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Aelin è il figlio prescelto, primo nascituro, di una casata di elfi di nobilissime origini e fra le più

importanti nella città di Waterdeep: la casata degli Andalhoran. Diretti discendenti dei padri
fondatori della città stessa, i suoi membri traggono motivo di un fiero compiacimento dalla
responsabilità, che sentono gravare su di loro, di continuare a oleare e affinare l'intricata
macchina governativa che l'ha resa prosperosa e forte per così tanti anni; ma il loro mirabile
senso del dovere viene macchiato dall'alterigia, giacché pretendono l'ammirazione e il rispetto
da parte di tutte le altre casate, considerate da loro mediocri e inadatte ad affiancarli, men che
meno sostituirli, nella loro nobile missione. Pronti a tutto, perfino a corrompere, pur di non
vedersi sottrarre i privilegi di cui si sentono legittimi destinatari, gli Andalhoran perdettero molto
del loro prestigio centinaia di anni fa dopo un'accusa di abuso di potere, di cui dimostrati
colpevoli a seguito di un lungo e tedioso processo. La macchia della colpa che ha sporcato la
loro immagine pareva durare in eterno, ma come è naturale che accada, gli anni passano, le
menti dimenticano, gli animi si placano, e ora, a distanza di così tanto tempo, i più anziani e
autorevoli della casata intravvedono la possibilità di riconquistare il prestigio antico attraverso
l'operato dei figli. Aelin, il primo ad essere nato, ha ereditato tutte le migliori caratteristiche dei
padri: l'agilità sovranaturale del corpo, la grazia sublime nei movimenti, l'intelligenza acuminata
e la fedeltà quasi cieca nella famiglia; quali migliori pregi per compiere l'opera dei padri? La
sorella Lianda, al contrario, un disappunto; carismatica e loquace, forse un po' troppo per
l'immagine di seriosità che gli Andalhoran vorrebbero proiettare all'esterno, di intelligenza
certamente elevata ma non eccellente, e vistosamente mutilata nel corpo, con un volto deforme
e un braccio rattrapito, a causa di una malattia che la madre ebbe mentre la portava in grembo.
La diversa considerazione che i padri avevano di loro si trasmetteva negli atteggiamenti,
giacché quando Aelin sbagliava, veniva punito in modo proporzionale alla gravità dei fatti,
incoraggiato da un bonario suggerimento a migliorare, ma quando lo stesso errore era di
Lianda, la punizione si abbatteva estrema, totalizzante, a tratti anche umiliante,
nell'irragionevole tentativo dei padri di correggerla e trasformarla in qualcosa che non poteva
essere: il risentimento nei confronti del Destino che aveva ostacolato i loro piani si traduceva,
nella loro mente ottusa, in disprezzo verso la figlia che non aveva colpa; Aelin veniva
incoraggiato, stimolato, alle volte anche idolatrato, Lianda invece veniva trattata con freddezza,
con un subdolo disappunto, che si percepiva dagli sguardi e dagli atteggiamenti, e con una
desolante mancanza di parole di apprezzamento. Aelin veniva istradato verso la carriera
militare, per la quale dimostrava un notevole talento, Lianda verso le scuole arcane, che non le
erano affini. Aelin cresceva credendo di essere invulnerabile, speciale più di ogni altro, e
dunque destinato a grandi cose, mentre invece Lianda diveniva sempre più convinta di essere
difettosa, oltre che nel corpo, anche nella mente, incolpandosi per non essere all'altezza delle
pretese che i parenti avevano da lei.
Per decenni i due credettero alla narrativa costruita attorno alle loro vite dai parenti, e Aelin
stesso partecipava, senza nemmeno rendersene conto, alla silenziosa opera di screditamento
nei confronti della sorella, criticandola aspramente tanto quanto facevano i genitori, pensando
che fosse la cosa giusta da fare, che le servisse per correggerla, che solo così sarebbe uscita
dalla sua condizione di mediocrità per diventare ciò che lei diceva di voler essere:
un'Andalhoran degna di portare quel nome. Poi però, una malattia di origini misteriose,
incurabile anche dai più potenti curatori, cominciò a eroderle lentamente il corpo e l'animo;
nessuno riuscì a capire se si trattasse di una malattia naturale o di un incantesimo perverso di
uno dei tanti nemici della famiglia, quel che era certo era che, per i genitori, la sua malattia fu
soltanto un ulteriore peso da gestire, e da qualche parte nell'abisso del loro inconscio, erano
anche contenti. Per Aelin invece, essa rappresentava l'inizio dell'epifania. Nel suo lento
decadimento vide con chiarezza il volto spaventato della sorella e, resosi conto che l'avrebbe
persa, capì quanto l'amava. Gradualmente, l'affetto ritrovato verso di lei aprì i suoi occhi e tutto
divenne limpido: la sorella, non un essere indegno da correggere, ma una sfortunata che,
ingiustamente trattata, ha finito per odiarsi; lui, non un prodigio delle armi, non un condottiero
che avrebbe riportato il prestigio alla propria casata, ma un ignaro pedone nella scacchiera
altrui; l'amore dei genitori, un amore condizionato e strumentalizzato; e gli Andalhoran, per nulla
onorevoli, per niente prestigiosi, ma soltanto un branco di alteri faccendieri in attesa di compiere
la prossima mossa nel loro macchinoso gioco del potere. Era naturale che le cose fossero
andate così, Aelin riconobbe presto che la loro casata somigliava a molte altre, ma decise che
la sorella non si meritava di trascorrere gli ultimi momenti della sua vita in quell'inferno, quindi
scappò assieme a lei, lontano, nascondendo sapientemente ogni traccia di sé. Vissero un anno
in una piccola abitazione ai margini della Grande Foresta, dove lui si occupava di cacciare e
raccogliere la legna e lei, finché le sue forze lo consentivano, curava l'abitazione e preparava da
mangiare. Aelin cercò di cospargerla di tutto l'amore fraterno che le aveva negato in passato,
riuscendo a farla sentirsi, se non felice, almeno amata, ma la morte di Lianda arrivò inesorabile:
in una notte tranquilla che non presagiva nulla di malvagio, avvolta dal canto soave delle ninfe
della foresta e illuminata, attraverso le fessure del soffitto, dalla luce della luna piena, spirò.
Il fratello le diede la sepoltura più dignitosa che poté, poi iniziò un lungo viaggio, senza meta,
passando di paese in paese, di foresta in foresta, cercando negli incontri che faceva un nuovo
motivo di vivere che sostituisse l'antico, finché arrivò ai piedi di un tempio di monaci, dove fu
accolto come un fratello. Affascinato dalla loro disciplina ma, più che ogni altra cosa, dalla loro
rettitudine d'animo, scelse di rimanervi, per trascorrere gli anni in meditazione e trovare il vero
sé. Non importava però con quanta gentilezza cercasse di rendere onore alla vita, con quanto
zelo praticasse la disciplina, con quanta umiltà si dedicasse ai lavori più terreni, con quanto
coraggio andasse a fondo di sé stesso, con quanta generosità trattasse i suoi simili, nulla
sembrava riuscire a cancellare la colpa di aver trattato Lianda così come la trattava il resto della
famiglia, nulla giustificava gli sguardi freddi e sprezzanti o le parole di biasimo che le rivolgeva,
l'affetto che le negava, nulla era motivo di perdono o d'indulgenza per la sua cecità.

Caratteristica: avendo a lungo vissuto in un ambiente in cui gli intenti egoistici, sebbene non
fossero apertamente dichiarati, trasparivano dagli atteggiamenti, e potendo confrontare ciò con
la purezza degli intenti dei monaci che si rifletteva nella purezza dei modi, Aelin ha appreso
come riconoscere chi, dietro alle parole, nasconde dei doppi fini. Gli inganni e i raggiri non lo
abbindoleranno più: vede attraverso di essi.

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