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RECENSIONI

GUGLIELMO GORNI
LETTERA NOME NUMERO.
L'ORDINE DELLE COSE IN DANTE
Bologna: il Mulino, 1990. 230 pp.

Non v'è chi non subisca, accostandosi alla produzione dantesca ed in


particolare alla Commedia, il fascino di un ordine armonioso, sia che
presenti adeguati contrappesi tra meriti e premi, colpe e castighi, sia che
esponga tesi filosofiche ο scientifiche. Mai Dante indulge all'orpello ed
al decorativo, giacché anche particolari apparentemente superflui
detengono una loro profonda ragion d'essere. Giusta, dunque,
l'intuizione di Gorni che, nel libro in esame, parte dalla convinzione che
"in Dante le parole non sono mai oziose, ma collaborano tutte
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tenacemente a serrare le maglie di un sistema di simmetrie." D'altro
parte, Dante vive in un'età ancora tutta protesa alla ricerca
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dell'essenziale e del significativo lato sensu. E non solo le parole, ma
ogni cosa — numeri, azioni, rapporti — rivela, ad un'analisi attenta,
valori insospettati ad una lettura ferma in superficie.
Gorni intende rintracciare l'ordine dell'universo dantesco seguendo
le tre linee privilegiate che danno il titolo all'opera: lettera, nome e
numero. In questa operazione, un commento ai più alti livelli, egli
manifesta una straordinaria finezza interpretativa ed un'indubbia carica
di simpatia verso i testi, purtroppo rare in uno studioso di formazione
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accademica. Sulla base di una precisa assunzione di metodo cerca di
far sì che gli scritti parlino secondo le eventuali, possibili, nascoste
intenzioni di Dante, giungendo a formulare ipotesi spesso suggestive e
dotate di buona plausibilità. È infatti noto quanto Dante abbia isistito,
tra l'altro, sulle virtù del nome e sia riuscito a costruire una serie di
enigmi, dinanzi ai quali lo studioso si trova costantemente esposto al
rischio di smarrirsi.

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Gorni accetta le sottili provocazioni dell'Alighieri, ne raccoglie la
sfida, prosegue per il sentiero indicato e si avventura in un
"completamento" di quanto suggerito a mezza voce, che se per un verso
è ancora poco per una lettura inequivoca, per un altro è sufficiente ad
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imporre limiti, di cui il critico deve tener conto. Si tratta perciò di un
metodo scomodo, poiché tutti sono ben consapevoli della distanza che
ci separa dal Medioevo, così intriso di spiritualità e di senso del sacro,
dotato di una forte capacità di simbolizzazione progressivamente
trasformata dopo la rivoluzione scientifica del XVII secolo. Una
distanza che si misura anche dalla mancanza, nella cultura dell'
"italianista di professione" di una molteplicità di discipline, come la
mantica nei suoi vari vari aspetti, certo presenti nella Commedia, quali
termini di un attegiamento di contestazione, e nell'ordinario di vasti
strati della cultura medievale.
Va aggiunto che un approccio in senso ampio simbolico e
polisemico è irto di difficoltà, in quanto per sua natura il simbolo si
fonda sull'analogia, il cui statuto può rivelarsi ambiguo, data la sua
estrema plasmabilità, a seconda dei punti di vista da cui viene effettuata.
Ecco perché le stesse cose possono indicare realtà diverse ο addirittura
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contrastanti. Insomma, "res tot possunt habere significationes quot
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habent proprietates" e Dante si inserisce nel vivo della forma mentis
medievale quando scrive: "Le scritture si possono intendere e deonsi
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esponere massimamente per quattro sensi."
Il rischio che si corre, data l'impostazione metodologica fin qui
sommariamente descritta, è di forzare gli aspetti esoterici fino ad
ipotizzare l'appartenenza di Dante a questa ο quella setta, Fedeli
d'Amore ο altro; rischio che, però, Gorni evita con sapienti distinguo,
non confondendo la diversità culturale di Dante con un sapere da
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organizzazione segreta.

Lo studio di nome, numero e lettera deve procedere di pari passo,


poiché l'uno si collega agli altri, conformemente al procedere sintetico
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e intellettuale piuttosto che analitico e razionale dei medievali. Ma i
nomi sono consequentia rerum, pertanto la loro attribuzione non può
essere affidata al caso, bensì a precisi criteri di corrispondenza con la
natura ο la funzione di colui ο colei che lo porterà. Dante autorizza a
stabilire una corrispondenza tra nome e numero nel momento in cui

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ritiene Beatrice "uno nove, cioè uno miracolo." Quindi Gorni, tenendo
bene in vista procedementi comuni nel Medioevo, interpreta Beatr-ix
come il nome che nella sua seconda parte ricorda il nove, mentre la
prima, Beatr-, altro non è se non l'anagramma di Berta, "la donna per
antonomasia." Ancora, assegna ad ogni lettera un numero corrispondente
al posto occupato nell'alfabeto e le somma tra loro: ne risulta che Beatr-
ix è uguale a 44 + 9. Applicando lo stesso metodo ad Amor, questi avrà
un valore numerico pari ancora a 44: insomma, "Beatrice come somma
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di amore e miracolo." Ecco le lodi del novenario, Vestigium Trinitatis,
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esaltato soprattutto nella produzione giovanile.
Diversa è la situazione nella Commedia. Qui il nove cede alla sua
radice, il ternario, che è simbolo della Trinità, ma che è insieme il
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numero delle virtù teologali e, più specificamente, della fede.
Anche uno studio della struttura formale può riservare alcune
sorprese. Si sa che in essa il ternario si trova spesso in combinazione
con l'undenario: "La terzina, allora, calata in una divina 'cantilena' di
tre cantiche di trentatre canti (cifra che si riproduce in seno alla stessa
terzina, quasi mise en abîme, nelle trentatre sillabe canoniche che
formano i tre endecasillabi), potrà surrogare tutti i numeri. E dirsi,
grazie alla sua istituzionale incompletezza, "figura metrica
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dell'infinito."

Sono azzardate queste ipotesi, le poche che ho potuto riportare in questa


sede, ο hanno invece qualche grado di plausibilità? Sarebbero azzardate
se Gorni avesse imposto ai testi danteschi mod di pensare estranei al
tempo che li partorì, nel quale, invece, ritroviamo spesso procedimenti
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simili, che oggi liquidiamo sbrigativamente come "artificiosi," per cui
si può concludere quest'analisi, riconoscendo la fecondità dell'approccio
di Gorni, in quanto capace di sondare aspetti misteriosi dell'opera
dantesca, autentica summa del sapere e della sensibilità di un intero
mondo culturale.

FERNANDO DI MIERI

Università di Salerno

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NOTE

1
G. Gorni, Lettera Nome Numero (Bologna: il Mulino, 1990), p. 77.
2
S. Bernardo, in uno scritto esegetico, aveva affermato a chiare lettere: "Io [...]
trovo che tutto ha un senso." Vedi San Bernardo di Chiaravalle, Del dovere di
amare Dio e Sermoni sul Cantico dei Cantici (Torino: UTET, 1947), p. 187.
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Non è una caso, come lo stesso Gorni non manca di dire, che "nove" sono i
saggi che formano il libro, quattro dei quali già apparsi in altre occasioni. Essi
vertono su diversi argomenti, dal nome e dal numero di Beatrice alle "ali" di
Ulisse, quali emblema dantesco, ed alla "nuova legge" del Purgatorio.
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Lo stesso Dante lascia aperto uno spiraglio almeno ad interpretazioni diverse
e complementari con le sue. Vedi, ad es., Vita Nuova, XXIX.
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È il caso, ad esempio, del binario, numero della divisione, che, con diverse
motivazioni, si può connettere alla carità cristiana ed agli angeli: "Quia iste
numerus linearis est, nec in altitudinem erigitur nec in latitudine dilatatur,
significat a Deo divisos per peccatum qui solius fidei tenentes longitudinem in
mente nec spe elevantur nec caritate dilatantur. Hic etiam numerus pro caritate
genuina laudatur. Hic enim est qui primus in unum multa colligit. Hic etiam ita
linearis est ut a rectitudine in angularum anfractum declinare non possit. Hic
enim est qui omni principio immediate assistit. Hic est qui sive in se ductu
primam quadraturam vel solidam structuram gignit, propter quam caritati
conguit" (J. Peckham, De Numeris Misticis, XVI, 30-8). Per il riferimento del
binario agli angeli: "Triplicem ob causam binarium angelis assignavi, ob ortum,
locum, iuncturam. Ortus consideratur in prima progressione, locus in vicinitate,
iunctura in iungibilitate" (Odon de Morimond, Analectica numerorum et rerum
in theographyam, prol. XVIII). Dante ricorre anche ad un'interpretazione
scientifica: "Ché per lo due s'intende lo movimento locale, lo quale è da uno
punto ad un altro di necessitade" (Convivio, II, 14). Gorni nota non senza
ragione la stretta connessione che si stabilisce in Dante tra il movimento e
l'Amore (cfr., pp. 62-3).
Ancora, Dante era ben consapevole di quella legge dell'analogia inversa,
se è vero che di frequente numeri normalmente ritenuti sacri sono collegati a
realtà infernali.
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Ugo di San Vittore, De Script., XIV, PL 175, 23.
7
Convivio, II, I.
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A p. 42 Gorni parla di "esoterismo dantesco," ma va da sé che l'espressione
deve essere intesa nel suo valore più generale, evidentemente connesso alla
pluralità dei sensi scritturali.
9
Nel mondo antico il numero non è generalmente esente da un riferimento
ontologico. Il riferimento biblico più citato è Sapienza. Boezio scriverà
nell'inno Ο qui perpetua mundum ratione gubernas: "Tu numeris elementa

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ligas, ut frigora flammia arida conveniant liquidis, ne purior ignis/ evolet aut
mersas deducant pondera terras" (Cons. Phil, IIΙ, IX, 10-12). E Sant'Agostino:
"Coelum et terram et mare [...] formas habent, quia numeros habent" (De
libero arbitrio, II, 42). L'interesse per la numerologia fu sempre vivo nel
Medioevo, che produsse testi molto pregevoli. Tra questi ricordo almeno il
Liber Numerorum, la cui tradizionale attribuzione a Sant'Isidore è stata ormai
messa in dubbio. Può interessare il fatto che una particolare concentrazione di
testi sulla mistica dei numeri si rinviene in un ambito spirituale, quello
cistercense, cui Dante era particolarmente vicino: "L'interêt porté à la
symbolique des nombres au ΧΙΓ siècle, s'est particulièrement concentré dans
cette région de l'Est de la France, haut lieu de l'inspiration cistercienne, où
brillent les noms de CITEAUX, CLAIRVAUX, AUBERIVE (qui dépend du
diocèse de LANGRES), MORIMOND, HAUTECOMBE et bien d'autres" (H.
Lange, "Note biographique," in Cahiers de l'Institut du Moyen-Âge Grec et
Latin, Copenhagen, 1978, 29, p. XVI).
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Vita Nuova, XXIX, 3.
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G. Gorni, op. cit., p. 4 1 .
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"La perfection du nombre 3 est transférée 'par engendrement' à 6 et à 9" (H.
Lange, "Les donées mathématiques des traités du XIIe siècle sur la symbolique
des nombres," in Cahiers de l'Institut du Moyen-Age Grec et Latin,
Copenhagen, 1979, 32, p. 33.).
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La simbologia dei numeri, nota opportunamente Gorni, svolge anche una
funzione particolare nella vita personale di Dante, che fu sempre intesa in un
contesto trasfigurativo. Nel libro di Daniele (12, ii-12) si trovano due numeri
fondamentalissimi: 1290 e 1335, "il primo anno della morte di Beatrice," il
secondo sarebbe stato l'anno della morte del Poeta, se fosse giunto a quei
settant'anni, di cui ognuno serba notizia (Cfr. Convivio, IV, 23-4).
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A questo proposito vedrei le cose in maniera leggermente diversa da Gorni.
Ebbene, nella simbologia antica l'undici è solitamente intepretato come numero
della trasgressione (naturalmente, anche del Carnevale): "Undenarius [...]
numerus est transgressionis et significat peccatum, secundum Augustinum De
Civitate Dei XV" (J. Peckham, De numeris misticis, XXIV, 1-2). Supera lo
statico danario (in campo morale numero dei Comandamenti, in senso più
generale numero della totalità conchiusa) e, quindi, si presta per simboleggiare,
come endecasillabo, il cammino, il viaggio, superamento della denaria staticità.
L'undenario trova la sua organizzazione entro cornici di progressiva definizione,
il ternario (come terzina) e, per finire, il cento (numero complessivo dei canti).
Infatti, il tre è il primo vero numero, poiché ha un principio, una metà e una
fine (I-IT). Esprime, dunque, una prima completezza. Saranno i numeri
terminali (dieci, cento, mille) ad esprimere quella che ho già detto la totalità
conchiusa, entro la quale ogni cosa trova la sua armonica collocazione.
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Ne è un esempio il passo seguente: "In Apocalypsi dicitur de numero nominis
Antichristi: Numerus est sexcenti sexaginta sex. Nomen autem Antichristi latinis

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litteris scriptum est DICLUS, cuius nominis littere representant sexcentos
sexaginta sex. In quo numero per senarium coniugati, ex quibus et in quibus est
humani generis propagatio, per sexagenarium continentes, per centenarium
virgines significantur. Dicent enim Antichristi discipuli neminem posse salvari
nisi Antichristo fructum sextum, sexagesimum, centesimum obtulerit. Erat autem
pondus auri quod offerebatur et afferebatur per singulos annos Salomoni, sex
centorum sexaginta sex talentorum. Quod igitur munus exsol vitur et debetur vro
regum iure, hoc ille seductor maximus presumet exigere. Et desunt numero
nominis Antichristi usque ad numerum legionis sex milia" (Thibault de Langres,
"De quator modis quibus significationes numerorum aperiuntur," in Cahiers de
l'Institut du Moyen-Age Grec et Latin, Copenhagen, 1978, 29, p. 71.)·

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