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Legami intertestuali
Da questo incontro non nacque alcuna relazione amicale, eppure sappiamo che i due
si lessero a vicenda. Per quanto riguarda Leopardi, abbiamo dati precisi: da un suo
elenco di letture desumiamo che nel novembre 1827 lesse I promessi sposi, dei quali
parla in una lettera ad Antonio Papadopoli: il romanzo gli piace assai – afferma –,
nonostante «molti difetti», e lo reputa «opera di un grande ingegno». Nell’aprile del
’28, invece, Leopardi annota di aver letto il Cinque maggio e gli Inni sacri. Bisogna fare
attenzione alla data, poiché nello stesso mese viene composto uno dei testi più belli
della letteratura italiana, ossia A Silvia, che rappresenta il ritorno di Leopardi alla
poesia, da anni impegnato nella stesura delle Operette morali, pubblicate nel ’27,
proprio lo stesso anno dei Promessi sposi (due libri diversissimi, per forma e per
contenuti). Nell’aprile del ’28, prima di scrivere A Silvia, Leopardi compone un testo
singolare, un unicum all’interno dei Canti, ossia Il Risorgimento, ricco di allusioni-
citazioni manzoniane (soprattutto verso il Cinque maggio e il secondo coro
dell’Adelchi).
Il Manzoni autore dei Promessi sposi è avvertibile, invece, in alcuni dei cosiddetti canti
pisano-recanatesi, come A Silvia, La quiete dopo la tempesta, Il Sabato del villaggio.
Questo legame riguarda sia i contenuti (la vita dimessa di un borgo e le figure umili
dei popolani) sia la forma (lessico impiegato, strutture sintattiche), che avvicina questi
componimenti alla prosa (con le necessarie differenze, s’intende, giacché, nella
concezione classicistica di Leopardi, la poesia deve essere distinta dalla prosa). Questi
componimenti rappresentano un rinnovamento decisivo nella storia della poesia
italiana, facilmente avvertibile allorché si confronti lo stile di Leopardi con quello di
Parini o di Foscolo. Ovviamente, non si può sostenere, come faceva De Sanctis, che
questo cambiamento interno all’opera di Leopardi sia stato determinato dalla lettura
di Manzoni, ma non si può neppure escludere del tutto una qualche possibile
influenza.
Un esempio
In questo passo vi sono allusioni al Canto notturno, ma si rovescia l’esito della corsa
tragica del «vecchierel bianco, infermo», destinata, in Leopardi, alla caduta
nell’«abisso orrido, immenso, / ov’ei precipitando il tutto obblia» (35-36).
Si vedano anche i versi 17-24 dell’incompiuto inno sacro manzoniano:
Vi sono alcune spie testuali che sembrano rimandare alla Ginestra: «tuoi cespi solitari
intorno spargi, / odorata ginestra, / contenta dei deserti» (vv. 5-7) e «di dolcissimo
odor mandi un profumo / che il deserto consola» (vv. 36-37). Il fiore
di Ognissanti appare dunque come una risposta alla Ginestra, o meglio un tentativo di
risposta, senza alcuna contrapposizione polemica: l’io poetico di Ognissanti, infatti,
invita il suo interlocutore, lo «sdegnoso» del verso 17, a rivolgere a Dio la sua
domanda relativa al senso di un fiore, che ha l’unico merito di spandere «ai deserti del
cielo» il suo dolce profumo, prima di morire.
Un dialogo a distanza