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Maria Francesca Cuccu, La "musica sognata" di Claude Debussy, in "XÁOS.

Giornale di confine",
Anno II, N.3 Novembre-Febbraio 2003/2004

[...] La musica di Debussy giunge alle nostre orecchie in maniera delicata, senza rumore, e
lievemente ci lascia il silenzio. Jarocinski parla della sua musica come una musica transdiscorsiva:
"La musica non comincia e non finisce. Emerge dal silenzio, si impone senza preliminari, in medias
res, poi, interrompendo il suo corso, continua a tessere la sua trama nel nostro sogno" (1). L'uso
del silenzio è un'altra delle grandi innovazioni della musica debussiana. "Debussy cerca di afferrare
l'istante a partire dal quale il silenzio diventa musica" (2). Il silenzio è per Debussy una struttura
musicale di pari importanza del suono, come per Mallarmé lo erano gli spazi bianchi in luogo di
parole, congiunzioni e segni di interpunzione. Ancora Jankélévitch studia la funzione del silenzio
nella musica di Debussy: "Quando la parola è impotente ad esprimere, quando le parole ci
mancano, quando l'ambiguità infinita del senso rifiuta di essere contenuta nel linguaggio, allora è
tempo di cantare; allora, nel silenzio delle parole, gli oboi d'amore delle Gigues tristes e la divina
musica di Parfums de la nuit innalzano la voce per dire, nessuno sa come, quello che essi soltanto
sanno dire, e per sussurrare all'orecchio della nostra anima le cose indicibili" (3).
"La musica testimonia il fatto che l'essenziale in tutte le cose è NON SO CHE (charme)
d'inafferrabile e d'ineffabile; essa rafforza in noi la convinzione che, ecco, la cosa più importante del
mondo è proprio quella che non si può dire" (4). Si ha quindi un uso simbolico del silenzio, come
allusione all'inesprimibile: "il silenzio è buon conduttore: trasmette all'uomo i sottintesi nascosti
sotto le cose dispiegate e fa giungere fino a lui le voci del mistero universale" (5).
Lo stesso Debussy disse: "la musica inizia là dove la parola è incapace di esprimere, la musica è
destinata all'inesprimibile; vorrei che uscisse dall'ombra e che, in certi momenti, vi rientrasse, che
fosse sempre discreta" (6). "In Debussy la musica sorge dal silenzio, come a volerlo
provvisoriamente interrompere o sospendere. L'Isola gioiosa, in quanto isola sonora su un mare di
silenzio, isola di canti e risa e cimbali risonanti, non poteva essere che una chimera debussyana
perché per Debussy appunto il giubilo costituisce un innesto in pieno non-essere, una parentesi del
nulla" (7). Il silenzio si confronta col mistero dell'esistenza. In Pelléas et Mélisande si fa ben chiara
la sottile vicinanza tra l'esistere, l'essere, e il morire, il non essere. La preoccupazione di animare
questi personaggi da vetrata, da lanterna magica o da tappezzeria, fa toccare con mano a Debussy,
il vuoto, il nulla della creatura umana, questo nulla di cui è fatta. "Alla fine del V atto,
l'inconsistente Mélisande dispare in un mormorio: la quasi inesistente cessa di esistere del tutto
(...) Mélisande si dissolve nel silenzio, come nube e brezza leggera, come l'alito della notte,
l'impalpabile, l'imponderabile Mélisande si va sfacendo, dissolvendo, annichilendo e ritorna al non
essere" (8).
"Debussy coglie l'ultimo soffio della vita sulla soglia stessa che separa l'essere dal non essere. I suoi
silenzi e le sue pause vengono talvolta come dall'altra riva" (9). Per Jankélévitch però non c'è
possibilità di decifrazione di questo mistero: l'inafferrabile rimane inafferrato, l'inesprimibile non
detto e l'invisibile non visto: "afferrare il mistero che la musica ci fa intravedere è una scommessa
impossibile" (10). In Philosophie première Jankélévitch scrive che la musica è come il volto Dio ( un
abisso inattingibile) che non può essere guardato perché chi lo vede muore. La musica di Debussy
vuole essere così: non spiegata, non decifrata, portatrice di messaggi che non devono
necessariamente essere intesi e il cui "significato è ancora molto lontano dall'essere esaurito" (11).
"Sappiate con certezza, che una veridica impressione di bellezza non dovrebbe provocare altro
effetto che il silenzio!...insomma, siate sincero, vi è mai venuto in mente di applaudire assistendo al
quotidiano , magico spettacolo del tramonto del sole?" (12) In una lettera all'amico Chausson,
riguardo Pelléas et Mélisande, Debussy scrive: "sono andato a cercare la musica dietro tutti i veli
che accumula, ne ho riportato qualcosa che forse piacerà a voi, quanto agli altri non me ne
importa; mi son servito, del tutto spontaneamente, di un mezzo che mi sembra raro, vale a dire del
silenzio (non ridete) come un mezzo di espressione e forse come del solo modo di far valere
l'emozione di una frase (...) Il silenzio è una bella cosa e Dio sa che le battute vuote di Pelléas
testimoniano il mio amore per questo tipo di emozione" (13). La parola in Pelléas et Mélisande è in
funzione del silenzio, un silenzio carico di significati. In quest'opera si percepisce il tremito con cui
un'anima confida ad un'altra i suoi più cari segreti, e certe cose non si possono dire ad alta voce
perché a gridarle si sciupano. Uno dei personaggi, il vecchio Arkel, dice in conclusione, "bisogna
parlare a voce bassa. L'anima umana è silenziosissima". "Nel 1° quadro del III atto, la grande scena
tra Pelléas e Mélisande affacciata alla finestra di una torre del castello, viene recitata per tutta la
sua durata, malgrado una grandissima tensione emotiva, con un accompagnamento orchestrale
pianissimo.
Wagner, per non citare che lui, qui avrebbe spinto l'orchestra al delirio, in modo da far sapere a
tutti i sentimenti che agitano gli eroi. Nella scena della fontana Debussy va ancora più oltre: nel
momento in cui Pelléas e Mélisande si dichiarano il loro amore, l'orchestra, che fin qui suonava
forte, tace, poi riappare con un uscendo dall'ombra pianissimo, per accompagnare il recitativo
(recitativo e non aria, il che è molto significativo!) di Pelléas" (14). In quest'opera e in tutte le
composizioni per canto di Debussy, il registro acuto non corrisponde quasi mai con un'emissione in
forte. La massima energia si effonde nel registro medio-acuto, per poi svanire, anziché esplodere
verso l'acuto, per évaporer. Se si sfogliano le partiture di tutte le composizioni ci si accorge che
sono costellate di espressioni che rendono il senso di estinzione della musica: cancellandosi,
allontanandosi, svanendo, perdendosi, indebolendosi, estinto, appena, pianissimo (pp) dolce
lontano, quasi più nulla, pppp (pianissimissimo). "Debussy giunge alla soglia che dà accesso al
niente finale graduando all'infinito le sfumature dell'impercettibile e attenuando i decrescendo,
sino al punto in cui il quasi-niente e il niente sembrano divenire indiscernibili" (15).

(1) S. Jarocinski, Debussy.Impressionisme et symbolisme [ed. it. Debussy. Impressionismo e simbolismo, trad. di Maria Grazia
d'Alessandro, La Nuova Italia, Firenze 1999. p. 66].
(2) V. Jankélévitch, La Musique et l'Ineffable [ed. it. La musica e l'ineffabile, a cura di E. Lisciani-Petrini, Bompiani, Milano 1998], p.
122
(3) V. Jankélévitch, Il Debussy di Stefan Jarocinski, prefazione a Debussy impressionismo e simbolismo, cit. p. XV
(4) V. Jankélévitch e Berlowitz, Quelque part dans l'inachevé, Gallimard, Paris 1978. p. 247
(5) V. Jankélévitch, La musica e l'ineffabile, cit. p. 113
(6) E. Lockspeiser, Debussy His life and mind [ed. it. Debussy La vita e l'opera, trad. di Domenico de' Paoli, Rusconi, Milano 1983]
(7) V. Jankélévitch, La musica e l'ineffabile, cit. p. 115.
(8) V. Jankélévitch, La musica e l'ineffabile, cit., pp. 114-123
(9) S. Jarocinski, Debussy.Impressionisme et symbolisme, cit. p. 175
(10) V. Jankélévitch e Berlowitz, Quelque part dans l'inachevé, cit. p. 248
(11) V. Jankélèvitch, Debussy et le mystere, Editions de la Baconniére, Neuchatel 1949, p. 248
(12) C. Debussy, Monsieur Croche antidilettante, trad. e note di Luigi Cortese con uno scritto di Pierre Boulez, Saggi e documenti
del '900 SE SRL, Milano 2000 , cit. p. 11
(13) E. Lockspeiser, Debussy His life and mind, cit.
(14) S. Jarocinski, Debussy.Impressionisme et symbolisme, cit. p. 153
(15) V. Jankélévitch, La musica e l'ineffabile, cit. p. 122

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