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40 Pagina A
CARLOTTA CAPUCCINO
ΑΡΧΗ ΛΟΓΟΥ
SUI PROEMI PLATONICI
E
IL LORO SIGNIFICATO FILOSOFICO
FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE
MMXIV
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CARLOTTA CAPUCCINO
ΑΡΧΗ ΛΟΓΟΥ
SUI PROEMI PLATONICI
E
IL LORO SIGNIFICATO FILOSOFICO
FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE
MMXIV
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La pubblicazione è stata realizzata con il contributo del Ministero dei Beni Culturali
e del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Alma Mater Studiorum - Uni-
versità di Bologna
ISBN
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PRESENTAZIONE
Hegel manifestava, come è noto, una certa irritazione per la forma dia-
logica della filosofia platonica. Pur riconoscendovi i tratti di una nobile Ur-
banität attica, e ammettendo che anche attraverso i dialoghi siamo in grado
di ricostruire il System di Platone, egli lamentava il fatto che «questa forma
ci rende difficile farci subito un’idea della sua filosofia e darne un’esposi-
zione precisa» (Lezioni su Platone, II 1, p. 179); e aggiungeva: «uno sguardo
d’insieme risulta poco agevole, non c’è nessun criterio per stabilire se l’og-
getto in questione sia stato esaminato esaurientemente oppure no. In tutto
ciò c’è un unico spirito (Ein Geist), un determinato punto di vista filosofico,
ma questo spirito non emerge in quella forma determinata che noi esigiamo»
(ivi, II 2, p. 186).
Nel Novecento, con l’indebolimento dello «spirito di sistema» caro a He-
gel, si è fatta progressivamente strada la convinzione che la forma della scrit-
tura filosofica di Platone sia inseparabile dai suoi contenuti, e che fra que-
sti due poli esista un vincolo bicondizionale ermeneuticamente imprescindibile.
Possiamo indicare simbolicamente i punti di partenza e di arrivo di questo
percorso in due saggi quasi omonimi: la dissertazione del 1916 di Julius Sten-
zel (Literarische Form und philosophischer Gehalt des Platonischen Dialogs),1
e il saggio del 1992 di Michael Frede, Plato’s Argument and the Dialogue
Form.2
Nella storia delle letture platoniche del Novecento è tuttavia accaduta
una vicenda in qualche modo paradossale: molti degli autori che hanno of-
ferto i contributi più raffinati all’interpretazione della scrittura dialogica
hanno poi separato questa scrittura dal corpo più vero della filosofia di Pla-
tone, leggendola come un velamen alla maniera dell’esegesi medievale o come
un semplice esercizio protrettico. Il primo atteggiamento è stato quello di
Leo Strauss e dei suoi seguaci: la loro straordinaria (a volte persino ecces-
siva) sensibilità per la forma letteraria dei dialoghi è stata messa al servizio
di un’interpretazione dei dialoghi stessi come espressioni reticenti, dissimu-
latorie, persino destinate alla contraffazione ironica (nella quale il significato
di superficie è l’opposto di quello ‘profondo’ del testo) del messaggio filoso-
1
Il saggio stenzeliano, nella seconda versione del 1931, è stato tradotto in inglese da
D. J. Allan in Julius Stenzel, Plato’s Method of Dialectic, New York: Russell & Russell,
1940, pp. 1-22.
2
In «Oxford Studies in Ancient Philosophy», Suppl. X (1992), pp. 201-219.
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presentazIone
3
L’autrice ha già dato un’eccellente prova di rigore metodologico nell’analisi di un
singolo dialogo nel volume Filosofi e Rapsodi: Testo, traduzione e commento dello Ione
platonico, Bologna: CLUEB, 2005.
4
Sulla discussione intorno a questi assunti metodici mi permetto di rinviare ai miei
scritti «Solo Platone non c’era», «Paradigmi» XXI (2003), pp. 261-77, e La letteratura so-
cratica e la competizione fra generi letterari, in Fabio Roscalla (a cura di), L’autore e l’o-
pera: Attribuzioni, appropriazioni, apocrifi nella Grecia antica, Pisa: ETS, 2006, pp. 119-
131.
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Infine, l’assunto metodico peculiare di questa ricerca è che i proemi dei dia-
loghi, specie nel caso dei «proemi doppi o paradossali» com’è precipuamente
quello del Teeteto, possono venire considerati come una via d’accesso pre-
ferenziale alla comprensione del rapporto tra forma e contenuto della filo-
sofia platonica.
Ci avviciniamo così al tema centrale dell’indagine. Non c’è dubbio, se-
condo Capuccino, che la critica alla scrittura filosofica formulata nel Fedro
vada riferita agli stessi dialoghi platonici. Altrettanto sicuro è che essi – con
la prevalenza della mímesis diretta che riguarda anche i dialoghi «misti» o
diegetico-mimetici – siano da includere nelle forme espressive bandite dalla
politeia giusta secondo la critica alla Repubblica. È a questa altezza dei pro-
blemi che i prologhi, e soprattutto il proemio del Teeteto – l’unico caso in
cui Platone ha messo in scena la scrittura di un dialogo ad opera di un au-
tore di logoi sokratikoí, cioè Euclide nella finzione dialogica – rivelano tutta
la loro importanza ermeneutica.
Nel riconoscere la pertinenza delle critiche alla scrittura filosofica, e alla
mímesis dialogica, Platone difenderebbe tuttavia in quel testo straordinario
– secondo l’originalissima interpretazione di Capuccino – la legittimità dei
propri logoi sokratikoí come forma di mimesi buona, e di mimesi responsa-
bile – insomma come trasgressione necessaria ai propri stessi divieti. Il filo-
sofo socratico è un buon imitatore perché – a differenza del rapsodo dello
Ione e del pittore o del poeta di Repubblica X – conosce ciò che imita (con
il paradosso che i dialoghi ‘socratici’ rappresentati sulla scena della scrittura
non sono verosimilmente mai avvenuti, e sono quindi il prodotto dell’im-
maginazione filosofica dell’imitatore). Ma, soprattutto, il filosofo-imitatore,
grazie alla scrittura, conserva e riproduce fedelmente, nell’unico modo pos-
sibile, l’oralità originaria dei logoi sokratikoí, e si assume l’impegno, che è
anche morale e sociale, di salvarli dalla dispersione altrimenti inevitabile per
l’oralità, conservandoli e rappresentandoli come esempi e modelli del pen-
sare filosofico. Per poter sopravvivere, il dialogo filosofico deve dunque ve-
nire ucciso dalla scrittura che lo riproduce, come nel Teeteto fa Euclide ri-
spetto all’immaginaria conversazione ateniese fra Socrate, Teodoro e Teeteto.
A partire da questa persuasiva e penetrante analisi del prologo del Tee-
teto, in seguito verificata su quella di altri dialoghi come il Simposio, il Par-
menide e il Fedone, Capuccino sviluppa le sue tesi interpretative più origi-
nali e certo meritevoli di riflessione. Qui basterà accennarne alcuni capisaldi.
Il Teeteto sarebbe l’unico testo in cui Platone mette in scena se stesso, con
la maschera del ‘redattore’ Euclide, all’opera come autore di logoi sokrati-
koí. In questo modo, Platone assegnerebbe a Socrate la posizione di «autore
vero» del dialogo, riservando a se stesso quella di «autore reale», in quanto
responsabile solo della sua forma, ma non del suo contenuto. Il dialogo ri-
sulterebbe dunque affidato all’autorevolezza di Socrate come modello ar-
chetipo del vivere e del pensare filosofico, ma insieme privato dell’autorità
autoriale: l’anonimia d’autore comporterebbe la rinuncia, da parte di Pla-
tone, a presentarsi come «padre» del logos, perché ogni lettore possa di-
ventarlo a sua volta, permettendo così a Socrate di continuare a svolgere at-
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Mario Vegetti
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PREFAZIONE
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NOTE DI CONSULTAZIONE
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INTRODUZIONE
Nel suo articolo del 1992, Plato’s Arguments and the Dialogue Form,
Michael Frede sostiene la tesi che nei dialoghi platonici filosofia e
forma letteraria siano unite indissolubilmente in un modo particolare:
l’idea è che Platone abbia una visione del valore e dello status delle
tesi e degli argomenti filosofici tale per cui l’unica forma scritta in cui
ritiene responsabile1 tradurli è quella particolare forma di dialogo fit-
tizio che scrive. Frede decide quindi di occuparsi delle argomenta-
zioni, perché costituiscono «la spina dorsale» dei dialoghi e ne for-
niscono la struttura, pur attribuendo agli altri elementi dialogici
«un’importanza cruciale» per comprenderne appieno il significato (p.
202). Obiettivo del mio lavoro di ricerca è verificare la validità della
tesi di Frede in relazione a questi «altri elementi»: lo stile dell’inizio,
le primissime parole, le coordinate spazio-temporali e la caratterizza-
zione dei personaggi che delineano la scena dialogica; e a quello che
sembra esserne il luogo privilegiato: il proemio. L’attenzione del tutto
eccezionale che Platone dedica a questi elementi di per sé non filo-
sofici – un unicum nella storia della filosofia – mi sembra la spia di
un interesse predominante per il modo giusto di scrivere e di tra-
smettere la filosofia, prima che per particolari dottrine filosofiche.
Credo quindi che il legame tra questi elementi iniziali e le argomen-
tazioni filosofiche che introducono meriti di essere indagato, anche
alla luce del fatto che una tale indagine, estesa all’intero corpus pla-
tonico, manca attualmente nel panorama degli studi sull’opera di Pla-
tone, malgrado l’interesse per la questione sia tutt’altro che assente.
Il progetto iniziale della ricerca prevedeva un esame, se non di
tutti i dialoghi, quanto meno di una selezione rappresentativa che po-
tesse consentire di raggiungere un risultato di validità generale. Que-
sto presupponeva, ovviamente, la scelta dei dialoghi su cui concen-
trare l’indagine in un modo che non risultasse arbitrario, individuando
un criterio conveniente allo scopo. I criteri noti si dividono in criteri
di pubblicazione e criteri di classificazione dei dialoghi, e sono rac-
1
«[…] the only responsible way» (FREDE [403], p. 202, c.vo mio). Sul tema cruciale
della responsabilità, cfr. infra, p. 213.
— 1—
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INTRODUZIONE
colti da Diogene Laerzio nel terzo libro delle sue Vite dei Filosofi, de-
dicato alla vita di Platone. I primi, che consistono nella divisione in
tetralogie o in trilogie, malgrado i tentativi, anche recenti,2 della cri-
tica, continuano a presentare un difetto di unità. I singoli raggrup-
pamenti di tre o quattro dialoghi non sembrano, cioè, fondarsi su una
ragione filosofica né tematica coerente; laddove si è creduto di po-
terne rintracciare una, come per esempio nel caso della prima o della
seconda tetralogia, questo era dovuto in realtà a criteri interni ai dia-
loghi stessi, non condivisi dalle altre tetralogie. La prima è infatti bio-
grafica, cioè presenta gli eventi che portano dal processo alla morte
di Socrate;3 la seconda invece è legata – fatta eccezione per il Cratilo
– dal legame cronologico4 che i proemi del Teeteto, del Sofista e del
Politico stabiliscono fra i tre dialoghi. Il Cratilo e il Teeteto, che aprono
la seconda tetralogia, intersecano inoltre la serie biografica, in quanto
entrambi richiamano eventi che precedono la morte di Socrate; ma il
Cratilo non è da ritenersi immediatamente successivo all’Eutifrone,
mentre il Teeteto senz’altro lo precede.5 D’altra parte, Diogene è al-
quanto diretto nel dire che il criterio tetralogico è «secondo le tetra-
logie dei poeti tragici» (κατὰ τὴν τραγικὴν τετραλογίαν, III 56), cioè
riproduce un raggruppamento dettato dalle ragioni contingenti di un
agone poetico e non da un disegno filosofico. La ragion d’essere più
probabile delle tetralogie credo rimanga lo scopo di salvaguardare la
conservazione dei dialoghi, legandoli per evitarne la dispersione.6
2
Cfr. ARONADIO [7], pp. 16-32. Malgrado la presentazione di Diogene Laerzio possa
far supporre il contrario, F. Aronadio ritiene più probabile che l’ordinamento in trilogie
– attribuito ad Aristofane di Bisanzio – precedesse quello tetralogico sulla base di un cri-
terio quantitativo: «A favore della posterità delle tetralogie parla l’estensione di tale si-
stema organizzativo, un dato sul cui valore probatorio ha giustamente richiamato l’atten-
zione Müller: egli sottolinea come sia fortemente inverosimile che Aristofane abbia voluto
sostituire un ordinamento capace di organizzare 36 scritti con un altro che abbraccia solo
quindici dialoghi»; MÜLLER [356] e SEDLEY [847].
3
«La prima tetralogia svolge un argomento comune: vuole infatti mostrare quale debba
essere la vita del filosofo» (D.L. III 57). Con questa affermazione, Diogene dimostra come
già al suo tempo si avvertisse la necessità di chiarire il criterio del raggruppamento te-
tralogico. Il fatto che si dia una spiegazione solo della prima tetralogia non credo sia a ti-
tolo esemplificativo, ma piuttosto perché si presentava come il caso più evidente, se non
l’unico.
4
Nel senso che il Sofista e il Politico proseguono la ricerca iniziata dal Teeteto, con
parziale coincidenza dei protagonisti, ma ognuno di fatto la volge a un tema diverso.
5
Cfr. Cra. 396d e SEDLEY [42], p. 3 n. 5, CAVINI/NANNINI [54] ad Tht. 142a1 e 143a3,
e NONVEL PIERI [466], p. 118 n. 2.
6
Cfr. ARONADIO [7], pp. 21-22: «Decisiva, infatti, è stata la solidità della struttura te-
tralogica, che, assai meglio delle trilogie, meno coese e complete, fornì una griglia all’in-
terno della quale trovavano collocazione gli scritti di (e attribuiti a) Platone, dei quali pro-
babilmente circolavano copie risalenti all’edizione alessandrina o alla raccolta in possesso
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dell’Accademia: fu tale griglia, con ogni probabilità, a impedire che alcuni di quegli scritti,
i meno rilevanti e citati, col tempo si disperdessero» (cfr. p. 25). Si veda ora anche la di-
samina di CHARALABOPOULOS [384], pp. 178-192.
7
D.L. III 50.
8
VEGETTI [338], Lezione 4.
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CHERNISS [164].
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10
Gorg. 82B3 DK (= S.E. M. VII 65-87).
11
Diog.Apoll. 64B1 DK (ap. D.L. IX 57, 12-14): «Chi inizia […] un qualunque dis-
corso, mi pare necessario che offra un inizio […] indiscutibile e poi un’esposizione sem-
plice e solenne» (Ἀρχὴ δὲ αὐτῷ τοῦ συγγράμματος ἥδε λόγου παντὸς ἀρχόμενον δοκεῖ
μοι χρεὼν εἶναι τὴν ἀρχὴν ἀναμφισβήτητον παρέχεσθαι, τὴν δ᾽ ἑρμηνείαν ἁπλῆν καὶ
σεμνήν). Secondo Diogene Laerzio, il libro di Diogene di Apollonia inizierebbe, dunque,
con una riflessione insieme metodologica e filosofica sull’inizio. Cfr. Hp. Loc.Hom. VI, p.
278, 14 Littré: «La costituzione del corpo», per un autore ippocratico, è «il principio [in
entrambi i sensi] del discorso medico».
— 5—
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12
Il prepon di qualcosa o qualcuno è per Platone una sua condizione naturale. Cfr.
Hp.Ma. 288e, 291a-b (in contrapposizione a 290c); R. IV 444b; Lg. IV 716e1 e VI 757c1-
6.
13
Cfr. i loci similes di Grg. 505c-d, Ti. 69a-b, Phlb. 66c-d, Lg. VI 752a, Plt. 277b-c,
e Arist. Rh. III 14, 1415b8-9: ὥσπερ σῶμα κεφαλήν.
14
Cfr. CALBOLI MONTEFUSCO [118], pp. 1-32.
15
Cfr. Arist. Rh. III 14, 1414b19 e CALBOLI MONTEFUSCO [118], pp. 1-2: «[…] l’e-
sordio fu paragonato da Aristotele al prologo nella poesia o al preludio nella musica au-
lodica […]. In particolare Aristotele paragonò gli esordi dei discorsi del genere giudizia-
rio ai prologhi del dramma e dell’epos, mentre al prologo del ditirambo assimilò quello
dei discorsi epidittici (rhet. 1415 a 8 segg.). Quanto ai discorsi di tipo deliberativo, in-
fine, egli riteneva che in essi l’esordio avesse una funzione molto limitata, in quanto ri-
volti ad ascoltatori già al corrente dell’argomento […]».
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Cfr. R. VII 531d-532d: passo parallelo da un punto di vista tematico (si tratta an-
che qui del rapporto tra il proemio e il νόμος della dialettica, descritto in termini di «dare
e ricevere ragione» anziché come combinazione dei procedimenti dialettici di diaíresis e
synagogé), con una differenza: non riguarda il rapporto strutturale tra il proemio retorico
e il logos dialettico, bensì quello dottrinale tra l’apprendimento di saperi preparatori e
l’apprendimento del sapere dialettico, affermando in modo esplicito la necessità di un
προοίμιον epistemico per poter accedere al «canto» della dialettica.
17
Cfr. supra, IV 723e-724a.
18
Nel caso di Lg. IV 722d2 si dice, per es., che quanto precede è un lungo proemio
alla legge.
— 7—
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INTRODUZIONE
ria, innodica (come negli Inni Omerici) o tematica (per es. quella del-
l’Iliade sull’argomento dell’ira).19
Le caratteristiche peculiari di un proemio erano le seguenti: 1. la
credibilità e l’autorità dell’autore nei confronti di un uditorio; 2. il ri-
corso a forme tradizionali di invocazione; 3. la presenza di elementi
personali, perlopiù legati alla vita dell’autore; 4. l’aspetto tematico.20
Fatta eccezione per il repertorio tradizionale di invocazioni e riferi-
menti a divinità, che pertiene all’ambito poetico (ne tiene ancora conto,
in parte, Parmenide, che scrive in versi), i proemi platonici rispon-
dono, benché in modo peculiare, a tutte le restanti caratteristiche, così
come alle tre funzioni retoriche. Gli elementi personali, per esempio,
riguardano direttamente i personaggi rappresentati nei dialoghi, i quali
ricevono perlopiù nel proemio una forte caratterizzazione, che esalta
i tratti di alcune figure note o enfatizza i caratteri delle figure fittizie
così da renderle rappresentative di un gruppo o di una categoria; ma
riguardano anche indirettamente Platone autore dei dialoghi, nella mi-
sura in cui mostrano in negativo la sua scelta di anonimato. Per quanto
concerne i tre scopi retorici, anche in questo caso i proemi platonici
sembrano adempierli, benché in misura diversa: forniscono informa-
zioni relative alla collocazione spazio-temporale della vicenda, narrata
o rappresentata, oltre ai nomi e ai caratteri dei personaggi, rendendo
in tal modo il lettore docile. Quanto all’attenzione e alla conseguente
benevolenza, è indubbio che scene viventi così varie e complesse cat-
turino con facilità l’interesse del lettore o dell’ascoltatore.21
19
Per i dettagli sulla storia letteraria del proemio ringrazio Simonetta Nannini; per
gli esordi poetici, epici, tragici e storici, rimando in particolare a PEDRICK [126], PELLIC-
CIA [127], R ACE [129] e S EGAL [132] (contenuti in D UNN /C OLE [121]), D UBOIS /R OUSSEL
[120], PORCIANI [128] e ROMEO [130]; per una ricostruzione dell’etimologia di prooimion,
rinvio invece al recente saggio di B. Maslov (MASLOV [125]).
20
Devo queste informazioni a un seminario di S. Nannini sul proemio del poema Sulla
Natura di Parmenide.
21
L’interesse filosofico per i proemi è testimoniato anche dalla notizia secondo cui
Teofrasto avrebbe composto un’opera sui proemi (Περὶ προοιμίων) in un solo libro (D.L.
V 48). Proclo, tuttavia, giudicava questo interesse insufficiente, accusando Teofrasto di
non saper comporre un logos organico nel senso indicato dal Fedro di Platone, offendendo
il suo orecchio critico. Cfr. in Prm. 659.20-23: […] τὸ δὲ παντελῶς ἀλλότρια τὰ προοίμια
τῶν ἑπομένων εἶναι, καθάπερ τὰ τῶν Ἡρακλείδου τοῦ Ποντικοῦ καὶ Θεοφράστου διαλόγων,
πᾶσαν ἀνιᾷ κρίσεως μετέχουσαν ἀκοήν. L’interesse per il proemio, inoltre, coinvolge la
critica al di là del caso platonico: S. Fazzo, per esempio, ha dedicato due studi agli esordi
dei trattati aristotelici (FAZZO [676] e [677]). Autori di raccolte di Proemi furono infine:
Trasimaco di Calcèdone (85B4 DK [ap. Ath. X 416A]), il retore Antifonte di Ramnunte
(frr. 68-70 Blass [= T 13-14 Radermacher]), il quale scrisse una raccolta di proemi e forse
anche di epiloghi giudiziari, e Crizia, che ne scrisse una di proemi assembleari (88B43
DK). Cfr. AVEZZÙ [218], p. 413.
Per quanto riguarda il concetto di inizio, lo studio teorico più vasto rimane quello
—8—
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INTRODUZIONE
dell’americano E. Said: «As a problem for study, “beginnings” are attractive, first of all, be-
cause while one can isolate a beginning analytically, the notion of beginning itself is practi-
cally tied up in a whole complex of relations. Thus between the word beginning and the
word origin lies a constantly changing system of meanings, most of them of course making
first one then the other word convey greater priority, importance, explanatory power. As
consistently as possible I use beginning as having the more active meaning, and origin the
more passive one: thus “X is the origin of Y”, while “The beginning A leads to B”. In due
course I hope to show, however, how ideas about origins, because of their passivity, are put
to uses I believe ought to be avoided. But even this distinction seems relatively crude when
one considers how many words and ideas in current thought and writing hover about the
concept of “beginnings”: innovation, novelty, originality, revolution, change, convention, tra-
dition, period, authority, influence, to name but a few» (SAID [234], pp. 5-6).
22
Sul genere dei logoi sokratikoí si vedano in particolare i lavori di ROSSETTI [210]-
[213], e ora [216], e VEGETTI [217]. La fonte è ovviamente GIANNANTONI [89].
23
Aristotele, nella Politica, parla di logos sokratikós in riferimento alle Leggi, dove So-
crate non compare (II 6, 1265a11).
24
Vedi infra, pp. 176-177 n. 258.
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INTRODUZIONE
25
Per questo ritengo, con Cherniss, che il dialogo socratico sia un modello per eser-
citarsi a pensare, perché se Platone definisce il pensiero come un dialogo silenzioso del-
l’anima con se stessa (Tht. 189e-190a, Sph. 264a), allora è l’esterno a fornire un modello
per l’interno. Cfr. RYLE [885], cap. 2: Thought and Soliloquy, p. 33: «Doubtless when
Plato said, in the Sophist, that in thinking the soul is conversing with herself, or – I sur-
mise rather – that she is debating with herself, he was considering what he himself did
and had to do, when tackling philosophical problems in particular». Vedi infra, pp. 133
e n. 120, 135-138 e la n. 130 di p. 137.
26
L’«anonimia autoriale» è in realtà una caratteristica comune al genere dei logoi so-
kratikoí; cfr. VEGETTI [217], pp. 123-124.
27
Cfr. VEGETTI [217], p. 130.
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INTRODUZIONE
28
«The “third way” […] is not a new school or a new interpretation: it is instead a
way of exploring relatively new territory beyond the boundaries of the skeptical and “doc-
trinal” conceptions of philosophy that have so far ruled Platonic studies» (GONZALEZ
[282], p. X). La «terza via» tra scetticismo e dogmatismo, non solo nell’interpretazione
di Platone, era stata in realtà già indicata da Hegel: «[…] oltre allo scetticismo e al dog-
matismo esist[e] ancora un terzo termine, cioè la filosofia» (HEGEL [868], p. 81; cfr. [869],
p. 505); e in forma ancor più radicale da Wittgenstein: «Il filosofo non è cittadino di una
comunità di pensiero. È questo ciò che ne fa un filosofo» (Zettel, § 455). Cfr. infra, p.
186 n. 289.
29
Sul concetto di livello narrativo si veda in particolare GENETTE [228], pp. 275 ss.:
«Definiremo la differenza di livello dicendo che ogni avvenimento raccontato da un rac-
conto si trova a un livello diegetico immediatamente superiore a quello dove si situa l’atto
narrativo produttore di tale racconto» (p. 275).
30
Nella Retorica (III 14, 1414b19 ss.), Aristotele pone la differenza tra gli inizi (ar-
chai): il prologo (per la poesia), il proemio (per il logos) e il preludio (nel suonare il flauto),
ma non si occupa dei proemi platonici.
Proclo prende una posizione netta in seno al dibattito sul valore dei proemi. Cfr. in
R. I 5.12 ss. e in Alc. 18.13 ss.
31
Vedi Procl. in Prm. 658-659. Cfr. in Ti. I 204.16-29; in R. I 5.6-25; in Alc. 18.13
ss., 131.15-16.
32
[…] περὶ τῶν Πλατωνικῶν προοιμίων διαφόρους δόξας ἐχόντων, καὶ τῶν μὲν εἰς
τὴν τούτων ἐξέτασιν οὐδ᾽ ὅλως καθιέντων (ἥκειν γὰρ χρῆναι ταῦτα προακηκοότας τοὺς
τῶν δογμάτων ἐραστὰς γνησίους).
33
Cfr. D.L. III 50 e infra, p. 69.
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«Tali pensieri puri, nella considerazione dei quali in sé e per sé insiste risolutamente
l’indagine platonica, sono, oltre l’essere e il non essere, l’uno e i molti, anche p. e. l’illi-
mitato e il limite. Senza dubbio la maniera puramente logica e affatto astrusa con cui Pla-
tone considera simili oggetti contrasta fortemente con l’opinione corrente intorno alla bel-
lezza, alla venustà, all’attraenza del contenuto di Platone. […] Uno dei motivi per cui
taluni s’allontanano malcontenti dallo studio delle opere platoniche si è che, quando si
prende a leggere un dialogo, si trovano, nella spigliata maniera dell’esposizione platonica,
belle scene naturali, magnifici esordi, che sembrano promettere d’avviarci alla filosofia –
e proprio alla più elevata filosofia, alla filosofia platonica – per un sentiero di fiori. Ci si
imbatte in cose sublimi, che piacciono specialmente ai giovani: ma tutto finisce presto.
Non ci si è ancora lasciati attrarre da quelle liete scene che occorre rinunziarvi, ed en-
trare nel campo propriamente dialettico e speculativo, dove si è punti dalle spine e dai
cardi della metafisica» (H EGEL [869], p. 210).
35
Oggi il monito di Friedländer: «Plato, like nature, does nothing in vain» rischie-
rebbe di essere frainteso. Traggo la citazione da ARNE [633], p. 1.
36
SEDLEY [643].
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37
Cfr. BURNYEAT [635], p. 3.
38
Cfr. Procl. in Prm. 659, con il relativo commento di J. M. Dillon (MORROW/DIL-
LON [68], pp. 3-4, 11), e Anon., Prolegomena Philosophiae Platonicae, 15.1 ss.
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Per una lettura evolutiva della classificazione formale dei dialoghi, vedi infra, p. 23.
40
Eccessive le direttive di in Alc. 10.4 ss., dove Proclo afferma che ogni dialogo deve
presentare strette analogie con il Tutto in base a Bene, Intelletto, Anima, Forma e Ma-
teria.
41
Si tratta in realtà di interpretazioni contemporanee: tra Proclo e Leo Strauss sem-
bra che i proemi platonici siano stati giudicati, se non filosoficamente irrilevanti, quanto
meno non degni di un interesse specifico.
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E ancora: «By way of the drama one comes to the profoundest is-
sues»; e «[t]he intention of a dialogue is the cause of its form, and
that intention comes to light only to those who reflect on its form».
42
Cfr. STRAUSS [325], ROSEN [39], BLOOM [5].
43
Un esempio di questa interpretazione lineare del proemio è offerto dal commento
al Carmide di HAZEBROUCQ [24].
44
BLOOM [8], pp. xv-xix.
45
BLOOM [8], p. xvi, c.vo mio.
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46
Per un esame più dettagliato di questo proemio, rimando a un mio precedente la-
voro (CAPUCCINO [10], pp. 103 ss.; cfr. anche CAPUCCINO [535]).
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50
Non mi è stato possibile, malgrado i ripetuti tentativi, visionare la tesi di S. Solère
Queval (SOLÈRE-QUEVAL [644]).
51
SOLÈRE-QUEVAL [669], p. 12.
52
SOLÈRE-QUEVAL [669], p. 20.
53
SOLÈRE-QUEVAL [645].
54
Eutifrone, Critone, Ione, Ippia maggiore, Menesseno, Fedro.
55
DESCLOS [637].
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56
PALUMBO [571], pp. 213 ss.
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57
GONZALEZ [656].
58
GONZALEZ [656], p. 16. Gonzalez cita un lavoro di A. Westermayer, dedicato al
proemio, dove si sostiene un’interpretazione simile, ma anziché ritenere che il proemio at-
tiri l’attenzione su un problema, l’autore asserisce che il suo scopo sia rivelare l’errore che
rende necessaria l’indagine del dialogo (cfr. WESTERMAYER [674]).
59
Cfr. GONZALEZ [656], pp. 36 e 43.
60
GONZALEZ [656], p. 44.
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61
VELARDI [646], p. 119 n. 27.
62
LORAUX [641], p. 241.
63
Ringrazio Hayden W. Ausland per avermi gentilmente reso disponibile questo la-
voro inedito, citato in un suo articolo (AUSLAND [371], p. 387 n. 54).
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Fa eccezione, probabilmente, l’interpretazione allusiva di Burnyeat, ereditata da Pro-
clo, ma abbiamo visto come la funzione allusiva dei proemi e delle loro prime parole non
sia filosofica nel senso che stiamo cercando, cioè non sia capace di trasmettere un mes-
saggio che contenga la chiave di lettura del dialogo. Sulla possibilità di fornire un para-
digma interpretativo unitario – e di conseguenza sulla legittimità di un’indagine come
quella presente – si dichiara (provocatoriamente?) scettico Clay: «[…] if this is the scope
of Platonic criticism, an essay on Plato’s first words could never been written. To write
competently about the beginning of Plato’s Phaedo or Republic or of any other Platonic
dialogue is to understand the other extremity of the dialogue, its middle, and the unity
of the dialogue as a whole. It is also to commit oneself to the belief that the end of Pla-
tonic criticism is to discover the unity of a dialogue in confusion, diversity, and funda-
mentally elliptical character of its themes» (C LAY [636], p. 115); e tuttavia si dichiara scet-
tico dall’interno di un saggio intitolato Plato’s First Words… Vedi supra, n. 49.
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65
Critone, Eutifrone, Ippia maggiore, Ione, Menesseno, Fedro.
66
Cfr. Figg. III e IV.
67
Come Critone, Ione, Ippia Minore, Gorgia, Menesseno, Lachete, Eutifrone, Menone,
Cratilo, secondo la cronologia ‘mobile’ di Ch. Kahn (KAHN [440]).
68
Sofista, Politico, Timeo, Crizia, Filebo e Leggi.
69
È il caso di Fedone e Simposio, che secondo Kahn chiudono il primo periodo in-
sieme al Cratilo e sono dunque dialoghi di transizione, e insieme Repubblica, Parmenide
e Teeteto.
70
Sul rapporto tra la forma dei dialoghi platonici e il ruolo che Socrate vi assume si
è espresso Kierkegaard, vagliando un’ipotesi che sembra almeno in parte contraria a quella
presente: «[…] già nell’antichità si è avvertito questo problema del rapporto tra il Socrate
reale e quello poetico di Platone, e che la suddivisione dei dialoghi in δραματικοί e
διηγηματικοί, presente già in Diogene Laerzio, contiene una specie di risposta. I dialo-
ghi dieghematici sarebbero dunque quelli più attinenti al Socrate storico. Ora, a essi ap-
partengono il Simposio e il Fedone, e persino la loro forma esterna segnala la loro im-
portanza al riguardo, secondo la giusta osservazione del Baur, op. cit., p. 122, nota: “Pro-
prio perciò i dialoghi della seconda specie, i dieghematici, ove il dialogo vero e proprio
viene dato solo in racconto – così nel Simposio Platone mette tutto in bocca di Apollo-
doro, nel Fedone fa raccontare a Fedone […] quanto Socrate visse e disse agli amici nei
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suoi ultimi giorni – per la loro forma danno a intendere il loro carattere maggiormente
storico”» (KIERKEGAARD [619], p. 41); cfr. BAUR [601]. Vedi infra, pp. 133-141 (in part.
la n. 122 di pp. 133-134) e Conclusioni, pp. 291-295.
71
Vedi supra, p. 12 n. 34.
72
Cfr. VEGETTI [217], p. 130 (infra, pp. 146-147 e n. 156).
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