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CARLOTTA CAPUCCINO

Il dialogo platonico e la scrittura della filosofia

The main reasons that justify still today our interest in the philo-
sophical writing of Plato are two: on the one hand, it is the ultimate
expression of the literary kind of Socratic dialogue, to which it belongs,
giving rise to that particular kind of philosophical dialogue that we call
Platonic and will be destined to remain unique in the history of West-
ern philosophy; on the other hand, Plato’s philosophical writing pre-
sents a clear paradoxical character vis-à-vis a series of allegations to
writing which are found in Plato’s dialogues, and that would seem to
rebound on them, leaving dissatisfied the reader who has experienced
their extreme formal care. The purpose of this paper is to show (1) that
these allegations are unfounded – and the paradox is only apparent –
and above all (2) how are the dialogues themselves able to respond to
such allegations from within, from the same place that traditionally is
intended to express the voice of the author and his declaration of intent:
the proems or introductory scenes.

Il dialogo platonico e la scrittura della filosofia riecheggia il titolo


della traduzione italiana di un libro del platonista tedesco Thomas
A. Szlezák: Platone e la scrittura della filosofia1. Nel suo saggio, che
risale al 1985, Szlezák espone il “nuovo paradigma ermeneutico” –
così recita il sottotitolo italiano – della nota Scuola di Tubinga, vale
a dire la tesi esegetica secondo cui i dialoghi scritti da Platone costi-
tuirebbero una sorta di propedeutica alla sua vera filosofia, trasmessa
ai soli allievi dell’Accademia esclusivamente attraverso il dialogo
orale: i cosiddetti ágrapha dógmata, le “dottrine non scritte”, secondo

1
Th. A. Szlezák, Platone e la scrittura della filosofia: Analisi di struttura dei dia-
loghi della giovinezza e della maturità alla luce di un nuovo paradigma erme-
neutico, ed. it. a cura di Giovanni Reale, Vita e Pensiero, Milano 1988.

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la definizione che ne dà Aristotele nel IV libro della Fisica (2, E allora perché proprio la scrittura platonica merita la nostra at-
209b15). La tesi di Szlezák assume dunque un punto di vista estrin- tenzione? Credo che le ragioni principali siano due. Potremmo con-
seco sulla scrittura, considerata come il sostituto imperfetto, incom- siderare la prima una ragione storico-filosofica: l’atto di nascita di quel
piuto, di una oralità esoterica, riservata a pochi. Malgrado la somi- particolare tipo di dialogo filosofico che è il dialogo platonico come
glianza del titolo, la tesi che vorrei proporre non ha tuttavia niente a noi lo conosciamo. La seconda ragione si presenta invece immedia-
che vedere con Szlezák, la Scuola di Tubinga e le dottrine non scritte, tamente come una ragione filosofica e ha a che vedere con i cosiddetti
ma suggerisce un diverso punto di osservazione sul problema, sen- paradossi della scrittura platonica4. Vediamole nell’ordine.
z’altro fondamentale per Platone, del rapporto tra oralità e scrittura
e tra scrittura e verità. 1. Che cos’è un dialogo platonico, come possiamo definirlo? Per
Vorrei iniziare con la seguente riflessione: perché quando ci in- prima cosa dicendo che appartiene al genere dei cosiddetti logoi so-
terroghiamo sul modo in cui hanno scritto i filosofi dalle origini fino kratikoí o “dialoghi socratici”5, cioè quell’insieme di scritti che si dif-
a oggi, cioè sulle possibili forme che può assumere la scrittura filo- fusero ad Atene nella prima metà del IV secolo a.C., opere che si
sofica e sulla loro efficacia, rivolgiamo un’attenzione particolare al proponevano di tradurre in forma scritta il dialogo vivente che So-
caso di Platone piuttosto che ad altri filosofi – come dimostra peral- crate era solito intrattenere con i suoi interlocutori; “opere di ge-
tro la sterminata letteratura sul tema? A cosa è dovuto il nostro in- nere”, come li ha definiti Mario Vegetti6, che perlopiù avevano So-
teresse per il “caso platonico”? Secondo un’indagine di Harold crate come protagonista e che, data la straordinaria diffusione in un
Cherniss2, la scelta dello stile con cui scrivere e quindi trasmettere la periodo di tempo relativamente breve (ca 300 in 30 anni, secondo la
propria filosofia è stata infatti avvertita come una scelta fondamentale ricostruzione di Vegetti), dovevano rivolgersi a lettori di genere, ad
fin dalle origini del pensiero filosofico occidentale. Dunque l’inte- appassionati del genere del dialogo socratico. È in questo contesto
resse per la scrittura della filosofia, per la forma in cui veicolare i che nasce il dialogo platonico, che infatti Aristotele nella Politica (II
contenuti filosofici, non è esclusivo di Platone, bensì originario del 6, 1265a11) chiama “socratico”.
pensiero filosofico. Inoltre sappiamo che Platone non è stato l’unico I dialoghi platonici spiccano però tra i logoi sokratikoí acqui-
filosofo a scrivere dialoghi in prosa, benché indubbiamente sia da stando una loro autonomia rispetto al genere di appartenenza per al-
annoverare tra gli iniziatori di questo genere letterario. Hanno scritto cune ragioni. Innanzitutto Platone ci ha lasciato un corpus di opere
dialoghi filosofici alcuni suoi contemporanei come Antistene e Se-
nofonte, altri socratici come Eschine ed Euclide, il suo allievo Ari-
4
Si potrebbe aggiungere a queste una ragione metafilosofica, per cui l’interesse
stotele – anche se delle loro opere dialogiche ci sono pervenuti per-
della scrittura platonica risiederebbe nel suo interrogarsi sui limiti e sulle con-
lopiù solo frammenti – e in seguito ne hanno scritti, per esempio, dizioni di possibilità della filosofia scritta. Questo interesse è senz’altro pre-
Cicerone e Agostino, per fermarci all’Antichità3. sente e vivo, a partire soprattutto dalla letteratura critica del ‘900; ritengo tut-
tavia che esso sia secondario o derivato, nella misura in cui presuppone già
un’interpretazione del testo platonico e perché di fatto dipendente dal carat-
tere paradossale della sua scrittura (ragione filosofica).
5
Sul dialogo socratico, cfr. ora L. Rossetti, Le dialogue socratique, Les Belles
2
Cfr. H. Cherniss, Ancient Forms of Philosophic Discourse, in L. Taràn (a cura Lettres, Paris 2011.
6
di), Selected Papers, Brill, Leiden 1977, pp. 14-35. Cfr. M. Vegetti, La letteratura socratica e la competizione fra generi letterari, in
3
Sul tema si veda, da ultimo, il recente saggio di F. Trabattoni, Dialogo, in P. F. Roscalla (a cura di), L’autore e l’opera: Attribuzioni, appropriazioni, apocrifi
D’Angelo (a cura di), Forme letterarie della filosofia, Carocci, Roma 2012, pp. nella Grecia antica. Atti del Convegno internazionale (Pavia, 27-28 maggio
105-124. 2005), ETS, Pisa 2006, pp. 119-131.

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che, a parte le 13 lettere per la maggior parte apocrife, consta di al- come protagonista, e in questo si distingue già dalla maggior parte
meno 26 dialoghi considerati autentici, compresa l’Apologia di So- se non da tutti i logoi sokratikoí. La figura di Socrate perde progres-
crate, che propriamente non è un dialogo ma il discorso difensivo sivamente di centralità dai dialoghi giovanili, dove è l’indiscusso pro-
pronunciato da Socrate durante il processo del 399 a.C. secondo la tagonista (i cosiddetti “dialoghi socratici” secondo la tripartizione
ricostruzione platonica; e di altri 15 tra quelli di dubbia attribuzione canonica), fino alle Leggi, l’ultimo dialogo scritto da Platone, in cui
e gli spuri7. Di fatto la nostra conoscenza dei logoi sokratikoí dipende Socrate non compare affatto. In ogni caso si tratta sempre di dialoghi
in larga misura dalla lettura dei dialoghi platonici, che per la loro va- scritti alla maniera di Socrate (Aristotele infatti considera anche le
rietà e complessità di opere insieme letterarie e filosofiche portano Leggi un logos sokratikós); si tratta cioè di dialoghi asimmetrici. Cosa
senz’altro a compimento il genere del dialogo socratico rappresen- significa questo? Significa che il dialogo socratico in generale e pla-
tandone la massima espressione. Inoltre Platone è stato molto pro- tonico in particolare non è un dialogo in senso proprio. Normal-
babilmente l’“allievo” più vicino a Socrate e il più adatto a racco- mente quando usiamo la parola dialogo ci riferiamo al dialogo sim-
glierne l’eredità (non è un caso che siano i suoi dialoghi a essersi metrico, vale a dire quella conversazione spontanea – di cui tutti
conservati fino a noi); allievo di un “maestro” che ha scelto di non abbiamo esperienza – in cui i ruoli di interrogante e rispondente sono
essere un maestro e di non scrivere. Come Platone non è l’unico filo- intercambiabili: a turno si pongono domande e si danno risposte.
sofo ad avere scritto dialoghi, così Socrate non è il solo a non avere Anche i dialoghi platonici contengono delle brevi conversazioni
scritto nulla. Nella storia della filosofia esistono due diverse tradi- spontanee, in particolare nelle scene introduttive, dove gli interlocu-
zioni di agrafia, di mancanza di scrittura: l’agrafia esoterica di quei tori si incontrano per la prima volta; tuttavia quando il dialogo si fa
filosofi che, come Pitagora che ne è il capostipite, hanno deciso di filosofico, quando si entra nel vivo della discussione, il dialogo pla-
non scrivere per non divulgare il proprio pensiero; e l’agrafia dialet- tonico assume la sua forma caratteristica, cioè si trasforma in un dia-
tica di chi, come Socrate per primo, ha rifiutato la scrittura non rite- logo asimmetrico con ruoli fissi, dove normalmente Socrate interroga
nendola adatta a sostituire il dialogo orale. La risposta di Platone al- e il suo interlocutore risponde8. Scopo di questo dialogo filosofico è
l’eredità socratica di una agrafia dialettica è quella di una scrittura la ricerca di cosa siano le virtù e le altre cose importanti della vita (si
dialettica, così come ci sono filosofi che hanno invece scelto una scrit- ricerca la verità logica9 dunque), a partire dalle credenze dell’inter-
tura esoterica, per esempio Eraclito. locutore, per orientarne azioni e comportamenti. Ciò che lo contrad-
Vediamo dunque in cosa consiste questa scrittura dialettica. Il distingue è essenzialmente il suo essere centrato sull’interlocutore,
dialogo platonico è un dialogo erotetico o interrogativo a domande sue sono le credenze in gioco, le tesi accolte o confutate, suo il bene-
e risposte brevi e pertinenti, che spesso ma non sempre ha Socrate ficio maggiore che segue la confutazione. Il ruolo di Socrate o di chi
per lui conduce il dialogo è quello di porre domande, non trasmet-
tere un sapere, mostrare qual è il modo giusto di pensare razional-
7
È noto che il corpus platonicum va considerato come un sistema flessibile sia
in relazione alla cronologia delle opere che lo compongono (infra, n. 27) sia
8
in rapporto alla loro autenticità; i numeri qui indicati sono dunque solo ap- Per la distinzione tra “dialogo simmetrico” (o conversazione spontanea) e
prossimativi, e approssimativi per difetto, cioè 26 sono le opere la cui paternità “dialogo asimmetrico”, si rimanda a S. Stati, Il dialogo: Considerazioni di lin-
platonica è ormai (quasi) universalmente riconosciuta. Per una mappa del cor- guistica pragmatica, Liguori, Napoli 1982, p. 17. Ringrazio Walter Cavini per
pus, cfr. C. Capuccino, ARCH LOGOU: Sui proemi platonici e il loro significato avermi suggerito di applicare tale distinzione al dialogo platonico.
9
filosofico, Olschki, Firenze 2014 (in corso di stampa), Fig. IV: Partizione «sce- La verità logica attribuisce a x delle credenze vere sul mondo: ciò che x dice
nica». (Says) è vero se e solo se le cose stanno così come x dice che stanno (Sxp ^ p).

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mente, non fornire contenuti al pensiero. Socrate non sostiene mai che si alternano tra le parti strutturali del dialogo: la scena introdut-
alcuna tesi. Il ruolo dell’interlocutore è invece quello di rispondere tiva o proemio presenterà ad esempio lo stile drammatico e il corpo
senza mai andare contro le proprie opinioni (me parà doxan), cioè del dialogo lo stile narrativo, come nel Simposio12.
essere sincero: la verità del dialogo è in questo senso la verità morale
o sincerità10. Infine il dialogo platonico è un dialogo fittizio: gli 2. La seconda ragione del nostro interesse per la scrittura plato-
scambi dialogici tra i personaggi verosimilmente non hanno avuto nica risiede, come dicevamo, nel suo aspetto paradossale: si tratta
luogo, almeno nella forma in cui li leggiamo, ma sono il frutto del- cioè apparentemente di una scrittura paradossale rispetto ai conte-
l’immaginazione filosofica di Platone; di conseguenza i personaggi, nuti filosofici che esprime, in particolare rispetto ad alcune tesi sulla
anche quando richiamano figure storiche, a partire dallo stesso So- scrittura che Platone stesso formula in due dei suoi dialoghi: il Fedro
crate, non vanno considerati come individui bensì come caratteri o e la Repubblica. Nel Fedro troviamo la celebre critica della scrittura13,
tipi morali11. pratica condannata per tre gravi difetti che costituiscono altrettanti
I dialoghi platonici presentano inoltre una incredibile varietà non pericoli per il lettore e per l’autore: (i) in primo luogo il suo carattere
solo per i contenuti ma anche per la forma in cui sono stati scritti, al di phármakon: parola ambivalente che in greco può significare sia
punto tale che nessuno ricalca perfettamente lo schema argomenta- farmaco nel senso di rimedio, sia veleno. La scrittura, prodigiosa in-
tivo e lo stile filosofico e letterario di un altro. Ciò nonostante, è pos- venzione presentata come il rimedio alla debolezza costitutiva della
sibile suddividerli in tre grandi categorie sulla base del loro stile memoria umana, destinata a cedere il passo all’oblio, secondo Pla-
espressivo: abbiamo da un lato i dialoghi diretti o drammatici, cioè tone è invece un potente veleno che, impedendo a chi legge di eser-
quei dialoghi che, come il Critone o il Fedro, sono scritti sotto forma citare la propria facoltà mnemonica – perché se può ogni volta rileg-
di un semplice scambio di battute tra i personaggi. Il secondo gruppo gere non ha bisogno di ricordare – con il tempo porta
è invece formato dai dialoghi narrati o indiretti come la Repubblica, inesorabilmente la memoria ad atrofizzarsi, come qualcosa di morto
dove lo scambio di battute tra i personaggi è introdotto e alternato che si sostituisce a qualcosa di vivo. (ii) In secondo luogo la scrittura
dalla voce di un narratore. Infine un gruppo particolarissimo di dia- è muta o ripetitiva, cioè se interrogata non risponde oppure risponde
loghi in cui sono presenti entrambi gli stili, drammatico e narrativo, dicendo sempre la stessa cosa; da questo punto di vista potremmo
dire quindi che non è un buon sostituto del dialogo orale. (iii) Terzo,
in mano a chiunque non sa difendersi dai fraintendimenti: avrebbe
10
La verità morale attribuisce a x la virtù morale della sincerità, vale a dire che bisogno del soccorso del “padre”, cioè del suo autore, che però non
x è veritiero o sincero se e solo se dice (Says) ciò che crede (Believes):
Bxp ^ Sxp.
sempre o non per sempre può accorrere in suo aiuto.
11
Per una genealogia dei personaggi che formano la “società dialogica” del cor- Nel X libro della Repubblica Platone rivolge invece un’aspra cri-
pus platonicum, cfr. D. Nails, The People of Plato: A Prosopography of Plato tica alla mímesis, all’imitazione. Con il termine mímesis Platone in-
and Others Socratics, Hackett, Indianapolis-Cambridge 2002. Sottolineare il
carattere fittizio dei dialoghi platonici non significa negarne le radici storiche
– vale a dire il legame vitale che intrattengono con Socrate e le altre figure di
rilievo dell’Atene del V-IV secolo a.C. – bensì riconoscere che, nel loro esito, 12
Cfr. C. Capuccino, ARCH LOGOU, cit., Fig. IV: Partizione «scenica».
essi sono il prodotto dell’abilità filosofica e letteraria di Platone, e dunque 13
Si vedano al riguardo M. Vegetti, Nell’ombra di Teuth: Dinamiche della scrit-
qualcosa che finisce per acquistare una propria autonomia rispetto alla realtà tura in Platone, in M. Detienne (a cura di), Sapere e scrittura in Grecia, Laterza,
cui attinge. Basti pensare al racconto della morte di Socrate nel Fedone, evento Roma-Bari 1989, pp. 201-227 e G. Cambiano, Sulla scrittura nel Fedro plato-
al quale Platone si è dichiarato assente senza che questo gli abbia impedito di nico, in Voce di molte acque: Miscellanea di studi offerti a Eugenio Corsini, S.
scriverne un dialogo. Zamorani, Torino 1994, pp. 91-104 .

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tende sia l’imitazione di oggetti, per esempio il dipinto in prospettiva (b) distante tre gradi dall’essere e dal vero;
di un edificio, sia l’imitazione di persone, come quando un attore in- (c) dannosa per l’anima umana.
terpreta un personaggio o uno scrittore fa parlare in prima persona
i protagonisti della sua opera attraverso un dialogo. In questa duplice 3. Bene, in che modo queste due serie di critiche rendono para-
forma essa è condannabile per tre ragioni: (a) per prima la sua natura dossale la scrittura platonica? Attraverso un dato di fatto: pur criti-
ingannevole. Un caso per noi familiare di questo inganno mimetico cando aspramente la scrittura, Platone scrive, e scrive moltissimo; e
è rappresentato dalla tecnica pittorica del trompe l’oeil 14, che crea pur criticando in particolare la forma mimetica della scrittura, questo
nell’osservatore l’illusione di trovarsi di fronte a un oggetto reale, per è esattamente lo stile che adotta nei suoi dialoghi, dove imita i per-
esempio una porta o una finestra, mentre invece si tratta soltanto di sonaggi mettendo in scena le loro voci, cioè lasciandoli parlare in
un abile dipinto. (b) Oltre a ciò l’imitazione è distante tre gradi dal- prima persona, talvolta con scambi di battute diretti come nel Cri-
l’essere e dal vero, cioè è la copia della copia dell’originale, come il tone o nel Fedro, talvolta introdotti dalla voce di un narratore, come
dipinto di un letto è soltanto una copia del letto di legno fabbricato per esempio nella Repubblica, narrata da Socrate. E questa imitazione
dall’artigiano, che a sua volta è una copia dell’idea di letto, che per è dominante da un punto di vista quantitativo e indiscriminata da
Platone rappresenta l’unico originale, l’oggetto vero e proprio, ciò un punto di vista qualitativo: i dialoghi cioè mettono in scena, ac-
che propriamente è un letto. Queste prime due ragioni fanno parte canto alla figura del filosofo, Socrate in primis, figure di sofisti, retori,
di quella che viene comunemente chiamata la critica ontologica ed rapsodi e tiranni, lasciando che questi personaggi assumano com-
epistemica della mímesis. (c) In terzo luogo l’imitazione è dannosa portamenti verbali e non verbali che di certo Platone non riterrebbe
per l’anima umana, in virtù del coinvolgimento emotivo che è in degni di essere emulati15.
grado di suscitare, qualora i caratteri morali imitati siano biasimevoli. Ciò nonostante l’impressione che ricaviamo dalla lettura dei dia-
Pensiamo per esempio all’immedesimazione degli spettatori durante loghi è quella di una estrema cura e abilità impiegate dal loro autore
uno spettacolo teatrale o, per noi, di fronte alla proiezione di un film. nello scriverli: gli antichi ricordano che Platone morì a 80 anni ri-
Questa è invece la critica morale o psicologica. scrivendo per l’ennesima volta il celebre incipit della Repubblica16.
Possiamo riassumere le critiche come segue: Questo ci lascia insieme insoddisfatti di fronte all’accusa di una scrit-
tura paradossale e in dovere di tentare almeno una difesa. Come ri-
Critica della scrittura (Phdr. 274e ss.)
(i) Veleno per la memoria;
(ii) muta se interrogata; 15
Sulla scrittura filosofica di Platone, e in particolare sullo stile misto di diégesis
(iii) non sa difendersi senza il soccorso del “padre”. (narrazione) e mímesis (imitazione), cfr. J. Brunschwig, “Diégésis” et “Mimé-
sis” dans l’œuvre de Platon, in «Revue des Études Grecques», n. 37, 1974, pp.
Critica della mímesis (R. X) XVII-XIX e M. Vegetti, Lezione 4: Scrivere la filosofia, in Quindici lezioni su
Platone, Einaudi, Torino 2003, pp. 53-65.
(a) Natura ingannevole; 16
Cfr. le testimonianze di Dionigi di Alicarnasso (Comp. 25.215-218), Quinti-
liano (Inst. VIII 6.64) e Diogene Laerzio (III 37). Per i nomi degli autori greci
e i titoli delle loro opere ho adottato le abbreviazioni del Greek-English Lexi-
14
Un particolare effetto della pittura illusionistica è il cosiddetto “sguardo che con (19409), with a Rivised Supplement, a cura di H. J. Liddell, R. Scott, H.
segue l’osservatore” – tipico dei ritratti rinascimentali e noto soprattutto nella Jones e P. G. W. Glare, Clarendon Press, Oxford 1996; per i latini quelle
Gioconda di Leonardo da Vinci – provocato da una leggera asimmetria del dell’Oxford Latin Dictionary, a cura di P. G. W. Glare, Clarendon Press-Ox-
punto focale. ford U.P., Oxford-New York 1968.

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spondere dunque a questi paradossi? Come riabilitare la scrittura scrittura: il cosiddetto anonimato platonico. Tuttavia, se abbiamo
platonica liberandola dalla sua apparente paradossalità per ricono- qualche chance di udire la sua voce, forse è proprio nel luogo in cui
scerla come una buona forma di scrittura? Molti interpreti hanno per tradizione l’autore di un’opera si palesa al lettore. L’idea che vor-
creduto di poter sottrarre l’opera di Platone alle accuse che lui stesso rei suggerire è che in effetti questo avvenga anche nel caso di Platone
muove alla scrittura e alla mimesi riducendone la portata, dicendo e che sia lui stesso a rispondere alle critiche che abbiamo elencato
cioè che le accuse mosse alla scrittura nel Fedro sono rivolte esclusi- poco fa salvando la sua scrittura dal paradosso.
vamente agli scritti retorici, di cui si tratta nel dialogo; e che le criti- Veniamo dunque al Teeteto. Il Teeteto è un dialogo con una strut-
che della Repubblica alla mímesis riguardano soltanto l’imitazione tura particolare19. Normalmente i dialoghi platonici sono tripartiti,
poetica, oggetto d’indagine del X libro. Tuttavia né il Fedro né la Re- presentano cioè una scena introduttiva o proemio, un corpo dialo-
pubblica delimitano in alcun modo le loro accuse, anzi nel III libro gico centrale e una conclusione o epilogo; e sono caratterizzati dal-
della Repubblica, quando per la prima volta si prendono in esame le l’unità dialogica o scenica, cioè tutto il dialogo dal proemio all’epi-
forme espressive, si dice esplicitamente che la questione riguarda non logo si svolge senza soluzione di continuità nello stesso spazio-tempo
soltanto i poeti ma anche i retori e chiunque si esprima su temi im- tra gli stessi interlocutori20. Il Teeteto aggiunge a questa struttura tri-
portanti, in forma orale o scritta (397c); dunque anche i filosofi. Per partita un secondo proemio, esterno rispetto all’ambientazione del
queste ragioni vorrei proporre una risposta alternativa alle critiche dialogo: in altre parole, il dialogo vero e proprio, che si svolge ad
elencate, attraverso la lettura di un brano tratto dal proemio esterno17 Atene nel 399 a.C. tra Socrate, il matematico Teodoro e il suo giovane
del Teeteto. allievo Teeteto, è introdotto – come una sorta di cappello – da un
Perché proprio un brano tratto da una scena introduttiva, da un proemio ambientato nella città di Mègara (quindi in una città diversa
proemio18? Perché tradizionalmente l’esordio è il luogo destinato alla da Atene) 8 – o secondo alcuni 30 – anni dopo, con due diversi pro-
dichiarazione d’intenti dell’autore, il luogo in cui si afferma la sua tagonisti: Euclide e Terpsione. Qual è il legame tra le due scene? Il
autorità e credibilità nei confronti del lettore. Ora, Platone, come è filosofo socratico Euclide racconta all’amico Terpsione di avere ap-
noto, è del tutto assente dai suoi dialoghi, cioè non compare mai pena incontrato Teeteto morente che veniva trasportato ad Atene dal
come personaggio e non prende mai la parola come autore: questo campo di battaglia. L’incontro ha suscitato in lui il ricordo di un rac-
è probabilmente il più radicale dei paradossi che circondano la sua conto che Socrate gli fece 8 anni prima e di cui Teeteto era protago-

17
Comunemente nota come prologo (o proemio) megarico, la scena con cui si 19
Sulla struttura e i livelli narrativi dei dialoghi, cfr. G. Casertano (a cura di),
apre il Teeteto (142a1-143c8) può essere considerata esterna al dialogo vero e La struttura del dialogo platonico, Loffredo, Napoli 2000 (in particolare il sag-
proprio perché calata in un diverso contesto spazio-temporale, con diversi gio di R. Velardi, Scrittura e tradizione dei dialoghi in Platone, pp. 108-139);
personaggi; di conseguenza la scena che apre il dialogo ateniese (143d1- R. N. Cossutta, M. Narcy (a cura di), La forme dialogue chez Platon: Evolution
146b7), in virtù della sua continuità spazio-temporale con il dialogo, assumerà et réception, J. Million, Grenoble 2001. Sulla struttura del Teeteto, G. Caser-
il ruolo di proemio interno. tano (a cura di), Il Teeteto di Platone: Struttura e problematiche, Loffredo, Na-
18
Sul rapporto tra forma e contenuto nei dialoghi platonici non si può prescin- poli 2002.
dere da M. Frede, Plato’s Arguments and the Dialogue Form, in «Oxford Stu- 20
Questo vale non solo per i dialoghi drammatici, ma anche per i tre narrati per
dies in Ancient Philosophy», Suppl. n. 10, 1992, pp. 201-219; sull’importanza intero (Carmide, Liside e Repubblica): dal momento che il narratore si rivolge
dell’incipit si veda in particolare M. Burnyeat, First Words: A Valedictory Lec- a un uditorio anonimo indeterminato e muto, l’unica scena che siamo in grado
ture, in «Proceedings of the Cambridge Philological Society», n. 43, 1997, pp. di descrivere e alla quale possiamo dunque dire di assistere, benché in modo
1-20; sul significato filosofico dei proemi, C. Capuccino, ARCH LOGOU, cit. indiretto, è quella evocata dalla narrazione.

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nista: il contenuto di questo racconto è esattamente il dialogo ate- Se Platone non prende mai la parola nei suoi dialoghi, né come
niese che seguirà. Vediamo dunque il passo21. personaggio né come narratore, perché i narratori dei dialoghi sono
sempre interni, cioè sono a loro volta personaggi della finzione dia-
EU. […] Mi sembra, infatti, sia stato poco prima della morte logica, allora la prima domanda da porsi è in realtà dove cercare la
che egli [scl. Socrate] incontrò Teeteto, ancora adolescente, e che si sua risposta, se ve n’è una, e dietro quale carattere sulla scena. Un
soffermò con lui a discutere rimanendo molto ammirato dalla sua buon candidato a esprimere la voce dell’autore, a farne le veci in que-
naturale disposizione. E quando visitai Atene mi raccontò i discorsi, sto proemio esterno – dove Socrate è assente perché già morto – è
davvero degni di essere ascoltati, che aveva scambiato con lui, e mi proprio la figura di Euclide. Non l’Euclide storico, ma piuttosto o
disse che era cosa assolutamente certa che sarebbe diventato famoso, soprattutto il carattere rappresentativo dell’autore, caso unico nel cor-
sempre che fosse giunto alla maturità. pus platonicum. Qual è esattamente il contributo di Euclide alla ste-
TER. E disse proprio la verità, come sembra. Ma quali erano i sura del libro che per noi costituisce il dialogo ateniese, cioè il Teeteto
discorsi? Saresti in grado di raccontarli? di Platone privato del proemio esterno? Se riusciamo a determinarlo,
EU. Certo che no, per Zeus, almeno non così a memoria. Al- abbiamo forse una chance di capire quale ruolo Platone abbia voluto
lora, però, appena giunto a casa ho annotato degli appunti, e in se- riservare a se stesso, per analogia. Il contenuto non gli appartiene,
guito, con comodo, sforzandomi di ricordare, continuavo a scrivere, ma è socratico: Euclide non è stato protagonista del dialogo ateniese
e ogni volta che mi recavo ad Atene chiedevo a Socrate ciò che non – non era presente – ma è Socrate stesso a narrargli la vicenda a cui
ero riuscito a ricordare, quindi correggevo una volta tornato a casa. prese parte. È interamente sua, al contrario, la forma finale del libro:
In tal modo ho trascritto il discorso oserei dire integralmente. lo scambio diretto di battute tra i personaggi, derivato per sottrazione
[…] dalla forma indiretta del racconto – come abbiamo visto – elimi-
EU. Ecco qui il libro, Terpsione. Il discorso l’ho trascritto così: nando gli inserti narrativi. Unico responsabile del contenuto è dun-
non rappresentando Socrate nell’atto di raccontarlo esattamente come que Socrate, della forma Euclide. Il primo messaggio d’autore sem-
lo raccontava a me, bensì come se stesse dialogando con gli interlocu- bra allora il seguente: l’anonimato platonico va preso sul serio quanto
tori coi quali disse di aver tenuto la conversazione, con Teodoro il geo- ai contenuti dei dialoghi, ma se c’è un luogo dove abbiamo una pos-
metra, cioè, e con Teeteto. Affinché dunque nello scritto non arrecas- sibilità di ascoltare la voce di Platone, questo luogo è la forma che
sero disturbo le indicazioni narrative inserite fra i brani di discorso ha scelto di dare alla sua opera scritta23. Di più, l’opera di Platone
diretto – quando ad esempio Socrate a proposito di se stesso diceva:
“e io affermai” o “e io dissi”, o in riferimento a chi rispondeva: “egli
consentì” o “non era d’accordo” – per questi motivi scrissi come se Nannini (a cura di), Platone: Teeteto, trad. di Simonetta Nannini, con un sag-
lui stesse discutendo con loro, eliminando le sequenze di tal genere. gio introduttivo di Walter Cavini (in preparazione).
23
TER. E non c’è proprio nulla di sconveniente, Euclide. La scelta di Euclide come carattere rappresentativo dell’autore non è ingenua:
in apparenza questo espediente potrebbe suggerire che Platone abbia voluto
EU Su, ragazzo, prendi il libro e danne lettura22. legittimare, al pari dei suoi, i dialoghi degli altri socratici. Tuttavia, a ben guar-
dare, la figura di Euclide nel Teeteto è privata di qualsiasi responsabilità in
merito ai contenuti del libro che trascrive, e il suo contributo consiste unica-
mente nella forma finale assegnata al libro. Affidare a un altro socratico il
21
Per un’interpretazione dettagliata del passo in rapporto alla funzione filosofica compito che Platone riserva a se stesso è forse, piuttosto, un modo per indi-
dei proemi dei dialoghi platonici, cfr. C. Capuccino, ARCH LOGOU, cit., cap. 3. care quale dovrebbe essere secondo lui la scrittura socratica, come dovrebbe
22
Pl. Tht. 142c5-143c8, traduzione inedita di Simonetta Nannini: W. Cavini, S. esprimersi l’autore di un logos sokratikós che sia davvero tale, chiunque egli

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Philosophia VIII Carlotta Capuccino – Il dialogo platonico e la scrittura della filosofia

non coincide esattamente con quella di Euclide: se a Euclide spetta su quale sia la forma migliore in cui scrivere un dialogo filosofico.
la paternità formale del dialogo ateniese, chi scrive di Euclide che Platone, a differenza di quanto sostiene Szlezák, sembra quindi ca-
scrive, o meglio che dialoga con Terpsione e insieme con lui ascolta lare il problema del rapporto tra oralità e scrittura nei dialoghi stessi:
la lettura ad alta voce del libro che ha trascritto? Questo non può es- il punto di vista sulla scrittura è interno. Cosa può averci voluto dire
sere Euclide a farlo. È un modo per attirare l’attenzione sul fatto che Platone attraverso il gesto autoriale di Euclide, che riconduce la
c’è un autore dietro l’opera – Platone – ed è un autore che sceglie forma del libro a quella originale del dialogo ateniese di 8 anni prima,
l’anonimato non per un vezzo stilistico, ma perché ha una ragione ricavandola per sottrazione della voce narrante di Socrate? Quanto
importante24. Verifichiamo questa ipotesi. segue, ritengo, cioè cinque punti che rispondono alle accuse di pa-
radossalità della sua scrittura.
4. Se ipotizziamo dunque che la scelta formale esprima la voce (1) La forma migliore, “niente affatto sconveniente”, come dice
dell’autore, ciò su cui Platone ha voluto attirare la nostra attenzione il proemio, è quella diretta, cioè l’imitazione più fedele dell’originale:
è evidentemente il processo di composizione del libro – cioè in ul- la messa in scena diretta è infatti più fedele al dialogo orale di quanto
tima analisi del suo dialogo –, le fasi del suo cambiamento e della sua lo sia la sua narrazione indiretta, che vi aggiunge una voce esterna,
evoluzione dall’oralità fino all’ultima stesura25, invitandoci a riflettere quella appunto del narratore. Ma qual è questo originale? Non un
dialogo realmente avvenuto nel passato tra Socrate e qualche inter-
locutore, per esempio i nostri Teeteto e Teodoro, perché le scene dei
sia: rimanere anonimo nei contenuti, lasciando che il lettore possa udire di- dialoghi platonici – come sappiamo – sono fittizie. Non si tratta dun-
rettamente la voce di Socrate, ed esprimere indirettamente la propria voce at- que di una imitazione di secondo grado, cioè dell’imitazione di un
traverso le scelte formali. Per una discussione più approfondita dell’argo- dialogo storico, così come il pittore imita il letto costruito dall’arti-
mento, si veda C. Capuccino, ARCH LOGOU, cit., cap. 3. giano. Si tratta piuttosto dell’imitazione più fedele possibile di un
24
Sul complesso rapporto tra Platone, autore anonimo dei dialoghi, e Socrate,
personaggio storico e suo alter ego, sono state formulate innumerevoli ipotesi. logos sokratikós, di un’imitazione, cioè, dell’essenza del discorso so-
Quattro in particolare si distinguono per la loro originalità: M. Burnyeat, So- cratico: quel dialogo asimmetrico di cui dicevamo, che ha come
cratic Midwifery and Platonic Inspiration, in «BICS», n. 24, 1977, pp. 7-16; D. scopo la ricerca di cosa siano le virtù e le altre cose importanti della
N. Sedley, The Midwife of Platonism: Text and Subtext in Plato’s Theaetetus,
Clarendon Press, Oxford 2004; M. Vegetti, La letteratura socratica, cit.; S. vita, per orientare le azioni degli uomini. Questo tipo di imitazione
Nannini, Omero: L’Autore necessario, Liguori, Napoli 2010. si pone alla distanza minima del rapporto diretto con l’originale e ga-
25
Le fasi di composizione del libro formulate nel Teeteto sono sette, o meglio rantisce dunque l’accesso alla verità ontologica26. Con questo Platone
sei più il dialogo originario (cfr. C. Capuccino, ARCH LOGOU, cit., cap. 3):
risponde alla seconda critica di Repubblica X alla mímesis (b).
(0) Atene: dialogo tra Socrate, Teodoro e Teeteto; (1) Atene: incontro tra So-
crate ed Euclide, al quale racconta un dialogo avuto poco tempo prima con (2) Se quella mimetica è la forma migliore, perché allora non scri-
il matematico Teodoro e il suo giovane allievo Teeteto; (2) Mègara: “subito” vere direttamente un dialogo drammatico, come Platone ha già fatto
(tÒt' eÙqÝj) di ritorno a casa, Euclide prende “appunti” (Øpomn»mata) – è
evidente che non si fida della sua memoria; (3) Mègara: “in seguito” (Ûste-
ron), “nel tempo libero” (kat¦ scol»n) inizia una prima stesura degli ap-
punti, “sforzandosi di ricordare” (¢namimnVskÒmenoj) – ha udito da Socrate stesura ultimata (moi scedÒn ti p©j Ð lÒgoj gšgraptai), ne modifica la
cose che non ha più presenti alla memoria; (4) Atene: “ogni volta” (Ðs£kij) forma trasformandola in un libro (bibl…on), che conserva.
che si reca ad Atene torna da Socrate, memoria vivente del dialogo ateniese, 26
La verità ontologica attribuisce a x la coincidenza tra apparenza e realtà, vale
per colmare le sue lacune (™panhrètwn […] Ö m¾ ™memn»mhn); (5) Mègara: a dire che x è ontologicamente vero se e solo se appare A e insieme è A: x è
di ritorno a casa, corregge (™phnorqoÚmhn) la propria scrittura, integrando un vero letto (e non, per esempio, il sogno o l’imitazione di un letto) se e solo
gli innesti di memoria confidati da Socrate; (6) Mègara: redazione finale – a se insieme appare ed è un letto, cioè se è come appare.

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Philosophia VIII Carlotta Capuccino – Il dialogo platonico e la scrittura della filosofia

nella maggior parte dei casi e tornerà a fare, un dialogo come il Fedro essere il recupero della forma originaria, ma senza l’illusione della
o come le Leggi? A cosa serve mostrare la lunga genesi del logos di vicinanza. Il proemio esterno risponde all’accusa dell’inganno nella
cui la forma diretta non è che l’esito finale? Lo scopo potrebbe essere misura in cui l’immagine si dichiara tale, proprio come nelle varia-
il seguente: il proemio esterno, aggiungendosi al dialogo ateniese, ne zioni del celebre quadro di Magritte, La Trahison des images, dove è
svela l’inganno, mostrandone il carattere fittizio o derivato di imita- rappresentata una pipa e insieme la dichiarazione, anch’essa dipinta
zione. In altre parole, il proemio esterno, da Mègara, dichiara che il e dunque parte integrante dell’immagine, “Ceci n’est pas une pipe”:
dialogo interno, ad Atene, è una imitazione, è un’opera mimetica che questo, cioè questo dipinto, non è una pipa. Il dipinto della pipa non
non va scambiata per la realtà. E lo stesso vale ovviamente per l’in- è un vera pipa o una pipa reale perché non ne condivide l’essenza o
tero dialogo platonico. Con questo Platone risponde alla prima cri- la funzione. L’essenza o funzione della pipa è fumare tabacco, ma
tica di Repubblica X alla mímesis (a). Vediamo meglio in che modo. questo il disegno di una pipa, per quanto realistico29, non può farlo;
Il Fedro, per esempio, ha già la forma drammatica, diretta del- e nel caso di Magritte lo dichiara dall’interno dell’immagine. Il Tee-
l’originale, ma senza distinguersi da esso. In questo senso è inganne- teto nel suo insieme offre dunque una soluzione migliore rispetto ai
vole come le immagini che nascondono la loro natura di immagini dialoghi narrati, perché allo stesso modo del quadro dichiara la pro-
spacciandosi per la realtà. I dialoghi socratici giovanili sono perlopiù pria natura di immagine; e in più lo fa senza tradire la natura del-
diretti27. Il Critone, per esempio, inizia con una battuta analoga a l’oggetto imitato. In altre parole, salva i pregi della mímesis elimi-
quella del Teeteto: “è da molto o da poco che sei giunto fin qui?”, nandone i difetti. Questo espediente, esclusivo della scrittura
domanda Socrate al risveglio trovandosi di fronte l’amico Critone. platonica, rende i dialoghi più degni delle rivali tragedie e commedie,
Leggendo ad alta voce il dialogo – o ascoltandolo – è come se noi altrettanto dirette ma ingannevoli30.
fossimo presenti in carcere, simili a spettatori che al cinema si im- (3) Qual è dunque l’unico modo in cui è possibile imitare fedel-
medesimano nella storia. Ma come è possibile? Noi non eravamo in mente un dialogo, rappresentandone cioè l’essenza e non la par-
carcere con Socrate! La mimesi crea l’illusione di essere presenti, l’il- venza? Se l’essenza del dialogo è quello scambio vivo e diretto tra
lusione della vicinanza. Ma questo è falso28. Seguono nella produ- due interlocutori garantito dall’oralità, l’unico modo per conservarlo
zione platonica i dialoghi narrati del periodo maturo, come la Re- è paradossalmente proprio quello di sottrarlo alla vita, fissandolo
pubblica e il Simposio. La nuova forma, indiretta (la narrazione di un nella scrittura. Solo scrivendo un libro, come fa Euclide e Platone
dialogo e non più il dialogo semplice), ha il pregio di rivelare che con lui, è possibile tramandare la forma diretta che caratterizza la
siamo di fronte a una riproduzione, a una copia che in tal modo non
risulta più ingannevole. Questa copia lontana e mediata è però in
quanto tale imperfetta, perché sostanzialmente dissimile dall’origi- 29
Si noti che produrre un effetto realistico è solo parzialmente l’intento di Ma-
nale e dal suo carattere diretto. L’ipotesi è allora che il Teeteto voglia gritte nel dipingere il quadro, dato che in tutte le versioni la pipa o le pipe
rappresentate sono di gigantesche e innaturali dimensioni, e dunque anche
solo per questa ragione impossibili da fumare.
30
Il passaggio attraverso la forma indiretta o narrativa (per esempio quella della
27
Secondo la cronologia “mobile” proposta da Charles Kahn: cfr. Ch. Kahn, Repubblica), dopo la forma diretta o drammatica della maggior parte dei dia-
Plato and the Socratic Dialogue: The Philosophical Use of a Literary Form, Cam- loghi giovanili e prima di ritornare alla forma diretta – ma non più ingannevole
bridge U.P., Cambridge 1996. – del Teeteto, segna il percorso evolutivo – non rigido – del corpus platonicum;
28
Sul tema dell’apparenza illusoria si veda ora W. Cavini, FANTASMA: L’im- un percorso a mio avviso necessario nella misura in cui mostra, attraverso la
magine onirica come apparenza illusoria nel pensiero greco del sogno, in «Me- scrittura dei dialoghi, il complesso rapporto tra oralità e scrittura nella tra-
dicina nei Secoli – Arte e Scienza», n. 21, 2009, pp. 737-772. smissione del dialogo filosofico.

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Philosophia VIII Carlotta Capuccino – Il dialogo platonico e la scrittura della filosofia

natura del dialogo orale. L’oralità, al contrario, è costretta a traman- Nel Teeteto (189e-190a) e poi nel Sofista (264a) Platone definisce
darlo in forma indiretta, attraverso una successione di narrazioni. La il pensiero come un dialogo silenzioso dell’anima con se stessa. Que-
scrittura dei dialoghi platonici è dunque non solo ammissibile ma sto equivale a dire che noi pensiamo sotto forma di domande e ri-
necessaria, per le seguenti ragioni: è l’unico modo (A) per riprodurre sposte, le stesse che danno vita al dialogo socratico32. Il dialogo so-
fedelmente, cioè rispettandone il carattere diretto, e (B) per conser- cratico di Platone ha come scopo ultimo, come meta a cui tendere
vare fedelmente, cioè in modo dettagliato e senza lacune, l’oralità dei l’acquisizione del sapere, esattamente come l’attività del pensiero, ed
logoi sokratikoí, discorsi “degni” di essere tramandati, come ci dice è quindi un ottimo modello per il modo giusto o buono di pensare.
il proemio. La memoria di Euclide non è sufficiente perché fallibile: Essendo un dialogo asimmetrico il ruolo dominante è assunto da So-
se non avesse trascritto il racconto di Socrate colmandone le lacune, crate, vale a dire da qualcuno che se non può trasmetterci un sapere
noi non avremmo potuto conoscere il dialogo ateniese del 399 a.C. – notoriamente Socrate professava di non essere sapiente – è però in
Con questo il proemio risponde almeno parzialmente alla prima ac- grado di formulare quelle domande che danno vita alla ricerca filo-
cusa del Fedro (i). sofica e ne costituiscono il valore. Il pensiero filosofico dovrà for-
(4) Lo scopo dei dialoghi platonici, del fatto che Platone abbia marsi imparando a interiorizzare questo ruolo33. Il proemio risponde
deciso di scriverli, non è raccontarci qualcosa, bensì l’invito a rifare così alla seconda accusa del Fedro (ii) contro una scrittura che se in-
quei dialoghi noi stessi (il Fedro parla di “seguire le orme” della scrit- terrogata non risponde; completa la risposta alla prima accusa (i),
tura), ridando loro delle voci autentiche, cioè vive. Attraverso l’espe- quella di una scrittura come veleno per la memoria, e risponde in-
diente di eliminare la voce del narratore, Platone sembra volere a sieme alla terza accusa rivolta alla mimesi nella Repubblica (c), mo-
prima vista depurare il dialogo da ogni elemento personale e parti- strando la sua utilità.
colare restituendogli quel carattere di universalità necessario affinché
possa essere utile per qualsiasi lettore. Senza l’intrusione dei com- 32
Cfr. D. Sedley, Plato’s Cratylus, Cambridge U.P., Cambridge 2003, p. 1:
menti soggettivi del narratore, siamo soli davanti al dialogo originale “Plato’s real reason for persisting with the dialogue form is, I think, a very
senza correre il rischio di essere influenzati dal suo giudizio. Questa different one, his growing belief – more than once made explicit in his later
mossa, tuttavia, ha esattamente lo scopo inverso: non spersonalizzare work – that conversation, in the form of question and answer, is the structure
of thought itself. When we think, what we are doing is precisely to ask and
il dialogo, bensì mostrarci come il dialogo filosofico di Platone sia answer questions internally, and our judgements are the outcome of that same
qualcosa di intimamente personale. Ha valore, cioè, per ognuno di process. Hence it seems that what Plato dramatises as external conversations
noi, solo e soltanto nel momento in cui ne diventiamo protagonisti can be internalised by us, the readers, as setting the model for our own
proprio come i personaggi rappresentati, nel momento in cui a essere processes of philosophical reasoning. More important still is the converse,
that these same question-and-answer sequences can legitimatly be read by us
in gioco diventano le nostre credenze su noi stessi e sul mondo. Solo as Plato thinking aloud. And that, I suggest, is in the last analysis how Plato
così il dialogo tornerà a essere davvero diretto, con un’unica diffe- maintains the dominating and inescapable presence in his own dialogues that
renza: non potrà più essere un dialogo vivo con Socrate, che non è few if any mere dramatists can rival”. Cfr. anche F. Trabattoni, Il pensiero come
dialogo interiore (Theaet. 189e4-190a6), in G. Casertano (a cura di), Il Teeteto
più nel mondo dei vivi, ma sarà “vivente e animato” nel senso in cui di Platone, cit., pp. 175-187.
lo è il dialogo della nostra anima con se stessa, quel dialogo silenzioso 33
Non si tratta, banalmente, dell’invito a un dialogo con il passato – secondo
in cui consiste il pensiero31. una prospettiva moderna – bensì della chance di fare filosofia con Socrate nel
senso di (continuare a) praticare la filosofia socratica anche in assenza del suo
rappresentante unico, offerta a noi come alle generazioni immediatamente
31
Questo, a mio avviso, è il senso ultimo del valore ipomnematico che Platone successive alla sua morte, alle quali il messaggio dei dialoghi platonici era ve-
riconosce alla scrittura nel Fedro. Cfr. Phdr. 276d. rosimilmente rivolto.

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Philosophia VIII

(5) Infine, sommando le risposte alle diverse accuse, il proemio


esterno risponde con un’ “autodifesa” all’appello conclusivo che Pla-
tone rivolge alla poesia mimetica in Repubblica X. Si tratta dell’invito
a difendere la propria natura dall’interno, cioè in forma mimetica,
invito che non è mai stato raccolto dai poeti, rischiando di cadere
nell’oblio. Platone decide allora di rispondere lui stesso, dall’interno
della sua prosa mimetica; in questo modo ne mostra la superiorità e
insieme fornisce un paradigma, un modello, a beneficio dei filosofi,
ma anche dei poeti del futuro che raccogliendo la sfida decidano di
metterlo in versi34. Autodifendendosi, cioè mostrando la propria
buona natura senza ricorrere all’intervento dell’autore, il dialogo ri-
sponde di conseguenza all’ultima accusa del Fedro (iii): la necessità
di un “padre” che difenda l’opera scritta da attacchi ingiustificati e
fraintendimenti. Il proemio esterno fa le veci di questo padre anche
selezionando il proprio pubblico: l’élite dei giovani filosofi dell’Ac-
cademia e più in generale il pubblico colto della Grecia di quegli
anni, dove forse si nascondono altre nature filosofiche. E lo seleziona,
come ogni autore, a partire dal grado di difficoltà: le allusioni dei
proemi richiedono infatti un lavoro filosofico che non tutti vorranno
o potranno affrontare35.

34
Recentemente è stata ripresa e approfondita l’ipotesi, alternativa a quella pre-
sente, che Platone con la sua prosa mimetica abbia voluto rispondere non da
filosofo, bensì da nuovo poeta, all’appello di Repubblica X: cfr. N. G. Chara-
labopoulos, Platonic Drama and its Ancient Reception, Cambridge U.P., Cam-
bridge 2012. Sul rapporto tra filosofia e poesia secondo Platone si veda anche
l’ottimo F. M. Giuliano, Platone e la poesia: Teoria della composizione e prassi
della ricezione, Academia Verlag, Sankt Augustin 2005.
35
Devo anzitutto ringraziare Roberta Lanfredini per avermi offerto l’occasione
di scrivere questo saggio, invitandomi a presentarlo al seminario permanente
sulla scrittura filosofica che si tiene ogni anno al Dipartimento di Filosofia
dell’Università di Firenze. Un ringraziamento particolare va anche a Walter
Cavini e Simonetta Nannini per aver letto e commentato una prima stesura
di questo lavoro, e al referee anonimo per le sue utili osservazioni.

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