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DIMITRI SCIOSTAKOVIC

Nato a Pietroburgo nel 1906, fu avviato allo studio del pianoforte dalla madre, che riconobbe delle
eccellenti doti musicali. Iscritto al conservatorio di Pietroburgo, si diplomò nel 23 in pianoforte e nel 25 in
composizione, presentando come saggio conclusivo la sua Prima sinfonia, composta quindi a soli 19 anni, e
che riscosse subito un notevole successo, anche internazionale. Ha inizio così la carriera di compositore,
costellata da numerosi riconoscimenti sia nazionali che internazionali, ma che nel suo paese conobbe anche
dei momenti difficili, dato che alcune sue opere non erano in linea con l’estetica del realismo socialista,
come ad esempio la Lady Macbeth del distretto di Mtsensk, del 1930, che fu attaccata duramente in un
articolo della Pravda intitolato “Caos anziché musica”, e poi anche successivamente accusato di formalismo
all’epoca degli attacchi di Zdanov nel 1948. Detto questo, il compositore ebbe comunque vari incarichi
all’interno e ai vertici delle organizzazioni sovietiche dei compositori e di altre organizzazioni politiche.
Dopo la fine dello stalinismo, egli si lasciò andare a delle critiche al sistema passato e alle pressioni subite,
che tra l’altro sono contenute nel suo libro di memorie raccolte da Solomon Volkov in occidente.

Nella sua produzione si sono individuate tre fasi creative, la prima più sperimentale e innovativa, che
culmina con la quarta sinfona e la Lady Macbeth, la seconda in cui l’autore rientra nei ranghi del formalismo
sovietico, periodo caratterizzato da sinfonie dall’impianto grandioso, dal recupero della tradizione del
passato e dal ripiegamento in un ambito privato nelle composizioni da camera, la terza e finale dominata
invece dalla presenza quasi ossessiva del tema della morte, declinato in varie forme e maniere compositive.
In realtà il tema della morte è presente un po’ dappertutto nell’opera del compositore, sia in maniera
velata che sotto forma di commemorazione per i caduti nelle varie rivoluzioni e guerre, non bisogna
dimenticare che la Russia ha pagato un tributo di circa 50 milioni di vittime dalla rivoluzione del 1917 alle
purghe staliniane e alla seconda guerra mondiale, e questo Sostakovic lo aveva ben presente poiché vissuto
proprio in quel periodo.

Dal punto di vista stilistico, la sua opera muove sia dalla tradizione classica e tardo romantica da Beethoven
e soprattutto Mahler, alle recenti innovazioni introdotte da Stravinskij e co. In realtà il suo linguaggio
musicale è fortemente ancorato alla tradizione, reinterpretata però alla luce di una sensibilità sia legata alle
origini slave sia personale molto spiccata, in cui si alternano slanci dai toni umoristici e ironici e anche
graffianti, ad altri più pensosi e desolati, quasi spenti e disperati. L’armonia muove da accordi tradizionali
per inoltrarsi in ambiti politonali e dissonanti in assoluta libertà, e nella ultima produzione affronta anche
tecniche dodecafoniche.

Le quindici sinfonie, assieme ai quindici quartetti per archi, testimoniano la fedeltà dell’autore a dei generi
di ascendenza classica e romantica reinterpretati con sensibilità novecentesca, e assieme scandiscono le
varie fasi della produzione del compositore, dalle prime prove giovanili alle ultime testimonianze scritte
poco prima della morte. Emblematico in tal senso è l’ultimo quartetto, scritto utilizzando solo tempi lenti,al
modo delle ultime parole di Cristo di Haydn, una lunga meditazione sulla morte affrontata con un dolore
lucido e senza speranza.

GLI SCHERZI DELLE SINFONIE DI SOSTAKOVIC

Si è scelto di trattare alcuni scherzi tratti dalle sinfonie dell’autore, perché in qualche modo rappresentano
degli elementi tipici della scrittura del nostro, spigolosa, ironica, a volte drammatica, a seconda del
momento della composizione e della sua destinazione .
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Partiamo dalla Prima sinfonia, composta come si è detto a 19 anni, in cui la personalità dell’autore si mostra
già abbastanza definita. Nello scherzo, messo in seconda posizione come in Borodin, emergono i disegni
percussivi del pianoforte e le frasi spigolose e beffarde del clarinetto e del fagotto, mentre gli echi popolari
russi, che emergono nel trio, assomigliano a certe melodie di Prokofiev. L’andamento generale è del tutto
novecentesco, con la sua scheletricità e spigolosità generale, e l’energia accumulata esplode nella parte
finale, dominata dagli ottoni punteggiati dalle percussioni. Il tutto si spegne poi velocemente nel silenzio.
Nella quinta sinfonia, che vede il ritorno dell’autore a una concezione più classica, lo scherzo, anche qui
posto in seconda posizione, è sotto forma di valzer, dagli accenti popolareschi e quasi da cabaret, con degli
effetti umoristici caratteristici dell’autore. La strumentazione, anche qui molto originale, privilegia da una
parte gli archi e dall’altra i fiati, legni soprattutto, con degli esiti molto particolari. Il tono generale risente
dell’influenza mahleriana, ma in una versione meno elegante del modello e più parodistica.

Dalla sesta sinfonia, gli scherzi cambiano fisionomia, si staccano dall’influsso mahleriano per assumere
connotati particolari, ad esempio movenze orientaleggianti nello scherzo della sesta sinfonia. Nell’ottava
invece, la seconda delle sinfonie di guerra dopo la settima detta “di Leningrado” perché composta durante
l’assedio della città durante la seconda guerra mondiale, gli scherzi sono addirittura due, uno dopo l’altro in
seconda e terza posizione, e sono ambedue delle specie di macchine da guerra, implacabili nel loro
andamento inarrestabile; soprattutto il secondo, con le sue figurazioni di semiminime agli archi punteggiate
dagli interventi degli ottoni, dà l’idea di una macchina bellica in pieno movimento, fredda e inarrestabile.
L’estetica delle sinfonie di guerra è in questo pienamente riconoscibile.

La decima sinfonia occupa un posto particolare nella produzione dell’autore, in quanto fu


composta otto anni dopo la nona, nel 1953, in pochi mesi dopo la morte di Stalin. Essa gli è in
qualche modo dedicata, secondo la testimonianza del compositore, che a quanto pare volle
raffigurare proprio nello scherzo la ferocia del dittatore. Inoltre in tutta la sinfonia è presente il
motto Re-Mib-Do-Si in cui si annidano le inziali del proprio nome e cognome D.Sch., come se
fosse una affermazione della propria personalità artistica nella sinfonia. Lo scherzo è costruito
su una sorta di contrappunto arcaico, quasi un mottetto tardo-medievale in cui, al posto delle
melodie, si sovrappongono blocchi sonori intagliati su calchi di melos russo. Sembra un gioco a
incastri che ha qualcosa di incalzante e pericoloso. Percussioni, ottoni, legni all’acuto ed archi
ben dfferenziati nel gioco dei piani acustici, partecipano a questa ridda che finisce brutalmente
com’era iniziata.

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