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LO SVILUPPO DELL’ IDENTITÀ E IL SÉ CORPOREO

Niccolò Cattich

L’unità dell’individuo
L’esperienza della propria identità coinvolge e comprende sempre la corporeità che ne costituisce
parte integrante: l’identità psichica e somatica sono in un rapporto di connessione inestricabile. Da
ciò ben si comprende come tutto ciò che mette in pericolo l’identità psichica di un individuo altera e
modifica anche il senso di identità corporea, somatica, anche fisionomica, essendo il vissuto
somatico1 il pilastro portante dell’esperienza quotidiana della nostra identità.
Pensiamo ad esempio alla realtà schizofrenica, che rappresenta anche il livello estremo di
sofferenza a riguardo: lo sfaldarsi del senso di identità è un fenomeno psicofisico; il vissuto
somatico è portatore, quanto quello psichico, dei fenomeni di depersonalizzazione2, di
estraneamento, di artificiosità, del vissuto persecutorio di influenzamento, della perdita dei confini e
dei limiti del corpo/contenitore. Il soggetto perde il sentimento di appartenenza dei propri pensieri e
del proprio corpo; il deterioramento e la deformazione coinvolgono indissolubilmente anche
l’esperienza corporea. La frammentazione3 riguarda infatti anche la percezione del corpo: alcuni
organi possono completamente autonomizzarsi, altri assumono nuove funzioni, altri annullarsi, altri
cambiare la loro posizione naturale.
Ciò che appare rilevante nell’esperienza schizofrenica è proprio il dissolversi del senso dell’identità
corporea oltre che psichica. Ai fenomeni che denunciano la disgregazione dell’identità psichica si
associano massicci fenomeni di depersonalizzazione dell’identità somatica4. La dissoluzione
dell’identità trova nella patologia del vissuto corporeo una conferma diretta, soprattutto quando vi
sono vissuti di metamorfosi che implicano indegnità e vergogna.
La permeabilità delle barriere percepita dai pazienti riguarda anche la sottrazione del senso di
proprietà del proprio corpo: il soggetto subisce un processo di deterioramento della propria
esperienza somatica (qualche volta fino alla dissoluzione della forma umana). Nulla è più naturale e
comprensibile, anche il proprio corpo assume forme ripugnanti.
Anche senza però giungere a tale estremo, l’essere umano deve essere compreso nella sua unità in
quanto un tutto unico, indivisibile e irripetibile (unità psicosomatica): “Se si strappa solo uno dei
fenomeni dal suo insieme, esso sarà per sempre frainteso. Le singole note non ci dicono nulla se noi

1
L’aggettivo somatico è relativo al corpo, che in greco si dice soma
2
Esperienza patologica in cui si ha la sensazione che di stare al di fuori del proprio corpo
3
Si utilizza questo termine in psichiatria per definire la devastante percezione di disintegrazione del proprio Sé nella
Schizofrenia e nelle psicosi in genere
4
Clara F. Muscatello (1999): Psicopatologia della schizofrenia. Prospettive metodologiche e cliniche. Raffaello
Cortina Editore, Milano

1
non conosciamo la melodia di cui fanno parte”5. Il corpo e la mente sono manifestazioni della vita
nella sua totalità e, solo all’interno di questa totalità, è possibile comprendere i loro reciproci
rapporti e influenze. Il senso della vita della persona è colto nello spazio psichico interno ed esterno.
Uno dei concetti fondamentali che sostengono il lavoro attraverso il corpo e il movimento è proprio
quello dell’indivisibilità del rapporto tra psiche e corpo: la persona costituisce un’unità somatica,
psichica e sociale articolata e inscindibile sempre in connessione con gli altri individui. L’unità
quindi riguarda sia il rapporto corpo-psiche ma anche il rapporto tra le attività e le funzioni siano
esse psichiche che corporee6. Ogni organismo è un sistema, un ordine dinamico di parti e di
processi tra cui si esercitano interazioni reciproche. L’uomo è da cogliere nella sua totalità come
un’unica realtà, inserita in un contesto sociale con un proprio piano prospettico, non come costituito
da entità separate conscio/inconscio, psichico/biologico, biologico/sociale in lotta tra loro.
L’individuo è un’unità coerente, unificata e unica in un insieme unificato le cui parti collaborano
tutte in funzione di un fine comune 7.
Il processo psichico agisce sul corpo dal momento che i sentimenti, le emozioni sono in relazione
con l’equilibrio fisico. Allo stesso tempo il corpo influenza i processi psichici: “Il corpo di
qualcuno non esprime costantemente il suo stato mentale? E viceversa, l’esperienza corporea di
qualcuno non influisce sul suo stato mentale? Non sembra importante che il processo sia attivato
dalla mente o dal corpo, le due condizioni d’essere continuano ad interagire tra loro e a
rinforzarsi”.8
Uno degli obiettivi principali della danzamovimentoterapia (DMT), e in genere delle tecniche a
mediazione corporea, è proprio quello di sviluppare il collegamento e l’integrazione corpo-psiche.
Nonostante l’esistenza di differenti approcci ognuno riconducibile a differenti metodologie e
tecniche, tutti sono accomunati dal principio dell’unità dell’individuo: ciò costituisce proprio la
base comune dei vari interventi. Anche la danza è intesa quale evento psicosomatico; è espressione
di parti di sé, è ampliamento delle potenzialità e possibilità, è recupero della propria identità. Nella
danza l’uomo è impegnato nella sua totalità.
L’integrazione corporea è basata sulle connessioni: tra il centro e la periferia, la testa e la coda, la
parte superiore e quella inferiore; tra il movimento e le emozioni; tra movimenti e atteggiamenti
psichici e le immagini; tra sé e gli altri; tra sé e il gruppo; tra interno ed esterno. Anche il lavoro
sull’alfabetizzazione corporea, sull’ampliamento delle possibilità di movimento non può che portare
ad una maggiore consapevolezza dell’esistenza di questo stretto legame e a facilitare il

5 Alfred Adler (1923): Fondamenti e progressi della Psicologia Individuale. Riv. Psicol. Indiv., 37: 11-24, 1995.

6
Tali funzioni comprendono la differenziazione e l’integrazione
7. Alfred Adler (1912): Il temperamento nervoso, Astrolabio, Roma, 1971.
8. Trudi Schoop (2007): Vuoi danzare con me? Pag.49 Edizioni del Cerro, Tirrenia (Pisa).

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collegamento. Per integrare, per riunire è necessario però anche differenziare: i processi di
integrazione e di differenziazione rappresentano due facce di un processo di crescita unitario9
I due processi sono interdipendenti: affinché le parti strutturali della personalità possano integrarsi è
necessario che prima emergano come fenomeni differenziati, compreso quindi anche il corpo, con
le sue funzioni, strutture, organi, i suoi significati. Ecco che nelle sedute di DMT diviene anche
importante poter lavorare settorialmente ad esempio sulla “parte minerale”, solida, che rimanda alla
stabilità, all’appoggio, alla struttura che contiene, allo scrigno che contiene la vita, sulle
articolazioni (che rimandano alle connessioni, ai legami, ai rapporti), sulla parte muscolare, e così
via. Inoltre lavorando sulla percezione delle varie parti del corpo (segmenti) si fa esperienza di
come ogni movimento abbia ripercussioni in tutto il corpo, creando un dialogo, un discorso.
Attraverso il movimento si possono riagganciare e riannodare i fili di un mondo sconnesso, sia
fisico che mentale. Non dimentichiamo che l’articolazione dei movimenti è analoga
all’articolazione delle idee e dei pensieri e che le nuove esperienze corporee possono creare nuove
esperienze mentali offrendo nuovo materiale all’individuo e a chi si prende cura di lui.
La DMT offre una possibilità, uno spazio e un tempo per favorire l’ascolto delle proprie sensazioni
corporee, delle diverse parti, della relazione tra di esse e tutto ciò contribuisce ad una maggiore
consapevolezza, e permette di riorganizzare, di mettere in gioco, le nostre strutture psichiche e i
nostri simboli, i nostri bisogni.
Ecco che emerge chiaramente il collegamento tra il movimento corporeo e il movimento psichico,
tra espressione corporea ed espressione emotiva. Ogni situazione vissuta corporalmente riguarda
inevitabilmente la forma corporea, la gestualità, l’affettività, l’immaginazione, insomma riguarda la
globalità. Mente e corpo non possono che dialogare, collaborare, integrare: la DMT offre esperienze
corporee che generano nuove esperienze mentali.
Gli approcci psicocorporei sono tutti caratterizzati dal fare, dall’agire, dal dar corpo alle proprie
esperienze e vissuti, ciò permette di riprendere contatto con noi stessi, con il nostro corpo, ma anche
con i nostri pensieri e con i nostri atteggiamenti interni. Si tratta, quindi, di un lavoro anche di
riorganizzazione simbolica e ciò può avvenire senza che l’individuo sia necessariamente cosciente
di ciò che si sta “giocando” in lui. L’esperienza del qui e ora è anche esperienza dell’emotività, del
modo di viversi, della percezione di se stessi, del modo di stare con gli altri, di proiettarsi nel futuro,
di rivivere, e quindi di ricostruire, il passato. Emergono così storie profondamente radicate che
cercano il modo di esprimersi per poter essere delicatamente accolte, sperimentate coscientemente,
e reintegrate alla identità della persona.10 L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la
malattia quale una “rottura dell’equilibrio tra differenti livelli fisico, mentale, psichico, sociale che

9. Harold F. Searles (1965): Scritti sulla schizofrenia. Boringhieri, Torino, 1974.


10. Liliana Luccini (2004): Il movimento autentico. Pedagogia clinica n° 09 pag 21-24

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costituiscono l’essere umano” : la DMT ha a che fare inevitabilmente con questi diversi fattori e per
questo costituisce uno strumento efficace per preservare, favorire, migliorare, aiutare e, qualche
volta, sviluppare questo delicato equilibrio.

Il corpo e il movimento
Il corpo costituisce il vettore del senso del Sé che può anche essere definito come la facoltà di
sentire, percepire, vivere, riconoscere il proprio corpo. Ciascuno infatti sperimenta se stesso come
legato intrinsecamente alla propria corporeità. Noi siamo innanzitutto il nostro corpo che costituisce
la primaria esperienza del nostro esserci, senza di esso non disponiamo della nostra identità.
Il corpo è in relazione attiva con il mondo, in esso, infatti, si dirige e si progetta; inoltre svolge un
ruolo attivo informando la mente circa le sue necessità e bisogni determinando così la direzione e lo
scopo delle azioni11. Il corpo è quindi generatore di esperienze che costituiscono il nucleo fondante
l’identità; è una realtà presente durante tutto il corso della vita e per questo rappresenta la continuità
del sé.
E’ il veicolo che introduce nel mondo, nelle relazioni con gli altri e con noi stessi, è la via attraverso
la quale ci presentiamo nello spazio fisico e relazionale. Anche semplicemente lo spessore corporeo
permette di essere presenti all’altro e al suo sguardo e quindi di esserci e di esistere. Vivere è sentire
il corpo, rendersi visibile agli altri e a se stessi.
Il corpo può inteso sia quale contenitore (di desideri, emozioni, di ricordi), sia quale strumento che
esprime12 tutti i contenuti e li rende comunicabili e condivisibili. Il corpo e il movimento
rappresentano, così, un’esperienza interiore e, al tempo stesso, una comunicazione esterna.
I gesti, le espressioni del volto, le posizioni, il ritmo della comunicazione e i movimenti assumono il
carattere della spontaneità, traducendo nell’azione, nel movimento, nel fare il vissuto emotivo
sotteso. Il corpo, infatti, consente l’espressione delle emozioni che non possono essere scisse dalla
loro componente somatica. Il movimento corporeo è il primo e principale metodo di comunicazione
degli esseri umani e spesso il corpo conosce ciò che la mente ancora non sa.
La nostra realtà somatica, anche se eludibile a livello della coscienza, costituisce e rimane il mezzo
privilegiato per l’espressione degli affetti e delle emozioni che si possono così manifestare senza
l’apporto razionale e consapevole che utilizza invece la parola. Per questo il movimento, e in
generale la comunicazione non-verbale, spesso “ci tradisce” esprimendosi in un linguaggio che
sfugge alle regole del controllo. Nel corpo nasce il primo nostro sapere: attraverso le esperienze
sensoriali inizia a strutturarsi l’attività mentale del bambino.

11. Umberto Galimberti (1983): Il corpo. Feltrinelli, Milano.


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Da ex- primo cioè porto fuori

4
Il corpo è anche un “corpo memoria”: le emozioni, le esperienze affettive dell’infanzia si iscrivono
nel corpo; il passato si sostanzia nei nostri gesti, nel nostro sguardo, nella postura e atteggiamenti, il
corpo parla di noi ed è l’autentica storia di noi stessi13. Nel corpo ci sono le tracce del nostro passato
che, se ascoltate e accolte, possono interpellarci e parlare al nostro presente. La DMT offre un
sostegno al recupero della memoria corporea al servizio dell’attualità. La memoria è infatti una
dimensione legata al corpo che porta le tracce del nostro passato (anche in senso filogenetico), il
corpo è il depositario della nostra vita, della nostra storia, ma anche delle aspettative, del nostro
futuro e ogni volta che lavoriamo con il corpo entriamo in contatto con le nostre esperienze passate,
con le radici della nostra identità: è come se il “corpo memoria” riemergesse.
La DMT offre l’opportunità di disporsi all’ascolto del proprio corpo, di aprire un dialogo con esso
fatto però non di parole ma di movimenti, di sentirlo, di conoscerlo in una dimensione affrontabile
perché caratterizzata dal piacere che il movimento attiva. E’ infatti possibile ristabilire la capacità
corporea di divertirsi in modo da favorire un sentimento, un vissuto positivo verso la corporeità.
Estendere il vocabolario del corpo significa aumentare le sue capacità funzionali, significa
ascoltare, esplorare per aumentare la consapevolezza, la conoscenza, per ristabilire la libertà
corporea fino al recupero, quando possibile, della possibilità di scegliere. Sviluppare la percezione
corporea significa anche potersi percepire quale corpo finito, integro e dotato di vitalità e forza,
nello stesso tempo però riconoscendone con chiarezza i limiti. Pensiamo, ad esempio, come il
vivere il proprio corpo in quanto solido permetta di sperimentare la presenza di tale sostegno come
parte integrante di noi; e un corpo che percepisce la sua unità e compattezza è un corpo su una
buona strada!
L’esperienza di unificazione del corpo è essenziale, in particolar modo, per quei pazienti che vivono
la frammentazione che inizia proprio dal vissuto psicocorporeo. Alcuni riescono a percepire meglio
il corpo lavorando sugli opposti e sui contrasti, e il lavoro con il corpo ci propone continuamente
degli opposti; pensiamo ad esempio a tutti i movimenti di aprire-chiudere, allontanarsi-avvicinarsi,
disperdere-raggruppare, prendere-dare, tirare-spingere e così via. Gli opposti permettono di vivere
la continuità: una posizione nasce dall’opposta, è in relazione con essa, dipende da essa.
La percezione basata sugli opposti prende forma nei primi anni di vita; infatti il modo primitivo di
orientarsi nel mondo è costituito dal percepire ed utilizzare soprattutto i rapporti di opposizione
servendosi di quelli che Adler definisce schemi di appercezione infantili, perché per mezzo di essi il
bambino cataloga tutto ciò che ritiene “positivo” da una parte, e ciò che ritiene “negativo” dall’altra.
Il mondo viene così a perdere la sua multiformità in quanto il bambino, per far rientrare tutte le
infinite esperienze sotto queste due categorie opposte, opera delle notevoli forzature. Maschile e

13
Umberto Galimberti op. cit.

5
femminile, alto e basso, forte e debole, risultano quindi aggettivi/metafore di una continua e
fisiologica scissione14 di cui il bambino ha bisogno inconsciamente per orientarsi nel mondo.
L’alternarsi dei contrari è uno degli elementi base del funzionamento psichico infantile; lo
psicoanalista Otto Kernberg15 afferma come il meccanismo della scissione può essere considerato
un prodotto naturale dell’assenza della capacità integrativa dell’apparato psichico. Durante lo
sviluppo fisiologico del bambino la mente opera una separazione tra le introiezioni16 positive e
quelle negative, il che comporta sia una divisione all’interno del Sé che della realtà esterna.
L’integrazione è allora il passo successivo: riprodurre dei movimenti corporei opposti è
particolarmente significativo per la ricostruzione della totalità, per l’unificazione del corpo. I
movimenti opposti sono quindi fondamentali per l’azione integrante e ristrutturante e di
conseguenza per una percezione coesa del Sé. Anche l’esecuzione delle coppie di movimenti
identici secondo un asse verticale (gesto eseguito a destra e poi a sinistra), orizzontale (alto e poi
basso), sagittale (avanti e poi indietro) contribuisce all’unificazione: si ricostruisce una totalità
composta da due metà complementari. Vincenzo Bellia, psichiatra siciliano, afferma che
riconoscendo il proprio corpo come il luogo unico e unificato dove si succedono questi contrari, si
dà significato all’unitarietà. Nella danza coesistono l’ebbrezza dei contrari e all’entusiasmo si
associa il fatto di sentirsi protagonista, dunque di scoprirsi soggetto autonomo.

Il Sé e il Sé corporeo
Il Sé può venire inteso come costituito da: Sè corporeo, identità, immagine del Sé (sé narrativo),
ideale del Sé (costituito dai valori e simboli guida) e non Sé che comprende anche le convinzioni
sul mondo.
Il Sé è spesso equiparato alla personalità, all’unità della personalità, all’individualità, al modo di
affrontare i problemi, all’opinione di se stessi, all’atteggiamento verso la vita e verso gli altri.
Garantisce l’identità personale, la percezione di una continuità nel tempo (esperienza di continuare
a essere se stessi pur cambiando), la possibilità di differenziarsi rispetto agli altri e di elaborare
sensazioni e percezioni. Il senso di coesione (Sé coeso) è la sensazione di essere un’entità fisica
intera, provvista di confini e sede di azioni integrate. Il Sé infatti è il risultato di un processo di
integrazione, di organizzazione e di differenziazione di numerose ed eterogenee informazioni.
Alla nascita la percezione di sè è prevalentemente somatico. Il Sé corporeo è il nucleo della nostra
identità personale, la consapevolezza di esso permette di accrescere il senso di identità che si

14
La scissione è un classico meccanismo di difesa definito come tale dalla psicoanalisi, e si riferisce ad un automatismo
inconsapevole che recide le connessioni tra gli aspetti di realtà che mettono in crisi la sicurezza dell’individuo
15 Otto Kernberg (1976): Teoria della relazione oggettuale e clinica psicoanalitica. Boringhieri, Torino, 1978.
16
Altro concetto psicoanalitico che si riferisce a tutto ciò che la psiche fa profondamente proprio dell’insieme degli
stimoli cognitivo-affettivi che arrivano dal mondo esterno

6
sviluppa attraverso la mediazione delle sensazioni corporee; la propriocezione e il senso
cinestesico17 costituiscono infatti il terreno di organizzazione dell’identità personale.
All’inizio c’è il corpo con le sue sensazioni e i suoi bisogni, poi, man mano che procede lo
sviluppo, la sua rappresentazione mentale comincia a differenziarsi. E’ riconosciuta infatti la
priorità, in senso cronologico, dell’organizzazione del Sé corporeo rispetto alla psiche che sarà
orientata dalle esperienze affettive che il corpo ha mediato; il Sé corporeo inizialmente si fonda e si
organizza attraverso dati prevalentemente sensoriali per arrivare poi a essere pensabile e
rappresentabile. Il bambino inizia a trasformare in percezioni, anche se inizialmente frammentate, le
sensazioni che riceve dal corpo, se ne appropria e pian piano la psiche diventa sempre meno
“concreta” e prende inizio la capacità di elaborare il funzionamento del corpo, di rappresentarlo
mentalmente.
Tutta la costruzione psichica dell’essere umano così nasce dall’esperienza corporea: le sensazioni
corporee, le percezioni fisiche, i movimenti del corpo precedono l’emergere del linguaggio verbale.
Nessuna attività mentale superiore è possibile in assenza di una continua e adeguata afferenza18 di
stimoli dal corpo e dal mondo esterno.
Quindi il tipo di comunicazione di cui fa esperienza il bambino è proprio quella che utilizza un
codice somatico; basti pensare al tipo di comunicazione tra una gestante e il proprio feto che
avviene su un piano somatico.
Tutti gli esseri viventi devono affrontare il compito di come modificare se stessi nell’incontro con
l’ambiente esterno e allo stesso tempo mantenere inalterata la propria struttura. Per Adler il concetto
di identità riguarda il rimanere uguali a se stessi nel tempo e per questo potersi riconoscere ed
essere riconoscibili, una sicurezza che deriva dal nostro limite, dal nostro essere questi e non altri,
in questo luogo e non in un altro e di mantenere la nostra forma, anche corporea
Per gli psicotici questo compito si esaspera e diviene drammatico 19. Qui l’assenza di una membrana
protettiva, espone all’impatto con il mondo, senza mediazione, il centro del Sé che si sparge
all’esterno come se fosse proiettato tutto intorno . Scrive lo psicoanalista G. Benedetti che il nucleo
centrale del Sé, quando è confrontato e direttamente modificato dalle emozioni delle relazioni
interpersonali, perde la sua funzione di organizzazione e strutturazione dell’esperienza del mondo,
entro quelle coordinate spazio-temporali che ci danno il senso della nostra continuità esistenziale e

17
Propriocezione e cinestesi sono termini di fisiologia del sistema nervoso, e riguardano la percezione del movimento e
dello spostamento nello spazio dei segmenti corporei
18
Altro termine di neurofisiologia, dal latino ad fero (porto fino a), e si usa per gli stimoli in entrata nel cervello
19
Il vissuto di disintegrazione che si verifica nella psicosi schizofrenica è tipico e devastante, ed è all’origine di tutta la
sofferenza psichica che il paziente esprime in fase acuta. Le sensazioni arrivano dagli stimoli normalmente più
trascurabili, contemporaneamente ed amplificate senza il fisiologico filtro mentale presente in ciascuno di noi

7
20
del nostro essere in ogni situazione noi stessi , ma al contrario invade il mondo colorandolo e
trasformandolo con criteri soggettivi, trascurando e perdendo di vista i dati realtà.
La perdita dell’immagine del proprio Sé è un elemento fondamentale nello sviluppo della
schizofrenia: il paziente perde la propria identità, soffre di spersonalizzazione, accusa vissuti di non
esistenza, si scambia con gli oggetti che lo circondano. Il paziente psicotico confonde il suo Sé con
il non-Sé, fra Sé interno e Sé esterno, il pensiero con la materia, il proprio Io21 con aspetti concreti
del corpo, con il non-Io. Appare allora l’angoscia della diffusione, di espandersi e perdersi: la
perdita psicotica principale è quella del Sé. Comprendiamo dunque la fatica che gli schizofrenici
fanno per sentirsi esistere e di quanto possa essere prezioso un intervento di DMT.
L’interiorità psichica diviene evento del mondo, l’interno è vissuto come esterno e viceversa.
Diciamo ancora con Benedetti che il paziente non è più sul palcoscenico del mondo come tutti noi,
essendo in tutte le cose e tutte le cose essendo in lui. Perde il senso dei contorni e della sostanza
della sua persona22
Lo schizofrenico non è in grado di tollerare la complessità e l’unitarietà dei propri sentimenti e dei
processi ideativi e quindi li dissocia, li proietta sul mondo esterno che gli appare così caotico e
mutevole. E’ incapace di considerare nella giusta sequenzialità le esperienze passate e presenti della
sua vita, mostra una notevole difficoltà a distinguere tra sé e mondo esterno, tra ricordi e percezioni
presenti, tra emozioni e percezioni somatiche, tra pensieri e azioni, tra ciò che è simbolico e ciò che
è concreto. E’ incapace di integrare le esperienze di vita che ha avuto in un certo arco di tempo
come facenti parte di un disegno unitario e continuo: le esperienze passate e presenti si mescolano
tutte alla rinfusa. Lo schizofrenico proietta all’esterno la propria disintegrazione strutturale a causa
della mancanza di un contenimento interno, di confini interni.
Uno degli obiettivi della DMT è proprio quello di lavorare sui confini - interni ed esterni - da
rendere più permeabili oppure da ricompattare. La presa di coscienza del proprio involucro
corporeo consente alla persona di avere esperienza della propria barriera tattile che consente piano
piano la percezione dei bisogni, la sperimentazione di capacità motorie e posturali, espressive. E’
come se per poter recuperare le capacità simboliche, di per sé complesse e difficili da conservare
nella disorganizzazione della psicosi, sia necessario ripartire dalla concretezza degli stimoli non-
verbali, e quindi di quelli del corpo primi fra tutti.

20
Gaetano Benedetti (1995): Simbolo e separazione nella schizofrenia. www.psychomedia.it pag. 3
21 L'Io, rispetto al Sé, organizza e gestisce gli stimoli ambientali, le relazioni oggettuali ed è il principale mediatore della
consapevolezza. Mentre il Sé enuclea la persona nella sua totalità rispetto all'ambiente, l'Io, inscritto nel Sé, è la struttura che
percepisce sé stessa ed entra in relazione con altre persone (con il "loro" Io), distinguendole come "non-Io". Mentre l’Io è un concetto
di Freud, il Sé venne introdotto da Carl Gustav Jung, allievo del primo insieme a Alfred Adler
22 Gaetano Benedetti (1992): La psicoterapia come sfida esistenziale. pag. 104 Raffaello Cortina Editore, Milano 1997.

8
Immagine corporea
L’immagine corporea è la rappresentazione mentale del Sé corporeo, è un’esperienza soggettiva, è
l’immagine mentale che ci costruiamo del nostro corpo, è l’idea che ci facciamo di noi stessi ed è
labile e mutevole perché è oggetto di continua trasformazione e ricomposizione. Implica il modo in
cui noi percepiamo il nostro corpo, il modo in cui lo sentiamo, in cui si modifica anche in assenza di
cambiamenti fisici. E’ il modo che il corpo ha di rendersi presente nel nostro spazio mentale.
L’immagine corporea si costruisce sulla base delle esperienze percettive dei corpi altrui vissuti nei
diversi momenti relazionali ed è tanto più completa quante più informazioni sensoriali concorrono a
realizzarla. E’ legata cioè al modo in cui gli altri, e non solo noi, ci percepiscono.
E’ la risultante degli affetti, delle valenze piacevoli e spiacevoli verso il nostro corpo
complessivamente inteso e verso le sue singole parti sulle quali possiamo focalizzarci. Alcune parti
del nostro corpo infatti ci richiamano peculiari fantasie, immagini, emozioni, che sono in relazione
con la nostra storia e con il senso che hanno assunto per noi gli eventi della vita.
L’immagine corporea si articola sulle esperienze che il bambino vive: l’esperienza affettiva, la
sintesi delle esperienze emotive giocano così un ruolo centrale nella strutturazione dell’immagine
corporea.
Per quanto riguarda l’accuratezza dell’immagine corporea dipende dal grado di consapevolezza
delle nostre sensazioni corporee e delle risposte agli stimoli che provengono da fonti esterne ed
interne.
23
Con immagine corporea psicotica primitiva lo psicanalista David Rosenfeld. intende la nozione
più primitiva dell’immagine corporea che è possibile osservare in certi pazienti che si trovano in
una fase di regressione. La nozione è rappresentata dal pensiero che il corpo contenga nient’altro
che semplice liquido o sia costituito da pareti che contengano il sangue o i liquidi vitali. Nelle crisi
associate alle psicosi acute, questa membrana contenente il sangue può venire percepita come se
fosse stata danneggiata, il risultato sarà quindi la percezione di una perdita dei contenuti corporei,
un deflusso che lascia il corpo vuoto, senza contenimento e supporto né interno né esterno. Talvolta
l’esperienza del diventare vuoto viene espressa linguisticamente attraverso un flusso verbale
improvviso e incessante.
I pazienti psicotici spesso perdono la nozione psicologica di pelle24 e soprattutto sentono che il loro
schema corporeo è un fluido vitale: è questa una delle modalità di esprimersi della destrutturazione.

23
David Rosenfeld. (1992): Lo psicotico. Aspetti della personalità. Franco Angeli, Milano, 1999
24
Il film Senza Pelle, interpretato da Kim Rossi Stuart è molto noto agli addetti ai lavori, e dipinge in modo efficace il
vissuto di un paziente schizofrenico

9
Alcune considerazioni sullo sviluppo del Sé corporeo
Per quanto riguarda lo sviluppo del Sé è possibile affermare che il fulcro dello sviluppo risiede nella
differenziazione dell’immagine corporea e nell’esperienza dei propri confini corporei che
delimitano, contengono, preservano il senso del proprio Sé. Pensiamo solo a come l’assenza di
limiti e dei confini si traduca nella perdita del senso di sé: senza un confine che separi l’individuo, il
Sé non esiste (e neppure l’Altro). Porre l’accento sui confini corporei significa valorizzare il limite
che ha una funzione capitale nell’organizzazione psichica: la funzione dei confini corporei è legato
alla differenziazione sé-altro.
La madre entra in rapporto con le esperienze del bambino attraverso la sua fisicità; il contatto
corporeo tra madre e bambino è essenziale per la creazione psichica di un involucro che permetta al
bambino di percepirsi come “contenente” e il contenitore rappresenta l’abbozzo dell’apparato
psichico che contiene i vissuti. All’inizio il contenitore è fragile, come è fragile la pelle del
bambino. La pelle è luogo di esperienza, è simbolo del passaggio interno/esterno e della relazione
tra contenente e contenuto: la pelle ci delimita e al tempo stesso ci mette in relazione con l’Altro. La
pelle richiama i diversi involucri (scorza – corteccia - meningi – pericardio – periostio –
membrane) e senza la sua integrità non è possibile vivere. La pelle contiene, protegge il nostro
interno dagli insulti esterni, ma allo stesso tempo mantiene traccia degli agenti esterni. Il bambino
attraverso la sensorialità inizia a percepire il proprio esistere, le sensazioni tattili sono le prime che
introducono il piccolo nel mondo. Nel lavoro di DMT si parte anche dalla ricchezza del mondo
sensoriale: tutti i sensi costituiscono delle vie di entrata e di uscita.
Il Sé si sviluppa sulla base della relazione di rispecchiamento negli altri, infatti il bambino
costruisce, fin dai primi mesi di vita, l’immagine del proprio corpo attraverso la valutazione di
coloro che si prendono cura di lui e utilizza l’emotività della madre per regolare la propria. E
attraverso i contatti corporei il bambino percepisce non solo gli affetti della madre, ma anche la
percezione che la madre ha di lui e dei suoi affetti. La mamma comunica al bambino le sue
attitudini nei confronti del corpo di lui attraverso il modo di stringerlo, di nutrirlo, di toccarlo, di
accarezzarlo e trasmette approvazione, disapprovazione, timore, sicurezza, attenzione, ascolto,
accoglienza. Anche negli interventi di DMT si può utilizzare il rispecchiamento nel senso di
restituire al paziente i suoi movimenti che favorisce il vedersi, il sentirsi e offre l’esperienza della
comprensione, dell’essere visti e quindi dell’esistere; rispecchiarsi vuol anche dire vedere il proprio
corpo intero.
Il bambino attraverso i comportamenti della madre percepisce sia il contenuto dell’azione che
aspetti che riguardano la tonalità emotiva ed affettiva che la sottende, ed è proprio questo che
costituisce il contenuto essenziale che dà senso all’azione stessa. Ciò ha a che vedere con la

10
sintonizzazione affettiva ossia con il sentimento di condivisione di uno stato affettivo. Le
sintonizzazioni hanno a che fare quindi con la possibilità di sviluppare la capacità di mettersi in
contatto non solo con il comportamento manifesto ma anche con l’emotività che è sottesa al quel
comportamento: le qualità percettive, le qualità motorie come la forza di un gesto, la sua intensità,
l’ampiezza, la durata, le caratteristiche spaziali, vengono comprese nelle loro qualità affettive. Il
bambino fa esperienza e interiorizza modelli di relazioni di interazioni con l’Altro e, proprio perchè
le prime esperienze di sé il bambino le fa nel contesto di una relazione, le prime rappresentazioni
non possono che essere rappresentazioni di relazioni (di Sé in interazione con l’Altro). Anche ogni
forma di apprendimento avviene nel contesto relazionale e quindi affettivo e le tracce che vengono
lasciate fungono poi da organizzatori, da significanti per le nostre successive esperienze.
La mamma fa anche da specchio all’emotività del piccolo il quale si esprime fondamentalmente
attraverso il corpo, dà significato ai suoi movimenti corporei, facciali e vocali; risponde ai suoi
movimenti, permettendo al bambino di esistere. In questo senso il rapporto tra il bambino e le figure
di accudimento costituisce un sistema con un reciproco e ininterrotto flusso di scambi e di ritmi. Il
ritmo è un elemento che entra a far parte del codice base dell’individuo, e infatti le cantilene che le
mamme cantano ai loro bambini sono costituiti da ritmi modulari che si ripetono, e la prima musica
che la mamma invita ad ascoltare è il proprio battito cardiaco (pulsazione) e il ritmo del respiro
(oscillazione).

E il gruppo?
In questa sezione non è stato affrontato un importante argomento quale è il gruppo. Le tecniche a
mediazione corporea si praticano spesso in gruppo, anzi sono un’esperienza gruppale: il gruppo
costituisce uno dei fondamentali al pari del movimento e dell’elemento sonoro.
Una riflessione sul gruppo richiederebbe molto spazio, ci accontentiamo di apportare qualche
limitata considerazione.
La dimensione gruppale attiva, produce e ha in sé innumerevoli risvolti, uno è quello di frustrare
l’individualità - e quindi l’onnipotenza - e l’autoaffermazione per via dei limiti imposti dagli altri
partecipanti. Ma sono proprio i limiti che aiutano ciascuno a strutturare la propria identità: non
esiste infatti identità senza alterità25.

25
Alterità e alienità (Ed. Feltrinelli 1972) è il titolo di un volume fondamentale di psichiatria fenomenologica di Danilo
Cargnello, dove il concetto di alterità viene proposto come vissuto normale rispetto all’altro da sé, diverso ma
comprensibile, mentre l’alienità riguarda tutto ciò che è alieno, cioè incomprensibile se non da altri alieni, come nel
caso del malato schizofrenico

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Il gruppo è innanzitutto una condizione fondamentale per il recupero, la modificazione e la
ristrutturazione dell’immagine di sé; il proprio esserci, proprio movimento, l’occupare uno spazio
condiviso non può che passare dal movimento degli altri e dalla loro presenza.
Anche la relazione con il proprio corpo, con il proprio Sé non può prescindere dalla relazione con
gli altri e con il gruppo. Il gruppo funziona infatti anche da specchio che rimanda l’immagine del
movimento di ognuno in tante variegature quanti sono i componenti; e nel gruppo il singolo può
guardare gli altri per vedere se stesso. Il singolo viene ad essere arricchito da elementi e
suggerimenti che provengono dall’Altro.
Il gruppo funge da contenitore simbolico e permette il disgelarsi di dinamiche identificatorie,
permette di lavorare sulla separazione/integrazione, sull’autonomia e sulla dipendenza. I cicli
dell’esistenza individuale si svolgono sempre all’interno dei gruppi.
Il gruppo è un fenomeno relazionale dotato di una realtà esterna ed interna; attraverso il gruppo
l’individuo riattraversa e reinterpreta le proprie esperienze relazionali, il gruppo è il luogo
privilegiato in cui affiorano e si ripropongono le dinamiche relazionali delle nostre matrici che così
possono venire confrontate. Il gruppo permette la scoperta, la revisione, la trasformazione e lo
svelamento e quindi il cambiamento.
Il gruppo è un processo (vi è un accadere e uno svolgersi) che attiva cambiamenti all’interno dello
stesso gruppo e dei singoli partecipanti. Il gruppo infine è uno strumento che permette di intervenire
su aspetti consci o no, emotivi e cognitivi.
La finalità e la struttura del gruppo sono i parametri essenziali che permettono di identificare il
gruppo, di controllare e verificare. La finalità orienta la struttura e, a seconda della struttura del
gruppo alcuni fenomeni sono facilitati o meno. In questo senso finalità e struttura sono
interdipendenti.
Per qualche gruppo è bene proporre lavori sull’interazione favorendo così la coesione (emergenza
delle somiglianze), per altri, o per lo stesso gruppo in momenti diversi del percorso, sulla differenza
e quindi sull’interdipendenza che porta all’integrazione.

L’identità individuale quindi risiede originariamente nell’agio del sentirsi corpo, in armonia con la
mente; ma anche nel viversi come parte individuata all’interno di un gruppo, corpo familiare e
sociale, senza del quale qualsiasi corpo umano non può sopravvivere dopo la nascita.

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