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RIVISTA SEMESTRALE DI CULTURA 60/61

€ 50.00
DIRETTORE E FONDATORE
Rocco Mario Morano
(University of Toronto Mississauga)

COMITATO SCIENTIFICO
Giovanni Bárberi Squarotti (Università di Torino); Roberta Barni (Universidade de São Paulo, Brasi-
le); Guglielmo Barucci (Università di Milano); Valter Boggione (Università di Torino); Cesáreo Calvo
Rigual (Universitat de València, Spagna); Carmine Chiodo (Università di Roma “Tor Vergata”); Rober-
to Deidier (Università di Enna “Kore”); Annateresa Fabris (Universidade de São Paulo, Brasile),
Mariarosaria Fabris (Universidade de São Paulo, Brasile); Erika Kanduth (Universität Wien, Austria);
Thomas Klinkert (Universität Zürich, Svizzera); Edoardo A. Lebano (Indiana University Bloomington,
Indiana, Stati Uniti); Michael Lettieri (University of Toronto Mississauga, Canada); François Livi
(Université Paris-Sorbonne, Francia), Davide Luglio (Université Paris-Sorbonne, Francia), Florian
Mehltretter (Ludwig Maximilians Universität München, Germania); Rocco Mario Morano (coordina-
tore); Maria de las Nieves Muñiz Muñiz (Universitat de Barcelona, Spagna); Patricia Peterle (Univer-
sidade Federal de Santa Catarina, Brasile); Fabio Pierangeli (Università di Roma “Tor Vergata”); Ri-
naldo Rinaldi (Università di Parma); Michael Rössner (Ludwig Maximilians Universität München,
Germania); Andrea Santurbano (Universidade Federal de Santa Catarina, Brasile); Paola Villani (Uni-
versità Suor Orsola Benincasa-Napoli); Lucia Wataghin (Universidade de São Paulo, Brasile); Olga
Zorzi Pugliese (University of Toronto, Canada)
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Rocco Mario Morano, Via A. Cassarà, n. 21/49 - 87100 Cosenza (Tel. 0984 394265).
Autorizzazione del Tribunale di Cosenza n. 498 del 29-10-1990.

Direttore responsabile: Rocco Mario Morano


Associato all’USPI
Unione Stampa
Progetto grafico: Luigi Imbrogno Periodica Italiana
FASCICOLI I-II/Anno 2019

SOMMARIO

LE ORIGINI DELLA LETTERATURA VOLGARE IN ITALIA:


ESPERIMENTO ESEGETICO
CONO ANTONIO MANGIERI, La metafora politica nel contrasto
«Rosa fresca aulentissima» 5

STUDI DANTESCHI
ALESSANDRO RAFFI, Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis
tra fisica, metafisica e teologia 44
ANTONIO CARRANNANTE, Implicazioni dantesche (Inferno XIII) 66

TRASPOSIZIONI DEL PASSATO: MEDIOEVO TRA ARTI


DELLA VISIONE E TRADIZIONE STORIOGRAFICA
EMANUELA NANNI, Tracce medioevali nella ‘visio’ del poeta Piero Bigongiari 91
ILARIA TADDEI, Rievocazioni del Medioevo Comunale 109

I GENERI E LE FORME
SARA PASQUET, «Quanto più inganno, tanto più diletto».
Il genere dell’indovinello nella letteratura del Seicento 121

SULL’EPISTOLARIO DI PAOLINA LEOPARDI


MARCO STERPOS, Una pietra miliare per gli studi leopardiani:
pubblicate tutte le lettere di Paolina 145

MANZONI E DINTORNI
GUGLIELMO BARUCCI, Tra brigata e biblioteca. Don Ferrante
e la confutazione della peste tra Fermo e Lucia e Promessi Sposi 161
MARINO BOAGLIO, Osti e osterie nei Promessi Sposi 178
SANDRA CARAPEZZA, «Da non coprirsi, da non rifarsi».
Vittorio Imbriani su Alessandro Manzoni 194
LETTERATURA E ARTI VISIVE
MARIAROSARIA FABRIS, La favolosa incursione di Dino Buzzati
nella letteratura infantile 228
ANNATERESA FABRIS, L’ombra di Victorine: sul romanzo Obscura
di Régis Descott 244

LA FORMAZIONE DEGLI SCRITTORI E GLI INFLUSSI SULLA LORO


PRODUZIONE NARRATIVA
ALFREDO SGROI, L’imprevedibilità dello scrivere e del vivere:
Sciascia lettore di Savinio (all’ombra di Pirandello) 260

IL TESTO E IL TEMPO: ESPERIENZE DI LETTURA


ALBERICO GUARNIERI, Il fragile castello dell’autoinganno e la prigione
dei rimorsi: Il cappello del prete di Emilio De Marchi 287
LUCA PARENA, la ricerca continua di Fenoglio: I penultimi 306

STUDI TEORICI E STORIA DELLA CRITICA


DIEGO STEFANELLI, Luigi Russo storico “militante” della critica stilistica 315

MAESTRI CERCANDO: IL POETA-CRITICO E IL CRITICO-POETA


ANTONELLO BORRA, «I modi e le forme del paesaggio delle Langhe»
nella poesia di Giorgio Bárberi Squarotti 333

VINCENZO CONSOLO E LA DESTABILIZZAZIONE DEI GENERI LETTERARI


DANIEL RAFFINI, Introduzione 340
GIUSEPPE TRAINA, Noterella sulla «scrittura d’intervento»
di Vincenzo Consolo 343
DANIEL RAFFINI, «Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore».
Vincenzo Consolo e la difficoltà della narrazione 353
ADA BELLANOVA, «Vorremmo usare parole alte, degne»: la presenza
della tragedia antica nelle pagine di Vincenzo Consolo 366
GIULIA FALISTOCCO, Che senso ha questo romanzo?
Polifonia e metafora nel macrotesto consoliano 382

LETTERATURE COMPARATE
CHIARA ITALIANO, Pargolette mani: Tasso, Spencer e i loro fanciulli 395
ROSA RONZITTI, L’uomo che guarda le stelle: fonti classiche del sonetto
Lo stroligo di Giuseppe Gioachino Belli 404
SIMONE TURCO, Riflessioni ‘teorico-pratiche’ su Sergio Solmi traduttore 414

RECENSIONI
a cura di: Enrica Salvaneschi, Carmine Chiodo, Daniele Laudadio,
Flavia Brizio-Skov, Claudio Mariotti, Alfredo Sgroi 429
STUDI DANTESCHI

Alessandro Raffi

Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium


mentis tra fisica, metafisica e teologia

Come Dante ricorda in un inciso del libello giovanile, «secondo Tolomeo e se-
condo la cristiana veritade, nove sono li cieli che si muovono» (Vita Nova XXIX 2)
attorno alla terra, considerata il centro dell’unico mondo esistente, secondo quanto
ha sostenuto Aristotele nel De coelo ingaggiando una strenua battaglia contro gli
antichi sostenitori della pluralità dei mondi. Nella rappresentazione medievale del-
l’universo, il nono cielo, denominato Primo Mobile o Cristallino, si configura come
una regione dalle caratteristiche singolari. I primi sette cieli sono costituiti dalle
sfere che recano i corpi dei pianeti, dalla Luna a Saturno. L’ottava sfera è il Firma-
mento, sede delle stelle fisse. Il Primo Mobile presenta invece delle peculiarità le-
gate sia a ragioni di carattere quantitativo, afferenti all’ambito dell’astronomia, sia
a motivi di carattere qualitativo, che interessano da un lato l’astrologia, medieval-
mente intesa come scienza delle «virtù informative» e degli influssi astrali sul mon-
do inferiore, e dall’altro la metafisica, nella sua accezione peripatetica di scienza
delle cause e dei principi primi da cui è governata la natura. Il Primo Mobile è una
sorta di epidermide che incarta l’intero universo, l’ultimo confine del mondo sensi-
bile. Questo cielo non trasporta astri di alcun genere, in quanto la sua funzione con-
siste unicamente nel trasmettere alle sfere sottostanti il movimento di rivoluzione
diurna da oriente a occidente. Si tratta pertanto di un cielo trasparente, la cui esi-
stenza deve essere inferita tramite argomenti di ragione. Ne consegue che il suo
moto diurno si compie con una rapidità ineguagliabile. Nell’universo tolemaico, la
velocità della nona sfera costituisce il limite assoluto, una soglia paragonabile al
ruolo che la velocità della luce assume nella teoria della relatività. Il raptus siderale
del Primo Mobile rappresenta il versante fenomenico dell’ardore con cui i Serafini,
la nona gerarchia angelica preposta al governo di questa sfera, contemplano il volto
di Dio. L’ardore delle intelligenze separate si esprime nel massimo di velocità
astrale, con una mirabile congruenza tra causa intelligibile ed effetto sensibile. Il
Primo Mobile, inoltre, benché ultimo in senso fisico, non lo è dal punto di vista on-
tologico: «oltre la spera che più larga gira» (Vita Nova XLI, 10 1) si staglia
l’Empireo, il caelum caeli incorporeo e immobile in cui secondo «li catolici», av-
verte Dante in Convivio II, III, 8, risiedono angeli e beati, avvolti dalla gloria della

44
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia

Luce eterna1. Occorre altresì ricordare che la centralità della terra non costituisce
motivo di orgoglio nell’immaginario medievale, proprio in virtù del costante legame
tra scienza e dottrina cristiana che Dante sottolinea già nella Vita Nova. Il nostro
mondo è la valle di lacrime afflitta dall’alterno processo di generazione e corruzio-
ne, il luogo infimo di tutto l’universo in un’accezione che è al tempo stesso ontologi-
ca e assiologica. Il nucleo della terra, nadir universale collocato alla massima distan-
za da Dio, è la sentina in cui è confinato il «gran vermo» Lucifero. Ecco allora che il
Primo Mobile, ubicato all’estremo opposto rispetto alla sfera terrestre, risulta essere
la zona più nobile del cosmo, il vestibolo fisico che immette nella trascendenza me-
tafisica dell’Empireo2. Come sempre accade in quella sorta di laboratorio alchemico
che è l’officina dantesca, le suggestioni di carattere scientifico si trasformano in me-
tafore polisemiche, al cui interno i nuclei dottrinali si caricano di funzioni estetiche e
financo narratologiche. Oltre che una regione siderale, il nono cielo è uno spazio in-
teriore, un luogo della mente, una dimensione della coscienza. È lo scenario entro
cui si dispiegano momenti di potente intensità, nella penultima fase dell’itinerarium
in Deum cantato nel Paradiso. La mia ipotesi è che all’origine di questo processo vi
sia la traduzione, in linguaggio «peripatetico», di una classica figura platonica: Dan-
te ha conferito al Primo Mobile le caratteristiche tipiche dell’anima del mondo, in-
tesa come anello di congiunzione tra spirito e materia. Se nel Convivio il modello di
riferimento sembra essere il Timeo di Platone, accessibile attraverso la traduzione e
il commento di Calcidio, ma anche grazie alle dossografie presenti nei testi di Al-
berto Magno, nel Paradiso l’accento si sposta sul Liber de causis, il manuale di
metafisica accreditato nell’Occidente latino come opera di Aristotele, prima che
Tommaso d’Aquino ne dimostrasse la derivazione dalla Elementatio theologica di
Proclo. Al culmine di questo processo di mediazione tra scienza aristotelico-tole-
maica e neoplatonismo, si colloca l’ulteriore identificazione della nona sfera con le
«acque celesti» sopra il Firmamento di Genesi 1,7. Districare gli elementi che com-
pongono questo conglomerato può forse aiutare a comprendere meglio l’intento
concordistico tra fede e ragione che Dante persegue nella Commedia, soprattutto
nella terza cantica.

I custodi dell’ordine cosmico: dall’anima mundi al Primo Mobile

Nel II libro del Convivio Dante stabilisce un parallelo tra l’ordine delle scienze
medievali e l’ordine dei nove cieli. Saturno è il pianeta a cui corrisponde l’«astro-

1
In questo lavoro faccio riferimento al testo e alle note dell’edizione critica del Convivio curata da
Gianfranco Fioravanti, in Dante, Opere, vol. 2, Milano, Mondadori, 2011.
2
«[…] tutto il mondo creato si definisce secondo punti di riferimento imposti dall’insegnamento
biblico e dalla tradizione esegetica, ove prevale la verticale alto-basso, valore-disvalore, che è propria
di ogni esperienza religiosa del cosmo. Così al “locus coelestis qui est supremus locorum”, sede dei
beati, si contrappone l’Inferno, infimus locorum, entro la terra […]» (T. Gregory, Speculum Naturale.
Percorsi del pensiero medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007, pp. 217- 218).

STUDI DANTESCHI 45
Alessandro Raffi

logia». La scientia stellarum costituisce il culmine del quadrivio che conclude il ci-
clo delle arti liberali, così come Saturno rappresenta il settimo ed ultimo pianeta:

[…] e questa più che alcuna de le sopra dette è nobile e alta per nobile e
alto subietto, ch’è dello movimento del cielo; e alta e nobile per la sua certez-
za, la quale è sanza ogni difetto, sì come quella che da perfettissimo e regola-
tissimo principio viene. E se difetto in lei si crede per alcuno, non è dalla sua
parte, ma, sì come dice Tolomeo, è per la negligenza nostra, e a quella si dee
imputare.
(Convivio II, XIII, 30)

In conformità all’uso medievale del termine, l’«astrologia» si identifica in larga


misura con l’astronomia, il cui oggetto di studio è «lo movimento del cielo». La no-
biltà di questa disciplina è duplice: a parte rei, la perfetta regolarità dei moti dei cor-
pi celesti assicura un rigore ignoto alle scienze che indagano le realtà fisiche del
mondo sublunare, incostanti e mutevoli per definizione. A parte subjecti, i procedi-
menti dimostrativi di cui questa scienza si avvale garantiscono il più alto grado di
verità raggiungibile, entro un ambito che non può comunque prescindere da una ba-
se empirica. È come se Saturno simboleggiasse il perfetto connubio di verità e cer-
tezza3. Sebbene Dante non si sia mai spinto fino al punto di affermare che l’astro-
nomia può vantare lo stesso primato che spetta alla metafisica, come farà tra i suoi
contemporanei Pietro d’Abano, seguito a oltre mezzo secolo di distanza dal doctor
diabolicus Biagio Pelacani, l’esaltazione della «astrologia» si colloca a valle del
processo di assimilazione della cosiddetta scienza greco-araba a cui hanno contri-
buito i dottori delle tre religioni del Libro4. L’elogio innalzato nel Convivio coinvol-

3
Come ha precisato Fioravanti, il tema della «negligentia» degli astronomi, rivela un riferimento
ad un passo del Quadripartitum di Tolomeo (tr. 1, cap. 1, f. 3) letto nel commento di Ali ibn Ridwān:
«probabilmente Dante ha presente il commento di Ali ibn Ridwān, che parla proprio di negligentia:
“Ptolomeus destruit opinionem illorum ...dicens quod error quod accidit aliquibus astrologis non est ex
debilitate artis, sed ex pigritia et negligentia aliquorum qui se intromittunt de ea” (ivi, f. 4 ra)» (Dante,
Opere, cit., p. 325).
4
Per le conoscenze astronomiche di Dante si vedano, innanzi tutto, le voci dell’Enciclopedia Dan-
tesca: «Universo», «Astronomia», «Cieli», «Primo Mobile», «Empireo», «Tolomeo». Benché negletti da
molti studiosi, restano ancora dei validi punti di riferimento, nonostante le date, gli studi di P. Toynbee,
Dante Studies and Researches, London, Methuen & Co., 1902; insieme alle ricerche sull’astronomia
dantesca di E. Moore, Studies in Dante, Oxford, Clarendon Press, 1903, vol. III, pp. 2-56. Per un’utile
rassegna panoramica delle conoscenze scientifiche di Dante si vedano i contributi raccolti in Aa.Vv.,
Dante e la scienza, a cura di P. Boyde e V. Russo, Ravenna, Longo, 1993. Una lettura suggestiva della
cosmologia di Dante, analizzata anche in riferimento alla scienza novecentesca, è offerta dal volume
dell’astrofisico B. Binggeli, Primum Mobile. Dantes Jenseitsreise und die moderne Kosmologie, Zürich,
Amman, 2006; sulle questioni relative alla nona sfera si vedano, il classico P. Boyde, L’uomo nel co-
smo. Filosofia della natura e poesia in Dante, trad. it. Bologna, il Mulino, 1984, pp. 256-282; e lo stu-
dio Dante e Alpetragio, in B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, Firenze, La Nuova Italia, 1967, pp.
139-166. Per quanto concerne l’esegesi dei riferimenti astronomici nel poema, un utile strumento rima-
ne il manuale di G. Buti, R. Bertagni, Commento astronomico della Divina Commedia, Firenze, San-
dron, 1966. Sulla questione dell’intreccio fra metafisica e cosmologia, si vedano C. Moeus, The

46
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia

ge il principio stesso del nuovo ideale scientifico che si è andato diffondendo nel-
l’Occidente latino dopo la traduzione dei Libri naturales di Aristotele, ossia l’idea di
natura intesa come «series causarum» dotata di una propria autonomia ontologica e
di un potere causativo spiegabile in virtù di leggi universali e necessarie. Stretta-
mente collegato a questo nuovo ideale di scienza è anche il principio secondo cui
l’autentica causalità non risiede nella successione orizzontale delle cause univoche,
declassate a un ruolo subordinato, bensì «nell’ordine verticale delle cause equivoche
o universali […] costituito dai cieli e dai loro motori, o intelligenze motrici»5. Sotto
questo profilo, astronomia e astrologia sono legate a doppio filo, dal momento che il
complesso delle congiunzioni astrali calcolabili attraverso i modelli geometrici
dell’Almagesto raramente è disgiunto dallo studio degli effetti che tali congiunzioni
producono nel mondo sublunare. Tolomeo è riconosciuto come Auctoritas non solo
in virtù dell’Almagesto, ma anche quale maestro di astrologia, essendo l’estensore
del Quadripartitum ed essendo considerato autore del Centiloquium6. Senza l’in-

Metaphysics of Dantes’s Comedy, Oxford University Press, 2005; e M. Gallarino, Metafisica e cosmo-
logia in Dante. Il tema della rovina angelica, Bologna, Il Mulino, 2013.
5
«[… ] la filosofia aristotelica, con la causalità universale dei cieli sul mondo sublunare, impone-
va anche la dottrina delle sostanze motrici dei cieli, destinata ad avere ampi sviluppi nell’aristotelismo
arabo, coniugandosi con suggestioni neoplatoniche, soprattutto attraverso il Liber de causis, come indi-
ca esemplarmente la Philosophia prima di Avicenna. Sicché nel cosmo aristotelico, come veniva risco-
perto dall’Occidente latino, i cieli sono cause in quanto strumenti di intelligenze motrici: l’influenza
dei cieli è quindi espressione di soggetti intelligenti che svolgono la loro azione servendosi dei corpi
celesti come l’artefice usa dei suoi attrezzi per realizzare la forma che concepisce» (T. Gregory, Specu-
lum Naturale. Percorsi del pensiero medievale, cit., p. 73). Sull’importante ruolo di Alberto Magno nel
processo di assimilazione dell’astrologia araba attuato con l’intenzione di emendare il residuo determi-
nismo tipico dei trattati tradotti tra il XII e il XIII secolo, cfr. il saggio di B. B. Price, L’astronomia fisi-
ca e l’astrologia di Alberto Magno, in Aa.Vv., Alberto e le Scienze, a cura di J. A. Weishepl, trad. it. Bo-
logna, Edizioni Studio Domenicano, 1994, pp. 190-201.
6
Una distinzione chiara tra «astronomia» e «astrologia» è presente nel prologo al Breviloquium di
Bartolomeo da Parma: «Astronomia est scientia naturalis de astris celi, sive lex et regula, qua homo do-
cetur scire veraciter motum firmamenti; […] Astrologia est scientia […] qua homo veraciter potest co-
gnoscere […] significationem omnium corporum superiorum. […] Astronomus est sciens theoricam
tantum, Astrologus vero theoricam et practicam ispius artis». Traggo la citazione da G. Stabile, Dante e
la filosofia della natura. Percezioni, linguaggi, cosmologie, Firenze, Sismel – Edizioni del Galluzzo,
2007, p. 197. Sui molteplici nessi che legano metafisica, cosmologia, astronomia, e apocalittica nei
trattati della sfera accessibili a Dante, si veda l’importante saggio Bartolomeo da Parma e l’astronomia
di Dante, da cui ho tratto la citazione (Ivi, pp. 195-218). Si veda anche il seguente passo del De fato di
Alberto Magno: «Dicendum, quod duae partes sunt astronomiae, sicut dicit Ptolemaeus: una est de siti-
bus superiorum et quantitatibus eorum et passionibus propriis; et ad hanc per demonstrationem perve-
nitur. Alia est de effectibus astrorum in inferioribus, qui in rebus mutabilibus mutabiliter recipiuntur; et
ideo ad hanc non pervenitur nisi per coniecturam [...]» (De fato, in Alberti Magni Opera omnia, ed. P.
Simon, Monasterii Westfalorum in Aedibus Aschendorff, 1975, tomus XVII, pars I, p. 73, linee 36-42).
Per un approfondimento del rapporto tra astronomia e astrologia in Alberto, utile anche ai fini di una
maggior comprensione dei testi danteschi, cfr. H. Darrel Rutkin, Astrology and Magic, in Aa.Vv., A
Companion to Albert the Great. Theology, Philosophy, and the Sciences, Edited by I. M. Rescnick, Lei-
den-Boston, Brill, 2013, pp. 451-505). Per quanto riguarda la tradizione e la diffusione del Centilo-
quium e del Tetrabilos, si veda il volume di D. N. Hasse, Success and Suppression. Arabic Sciences and

STUDI DANTESCHI 47
Alessandro Raffi

flusso dei corpi celesti governati dalle intelligenze separate verrebbero meno le con-
dizioni essenziali atte a rendere possibile lo sviluppo della flora, della fauna, e di
ogni altra risorsa disponibile in natura.
La concezione dantesca dell’universo fisico si presenta, pertanto, come un con-
glomerato derivante da una pluralità di fonti che possiamo suddividere in tre profili
epistemologici, ciascuno dei quali fa capo ad altrettante auctoritates. In primo luogo
la «cosmologia», che si identifica con lo studio delle dottrine discusse da Aristotele
nei primi due libri del De coelo, accessibile a Dante attraverso i commenti di Alberto
Magno e di Tommaso d’Aquino7. Una volta emendata dalla dottrina dell’eternità del
mondo e assicurata su una base creazionistica, la cosmologia dello Stagirita disegna
un’immagine unitaria dell’universo allo scopo di dimostrarne la perfezione, la fini-
tezza, l’unicità, la sfericità, e la partizione tra la regione sublunare e la regione dei
corpi celesti Se la prospettiva cosmologica ambisce a elaborare un’immagine pano-
ramica, l’analisi quantitativa delle singole parti di cui è costituita la machina mundi
spetta all’astronomia. La settima arte liberale si configura come una cinematica atta
a spiegare le leggi dei corpi celesti, anche attraverso il ricorso a modelli geometrici
adottati come ipotesi strumentali, a prescindere dal fatto che corrispondano a una
reale base fisica. È il caso degli epicicli e del punto equante. In materia di astrono-
mia, la maggior parte delle nozioni tecniche derivano a Dante dal Liber de aggrega-
tionibus scientiae stellarum di Alfragano, nome volgarizzato dello scienziato arabo
al-Farghānī vissuto nella prima metà del IX secolo. Il testo di Alfragano è un’epito-
me dell’Almagesto di Tolomeo, che nelle scuole poteva essere affiancato ai «manua-
li» diffusi sotto il titolo di Tractatus de Sphaera: dal fortunatissimo scritto di Gio-
vanni di Sacrobosco, inserito tra i libri ordinarie legendi presso le facoltà delle arti,
fino ai volumi di Maestro Campano da Novara o di Bartolomeo da Parma8. Un rilie-

Philosophy in the Renaissance, Cambridge (Massachussetts), Harvard University Press, 2016. Benché
l’oggetto tematico di questo lavoro sia l’astrologia rinascimentale, lo studioso offre ampi ed approfon-
diti excursus sull’impatto della scienza greco-araba nell’astronomia e più in generale nella cultura me-
dievale.
7
È legittimo parlare di «cosmologia» dantesca pur tenendo presenti le difficoltà sollevate a tal
proposito da Th. J. Cachey Jr. nel saggio ‘Alcuna cosa di tanto nodo disnodare’: Cosmological Que-
stions between the Convivio and the Commedia, in AaVv., Dante’s Convivio. Or How to Restart a Ca-
reer in Exile, Oxford, Peter Lang, 2018, pp. 55-76. Sul processo di filiazione della cosmologia dantesca
dalle tematiche affrontate nel De caelo, cfr. A Ghisalberti, La cosmologia nel Duecento e Dante, in
«Letture Classensi», vol. 13 (1984), pp. 36 sgg. Sul significato del termine «cosmologia» nella scienza
medievale fino a Dante compreso, si veda G. C. Garfagnini, Cosmologie medievali, Pisa, Edizioni ETS,
2017 2.
8
Sull’intreccio tra astronomia e astrologia nel pensiero arabo medievale, cfr. Y. T. Langermann,
Arabic Cosmology, in «Early Science and Medicine», vol. II, t. 2, 1997, pp. 185-213. Sull’influsso del-
l’astronomia araba in Dante, si veda inoltre S. Gilson, Medieval Science in Dante’s Commedia: Past
Approaches and Future Directions, in «Review of Medieval Science», 2001, II, pp. 40-76. L’influenza
del Tractatus de sphera di Maestro Campano da Novara viene discussa dal Nardi nei suoi Saggi di filo-
sofia dantesca, cit., p. 195. Che la variegata letteratura De sphaera, incluso il manuale di Maestro Cam-
pano, fosse nota a Dante per lo meno fin dall’epoca del Convivio, lo ribadisce Francesco Mazzoni nel
saggio Dante «misuratore di mondi», in Aa.Vv., Dante e la scienza, cit., pp. 50 sgg. A ciò si aggiungano

48
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia

vo a parte merita invece il Liber de motibus coelorum di Alpetragio, veicolo di cono-


scenze tecniche inquadrate all’interno di cornici metafisiche di matrice neoplatoni-
ca. Il terzo profilo epistemologico racchiude infine i testi di carattere strettamente
«astrologico». In questo ambito, l’auctoritas di riferimento è appunto il Quadripar-
titum di Tolomeo. Lungi dal poter essere riduttivamente identificata con l’arte di sti-
lare gli oroscopi, l’astrologia è lo studio del «processo di ‘timbratura’ cosmica» per
mezzo del quale i corpi celesti modellano la materia del mondo sublunare9. Richard
Kay ha evidenziato il carattere stratificato e multiculturale delle fonti dantesche in
materia di astrologia, osservando che il peso maggiore deve essere attribuito ai trat-
tati di Michele Scoto e Guido Bonatti, gli stessi che nel XX canto dell’Inferno tro-
viamo appaiati nella bolgia degli «indovini»10. Il carattere complesso e stratificato
dell’astronomia è forse uno dei motivi per cui questa disciplina viene a collocarsi,
contemporaneamente, all’interno e all’esterno del sistema illustrato nel II libro del
Convivio: pur essendo una scienza nel novero delle consorelle, l’astronomia ha il
privilegio di fornire i criteri metascientifici atti ad associare ogni singolo campo
d’indagine alla sfera celeste corrispondente.
Fin dai tempi della Vita Nova, Dante attribuisce a Tolomeo l’introduzione di una
nona sfera oltre il cielo delle stelle fisse. Concetto puntualmente ribadito nel Convi-
vio:

Tolomeo, poi, accorgendosi che l’ottava spera si movea per più movimen-
ti, veggendo lo cerchio suo partire da lo diritto cerchio, che volge tutto da
oriente in occidente, costretto dalli principii di filosofia, che di necessitade
vuole uno primo mobile semplicissimo, puose un altro cielo essere fuori dello
Stellato, lo quale facesse questa revoluzione da oriente in occidente: la quale
dico che si compie quasi in ventiquattro ore […]. Sì che secondo lui, secondo
quello che si tiene in astrologia ed in filosofia poi che quelli movimenti furono
veduti, sono nove li cieli mobili; lo sito delli quali è manifesto e diterminato,
secondo che per un’arte che si chiama perspettiva, e [per] arismetrica e geome-
tria, sensibilemente e ragionevolemente è veduto, e per altre esperienze sensi-
bili: [...]
(Convivio II III, 5-6)

«le grandi compilazioni di tipo enciclopedico come il Tresor, La Composizione del mondo di Restoro
d’Arezzo, e, forse, gli Specula di Vincenzo di Beauvais, un’opera di cui è nota la larga fortuna […]; ma
Dante ricorda pure Albumasar, sulla traccia evidente del commento albertino ai Meteorologica, mentre
i richiami all’Almagesto di Tolomeo dipendono dai commenti al De coelo dello stesso Alberto e forse
di Tommaso d’Aquino» (C. Vasoli, Dante e la scienza dei «peripatetici», in Aa.Vv., Dante e la scienza,
cit., p. 60).
9
Riprendo questa formula da G. Stabile, Dante e la filosofia della natura. Percezioni, linguaggi,
cosmologie, cit., p. 205.
10
R. Kay, L’astrologia di Dante, in Dante e la scienza, cit., pp. 119-132. Come noto, la necessità
di emendare l’astrologia da ogni residuo di determinismo, onde salvaguardare il principio del libero ar-
bitrio, è al centro del discorso di Marco Lombardo nel canto XVI del Purgatorio. Su questo tema, e sui
rapporti tra Dante, Scoto e Bonatti, si veda il saggio Astrologia vera e falsa: Dante vs Guido Bonatti, in
M. Picone, Scritti Danteschi, a cura di A. Lanza, Ravenna, Longo Editore, 2017, pp. 509-514.

STUDI DANTESCHI 49
Alessandro Raffi

La necessità di ammettere l’esistenza del Primo mobile deriva da motivi di ca-


rattere fisico-astronomico e da determinati «principii di filosofia». L’argomento
astronomico risale ad Ipparco. L’ottava sfera mostra all’osservatore due movimenti:
quello diurno, da oriente a occidente, e il moto della precessione degli equinozi, os-
sia «lo movimento quasi insensibile […], da occidente in oriente, per uno grado in
cento anni» (Convivio IV, XIV 10-11). È evidente che si tratta di due traslazioni in-
compatibili che non possono derivare da una medesima causa motrice: oltre che at-
tuarsi in direzioni opposte e a velocità differenti, il moto di precessione degli equi-
nozi e il moto di rotazione diurna attorno alla terra si compiono attorno a due diffe-
renti poli e assi di rotazione – rispettivamente: l’asse dell’eclittica e l’asse dell’equa-
tore. Movimenti distinti rinviano a distinte cause motrici. La conclusione di Tolo-
meo, afferma Dante, fu appunto quella di assegnare all’ottava sfera il solo moto di
precessione, mentre la rivoluzione diurna venne attribuita a una sfera ulteriore, la
prima se considerata nell’ordine delle cause motrici. E se la prova «astronomica» si
configura come un misto di empiria e matematica, l’argomento desunto dai «princi-
pi di filosofia» ha una radice neoplatonica: importando in ambito cosmologico
l’assioma metafisico secondo cui l’Uno è anteriore al Molteplice, è necessario am-
mettere che l’ottava sfera, costituita da una moltitudine di corpi celesti, non può es-
sere il cominciamento dell’edificio cosmico11.
Una volta definito il quia, Dante procede a discutere la quidditas:

[…] lo nono [scilicet: cielo] è quello che non è sensibile se non per questo
movimento che detto è di sopra; lo quale chiamano molti Cristallino, cioè dia-
fano, o vero tutto trasparente. Veramente, fuori di tutti questi, li catolici pongo-
no lo cielo Empireo, che è a dire cielo di fiamma, o vero luminoso; e pongono
esso essere immobile per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua
materia vuole. E questo è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo mo-
vimento; ché per lo ferventissimo appetito ch’è ’n ciascuna parte di questo no-
no cielo, che è immediato a quello, d’essere congiunta con ciascuna parte di
quello divinissimo ciel quieto, in quello si risolve con tanto desiderio, che la

11
È un argomento che ricorre in vari punti del De caelo et mundo di Alberto Magno. Come possi-
bile fonte di ispirazione per il Convivio, vorrei segnalare un passo suggestivo in cui Alberto elabora un
argomento a favore dell’unicità del mondo facendo leva sul rapporto causale tra Dio e il Primo Mobile.
La prossimità tra Colui che è primo in senso metafisico e la sfera più larga, prima in senso cosmologi-
co, assume un retrogusto emanatistico nel momento in cui il Maestro coloniense evoca l’assioma di
Avicenna «ex uno non fit nisi unum»: «Illa enim ratio omnibus melior et fortior est et sola sufficiens ad
hoc quod probatur mundus esse unicus. Nos enim illic scripsimus et probavimus, quod motus circularis
solus vere est unus et uniformis non habens intra se principium et finem, sive sit in hoc mundo nostro si-
ve in alio quocumque mundo. Deinde extraximus ex unitate motus unitatem motoris, quia ab uno non
est nisi unum et quod caelum primum non est nisi unum, sub quo sunt omnes alii caeli inferiores. Caelo
autem primo unico existente et primo motore existente unico non potest esse mundus nisi unus, et non
multi, sicut quidam homines dixerunt. […] (De caelo et mundo, in Alberti Magni Opera omnia, ed. P.
Hossfeld, Monasterii Westfalorum in Aedibus Aschendorff, 1971, tomus V, pars I, pp. 61-62, linee 71-
9). Sotto questo profilo, il Primo Mobile si configura come principium individuationis dell’unico mon-
do esistente e possibile.

50
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia

sua velocitade è quasi incomprensibile. E quieto e pacifico è lo luogo di quella


somma Deitade che sola [sé] compiutamente vede.
(Convivio II III, 7-9)

La trasparenza della nona sfera assume un valore fisico e metafisico. Il Cristalli-


no è un cielo di puro etere che non trasporta alcun tipo di astro. Da un punto di vista
fisico-quantitativo, la materia eterea di cui è costituito non conosce aree di coagula-
zione. Inoltre, a causa della sua «diaphaneitas», la nona sfera diffonde in modo
uniforme tutta la virtù informativa che riceve da Dio. Sarà Beatrice, nel II canto del
Paradiso, a spiegare in che modo gli otto cieli inferiori moltiplicano e diversificano
l’influsso che procede dal nono cielo. Oltre la sfera che più larga gira vi è solo
l’Empireo, il decimo cielo postulato da «li catolici» e identificato con il campo visi-
vo di Dio, il «luogo» in cui la Mente infinita contempla sé stessa. Introducendo un
elemento di conio originale, Dante aggiunge una seconda caratteristica: la velocità
con cui il Cristallino ruota attorno al centro dell’universo è direttamente proporzio-
nale all’intensità del desiderio che ogni sua parte nutre nel volersi assimilare all’Em-
pireo. Riassumendo: il nono cielo si configura come un vertice ontologico, essendo
caratterizzato da un triplice maximum in termini di trasparenza, velocità e ardore. Un
ardore che si manifesta nelle intelligenze motrici che lo governano, i Serafini, ebbri
della visio Dei, e nelle singole parti di cui è costituita la sostanza eterea del Cristalli-
no nei confronti del decimo cielo. Ciascuna di queste tre caratteristiche avrà un suo
specifico sviluppo nei canti XXVIII e XXIX del Paradiso.
Nel prosieguo della trattazione, allo scopo di evidenziare il nesso allegorico che
sussiste tra cielo e scienza corrispondente, Dante stabilisce una correlazione tra il
ruolo «ordinatore» del primo mobile e la funzione regolativa dell’etica rispetto alle
altre scienze12. Prima di enucleare questa corrispondenza, egli enumera dettagliata-
mente l’insieme di effetti nefasti che si produrrebbero nell’ordine cosmico qualora
venisse a mancare il nono cielo:

[…] lo detto cielo ordina col suo movimento la cotidiana revoluzione di


tutti li altri, per la quale ogni die tutti quelli ricevono qua giù la vertù di tutte le
loro parti. Ché se la revoluzione di questo non ordinasse ciò, poco di loro vertù
qua giù verrebbe o di loro vista. Onde pognamo che possibile fosse questo no-
no cielo non muovere, la terza parte del Cielo [stellato] sarebbe non veduta in
ciascuno luogo della terra; e Saturno sarebbe quattordici anni e mezzo a cia-
scuno luogo della terra celato, e Giove sei anni quasi si celerebbe, e Marte uno

12
La tesi relativa al primato «architettonico» dell’etica sulle altre scienze sta al centro di una vexata
quaestio iniziata con l’interpretazione di Etienne Gilson, proseguita con le tesi avverse di Bruno Nardi,
e riemersa di recente con le analisi di Ruedi Imbach. Nei suoi studi volti a sottolineare il carattere laico
della filosofia dantesca, Imbach sembra riecheggiare la tesi di Gilson circa il carattere «straordinario»
della posizione dantesca nel Medioevo. Per una discussione approfondita del problema, cfr. I. Sciuto,
Etica e politica nel pensiero di Dante, in «Etica & Politica / Ethics & Politics», (2002), IV, 2, rivista on-
line disponibile al seguente indirizzo internet https://www.openstarts.units.it/handle/10077/5493.

STUDI DANTESCHI 51
Alessandro Raffi

anno quasi, e lo Sole centottanta due die e quattordici ore (dico die, cioè tanto
quanto misurano cotanti die), e Venere e Mercurio quasi come lo Sole, e la Lu-
na per tempo di quattordici die e mezzo starebbe ascosa ad ogni gente. E da
vero non sarebbe quaggiù generazione né vita d’animale o di pianta; notte non
sarebbe né die, né settimana, né mese né anno, ma tutto l’universo sarebbe di-
sordinato, e lo movimento delli altri sarebbe indarno13.
(Convivio II, XIV, 15-17)

Mutuando i termini usati da Carlo Martello ai versi 106-108 nell’VIII canto del
Paradiso, potremmo dire che questo brano ci offre la rassegna dettagliata delle «rui-
ne» a cui si andrebbe incontro qualora il mondo non fosse stato predisposto ad arte
dalla sapienza del sommo Opifex14. Lo sguardo che si offre al lettore procede dall’al-
to verso il basso in una sorta di mise en abîme: dalla sfera delle stelle fisse alla Lu-
na15. L’impossibilità di scorgere pianeti e stelle per gli intervalli di tempo dettagliata-
mente descritti da Dante, si tradurrebbe in un immane spreco di energia astrale. Il Pri-
mo Mobile assicura che anche la più piccola porzione di «virtù informativa» presente
in ciascuna delle cause seconde assicuri i suoi benefici effetti sul mondo della mate-
ria. Al complesso di tali perturbazioni si aggiunga il fatto che senza l’intervento prov-
videnziale della nona sfera risulterebbe impossibile scandire il tempo in settimane,
mesi e anni. Il calendario è una funzione del movimento dei corpi celesti, gli «organa
temporis», nel lessico medievale: ma i corpi celesti assolvono a tale funzione solo in
virtù del movimento regolatore del Primo Mobile. La disamina delle nefaste pertur-

13
Al ruolo dei cieli come concause della generazione sostanziale, Dante aveva già accennato in
Convivio II, XIII, 5-6.
14
Sulla dialettica tra «arti» e «ruine», nella dissertazione di Carlo Martello, cfr. C. Cahill, The limi-
tations of Difference in Paradiso XIII two Arts: Reason and Poetry, in «Dante Studies», XIV (1996), pp.
245-269. Mi permetto di rinviare a un mio contributo dove discuto il problema della contraddizione rav-
visabile tra l’ottimismo metafisico del principe angioino, in Paradiso VIII, e la successiva correzione di
tiro che Dante mette in bocca a Tommaso d’Aquino, allorché la natura viene rappresentata come un arti-
sta «ch’ha l’abito de l’arte e man che trema» (Paradiso XIII, v. 78). Carlo Martello descrive il sistema
delle sfere celesti come una macchina perfetta che produce sempre e comunque effetti benefici sul mon-
do inferiore, Tommaso dichiara che nella maggior parte dei casi i cieli non riescono ad operare senza
produrre effetti collaterali negativi, se non veri e propri danni (Cfr. A. Raffi, La bottega del cosmo: arte
divina e Natura universale in Dante, in «Campi Immaginabili», Fascicoli I/II (2018), pp. 41-64).
15
L’ottava sfera si muove da occidente a oriente di un grado ogni secolo. Ipotizziamo che un os-
servatore collocato in una qualunque contrada della terra possa osservare l’emisfero celeste sopra la
sua testa per un arco di 180 gradi, senza impedimenti di sorta. Nei 6500 anni trascorsi dalla creazione
del mondo fino al 1300, l’ottava sfera avrebbe descritto un arco di 65 gradi. Sommiamo 180 a 65: il ri-
sultato è che dall’inizio dei tempi fino all’anno in cui Dante afferma di scrivere il Convivio, la parte di
cielo stellato osservata nell’emisfero abitato sarebbe pari a 245 gradi. Sottraendo 245 a 360 gradi, ossia
il totale della sfera, questo significa che una porzione del firmamento pari a un arco di 115 gradi, un ter-
zo del totale circa, sarebbe ancora ignota al genere umano. Pertanto, qualora venisse meno il moto di
rotazione diurna impresso dal primo mobile, dovremmo aspettare l’anno del Signore 1415 per conosce-
re tutte le costellazioni esistenti. I calcoli di Dante, come ha appurato il Toynbee, sono desunti da un ca-
pitolo del Liber de aggregationibus stellarum di Alfraganus intitolato De orbis planetarum (cfr. P.
Toynbee, Dante Studies and Researches, cit., p. 71).

52
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia

bazioni che si verificherebbero qualora venisse a mancare questa sorta di orologio


primario, si inserisce nell’alveo della scientia «aristotelico-tolemaica», intendendo
con tale espressione il blocco dottrinale derivante dalla fusione tra la cosmologia del
De caelo e l’astronomia dell’Almagesto. La componente metafisica che accompagna
come un basso continuo siffatta scientia, trova la sua espressione in quella che Dante
definisce «filosofia de li peripatetici», un complesso di dottrine caratterizzato dalla
costante ibridazione tra principi di matrice aristotelica e temi di ispirazione neoplato-
nica. Significativo, a tal proposito, è il ruolo che il Primo Mobile assume quale anello
di congiunzione tra l’Uno e il Molteplice, tra l’eternità del Principio e la dimensione
infratemporale delle otto sfere inferiori. Come ha mostrato Nardi nei suoi studi, lo
schema di fondo risale al neoplatonismo di Proclo, accessibile a Dante attraverso ca-
nali quali il Liber de causis e la Metaphysica di Avicenna. Tuttavia, tra le fonti da non
sottovalutare, nonostante i dubbi ricorrenti circa la possibilità che Dante abbia avuto
accesso diretto al testo, occorre segnalare il Timeo, l’unico scritto di Platone letto fin
dall’Alto Medioevo nella versione latina commentata da Calcidio e da lui stesso tra-
dotta limitatamente alla sezione che va dalla linea 17a alla linea 53b. La mia ipotesi è
che Dante abbia conferito al Primo mobile le stesse funzioni che il Timeo attribuisce
all’anima mundi. Secondo la cosmogonia esposta dal protagonista eponimo del dialo-
go di Platone, l’anima che vivifica la mole dell’universo adempie alla funzione di
conservare l’ordine che il Demiurgo ha stabilito quando ha modellato la «regione»
primordiale, la «chora» – la «silva», nella traduzione di Calcidio: ossia lo spazio
informe che ospitava la materia primigenia. Se non vi fosse l’anima a stabilizzare la
materia e a perpetuarne l’ordine, il cosmo intero rischierebbe di scivolare nel caos.
Per sua natura l’anima universale viene a collocarsi al confine tra mondo intelligibile
e mondo sensibile, ovvero, come andrà a precisare la proposizione 3 del Liber de cau-
sis: «al di sotto l’eternità, ma al di sopra del tempo». La prima analogia con la conce-
zione dantesca del Primo Mobile è palese: l’ultima sfera celeste si colloca all’interno
del cielo Empireo, il mundus intelligibilis che collima con l’Intelletto divino, e al di
sopra degli organa temporis costituiti dal Firmamento e dai sette pianeti. Proprio in
virtù di tale collocazione, sia l’anima mundi sia il Primo Mobile fungono da presidi
dell’ordine universale. È come se Dante avesse sostituito all’ipostasi metafisica dei
platonici un ingranaggio siderale, in modo tale da operare una sorta di secolarizzazio-
ne di una figura tipica dell’immaginario platonico, per altro ancora legata a un resi-
duo di panteismo e di pampsichismo. In questa opera di «demitologizzazione» del
platonismo, elaborata attraverso gli strumenti offerti dal paradigma aristotelico-tole-
maico, emerge un tratto saliente dello spirito del tempo in cui Dante vive ed opera. In-
fatti, se il XII secolo è l’epoca del Timeo e delle prime cosmologie elaborate all’inter-
no della scuola di Chartres, sulla falsariga di modelli altomedievali mutuati da Calci-
dio, Macrobio e Marziano Capella, il XIII secolo è l’epoca della definitiva assimila-
zione della scientia naturae aristotelica, che nulla più concede alla dimensione mitica
presente nella grande affabulazione platonica16.

16
Per un’analisi delle diverse interpretazioni dell’anima mundi anteriori all’ingresso della scienza

STUDI DANTESCHI 53
Alessandro Raffi

Dal Convivio alla Commedia: il Primo Mobile come «radice» del tempo

L’ultimo tratto dell’ascesa all’Empireo che Dante pellegrino compie sotto la gui-
da di Beatrice è costituito dal passaggio attraverso il Primo Mobile, narrato nella se-
zione che si estende dal verso 97 del canto XXVII del Paradiso fino alla conclusione
del XXIX. Dopo aver delineato le caratteristiche di questa estrema regione dei cieli,
tirando le fila degli «umbriferi prefazi» disseminati nei canti precedenti, Beatrice svi-
luppa due ampie dissertazioni. Nel XXVIII, viene illustrato l’ordinamento delle ge-
rarchie angeliche. In risposta a un dubbio del pellegrino, la guida spiega perché
l’ordine sensibile dei nove cieli appaia specularmente rovesciato rispetto all’ordine
sovrasensibile delle rispettive intelligenze motrici, in modo tale che l’«essemplo» e
l’«essemplare» non vanno all’unisono. Qui Dante effettua una delle sue più celebri
palinodie, accreditando la gerarchia stabilita da Dionigi pseudo-Areopagita nel De
coelesti hierarchia contro la dottrina esposta da Gregorio Magno nei Moralia in Job,
che era stata avvalorata nel Convivio. Nel canto XXIX, Beatrice illustra invece il
«triforme effetto» della creazione in principio come evento scaturito dall’infinito
amore di Dio. La sequenza delle due dissertazioni sembra promuovere l’unione con-
cordistica tra l’ideale aristotelico di scientia, accolto dalla scuola domenicana ed ele-
vato alla dignità di Summa con Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, e l’ideale ago-
stiniano di sapientia celebrato dalla scuola francescana soprattutto con Bonaventura
da Bagnoregio: il canto XXVIII riconduce la cosmologia alla metafisica intesa come
«teologia razionale», celebrando la struttura dell’ordine cosmico quale riflesso del
Logos. Il XXIX canto, attua la riduzione della cosmologia e della metafisica alla teo-
logia, intesa stavolta come ermeneutica del testo sacro. Tommaso e Bonaventura, ma-
gnificati nel X canto, si riconciliano anche nel Primo Mobile. E se è vero che
l’itinerario del pellegrino profila un passaggio da una forma di conoscenza dianoetica
e argomentativa, tipica della ratio dialettica, a una forma di conoscenza noetico-intui-
tiva, non è un caso che proprio nella nona sfera, vestibolo dell’Empireo, Dante possa
contemplare un primo adombramento di Dio attraverso la visione del «punto» da cui
«depende il cielo e tutta la natura» (Paradiso XXVIII, vv. 41-42)17. La sfera che più

aristotelica, si veda il saggio di I. Caiazzo, La discussione sull’anima mundi nel secolo XII, in «Studi
Filosofici», XVI (1993), pp. 27-62. A pagina 34, nel discutere i contributi di Guglielmo di Conches e
Teodorico di Chartres, finalizzati ad accordare la narrazione platonica con il racconto biblico dei sei
giorni della creazione, la studiosa puntualizza il tratto caratteristico del lavoro di assimilazione realiz-
zato dai principali esponenti della Scuola di Chartres: «sia i pagani che i fedeli hanno compreso che nel
mondo opera un principio ordinatore che è la “virtus creatoris operatrix” di cui si parla in Genesi 1, 2.
Questa “virtus” è stata poi designata in modo differente dai profeti, dai filosofi e dai cristiani: Ermete
Trismegisto la chiama “spiritus”, Platone “anima mundi”, Virgilio “spiritus” […] ed infine i cristiani la
chiamano “spiritus sanctus”. Tutte le testimonianze dunque convergono nel dimostrare che nell’univer-
so c’è un principio di vita e di ordine […], a cui viene assegnata una funzione essenzialmente cosmolo-
gica». Come noto, il tentativo di identificare l’anima mundi con lo Spirito Santo fu condannato nel
Concilio di Sens del 1141.
17
Che il «punto» non si identifichi con Dio, lo ha chiarito in maniera definitiva Enrico Malato:
«quel punto non è veramente – al contrario di quanto si legge comunemente nei commenti – Dio, di cui

54
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia

larga gira, completamente diafana, si configura come un’immane vetrata attraverso


la quale è possibile scorgere l’icona lucente del Dio invisibile, la più alta approssi-
mazione noetica all’ineffabile maestà del Padre. La contemplazione del Punto, a sua
volta, prepara e prelude alla visio Dei che il pellegrino sperimenterà nell’Empireo,
mediante l’esperienza mistica dell’excessus mentis.
L’ingresso nel Primo Mobile viene descritto come l’effetto di un raptus che
strappa il pellegrino dal «bel nido di Leda» (Paradiso XXVII, v. 98), la costellazio-
ne dei Gemelli, segno natale del poeta e porta di ingresso alla sfera delle stelle fis-
se. La causa efficiente che permette di effettuare il passaggio dall’ottavo al nono
cielo è la «virtù» irradiata dagli occhi di Beatrice (Ivi, vv. 97-99). Le prime impres-
sioni di Dante sono di smarrimento: all’interno della nona sfera mancano punti di
riferimento che permettano di distinguere una zona da un’altra. Il pellegrino è diso-
rientato. Nell’ascesa attraverso i primi otto cieli, egli sa di entrare nella parte più
densa della sfera celeste, quella che ospita il pianeta o la costellazione, ma quando
si giunge al cielo senza astri, l’etere assurge al massimo grado di rarefazione. La
prima presentazione del Cristallino che Beatrice offre a Dante è un compendio di
scientia de sphaera:

«La natura del mondo, che quïeta


il mezzo e tutto l’altro intorno move,
quinci comincia come da sua meta;
e questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che s’accende
l’amor che ´l volge e la vertù ch’ei piove.
Luce e amor d’un cerchio lui comprende,
sì come questo li altri; e quel precinto
colui che ´l cinge solamente intende.
Non è suo moto per altro distinto,
ma li altri son mensurati da questo,
sì come diece da mezzo e da quinto;
e come il tempo tegna in cotal testo,
le sue radici e ne li altri le fronde
omai a te può esser manifesto».
(Paradiso XXVII, vv. 106-120)18

Dante avrà la visione illuminante soltanto alla fine del suo viaggio, nell’empireo, grazie all’intercessio-
ne di Maria, impetrata da San Bernardo […]. Quel punto è invece, per così dire, l’emblema, grecamen-
te il typos (= ‘impronta’), auerbachianamente la “figura” di Dio, la prima intuizione che il pellegrino
possa averne nella sua essenza di “luce etterna che sola in te sidi, / sola t’intendi, e da te intelletta / e in-
tendente te ami e arridi” (vv. 124-26)» (E. Malato, La visione del «vero in che si queta ogne intelletto».
Lettura del canto XXVIII del Paradiso, in «Rivista di Studi Danteschi», anno III, fasc. I (2003), p. 60.
18
Per le citazioni dalla Commedia seguo la versione approvata da Anna Maria Chiavacci Leonardi
(Dante Alighieri, Commedia, con il commento di A. M. Chiavacci Leonardi, tre voll., Milano, A. Mon-
dadori Editore, 1997)

STUDI DANTESCHI 55
Alessandro Raffi

Il Primo Mobile è inizio e «meta» del mondo sensibile, principio del movimento
e misura del tempo. Sotto il profilo fisico, questo cielo è il luogo, aristotelicamente
inteso, al cui interno prende forma la «natura del mondo». Sotto l’aspetto metafisi-
co, questo cielo non è incluso all’interno di alcun «luogo» ulteriore, ma solo nel re-
cinto della «mente divina»19. Essendo l’elemento di cerniera tra dimensione intelli-
gibile e mondo sensibile, il Primo Mobile assicura la continuità tra i supremi gradi
dell’essere, in conformità a una tipica istanza neoplatonica nei confronti della quale
Dante è sensibile fin dai tempi del Convivio. La nobiltà del Primo Mobile si misura
dalla sua prossimità a Dio. La Mente infinita che «sé compiutamente intende», come
si legge in Convivio II, III 9, è la stessa che «intende» l’Empireo (v. 114): «un inten-
dere che è un far essere, l’atto dell’eterno creare divino che è un’ontologia intellet-
tuale», glossa Mario Sansone20.
La diafana uniformità del Cristallino, che dal punto di vista narrativo si riflette
nello smarrimento di Dante al momento del suo ingresso, non costituisce soltanto un
dato quantitativo riguardante il grado di rarefazione dell’etere, ma assume anche un
significato qualitativo in rapporto al processo di informazione della materia sublu-
nare attuato dall’intero complesso dei nove cieli. Per chiarire questo aspetto occorre
ricollegarsi alla dissertazione sulle macchie lunari del II canto (vv. 112-148), ai co-
rollari della distinzione tra «creare» e «informare» del VII canto (vv.130-144), e alla
dissertazione «astrologica» di Carlo Martello nel canto VIII (vv. 97-135). Il compito
dei primi otto cieli consiste nell’irradiare nel nostro mondo le proprietà e le differen-
ze specifiche delle piante, degli animali, e dei temperamenti dei singoli esseri uma-
ni, in modo tale da assicurare non soltanto la continuità del processo di generazione
e corruzione degli individui che garantisce la perpetuità delle specie viventi, ma an-
che l’indispensabile differenziazione dei compiti e dei ruoli nell’ambito dell’umana
civitas. A differenza degli otto cieli sottostanti, il Primo Mobile non possiede speci-
fiche «virtù informative», «spezialissime cagioni […] d’ogni forma generale» (Con-
vivio III, VI, 5): si configura come una sfera astrologicamente neutra il cui compito
consiste nell’irradiare l’«esser di tutto suo contento» (Paradiso II, v. 114). In altri
termini, una virtù «universalissima, […] minimeque ad particularitatem contracta»,
come si legge nella pagina del trattato dello pseudo Grossatesta riportata dal Nardi
nel suo commento ad locum. L’assenza di beati che contraddistingue il coelum ange-
lorum della tradizione altomedievale ben si adatta con la natura uniforme del suo in-
flusso, quale gli viene riconosciuta dalla posteriore scientia stellarum. Nel processo

19
All’altezza del canto XXIII il Primo Mobile era stato presentato come «Lo real manto di tutti i
volumi / del mondo, che più ferve e più s’avviva / ne l’alito di Dio e ne’ costumi» (vv. 112-114)
20
Cfr. M. Sansone, Il canto XXVII del Paradiso, in Lectura Dantis Scaligera, Firenze, Le Monnier,
1968, p. 29. Chiosa, con la consueta precisione, Benvenuto: «Unde nota quod secundum ordinem natu-
ralem elementa sunt subdita speris planetarum, et sperae planetarum octavae sperae, et octava nonae;
ita quod totum istud mundanum conceptum est subditum nonae sperae; et ipsa nona spera est subdita
divinae menti, et ab ipsa recepit tantam illam virtutem quam habet in ista inferiora» (Benvenuti De
Rambaldis De Imola, Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, Firenze, G. Barbera, 1887, to-
mus V, p. 399).

56
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia

di derivazione del molteplice dall’uno che si scandisce lungo la catena dei nove cieli,
l’«essere intero» inglobato dal Cristallino si colloca sullo stesso piano di quelle pro-
prietà generali dell’essere che gli scolastici includono nel novero dei «trascendentali».
La trama fisica del cosmo è strutturata ad immagine delle categorie studiate in logica
formale, in un processo dall’universale al particolare che fonde i teoremi del Liber de
causis con i canoni dell’Organon aristotelico: quanto più una causa è universale e in-
determinata tanto più esteso e potente è il suo influsso. La distinzione cosmologica tra
Primo Mobile, firmamento, e cieli planetari si pone in rapporto di corrispondenza biu-
nivoca con la distinzione fra trascendentali, generi, e differenze. L’eterea uniformità
del Primo Mobile sta all’adiaforia semantica dei trascendentali, come le ultime diffe-
renze specifiche, le più vicine alla corpulenta realtà dei singoli esseri che si dispiegano
nella regio elementorum, stanno alle macchie lunari, espressione di quei «principi for-
mali» destinati ad apporre l’ultimo sigillo al processo di informazione della materia.
Collocato all’estremo opposto della Luna, astro maculato che costituisce il momento
di massima impurità dell’etere, quasi che l’ombra della terra riuscisse a irradiarsi oltre
la regio elementorum, il Cristallino si configura come puro cominciamento21.
All’altezza dei versi 118-120 del canto XXVII, Dante compie una trasfigurazione
di questa idea del cominciamento presentando al lettore l’enigmatica immagine del-
l’albero cosmico che ha le radici in alto e le fronde rivolte verso il basso a lambire le
sfere inferiori. Già i primi commentatori della Commedia hanno collegato questa im-
magine alla definizione del tempo come «numero del movimento secondo un prima e
un poi», presente in un passo della Physica di Aristotele che Dante ha menzionato nel
IV libro del Convivio22. Assai più problematico risulta stabilire quale fonte abbia sug-

21
Il riferimento al testo dello pseudo Grossatesta è riportato da B. Nardi, in Saggi di filosofia dan-
tesca, cit., p. 23. Sulla natura dell’influsso causale del Cristallino, in analogia alle strutture formali del-
la logica aristotelica, si legga la sintesi di Giorgio Stabile: «L’essere del cielo cristallino, suddiviso in
essenze e differenze specifiche dal cielo stellato, viene ulteriormente definito, a costituire un individuo,
attraverso le distinzioni accidentali e sostanziali infuse nel seme dai cieli planetari. Gli organi del mon-
do lavorano, così, come la catena proposizionale di un sillogismo: alle definizioni ricevute di su, ag-
giungono i termini medi che, operando di sotto, determinano infine le conclusioni» (G. Stabile, Dante e
la filosofia della natura. Percezioni, linguaggi, cosmologie, cit., p. 120). Il riferimento, ovviamente, va
ai versi 121-123 del canto II del Paradiso: «Questi organi del mondo così vanno, / come tu vedi omai,
di grado in grado, / che di su prendono e di sotto fanno».
22
Sul significato di «testo» e sul rimando al IV libro della Physica si veda la nota di Robert Hol-
lander: «la Sfera Cristallina controlla i rapporti temporali tra tutte le parti del resto dell’universo. Dante
usa il termine ‘testo’ (nel senso di ‘vaso’), un hapax in quest’accezione (ma si vedano Inf. XV.89 e
Purg. VI.29 per il significato di ‘scritto’) per raffigurare la nona (invisibile) sfera che contiene tutto il
tempo, il quale affonda a sua volta le proprie radici qui mostrando le foglie, estese verso il basso, nelle
zone visibili del cosmo, cioè nelle altre sfere (stelle e pianeti). La ragione di questa ‘somiglianza’ tra il
Primo Mobile e un vaso da fiori sembra consistere nel fatto che le ‘radici del tempo’ ci sono nascoste
tanto quanto le radici di una pianta in un vaso. L’autore delle glosse del Codice Cassinese (comm. v.
115) è stato forse il primo a indicare la fonte di questo passo nella Fisica di Aristotele (IV.X-XIII); Torra-
ca (comm. vv. 118-120) sembra essere stato il primo commentatore a rilevare che Dante aveva già cita-
to quel luogo aristotelico in Convivio IV, II, 6» (La Commedia di Dante Alighieri, Paradiso, con il com-
mento di R. Hollander, Firenze, Olschki, 2011, pp. 297-298).

STUDI DANTESCHI 57
Alessandro Raffi

gerito tale simbolismo, trattandosi di un ideogramma diffuso in molte religioni, di-


stanti tra loro nel tempo e nello spazio, come una sorta di archetipo junghiano.
Celebrato nei testi Vedici, nella religione arcaica dei popoli nordici, nella mistica
islamica e nella Kabbalah, l’albero rovesciato costituisce la variante più diffusa del-
l’albero cosmico, a sua volta simbolo della potenza di Dio come causalità verticale.
Nella sezione conclusiva del Timeo, che non compare nella traduzione di Calcidio
accessibile ai medievali, il protagonista eponimo del dialogo paragona gli esseri
umani a degli alberi capovolti: la parte razionale dell’anima, scintilla divina plasma-
ta direttamente dal Demiurgo, affonda le radici nel mondo intelligibile, mentre le
parti irrazionali e il corpo, prodotti dagli dei inferiori, sono come fronde che si pro-
tendono verso la materia23. Il primo a proporre l’ipotesi di una matrice islamica fu
Miguel Asin Palacios, secondo il quale Dante si sarebbe ispirato al modello del para-
diso musulmano descritto nel Liber schalae, ma la sua tesi fu contestata da Enrico
Cerulli. Quest’ultimo rilevò che il possibile retroterra dantesco andava cercato nel
filosofo e mistico arabo Ibn-Arabi, il quale rappresenta esplicitamente il paradiso
come un albero le cui radici affondano nell’ultima sfera mentre i rami occupano lo
spazio dei cieli inferiori. Ricordo per inciso che in alcuni testi cabbalistici dedicati
allo studio Sefiroth, le dieci manifestazioni della potenza di Dio, che dall’ineffabile
En sof si manifesta nel mondo inferiore, il collegamento tra cielo e terra viene assi-
curato da due alberi, uno dei quali ha le radici in cielo e la cima rivolta verso il bas-
so. La presenza dei due alberi sta a indicare che le Sefiroth si configurano come ca-
nali di diffusione dell’energia cosmica che promana da Dio, ma anche come tappe
del percorso iniziatico attraverso il quale il mistico si innalza alla conoscenza delle
realtà spirituali. Il livello più basso è costituito dalla Malkuth (il regno) esplicita-
mente associata alla Luna, mentre il primo e più alto di questa gerarchia, la Keter
(corona) può essere ricollegato all’Empireo dantesco. Inoltre, in alcuni testi, la nona
Sefirah – ossia la Binah (intelligenza) – è il principale canale di diffusione della luce
che promana dal livello superiore, e questo aspetto potrebbe essere ricollegato al
ruolo che Dante assegna al Primo Mobile. Qualunque sia la fonte, resta il fatto che
nelle parole di Beatrice l’albero rovesciato non rimanda all’assetto gerarchico del
cosmo in senso lato, ma si riferisce, nello specifico, alla struttura ramificata del tem-
po in rapporto al suo fondamento cosmologico24. Se il Primo Mobile, nel trasmettere

23
Timeo 90 d.
24
Sulle analogie tra l’albero dantesco di Paradiso XXVIII e l’Ašvattha, l’albero cosmico della tra-
dizione indiana, si veda l’interessante contributo di R. Ronzitti, Su alcune congruenze fra il prologo
della Divina Commedia e il libro XI del Mahābhārata: problemi e ipotesi, in «Campi Immaginabili»,
Fascicoli I/II (2018), pp. 29-30. Per la possibile matrice islamica, cfr. M. Asin Palacios, Dante e
l’Islam, trad. it., Parma, Pratiche, 1994, pp. 209-224. Sul rapporto con la mistica di Ibn-Arabi cfr. E.
Cerulli, Il «Libro della Scala» e la questione delle fonti arabo-spagnole della «Divina Commedia», Bi-
blioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1949, pp. 539-543. In riferimento all’immagine del-
l’albero capovolto nella Kabbalah si legga la seguente nota di Gershom Scholem: «Nella loro totalità le
Sefirot formano “l’albero della emanazione”, o “l’albero delle Sefirot”, che a partire dal XIV secolo è
raffigurato da un diagramma dettagliato elencante i simboli fondamentali appropriati a ogni Sefirah.
L’albero cosmico cresce verso il basso dalla radice, la prima Sefirah, e si estende attraverso le Sefirot

58
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia

il movimento alle sfere inferiori determina la misura universale del tempo, le sue ra-
mificazioni rinviano agli ingranaggi secondari dell’orologio astrale, con particolare
riferimento ai due «figli di Latona», Luna e Sole, responsabili rispettivamente del
computo mensile e del computo annuale.
Stabilire collegamenti sicuri tra Dante e le sue presunte fonti risulta assai proble-
matico, con il rischio di condurre le ricerche nelle secche dell’opinabile. Punti di ri-
ferimento più sicuri si possono ricavare, invece, dal confronto tra i dati intratestuali.
Vi sono passi della Commedia in cui l’immagine dell’albero capovolto viene antici-
pata, in forme più o meno esplicitamente riferite alla dimensione cosmologica. A tal
proposito, direi di escludere l’albero di Purgatorio XXII, nonostante l’opinione av-
versa di molti commentatori antichi fino al Vellutello compreso. In quel contesto, in-
fatti, Dante descrive uno strumento di punizione dei golosi. L’unico rovesciamento
rispetto al mondo terreno consiste nel fatto che i rami di questo «abete» carico di
«pomi» si restringono dall’alto verso il basso in modo tale da impedire a chiunque di
salirvi per raccoglierne i frutti. Non vi è alcun riferimento alle radici in cielo, come è
stato a più riprese sottolineato25. L’anticipazione della metafora cosmologica si tro-
va nelle parole proferite da Cacciaguida in Paradiso XVIII vv. 28-30, poco prima di
presentare i beati che compaiono nel cielo di Marte:

[…] «In questa quinta soglia


de l’albero che vive de la cima,
e frutta sempre e mai non perde foglia […]
(Paradiso XVIII, vv. 28-30)

Marte viene definito la quinta «soglia», il quinto ordine di rami dell’albero che
ricava il suo nutrimento dalla «cima», ossia dal Primo Mobile. Il verso 30 aggiunge
un dettaglio rilevante: questo albero produce frutti in continuazione, è un sempre-
verde, non conosce il declinare dell’autunno. È soggetto a un processo di generazio-
ne permanente senza il corrispettivo della corruzione, in una forma che esalta ulte-

che costituiscono il tronco fino a quelle che formano i rami principali o la chioma» (G. Scholem, La
Cabala, Edizioni Mediterranee, Roma, 1992, p. 112). Ancora fino al XVI secolo, in alcuni Maestri del-
la Kabbalah «ci imbattiamo nella sovrapposizione di due alberi celesti, di cui uno indirizza i propri ra-
mi verso il basso e uno verso l’alto. Secondo Cordovero […] dalla radice dell’albero (che egli situa nel-
la sefirah binah) procede la luce diritta, mentre dall’estremità inferiore (malkut) del sistema sefirotico
vi è la radice della luce che ritorna» (G. Busi, Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudai-
smo dal III al XVIII secolo, Torino, Einaudi, 1995, Introduzione, p. LVIII). A tal proposito si veda
l’ampia ricerca di S. Debenedetti Stow, Dante e la mistica ebraica, Firenze, Giuntina, 2004, con parti-
colare riferimento alle pp. 108-116. Sulla natura prettamente astrologica del tempo a cui fa riferimento
il simbolismo dantesco, cfr. E. Maraldi, Le stelle di Beatrice. Astrologia e astronomia nella Vita Nova,
tesi di dottorato 2015, Alma Mater Studiorum, Bologna, pp. 89-105.
25
I versi in questione suonano: «ma tosto ruppe le dolci ragioni / un alber che trovammo in mezza
strada / … / e come abete in alto si digrada / di ramo in ramo così quello in giuso / cred’io perché perso-
na su non vada». Sugli alberi danteschi, e sulle molteplici interpretazioni del passo, cfr. L. Pertile, La
pianta, in La puttana e il gigante. Dal Cantico dei cantici al Paradiso terrestre di Dante, Ravenna,
Longo, 1998, pp. 163-196.

STUDI DANTESCHI 59
Alessandro Raffi

riormente le caratteristiche della flora tipiche dell’Eden. Anche questo elemento è


una costante che ricorre in molte tradizioni, un aspetto che fu messo in luce, tra gli
altri, dagli studi comparativi di Mircea Eliade26. Nelle parole con cui Beatrice pre-
senta il Primo Mobile, ai versi 118-120 del canto XXVII del Paradiso, non c’è alcun
riferimento alla natura sempreverde dell’albero, ma ai versi 116-118 di Paradiso
XXVIII, dedicati alla descrizione delle gerarchie angeliche collocate lungo le «so-
glie» dei cieli di cui sono intelligenze motrici, leggiamo:

«L’altro ternaro, che così germoglia


in questa primavera sempiterna
che notturno Arïete non dispoglia,
perpetüalemente Osanna sberna
con tre melode, che suonano in tree
ordini di letizia onde s’interna […]
(Paradiso XXVIII, vv. 115-120)

L’aevum che contraddistingue la temporalità del deiforme regno è una primave-


ra ininterrotta, i cui germogli si identificano con le intelligenze angeliche. Il canto di
lode perpetua a Dio intonato da Podestà, Virtù e Dominazioni, è il segno di un inces-
sante «svernare». La figura – auerbachianamente intesa – profilata da Cacciaguida
nel canto XVIII trova nelle parole di Beatrice la sua compiuta esplicitazione. E se la
primavera perenne del paradiso terrestre, evocata in Purgatorio XXVIII 143, era il
segno di una natura incorrotta, di un’età dell’oro anteriore alla cacciata di Adamo ed
Eva e all’ingresso della morte nel mondo, nella «festa di paradiso» la primavera an-
gelica è la cifra di una definitiva redenzione dal demone della caducità. Il Primo Mo-
bile si pone pertanto alla radice del tempo cronologico che scandisce i ritmi dell’ho-
mo viator, in quanto sfera celeste privilegiata che si colloca sulla linea di confine tra
la pace dell’eternità e le tribolazioni del tempo cronologico. Ed è su questo terreno
che riemerge l’affinità tra la nona sfera e l’anima mundi dei platonici. Nella seconda
proposizione del Liber de causis, le tre ipostasi principali, Dio Intelletto e Anima co-
smica, vengono ripartite secondo un criterio che lega l’essere di ciascuna alla rispet-
tiva collocazione rispetto al tempo e all’eternità:

Omne esse superius aut est superius aeternitatem et ante ipsam, aut est
cum aeternitate, aut est post aeternitatem et supra tempus. Esse vero quod est
ante aeternitatem esta causa prima […] Esse vero quod est post aeternitatem et
supra tempus est anima, quoniam est in horizonte aeternitatis inferius et supra
tempus. […] Et anima annexa est cum aeternitate inferius, quoniam est su-
sceptibilior impressionis quam intelligentia, et est supra tempus, quoniam est
causa temporis27.

26
M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, trad. it. Milano, Bollati Boringhieri, 1976, pp. 280-
287.
27
Cito il testo del Liber de causis, nella versione riprodotta all’interno dell’edizione coloniense

60
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia

L’essere che precede l’eternità è Dio, Causa prima. L’essere che è con l’eternità
è l’Intelletto, in cui risiedono i modelli eterni di ogni realtà creata, mentre l’essere
che è al di sotto dell’eternità, ma al di sopra del tempo, è l’anima del mondo. È la
stessa parafrasi di Alberto Magno a suggerire l’identificazione tra l’anima del mon-
do, in quanto «causa temporis», e il Primo Mobile. Il Doctor Universalis glossa il
passo sopra citato nel modo seguente: «[… scilicet: Anima mundi] Supra tempus,
autem est, quia causa temporis est per motum primum, cuius ipsa propria et substan-
tialis causa est»28. Dante ha ben presente la seconda proposizione del Liber de cau-
sis, che viene citata anche in un passo della Monarchia: ma in questo caso, l’ente
collocato tra eternità e tempo non si identifica con il terzo livello ipostatico della
metafisica neoplatonica, bensì con l’anima dell’uomo «in horizonte aeternitatis»,
sulla scia dell’interpretazione promossa dalla parafrasi albertina del testo pseudo-
aristotelico e dal successivo commento di Tommaso d’Aquino29. Sotto questo profi-
lo, nel pensiero dantesco emerge una precisa corrispondenza tra antropologia e co-
smologia, tra concezione dell’uomo come microcosmo e totalità della natura come
macrocosmo: se nella Monarchia è l’uomo a configurarsi come creatura collocata al
confine tra eternità e tempo, e dunque come elemento di continuità tra l’angelo, pura
intelligenza spirituale, e l’animale bruto completamente immerso nel mondo delle
materia, nella prospettiva cosmologica del Paradiso è il Primo Mobile a costituire
l’elemento di frontiera tra eternità e tempo, ossia tra Empireo e Firmamento. In
quanto radice del tempo, questo cielo è la base dell’albero astrale che si protende
verso il mondo inferiore, mentre come puro cristallo indifferenziato partecipa della
natura spirituale dell’Empireo nel modo più eminente, compatibilmente con la cor-
poreità degli enti fisici. Sotto questo profilo, il Primo Mobile costituisce la «media
proporzionale» tra l’Uno e il Molteplice, riprendendo una felice formula del Nardi:
media proporzionale tra l’immobile trascendenza dell’Empireo e «la sfera delle stel-
le fisse, animata da più movimenti e differenziata nelle sue diverse parti»30.

della parafrasi albertina (cfr. De causis et processu universitatis a prima causa, in Alberti Magni Opera
omnia, ed. W. Fauser SJ, Monasterii Westfalorum in Aedibus Aschendorff, tomus XVII, pars. II, 1993,
p. 73).
28
Ibidem, linee 24-26. Sulle variazioni a cui i medievali sottoporranno il modello tripartito del Li-
ber si legga la seguente sintesi di Pasquale Porro: «Questa tripartizione si incontra innumerevoli volte
negli autori medievali, sia pur con qualche sostanziale correzione: l’eternità cessa di costituire un’ipo-
stasi a sé per essere identificata con Dio; l’intelligenza (angelica) viene “parificata” all’eternità soltanto
per ciò che riguarda l’essere (e sempre in modo partecipato), [..] l’anima che è al confine tra eternità e
tempo diventa infine la stessa anima umana, e non più la realtà ipostatica che produce il tempo» (P. Por-
ro, Forme e modelli di durata nel pensiero medievale. L’aevum, il tempo discreto, la categoria «quan-
do», Leuven University Press, 1996, pp. 70-71).
29
«[…] sciendum quod homo solus in entibus tenet medium corruptibilium et incorruptibilium;
propter quod recte a philosophis assimilatur orizonti, qui est medium duorum emisperiorum» (Monar-
chia III, XV, 3). Il primo a declinare in senso antropologico la proposizione 2 del Liber de causis pare
sia stato Alano di Lilla (De fide catholica contra haereticos I, 30).
30
B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, cit., p. 194.

STUDI DANTESCHI 61
Alessandro Raffi

Quando Mosè incontra Tolomeo: il Primo Mobile e le «acque celesti»

Per l’autore del Convivio, impegnato a dimostrare che il sistema del sapere è an-
corato a una base ontologica, il Primo Mobile costituisce il presidio dell’ordine co-
smico, allo stesso modo per cui l’Etica funge da chiave di volta dell’intero sistema
curriculare. In assenza della nona sfera, la virtus informativa con cui i cieli modella-
no la terra «sarebbe indarno». Ma la natura non fa niente invano. L’Arte del sommo
Opifex ha pianificato ogni cosa secondo un ordine riconoscibile da chiunque sia di-
sposto a seguirne gli indizi disseminati in ogni ambito della realtà fisica. È interes-
sante rilevare che il sintagma «sarebbe indarno» ritorna nella protasi del canto X del
Paradiso, in un contesto concettuale identico, benché segnato da una differenza di
contenuto. Nell’appello al lettore che si sviluppa dall’incipit fino al verso 27, il fon-
damento dell’ordine cosmico che garantisce alla virtù dei cieli una costante efficacia
causale sulle potenze della materia, non è più attribuito al Primo Mobile, bensì alla
provvidenziale inclinazione, poco più di 23 gradi, tra l’equatore celeste e l’arco del-
l’eclittica. Se i due cerchi fossero complanari, o se l’inclinazione fosse anche di po-
co maggiore o minore, «molta vertù del ciel sarebbe indarno / e quasi ogne potenza
qua giù morta» (Paradiso X, vv. 17-18). Come già nel Convivio, anche in questo ca-
so la perfezione dell’universo è strettamente legata al fatto che anche la minima por-
zione di virtù informativa di cui sono dotati i cieli è destinata ad andare a segno nel
mondo inferiore. Ordine gerarchico e piena efficienza delle forze produttive astrali
sono come due facce della stessa medaglia. E nelle parole con cui l’Auctor si rivolge
al lettore, ecco affiorare nuovamente l’immagine dell’albero cosmico: «Vedi come
da indi si dirama / l’oblico cerchio ch’e pianeti porta» (Ivi, vv. 13-14, corsivo mio).
Si dirama: «cioè si diparte come ramo d’albero», chiosa, un esempio fra tanti, Cri-
stoforo Landino31. Solo in virtù dell’inclinazione tra piano dell’eclittica ed equatore
celeste, il Sole può valere come «ministro maggior de la natura» (Ivi, v. 28), fungere
da misura del tempo e sigillare la «mondana cera» (Paradiso I, v. 41). Rispetto alle
dottrine esposte nel Convivio, i canti del Paradiso fanno slittare il ruolo del Primo
Mobile dal piano fisico-cosmologico al piano metafisico-teologico: la funzione or-
dinatrice della nona sfera, esaltata nel trattato in volgare, viene trasferita al movi-
mento del Sole lungo l’eclittica, sulla scia di quanto ha insegnato Aristotele nel De
generatione et corruptione (II, 10)32. Nel Paradiso il Primo Mobile assolve alla fun-
zione di supremo regolatore del calendario in quanto radix temporis, e di vestibolo
dell’Empireo in quanto «miro e angelico templo / che solo amore e luce ha per con-
fine» (Paradiso XXVIII, vv. 53-54). Per l’elevato grado di rarefazione che contrad-
distingue la stoffa eterea di cui è costituito, il Primo Mobile continua a configurarsi

31
C. Landino, Comento sopra la Comedia, a cura di P. Procaccioli, Roma, Salerno Editrice, 2001,
t. IV, p. 1710.
32
Della provvidenziale torsione dell’eclittica rispetto al cerchio dell’equatore, Dante aveva già
parlato in Convivio III, v 13. Su questo tema cfr. P. Boyde, L’uomo nel cosmo. Filosofia della natura e
poesia in Dante, cit., pp. 257-262.

62
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia

come un equivalente cosmologico della terza ipostasi dei neoplatonici. La figura


dell’Anima mundi rimane un costante punto di riferimento, ma stavolta il modello è
ricavabile meno dal Timeo che dal Liber de causis. Se il dialogo platonico identifica
nell’anima cosmica l’ente attraverso il quale il Demiurgo ha garantito stabilità al-
l’ordine mondano, nel libello pseudo-aristotelico l’accento cade piuttosto sulla sua
natura intermedia e quasi ibrida, «al di sotto dell’eternità» e «al di sopra del tempo».
È questo, forse, l’elemento che permette a Dante il successivo innesto della metafora
arborea. E anche nel Paradiso, come già nel Convivio, assistiamo a un processo di
«demitologizzazione»: per un cristiano il corpo dell’universo si configura come una
macchina senz’anima, un insieme di strumenti di lavoro nelle mani delle intelligen-
ze motrici, come diranno a più riprese, prima di Dante, Egidio Romano, Alberto Ma-
gno, Tommaso d’Aquino. Non più vivificata da un’anima, la natura si regge su un
meccanismo di cause ed effetti finalisticamente orientato, ma ormai completamente
«disincantato». Al contrario dell’anima cosmica, il Primo Mobile non è che un in-
granaggio dell’immane machina mundi. Senza il passaggio dalle cosmologie timai-
che della Scuola di Chartres alla scienza greco-araba affermatasi con la diffusione
dei Libri Naturales di Aristotele, questo processo non sarebbe stato possibile. Da
questo punto di vista, la riflessione di Dante si inserisce a pieno titolo nel processo di
assimilazione della scientia peripatetica iniziata in Europa sul finire del XII secolo.
Ed è a partire da queste basi che Dante può finalmente comporre Mosè con Tolomeo
identificando il Primo Mobile con le «acque celesti» poste sopra il firmamento di cui
parla Genesi 1, 7.
Nella sezione iniziale della dissertazione cosmogonica di Beatrice, dedicata al
problema dell’origine degli angeli, la guida fa riferimento alla natura extratemporale
della creazione in principio:

«Non per avere a sé di bene acquisto,


ch’esser non può, ma perché suo splendore
potesse, risplendendo, dir “Subsisto”,
in sua etternità di tempo fore,
fuor d’ogne altro comprender, come i piacque,
s’aperse in nuovi amor l’etterno amore.
Né prima quasi torpente si giacque;
ché né prima né poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest’acque».
(Paradiso XXIX, vv. 13-20)

La creazione è un atto di apertura ontologica che scardina la chiusura autorefe-


renziale dell’eternità. Sul dio aristotelico, «motore immobile» e «pensiero di pensie-
ro», si innesta il cristiano Deus Amor che si apre all’alterità del creato per un atto di
amore infinito e gratuito. Evocando «lo discorrer di Dio sovra quest’acque», Beatri-
ce fonde due passi del Genesi: il verso 20 è un evidente calco di Genesi 1, 2 («et spi-
ritus Dei ferebatur super aquas»); la presenza del dimostrativo deittico «quest’ac-
que», in riferimento al luogo in cui si trovano Dante e Beatrice, rimanda invece alle

STUDI DANTESCHI 63
Alessandro Raffi

«acque celesti» sopra il firmamento descritte in Genesi 1, 6-7, un locus communis, o


per meglio dire una crux, oggetto di una secolare diatriba teologica33. L’uso del deit-
tico «quest’acque», se da un lato conferisce particolare enfasi allo scenario astrale
che fa da sfondo alla dissertazione, d’altro canto sembra destinato a sigillare
l’accordo fra scienza aristotelico-tolemaica e dottrina biblica.34 Il discorrere del Ver-
bo, Parola creatrice ex nihilo, non conosce «prima e poscia», termini che rinviano
esplicitamente alla già citata definizione del tempo presente nel IV libro della Physi-
ca di Aristotele. Il «procedere» della Parola non si scandisce lungo una serie di mo-
menti cronologicamente distinti, essendo l’atto con cui l’Eternità dà origine al tem-
po. Le parole di Beatrice sembrano quasi suggerire che «lo discorrer di Dio sovra
quest’acque» si sia attuato quando il Primo Mobile era già stato creato. Inoltre, per
sigillare in un’immagine l’istantaneità dell’atto creativo, Dante paragona il Verbo
divino al diffondersi di un raggio di luce in un cristallo, un palese riferimento alla
caratteristica della nona sfera:

«E come in vetro, in ambra o in cristallo,


raggio resplende sì, che dal venire
a l’esser tutto non è intervallo,
così ’l triforme effetto del suo sire
ne l’esser suo raggiò insieme tutto,
sanza distinzïone in essordire».
(Paradiso XXIX, vv. 25-30)

L’irradiarsi della Parola proferita in principio è istantaneo e senza «intervallo»,


allo stesso modo con cui un raggio di luce si propaga all’interno di un mezzo vitreo.
Al di là della metafora, Dante vuol forse intendere che il raggio della Luce divina si
è letteralmente irradiato attraverso il corpo della nona sfera? In ogni caso, i versi in
questione tornano a sottolineare la natura ontologicamente stratificata del Primo
Mobile. Dal punto di vista fisico-cosmologico, il Cristallino costituisce l’estremo li-
mite di rarefazione della materia, in quanto sfera celeste completamente diafana che
non reca alcun corpo di densità maggiore rispetto alla sfera stessa. Sotto il profilo lo-

33
«Et dixit deus: fit firmamentum in medio aquae et sit dividens inter aquam et aquam. Et sic est
factum. Et fecit Deus firmamentum et divisit inter aquam quae erat sub firmamento et aqua quae erat
supra firmamentum» (Genesi 1, 6-7). Sui commenti di Agostino di Ippona a questo passo biblico, e sul-
la loro storia degli effetti in epoca altomedievale e oltre, si veda il bellissimo volume di E. Moro, Il con-
cetto di materia in Agostino, Roma, Aracne Editrice, 2017.
34
B. Nardi, Nel mondo di Dante, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1944, pp. 307-313. Sui
possibili riferimenti a Ovidio e Virgilio, sottesi ai versi in questione, cfr. la lectura di Piero Boitani, in
Aa.Vv., Lectura Dantis Turicensis, a cura di G. Güntert e M. Picone, Paradiso, Firenze, Franco Cesati
Editore, 2002, p. 445. Nella stessa pagina, l’Autore ricorda opportunamente che il «discorrer di Dio so-
vra quest’acque» può esser messo in relazione con il Liber de causis: «Occorre aggiungere che nel
Convivio (III VII 3) Dante cita il Liber de causis per affermare che “la prima bontade manda le sue bon-
tadi sopra le cose con uno discorrimento”: la parola “discorrimento” sostituisce l’originale “influxio”.
Ancora una volta, Dio discende in tutte le creature per mezzo del “discorrer” […]».

64
Il Primo Mobile in Dante: un itinerarium mentis tra fisica, metafisica e teologia

gico-metafisico, questo «mantello» dell’universo accoglie l’essere di ogni genere o


specie esistente, identificandosi esso stesso con il puro essere, un trascendentale an-
teriore ad ogni sorta di differenziazione. Sotto il profilo teologico, il Primo Mobile si
identifica con le «acque celesti» sopra il firmamento evocate nel racconto esamero-
nale, in una mirabile concordia tra sacra pagina e scientia stellarum. La «diapha-
neitas» del Primo Mobile, associata alla trasparenza delle acque terrene, fu l’ele-
mento che permise ai Dottori della Chiesa di identificare la nona sfera postulata da
Alpetragio con le acque siderali di Genesi 1,7. Come già segnalato dal Nardi, un
ruolo decisivo lo ebbe Alberto Magno, prima ancora del discepolo Tommaso35. In
questo complesso itinerarium mentis tra fisica, metafisica, e teologia, si riconosce
uno dei tratti salienti del pensiero dantesco. Un pensiero in continuo movimento, un
pensiero, diremmo, costitutivamente «pellegrinante», dove misticismo e razionali-
smo, lungi dal contrapporsi come momenti di un’antinomia irriducibile, si bilancia-
no a vicenda, in un’armonia che non ha nulla di prestabilito, ma è sempre il frutto di
una fatica intellettuale volta a superare gli opposti estremismi del cosiddetto aristo-
telismo radicale e dell’agostinismo più decisamente anti-aristotelico.

35
B. Nardi, Nel mondo di Dante, cit., p. 312.

STUDI DANTESCHI 65
MISTO
Da fonti gestite
in maniera responsabile

Questo volume è stato stampato da Rubbettino print su carta ecologica certificata FSC®
che garantisce la produzione secondo precisi criteri sociali di ecosostenibilità, nel totale rispetto
del patrimonio boschivo. FSC® (Forest Stewardship Council) promuove e certifica i sistemi
di gestione forestali responsabili considerando gli aspetti ecologici, sociali ed economici

Stampato in Italia
nel mese di ottobre 2019
da Rubbettino print per conto di Rubbettino Editore srl
88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)
www.rubbettinoprint.it
60/61
Campi

immaginabili
immaginabili

Campi
RIVISTA SEMESTRALE DI CULTURA 60/61

€ 50.00

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