Sei sulla pagina 1di 16

Giovanni Pascoli

Pascoli e D’annunzio sono più o meno contemporanei, ma sono estremamente diversi


l’uno dall’altro: come poeti sono diversi perché D’Annunzio attinge a piene mani dalla
produzione letteraria altrui partendo da poeti del passato fino ad autori contemporanei e
quando legge qualcosa lo fa in maniera superficiale, ad esempio ha interpretato a modo
suo la teoria dell’oltreuomo di Nietzsche; al contrario Pascoli è più profondo , ma
soprattutto non tende mai ad imitare la produzione letteraria altrui, anzi lui prende di mira
D’Annunzio per questa cosa, invece lui riesce ad arrivare al simbolismo per vie sue
personali.
Vita
Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre del 1855, è il quarto di 10 figli e il
padre è l’amministratore di una tenuta dei principi Torlonia. I primi anni della sua vita sono
I più felici e sereni e il ricordo di questa infanzia felice e serena trascorsa con tutta la
famiglia in campagna lui lo conserverà nella sua memoria indelebile per tutta la vita. Inizia i
suoi studi nel collegio degli Scolopi ad Urbino, ma quando lui ha 12 anni, il 10 agosto del
1867 il padre verrà assassinato da sconosciuto mentre in calesse stava tornando verso casa
e stava portando due bambole in dono alle figlie (come dice in una sua poesia). Gli autori
del delitto non saranno mai scoperti e il movente resterà ignoto. Questo evento segna in
maniera traumatica Pascoli, dopo la morte del padre la vita della famiglia non sarà la
stessa, infatti l’anno successivo il poeta dovrà affrontare altri lutti come quello della sorella
maggiore Margherita (17 anni), della madre che come lui stesso racconta sopravvive solo
un anno al padre, di altri due fratelli e lui diventerà quasi il capofamiglia e dovrà prendersi
cura degli altri fratelli. Qui comincia la riflessione sul mistero che caratterizza l’universo e la
vita, in una poesia dice che la terra è per lui atomo opaco del male, cioè l’emblema del
dolore e della sofferenza perché per un motivo inspiegabile un destino malvagio grava sulla
vita delle persone e spesso questa situazione già triste è aggravata dalla crudeltà degli altri
uomini. Nel frattempo, ha difficoltà a proseguire gli studi perché va incontro anche a
problemi economici finché riesce a diplomarsi a Cesena e si iscrive all’università di Bologna.
Qui avrà la possibilità di frequentare la facoltà di Lettere e conoscerà Giosuè Carducci, il
suo professore di italiano che riconoscerà in lui uno dei suoi allievi prediletti. In questi anni
si dedica allo studio di greco e latino, nel frattempo vive una situazione di inquietudine e
ribellione e si avvicina alle idee socialiste e rivoluzionarie di Andrea Costa (suo compagno
di studi e primo parlamentare socialista). Partecipa ad una manifestazione in favore di
Passannante che aveva compiuto nel 1878 un attentato a Re Umberto I e per questa
manifestazione sarà condannato a 3 mesi di carcere. Vivrà molto male questa esperienza
della detenzione e infatti una volta rimesso in libertà tornerà ai suoi studi, riuscirà anche
ad avere la borsa di studio che gli era stata precedentemente sospesa e si laurea. Da
questo momento in poi non si interesserà più alla politica come aveva fatto fino a questo
momento e cambierà completamente le sue idee: prima socialiste e poi abbraccia un
ideale umanitario e interclassista, cioè non si schiera a favore di una classe sociale o di un
partito in particolare. Si laurea e diventa professore di greco e latino, insegna prima nei
licei cambiando spesso città un po’ per motivi professionali e un po’ perché lui è sempre
inquieto e vuole cambiare. Nel frattempo, va a vivere con le due sorelle Ida e Maria (che lui
chiama affettuosamente Mariù). In seguito diventa professore universitario e ricopre vari
incarichi fino ad arrivare a Bologna dove erediterà quella cattedra che prima era stata di
Giosuè Carducci; poi siccome lui è molto abile nel comporre versi, infatti comincia a
comporre poesie che poi vengono pubblicate anche su riviste(poesie non solo in italiano,
ma anche in latino), partecipa a numerosi concorsi e vince medaglie d’oro, medaglie che
poi vende e da cui riesce a comprare una tenuta a Lucca e lì va a vivere con una delle
sorelle, perché l’altra deciderà di abbandonare il nido e sposarsi(questa cosa farà soffrire
molto il poeta). Muore nel 1912, a 56 anni, per un cancro.
LA PERSONALITÀ
La personalità di Pascoli è molto complessa, sono state fatte ricerche e studi anche di tipo
psicologico e un contributo significativo per comprendere il modo di essere del poeta e il
messaggio (spesso nascosto) all’interno della sua produzione poetica lo fornisce il critico
Barberi Squarotti, che ha fatto uno studio attento e dettagliato su Pascoli. Il critico ha
messo in evidenza come le vicende drammatiche che hanno caratterizzato l’infanzia del
poeta abbiano poi influenzato il resto della sua vita e che alla base della sua esistenza ci sia
il progetto di ricostruire il nido familiare, cioè quel mondo dell’infanzia che era stato per
sempre distrutto dalla violenza dell’uomo, quindi la tematica del nido è predominante
nella poetica di Pascoli. Pascoli ha vissuto gli anni più belli e felici della sua vita quando
tutta la famiglia viveva al completo in campagna, poi dopo che ha perso i membri più
significativi lui ha cominciato a sentire un forte dolore che ne ha caratterizzato tutta
l’esistenza e si è proposto un obiettivo: tentare di ricostruire il nido familiare, cioè il mondo
beato dell’infanzia. L'unico modo che ha trovato è quello di cercare di tenere uniti I
componenti della famiglia rimasta, in modo particolare di andare a vivere con le due
sorelle, con cui si crea un rapporto affettivo molto particolare; cioè lui si sente quasi come
una sorta di padre nei loro confronti e decide volontariamente di rinunciare all’amore e
non sposarsi, perché secondo lui sposarsi significherebbe creare un’altra famiglia e quindi
tradire il nucleo familiare a cui lui appartiene. Quando la sorella deciderà di sposarsi lui
starà malissimo perché lo considera come un tradimento nei suoi confronti. La rinuncia
all’amore è un elemento fondamentale che incide sulla personalità e sulla psicologia del
poeta, nelle poesie di Pascoli non c’è mai il tema dell’amore o della donna, ma spesso c’è il
tema della sessualità, che lui vive in maniera repressa perché lui si autoimpone la castità e
questo lo fa soffrire; quindi si vede questo rapporto della sessualità repressa presente in
maniera nascosta all’interno dei suoi componimenti. Barberi Squarotti va a comprendere in
profondità quello che è il messaggio che il poeta ci vuole trasmettere e fa capire quello che
c’è alla base della poesia di Pascoli e soprattutto il trauma infantile che lui ha subito per la
morte del padre che è onnipresente nella sua produzione letteraria; onnipresente perché
ci sono alcune poesie proprio dedicate a questa tematica(X Agosto, La Cavalla Storna),
però negli altri componimenti c’è questa presenza incombente della morte, non solo del
trauma subito per la morte del padre, ma proprio della morte perché Pascoli è convinto
che i morti non “passino oltre” e che a sera sia possibile sentirne quasi la presenza e
questo nido familiare che lui vuole ricostruire è costituito sia dai membri della famiglia che
sono ancora in vita, sia da quello che non ci sono più e che in qualche modo non lasciano
mai definitivamente i loro cari. Quindi nelle poesie di Pascoli c’è una forte componente
simbolica, lui descrive spesso scene e quadretti naturalistici che però non hanno niente di
realistico, ma hanno un significato simbolico; si parla di Simbolismo Pascoliano. Il nido si
vede sia nelle immagini che lui stesso utilizza, per esempio paragona il ritorno a casa del
padre al ritorno della rondine al nido, ma è presente anche in altri momenti e aspetti. Il
poeta vuole mostrare la realtà in cui si trova a vivere: oscura e impenetrabile, in cui
domina un senso di male e di dolore; il poeta tende a vivere una vita estremamente ritirata
dedicandosi solo agli studi e alla carriera professionale, ed è una persona sempre inquieta
e tormentata e nelle poesie traspare.
Pascoli è un intellettuale che si trova a vivere in un periodo particolare, quello in cui prima
si sviluppa il Positivismo e poi c’è il declino del Positivismo stesso, quindi lui si forma nel
periodo in cui c’era un grande entusiasmo per il progresso e per le conseguenze positive
che poteva portare sulla vita dell’uomo, però poi si trova a prendere consapevolezza della
crisi del Positivismo e di conseguenza rifiuta (come molti autori) la civiltà contemporanea,
perché si trova nel periodo del Decadentismo caratterizzato dalla fine delle certezze. Nei
confronti del Positivismo ha un rapporto piuttosto particolare: da una parte la conoscenza
della scienza caratterizzerà un po’ la sua poesia (utilizzo di un lessico specifico, termini che
lui adopera per indicare uccelli particolari, quindi è un grande conoscitore dell’ornitologia),
in realtà oltre questo “realismo rappresentativo” in Pascoli c’è altro, la sua poesia è
realistica solo apparentemente. Questa crisi nel Positivismo ne ha influenzato il pensiero:
lui dice che la scienza prima ha illuso l’uomo, ma poi l’ha lasciato più infelice di prima
perché gli ha tolto una certezza che prima per l’uomo era importante, cioè la fede; perché
dimostrando che scientificamente Dio non esiste (non si può dimostrare da questo punto
di vista) ha tolto il conforto della fede, ma non l’ha sostituito con altre certezze. Quindi lui
è coinvolto in questa crisi delle certezze del suo tempo, che si ripiega su sé stesso e finisce
per rifiutare il progresso e la modernità e rinchiudersi nel suo privato volgendo le spalle al
mondo e alla storia. Pascoli descrive continuamente la natura però la sua è una natura in
cui predomina il singolo, non fa una descrizione realistica, ma vuole rinviare a un
messaggio ulteriore che le cose suggeriscono. Lui rifiuta il progresso, perché si rende conto
che il positivismo ha portato l’uomo ad essere più solo e disorientato di fronte al mistero
della morte che non viene spiegato, perché il positivismo non ha dato risposta alle grandi
domande che l’uomo da sempre si pone, ma ha privato l’uomo del conforto della fede. Ha
una formazione classica, ma il classicismo pascoliano non è lo stesso degli altri poeti,
perché l’interpretazione anche del mondo lontano della classicità è fatta in chiave
personale e decadente. Poeti per lui molto importanti sono Dante e Leopardi, Pascoli è
anche un critico letterario, quindi ha studiato opere di altri autori della letteratura italiana
interpretandoli), di Dante lo colpisce la poesia ricca di significati spirituali e filosofici, quindi
l’allegoria della produzione poetica dantesca, che in qualche modo lui ripropone come
simbolo all’interno dei suoi componimenti (l’allegoria è una rappresentazione codificata
della realtà, invece il simbolo riguarda anche l’esperienza personale del poeta). Lui celebra
anche moltissimo Leopardi, in modo particolare si sofferma sul Leopardi della Ginestra e
coglie nell’Ultimo Leopardi questo messaggio di solidarietà tra gli uomini che in qualche
modo poi Pascoli farà suo.
L’IDEOLOGIA
Pascoli all’inizio aderisce alla visione socialista di Andrea Costa, poi dopo l’esperienza della
detenzione in carcere inizia ad avere una visione meno politica, basata sull’idea della
solidarietà tra gli esseri umani, e poi arriverà a celebrare la politica coloniale dell’Italia
(l’impresa di Libbia) e scriverà un testo che si intitola “La Grande Proletaria Si È Mossa”. I
socialisti non avrebbero mai potuto approvare il colonialismo, perché significava imporre
un dominio su altri popoli e sembra quasi una contraddizione quella di Pascoli, in realtà
questa cosa è stata spiegata da Barberi Squarotti che ha detto che nella sua visione
ideologico-politica c’è sempre l’idea del nido come se quel nido che prima era relegato
esclusivamente all’ambito familiare si fosse esteso anche al concetto di Patria e di Nazione,
Pascoli si rende conto che il proletariato italiano ha bisogno di terre e l’impresa di Libbia
può essere utile per le terre da coltivare per gli italiani, quindi mette da parte la sua visione
socialista per una più ampia. L’unica cosa importante per Pascoli è la poesia, perché
diventa una sorta di consolazione per il poeta, la parola chiave per Pascoli è regressione:
regredire al mondo dell’infanzia (tema delle sue poesie) e anche ritorno al passato
(atteggiamento negativo nei confronti del progresso, dai suoi testi si vede che lui non ama
la città che simboleggia il progresso, ma preferisce la campagna che rappresenta il
passato). L’unica possibilità di sottrarsi al dolore per lui è la poesia, e per lui la poesia è
anche uno strumento di conoscenza della realtà che non si può più ottenere con mezzi
razionali, lui ritiene che la poesia debba essere pura, senza ulteriori finalità, lui non vuole
essere un poeta vate (come D’Annunzio), non vuole servirsi della poesia per celebrare
valori o ideali, per lui deve essere un modo che ha il poeta per penetrare nel mistero della
natura (simbolismo)
LA POETICA DEL FANCIULLINO
Pascoli scriverà “Il fanciullino”, lui dice che ciascuno di noi ha una tendenza naturale alla
poesia (prende spunto da Platone, Alfedone), e dice che in ciascuno di noi c’è un
fanciullino, quando siamo piccoli i fanciullini coesistono, poi cresciamo (lui dice “aruggiamo
la voce”- “cambiamo la voce”, diventiamo adulti) e il fanciullino resta sempre piccolo in
ciascuno di noi , solo che mentre noi siamo presi a fare altro ci dimentichiamo di quel
fanciullino e non ne sentiamo nemmeno la voce, mentre invece il poeta che ha una
sensibilità diversa è l’unico che riesce a sentire dentro di sé la voce del fanciullino. Il
fanciullino è quell’anima primitiva e prerazionale che esiste in ciascuno di noi, dice Pascoli
che il fanciullino è quello che quando noi siamo impegnati ci spinge a fermarci perché vuole
fermarsi per contemplare un elemento della natura, dice ancora che il fanciullino è come
una sorta di Adamo che dà il nome a tutte le cose, la capacità di vedere la realtà con occhi
nuovi come se fosse sempre la prima volta, colui che rimpicciolisce per poter vedere e
ingrandisce per poter ammirare. Il fanciullino non si deve intendere semplicemente come
l’essere fanciullo, ma come un atteggiamento alogico o irrazionale (ultima frase) che non
vuole vedere l’esterno, ma vuole cogliere il segreto della realtà. Pascoli dice che il poeta
vede ciò che gli altri non vedono, cioè tutti possono guardare la stessa cosa, ma non tutti la
vedono allo stesso modo. La poesia pascoliana diventerà la poesia delle piccole cose, delle
cose umili e semplici della campagna che sono osservate e descritte con precisione
lessicale, solo il fanciullino sa comprendere il mistero e parlare il linguaggio stesso delle
cose, quindi ha una visione non logica, ma intuitiva attraverso analogie e simboli.
Leopardi aveva parlato di poesia di immaginazione e poesia di sentimento e aveva detto
che nella sua epoca era possibile solo quella di sentimento, Pascoli dice che è vero che gli
antichi immaginavano, ma anche i moderni possono immaginare senza basarsi sull’antico,
perché se si ascolta la voce del fanciullino si può “popolare il cielo di dei” (gli antichi li
avevano inventati per spiegare i fenomeni naturali).
I SIMBOLI DELLA POESIA PASCOLIANA
Pascoli è l’esponente più significativo del simbolismo della letteratura italiana (D’Annunzio
era dell’estetismo).
 Il simbolo più ricorrente nelle poesie di Pascoli è il nido, sia in maniera immediata e
diretta (in X agosto dove viene paragonato il padre che torna a casa sul calesse
portando le bambole in dono alle figlie alla rondine che tornava al nido e che viene
uccisa), altre volte deve essere colto; il nido simboleggia la casa, l’amore, l’unione, il
calore, la difesa, la protezione (nel nido si è al sicuro). Il suo nido è stato distrutto
dalla storia, così Pascoli vuole regredire (in Verga la voce narrante regredisce
all’interno del mondo rappresentato per vedere la realtà con gli occhi dei
personaggi) al mondo dell’infanzia, un momento felice per Pascoli in cui si sentiva
protetto e sicuro con tutti i membri della famiglia. Un oggetto che spesso compare è
la culla, il legame tra madre e figlio; per esempio c’è il “canto di culla”: recuperare
dalla memoria un ricordo della voce della madre (regressione verso il grembo
materno).
 La siepe in Pascoli ha un ruolo di protezione, secondo lui delimita la casa nido e
protegge (fa in modo che non venga vista) dalle minacce esterne. La siepe di
Leopardi è un ostacolo che consente di vedere, invece qui la siepe (come barriere,
muri, cancelli, etc.) è qualcosa che protegge.
 Stessa cosa per la nebbia, se quella cosa non si vede, è al sicuro e quindi la nebbia
fascia la casa nido. La nebbia può anche proteggere il mondo della campagna:
Pascoli, dopo l’esperienza positivista e la crisi del positivismo, rifiuterà il progresso e
guarderà con diffidenza la città
 La strada simboleggia un legame tra la casa e il cimitero, la morte è una presenza
continua nella poesia pascoliana, una presenza costante sono i morti perché lui è
convinto che il nido che lui vuole ricostruire sia fatto sia dalle persone che sono
rimaste in vita, sia da chi non c’è più (per lui le persone morte non abbandonano
mai completamente i vivi, e soprattutto nel momento della sera si avverte la loro
presenza)
 Il buio rappresenta per Pascoli una minaccia, nelle poesie si vede come positivo il
nido e la casa, mentre ciò che è all’esterno rappresenta quella realtà entrata per
distruggere per sempre la sua felicità causando la morte del padre
 Le campane rappresentano a volte qualcosa di positivo come un suono gioioso o un
ricordo infantile, e a volte la morte
 Gli uccelli sono rappresentati e indicati con un lessico specifico (influenza del
positivismo che si preoccupava di studiare scientificamente la natura) che
rappresentano sia la leggerezza con il librarsi nell’aria, sia la morte. Questo in
particolare alcuni uccelli come la civetta, l’assiuolo (che ha un verso particolare). Gli
uccelli per lui sono intermediari tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, come se
fosse degli oracoli antichi, e il verso che lui riproduce nelle poesie è come se fosse
una specie di formula per poter accedere a quelle porte segrete dell’Aldilà
 I fiori che hanno un fascino ambiguo: alcuni rimandano alla sessualità (quella che lui
ha rimosso volontariamente dalla sua vita ma che comunque lo tormenta e lo
angoscia), altri alla morte (come per esempio la digitale purpurea, fiore dai colori
vivi che indica minaccia di morte con un pizzico)
 Il cielo da una parte viene visto come l’estensione del nido, per esempio con il
fanciullino vede le stelle vicine e quindi allarga il nido anche al cielo. Ma altre volte il
cielo è una cosa che da vertigini, uno spazio infinito.
In Pascoli non ci si deve mai fermare all’aspetto immediato e superficiale.

IL LINGUAGGIO
Gianfranco Contini, un famoso critico, distingue tre livelli linguistici:
livello pregrammaticale, grammaticale e post-grammaticale.
Quello grammaticale è la lingua che tutti adoperano, quello post-grammaticale è quello
dove ci sono termini tecnici, invece quello pregrammaticale è quello delle onomatopee che
nella poesia pascoliana sono molto presenti (linguaggio prevalentemente fonico). Riguardo
il lessico c’è quindi il plurilinguismo, lui mescola codici linguistici diversi. La cosa più
importante della poesia pascoliana è il fonosimbolismo: Pascoli come molti altri poeti
decadenti sceglie le parole più che per il significato connotativo che denotativo, cioè più
per il suono e l’emozione che suscitano; infatti nella poesia pascoliana niente è lasciato al
caso. Come figure retoriche sono frequenti; l’analogia (particolare forma di metafora in cui
gli elementi sono più lontani tra di loro e quindi più complesso il significato) e la sinestesia
(figura retorica chiave della poesia decadente). Pascoli non può scrivere periodi pieni di
subordinate articolate, perché lui ha una visione frammentata della realtà, lui rappresenta
il poeta che ha perso le certezze e non ha una visione articolata e complessa della realtà,
quindi la sua è poesia del frammento e ci sono frasi brevi spesso collegate con l’asindeto,
dove c’è l’ellissi (manca il verbo, quindi stile nominale). Questo tipo di stile traduce la sua
visione della realtà alogica irrazionale. Nella metrica potrebbe sembrare che lui rispetti la
metrica tradizionale, invece lui la frantuma dall’interno: utilizza i mezzi della tradizione, ma
con frequenti pause, enjambement e poi ama creare delle strofe in cui sono contenuti
versi di lunghezze diverse e tende a variare le posizioni degli accenti.
LE OPERE
Pascoli ha scritto moltissime cose, le raccolte moderne più importanti per i moderni sono
“Myricae” e “Canti di Castelvecchio”. Pascoli conosceva benissimo la grammatica e
letteratura greca e latina, gli rimane impressa nella mente un verso famoso della IV
Bucolica di Virgilio (quella che parla della nascita del Puer”), cioè “Nòn omnìs arbùsta
iuvànt humilèsque Myricae” - “Non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici”. Decide
di intitolare la prima raccolta della sua poesia con questa parola latina Myricae (tamerici,
cioè piante umili), solo che nel verso originario di Virgilio c’era la negazione “non”, lui
invece decide di fare suo questo verso e di farne l’epigrafe della sua raccolta poetica, ma
toglie il “non” (diventa “a tutti”), questo perché vuole evidenziare la scelta dei temi che
saranno contenuti all’interno di questa raccolta. Lui descrive scene di vita reale: vita di
campagna e sceglierà un discorso che lui definisce “sermo humilis”, più semplice; quando
passerà ad un’altra raccolta poetica (“I poemetti”) utilizzerà sempre un verso tratto dal
componimento di Virgilio e utilizzerà “Paulo maiora”, cioè “cantiamo cose” con argomenti
un po’ più elevati, perché vuole mettere in evidenza che nei poemetti i temi affrontati
saranno più importanti e anche lo stile sarà diverso; I Poemetti sono stati definiti da
Barberi Squarotti un romanzo georgico, perché si parla dei vari momenti della vita di una
famiglia di contadini di Barga utilizzando le terzine dantesche. Nei “Canti di Castelvecchio”
c’è la stessa epigrafe di Myricae perché sono due raccolte affini, Gianfranco Contini ha
detto che i canti di Castelvecchio non sono altro che Myricae trapiantati in Garfagnana
(cambia luogo della descrizione, è la regione in provincia di Lucca dove lui va a vivere con la
sorella). Poi scrive i Poemi conviviali, pubblicati sulla rivista “Il convito” di De Bosis (rivista
su cui aveva pubblicato i suoi componimenti anche Gabriele D’Annunzio); qui emerge uno
stile ancora più elevato, c’è sempre la stessa frase, ma questa volta senza modifiche (lascia
il non), questo vuol dire che i temi sono elevati e che non tutti si accontentano di scene
campestri di vita quotidiana, ma qui si fa riferimento al mondo classico. Il classicismo di
Pascoli è particolare: anche i personaggi della cultura classica vengono descritti con un
gusto decadente, cioè vivono la loro esistenza non con quella serenità del classicismo, ma
la vivono con tormento. Un’altra raccolta ancora è “Odi ed Inni” dove lui sceglie come
epigrafe sempre un verso latino, “Canamus” (congiuntivo esortativo del verbo cano-
cantare) per sottolineare l’ispirazione civile (poeta vate). Di solito quando i poeti scrivono
raccolte poetiche hanno vari momenti (una raccolta alla volta), invece Pascoli rivedeva
continuamente le sue raccolte nel corso del tempo; quindi più che distinguere una raccolta
dall’altra, perché la composizione è stratificata nel tempo, è preferibile parlare di 3
percorsi poetici: le poesie che tendono alla brevità (frammenti) che di solito affrontano o
descrizione della natura o scene di vita quotidiana (la realtà delle piccole cose), ma mai in
maniera oggettiva e realistica ma sempre con un taglio simbolico e impressionistico
(Myricae e Canti di Castelvecchio) e questa si può definire la poetica del frammento; poi
c’è il secondo percorso dove il poeta scrive dei componimenti più elaborati sul piano
ideologico e più complessi (Poemetti, Odi ed Inni, Canzoni di Re Enzio) dove utilizza sia
personaggi del mondo classico, sia personaggi della storia, i Poemi italici, del risorgimento:
lui che originariamente voleva una poesia pura e breve, poi anche in competizione con
D’Annunzio (che si gode i piaceri della vita e ha successo) vuole scrivere anche lui dei
componimenti civili e patriottici e diventare una sorta di poeta vate; infine il terzo percorso
riguarda la letteratura classica, lui scrive anche delle poesie in latino (ha vinto 12 concorsi),
e scrive anche i poemi conviviali ispirati alla cultura classica.
MYRICAE E CANTI DI CASTELVECCHIO
Sono raccolte che si somigliano, entrambe sono stratificate nel tempo. Myricae viene
elaborata nel corso di 20 anni, la prima edizione risale al 1891, l’ultima al 1911 ed è una
composizione che si arricchisce di sempre nuove liriche: nella prima ci sono solo 22
componimenti, nell’ultima 156. I canti di Castelvecchio vengono pubblicati per la prima
volta nel 1903 e come ultima edizione nel 1914, contiene 69 componimenti. Queste due
raccolte hanno lingua, stile e argomenti in comune, hanno la stessa epigrafe. Pascoli è
deluso dal progresso e vuole tornare nella campagna, nello spazio quotidiano fatto di
piccole cose, perché lui ritiene che solo analizzando con gli occhi del fanciullino le piccole
cose della natura sia possibile comprendere il messaggio segreto che l’universo ci vuole
trasmettere. Hanno la stessa epigrafe tratta da Virgilio con l'eliminazione della negazione
non, mentre il poeta latino profetizza una nuova età dell'oro, Pascoli sente l'esigenza di
rinchiudersi in uno spazio privato fatto di piccole cose che, con la loro dimensione
evocativa, diventano simboli fondamentali per comprendere il messaggio insondabile
dell’universo. Molto simili sono le dediche: Myricae è dedicata alla memoria del padre, i
Canti di Castelvecchio a quella della madre.
Per quanto riguarda Myricae sono testi brevi o brevissimi, suddivisi in 15 sezioni. Dai primi
componimenti, improntati a serenità e freschezza, si passa a quelli in cui il senso di morte
si fa più presente. Accanto alla tristezza e al dolore c'è la sensazione di una felicità perduta.
Ogni cosa viene osservata con gli occhi stupefatti del fanciullino al quale non sfugge alcun
dettaglio. La natura appare fonte di pace e consolazione, in contrapposizione alla realtà
dolorosa della storia segnata dalla morte del padre, ma, a volte, è essa stessa a generare
angoscia.
I Canti di Castelvecchio Riprendono i temi di Myricae ampliando i riferimenti al nido
perduto e alla nostalgia per l'infanzia. Il centro tematico è costituito dalla morte e dal
dolore, cui torna ad affiancarsi la natura descritta nel succedersi delle stagioni.
Gli schemi metrici sono vari, alcuni tradizionali altri innovativi, i numerosi enjambements
creano un effetto di frantumazione. L’importanza di Pascoli nella storia della poesia italiana
è fondamentale per lo scardinamento e la disintegrazione della forma poetica tradizionale
da lui operati.
Lo stile è caratterizzato da espressioni nominali (assenza del verbo), sul piano sintattico
domina la paratassi. Una delle innovazioni pascoliane più significative è l'attenzione rivolta
al significante, alla realtà fonica delle parole (fonosimbolismo). Oltre alle allitterazioni
troviamo analogie e sinestesie. C'è poi un allargamento del ventaglio lessicale, una
numerosa varietà di termini (dall’utilizzazione del termine gergale all’uso scaltrito
dell’onomatopea) la poesia pascoliana da una parte richiama espressioni tradizionali,
dall’altra rinvia alle sperimentazioni più radicali della poesia simbolista europea.

ARANO
La poesia “Arano” fa parte della prima raccolta di liriche di Giovanni Pascoli: Myricae.
Composta nel 1885 per le nozze del suo amico, è una tra le più antiche della raccolta e
compare già nella prima edizione. “Arano” apre la sezione intitolata “L’ultima passeggiata”,
che comprende una serie di poesie in cui il poeta immagina di passeggiare per i campi per
l’ultima volta a fine estate prima di tornare in città e compone riportando ciò che osserva
durante questa passeggiata. Si tratta di un madrigale, ovvero un breve componimento
letterario di origine popolare e spesso di ispirazione pastorale. È composto da due terzine e
una quartina di endecasillabi. Lo schema metrico comprende rime incatenate nelle terzine
e alternate nella quartina (ABA CBC DEDE). Essendo una poesia di ispirazione pastorale, i
temi rappresentati sono gli elementi di novità che pascoli apporta nella Myricae, sono
infatti componimenti ispirati alla vita campestre colta nelle varie stagioni, pullulano di
particolari e al contempo descrivono aspetti di vita quotidiana come: i lavori nei campi, le
ragazze che sfogliano il granturco o il canto del cuculo. Pascoli con la sua poesia voleva,
infatti, sottolineare questa modestia e quotidianità di temi con frequente ricorso di termini
precisi, tecnici e gergali. Questa poesia in particolare descrive una scena propriamente
bucolica, di umile vita campestre in una stagione e in un paesaggio autunnale. Mentre
alcuni contadini sono impegnati nell’arare i campi, il passero e il pettirosso ne spiano le
gesta pregustando il momento in cui finalmente potranno beccare i semi sparsi e rimasti
sulla superficie del terreno (“il passero saputo in cor già gode…e il pettirosso”). Nella
cornice campestre della poesia si sviluppano tre strofe, ognuna ad indicare un diverso
aspetto: nella prima strofa si descrive infatti il paesaggio nei suoi elementi fondamentali,
attraverso una serie di notazioni visive a livello cromatico: un campo, il grigiore della
nebbia, il rosso delle foglie di vite(roggio), che rimanda alla stagione, ovvero all’autunno.
Già nella prima strofa ci sono 2 enjambement (1-2, 2-3). Nella seconda strofa, attraverso il
verbo “arano”, l’attenzione si sposta sulle attività dei contadini impegnati nel lavoro dei
campi. I loro gesti lenti e misurati trasmettono una sensazione di ritualità solenne e
operosa, qui dice che la campagna può essere vista dall’ottica della voce narrante che si fa
semplicemente una passeggiata e osserva il paesaggio, e poi c’è il punto di vista dei
contadini perché la campagna è anche lavoro e fatica (Contadino di fine 800), e si vedono
le varie operazioni agricole. Al verso 3 (paziente) c’è una figura retorica, l’ipallage: quando
un aggettivo si riferisce ad un termine, ma si dovrebbe riferire ad un altro (il contadino
deve essere paziente e non la zappa). Con questa scena Pascoli vuole dire che la campagna
è un luogo ideale dove vengono conservati i sani valori e principi, ma è anche un luogo di
lavoro e fatica e lo mette in evidenza con le azioni dei contadini. L’ultima strofa è una
quartina e la scena viene osservata dal punto di vista di un passero e di un pettirosso che,
in disparte, spiano il lavoro dei contadini pregustando allegramente il cibo che ricaveranno
dai semi sparsi sul terreno: sul loro canto, indicato con un’onomatopea “il suo sottil
tintinnio come d’oro” si chiude la lirica. Il passero leopardiano vive in solitudine e si
allontana dagli altri uccelli come lo stesso poeta, qui il passero è intelligente: gli uccelli
migrano in cerca di luoghi caldi e mentre gli altri passeri se ne sono andati lui ha deciso di
rimanere (legato alla tematica della migrazione, del lasciare la propria patria in cerca di
fortuna e il passero simboleggia chi non parte). È un passero intelligente perché sta
aspettando che i contadini seminano così da poter mangiare quei semi; aspetta e pregusta
il cibo compiaciuto di sé stesso pensando ai compagni che sono partiti. Si capisce che è
autunno da vari elementi: dalla foglia rossa della vita, dai rami irti (spoglio) del moro (il
moro è la pianta di gelso, stessa pianta comparsa nella sera fiesolana di D’annunzio). Gli
uccelli sono molto presenti nella poesia pascoliana: in quest’opera nomina anche il
pettirosso.
Il testo è in apparenza una descrizione oggettiva e ricca di particolari. Tuttavia, già nelle
prime liriche di Myricae, la scena viene filtrata attraverso una visione soggettiva, che vuole
trasmettere sensazioni ed emozioni che suscita nell’animo del poeta. La realtà agreste
descritta nel testo appare serena, dominata dall’uomo che svolge egregiamente il suo
lavoro. Sul piano stilistico, sono già evidenti nel testo alcune caratteristiche tipiche del
linguaggio pascoliano. Attento alle “piccole cose” della campagna, il poeta si sofferma sui
particolari più minimi dando maggior rilievo alle note cromatiche (rosso dei Pampani nella
nebbia che richiamano il pettirosso) e utilizzando termini specifici per indicare gli elementi
rurali. La lirica è costituita da un unico lungo periodo le cui parti non corrispondono alla
scansione metrica. Troviamo, infatti, un lungo enjambement che colloca all’inizio della
seconda strofa il verbo “arano” privo di soggetto. Un’altra onomatopea e similitudine è
l’espressione “suo sottil tintinnio come d’oro” che va a riprodurre il canto dell’usignolo e
paragona, inoltre il cinguettio del pettirosso al suono che producono le monete d’oro
battendo sul metallo. Non è una semplice descrizione di campagna, ma queste
caratteristiche sono tipiche dell’impressionismo pascoliano, lui vuole rappresentare questa
natura vista con gli occhi del fanciullino. Una natura che è fuori dal tempo “Arano” è un
presente acronico (fuori dal tempo), perché vuole rappresentare proprio un mondo
agricolo che è un nido protettivo contro le frenesie della civiltà industriale, un rifugio dove
potersi sottrarre agli effetti negativi del progresso.

LAVANDARE
Questa poesia è complementare ad Arano, danno questo modo di vedere la realtà. Qui c’è
sempre una descrizione della campagna, c’è sempre un’impressione visiva e molto forte
quella uditiva (ad un certo punto si sente il canto delle lavandare, una cantilena). Si vede
come apparentemente il poeta ha voluto descrivere la natura, ma qui si vede come la
modernità ha fatto irruzione nella campagna, perché l’innamorato è partito, i lavori dei
campi sono stati lasciati a metà, sono abbandonati, la donna aspetta il ritorno dell’amato,
quindi c’è questa sorta di abbandono della campagna per cercare l’avventura, un senso di
incompiutezza. Per Pascoli la campagna rappresenta il sacro e i valori, mentre la modernità
rappresenta il profano. Al verso 1 c’è la ripetizione di “mezzo”: in Arano le zolle erano un
po’ tutte grigie perché ancora non erano spezzate (non erano arate) (la campagna quando
è incolta è di colore grigiastro, quando il terreno è pronto per la semina ha quel colore
scuro/nero). Arano inizia con “Al campo”, Lavandare con “Nel campo”. Al verso 6 dice
“lunghe cantilene”: tutta la poesia ha questa tessitura musicale di un effetto cantilena, il
poeta ha fuso 2 stornelli marchigiani (cantilene diverse delle lavandare), lui stesso ha dato
un ritmo cantilenante a tutta la poesia perché spezza il ritmo con gli enjambement, utilizza
delle parole lunghe (polisillabiche- con più sillabe) e cerca di utilizzare con attenzione gli
accenti: a parte il primo verso, il primo accento cade sempre sulla quarta sillaba e il fatto
che ci sia questa ripetizione dà il ritmo di una cantilena. Questo è un modo per
sottolineare che c’è stato il progresso economico, la campagna non dà più ricchezza e
quindi l’innamorato è partito per cercare fortuna in città, la modernità che minaccia il
mondo della campagna. In questo caso c’è proprio solitudine e abbandono che caratterizza
la natura, ma poi si vede che quel campo mezzo grigio e mezzo nero e l’aratro indicano
solitudine ed abbandono.

TEMPORALE, IL LAMPO, IL TUONO


I componimenti “Temporale”, “Il lampo” e “Il tuono” sono come se fossero tre varianti di
un unico componimento. Sono esempi di impressionismo e simbolismo, caratteristiche
fondamentali della poesia pascoliana e della raccolta Myricae. Il temporale è
rappresentato impressionisticamente, con una serie di effetti sia visivi sia uditivi, e questo
serve a dare l’immagine simbolica di questo temporale, che è interiore e soggettivo
(diverso dal tipo di temporale di Leopardi nella quiete dopo la tempesta). “Temporale” e
“Lampo” sono stati composti nei primi anni 90 e pubblicati nella terza edizione di Myricae
nel 1894, ma sono collocate in diverse sezioni della raccolta: “Temporale” si trova nella
sezione “In campagna”, mentre “Il lampo” si trova nella sezione “Tristezze”, “Il tuono”
appartiene alla stessa sezione del lampo però forma il dittico con il lampo, dove finisce il
lampo inizia il tuono. I 3 testi sono costituiti da una strofa di 6 versi preceduta da un verso
iniziale (ripresa). In Temporale i versi sono brevi (settenari), in Lampo sono tutti
endecasillabi, caratteristica di Myricae (componimenti brevi, poesia del frammento)
Temporale è un quadretto impressionistico. Pascoli vuole dire che all’improvviso compare
questa oscurità, il temporale è la violenza della realtà esterna. C’è l’analogia tra il casolare
e un’ala di gabbiano perché sono entrambi bianchi, questo colore indica la speranza. Il
temporale è visto come la realtà esterna minacciosa, mentre il casolare rappresenta il nido
(caldo e accogliente). L’ala di gabbiano richiama il volo, quindi la libertà dagli affanni.
Pascoli ha descritto la morte del padre in diversi componimenti in modo retorico, in Lampo
in una maniera immediata e simbolistica racconta la morte del padre come un flash, in un
istante. Se nel primo componimento c’era il quadretto impressionistico con i colori qui
prevale il taglio simbolistico, bisogna andare oltre il significato. Per quanto riguarda
l’occhio, Barberi Squarotti ha detto che è come se Pascoli avesse impressa nell’anima
l’ultimo sguardo del padre.
Nella parola Tuono ci sono due vocali, U e O, Pascoli fa in modo di scegliere termini in cui
sono ricorrenti questi suoni vocalici (Arduo, dirupo, cupo). Utilizza verbi che sono
onomatopee, allitterazioni. L’incipit richiama la fine dell’altro componimento, la presenza
umana è incentrata soprattutto nel verso iniziale e nei versi finali perché poi viene descritto
il rumore del tuono. C’è una sorta di analogia tra la notte nera e il nulla che esprime tutta
la negatività del destino dell’uomo. C’è un legame tra “nulla” e “culla”: se la realtà esterna
è pericolosa e minacciosa, l’unica possibilità per il poeta è la regressione al mondo
dell’infanzia e quindi la salvezza è il nido (quando non era ancora stato distrutto dalla
storia).
L’ASSIUOLO
È una delle poesie più famose e presenta tutte le caratteristiche della poesia pascoliana.
Spesso le poesie di Pascoli vengono pubblicate su delle riviste e poi entrano nella raccolta,
questa viene inserita nella quarta edizione di Myricae, nella sezione “In Campagna”. Ogni
strofa si chiude con l’onomatopea “chiù”, il verso di questo uccello notturno (l’assiuolo),
nella tradizione popolare (i notturni) simboleggiano malaugurio, sfortuna, morte; qua è un
fonosimbolo di morte, la voce con cui il mondo dei morti comunica con il mondo dei vivi.
Pascoli non è credente, la sua esperienza con il positivismo lo ha portato ad allontanarsi
dalla fede, quindi lui non crede nell’immortalità dell’anima, ma pensa che le persone
morte non passino oltre, restano in una sorta di limbo e cercano sempre un contatto con i
vivi, maggiormente durante la sera; in qualche modo con le sue poesie lui si illude di
ricostruire il nido familiare anche con chi non c’è più. Gli uccelli notturni, nella poesia di
Pascoli, rappresentano i morti che tornano a visitare i vivi e comunicare con loro. La poesia
è composta da 3 strofe, 8 versi ciascuna di cui 7 novenari. Questa poesia è volutamente
indeterminata, non si riesce a capire se è il momento della luna ancora non comparsa nel
cielo o se è l’alba, dato che il paesaggio è sempre interiore l’ambientazione è volutamente
ambigua. Come nella poesia di D’annunzio si parla della divinità lunare in qualche modo
evocata, anche qui sembra una sorta di rito. Il poeta ha utilizzato diverse analogie (“alba di
perla”, “soffi di lampi”, “nero di nubi”, “nebbia di latte”). I critici pensano che sia una sorta
di rito di iniziazione per consentire al poeta di mettersi in contatto con l’aldilà (un viaggio di
regressione al mondo dei morti), però alcuni dicono che riesce a varcare le porte e iniziare
il viaggio verso la salvezza (per lui mettersi in contatto con i morti significa ricreare il nido e
quindi la sua salvezza) e altri dicono che è un’iniziazione mancata, perché si soffermano sul
fatto che le porte non si aprono più, anche se c’è il punto interrogativo quindi non si sa.
Questa è una delle poesie più significative per far vedere quanto lui sia ansioso di
ricostruire questo nido anche con la presenza dei morti, che sono una presenza
incombente che non dà pace alla vita del poeta (per esempio lui pensa che sposandosi
tradirebbe il nido d’origine).
NOVEMBRE
Fa sempre parte della raccolta Myricae e della sezione “In Campagna”, è una delle poesie
più antiche, risale alla prima edizione della raccolta. Pascoli è stato uno degli allievi
prediletti di Carducci, infatti in questa poesia si trovano anche delle influenze carducciane
(partendo dalla metrica). Sono 3 strofe saffiche: la metrica barbara delle Odi Barbare di
Carducci che cercava di mescolare la metrica classica con quella della letteratura italiana.
Non vuole fare una descrizione naturalistica, la poesia di Pascoli non è mai un bozzetto, ma
ha sempre un valore impressionistico-simbolistico; non vuole descrivere davvero il mese di
novembre o la natura, ma un paesaggio dell’anima. Nella natura di Pascoli gli elementi
sono dei correlativi simbolici, ogni elemento della natura rinvia a qualche altro significato.
Ci sono le caratteristiche della poesia pascoliana: spesso le forme verbali sono sottintese,
c’è uno stile nominale in cui prevalgono nomi ed aggettivi. Si vede che la Primavera, quindi
felicità, gioia e rinascita, per pascoli è solo un’illusione (come l’estate) perché non si può
essere felici, per lui esistono solo autunno e inverno che sono il momento di disperazione e
sofferenza. Qui c’è il fanciullino che guarda la natura e acquista la consapevolezza.

IL GELSOMINO NOTTURNO
È una poesia d’occasione, scritta per le nozze di un amico di Pascoli, Gabriele Briganti;
questa cosa si scopre successivamente e non si capisce apparentemente, ci sono dei
riferimenti in cui si capisce: fa riferimento alla prima notte di nozze del marito in cui è stato
concepito il figlio (Dante Gabriele Giovanni). L’epitalamio è un genere letterario
(componimento scritto per le nozze) che nel mondo classico era molto diffuso (Nella parte
dei Carmina Docta del Liber Catulliano c’erano degli epitalami e lì era un momento gioioso,
nel mondo romani quando c’erano le nozze si accompagnava con un corteo la sposa a casa
dello sposo e di solito si facevano delle battute che dovevano allontanare le influenze
negative e propiziare la fertilità, quindi il clima dell’epitalamio è tendenzialmente allegro e
gioioso). Qui c’è una sorta di contrapposizione: da una parte viene presentato questo fiore,
il gelsomino di Spagna (chiamato anche Bella di Notte) che si apre di notte e poi richiude i
fiori al mattino, e qui richiama il momento del rito della prima notte di matrimonio. C’è
un’opposizione tra l’offerta d’amore del fiore, contro l’evocazione della presenza dei morti,
qui si vede la tematica della sessualità: lui rinuncia volontariamente al matrimonio e al
sesso, ma dentro di sé sente una repressione e il modo in cui descrive la sessualità è spesso
morboso. Sono 6 quartine di novenari (verso che Pascoli adotta frequentemente). Il poeta
guarda questo rito del matrimonio con una sorta di turbamento e senso di esclusione.
Quindi si intrecciano due tematiche: da una parte c’è la vicenda dell’amore tra i due sposi
che viene rievocata per mezzo di immagini simbolico-allegoriche, e dall’altra parte c’è il
turbamento di Pascoli. Spesso le poesie pascoliane si aprono con la congiunzione “E”
perché essa collega il testo poetico che viene letto all’avantesto, cioè ciò che è sottinteso e
fa parte della riflessione del poeta. L’ape che nomina al verso 13 è il poeta stesso, colui che
è stato tagliato fuori, è arrivato troppo tardi e trova le “celle tutte occupate”, questo allude
alla sua condizione di esclusione (non può godersi le gioie del matrimonio e della vita). Al
verso 15 con Chioccetta fa riferimento alla costellazione delle Pleiadi, le stelle che sono
una cosa lontanissima qui sembrano vicine e piccole, perché è l’occhio del fanciullino che
osserva con questo atteggiamento alogico-irrazionale (ingrandisce per poter ammirare), le
stelle diventano ancora una volta l’emblema del nido, perché la Chioccetta è la mamma
chioccia che protegge i suoi pulcini (le stelle della costellazione). All’ultima quartina si vede
il turbamento che il poeta prova nel guardare.
LA MIA SERA
La sera è un momento particolarmente caro ai poeti (Foscolo, D’Annunzio, Pascoli). Già il
titolo fa capire come il poeta vive la sera (aggettivo possessivo). Si fa riferimento a un
temporale che ha caratterizzato la giornata e alla serenità della sera, si vede il solito
temporale (dell’anima) che allude al momento tragico della vita (uccisione del padre).
Questo componimento può rappresentare la sua vita: il temporale rappresenta gli anni
della sua fanciullezza/giovinezza, la parte della vita afflitta da dolori e sofferenze, invece la
sera è il momento della maturità in cui il poeta cerca di consolarsi e l’unico modo per
trovare consolazione è di regredire al mondo dell’infanzia e infatti qui c’è il canto di culla
che evoca la figura materna. Alcuni pensano che questo componimento sia la possibilità
per il poeta di vivere sereno (nemmeno felice), altri pensano che stia pensando a una pace
intesa come morte, l’unica possibilità per lui di ricongiungersi davvero a coloro che non ci
sono più. Le stelle vengono presentate come tacite per sottolineare la contrapposizione tra
la tempesta del giorno e la pace della sera. Al verso 4 “gre gre” è un’onomatopea
pascoliana, il linguaggio pregrammaticale, è il verso delle rane ed è un messaggio sonoro
positivo, il paesaggio si sta rasserenando e così anche l’anima del poeta. C’è l’immagine di
una brezza che offre una sensazione di serenità che sfiora le foglie tremolanti dei pioppi, se
prima c’era stato il temporale e vento, ora è rimasta solo una leggera brezza (dalla
tempesta alla pace). Quando dice “si devono aprire le stelle” è un’analogia per dire che
devono comparire le stelle in cielo, i poeti parlano della sera sempre come momento del
crepuscolo (quando ancora la luna non è comparsa e le stelle non sono visibili nel cielo).

Potrebbero piacerti anche