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ZITTI E MUTI - L' IRA DEL MAESTRO CONTRO I

DIRETTORI IMPROVVISATI E VESTITI DA


PELLEROSSA CON BORCHIE E STIVALETTI - LE
REGIE? ORA SI AFFIDA TUTTO A QUALCHE
IMBECILLE CHE STRAVOLGE IL LIBRETTO E
INVENTA UNA STORIACCIA INFAME”
06.11.2015 13:57

Giuseppina Manin per il “Corriere della Sera”


 
Ci voleva Toscanini per far tornare Riccardo Muti a Milano. Occasione l' inaugurazione dell'
esposizione permanente al Conservatorio di oggetti e ricordi del grande maestro, simbolo indiscusso
della Scala.
 
Un tesoro salvato e donato alla città grazie a un comitato di privati guidato proprio da Muti. Che di
tasca sua ha voluto offrire il pezzo più simbolico, il frac di Toscanini. Per Muti, dopo il tempestoso
addio con la Scala del 2005, un rientro festoso in una delle principali istituzioni milanesi, là dove
oltre mezzo secolo fa lui aveva studiato composizione con Bruno Bettinelli e direzione d' orchestra
con Antonino Votto.
 
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«Milano e il Conservatorio sono due elementi fondanti della mia attività artistica» ricorda il
maestro, arrivato insieme con il sovrintendente Alexander Pereira. Che da tempo lo corteggia per
riportarlo alla Scala.
 
Su questo punto i due non si sbilanciano ma ammiccano. «Un concerto non basta certo per un nome
come il suo», si lascia sfuggire Pereira. E Muti, un po' sornione, su un suo prossimo ritorno ci
scherza su citando il Padre Guardiano de La forza del destino : «Chi può legger nel futuro?».
 

Ma a guardar bene nella sfera di cristallo, sembra proprio che un' opera alla Scala lo stia
aspettando. Forse un titolo della trilogia Mozart-Da Ponte? O di quel repertorio napoletano a lui
tanto caro? Chissà.
 
Intanto la conversazione su Toscanini dà spunto al maestro per qualche frecciatina. Per esempio
sulla moda di invitare nei teatri, anche nei più prestigiosi, direttori «improvvisati».
 

«Toscanini, diplomato in violino, pianoforte, composizione, ci insegna che bisogna avere una
grande formazione musicale prima di alzare il braccio. Una lezione purtroppo dimenticata. Oggi i
direttori spuntano come funghi. Quando un cantante non ha più voce, un flautista non ha più fiato,
ecco che prende in mano la bacchetta.
 
Eppure la mancanza di preparazione è uno dei grandi problemi dei teatri oggi. Vero Alexander?»
chiede a Pereira, che abbozza un sorriso un po' tirato. «Non basta - incalza Muti -, i cantanti si
lamentano di non ricevere più dal direttore le indicazioni necessarie. La prima vera traccia di regia è
musicale, mentre ora si affida tutto a qualche imbecille che stravolge il libretto e inventa una
storiaccia infame, declassando la musica a colonna sonora».
 

Ogni riferimento a allestimenti stravaganti non è casuale. Ma anche sulla preparazione dei cantanti
ha da ridire. E Toscanini è di nuovo la pietra di paragone. «Per il Falstaff aveva in mente un giovane
baritono, Mariano Stabile. Chiamò Votto: "Preparamelo per sei mesi poi portamelo a casa mia, in
via Durini, per l'audizione".
 
Così avvenne, e Toscanini confermò la sua idea che quella era la giusta voce. "Lavori ancora sei
mesi con il maestro Votto e poi ci vediamo a teatro", gli disse congedandolo. Oggi con la musica si
corre, allora si scavava. E questo era un tratto distintivo della nostra scuola italiana. Che era grande
proprio per la profondità di lettura e l' accuratezza nei dettagli».
 
Rigore e inflessibilità, come voleva Toscanini. «La vera italianità è questa, non l' approssimazione o
il dilettantismo. La musica non ha confini, ma le radici sono fondamentali. Non dobbiamo mai
scordarcele». Infine, il fantasma del frac batte un colpo.

 
«È vero, ci fa sentire un po' pinguini ma è la nostra tenuta da lavoro. Ci ricorda che la forma è
contenuto e l' abito fa il monaco. Quel frac di Toscanini è importante perché lì dentro ogni sera lui
racchiudeva il suo corpo. Quel panno nero, quello sparato bianco, quella fascia che ti stringe la vita
e ti impaccia un po', sono intrisi dal suo sudore, dalla sua passione, dalle sue ire furibonde.
Trasmettono emozioni e evocano ricordi. Mai oserei indossarlo...
 

Ma il frac sta sparendo. I nuovi direttori non lo usano più, ormai salgono sul podio in tutti i modi,
persino vestiti da pellerossa, con borchie e stivaletti… I tempi sono cambiati, forse il frac è
obsoleto. Ma il decoro no. Sia per il maestro sia per il pubblico. Non è una stoccata a te, Alexander»
ride alludendo alle recenti maglie larghe scaligere in fatto di abbigliamento. «Il fatto è - conclude
serio - che il rispetto reciproco passa anche dal vestito».

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