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RIVISTA SEMESTRALE DI CULTURA 60/61
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DIRETTORE E FONDATORE
Rocco Mario Morano
(University of Toronto Mississauga)
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Rigual (Universitat de València, Spagna); Carmine Chiodo (Università di Roma “Tor Vergata”); Rober-
to Deidier (Università di Enna “Kore”); Annateresa Fabris (Universidade de São Paulo, Brasile),
Mariarosaria Fabris (Universidade de São Paulo, Brasile); Erika Kanduth (Universität Wien, Austria);
Thomas Klinkert (Universität Zürich, Svizzera); Edoardo A. Lebano (Indiana University Bloomington,
Indiana, Stati Uniti); Michael Lettieri (University of Toronto Mississauga, Canada); François Livi
(Université Paris-Sorbonne, Francia), Davide Luglio (Université Paris-Sorbonne, Francia), Florian
Mehltretter (Ludwig Maximilians Universität München, Germania); Rocco Mario Morano (coordina-
tore); Maria de las Nieves Muñiz Muñiz (Universitat de Barcelona, Spagna); Patricia Peterle (Univer-
sidade Federal de Santa Catarina, Brasile); Fabio Pierangeli (Università di Roma “Tor Vergata”); Ri-
naldo Rinaldi (Università di Parma); Michael Rössner (Ludwig Maximilians Universität München,
Germania); Andrea Santurbano (Universidade Federal de Santa Catarina, Brasile); Paola Villani (Uni-
versità Suor Orsola Benincasa-Napoli); Lucia Wataghin (Universidade de São Paulo, Brasile); Olga
Zorzi Pugliese (University of Toronto, Canada)
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Autorizzazione del Tribunale di Cosenza n. 498 del 29-10-1990.
SOMMARIO
STUDI DANTESCHI
ALESSANDRO RAFFI, Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis
tra fisica, metafisica e teologia 44
ANTONIO CARRANNANTE, Implicazioni dantesche (Inferno XIII) 66
I GENERI E LE FORME
SARA PASQUET, «Quanto più inganno, tanto più diletto».
Il genere dell’indovinello nella letteratura del Seicento 121
MANZONI E DINTORNI
GUGLIELMO BARUCCI, Tra brigata e biblioteca. Don Ferrante
e la confutazione della peste tra Fermo e Lucia e Promessi Sposi 161
MARINO BOAGLIO, Osti e osterie nei Promessi Sposi 178
SANDRA CARAPEZZA, «Da non coprirsi, da non rifarsi».
Vittorio Imbriani su Alessandro Manzoni 194
LETTERATURA E ARTI VISIVE
MARIAROSARIA FABRIS, La favolosa incursione di Dino Buzzati
nella letteratura infantile 228
ANNATERESA FABRIS, L’ombra di Victorine: sul romanzo Obscura
di Régis Descott 244
LETTERATURE COMPARATE
CHIARA ITALIANO, Pargolette mani: Tasso, Spencer e i loro fanciulli 395
ROSA RONZITTI, L’uomo che guarda le stelle: fonti classiche del sonetto
Lo stroligo di Giuseppe Gioachino Belli 404
SIMONE TURCO, Riflessioni ‘teorico-pratiche’ su Sergio Solmi traduttore 414
RECENSIONI
a cura di: Enrica Salvaneschi, Carmine Chiodo, Daniele Laudadio,
Flavia Brizio-Skov, Claudio Mariotti, Alfredo Sgroi 429
STUDI DANTESCHI
Alessandro Raffi
Come Dante ricorda in un inciso del libello giovanile, «secondo Tolomeo e se-
condo la cristiana veritade, nove sono li cieli che si muovono» (Vita Nova XXIX 2)
attorno alla terra, considerata il centro dell’unico mondo esistente, secondo quanto
ha sostenuto Aristotele nel De coelo ingaggiando una strenua battaglia contro gli
antichi sostenitori della pluralità dei mondi. Nella rappresentazione medievale del-
l’universo, il nono cielo, denominato Primo Mobile o Cristallino, si configura come
una regione dalle caratteristiche singolari. I primi sette cieli sono costituiti dalle
sfere che recano i corpi dei pianeti, dalla Luna a Saturno. L’ottava sfera è il Firma-
mento, sede delle stelle fisse. Il Primo Mobile presenta invece delle peculiarità le-
gate sia a ragioni di carattere quantitativo, afferenti all’ambito dell’astronomia, sia
a motivi di carattere qualitativo, che interessano da un lato l’astrologia, medieval-
mente intesa come scienza delle «virtù informative» e degli influssi astrali sul mon-
do inferiore, e dall’altro la metafisica, nella sua accezione peripatetica di scienza
delle cause e dei principi primi da cui è governata la natura. Il Primo Mobile è una
sorta di epidermide che incarta l’intero universo, l’ultimo confine del mondo sensi-
bile. Questo cielo non trasporta astri di alcun genere, in quanto la sua funzione con-
siste unicamente nel trasmettere alle sfere sottostanti il movimento di rivoluzione
diurna da oriente a occidente. Si tratta pertanto di un cielo trasparente, la cui esi-
stenza deve essere inferita tramite argomenti di ragione. Ne consegue che il suo
moto diurno si compie con una rapidità ineguagliabile. Nell’universo tolemaico, la
velocità della nona sfera costituisce il limite assoluto, una soglia paragonabile al
ruolo che la velocità della luce assume nella teoria della relatività. Il raptus siderale
del Primo Mobile rappresenta il versante fenomenico dell’ardore con cui i Serafini,
la nona gerarchia angelica preposta al governo di questa sfera, contemplano il volto
di Dio. L’ardore delle intelligenze separate si esprime nel massimo di velocità
astrale, con una mirabile congruenza tra causa intelligibile ed effetto sensibile. Il
Primo Mobile, inoltre, benché ultimo in senso fisico, non lo è dal punto di vista on-
tologico: «oltre la spera che più larga gira» (Vita Nova XLI, 10 1) si staglia
l’Empireo, il caelum caeli incorporeo e immobile in cui secondo «li catolici», av-
verte Dante in Convivio II, III, 8, risiedono angeli e beati, avvolti dalla gloria della
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Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia
Luce eterna1. Occorre altresì ricordare che la centralità della terra non costituisce
motivo di orgoglio nell’immaginario medievale, proprio in virtù del costante legame
tra scienza e dottrina cristiana che Dante sottolinea già nella Vita Nova. Il nostro
mondo è la valle di lacrime afflitta dall’alterno processo di generazione e corruzio-
ne, il luogo infimo di tutto l’universo in un’accezione che è al tempo stesso ontologi-
ca e assiologica. Il nucleo della terra, nadir universale collocato alla massima distan-
za da Dio, è la sentina in cui è confinato il «gran vermo» Lucifero. Ecco allora che il
Primo Mobile, ubicato all’estremo opposto rispetto alla sfera terrestre, risulta essere
la zona più nobile del cosmo, il vestibolo fisico che immette nella trascendenza me-
tafisica dell’Empireo2. Come sempre accade in quella sorta di laboratorio alchemico
che è l’officina dantesca, le suggestioni di carattere scientifico si trasformano in me-
tafore polisemiche, al cui interno i nuclei dottrinali si caricano di funzioni estetiche e
financo narratologiche. Oltre che una regione siderale, il nono cielo è uno spazio in-
teriore, un luogo della mente, una dimensione della coscienza. È lo scenario entro
cui si dispiegano momenti di potente intensità, nella penultima fase dell’itinerarium
in Deum cantato nel Paradiso. La mia ipotesi è che all’origine di questo processo vi
sia la traduzione, in linguaggio «peripatetico», di una classica figura platonica: Dan-
te ha conferito al Primo Mobile le caratteristiche tipiche dell’anima del mondo, in-
tesa come anello di congiunzione tra spirito e materia. Se nel Convivio il modello di
riferimento sembra essere il Timeo di Platone, accessibile attraverso la traduzione e
il commento di Calcidio, ma anche grazie alle dossografie presenti nei testi di Al-
berto Magno, nel Paradiso l’accento si sposta sul Liber de causis, il manuale di
metafisica accreditato nell’Occidente latino come opera di Aristotele, prima che
Tommaso d’Aquino ne dimostrasse la derivazione dalla Elementatio theologica di
Proclo. Al culmine di questo processo di mediazione tra scienza aristotelico-tole-
maica e neoplatonismo, si colloca l’ulteriore identificazione della nona sfera con le
«acque celesti» sopra il Firmamento di Genesi 1,7. Districare gli elementi che com-
pongono questo conglomerato può forse aiutare a comprendere meglio l’intento
concordistico tra fede e ragione che Dante persegue nella Commedia, soprattutto
nella terza cantica.
Nel II libro del Convivio Dante stabilisce un parallelo tra l’ordine delle scienze
medievali e l’ordine dei nove cieli. Saturno è il pianeta a cui corrisponde l’«astro-
1
In questo lavoro faccio riferimento al testo e alle note dell’edizione critica del Convivio curata da
Gianfranco Fioravanti, in Dante, Opere, vol. 2, Milano, Mondadori, 2011.
2
«[…] tutto il mondo creato si definisce secondo punti di riferimento imposti dall’insegnamento
biblico e dalla tradizione esegetica, ove prevale la verticale alto-basso, valore-disvalore, che è propria
di ogni esperienza religiosa del cosmo. Così al “locus coelestis qui est supremus locorum”, sede dei
beati, si contrappone l’Inferno, infimus locorum, entro la terra […]» (T. Gregory, Speculum Naturale.
Percorsi del pensiero medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007, pp. 217- 218).
STUDI DANTESCHI 45
Alessandro Raffi
logia». La scientia stellarum costituisce il culmine del quadrivio che conclude il ci-
clo delle arti liberali, così come Saturno rappresenta il settimo ed ultimo pianeta:
[…] e questa più che alcuna de le sopra dette è nobile e alta per nobile e
alto subietto, ch’è dello movimento del cielo; e alta e nobile per la sua certez-
za, la quale è sanza ogni difetto, sì come quella che da perfettissimo e regola-
tissimo principio viene. E se difetto in lei si crede per alcuno, non è dalla sua
parte, ma, sì come dice Tolomeo, è per la negligenza nostra, e a quella si dee
imputare.
(Convivio II, XIII, 30)
3
Come ha precisato Fioravanti, il tema della «negligentia» degli astronomi, rivela un riferimento
ad un passo del Quadripartitum di Tolomeo (tr. 1, cap. 1, f. 3) letto nel commento di Ali ibn Ridwān:
«probabilmente Dante ha presente il commento di Ali ibn Ridwān, che parla proprio di negligentia:
“Ptolomeus destruit opinionem illorum ...dicens quod error quod accidit aliquibus astrologis non est ex
debilitate artis, sed ex pigritia et negligentia aliquorum qui se intromittunt de ea” (ivi, f. 4 ra)» (Dante,
Opere, cit., p. 325).
4
Per le conoscenze astronomiche di Dante si vedano, innanzi tutto, le voci dell’Enciclopedia Dan-
tesca: «Universo», «Astronomia», «Cieli», «Primo Mobile», «Empireo», «Tolomeo». Benché negletti da
molti studiosi, restano ancora dei validi punti di riferimento, nonostante le date, gli studi di P. Toynbee,
Dante Studies and Researches, London, Methuen & Co., 1902; insieme alle ricerche sull’astronomia
dantesca di E. Moore, Studies in Dante, Oxford, Clarendon Press, 1903, vol. III, pp. 2-56. Per un’utile
rassegna panoramica delle conoscenze scientifiche di Dante si vedano i contributi raccolti in Aa.Vv.,
Dante e la scienza, a cura di P. Boyde e V. Russo, Ravenna, Longo, 1993. Una lettura suggestiva della
cosmologia di Dante, analizzata anche in riferimento alla scienza novecentesca, è offerta dal volume
dell’astrofisico B. Binggeli, Primum Mobile. Dantes Jenseitsreise und die moderne Kosmologie, Zürich,
Amman, 2006; sulle questioni relative alla nona sfera si vedano, il classico P. Boyde, L’uomo nel co-
smo. Filosofia della natura e poesia in Dante, trad. it. Bologna, il Mulino, 1984, pp. 256-282; e lo stu-
dio Dante e Alpetragio, in B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, Firenze, La Nuova Italia, 1967, pp.
139-166. Per quanto concerne l’esegesi dei riferimenti astronomici nel poema, un utile strumento rima-
ne il manuale di G. Buti, R. Bertagni, Commento astronomico della Divina Commedia, Firenze, San-
dron, 1966. Sulla questione dell’intreccio fra metafisica e cosmologia, si vedano C. Moeus, The
46
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia
ge il principio stesso del nuovo ideale scientifico che si è andato diffondendo nel-
l’Occidente latino dopo la traduzione dei Libri naturales di Aristotele, ossia l’idea di
natura intesa come «series causarum» dotata di una propria autonomia ontologica e
di un potere causativo spiegabile in virtù di leggi universali e necessarie. Stretta-
mente collegato a questo nuovo ideale di scienza è anche il principio secondo cui
l’autentica causalità non risiede nella successione orizzontale delle cause univoche,
declassate a un ruolo subordinato, bensì «nell’ordine verticale delle cause equivoche
o universali […] costituito dai cieli e dai loro motori, o intelligenze motrici»5. Sotto
questo profilo, astronomia e astrologia sono legate a doppio filo, dal momento che il
complesso delle congiunzioni astrali calcolabili attraverso i modelli geometrici
dell’Almagesto raramente è disgiunto dallo studio degli effetti che tali congiunzioni
producono nel mondo sublunare. Tolomeo è riconosciuto come Auctoritas non solo
in virtù dell’Almagesto, ma anche quale maestro di astrologia, essendo l’estensore
del Quadripartitum ed essendo considerato autore del Centiloquium6. Senza l’in-
Metaphysics of Dantes’s Comedy, Oxford University Press, 2005; e M. Gallarino, Metafisica e cosmo-
logia in Dante. Il tema della rovina angelica, Bologna, Il Mulino, 2013.
5
«[… ] la filosofia aristotelica, con la causalità universale dei cieli sul mondo sublunare, impone-
va anche la dottrina delle sostanze motrici dei cieli, destinata ad avere ampi sviluppi nell’aristotelismo
arabo, coniugandosi con suggestioni neoplatoniche, soprattutto attraverso il Liber de causis, come indi-
ca esemplarmente la Philosophia prima di Avicenna. Sicché nel cosmo aristotelico, come veniva risco-
perto dall’Occidente latino, i cieli sono cause in quanto strumenti di intelligenze motrici: l’influenza
dei cieli è quindi espressione di soggetti intelligenti che svolgono la loro azione servendosi dei corpi
celesti come l’artefice usa dei suoi attrezzi per realizzare la forma che concepisce» (T. Gregory, Specu-
lum Naturale. Percorsi del pensiero medievale, cit., p. 73). Sull’importante ruolo di Alberto Magno nel
processo di assimilazione dell’astrologia araba attuato con l’intenzione di emendare il residuo determi-
nismo tipico dei trattati tradotti tra il XII e il XIII secolo, cfr. il saggio di B. B. Price, L’astronomia fisi-
ca e l’astrologia di Alberto Magno, in Aa.Vv., Alberto e le Scienze, a cura di J. A. Weishepl, trad. it. Bo-
logna, Edizioni Studio Domenicano, 1994, pp. 190-201.
6
Una distinzione chiara tra «astronomia» e «astrologia» è presente nel prologo al Breviloquium di
Bartolomeo da Parma: «Astronomia est scientia naturalis de astris celi, sive lex et regula, qua homo do-
cetur scire veraciter motum firmamenti; […] Astrologia est scientia […] qua homo veraciter potest co-
gnoscere […] significationem omnium corporum superiorum. […] Astronomus est sciens theoricam
tantum, Astrologus vero theoricam et practicam ispius artis». Traggo la citazione da G. Stabile, Dante e
la filosofia della natura. Percezioni, linguaggi, cosmologie, Firenze, Sismel – Edizioni del Galluzzo,
2007, p. 197. Sui molteplici nessi che legano metafisica, cosmologia, astronomia, e apocalittica nei
trattati della sfera accessibili a Dante, si veda l’importante saggio Bartolomeo da Parma e l’astronomia
di Dante, da cui ho tratto la citazione (Ivi, pp. 195-218). Si veda anche il seguente passo del De fato di
Alberto Magno: «Dicendum, quod duae partes sunt astronomiae, sicut dicit Ptolemaeus: una est de siti-
bus superiorum et quantitatibus eorum et passionibus propriis; et ad hanc per demonstrationem perve-
nitur. Alia est de effectibus astrorum in inferioribus, qui in rebus mutabilibus mutabiliter recipiuntur; et
ideo ad hanc non pervenitur nisi per coniecturam [...]» (De fato, in Alberti Magni Opera omnia, ed. P.
Simon, Monasterii Westfalorum in Aedibus Aschendorff, 1975, tomus XVII, pars I, p. 73, linee 36-42).
Per un approfondimento del rapporto tra astronomia e astrologia in Alberto, utile anche ai fini di una
maggior comprensione dei testi danteschi, cfr. H. Darrel Rutkin, Astrology and Magic, in Aa.Vv., A
Companion to Albert the Great. Theology, Philosophy, and the Sciences, Edited by I. M. Rescnick, Lei-
den-Boston, Brill, 2013, pp. 451-505). Per quanto riguarda la tradizione e la diffusione del Centilo-
quium e del Tetrabilos, si veda il volume di D. N. Hasse, Success and Suppression. Arabic Sciences and
STUDI DANTESCHI 47
Alessandro Raffi
flusso dei corpi celesti governati dalle intelligenze separate verrebbero meno le con-
dizioni essenziali atte a rendere possibile lo sviluppo della flora, della fauna, e di
ogni altra risorsa disponibile in natura.
La concezione dantesca dell’universo fisico si presenta, pertanto, come un con-
glomerato derivante da una pluralità di fonti che possiamo suddividere in tre profili
epistemologici, ciascuno dei quali fa capo ad altrettante auctoritates. In primo luogo
la «cosmologia», che si identifica con lo studio delle dottrine discusse da Aristotele
nei primi due libri del De coelo, accessibile a Dante attraverso i commenti di Alberto
Magno e di Tommaso d’Aquino7. Una volta emendata dalla dottrina dell’eternità del
mondo e assicurata su una base creazionistica, la cosmologia dello Stagirita disegna
un’immagine unitaria dell’universo allo scopo di dimostrarne la perfezione, la fini-
tezza, l’unicità, la sfericità, e la partizione tra la regione sublunare e la regione dei
corpi celesti Se la prospettiva cosmologica ambisce a elaborare un’immagine pano-
ramica, l’analisi quantitativa delle singole parti di cui è costituita la machina mundi
spetta all’astronomia. La settima arte liberale si configura come una cinematica atta
a spiegare le leggi dei corpi celesti, anche attraverso il ricorso a modelli geometrici
adottati come ipotesi strumentali, a prescindere dal fatto che corrispondano a una
reale base fisica. È il caso degli epicicli e del punto equante. In materia di astrono-
mia, la maggior parte delle nozioni tecniche derivano a Dante dal Liber de aggrega-
tionibus scientiae stellarum di Alfragano, nome volgarizzato dello scienziato arabo
al-Farghānī vissuto nella prima metà del IX secolo. Il testo di Alfragano è un’epito-
me dell’Almagesto di Tolomeo, che nelle scuole poteva essere affiancato ai «manua-
li» diffusi sotto il titolo di Tractatus de Sphaera: dal fortunatissimo scritto di Gio-
vanni di Sacrobosco, inserito tra i libri ordinarie legendi presso le facoltà delle arti,
fino ai volumi di Maestro Campano da Novara o di Bartolomeo da Parma8. Un rilie-
Philosophy in the Renaissance, Cambridge (Massachussetts), Harvard University Press, 2016. Benché
l’oggetto tematico di questo lavoro sia l’astrologia rinascimentale, lo studioso offre ampi ed approfon-
diti excursus sull’impatto della scienza greco-araba nell’astronomia e più in generale nella cultura me-
dievale.
7
È legittimo parlare di «cosmologia» dantesca pur tenendo presenti le difficoltà sollevate a tal
proposito da Th. J. Cachey Jr. nel saggio ‘Alcuna cosa di tanto nodo disnodare’: Cosmological Que-
stions between the Convivio and the Commedia, in AaVv., Dante’s Convivio. Or How to Restart a Ca-
reer in Exile, Oxford, Peter Lang, 2018, pp. 55-76. Sul processo di filiazione della cosmologia dantesca
dalle tematiche affrontate nel De caelo, cfr. A Ghisalberti, La cosmologia nel Duecento e Dante, in
«Letture Classensi», vol. 13 (1984), pp. 36 sgg. Sul significato del termine «cosmologia» nella scienza
medievale fino a Dante compreso, si veda G. C. Garfagnini, Cosmologie medievali, Pisa, Edizioni ETS,
2017 2.
8
Sull’intreccio tra astronomia e astrologia nel pensiero arabo medievale, cfr. Y. T. Langermann,
Arabic Cosmology, in «Early Science and Medicine», vol. II, t. 2, 1997, pp. 185-213. Sull’influsso del-
l’astronomia araba in Dante, si veda inoltre S. Gilson, Medieval Science in Dante’s Commedia: Past
Approaches and Future Directions, in «Review of Medieval Science», 2001, II, pp. 40-76. L’influenza
del Tractatus de sphera di Maestro Campano da Novara viene discussa dal Nardi nei suoi Saggi di filo-
sofia dantesca, cit., p. 195. Che la variegata letteratura De sphaera, incluso il manuale di Maestro Cam-
pano, fosse nota a Dante per lo meno fin dall’epoca del Convivio, lo ribadisce Francesco Mazzoni nel
saggio Dante «misuratore di mondi», in Aa.Vv., Dante e la scienza, cit., pp. 50 sgg. A ciò si aggiungano
48
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia
Tolomeo, poi, accorgendosi che l’ottava spera si movea per più movimen-
ti, veggendo lo cerchio suo partire da lo diritto cerchio, che volge tutto da
oriente in occidente, costretto dalli principii di filosofia, che di necessitade
vuole uno primo mobile semplicissimo, puose un altro cielo essere fuori dello
Stellato, lo quale facesse questa revoluzione da oriente in occidente: la quale
dico che si compie quasi in ventiquattro ore […]. Sì che secondo lui, secondo
quello che si tiene in astrologia ed in filosofia poi che quelli movimenti furono
veduti, sono nove li cieli mobili; lo sito delli quali è manifesto e diterminato,
secondo che per un’arte che si chiama perspettiva, e [per] arismetrica e geome-
tria, sensibilemente e ragionevolemente è veduto, e per altre esperienze sensi-
bili: [...]
(Convivio II III, 5-6)
«le grandi compilazioni di tipo enciclopedico come il Tresor, La Composizione del mondo di Restoro
d’Arezzo, e, forse, gli Specula di Vincenzo di Beauvais, un’opera di cui è nota la larga fortuna […]; ma
Dante ricorda pure Albumasar, sulla traccia evidente del commento albertino ai Meteorologica, mentre
i richiami all’Almagesto di Tolomeo dipendono dai commenti al De coelo dello stesso Alberto e forse
di Tommaso d’Aquino» (C. Vasoli, Dante e la scienza dei «peripatetici», in Aa.Vv., Dante e la scienza,
cit., p. 60).
9
Riprendo questa formula da G. Stabile, Dante e la filosofia della natura. Percezioni, linguaggi,
cosmologie, cit., p. 205.
10
R. Kay, L’astrologia di Dante, in Dante e la scienza, cit., pp. 119-132. Come noto, la necessità
di emendare l’astrologia da ogni residuo di determinismo, onde salvaguardare il principio del libero ar-
bitrio, è al centro del discorso di Marco Lombardo nel canto XVI del Purgatorio. Su questo tema, e sui
rapporti tra Dante, Scoto e Bonatti, si veda il saggio Astrologia vera e falsa: Dante vs Guido Bonatti, in
M. Picone, Scritti Danteschi, a cura di A. Lanza, Ravenna, Longo Editore, 2017, pp. 509-514.
STUDI DANTESCHI 49
Alessandro Raffi
[…] lo nono [scilicet: cielo] è quello che non è sensibile se non per questo
movimento che detto è di sopra; lo quale chiamano molti Cristallino, cioè dia-
fano, o vero tutto trasparente. Veramente, fuori di tutti questi, li catolici pongo-
no lo cielo Empireo, che è a dire cielo di fiamma, o vero luminoso; e pongono
esso essere immobile per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua
materia vuole. E questo è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo mo-
vimento; ché per lo ferventissimo appetito ch’è ’n ciascuna parte di questo no-
no cielo, che è immediato a quello, d’essere congiunta con ciascuna parte di
quello divinissimo ciel quieto, in quello si risolve con tanto desiderio, che la
11
È un argomento che ricorre in vari punti del De caelo et mundo di Alberto Magno. Come possi-
bile fonte di ispirazione per il Convivio, vorrei segnalare un passo suggestivo in cui Alberto elabora un
argomento a favore dell’unicità del mondo facendo leva sul rapporto causale tra Dio e il Primo Mobile.
La prossimità tra Colui che è primo in senso metafisico e la sfera più larga, prima in senso cosmologi-
co, assume un retrogusto emanatistico nel momento in cui il Maestro coloniense evoca l’assioma di
Avicenna «ex uno non fit nisi unum»: «Illa enim ratio omnibus melior et fortior est et sola sufficiens ad
hoc quod probatur mundus esse unicus. Nos enim illic scripsimus et probavimus, quod motus circularis
solus vere est unus et uniformis non habens intra se principium et finem, sive sit in hoc mundo nostro si-
ve in alio quocumque mundo. Deinde extraximus ex unitate motus unitatem motoris, quia ab uno non
est nisi unum et quod caelum primum non est nisi unum, sub quo sunt omnes alii caeli inferiores. Caelo
autem primo unico existente et primo motore existente unico non potest esse mundus nisi unus, et non
multi, sicut quidam homines dixerunt. […] (De caelo et mundo, in Alberti Magni Opera omnia, ed. P.
Hossfeld, Monasterii Westfalorum in Aedibus Aschendorff, 1971, tomus V, pars I, pp. 61-62, linee 71-
9). Sotto questo profilo, il Primo Mobile si configura come principium individuationis dell’unico mon-
do esistente e possibile.
50
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia
12
La tesi relativa al primato «architettonico» dell’etica sulle altre scienze sta al centro di una vexata
quaestio iniziata con l’interpretazione di Etienne Gilson, proseguita con le tesi avverse di Bruno Nardi,
e riemersa di recente con le analisi di Ruedi Imbach. Nei suoi studi volti a sottolineare il carattere laico
della filosofia dantesca, Imbach sembra riecheggiare la tesi di Gilson circa il carattere «straordinario»
della posizione dantesca nel Medioevo. Per una discussione approfondita del problema, cfr. I. Sciuto,
Etica e politica nel pensiero di Dante, in «Etica & Politica / Ethics & Politics», (2002), IV, 2, rivista on-
line disponibile al seguente indirizzo internet https://www.openstarts.units.it/handle/10077/5493.
STUDI DANTESCHI 51
Alessandro Raffi
anno quasi, e lo Sole centottanta due die e quattordici ore (dico die, cioè tanto
quanto misurano cotanti die), e Venere e Mercurio quasi come lo Sole, e la Lu-
na per tempo di quattordici die e mezzo starebbe ascosa ad ogni gente. E da
vero non sarebbe quaggiù generazione né vita d’animale o di pianta; notte non
sarebbe né die, né settimana, né mese né anno, ma tutto l’universo sarebbe di-
sordinato, e lo movimento delli altri sarebbe indarno13.
(Convivio II, XIV, 15-17)
Mutuando i termini usati da Carlo Martello ai versi 106-108 nell’VIII canto del
Paradiso, potremmo dire che questo brano ci offre la rassegna dettagliata delle «rui-
ne» a cui si andrebbe incontro qualora il mondo non fosse stato predisposto ad arte
dalla sapienza del sommo Opifex14. Lo sguardo che si offre al lettore procede dall’al-
to verso il basso in una sorta di mise en abîme: dalla sfera delle stelle fisse alla Lu-
na15. L’impossibilità di scorgere pianeti e stelle per gli intervalli di tempo dettagliata-
mente descritti da Dante, si tradurrebbe in un immane spreco di energia astrale. Il Pri-
mo Mobile assicura che anche la più piccola porzione di «virtù informativa» presente
in ciascuna delle cause seconde assicuri i suoi benefici effetti sul mondo della mate-
ria. Al complesso di tali perturbazioni si aggiunga il fatto che senza l’intervento prov-
videnziale della nona sfera risulterebbe impossibile scandire il tempo in settimane,
mesi e anni. Il calendario è una funzione del movimento dei corpi celesti, gli «organa
temporis», nel lessico medievale: ma i corpi celesti assolvono a tale funzione solo in
virtù del movimento regolatore del Primo Mobile. La disamina delle nefaste pertur-
13
Al ruolo dei cieli come concause della generazione sostanziale, Dante aveva già accennato in
Convivio II, XIII, 5-6.
14
Sulla dialettica tra «arti» e «ruine», nella dissertazione di Carlo Martello, cfr. C. Cahill, The limi-
tations of Difference in Paradiso XIII two Arts: Reason and Poetry, in «Dante Studies», XIV (1996), pp.
245-269. Mi permetto di rinviare a un mio contributo dove discuto il problema della contraddizione rav-
visabile tra l’ottimismo metafisico del principe angioino, in Paradiso VIII, e la successiva correzione di
tiro che Dante mette in bocca a Tommaso d’Aquino, allorché la natura viene rappresentata come un arti-
sta «ch’ha l’abito de l’arte e man che trema» (Paradiso XIII, v. 78). Carlo Martello descrive il sistema
delle sfere celesti come una macchina perfetta che produce sempre e comunque effetti benefici sul mon-
do inferiore, Tommaso dichiara che nella maggior parte dei casi i cieli non riescono ad operare senza
produrre effetti collaterali negativi, se non veri e propri danni (Cfr. A. Raffi, La bottega del cosmo: arte
divina e Natura universale in Dante, in «Campi Immaginabili», Fascicoli I/II (2018), pp. 41-64).
15
L’ottava sfera si muove da occidente a oriente di un grado ogni secolo. Ipotizziamo che un os-
servatore collocato in una qualunque contrada della terra possa osservare l’emisfero celeste sopra la
sua testa per un arco di 180 gradi, senza impedimenti di sorta. Nei 6500 anni trascorsi dalla creazione
del mondo fino al 1300, l’ottava sfera avrebbe descritto un arco di 65 gradi. Sommiamo 180 a 65: il ri-
sultato è che dall’inizio dei tempi fino all’anno in cui Dante afferma di scrivere il Convivio, la parte di
cielo stellato osservata nell’emisfero abitato sarebbe pari a 245 gradi. Sottraendo 245 a 360 gradi, ossia
il totale della sfera, questo significa che una porzione del firmamento pari a un arco di 115 gradi, un ter-
zo del totale circa, sarebbe ancora ignota al genere umano. Pertanto, qualora venisse meno il moto di
rotazione diurna impresso dal primo mobile, dovremmo aspettare l’anno del Signore 1415 per conosce-
re tutte le costellazioni esistenti. I calcoli di Dante, come ha appurato il Toynbee, sono desunti da un ca-
pitolo del Liber de aggregationibus stellarum di Alfraganus intitolato De orbis planetarum (cfr. P.
Toynbee, Dante Studies and Researches, cit., p. 71).
52
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia
16
Per un’analisi delle diverse interpretazioni dell’anima mundi anteriori all’ingresso della scienza
STUDI DANTESCHI 53
Alessandro Raffi
Dal Convivio alla Commedia: il Primo Mobile come «radice» del tempo
L’ultimo tratto dell’ascesa all’Empireo che Dante pellegrino compie sotto la gui-
da di Beatrice è costituito dal passaggio attraverso il Primo Mobile, narrato nella se-
zione che si estende dal verso 97 del canto XXVII del Paradiso fino alla conclusione
del XXIX. Dopo aver delineato le caratteristiche di questa estrema regione dei cieli,
tirando le fila degli «umbriferi prefazi» disseminati nei canti precedenti, Beatrice svi-
luppa due ampie dissertazioni. Nel XXVIII, viene illustrato l’ordinamento delle ge-
rarchie angeliche. In risposta a un dubbio del pellegrino, la guida spiega perché
l’ordine sensibile dei nove cieli appaia specularmente rovesciato rispetto all’ordine
sovrasensibile delle rispettive intelligenze motrici, in modo tale che l’«essemplo» e
l’«essemplare» non vanno all’unisono. Qui Dante effettua una delle sue più celebri
palinodie, accreditando la gerarchia stabilita da Dionigi pseudo-Areopagita nel De
coelesti hierarchia contro la dottrina esposta da Gregorio Magno nei Moralia in Job,
che era stata avvalorata nel Convivio. Nel canto XXIX, Beatrice illustra invece il
«triforme effetto» della creazione in principio come evento scaturito dall’infinito
amore di Dio. La sequenza delle due dissertazioni sembra promuovere l’unione con-
cordistica tra l’ideale aristotelico di scientia, accolto dalla scuola domenicana ed ele-
vato alla dignità di Summa con Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, e l’ideale ago-
stiniano di sapientia celebrato dalla scuola francescana soprattutto con Bonaventura
da Bagnoregio: il canto XXVIII riconduce la cosmologia alla metafisica intesa come
«teologia razionale», celebrando la struttura dell’ordine cosmico quale riflesso del
Logos. Il XXIX canto, attua la riduzione della cosmologia e della metafisica alla teo-
logia, intesa stavolta come ermeneutica del testo sacro. Tommaso e Bonaventura, ma-
gnificati nel X canto, si riconciliano anche nel Primo Mobile. E se è vero che
l’itinerario del pellegrino profila un passaggio da una forma di conoscenza dianoetica
e argomentativa, tipica della ratio dialettica, a una forma di conoscenza noetico-intui-
tiva, non è un caso che proprio nella nona sfera, vestibolo dell’Empireo, Dante possa
contemplare un primo adombramento di Dio attraverso la visione del «punto» da cui
«depende il cielo e tutta la natura» (Paradiso XXVIII, vv. 41-42)17. La sfera che più
aristotelica, si veda il saggio di I. Caiazzo, La discussione sull’anima mundi nel secolo XII, in «Studi
Filosofici», XVI (1993), pp. 27-62. A pagina 34, nel discutere i contributi di Guglielmo di Conches e
Teodorico di Chartres, finalizzati ad accordare la narrazione platonica con il racconto biblico dei sei
giorni della creazione, la studiosa puntualizza il tratto caratteristico del lavoro di assimilazione realiz-
zato dai principali esponenti della Scuola di Chartres: «sia i pagani che i fedeli hanno compreso che nel
mondo opera un principio ordinatore che è la “virtus creatoris operatrix” di cui si parla in Genesi 1, 2.
Questa “virtus” è stata poi designata in modo differente dai profeti, dai filosofi e dai cristiani: Ermete
Trismegisto la chiama “spiritus”, Platone “anima mundi”, Virgilio “spiritus” […] ed infine i cristiani la
chiamano “spiritus sanctus”. Tutte le testimonianze dunque convergono nel dimostrare che nell’univer-
so c’è un principio di vita e di ordine […], a cui viene assegnata una funzione essenzialmente cosmolo-
gica». Come noto, il tentativo di identificare l’anima mundi con lo Spirito Santo fu condannato nel
Concilio di Sens del 1141.
17
Che il «punto» non si identifichi con Dio, lo ha chiarito in maniera definitiva Enrico Malato:
«quel punto non è veramente – al contrario di quanto si legge comunemente nei commenti – Dio, di cui
54
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia
Dante avrà la visione illuminante soltanto alla fine del suo viaggio, nell’empireo, grazie all’intercessio-
ne di Maria, impetrata da San Bernardo […]. Quel punto è invece, per così dire, l’emblema, grecamen-
te il typos (= ‘impronta’), auerbachianamente la “figura” di Dio, la prima intuizione che il pellegrino
possa averne nella sua essenza di “luce etterna che sola in te sidi, / sola t’intendi, e da te intelletta / e in-
tendente te ami e arridi” (vv. 124-26)» (E. Malato, La visione del «vero in che si queta ogne intelletto».
Lettura del canto XXVIII del Paradiso, in «Rivista di Studi Danteschi», anno III, fasc. I (2003), p. 60.
18
Per le citazioni dalla Commedia seguo la versione approvata da Anna Maria Chiavacci Leonardi
(Dante Alighieri, Commedia, con il commento di A. M. Chiavacci Leonardi, tre voll., Milano, A. Mon-
dadori Editore, 1997)
STUDI DANTESCHI 55
Alessandro Raffi
Il Primo Mobile è inizio e «meta» del mondo sensibile, principio del movimento
e misura del tempo. Sotto il profilo fisico, questo cielo è il luogo, aristotelicamente
inteso, al cui interno prende forma la «natura del mondo». Sotto l’aspetto metafisi-
co, questo cielo non è incluso all’interno di alcun «luogo» ulteriore, ma solo nel re-
cinto della «mente divina»19. Essendo l’elemento di cerniera tra dimensione intelli-
gibile e mondo sensibile, il Primo Mobile assicura la continuità tra i supremi gradi
dell’essere, in conformità a una tipica istanza neoplatonica nei confronti della quale
Dante è sensibile fin dai tempi del Convivio. La nobiltà del Primo Mobile si misura
dalla sua prossimità a Dio. La Mente infinita che «sé compiutamente intende», come
si legge in Convivio II, III 9, è la stessa che «intende» l’Empireo (v. 114): «un inten-
dere che è un far essere, l’atto dell’eterno creare divino che è un’ontologia intellet-
tuale», glossa Mario Sansone20.
La diafana uniformità del Cristallino, che dal punto di vista narrativo si riflette
nello smarrimento di Dante al momento del suo ingresso, non costituisce soltanto un
dato quantitativo riguardante il grado di rarefazione dell’etere, ma assume anche un
significato qualitativo in rapporto al processo di informazione della materia sublu-
nare attuato dall’intero complesso dei nove cieli. Per chiarire questo aspetto occorre
ricollegarsi alla dissertazione sulle macchie lunari del II canto (vv. 112-148), ai co-
rollari della distinzione tra «creare» e «informare» del VII canto (vv.130-144), e alla
dissertazione «astrologica» di Carlo Martello nel canto VIII (vv. 97-135). Il compito
dei primi otto cieli consiste nell’irradiare nel nostro mondo le proprietà e le differen-
ze specifiche delle piante, degli animali, e dei temperamenti dei singoli esseri uma-
ni, in modo tale da assicurare non soltanto la continuità del processo di generazione
e corruzione degli individui che garantisce la perpetuità delle specie viventi, ma an-
che l’indispensabile differenziazione dei compiti e dei ruoli nell’ambito dell’umana
civitas. A differenza degli otto cieli sottostanti, il Primo Mobile non possiede speci-
fiche «virtù informative», «spezialissime cagioni […] d’ogni forma generale» (Con-
vivio III, VI, 5): si configura come una sfera astrologicamente neutra il cui compito
consiste nell’irradiare l’«esser di tutto suo contento» (Paradiso II, v. 114). In altri
termini, una virtù «universalissima, […] minimeque ad particularitatem contracta»,
come si legge nella pagina del trattato dello pseudo Grossatesta riportata dal Nardi
nel suo commento ad locum. L’assenza di beati che contraddistingue il coelum ange-
lorum della tradizione altomedievale ben si adatta con la natura uniforme del suo in-
flusso, quale gli viene riconosciuta dalla posteriore scientia stellarum. Nel processo
19
All’altezza del canto XXIII il Primo Mobile era stato presentato come «Lo real manto di tutti i
volumi / del mondo, che più ferve e più s’avviva / ne l’alito di Dio e ne’ costumi» (vv. 112-114)
20
Cfr. M. Sansone, Il canto XXVII del Paradiso, in Lectura Dantis Scaligera, Firenze, Le Monnier,
1968, p. 29. Chiosa, con la consueta precisione, Benvenuto: «Unde nota quod secundum ordinem natu-
ralem elementa sunt subdita speris planetarum, et sperae planetarum octavae sperae, et octava nonae;
ita quod totum istud mundanum conceptum est subditum nonae sperae; et ipsa nona spera est subdita
divinae menti, et ab ipsa recepit tantam illam virtutem quam habet in ista inferiora» (Benvenuti De
Rambaldis De Imola, Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, Firenze, G. Barbera, 1887, to-
mus V, p. 399).
56
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia
di derivazione del molteplice dall’uno che si scandisce lungo la catena dei nove cieli,
l’«essere intero» inglobato dal Cristallino si colloca sullo stesso piano di quelle pro-
prietà generali dell’essere che gli scolastici includono nel novero dei «trascendentali».
La trama fisica del cosmo è strutturata ad immagine delle categorie studiate in logica
formale, in un processo dall’universale al particolare che fonde i teoremi del Liber de
causis con i canoni dell’Organon aristotelico: quanto più una causa è universale e in-
determinata tanto più esteso e potente è il suo influsso. La distinzione cosmologica tra
Primo Mobile, firmamento, e cieli planetari si pone in rapporto di corrispondenza biu-
nivoca con la distinzione fra trascendentali, generi, e differenze. L’eterea uniformità
del Primo Mobile sta all’adiaforia semantica dei trascendentali, come le ultime diffe-
renze specifiche, le più vicine alla corpulenta realtà dei singoli esseri che si dispiegano
nella regio elementorum, stanno alle macchie lunari, espressione di quei «principi for-
mali» destinati ad apporre l’ultimo sigillo al processo di informazione della materia.
Collocato all’estremo opposto della Luna, astro maculato che costituisce il momento
di massima impurità dell’etere, quasi che l’ombra della terra riuscisse a irradiarsi oltre
la regio elementorum, il Cristallino si configura come puro cominciamento21.
All’altezza dei versi 118-120 del canto XXVII, Dante compie una trasfigurazione
di questa idea del cominciamento presentando al lettore l’enigmatica immagine del-
l’albero cosmico che ha le radici in alto e le fronde rivolte verso il basso a lambire le
sfere inferiori. Già i primi commentatori della Commedia hanno collegato questa im-
magine alla definizione del tempo come «numero del movimento secondo un prima e
un poi», presente in un passo della Physica di Aristotele che Dante ha menzionato nel
IV libro del Convivio22. Assai più problematico risulta stabilire quale fonte abbia sug-
21
Il riferimento al testo dello pseudo Grossatesta è riportato da B. Nardi, in Saggi di filosofia dan-
tesca, cit., p. 23. Sulla natura dell’influsso causale del Cristallino, in analogia alle strutture formali del-
la logica aristotelica, si legga la sintesi di Giorgio Stabile: «L’essere del cielo cristallino, suddiviso in
essenze e differenze specifiche dal cielo stellato, viene ulteriormente definito, a costituire un individuo,
attraverso le distinzioni accidentali e sostanziali infuse nel seme dai cieli planetari. Gli organi del mon-
do lavorano, così, come la catena proposizionale di un sillogismo: alle definizioni ricevute di su, ag-
giungono i termini medi che, operando di sotto, determinano infine le conclusioni» (G. Stabile, Dante e
la filosofia della natura. Percezioni, linguaggi, cosmologie, cit., p. 120). Il riferimento, ovviamente, va
ai versi 121-123 del canto II del Paradiso: «Questi organi del mondo così vanno, / come tu vedi omai,
di grado in grado, / che di su prendono e di sotto fanno».
22
Sul significato di «testo» e sul rimando al IV libro della Physica si veda la nota di Robert Hol-
lander: «la Sfera Cristallina controlla i rapporti temporali tra tutte le parti del resto dell’universo. Dante
usa il termine ‘testo’ (nel senso di ‘vaso’), un hapax in quest’accezione (ma si vedano Inf. XV.89 e
Purg. VI.29 per il significato di ‘scritto’) per raffigurare la nona (invisibile) sfera che contiene tutto il
tempo, il quale affonda a sua volta le proprie radici qui mostrando le foglie, estese verso il basso, nelle
zone visibili del cosmo, cioè nelle altre sfere (stelle e pianeti). La ragione di questa ‘somiglianza’ tra il
Primo Mobile e un vaso da fiori sembra consistere nel fatto che le ‘radici del tempo’ ci sono nascoste
tanto quanto le radici di una pianta in un vaso. L’autore delle glosse del Codice Cassinese (comm. v.
115) è stato forse il primo a indicare la fonte di questo passo nella Fisica di Aristotele (IV.X-XIII); Torra-
ca (comm. vv. 118-120) sembra essere stato il primo commentatore a rilevare che Dante aveva già cita-
to quel luogo aristotelico in Convivio IV, II, 6» (La Commedia di Dante Alighieri, Paradiso, con il com-
mento di R. Hollander, Firenze, Olschki, 2011, pp. 297-298).
STUDI DANTESCHI 57
Alessandro Raffi
23
Timeo 90 d.
24
Sulle analogie tra l’albero dantesco di Paradiso XXVIII e l’Ašvattha, l’albero cosmico della tra-
dizione indiana, si veda l’interessante contributo di R. Ronzitti, Su alcune congruenze fra il prologo
della Divina Commedia e il libro XI del Mahābhārata: problemi e ipotesi, in «Campi Immaginabili»,
Fascicoli I/II (2018), pp. 29-30. Per la possibile matrice islamica, cfr. M. Asin Palacios, Dante e
l’Islam, trad. it., Parma, Pratiche, 1994, pp. 209-224. Sul rapporto con la mistica di Ibn-Arabi cfr. E.
Cerulli, Il «Libro della Scala» e la questione delle fonti arabo-spagnole della «Divina Commedia», Bi-
blioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1949, pp. 539-543. In riferimento all’immagine del-
l’albero capovolto nella Kabbalah si legga la seguente nota di Gershom Scholem: «Nella loro totalità le
Sefirot formano “l’albero della emanazione”, o “l’albero delle Sefirot”, che a partire dal XIV secolo è
raffigurato da un diagramma dettagliato elencante i simboli fondamentali appropriati a ogni Sefirah.
L’albero cosmico cresce verso il basso dalla radice, la prima Sefirah, e si estende attraverso le Sefirot
58
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia
il movimento alle sfere inferiori determina la misura universale del tempo, le sue ra-
mificazioni rinviano agli ingranaggi secondari dell’orologio astrale, con particolare
riferimento ai due «figli di Latona», Luna e Sole, responsabili rispettivamente del
computo mensile e del computo annuale.
Stabilire collegamenti sicuri tra Dante e le sue presunte fonti risulta assai proble-
matico, con il rischio di condurre le ricerche nelle secche dell’opinabile. Punti di ri-
ferimento più sicuri si possono ricavare, invece, dal confronto tra i dati intratestuali.
Vi sono passi della Commedia in cui l’immagine dell’albero capovolto viene antici-
pata, in forme più o meno esplicitamente riferite alla dimensione cosmologica. A tal
proposito, direi di escludere l’albero di Purgatorio XXII, nonostante l’opinione av-
versa di molti commentatori antichi fino al Vellutello compreso. In quel contesto, in-
fatti, Dante descrive uno strumento di punizione dei golosi. L’unico rovesciamento
rispetto al mondo terreno consiste nel fatto che i rami di questo «abete» carico di
«pomi» si restringono dall’alto verso il basso in modo tale da impedire a chiunque di
salirvi per raccoglierne i frutti. Non vi è alcun riferimento alle radici in cielo, come è
stato a più riprese sottolineato25. L’anticipazione della metafora cosmologica si tro-
va nelle parole proferite da Cacciaguida in Paradiso XVIII vv. 28-30, poco prima di
presentare i beati che compaiono nel cielo di Marte:
Marte viene definito la quinta «soglia», il quinto ordine di rami dell’albero che
ricava il suo nutrimento dalla «cima», ossia dal Primo Mobile. Il verso 30 aggiunge
un dettaglio rilevante: questo albero produce frutti in continuazione, è un sempre-
verde, non conosce il declinare dell’autunno. È soggetto a un processo di generazio-
ne permanente senza il corrispettivo della corruzione, in una forma che esalta ulte-
che costituiscono il tronco fino a quelle che formano i rami principali o la chioma» (G. Scholem, La
Cabala, Edizioni Mediterranee, Roma, 1992, p. 112). Ancora fino al XVI secolo, in alcuni Maestri del-
la Kabbalah «ci imbattiamo nella sovrapposizione di due alberi celesti, di cui uno indirizza i propri ra-
mi verso il basso e uno verso l’alto. Secondo Cordovero […] dalla radice dell’albero (che egli situa nel-
la sefirah binah) procede la luce diritta, mentre dall’estremità inferiore (malkut) del sistema sefirotico
vi è la radice della luce che ritorna» (G. Busi, Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudai-
smo dal III al XVIII secolo, Torino, Einaudi, 1995, Introduzione, p. LVIII). A tal proposito si veda
l’ampia ricerca di S. Debenedetti Stow, Dante e la mistica ebraica, Firenze, Giuntina, 2004, con parti-
colare riferimento alle pp. 108-116. Sulla natura prettamente astrologica del tempo a cui fa riferimento
il simbolismo dantesco, cfr. E. Maraldi, Le stelle di Beatrice. Astrologia e astronomia nella Vita Nova,
tesi di dottorato 2015, Alma Mater Studiorum, Bologna, pp. 89-105.
25
I versi in questione suonano: «ma tosto ruppe le dolci ragioni / un alber che trovammo in mezza
strada / … / e come abete in alto si digrada / di ramo in ramo così quello in giuso / cred’io perché perso-
na su non vada». Sugli alberi danteschi, e sulle molteplici interpretazioni del passo, cfr. L. Pertile, La
pianta, in La puttana e il gigante. Dal Cantico dei cantici al Paradiso terrestre di Dante, Ravenna,
Longo, 1998, pp. 163-196.
STUDI DANTESCHI 59
Alessandro Raffi
Omne esse superius aut est superius aeternitatem et ante ipsam, aut est
cum aeternitate, aut est post aeternitatem et supra tempus. Esse vero quod est
ante aeternitatem esta causa prima […] Esse vero quod est post aeternitatem et
supra tempus est anima, quoniam est in horizonte aeternitatis inferius et supra
tempus. […] Et anima annexa est cum aeternitate inferius, quoniam est su-
sceptibilior impressionis quam intelligentia, et est supra tempus, quoniam est
causa temporis27.
26
M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, trad. it. Milano, Bollati Boringhieri, 1976, pp. 280-
287.
27
Cito il testo del Liber de causis, nella versione riprodotta all’interno dell’edizione coloniense
60
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia
L’essere che precede l’eternità è Dio, Causa prima. L’essere che è con l’eternità
è l’Intelletto, in cui risiedono i modelli eterni di ogni realtà creata, mentre l’essere
che è al di sotto dell’eternità, ma al di sopra del tempo, è l’anima del mondo. È la
stessa parafrasi di Alberto Magno a suggerire l’identificazione tra l’anima del mon-
do, in quanto «causa temporis», e il Primo Mobile. Il Doctor Universalis glossa il
passo sopra citato nel modo seguente: «[… scilicet: Anima mundi] Supra tempus,
autem est, quia causa temporis est per motum primum, cuius ipsa propria et substan-
tialis causa est»28. Dante ha ben presente la seconda proposizione del Liber de cau-
sis, che viene citata anche in un passo della Monarchia: ma in questo caso, l’ente
collocato tra eternità e tempo non si identifica con il terzo livello ipostatico della
metafisica neoplatonica, bensì con l’anima dell’uomo «in horizonte aeternitatis»,
sulla scia dell’interpretazione promossa dalla parafrasi albertina del testo pseudo-
aristotelico e dal successivo commento di Tommaso d’Aquino29. Sotto questo profi-
lo, nel pensiero dantesco emerge una precisa corrispondenza tra antropologia e co-
smologia, tra concezione dell’uomo come microcosmo e totalità della natura come
macrocosmo: se nella Monarchia è l’uomo a configurarsi come creatura collocata al
confine tra eternità e tempo, e dunque come elemento di continuità tra l’angelo, pura
intelligenza spirituale, e l’animale bruto completamente immerso nel mondo delle
materia, nella prospettiva cosmologica del Paradiso è il Primo Mobile a costituire
l’elemento di frontiera tra eternità e tempo, ossia tra Empireo e Firmamento. In
quanto radice del tempo, questo cielo è la base dell’albero astrale che si protende
verso il mondo inferiore, mentre come puro cristallo indifferenziato partecipa della
natura spirituale dell’Empireo nel modo più eminente, compatibilmente con la cor-
poreità degli enti fisici. Sotto questo profilo, il Primo Mobile costituisce la «media
proporzionale» tra l’Uno e il Molteplice, riprendendo una felice formula del Nardi:
media proporzionale tra l’immobile trascendenza dell’Empireo e «la sfera delle stel-
le fisse, animata da più movimenti e differenziata nelle sue diverse parti»30.
della parafrasi albertina (cfr. De causis et processu universitatis a prima causa, in Alberti Magni Opera
omnia, ed. W. Fauser SJ, Monasterii Westfalorum in Aedibus Aschendorff, tomus XVII, pars. II, 1993,
p. 73).
28
Ibidem, linee 24-26. Sulle variazioni a cui i medievali sottoporranno il modello tripartito del Li-
ber si legga la seguente sintesi di Pasquale Porro: «Questa tripartizione si incontra innumerevoli volte
negli autori medievali, sia pur con qualche sostanziale correzione: l’eternità cessa di costituire un’ipo-
stasi a sé per essere identificata con Dio; l’intelligenza (angelica) viene “parificata” all’eternità soltanto
per ciò che riguarda l’essere (e sempre in modo partecipato), [..] l’anima che è al confine tra eternità e
tempo diventa infine la stessa anima umana, e non più la realtà ipostatica che produce il tempo» (P. Por-
ro, Forme e modelli di durata nel pensiero medievale. L’aevum, il tempo discreto, la categoria «quan-
do», Leuven University Press, 1996, pp. 70-71).
29
«[…] sciendum quod homo solus in entibus tenet medium corruptibilium et incorruptibilium;
propter quod recte a philosophis assimilatur orizonti, qui est medium duorum emisperiorum» (Monar-
chia III, XV, 3). Il primo a declinare in senso antropologico la proposizione 2 del Liber de causis pare
sia stato Alano di Lilla (De fide catholica contra haereticos I, 30).
30
B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, cit., p. 194.
STUDI DANTESCHI 61
Alessandro Raffi
Per l’autore del Convivio, impegnato a dimostrare che il sistema del sapere è an-
corato a una base ontologica, il Primo Mobile costituisce il presidio dell’ordine co-
smico, allo stesso modo per cui l’Etica funge da chiave di volta dell’intero sistema
curriculare. In assenza della nona sfera, la virtus informativa con cui i cieli modella-
no la terra «sarebbe indarno». Ma la natura non fa niente invano. L’Arte del sommo
Opifex ha pianificato ogni cosa secondo un ordine riconoscibile da chiunque sia di-
sposto a seguirne gli indizi disseminati in ogni ambito della realtà fisica. È interes-
sante rilevare che il sintagma «sarebbe indarno» ritorna nella protasi del canto X del
Paradiso, in un contesto concettuale identico, benché segnato da una differenza di
contenuto. Nell’appello al lettore che si sviluppa dall’incipit fino al verso 27, il fon-
damento dell’ordine cosmico che garantisce alla virtù dei cieli una costante efficacia
causale sulle potenze della materia, non è più attribuito al Primo Mobile, bensì alla
provvidenziale inclinazione, poco più di 23 gradi, tra l’equatore celeste e l’arco del-
l’eclittica. Se i due cerchi fossero complanari, o se l’inclinazione fosse anche di po-
co maggiore o minore, «molta vertù del ciel sarebbe indarno / e quasi ogne potenza
qua giù morta» (Paradiso X, vv. 17-18). Come già nel Convivio, anche in questo ca-
so la perfezione dell’universo è strettamente legata al fatto che anche la minima por-
zione di virtù informativa di cui sono dotati i cieli è destinata ad andare a segno nel
mondo inferiore. Ordine gerarchico e piena efficienza delle forze produttive astrali
sono come due facce della stessa medaglia. E nelle parole con cui l’Auctor si rivolge
al lettore, ecco affiorare nuovamente l’immagine dell’albero cosmico: «Vedi come
da indi si dirama / l’oblico cerchio ch’e pianeti porta» (Ivi, vv. 13-14, corsivo mio).
Si dirama: «cioè si diparte come ramo d’albero», chiosa, un esempio fra tanti, Cri-
stoforo Landino31. Solo in virtù dell’inclinazione tra piano dell’eclittica ed equatore
celeste, il Sole può valere come «ministro maggior de la natura» (Ivi, v. 28), fungere
da misura del tempo e sigillare la «mondana cera» (Paradiso I, v. 41). Rispetto alle
dottrine esposte nel Convivio, i canti del Paradiso fanno slittare il ruolo del Primo
Mobile dal piano fisico-cosmologico al piano metafisico-teologico: la funzione or-
dinatrice della nona sfera, esaltata nel trattato in volgare, viene trasferita al movi-
mento del Sole lungo l’eclittica, sulla scia di quanto ha insegnato Aristotele nel De
generatione et corruptione (II, 10)32. Nel Paradiso il Primo Mobile assolve alla fun-
zione di supremo regolatore del calendario in quanto radix temporis, e di vestibolo
dell’Empireo in quanto «miro e angelico templo / che solo amore e luce ha per con-
fine» (Paradiso XXVIII, vv. 53-54). Per l’elevato grado di rarefazione che contrad-
distingue la stoffa eterea di cui è costituito, il Primo Mobile continua a configurarsi
31
C. Landino, Comento sopra la Comedia, a cura di P. Procaccioli, Roma, Salerno Editrice, 2001,
t. IV, p. 1710.
32
Della provvidenziale torsione dell’eclittica rispetto al cerchio dell’equatore, Dante aveva già
parlato in Convivio III, v 13. Su questo tema cfr. P. Boyde, L’uomo nel cosmo. Filosofia della natura e
poesia in Dante, cit., pp. 257-262.
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Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia
STUDI DANTESCHI 63
Alessandro Raffi
33
«Et dixit deus: fit firmamentum in medio aquae et sit dividens inter aquam et aquam. Et sic est
factum. Et fecit Deus firmamentum et divisit inter aquam quae erat sub firmamento et aqua quae erat
supra firmamentum» (Genesi 1, 6-7). Sui commenti di Agostino di Ippona a questo passo biblico, e sul-
la loro storia degli effetti in epoca altomedievale e oltre, si veda il bellissimo volume di E. Moro, Il con-
cetto di materia in Agostino, Roma, Aracne Editrice, 2017.
34
B. Nardi, Nel mondo di Dante, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1944, pp. 307-313. Sui
possibili riferimenti a Ovidio e Virgilio, sottesi ai versi in questione, cfr. la lectura di Piero Boitani, in
Aa.Vv., Lectura Dantis Turicensis, a cura di G. Güntert e M. Picone, Paradiso, Firenze, Franco Cesati
Editore, 2002, p. 445. Nella stessa pagina, l’Autore ricorda opportunamente che il «discorrer di Dio so-
vra quest’acque» può esser messo in relazione con il Liber de causis: «Occorre aggiungere che nel
Convivio (III VII 3) Dante cita il Liber de causis per affermare che “la prima bontade manda le sue bon-
tadi sopra le cose con uno discorrimento”: la parola “discorrimento” sostituisce l’originale “influxio”.
Ancora una volta, Dio discende in tutte le creature per mezzo del “discorrer” […]».
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Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia
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B. Nardi, Nel mondo di Dante, cit., p. 312.
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