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Home > Archivio > 05 - 2006 > Gli anni difficili di Tubinga
Da Tubinga a Ratisbona
La borghesia contesta sé stessa. I figli della
Hans Küng classe media si ribellano ai padri. A Berlino,
alle manifestazioni contro le leggi
emergenziali introdotte a tutela della
sicurezza nazionale, ci scappa il morto. La
fiammata parte dai centri universitari di
Berlino e Francoforte, ma raggiunge presto
anche le facoltà teologiche. Proprio a
Tubinga, nella facoltà di filosofia, insegna
Ernst Bloch, che nel suo libro Il principio
Speranza indica in un messianismo ebraico-
cristiano secolarizzato la sorgente ultima del
vento rivoluzionario che spazza l’Occidente.
Una prospettiva che – scrive Ratzinger nella
sua autobiografia – «proprio perché si
basava sulla speranza biblica, la stravolgeva,
così da conservare il fervore religioso,
eliminando però Dio e sostituendolo con
l’azione politica dell’uomo». La fede –
spiega sempre Ratzinger nel suo saggio
introduttivo scritto nel 2000 per la riedizione
del suo best seller Introduzione al cristianesimo – «cedeva alla politica il ruolo di forza salvifica».
In questa «nuova fusione di impulso cristiano e di azione politica a livello mondiale» molti
cristiani provano l’ebbrezza di essere tornati protagonisti della storia. Dopo che la cultura
occidentale più avanzata aveva tentato di relegare la religione alla sfera soggettiva e intima, adesso
con «una Bibbia riletta in una nuova chiave e una liturgia celebrata come precompimento
simbolico della rivoluzione e come preparazione alla stessa […] il cristianesimo con questa curiosa
sintesi riapprodava nel mondo, proponendosi come messaggio “epocale”». Anche l’agenda
“democratizzante” dei teologi à la page viene superata di schianto. Non si tratta più di apportare
ritocchi alla compagine ecclesiale e favorire la sua apertura al mondo. Anche la forma storica
assunta dalla Chiesa va demolita nell’abbattimento del vecchio regime. «Unter den Talaren der
Muff von thausend Jahren», urlano gli studenti delle facoltà teologiche: sotto le talari dei preti, la
sporcizia di mille anni. La convulsione rivoluzionaria raggiunge gli interstizi dell’ordinaria vita di
facoltà, stravolge e disarticola prassi secolari nel rapporto tra docenti e studenti. La contestazione
non conosce zone franche. A Tubinga ne fanno le spese anche Küng e i suoi amici. I “ribelli”
monopolizzano anche la parrocchia universitaria di San Giovanni e reclamano l’elezione
democratica del cappellano. Poi si sdraiano sugli scalini della facoltà, impediscono l’ingresso ai
professori: non c’è più tempo per ascoltare lezioni inutili, bisogna prepararsi alla rivoluzione che si
avvicina. Ratzinger sopporta più volte questi “processi del popolo” da parte degli studenti.
Racconta Martin Trimpe: «Interrompevano urlando la lezione, o si mettevano sulla cattedra e lo
obbligavano a rispondere alle loro questioni “rivoluzionarie”». Altri docenti provano a strizzare
l’occhio ai contestatori. Il professore bavarese risponde col suo argomentare logico e pacato. Ma la
sua voce flebile viene spesso travolta dalle urla. Nota ancora Seckler: «Lui va fortissimo nelle
discussioni pacate, argomentate. Ma nella contrapposizione violenta si smarrisce. Non sa urlare, è
incapace di dare sulla voce degli altri in maniera prepotente».
Eppure Ratzinger prova sincera simpatia umana, venata di tristezza, per tanti dei giovani che gli
complicano la vita.
Una di loro si chiama Karin. È una bella ragazza bionda e, per quanto risulti molesta, si vede che
cerca qualcosa, che il suo sogno rivoluzionario esprime confusamente l’attesa di una vita diversa,
buona, il desiderio di essere felici. Ratzinger la sta a sentire, ci perde tempo. Ma poi succede che
Karin muore all’improvviso. Racconta Trimpe: «Fui io a dirlo al professore, durante un pranzo. Ne
rimase addolorato e non parlò più. Poi, ne sono certo, avrebbe portato a messa, sull’altare, la
compassione per la vita e la morte di quella ragazza, affidando alla misericordia del Signore la
salvezza della sua anima».
Anche nelle lezioni, come è suo costume, Ratzinger all’inizio prende sul serio e valorizza le
istanze della critica marxista, che possono anche esprimere l’attesa di una salvezza storica reale,
non rinchiusa nel ghetto dell’individualità soggettiva. Ma il suo choc è tremendo quando la
contestazione diventa parodia sacrilega, ribellismo borghese, devastante corrosione delle cose che
gli sono più care. Racconta oggi l’ex allievo ratzingeriano Werner Hülsbusch, parroco in pensione
nei dintorni di Münster: «Non ne poteva più di leggere manifesti che descrivevano Gesù e san
Paolo come dei frustrati sessuali, di sentire discorsi di chi dileggiava la croce come un simbolo del
sadomasochismo. Ci stava male».
Il clima sempre più avvelenato di Tubinga brucia i tempi del suo trasferimento alla nuova facoltà
teologica inaugurata nel 1967 in Baviera. All’ultimo incontro con la cerchia dei dottorandi
tubinghesi il professore arriva un po’ in ritardo a bordo della Cîtroen “Due cavalli” di Peter Kuhn.
L’autista frena bruscamente davanti agli studenti in attesa, e la targa di Tubinga si stacca
rumorosamente dall’automobile. Tutti scoppiano a ridere.
Saper sorridere di sé
Un episodio marginale accaduto sul finire del
«Nel 1965» nota Beinert «Ratzinger periodo tubinghese risulta particolarmente
aveva scritto insieme a Karl Rahner il illuminante. Nell’estate del 1969 alcuni professori
libro-chiave Primato e episcopato, di Tubinga scrivono un articolo in cui lanciano una
dove in un certo senso la parola più proposta a effetto: abolire la durata a vita
rilevante era la congiunzione che dell’episcopato, fissando un limite di tempo per il
univa i due termini. Sulla quaestio ministero dei vescovi residenziali. Il testo viene
disputata del rapporto tra papa e pubblicato con evidenza sul Theologische
vescovi Ratzinger è sempre rimasto Quartalschrift, la prestigiosa rivista di Tubinga che
sulla linea che si era espressa al vanta la primogenitura tra le testate teologiche
Concilio» tedesche. Prima della pubblicazione tutti i
professori della facoltà cattolica, compreso
Ratzinger, sottoscrivono l’articolo. Nelle dodici
pagine fitte si affastellano argomenti sociologici per dimostrare che «l’impalcatura e la concezione
del diritto della Chiesa di fronte all’attuale immagine della società si presentano come un mondo
passato, estraneo». Secondo gli autori anche l’attuale configurazione della giurisdizione episcopale
non si richiama «al Vangelo, e neanche alla struttura delle prime comunità cristiane, bensì soltanto
a una tradizione emersa più tardi», che «sotto vari aspetti non è più adeguata». Poi espongono la
loro proposta per adeguare ai tempi nuovi il potere episcopale. Secondo i professori tubinghesi «il
periodo di durata del ministero dei vescovi residenziali in futuro deve essere di otto anni. Una
rielezione o un prolungamento del periodo del ministero è possibile soltanto in via eccezionale, e
per motivi oggettivi, esterni, dovuti al contesto politico ecclesiale». Gli autori specificano che la
proposta «viene fatta per ora soltanto riguardo all’Europa occidentale» e che «implicazioni per
l’elezione del papato esulano dalla presente esposizione e perciò non vengono qui discusse». Altra
excusatio non petita, visto che la provocazione lanciata implica ipso facto possibilità di ipotizzare
un mandato ad tempus anche per il vescovo di Roma.
L’adesione del professor Ratzinger alla proposta dei suoi colleghi poco collima col profilo
dell’antagonista duro e puro che si arrocca per resistere alle derive teologiche del tempo. Ma non
può nemmeno essere invocata a conferma dello stereotipo opposto, quello di un Ratzinger teologo
incendiario destinato di lì a poco a cambiare casacca. Il professor Seckler, che di quell’articolo era
uno degli autori e adesso lo ricorda alla stregua di un “peccato di gioventù”, racconta a 30Giorni:
«Ratzinger all’inizio era l’unico che non voleva firmare il testo. La sua concezione dell’episcopato
non si conciliava con le tesi sostenute nella nostra proposta. Allora andai io a casa sua, a cercare di
convincerlo. Prendemmo un caffè, parlammo a lungo. E quando uscii avevo ottenuto la sua
adesione». Anche i suoi allievi più stretti quella volta rimasero perplessi. Ricorda Trimpe: «Il
professore di solito era determinato nel sostenere le sue convinzioni. In quel caso, forse non aveva
letto bene l’articolo, oppure cedette alle pressioni per quieto vivere. Voleva evitare altre discussioni
coi colleghi». E forse ciò che gli chiedevano – una semplice adesione a un testo collettivo – non gli
sembrava cosa rilevante. Dopo la pubblicazione dell’articolo, mentre allievi e collaboratori si
preoccupano, Ratzinger non pare troppo angosciato per la sua reputazione. Indica lui stesso una
maniera sottilmente umoristica per placare i loro turbamenti. Racconta Trimpe: «Quando vide che
alcuni di noi erano scandalizzati, sorrise e disse: allora, se siete arrabbiati, scrivete voi qualcosa,
scrivete un articolo contro quella proposta, e io vi aiuterò a pubblicarlo».
Fu così che l’assistente Kuhn e Martin Trimpe prepararono un lungo articolo che uscirà in due
puntate sulla rivista Hochland, per confutare su suggerimento del loro professore le tesi
sull’episcopato a tempo che lui stesso aveva sottoscritto. Kuhn non trattiene la battuta:
«Quell’articolo lo facemmo pubblicare solo quando col professore ci eravamo già trasferiti a
Ratisbona. Forse a Tubinga ci avrebbero preso per eretici».
continua...
(ha collaborato Pierluca Azzaro)