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LE PROVE DI VERIFICA
SEMISTRUTTURATE
Titolo originale: Domenici, G. & Ciraci, A.M. (2016). Competencias y Procesos de Evaluación.
Pruebas de Verificación Semiestructuradas. In Memorias, Universidad 2016, 10mo Congreso
Internacional de Educación Superior. Havana (Cuba), 15 - 19 febrero 2016. CD-Rom (PED 291
- pp. 1826-1835). Havana (Cuba): Edited by Universidad.
Abstract
Il contributo dà conto di alcuni aspetti dell’indagine, avente come focus la sperimentazione di una
strategia didattica integrata, modulare e flessibile, condotta dall’Unità di ricerca dell’Università
Roma Tre nell’ambito di un più vasto Programma di Ricerca scientifica di rilevante Interesse
Nazionale (PRIN), ancora in progress. In questi ultimi anni risulta particolarmente vivace il
dibattito su come tentare di risolvere il problema della qualificazione dei processi e dei risultati
educativi delle strutture formali di istruzione e formazione. Nell’ottica di un apprendimento
esteso a tutta la vita, il passaggio da modelli didattico-curricolari orientati ai contenuti a modelli
orientati alle competenze per facilitare, tra l’altro, il conseguimento delle competenze chiave di
cittadinanza indicate dall'UE, sta imponendo non solo una revisione metodologica e organizzativa
della didattica ma anche un cambio di prospettiva nel contesto della valutazione, spingendo verso
l'impiego della valutazione e dell'autovalutazione come mezzi per l'autoregolazione delle
strategie individuali di apprendimento. A nostro avviso, tra i molteplici strumenti di verifica
utilizzabili, le “prove semistrutturate” (in cui occorre elaborare autonomamente le risposte
osservando precisi vincoli prescrittivi) sono quelle che meglio si prestano, attraverso la
simulazione di contesti problematici reali, entro i quali individuare e giustificare le soluzioni, a
valutare sia conoscenze e competenze disciplinari, sia competenze trasversali (linguistiche,
procedurali, decisionali, relazionali). Inoltre, nei processi autovalutativi, permettendo agli
studenti di prendere decisioni, di osservarne le conseguenze e di riflettere sugli esiti sbagliati o
incompleti, possono rappresentare una leva fondamentale per acquisire la piena consapevolezza
delle proprie strategie di utilizzazione dei saperi posseduti.
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promuovere il successo formativo negli allievi. Gli obiettivi del programma “Europa 2020”
relativi alla inclusione sociale e alla lotta alla povertà anche attraverso la valorizzazione e il
potenziamento dell'istruzione rinviano di necessità all'impiego degli esiti più accreditati della
ricerca, in particolare educativa, e al suo sviluppo per meglio qualificare i processi di formazione
così da favorire il successo nell'apprendimento di tutti, qualunque siano le loro caratteristiche
ascrittive e di provenienza. Quanto detto impone, innanzitutto, una nuova riflessione sulla
questione delle disuguaglianze a scuola e nella società che possa aprire la strada a nuove
competenze per gli studenti e a nuove modalità didattico-valutative per gli insegnanti. Il progetto
di Roma Tre mira a potenziare gli interventi di qualificazione dei processi e dei risultati educativi
delle strutture formali di istruzione attraverso, appunto, la formazione dei docenti ad una didattica
integrata che tenga conto dei seguenti fattori: la flessibilizzazione della proposta formativa
(Domenici 2009a), caratterizzata da un impiego originale delle ICT (Galliani 2004; Maragliano
2004), come adattamento didattico-curricolare non solo alle diversità interindividuali, ma anche
intra-individuali con attenzione a modelli didattico-curricolari orientati alle competenze (Watkins
1987; Ajello 2002; Perrenoud 2006; Castoldi 2009; Domenici 2009a; Baldacci, 2010); l'impiego
di strumenti standardizzati di autovalutazione delle strategie di apprendimento e delle
competenze strategiche (Pellerey 2006; Domenici & Moretti 2011); l'inclusione degli allievi e
degli studenti con disabilità o con Bisogni Educativi Speciali attraverso l'applicazione del
modello ICF CY (OMS 2007; Chiappetta Cajola, 2008); il trattamento delle difficoltà di
apprendimento di origine psicogena (Biasi, Cajola & Bonaiuto 2010); l'allestimento di contesti di
inclusione di allievi con differente background culturale e/o figli di immigrati (Santerini 2010); la
promozione dei processi di costruzione dell'identità di genere (Touraine 2006; Badinter 2010). La
sperimentazione è stata compiuta con il coinvolgimento di docenti della scuola primaria e
secondaria opportunamente “formati in servizio” attraverso l'impiego delle ICT su piattaforma e-
learning. Attraverso un intervento sperimentale classico si è operato su Gruppi sperimentali e
Gruppi di controllo costituiti per appaiamento, appartenenti a scuole operanti in equivalenti
contesti socio-culturali e comprendenti allievi di classi parallele e relativi a differenti livelli e
gradi di istruzione. Si ipotizza che gli esiti formativi quali-quantitativi, ancora in corso di
elaborazione, in uscita dai Gruppi-classe Sperimentali (nei quali sia stata impiegata la strategia
didattica integrata, modulare e flessibile dai docenti che hanno svolto il periodo di formazione),
risultino significativamente più alti tanto rispetto ai corrispondenti esiti dei Gruppi-classe di
Controllo, (costituiti da classi parallele ove i docenti non fanno ricorso alla didattica integrata),
nei valori medi o di tendenza centrale, e significativamente più bassi nei valori di dispersione o
variabilità, quanto rispetto al momento di avvio della procedura sperimentale. Molti sono stati i
tentativi di valorizzazione delle variabili di maggior rilievo nella codeterminazione dei risultati
dell'apprendimento; non si conoscono, però, a tutt’oggi, interventi, teorici o empirico-procedurali,
finalizzati al miglioramento sistematico ed integrato di quei fattori. Anche nel più recente
dibattito nazionale e internazionale, gli studi e i tentativi di risoluzione del complesso problema
della qualificazione della didattica risultano privilegiare poche variabili alla volta o comunque
concentrarsi su un numero ridotto di fattori per quanto significativi e in specifici settori
disciplinari. La “strategia didattica integrata”, focus dell'indagine di Roma Tre, caratterizzandosi
per l'impiego contestuale e coerente di strumenti, materiali e procedure di intervento provenienti
da una pluralità di teorie interpretative del fenomeno educativo, assume una prospettiva teorico-
pratica multidimensionale di soluzione di un problema complesso quale è quello dei processi di
istruzione e formazione delle nuove generazioni nella complesse società odierne.
Nel presente contributo si dà conto dello stato di avanzamento della riflessione in riferimento ad
alcune di queste variabili, e precisamente alla questione del passaggio da modelli didattico-
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curricolari orientati ai contenuti a modelli orientati alle competenze e dei processi valutativi e
autovalutativi che tale passaggio comporta.
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l’assunzione di rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere
obiettivi, sempre più necessarie per promuovere innovazione, crescita e benessere sociale (Isfol
2009; Unioncamere-Excelsior 2010; Ministero del lavoro e delle politiche sociali-Isfol 2012).
Decenni di ricerca scientifica nel corso del ventesimo secolo hanno dimostrato ampiamente che
non ci sono argomenti per separare l’acquisizione delle cosiddette competenze di base come la
lettura o il calcolo da attività molto più complesse come l’analisi di situazioni inedite o la
discussione di problemi complessi, tutto ciò a partire già dai primi anni di scuola (Resnick, 1976,
1999; Vygotskij, 1978; Bruner 1987; Wiggins, 1993). Molti studi da parte di organizzazioni di
ricerca internazionali hanno dimostrato che il pensiero complesso e la capacità di analisi sono
parte integrante dell'apprendimento in ogni fase dello sviluppo (Bransford, Brown & Cocking
2000; OCSE 2004; Kozma 2003) e che la maggior parte delle competenze possono essere
acquisite e impiegate simultaneamente o anche in ordine inverso (Anderson & Krathwohl 2001).
Quello che conta, dunque, è ciò che gli studenti possono fare con la conoscenza piuttosto che le
unità di conoscenza che hanno (Murnane & Levy, 2004).
In ultima analisi, se le “competenze” si esprimono nella “capacità di adottare strutture, piani,
schemi e programmi di azione capaci di integrare a livello interdisciplinare le conoscenze,
formali e informali, teoriche, esperienziali e procedurali possedute per risolvere un problema in
un contesto ambientale specifico; di adottare, inoltre, un sistema di monitoraggio della validità
del programma nel contesto specifico (meta-cognizione), quindi di ri-adattarlo (meta-valutazione
e meta-decisione), costruttivamente, per porre in atto comportamenti adatti al raggiungimento
degli scopi, ovvero per il raggiungimento di un risultato adeguato alle intenzioni stabilite”
(Domenici 2000, 2009a), è opportuno che tale capacità venga appresa insieme ai saperi stessi già
a partire dai primi anni della scuola primaria.
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spingendo verso l'impiego della valutazione e dell'autovalutazione come mezzi per
l'autoregolazione delle strategie individuali di apprendimento. Due sono principalmente gli ordini
di problemi che discendono da questo nuovo approccio. Il primo, di tipo culturale, è
rappresentato da una concezione dell’apprendimento non più confinato agli anni della
scolarizzazione, ma esteso a tutta la vita, dunque più rispondente alle necessità sociali e
produttive del territorio. L’altro, conseguente, è rappresentato dalle nuove modalità didattiche e
valutative che tale approccio comporta. In un approccio per competenze la valutazione assume un
ruolo centrale (Ciraci 2015). In tutti i sistemi scolastici nei quali recentemente si sono riformati i
programmi scolastici prendendo le distanze dall’approccio disciplinare per adottare quello sulle
competenze, il punto scottante è proprio quello della valutazione, che rappresenta uno dei fattori
principali del rallentamento delle riforme. Come si misurano dunque le competenze?
La ragione dell’apparente conflitto sta a monte e, probabilmente, risiede nel separare conoscenze,
abilità e competenze, come se queste ultime fossero qualcosa di diverso e di aggiuntivo rispetto
alle conoscenze e alle abilità. Questa visione si fonda su un malinteso: credere che sviluppare
competenze significhi in qualche modo rinunciare alle conoscenze disciplinari. Una discrasia sul
piano docimologico, presente anche nella normativa italiana, fra valutazione degli apprendimenti
collegati al curricolo e certificazione delle competenze, che vanifica il potenziale innovativo di
queste nuove pratiche (Ciraci 2015). Le competenze, invero, mobilitano conoscenze di cui la
maggior parte sono di carattere disciplinare in quanto ognuna si fa carico di un livello o di una
componente della realtà. Lo sviluppo di competenze significa concepire le discipline in una
diversa prospettiva: non come delle semplici ripartizioni del sapere, bensì sue articolazioni più
complesse e dinamiche (Ciraci 2005a). L’approccio per competenze non rifiuta le conoscenze
disciplinari, ma mette l’accento sulla loro messa in opera (Perrenoud 2000; Pellerey 2004). Il
nodo del rapporto tra competenze e discipline di insegnamento si risolve agevolmente
riconoscendo lo specifico contributo che ciascuna disciplina di insegnamento può fornire allo
sviluppo di una competenza, in termini di saperi che essa richiede (Castoldi 2011). Le
competenze sono il risultato che si ottiene - all’interno di un unico processo di insegnamento
/apprendimento - dalla reciproca integrazione e interdipendenza tra saperi e competenze. Si tratta,
quindi, di incrociare le conoscenze previste dal curricolo per le singole discipline di
insegnamento e, attraverso la messa a punto di liste di “descrittori” (Domenici 1981), esplicitare i
traguardi di apprendimento di ogni singola disciplina che concorrono allo sviluppo di una
determinata competenza, sia essa disciplinare o trasversale (di cittadinanza) (Ciraci 2013, 2015).
Quello che diventa necessario, a questo punto, è il possesso una strumentazione docimologica
adeguata, fatta di prove di verifica in grado di cogliere la complessità che caratterizza le
competenze. Da qui la necessità di una attenta analisi del repertorio di strumenti e metodologie di
valutazione che la ricerca e la pratica hanno evidenziato come validi ed efficaci nel rispondere a
tali esigenze.
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o incoerenti, solide o deboli sul piano empirico, descritte con maggiore o minore efficacia e
appropriatezza di linguaggio. Sarà così agevole rilevare e valutare non solo conoscenze
disciplinari ma anche competenze fondamentali come: la capacità di ragionamento analitico e di
soluzione di problemi (Analysis and Problem Solving) intesa come capacità di interpretare,
analizzare e valutare le informazioni e i dati proposti, utilizzare in ambienti nuovi, tra le
conoscenze, abilità e competenze acquisite, quelle pertinenti con il problema in discussione;
identificare nei documenti idee o fatti pertinenti a un problema in discussione; illustrare
informazioni correlate o conflittuali; spiegare se le evidenze sono credibili, deboli, inaffidabili,
incoerenti o incomplete; soppesare dati di varia provenienza per trarre una decisione o
conclusione logica, corroborandola con un esame coerente delle informazioni fornite (Decision
making); la capacità di comprensione di un testo mai visto prima esercitando su di esso il
pensiero critico (Critical thinking), anche in presenza di grafici o simboli quantitativi; l’efficacia
della scrittura nel comunicare per iscritto le argomentazioni costruendo e organizzando gli
argomenti in modo logico, convincente e coerente, fornendo elaborazioni su fatti o idee (ad
esempio spiegando come incidono le evidenze empiriche nella soluzione del problema) e/o
fornendo esempi; la tecnica della scrittura con riguardo alle regole basilari della lingua in cui ci
si esprime (Ability to communicate).
6. Conclusioni
In questi ultimi anni, non diversamente da quanto sta accadendo nel campo della politica, risulta
particolarmente vivace anche in ambito scientifico il dibattito su come tentare di risolvere nei
migliori dei modi possibili il problema della qualificazione dei processi e dei risultati educativi
delle strutture formali di istruzione e formazione, in presenza di una popolazione studentesca
sempre più composita e ormai anche in Italia sempre più multiculturale. Il dibattito più recente
nel campo delle scienze dell'educazione ha confermato e sviluppato ciò che già da tempo alcune
indagini conoscitive (IEA PIRLS, 2007; IEA TIMSS, 2009; OCSE-PISA, 2010; INVALSI, 2011)
avevano in qualche modo posto in evidenza: il fatto che nella codeterminazione dei prodotti
culturali delle strutture formative, oltre alle variabili socio-economiche - prima - socio-culturali
più recentemente -, assumono un peso sempre più decisivo le variabili relative alla
organizzazione dei contesti di apprendimento, cioè alla didattica. Il “Programma quadro di
ricerca e innovazione (2014-2020) - Horizon 2020” ricorda che le scienze sociali e le discipline
umanistiche costituiscono parte integrante delle attività mirate ad affrontare le sfide della società
contemporanea in quanto in grado di costituire una “robusta base di conoscenze per le decisioni
politiche” a livello internazionale, dell'Unione, nazionale e regionale. Va osservato che una tale
prospettiva è trasversale a tutto il progetto di ricerca dell'Unità “Roma Tre” che, attraverso un
disegno sperimentale di indagine, mira a offrire, in ultima analisi, elementi su cui fondare
politiche educative ispirate agli esiti più avanzati della ricerca scientifica.
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