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FOCUS BIOGRAFICO

Di qualche anno più giovane di Plinio il giovane nato nel 61/62 d.C.
Originario forse delle Gallia Cisalpina o Narbonese, dove le fonti
epigrafiche attestano il cognomen Tacitus
Quaestor Augusti sotto Tito
Pretore e quindecemvir sacris faciundis 88 d.C. sotto Domiziano
89-93 è fuori da Roma per comando o governo di una provincia
93 d.C. muore il suocero giulio Agricola
97 d.C. consul suffectus (supplente sotto Nerva al posto di Verginio
Rufo defunto
100 d.C. Tacito e Plinio il Giovane impegnati nel processo contro
Mario Prisco accusato di corruzione nel governo dell’Africa
112 d.C. proconsole d’Asia sotto Traiano
120/125 d.C. morte

Dialogus De vita et moribus Iulii De origine et situ


de oratoribus Agricolae (Agricola) Germanorum
(Germania)
Tema
Tema Tema
Decadenza dell’oratoria
Vita ed elogio funebre di Monografia di tipo
Giulio Agricola etnografico dedicata ai
Tesi di Marco Apro
popoli barbari che
4-9 origini, educazione e abitavano le regioni al di
L’eloquenza non è
carriera politica sino al là del Reno, noto come
decaduta ma si è evoluta
consolato del 77 d.C. Germani
e adeguata ai gusti del
tempo e alle aspettative 10-13 excursus geo-
dell’uditorio attuale (tinte 1-27 usi e costumi dei
etnografico sulla Germani come etnia nel
forti e sententiae di tipo Britannia, 14-17 generali
senecano) loro insieme
che si sono avvicendati e
sulle campagne di 28-46 analisi delle singole
Tesi di Vipstano Messalla Agricola tribù germaniche
Da Cicerone in poi
18-28 i sei anni di 1a ipotesi
l’eloquenza è decaduta:
comando delle legioni Digressione etnografica
Per la negligenza dei
romane in Britannia, delle Historiae, poi
genitori che hanno
vittorie e conquiste di scorporata e pubblicata in
trascurato l’educazione
Agricola modo autonomo
dei figli
Per la mancanza di buoni
29-38 Campagna di
maestri (modelli) e di
Agricola in Caledonia
buone scuole
(Scozia), battaglia del
Per il diffondersi della Monte Graupio, Agricola e 2a ipotesi
moda declamatoria che Calgaco (discorso Opera scritta con intento
trasforma l’oratoria in sull’imperialismo romano moralistico: contrapporre
spettacolo fine a se la purezza e la virtù
stesso 39-42 Domiziano senza un primigenia dei Germani
motivo, secondo Tacito al vizio e alla corruzione
Tesi di Curiazio Materno per gelosia richiama dei Romani. I Germani
Agricola a Roma e lo sono sani perché vicini
L’oratoria è decaduta
congeda allo stato di natura e
perché è venuto meno il
ignorano i vizi della
dibattito politico che
43-46 Morte di Agricola civilizzazione
traeva alimento dai
per sospetto
conflitti civili e dalle lotte 3a ipotesi
avvelenamento. Bilancio
politiche dell’età L’opera illustra i caratteri
della vita di Agricola,
repubblicana. dei Germani, la loro forza
funzionario imperiale
Nel periodo imperiale si è fisica e militare per
leale, valoroso e fedele
realizzata la pacificazione mettere in guardia gli
servitore dello Stato.
e anche l’accentramento imperatori circa il
del potere nelle mani pericolo rappresentato
dell’imperatore, quindi è per la sicurezza dei
venuta meno la materia confini orientali
prima dell’eloquenza. dell’impero
Curiazio non rimpiange il
passato perché è
consapevole che nella
repubblica la libertas
degenerava in licentia
cioè sfrenatezza e
disordine. Con l’impero si
paga il prezzo della libertà
ma in cambio c’è la
securitas e la pax.

Bisogna escludere che Tacito idealizzi i Germani.


Essi sono pur sempre barbari, sebbene abbiano tutte quelle
buone qualità che la tradizione attribuiva al mos maiorum:
non hanno cupiditas- cupidigia, avaritia-avidità e luxuria-lusso
reprimono l’adulterio severamente, impediscono alle donne di
assistere agli spettacoli.
Tuttavia restano barbari a causa della loro innata ferocia e
crudeltà, oziosità in tempo di pace e tendenza all’ubriachezza e
soprattutto la discordia tra le varie tribù che si sterminano a
vicenda (strage di 60.000 Brutteri da parte di tribù vicine)
Tacito si compiace delle stragi delle tribù germaniche che
sopperiscono all’incapacità dei Romani di sconfiggerli in battaglia
Il sentimento di Tacito è ambiguo: attrazione per i costumi
incorrotti, paura e disprezzo per la loro ferocia e per la minaccia
che rappresentano.

42 Domitiani vero natura praeceps in iram, et quo obscurior, eo inrevocabilior,


moderatione tamen prudentiaque Agricolae leniebatur, quia non contumacia
neque inani iactatione libertatis famam fatumque provocabat. Sciant, quibus
moris est inlicita mirari, posse etiam sub malis principibus magnos viros esse,
obsequiumque ac modestiam, si industria ac vigor adsint, eo laudis excedere, quo
plerique per abrupta, sed in nullum rei publicae usum ambitiosa morte
inclaruerunt.

42. Domiziano, d'altra parte, pur incline per indole all'ira tanto più implacabile se
soffocata, era in parte acquietato dalla misurata prudenza di Agricola, che non
cercava la gloria sfidando la morte con spavalderia e con vana esibizione di
libertà di spirito. Sappiano coloro che son soliti ammirare i gesti di ribellione che
anche sotto cattivi principi vi possono essere uomini grandi e che una riservata
obbedienza, se accompagnata da energica operosità, può innalzare al vertice di
quella gloria di cui molti si ammantano ostentando il sacrificio della propria vita,
attraverso arduo percorso e senza vantaggio per lo stato
2.Dedimus profecto grande patientiae documentum; et sicut vetus aetas
vidit quid ultimum in libertate esset, ita nos quid in servitute, adempto per
inquisitiones etiam loquendi audiendique commercio. Memoriam quoque
ipsam cum voce perdidissemus, si tam in nostra potestate esset oblivisci
quam tacere.

Abbiamo dato davvero grande prova di tolleranza e, come tempi ormai


passati hanno espresso che cosa di estremo ci fosse nella libertà, così noi
che cosa nella servitù, dato che per mezzo dei delatori ci è stata tolta la
possibilità di parlare e di ascoltare. La memoria stessa avremmo perso con
la voce, se fosse in nostro potere dimenticare come tacere.

[3] Nunc demum redit animus; et quamquam primo statim beatissimi saeculi
ortu Nerva Caesar res olim dissociabilis miscuerit, principatum ac
libertatem, augeatque cotidie felicitatem temporum Nerva Traianus, nec
spem modo ac votum securitas publica, sed ipsius voti fiduciam ac robur
adsumpserit, natura tamen infirmitatis humanae tardiora sunt remedia
quam mala; et ut corpora nostra lente augescunt, cito extinguuntur, sic
ingenia studiaque oppresseris facilius quam revocaveris: subit quippe etiam
ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur. Quid, si
per quindecim annos, grande mortalis aevi spatium, multi fortuitis casibus,
promptissimus quisque saevitia principis interciderunt, pauci et, ut ita
dixerim, non modo aliorum sed etiam nostri superstites sumus, exemptis e
media vita tot annis, quibus iuvenes ad senectutem, senes prope ad ipsos
exactae aetatis terminos per silentium venimus? Non tamen pigebit vel
incondita ac rudi voce memoriam prioris servitutis ac testimonium
praesentium bonorum composuisse. Hic interim liber honori Agricolae
soceri mei destinatus, professione pietatis aut laudatus erit aut excusatus.

3. Ora finalmente si ricomincia a respirare. Ma benché sin dal principio di


questa felice età Nerva Cesare abbia saputo armonizzare due cose da
tempo inconciliabili, il principato e la libertà, e Nerva Traiano accresca ogni
giorno la felicità dei nostri tempi, e la sicurezza collettiva non si regga più su
speranze o desideri ma sulla solida certezza di possederla davvero, tuttavia
la stessa fragilità della natura umana rende l'effetto della cura più lento del
diffondersi della malattia; e come per i nostri corpi è lenta la crescita, ma
rapida la dissoluzione, così tanto più facile soffocare l'intelligenza e le sue
opere che non rianimarle: perché s'insinua nell'animo la dolcezza
dell'inerzia, e l'inattività, da principio faticosa, diventa alla fine gradevole. E
così in quindici anni, che è tratto non piccolo della vita mortale, molti se ne
sono andati per le vicende del caso, ma tutti i più animosi sono caduti per la
crudeltà del principe. In pochi siamo ormai sopravvissuti non solo agli altri,
ma vorrei dire a noi stessi: perché dal pieno della nostra vita dobbiamo
cancellare tanti anni nel corso dei quali, costretti al silenzio, se giovani ci
siamo fatti vecchi e se già maturi abbiamo toccato le soglie estreme
dell'esistenza. Pure non sarà inutile documentare, anche se con parole
rozze e inefficaci, la passata servitù e testimoniare il buon governo
presente. A ogni modo questo scritto, destinato a onorare mio suocero
Agricola, possa, per la testimonianza di affetto che esprime, trovare
apprezzamento o, almeno, essere scusato.

33 Nunc Chamavos et Angrivarios inmigrasse narratur, pulsis


Bructeris ac penitus excisis vicinarum consensu nationum, seu
superbiae odio seu praedae dulcedine seu favore quodam erga nos
deorum; nam ne spectaculo quidem proelii invidere. Super sexaginta
milia non armis telisque Romanis, sed, quod magnificentius est,
oblectationi oculisque ceciderunt. Maneat, quaeso, duretque gentibus,
si non amor nostri, at certe odium sui, quando urgentibus imperii fatis
nihil iam praestare fortuna maius potest quam hostium discordiam.

Ora si racconta che sono immigrati in quelle terre i Camavi e gli Angrivari,
una volta cacciati e pressocché sterminati i Brutteri da una lega di tribù
vicine, mosse da odio per loro arroganza o dall'attrattiva della preda o da un
qualche favore divino nei nostri confronti; infatti non ci hanno neanche
privato dello spettacolo della battaglia. Ne caddero più di sessantamila, non
in virtù delle armi romane ma - cosa ancora più splendida - per diletto dei
nostri occhi. E prego che così durino e continuino in quei popoli, se non
l'amore per noi, almeno l'odio fra loro, dal momento che, ora che si profila
un minaccioso destino sull'impero, ormai la fortuna nulla di meglio può
accordarci che la discordia fra i nemici.
19 Ergo saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis
conviviorum inritationibus corruptae. Litterarum secreta viri pariter ac
feminae ignorant. Paucissima in tam numerosa gente adulteria, quorum
poena praesens et maritis permissa: abscisis crinibus nudatam coram
propinquis expellit domo maritus ac per omnem vicum verbere agit;
publicatae enim pudicitiae nulla venia: non forma, non aetate, non
opibus maritum invenerit. Nemo enim illic vitia ridet, nec corrumpere et
corrumpi saeculum vocatur. Melius quidem adhuc eae civitates, in
quibus tantum virgines nubunt et eum spe votoque uxoris semel
transigitur. Sic unum accipiunt maritum quo modo unum corpus
unamque vitam, ne ulla cogitatio ultra, ne longior cupiditas, ne
tamquam maritum, sed tamquam matrimonium ament. Numerum
liberorum finire aut quemquam ex adgnatis necare flagitium habetur,
plusque ibi boni mores valent quam alibi bonae leges.

19. Vivono dunque in riservata pudicizia, non corrotte da seduzioni di


spettacoli o da eccitamenti conviviali. Uomini e donne ignorano egualmente
i segreti delle lettere. Rarissimi, tra gente così numerosa, gli adulterii, la cui
punizione è immediata e affidata al marito: questi le taglia i capelli, la denuda
e, alla presenza dei parenti, la caccia di casa e la incalza a frustate per tutto
il villaggio. Non esiste perdono per la donna disonorata: non le varranno
bellezza, giovinezza, ricchezza, per trovare un marito. Perché lì i vizi non
fanno sorridere e il corrompere e l'essere corrotti non si chiama moda.
Ancora più austere sono le tribù in cui solo le vergini si sposano e la speranza
e l'attesa del matrimonio si appagano una volta sola. Un solo marito ricevono
così come hanno un solo corpo e una sola vita, perché il loro pensiero non
vada oltre e non si prolunghi il desiderio e perché amino non tanto il marito,
bensì il matrimonio. Limitare il numero dei figli o ucciderne qualcuno dopo il
primogenito è considerata colpa infamante e lì hanno più valore i buoni
costumi che non altrove le buone leggi.

37. Sescentesimum et quadragesimum annum urbs nostra agebat, cum


primum Cimbrorum audita sunt arma, Caecilio Metello et Papirio Carbone
consulibus. Ex quo si ad alterum imperatoris Traiani consulatum
computemus, ducenti ferme et decem anni colliguntur: tam diu Germania
vincitur. Medio tam longi aevi spatio multa in vicem damna. Non Samnis,
non Poeni, non Hispaniae Galliaeve, ne Parthi quidem saepius admonuere:
quippe regno Arsacis acrior est Germanorum libertas. Quid enim aliud
nobis quam caedem Crassi, amisso et ipse Pacoro, infra Ventidium
deiectus Oriens obiecerit? At Germani Carbone et Cassio et Scauro Aurelio
et Servilio Caepione Gnaeoque Mallio fusis vel captis quinque simul
consularis exercitus populo Romano, Varum trisque cum eo legiones etiam
Caesari abstulerunt; nec impune C. Marius in Italia, divus Iulius in Gallia,
Drusus ac Nero et Germanicus in suis eos sedibus perculerunt. Mox
ingentes Gai Caesaris minae in ludibrium versae. Inde otium, donec
occasione discordiae nostrae et civilium armorum expugnatis legionum
hibernis etiam Gallias adfectavere; ac rursus inde pulsi proximis temporibus
triumphati magis quam victi sunt.

37. La nostra città aveva seicentoquarant'anni di vita, quando per la prima


volta, sotto i consoli Cecilio Metello e Papirio Carbone, si sentì parlare delle
armi dei Cimbri. Se calcoliamo da allora fino al secondo consolato
dell'imperatore Traiano, si sommano quasi duecentodieci anni: da tanto
tempo fatichiamo a vincere la Germania. Molte, in così lungo corso di
tempo, le perdite reciproche. Non i Sanniti, non i Cartaginesi, non le
Spagne e le Gallie e neppure gli stessi Parti hanno tanto spesso avanzato
la loro minaccia: più tenace del regno di Arsace è la libertà dei Germani.
Infatti all'infuori della morte di Crasso, bilanciata dalla morte di Pacoro, cosa
ci potrebbe rinfacciare l'Oriente, piegato sotto i piedi di un Ventidio? I
Germani invece, sgominati o catturati Carbone e Cassio e Scauro Aurelio e
Servilio Cepione e Massimo Mallio, hanno tolto in rapida successione
cinque eserciti consolari al popolo romano, e Varo con tre legioni anche ad
Augusto; e non senza perdite li batterono Gaio Mario in Italia, il divo Cesare
in Gallia, Druso e Nerone e Germanico nelle loro stesse sedi; più tardi
anche le terribili minacce di G. Cesare finirono in una farsa. Da allora ci fu
pace, fino a che, approfittando delle nostre discordie e delle guerre civili,
espugnate le sedi invernali delle nostre legioni, aspirarono anche a
conquistare le Gallie. Di lì furono ancora una volta respinti e in tempi recenti
abbiamo celebrato su di loro dei trionfi più che delle vittorie.

Historiae 14 libri Annales ab excessu Divi Augusti


16 libri
Dal 69 al 96 Dal 14 al 69
Dalla morte di Nerone alla morte Dalla morte di Augusto alla morte
di Domiziano di Nerone
Libri 1-4 dedicati al 69 Libri 1-6: Tiberio
Libro 5 inizio eventi del 70 sino Libri 11-16 Claudio e Nerone sino
all’assedio di Gerusalemme da alla congiura dei Pisoni (66)
parte di Tito
Historiae
I,1
[1] Initium mihi operis Servius Galba iterum Titus Vinius consules erunt. nam post conditam urbem octingentos
et viginti prioris aevi annos multi auctores rettulerunt, dum res populi Romani memorabantur pari eloquentia
ac libertate: postquam bellatum apud Actium atque omnem potentiam ad unum conferri pacis interfuit, magna
illa ingenia cessere; simul veritas pluribus modis infracta, primum inscitia rei publicae ut alienae, mox libidine
adsentandi aut rursus odio adversus dominantis: ita neutris cura posteritatis inter infensos vel obnoxios. sed
ambitionem scriptoris facile averseris, obtrectatio et livor pronis auribus accipiuntur; quippe adulationi foedum
crimen servitutis, malignitati falsa species libertatis inest. mihi Galba Otho Vitellius nec beneficio nec iniuria
cogniti. dignitatem nostram a Vespasiano inchoatam, a Tito auctam, a Domitiano longius provectam non
abnuerim: sed incorruptam fidem professis neque amore quisquam et sine odio dicendus est. quod si vita
suppeditet, principatum divi Nervae et imperium Traiani, uberiorem securioremque materiam, senectuti
seposui, rara temporum felicitate ubi sentire quae velis et quae sentias dicere licet.

1. [69 d.C.]. La mia opera prenderà avvio dal secondo consolato di Servio Galba, con Tito Vinio suo collega.
Molti storici, nel ricordare le vicende di Roma lungo gli ottocentoventi anni dopo la sua fondazione ne hanno
parlato con eloquenza pari al loro spirito di libertà; ma dal tempo della battaglia di Azio, quando, nell'interesse
della pace, convenne consegnare tutto il potere a un'unica persona, talenti come quelli sono scomparsi. Da
allora mille sono stati i modi di calpestare la verità: prima il disinteresse per la realtà politica, come cosa
estranea; poi la corsa all'adulazione e, per converso, l'odio verso i dominatori. Nei due casi, tra avversione e
servilismo, l'indifferenza verso i posteri. Ma è facile rifiutare la cortigianeria di uno storico, mentre la calunnia
prodotta dall'astio trova orecchie ben disposte: perché l'adulazione implica la pesante taccia di servilismo, nella
maldicenza, invece, si profila un falso aspetto di libertà. Quanto a me, non ho conosciuto Galba, Otone e
Vitellio: quindi né benefici né offese. La carriera politica, iniziata con Vespasiano e continuata con Tito, l'ho
proseguita sotto Domiziano, non lo nego. Ma chi professa una fedeltà incorrotta al vero, deve parlare di tutti
senza amore di parte né odio. Riservo per la vecchiaia, se la vita vorrà bastare, il principato del divo Nerva e
l'impero di Traiano, tema più stimolante e più sicuro: fortuna singolare del presente, in cui siamo liberi di
pensare come vogliamo e di dire quel che si pensa.

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