termine Z 3 mostra ancora una critica dipendenza dalla presenza di elementi
pesanti.
A fianco dei meccanismi bb, bf e ff occorre anche tener conto dei fenomeni di emissione
stimolata che, aggiungendo fotoni al flusso, diminuiscono in pratica le singole opacità di un
fattore 1 − ehν/kT (Coefficienti di Einstein). In totale per ogni frequenza ν si avrà
ε = ε g + εN − ε ν
.
3.4.1 Il bilancio termico della materia
Al primo meccanismo corrisponde il calore assorbito o prodotto a causa delle trasfor-
mazioni termodinamiche subite dalla materia stellare. Di norma indicato, ma impropria-
mente, come produzione di energia gravitazionale, in esso deve essere compreso non solo il
lavoro delle forze di pressione ma anche le variazioni di energia interna del plasma stellare. Il
bilancio termico per grammo di materia è immediatamente fornito dal primo principio della
termodinamica che con formulazione intensiva può essere scritto
dQ = dU + pd(1/ρ)
dove U rappresenta l’energia interna per grammo di materia e 1/ρ è il volume corrispon-
dente. Introducendo l’entropia per grammo di materia S si ricava
10
Fig. 3.7. L’energia di massa per nucleone al variare del numero di nucleoni (numero atomico) in
nuclidi stabili.
dQ dS dS dP dS dT
εg = − = −T = −T [( )T + ( )P ] = EP Ṗ − CP Ṫ
dt dt dP dt dT dt
I coefficienti EP e CP delle derivate temporali sono facilmente ricavabili nel caso di
una miscela di gas perfetto e radiazione (→ A2.4). Nel caso generale essi vengono calcolati
assieme all’equazione di stato e forniti anch’essi sotto forma tabulare. Si noti come la presenza
delle derivate temporali implichi che laddove εg non sia nullo l’integrazione di una struttura
stellare richiede precise informazioni sulla passata storia temporale di P e T lungo tutta la
struttura della stella.
p + p → D + e+ + νe
troviamo l’energia rilasciata sotto forma di energia cinetica dei prodotti di reazione e
nella produzione dell’elettrone positivo. Quest’ultima particella è destinata ad annichilarsi
con un elettrone negativo
e+ + e− → 2γ
11
così che la produzione del positrone corrisponde, come bilancio netto energetico, alla
produzione di due γ di energia complessiva pari all’energia delle masse a riposo degli elettroni
annichilati (2me c2 ) più l’energia cinetica delle due particelle.
Il γ ed il deutone D vengono rapidamente termalizzati, cedendo cosı̀ la loro energia alla
struttura. Questo non avviene per il neutrino elettronico νe , particella debole il cui cammino
libero medio è ben superiore alle dimensioni stellari. L’energia Q∗ acquisita dalla struttura
è quindi fornita dal Q della reazione meno l’energia (media) portata dal neutrino. Ove sia
noto il numero N di reazioni nucleari che avvengono per unità di tempo e di volume, il
coefficiente di energia nucleare sarà fornito, per ogni prefissata reazione, dalla relazione
N ∗
εN = Q erg gr−1 sec−1
ρ
3.4.3 Termoneutrini
Ad alte temperature e densità, a fianco della produzione di neutrini nelle reazioni nucleari
divengono efficienti meccanismi di produzione di neutrini direttamente a spese del contenuto
termico del plasma stellare, cui nel seguito daremo il nome di termoneutrini. La teoria delle
interazioni deboli fornisce il quadro di tali interazioni quali provengono anche dalla provata
esistenza di correnti neutre:
Fig. 3.8. Regioni del piano ρ, T di predominio dei diversi processi di produzione di termoneutrini.
E’ mostrata, a tratti, la linea lungo la quale l’Energia di Fermi (Ef ) eguaglia l’energia termica, che
delimita la regione di degenerazione elettronica.
simile come risultato ma sostanzialmente diverso dallo scattering coulombiano nel quale non
sussite interazione nucleare e formazione del nucleo composto. Si noti che i possibili canali
di decadimento del nucleo composto possono dipendere anch’essi dall’energia: ad esempio
solo fornendo al nucleo composto energie superiori all’energia di legame dei nucleoni sarà
possibile che il nucleo si frammenti nei suoi singoli componenti (evaporazione del nucleo).
In un generico processo di collisione nucleari tra due particelle i e j, il numero np di eventi
che, per unità di volume e per unità di tempo, conducono ad un prodotto finale ”p” viene
correlato alla densità delle particelle interagenti ed alla loro mutua velocità V attraverso una
relazione che è definizione della sezione d’urto σp
np = Ni Nj σp (V )V
dove Ni e Nj indicano rispettivamente il numero di particelle interagenti per unità di
volume. E’ facile verificare come tale relazione rappresenta l’estensione formale di quanto
banalmente ricavabile nel caso di particelle assimilabili a sferette. Essendo Ni Nj il numero
di possibili coppie di particelle per unità di volume, σp (V )V si configura come la probabilità
per coppia di particella che avvenga il processo ”p”.
Nel caso di particelle di varia velocità è immediata l’estensione della relazione precedente
alla più generale relazione
dnp = Ni Nj (V )σp (V )V dV
dove Ni Nj (V )dV rappresenta il numero di coppie di particelle che hanno tra loro mutua
velocità tra V e V+dV, e dnp è il contributo di tali particelle al processo in esame.
Nel caso di reazione di fusione particelle cariche, che è quello che più direttamente ci
interessa, la probabilità di reazione può essere ulteriormente esplicitata entrando nel merito
dei meccanismi fisici ad esso inerenti. Ricordando che si ha formazione di nucleo composto
quando le particelle giungono alle distanze dell’interazione forte, una reazione nucleare può
essere pensata procedere in due successivi e distinti passi
1) Le particelle giungono a interagire forte, superando la repulsione coulombiana,
2) Il nucleo composto cosı̀ formatosi decade nel canale prescelto.
Essendo questi due accadimenti tra loro indipendenti, la probabilità P di reazione sarà
data dal prodotto delle due rispettive probabilità
P = σ(V )V = PC PN
ove con PC e PN indichiamo rispettivamente la probabilità (coulombiana) di formazione
del nucleo composto e la probabilità (nucleare) di decadimento del nucleo composto nel
canale prescelto.
In tale scenario, le regole della fisica ci consentono di valutare PC . Al proposito è da con-
siderare che alle temperature tipiche degli interni stellari l’energia delle particelle interagenti
è in ogni caso inferiore all’altezza della barriera coulombiana ( 3.9). In altre parole le reazioni
nucleari sono classicamente proibite. In simili condizioni è peraltro noto che la meccanica
ondulatoria predice che la barriera di potenziale non rappresenta un confine rigido per la
presenza di particelle: la funzione d’onda si attenua all’interno della barriera, ma esiste un
probabilità, piccola ma finita, che una particella superi la zona classicamente proibita per
giungere ad interagire nuclearmente (effetto tunnel).
Tale probabilità risulta in particolare proporzionale al fattore di penetrazione di Gamow
1 2πZi Zj e2
PC α 1/2
exp(− )
E hV
14
Fig. 3.9. Una particella che a grande distanza da un nucleo bersaglio possegga una energia cinetica
E non può classicamente oltrepassare la distanza Rc , alla quale tutta l’energia cinetica iniziale si
è trasformata in energia potenziale nel campo elettrico. Grazie all’effetto tunnel quantistico una
frazione di particelle riesce invece a raggiungere la distanza rn alla quale intervengono le interazioni
nucleari
2 V 2 µ3/2 − µV 2
N (V ) = Ni Nj ( )1/2 e 2kT = Ni Nj n(V )
π kT 3/2
dove µ = Ai Aj /(Ai + Aj ) è la massa ridotta tipica dei problemi dei due corpi.
Il numero di reazioni per unità di volume ed unità di tempo sarà in definitiva fornito da
Z ∞ Z ∞
n= N (V )PC PN dV = Ni Nj n(V )PC PN dV
0 0
Fig. 3.10. Andamento schematico delle due funzioni, l’integrale del cui prodotto regola la velocità
delle reazioni nucleari. La curva a tratti mostra l’andamento del prodotto, che raggiunge un massimo
all’energia di Gamow EG
e l’energia del suo massimo viene indicato come energia di Gamow. Si noti come al crescere
di Zi Zj la probabilità coulombiana si sposti a maggiori energie: al fine di fornire un anal-
ogo contributo energetico la maxwelliana si dovrà anch’essa spostare verso maggiori energie,
richiedendo cioè maggiori temperature.
Nella usuale notazione astrofisica si usa porre
Ni Nj
n= < σV >
1 + δij
ove < σV > rappresenta l’integrale sulle velocità ed il fattore 1+δij (δij =0 per i=j, =1 per
i=j) viene introdotto per generalizzare la formula al caso di particelle identiche per il quale
il numero di coppie risulta Ni2 /2. Il valore di < σV > viene fornito, per ogni reazione, come
funzione della temperatura in base a valutazioni teoriche e sperimentali sull’andamento delle
sezioni d’urto nucleari. La sperimentazione è alle energie di interesse astrofisico è peraltro
resa difficoltosa dalla bassa efficienza delle reazioni e quindi dal basso numero di eventi attesi
dai limitati campioni di materia gestibili in un laboratorio. Tali esperienze vengono quindi
realizzate tipicamente in laboratori sotterranei, quali i Laboratori Nazionali del Gran Sasso
dell’INFN, per quanto possibile schermati dal fondo di segnali prodotto dalla radiazione
cosmica.
Aggiungiamo che nelle valutazioni complessive occorrerà infine tener anche conto della
presenza nel plasma stellare di elettroni liberi la cui carica elettrica negativa tende a scher-
mare i campi elettromagnetici dei nuclei, favorendo le reazioni nucleari (electron screening).
16
Approfondimenti
gk e−Ek /kT
nk =
G
dove
G = g0 + g1 e−E1 /kT + g2 e−E2 /kT + .....
prende il nome di funzione di partizione dello ione. Formule analoghe varranno per ogni specie
atomica e per ogni grado di ionizzazione.
Un qualunque ione isolato ha peraltro infiniti livelli eccitati, e la funzione di partizione diverge.
Nel caso reale gli elettroni liberi si trovano nel campo di ioni ed elettroni. L’energia di elettrone
libero nel plasma stellare diminuisce allora di un fattore −e2 /RD ove RD è il cosiddetto raggio di
Debyee con esso diminuisce l’energia di ionizzazione. A causa di tale abbassamento del continuo il
numero di livelli diventa finito e viene evitata la divergenza delle funzioni di partizione.
Analoghe considerazioni possono essere applicate ai processi di ionizzazione. Dal bilancio ener-
getico del prodesso di ionizzazione di uno ione Ar r volte ionizzato
Ar → Ar+1 + e
si può ricavare (equazione di Saha)
Fig. 3.11. Schema del meccanismo di ionizzazione per pressione. Atomi sufficientemente distanti
si comportano come buche di potenziale isolate (1) che ammettono tutta una serie di livelli legati
per gli elettroni. Avvicinandosi gli atomi (2) le buche di potenziale tendono a fondersi, abbassando
il livello del continuo e distruggendo gli stati legati a energia superiore.
1
∆N = 4πp2 dpV = g(p)dpV
h3
dove g(p) rappresenta la densità degli stati. La distribuzione delle particelle in tali possibili
stati deve essere valutata con l’ulteriore avvertenza che la meccanica quantistica opera su particelle
indistinguibili, il che implica che non si devono considerare distinti due stati se due particelle si sono
solo scambiate di posto. Tale distribuzione dipende infine da proprietà globali delle particelle che,
in natura, appartengono ad una delle due classi:
Fermioni: particelle a spin (momento angolare intrinseco) semiintero, quali elettroni, protoni e
neutroni,
Bosoni: particelle a spin intero o nullo, quali fotoni, mesoni, nuclei di He3 .
Per le particelle a spin semiintero sussiste l’ulteriore condizione (principio di esclusione di Pauli)
secondo la quale uno stato non può essere occupato da più di una particella, da cui discende che non
più di due elettroni (con spin opposto) possono occupare uno stato di moto, talchè g(P ) = 8πp2 /h3 .
Se ne trae la statistica di Fermi-Dirac, secondo la quale, detta n(p)dp la densità di elettroni tra p e
p + dp,
2
n(p)dp = 4πp2 dpP (E)
h3
18
Fig. 3.13. Mappatura nel piano ρ/µe , T del valore del parametro di degenerazione Φ = -α
P (E) = 1/(eα+E/kT + 1)
e dove, per ogni assunto valore della densità di elettroni ne e e della temperatura T , il valore di
α resta determinato della condizione
Z
n(p)dp = ne
Poichè ρ = ne µe H, il valore di α resta fissato per ogni coppia di valori T, ρ/µe (Fig. 3.12, 3.13).
Si noti come in ogni caso P (E) ≤ 1 come vuole il principio di esclusione di Pauli. Al crescere di
ne decresce α, che da valori grandi e positivi (gas classico) raggiunge grandi valori negativi (gas
degenere). Nel caso di gas classico P (E) << 1 per tutte le energie. Nel caso completamente degenere
α << 0 e
cioè tutti gli stati sono occupati sino all’energia E = |αkT |, che prende il nome di energia di
Fermi. In tale caso
Z
8π 3
ne = n(p)dp = pmax
3h3
19
Fig. 3.14. Il rapporto 2/3 F3/2 /F3/2 , che rappresenta la correzione di degenerazione alla pressione
di gas perfetto, in funzione del parametro α.
che mostra come al crescere di ne cresce l’energia massima raggiunta dagli elettroni. Tale ac-
cadimento è subito compreso osservando che in degenerazione completa tutti gli stati ad energia
minore sono occupati, e ove si spingano altri elettroni nell’unità di volume essi devono andare ad
occupare stati ad alta energia. Si comprende anche come al crescere di ne si giunga infine a spingere
gli elettroni ad energie relativistiche anche a basse temperature.
Nel caso generale, ed in approssimazione non relativistica, si ha E = p2 /2me da cui
∞
p2 dp
Z Z
8π
ne = n(p)dp =
h3 0 eα+p2 /2me kT +1
2
con la sostituzione x = p /2me kT si ottiene
∞
x1/2 dx 4π(2me kT )3/2
Z
4π
ne = (2me kT )3/2 = F1/2 (α)
h3 0
eα+x +1 h3
dove F1/2 (α), come definito dalle precedenti relazioni, prende il nome di funzione ”1/2” di
Fermi. Come già ricavato per il caso del gas perfetto (→ A2.1), la pressione elettronica discende dal
momento trasportato, da cui
∞
8π(2me kT )3/2
Z
1
Pe = pve n(p)dp = kT F3/2 (α)
3 0
3h3
con analoga definizione della funzione di Fermi F3/2 . Per α → ∞, F3/2 /F1/2 → 3/2 e quindi in
assenza di degenerazione si ritrova l’equazione di stato di un gas perfetto di elettroni Pe = ne kT
Per la pressione del gas si può quindi porre
k 8π(2me kT )3/2
P = Pi + Pe = ρT + kT F3/2 (α)
µH 3h3
Ricordando che ne = ρ/µe H si ottiene infine
k µ
P = Pi + Pe = ρT [1 + Φ(α)]
µH µe
dove Φ(α) = 2/3(F3/2 /F1/2 rappresenta il contributo addizionale portato alla pressione dalla
degenerazione elettronica . Per ogni coppia di valori ρ, T è possibile ricavare il valore di α e per ogni
α ottenere P dalle correnti tabulazioni di F1/2 e F3/2 (Fig.3.14).
In letteratura è frequentemente utilizzato il parametro di degenerazione Ψ = −α. Si può
mostrare che ΨkT fornisce il potenziale termodinamico di Gibbs per elettrone. Per Ψ < −4 il
gas di elettroni ha un comportamento classico, −4 < Ψ < 4 rappresenta la zona di degenerazione
parziale, mentre per Ψ > 4 nel gas domina la pressione di degenerazione.
20
P
T ds = dU − dρ
ρ2
nella forma
T dS = CP dT − EP dP
ricordando però che ora
ρ = ρ(Ψ, T )
P = Pe (Ψ, T ) + Pi (ρ, T ) + Pr (T ) = P (Ψ, T )
Con una lunga serie di passaggi e sostituzioni è possibile ottenere dΨ in funzione di
P, T, ρ, Ψ, dP, dT , e utilizzando la formula di ricorrenza per le funzioni di Fermi
dFn (Ψ)
= nFn−1 (Ψ)
dΨ
si ottiene infine
P HP (4 − 3β/2)2 15
CP = ( − β)
ρT ρkT L(Ψ) 4
1 HP (4 − 3β/2) 3
EP = ( − )
ρ ρkT L(Ψ) 2
dove
1 2 F1/2 (Ψ)
L(Ψ) = +
µi µe F−1/2 (Ψ
e β = PG /P = (Pi + Pe )/P essendo P, come di consueto, la pressione totale. Al limite di non
degenerazione (Ψ → −∞) L(Ψ) tende a 1/µi + 1/µe e le relazioni precedenti si riconducono alle
corrispondenti formule per un gas non degenere.
Nel caso di completa degenerazione è facile ricavare direttamente le relazioni tra pressione e
densità. Nel caso non relativistico per la quantità di moto si ha p = me ve , da cui
pmax pmax
p2 8πp2 8π p5max
Z Z
Pe = pve n(p)dp = 3
dp =
0 0
me h 15 me h3
e poiché
8π pm ax3
ne =
3 h3
ricordando che ne = ρ/µe H si ricava infine
3 2/3 h2 ρ
Pe = ( ) ( )5/3
8π 5me H 5/3 µe
.
Nel caso relativistico
me ve pc
p= da cui ve =
(1 − ve2 /c2 )1/2 [(me c)2 + p2 ]1/2
dalla quale, con percorso analogo al caso precedente non relativistico
1 3 1/3 hc ρ
Pe = ( ) ( )4/3
8 π H 4/3 µe
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1 hν
hν = me v 2 = me V
2 c
che ammette solo la non-soluzione v = 2c. Un fotone però può essere deflesso scatterato e, nel
caso più generale Effetto Compton, le leggi di conservazione:
hν + me c2 = hν0 + mc2
hν/c = mv + hν 0 /c
forniscono l’atteso valore di ν0 per ogni angolo di deflessione. Al limite non relativistico di basse
energie l’effetto Compton si riduce allo scattering Thomson, la cui efficienza può essere calcolata
anche classicamente.
La forza agente su un elettrone a riposo in un campo di radiazione elettromagentica in cui il
campo elettrico è descritto dalla relazione
E = E0 sinωt
si avrà F = eE = me a. L’accelerazione dell’elettrone risulta quindi pari, istante per istante, a
Dalle leggi classiche dell’elettromagnetismo è noto che una carica accelerata irradia una potenza
2 e2 a2 2 e4 E02 sin2 ωt
P = =
3 c 3 3 c3 m2e
Nel contempo, la potenza trasportata per unità di area dall’onda incidente e’ data dal modulo
del vettore di Pynting
c c 2
S = | E ∧ H| = E0 sin2 ωt
4π 4π
Un elettrone diffonde quindi una frazione della potenza incidente
8π e2 2
σT = P/S = ( )
3 me c2
In termini di fotoni σT rappresenta quindi la probabilità che un fotone sia diffuso da un elettrone,
e ne σT sarà la probabilità che un fotone sia diffuso da ne elettroni nell’unità di volume.
dP (ν)
= κ(ν)ρcΦ(ν)
dr
dove P (ν)dν e Φ(ν)dν rappresentano il contributo alla pressione ed al flusso della radiazione
portato dai fotoni con frequenza compresa tra ν e ν + dν. Indicando inoltre con E(ν) la densità di
energia radiativa nello stesso intervallo di frequenza, si avrà
E(ν)
P (ν) =
3
e sarà possibile porre in relazione il flusso totale con la densità di energia tramite la relazione
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Z ∞ Z ∞
c 1 dE(ν)
Φ= Φ(ν)dν = dν
0
3ρ 0
κ(ν) dr
Per il noto teorema della media potremo definire κ attraverso la relazione
Z ∞ Z ∞
1 dE(ν) 1 dE(ν)
dν = dν
0
κ(ν) dr κ 0
dr
dove κ prende il nome di media di Rosseland dell’opacità, ricavando
c 1 dE
Φ=
3ρ κ dr
e da E = aT 4 si ricava infine una relazione per il gradiente radiativo del tutto analoga a quanto
ricavato nel caso grigio, ma con l’intervento di κ al posto di κ. Poichè in equilibrio termodinamico
la E(ν) = B(ν, T ) per la media di Rosseland si avrà
R∞ 1 dE(ν)
R∞ 1 dB(ν,T )
R∞ 1 dB(ν,T ) dT
R∞ 1 dB(ν,T )
1 0 κ(ν) dr
dν 0 κ(ν) dr
dν 0 κ(ν) dT dr
dν 0 κ(ν) dT
dν
= R ∞ dE(ν) = R ∞ dB(ν,T ) = R ∞ dB(ν,T ) dT = R∞ dB(ν,T )
κ dν dν dν dν
0 dr 0 dr 0 dT dr 0 dT
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