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VOLGARIZZARE E TRADURRE

dall’Umanesimo all’Età contemporanea

Atti della Giornata di Studi, 7 dicembre 2011


Università di Roma «Sapienza»

a cura di
MARIA ACCAME

ESTRATTO

Edizioni TORED – 2013


Con il contributo del Dipartimento di Studi Greco-Latini,
Italiani, Scenico-Musicali dell’Università degli Studi
di Roma “Sapienza” e della Ricerca di Ateneo 2012
Tradizione, trasmissione e traduzione
di cui è responsabile scientifico Marina Passalacqua

Comitato scientifico:
MARIA ACCAME, CONCETTA BIANCA,
ROSSELLA BIANCHI, VIRGILIO COSTA,
LEOPOLDO GAMBERALE, MARINA PASSALACQUA

Responsabile editoriale:
MARIA ACCAME

Responsabile grafica e stampa:


AMERICO PASCUCCI

ISBN 00-88617-67-1

© Copyright 2012
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VIRGILIO COSTA

SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA


DELLE OPERE DI PLUTARCO (SECC. XV-XVI)

È ampiamente noto che la riscoperta di Plutarco nel


XIV secolo procede lungo due direttrici: da una parte, i
primi tentativi di volgarizzamenti integrali delle Vite, tra i
quali certamente merita il primo posto per antichità quello
commissionato verso il 1396 da Coluccio Salutati e condot-
to sulla traduzione aragonese di un esemplare in Neogreco1;
dall’altra, le versioni in Latino di singole biografie tentate
con maggiore o minore capacità da vari umanisti sui codici
greci che già dagli inizi del secolo cominciavano a giungere
regolarmente in Occidente.
La storia di questi primi tentativi, culminati nella rac-
colta di tutte le traduzioni umanistiche delle Vite pubbli-
cata a Roma nel 1470 da Giannantonio Campano2 e nella
Epithome Plutarchi di Dario Tiberti (1492), è già stata scritta3.

1
Per la storia di questo volgarizzamento cfr. M. PADE, The Reception
of Plutarch’s Lives in Fifteenth-Century Italy, I, Copenhagen 2007, pp. 76-87.
2
Campanus Francisco Piccolominio cardinali Senensi meo salutem.
Collegi nuper dispersas grecorum latinorumque principum uitas a Plutarcho
scriptas grece: a diuersis inde interpretibus latinas factas (...). [Romae], U-
dalricus Gallus, 1470.
3
Oltre al già citato studio di M. Pade (con amplissima bibliogra-
fia) cfr. almeno V.R. GIUSTINIANI, Sulle traduzioni latine delle ‘Vite’ di Plu-
84 VIRGILIO COSTA

Merita invece qualche ulteriore considerazione, relativa-


mente all’Italia, il capitolo successivo di questa vicenda, vale
a dire la divulgazione a stampa delle prime edizioni plutar-
chee in lingua italiana, perché alcune di queste imprese,
pur non avendo avuto sulla cultura europea un impatto pa-
ragonabile alle celebri versioni francesi di Jacques Amyot4,
tuttavia contribuirono in misura non modesta all’afferma-
zione di Plutarco come uno dei pilastri della cultura e della
formazione classica in età moderna5.

1. Battista Alessandro Iaconelli

La più antica edizione a stampa in una lingua moderna


di una parte consistente dell’opera plutarchea si deve a Bat-
tista Alessandro Iaconelli (o Jaconello)6, che nel 1482 pub-

tarco nel Quattrocento, in «Rinascimento» n.s. 1, 1961, pp. 3-62; G.


RESTA, Le epitomi di Plutarco nel Quattrocento, Padova 1962.
4
Plutarque. Les vies des hommes illustres Grecs et Romains, Paris 1559
[II ed. Paris 1565]; Plutarque. Les œuvres morales et mêlées, Paris 1572.
5
Di ciò ben si avvide – ad esempio – Luigi Castiglioni in un’am-
pia recensione a K. ZIEGLER, Plutarchos von Chaironeia, Stuttgart - Wald-
see 1949 [«Gnomon» 24.1, 1952, p. 20]: «Nello sguardo riassuntivo alle
vicende ulteriori dell’opera plutarchea, compresa la storia della tradi-
zione manoscritta, molto è da lodare, specialmente per la chiara tratta-
zione di manoscritti e edizioni. Per gl’influssi sulla cultura europea altro
ci sarebbe stato da dire e la letteratura italiana dopo l’età umanistica da
queste pagine esce male. Certamente le traduzioni di Marcello Adriani
e di Girolamo Pompei non contendono in nulla il primato ad Amyot,
ma sopra tutto le Vite hanno avuto anche da noi la possibilità di eserci-
tare influssi notevoli nella letteratura e fuori della letteratura (...)».
6
Bibliografia essenziale: E. TEZA, Plutarco nella traduzione italiana di
B.A. Iaconello, Venezia 1905; T. MANNETTI, La presenza a L’Aquila dei Ia-
conelli di Rieti, in Cultura umanistica nel Meridione e la stampa in Abruzzo.
Atti del Convegno (L’Aquila, 12-14 novembre 1982), L’Aquila 1984,
pp. 201-227; C. GIOVANARDI, Sulla lingua del volgarizzamento plutarcheo
di Battista Alessandro Iaconello da Rieti (1482), in «Contributi di Filologia
SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 85

blica a L’Aquila un ponderosissimo volume intitolato Vite


di Plutarcho traducte de Latino in vulgare in Aquila, contenente
venticinque biografie e destinato ad essere seguito, come
annunciano la tavola degli argomenti e l’explicit, da una se-
conda parte con le restanti Vite7. L’iniziativa, realizzata “con
dispensa del magnifico signore Lodovicho Torto et delli
spectabili homini ser Dominicho de Montorio et [de] Lodo-
vicho de Camillis de Asculo ciptadino de Aquila”, è realizza-
ta dallo stampatore tedesco Adam di Rotwill, il quale pro-
prio con questo libro inaugura la sua attività di tipografo nel-
la cittadina abruzzese, dopo aver lavorato per qualche anno a
Roma (1471-1474) e aver successivamente pubblicato a Ve-
nezia un pregevole vocabolario Italiano-Tedesco (1477)8.
Iaconelli, i cui estremi biografici non ci sono noti, era
nato da genitori reatini, i quali dopo essere stati costretti a
prendere la via dell’esilio avevano impiantato in Abruzzo
alcune redditizie attività commerciali e manifatturiere. A
L’Aquila egli trascorse buona parte dell’esistenza ricopren-

dell’Italia mediana» 7, 1993, pp. 65-139; ID., Sulla lingua del volgarizza-
mento plutarcheo di Battista Alessandro Iaconello da Rieti (1482). Seconda
parte, in «Contributi di Filologia dell’Italia mediana» 8, 1994, pp. 5-39;
M.A. PASSARELLI, s.v. Iaconelli, Battista Alessandro, in DBI 62, Roma
2004, pp. 17-19.
7
Vite de Plutarcho traducte de latino in vulgare in Aquila al Magnifico
Lodovicho Torto per Baptista Alexandro Iaconello de Riete. Aquila, per mae-
stro Adam de Rotwil Alamanno, 1482 adì 16. de septembro. Le vite
plutarchee incluse nella pubblicazione sono quelle di Teseo, Romolo,
Licurgo, Numa, Temistocle, Camillo, Annibale, Scipione, Timoleonte,
Emilio Paolo, Pirro, Lisandro, Silla, Eumene, Sertorio, Cimone, Lucul-
lo, Nicia, Crasso, Agesilao, Pompeo, Alessandro, Cesare, Focione e Ca-
tone Uticense.
8
Sull’attività di Adam von Rotwill cfr. U. SPERANZA, Adamo Rot-
will primo stampatore nell’Aquila, Roma 1958; A. MONDOLFO, s.v. Ada-
mo di Rotwill (Rotwyl, Rothwill; Adamo Rot), in DBI 1, Roma 1960, pp.
243-244.
86 VIRGILIO COSTA

do anche delicati incarichi politici e diplomatici, ma senza


dimenticare la patria d’origine, se è vero che il frontespizio
del volgarizzamento plutarcheo reca la firma Baptista Ale-
xandro Jaconello de Riete9. Nel 1482 Iaconelli si era ormai ri-
tirato dalla vita pubblica, perché nel proemio del volume

9
La “reatinità” di Iaconelli sarà oggetto di una curiosa disputa, a
metà dell’Ottocento, fra un erudito aquilano, Alfonso Dragonetti, au-
tore di un corposo saggio su Le vite degli illustri Aquilani (Aquila 1847), e
l’avvocato reatino Antonio Colarieti, autore a sua volta di un trattatello
Degli uomini più distinti di Rieti per scienze lettere arti. Cenni biografici (Rieti
1860). Al primo, il quale per giustificare il fatto che lo stesso Iaconelli
s’era detto reatino (cfr. sopra nel testo) affermava che «in quel tempo
era usanza dei nostri maggiori, sebbene fossero nati all’Aquila, designar-
si dai luoghi onde traevano l’origine» (Le vite degli illustri Aquilani, p.
143), il secondo rispondeva che «la famiglia de’ Jaconelli fu Reatina. Da
registri Municipali risulta, che dessa avea abitazione nella Contrada su-
periore di Porta Cinzia, che Cristoforo nel 1379 n’era capo, che Ono-
frio figlio di Cristoforo fu padre di Battista. (...) Se Dragonetti fu tenero
della domestica gloria, non men da noi doveasi rivendicare il diritto.
Aquila sarà a Jaconello patria di elezione. Certo Rieti gli fu patria di o-
rigine; ne abbia ciascuna il suo vanto» (Degli uomini più distinti di Rieti,
pp. 29-30). Queste polemiche oggi possono far sorridere; va tuttavia ri-
levato che sia Dragonetti sia Colarieti sono consci dell’imperfezione di
quel primo tentativo di volgarizzazione, pur giustificandone diversa-
mente le mende: Colarieti con ribattere alle obiezioni di Girolamo
Pompei (su cui cfr. oltre) che se la versione dello Iaconelli era «di barba-
ra e dura sintassi, di stile aspro, stentato» ciò dipendeva dal fatto che la
traduzione era stata condotta non direttamente sul testo greco, ma sulla
versione latina di Lapo di Castellucchio il Giovane (Degli uomini più di-
stinti di Rieti, p. 28); Dragonetti col far presente che «il mentovato lavo-
ro (...), quantunque scritto in una dicitura poco forbita e di Latinismi
piena sopra ogni credere e quantunque non sempre risponda alla idea
originale la parola del traduttore, pure (...) ha conservato qualche nome
per la lingua che ha un rilampo del candore trecentistico; per lo stile
che semplice come è senza nessuna lisciatura, con un poco più di lima
bene si affarebbe a una versione del Filosofo di Cheronea; e per essere
infine quello che ha schiuso la via ai successivi volgarizzamenti di Plu-
tarco» (Le vite degli illustri Aquilani, p. 144).
SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 87

scrive di essersi «rimosso al tucto dal publico giogo» e di a-


ver cominciato «ad godere tranquilla pace de una mia isti-
tuita agricultura, ove sequitando i vestigii de y magiori era
recuperato como in porto tranquillo: exempto da i mordaci
fastidii ociosi, et alieno da publici pensieri, tormenti acerbi
nel presente tempo de ogne honesta mente».
La trasposizione delle Vite plutarchee dal Latino in vol-
gare di Iaconelli è chiaramente fondata sulla già citata rac-
colta di Giannantonio Campano10. Il proemio si chiude
con una franca confessione circa il proprio stile di tradu-
zione, ispirato – come poi gli sarebbe stato rimproverato – a
una certa libertà rispetto ai testi originali:

«Et perché el nostro fine circha tal cosa è far note ad


genti indocte queste vite (....) cognosco in nel tran-
slatare havere transgressa la legge delo interprete,
però che non ho atteso ad explicare parola per paro-
la secondo la proprietà del latino, el che haveria in-
ducta una inconcinna prolissità et fastidiosa: ma non
discostandome per quanto ho inteso da le vere sen-
tentie ho lassata indietro quella legge, quale non ad
translatori de latino in volgare, ma ad conversori da
greco in latino circha la observantia de y termini se
sol requedere assai severamente (...)»11.

La rinuncia alla traduzione letterale, che non sarebbe


stata appropriata in un’opera esplicitamente dedicata alle
genti “indocte”, è uno degli aspetti più felici del volgarizza-

10
Cfr. ancora PASSARELLI, s.v. Iaconelli, Battista Alessandro, cit., p. 18.
11
Si deve forse a un travisamento di questo passo, e in particolare
all’accenno ai “conversori de greco in latino”, il fatto che Armando Pe-
trucci, nell’Introduzione alla ristampa del volume dello Iaconelli (Plutar-
chus. Vitae parallelae, L’Aquila 1982), sostiene che la traduzione fosse
«presentata dal suo autore come diretta dal greco in italiano» (pp. X-XI).
88 VIRGILIO COSTA

mento plutarcheo di Iaconelli12, che difatti riscosse un di-


screto successo: esso venne ristampato a Venezia nel 1518
(presso Giorgio de’ Rusconi), nel 1525 (presso Nicolò d’Ari-
stotile detto Zoppino), nel 1529 (presso Francesco d’Ales-
sandro Bindoni et Mapheo Pasini), e ancora nel 1537-1538
(presso Bernardino di Bindoni). La seconda parte delle Vite,
promessa da Iaconelli e mai realizzata, apparve invece sem-
pre a Venezia nel 1525 per i tipi di Niccolò Zoppino e fu
curata dal medico e letterato padovano Giulio Bordone, i-
dentificato congetturalmente da Tiraboschi con Giulio Ce-
sare Scaligero13.

2. Dario Tiberti e Giovanni Tarcagnota

Agli inizi del XVI secol la diffusione in Occidente


dell’opera plutarchea è resa più spedita dalla comparsa delle
edizioni aldine dapprima dei cosiddetti scritti morali14, quin-
di delle Vite parallele15; minore impatto sembra invece avere

12
Di ciò si è ben avveduto Claudio Giovanardi in un ampio stu-
dio sulla lingua dello scrittore reatino: «In conclusione, non si può cer-
to osservare che il volgarizzamento delle vite plutarchee sia frutto di
un’operazione improvvisata o casuale; né la conclamata modestia dello
Iaconello è tale da giustificare l’ingeneroso giudizio di chi l’ha voluto
chiamare “troppo rozzo e slombato scrittore”» (Sulla lingua del volgariz-
zamento plutarcheo..., I, cit., p. 70; per il riferimento all’ingeneroso giudi-
zio critico cfr. TEZA, Plutarco, cit., p. 580).
13
G. TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, VII.2, Roma
1784, pp. 181-182.
14
Plutarchi Opuscula. LXXXXII. Index moralium omnium, et eorum,
quæ in ipsis tractantur, habetur hoc quaternione. Numerus autem arithmeticus
remittit lectorem ad semipaginam, ubi tractantur singula. Venetiis, in ædibus
Aldi et Andreæ Asulani soceri, mense Martio. 1509).
15
Πλουτάρχου Παράλληλα ἐν βίοις Ἑλλήνων τε καὶ Ῥωμαίων, μθ´.
Plutarchi quae vocantur Parallela. Hoc est Vitae illustrium virorum Graeci
nominis ac Latini, prout quaeque alteri conueire videbatur, digestae. Venetiis,
in aedibus Aldi, et Andreae soceri, mense Augusto. 1519.
SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 89

avuto un’altra edizione greca delle Vite comparsa a Firenze


nel 1517 in aedibus Philippi Iuntae e basata prevalentemente
su un codice manoscritto di proprietà di Marcello Virgilio A-
driani (1464-1521), discepolo e successore del Poliziano sulla
cattedra di eloquenza greca e latina dello Studio fiorentino.
Merita inoltre di essere segnalata, a testimonianza del
crescente interesse (anche commerciale) per lo scrittore di
Cheronea, il volgarizzamento dell’Epithome Plutarchi di Da-
rio Tiberti pubblicata nel 1543 a Venezia da Giovanni Tar-
cagnota (con lo pseudonimo di Lucio Fauno).
Tiberti (1425 circa - 1505), nobile cesenate legato ai
Malatesti di Rimini, si era dedicato alla letteratura tra i cin-
quanta e i sessant’anni, forse anche per evadere spiritual-
mente dal clima di aperta guerra civile che sconvolse Cese-
na specialmente a partire dal 1489, e che il 3 agosto 1505
determinò il barbaro linciaggio dello stesso scrittore, ormai
completamente cieco16. Sebbene egli abbia lasciato anche
un poema in 8018 versi latini intitolato De legitimo amore
per la seconda moglie Elena Moratini, nonché una Glosula
in Psalterium e un Contemplationum libellus dedicato a Elisa-
betta Gonzaga (contenente 317 composizioni dedicate al-
ternativamente a Cristo e alla Vergine), la sua memoria è
principalmente legata a un’epitome in Latino delle Vite pa-
rallele fondata anch’essa, come il volgarizzamento di Iaco-
nelli, sulla raccolta di Giannantonio Campano. Come tutte
le epitomi, il condensato plutarcheo del Tiberti ha uno
scopo pratico: fornire alle persone desiderose di conoscere
gli insegnamenti etici di Plutarco, ma non sufficientemente
esperte per districarsi da sole fra le tante versioni latine del-

16
Su Dario Tiberti, la sua opera letteraria e le lotte civili a Cesena
nella seconda metà del Quattrocento cfr. P.G. FABBRI, in C. DOLCINI -
P.G. FABBRI (a cura di), Le vite dei Cesenati, I, Cesena 2007, pp. 15-19.
Sull’Epithome e gli altri scritti letterari cfr. inoltre RESTA, Le epitomi di
Putarco nel Quattrocento, cit., pp. 76-122.
90 VIRGILIO COSTA

le Vite, o sprovviste del tempo necessario all’impresa, un


condensato dei fatti e degli exempla che non bisognava igno-
rare. Nella lettera dedicatoria, datata 30 aprile 1492 e dedi-
cata al vescovo e governatore di Cesena Giulio Cesare Can-
telmo, Tiberti dichiara con apprezzabile modestia gli intenti
squisitamente pratici del proprio lavoro, aggiungendo di
aver preferito esporre la tarditas del proprio intelletto ai cri-
tici piuttosto che mostrarsi indifferente alle richieste quasi
quotidiane degli amici:

Verum enimvero quia non nisi longiore lucerna et


plurima epota fuligine deprehendi possunt quae
circumspectissimus scriptor Plutarchus tanta elegan-
tia et dicendi copia et decore latissime conscripta
reliquit; propterea nonnulli, quibus negotiorum
moles lectitandi ocium aufert et prolixiore non
oblectantur historia, brevitatis iocunditate allecti
quae cognitione et memoria digna sunt paucis inter-
cipere posse discupiunt. Efflagitarunt itaque (scil.
amici) a me quotidiano quasi convicio, ut pro virili
nostra conarer opus illud tantorum dierum breviore
quo possem compendio per stringere, ne iugi lectio-
ne et prolixitatis nausea affecti excellentium viro-
rum cognitionem amittant: laudabilius conducibi-
liusque esse asserentes ex elegantioribus dictis pauca
memoria tenere quam multa legisse et omnia obli-
vionis involucro contegere. Ego autem ne amicis
inexorabilis prater fas esse viderer, quando pro
honesta eorum petitione contendendum non esse
putaverim, potius ingenii mei tarditatem criticorum
iudicio censendam decrevi quam officii immemo-
rem me ostenderem.

L’Epithome tibertiana venne stampata a Ferrara per ini-


ziativa del fratello di Giulio Cesare Cantelmo, il celebre
condottiero Sigismondo (1455 circa - 1519). Malgrado l’o-
SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 91

missione sistematica delle parti non narrative, il frainten-


dimento della struttura dei Βίοι plutarchei17 e i numerosi
errori di cui era costellata (che però in gran parte dipendo-
no dalle versioni latine utilizzate), l’opera colse lo scopo che
si prefiggeva, sicché non è arrischiato dire che anche grazie
ad essa gli eroi di Plutarco cominciarono a diventare fami-
liari al di là della cerchia dei letterati di professione.
L’importanza del lavoro di Dario Tiberti è altresì provata da
una parte dalle numerose ristampe apparse in varie città eu-
ropee per tutto il Cinquecento e oltre18, dall’altra dai volga-
rizzamenti in Italiano e in Francese curati verso la metà del
secolo, rispettivamente, da Giovanni Tarcagnota19 e Philip-
pe de Avenelles20.

17
Tiberti ad esempio riteneva che tutte le Vite fossero organizzate
in coppie singole; perciò egli divise la coppia Agide e Cleomene / Tibe-
rio e Gaio Gracco in due (Agide e Tiberio Gracco; Cleomene e Gaio
Gracco) e organizzò la biografie isolate di Artaserse, Arato, Galba e O-
thone in due sequenze Greco (o Persiano) / Romano: Artaserse / Gal-
ba; Arato / Otone. Inoltre egli incluse le vite pseudo plutarchee di Eva-
gora e Pomponio Attico, già presenti nella silloge di Giannantonio
Campano.
18
La prima è quella – notevolmente emendata – curata a Basilea
nel 1541 da Johannes Oporinus; altre apparvero a Parigi (1545; 1547;
1560; 1564; 1573), a Ginevra (1573; 1590; 1597) e a Le Mans (1608).
Cfr. RESTA, Le epitomi di Putarco nel Quattrocento, cit., pp. 91-92.
19
Le Vite di Plutarco ridotte in compendio, per M. Dario Tiberto da Ce-
sena, e tradotte alla commune utilità di ciascuno per L. Fauno, in buona lingua
volgare, in Venetia [presso Michele Tramezzino] 1543. Sull’antiquario e
traduttore Giovanni Tarcagnota (1508 circa - post 1552) cfr. L. ASOR
ROSA, s.v. Fauno, Lucio, in DBI 45, Roma 1995, pp. 377-378, e soprat-
tutto G. TALLINI, Giovanni Tarcagnota (http://www.nuovorinascimento.
org/cinquecento/tarcagnota.pdf), consultato il 24/6/2013.
20
Epitome ou Abrégé des vies de cinquante et quatre notables et excellens
personnaiges tant grecs que romains, mises au parangon l’une de l’autre, extraict
du grec de Plutarque de Chaeronée, Paris, Imprimerie de Philippe Danfrie
et Richard Breton, 1558.
92 VIRGILIO COSTA

Per limitarci al solo Tarcagnota, accanto ai giusti rilievi


sulla modesta qualità della traduzione è pur doverosa una
considerazione. Il passaggio dal Latino all’Italiano, come
detto, ha notevolmente ampliato i potenziali lettori di Plu-
tarco, e quindi ha in un certo senso portato alle logiche
conseguenze l’operazione tentata dal Tiberti: per rendere
veramente accessibile a tutti il (supposto) potenziale educa-
tivo delle Vite non solo era necessario ridurre a dimensioni
ragionevoli un testo quasi sterminato, ma occorreva rimuo-
vere l’ultimo ostacolo, quello della lingua latina: «accio che
tutti» – scrive infatti il Tramezzino nella dedica prefatoria a
Luigi Cornaro gran Comendatore di Cipro – «partecipino
di questa utilità».

3. Lodovico Domenichi

Rispetto alla versione di Tarcagnota, il successivo vol-


garizzamento delle Vite plutarchee pubblicato in due parti
nel 1555 a Venezia dal piacentino Lodovico Domenichi
(1514-1564) si distingue per una cosa sola, cioè l’essere una
traduzione integrale. Ma il testo di provenienza è ancora
quello latino del 1470; la fedeltà a questa edizione è anzi
così assoluta che Domenichi, pur riconoscendo la diversa
provenienza di alcune biografie ivi contenute – quelle di
Evagora, Pomponio Attico, Platone, Aristotele e Carlo
Magno21 – le include egualmente perché, come si legge al
termine della seconda parte, «sono elegantemente scritte,
et perché ancho altre volte ci sono state messe et tradotte
da altri».
Eppure Ludovico Domenichi, a differenza degli Iaco-
nelli, dei Tiberti e dei Tarcagnota, non era affatto digiuno

21
Egli viceversa ritiene autentica un’altra vita presente nella silloge
del Campano, quella di Omero.
SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 93

delle lettere greche. Dopo una giovinezza spregiudicata e ta-


lora violenta trascorsa fra Piacenza, Pavia e Padova (dove
nel 1539 s’era laureato in Giurisprudenza), s’era infatti tra-
sferito a Venezia per questioni di forza maggiore – un altro
celebre letterato, Anton Francesco Doni, lo aveva accusato
di aver partecipato ad una congiura contro Ferrante Gonza-
ga –, e qui, grazie all’amicizia poi rinnegata con Pietro Areti-
no, aveva cominciato una lunga collaborazione con Gabriel
Giolito de’ Ferrari ed altre importanti stamperie come tra-
duttore di testi classici. Trasferitosi nel 1546 a Firenze, aveva
tuttavia mantenuto i rapporti con l’officina tipografica di
Gabriel Giolito, pubblicandovi, nell’arco di una quindicina
d’anni, diversi autori greci oltre a Plutarco, fra i quali Polibio
(1545), Senofonte (Opere morali, 1547; L’impresa di Ciro Mino-
re, 1548; I fatti de’ Greci, 1548; La Vita di Ciro Re de’ Persi,
1548); Plinio (Istoria Naturale di C. Plinio Secondo, 1561); nella
città toscana aveva invece atteso, per conto di Lorenzo Tor-
rentino, alle edizioni di due dialoghi di Luciano (1548) e
dell’Epistola ad Aristea (Aristea, De’ settanta Interpreti, 1550).
Il volgarizzamento delle Vite parallele fu più volte ri-
stampato sino alla metà del Settecento22. Va tuttavia ricor-

22
Vite di Plutarco. Tradotte da m. Lodouico Domenichi, con gli suoi
sommarii posti dinanzi a ciascuna vita. Con due tavole, le quali sono poste nel
fine della seconda parte: l’una serve alle cose notabili, nell’altra si sono raccolti
ordinatamente tutti i nomi antichi e moderni di diversi paesi, città, mari, pro-
montori, venti, fiumi, monti e luoghi che in tutta l’opera si contengono. Con la
dichiaratione de i pesi e delle monete, che si usavano da gli antichi. In Vine-
gia, appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1560. – Vite di Plutarco Chero-
neo de gli huomini illustri Greci et Romani, nuovamente tradotte per m. Lo-
douico Domenichi et altri, et diligentemente confrontate co’ testi greci per m.
Lionardo Ghini: con la vita dell’auttore, descritta da Thomaso Porcacchi; et co’
sommari a ciascuna vita, con tavole, et dichiarationi assai, in modo che non
pare che si possa desiderare cosa alcuna alla compiuta perfettione dell’opera. In
Vinegia, appresso Giolito de’ Ferrari, 1566-1568. – Vite di Plutarco Che-
roneo sommo filosofo degli huomini illustri greci et romani co’ loro paragoni, tra-
94 VIRGILIO COSTA

dato che anche una delle sue ultime fatiche come tradutto-
re dei classici latini e greci è legata al nome di Plutarco: si
tratta della versione italiana di tre opere morali pubblicate a
Lucca nel 156023.

4. Francesco Sansovino

Un deciso salto di qualità nei volgarizzamenti italiani


delle Vite di Plutarco si ha con la traduzione integrale cura-
ta da Francesco Sansovino, figlio del celebre scultore Jaco-
po. Era nato a Roma nel 1521, ma dopo il sacco di Roma
(1527) aveva seguito il padre a Venezia, dove fin da giova-
nissimo si era applicato allo studio del Greco. Laureatosi in
Giurisprudenza a Bologna nel 1542 per volere di Jacopo,
quasi subito aveva abbandonato ogni velleità di carriera le-
gale, e dopo aver trascorso alcuni mesi alla corte di papa
Giulio III era tornato definitivamente a Venezia, trascor-
rendovi il resto dell’esistenza (morì nel 1586) fra gli studi

dotte da M. Lodovico Domenichi et ridotte alla loro vera lettura, et racconcie


secondo i buoni testi latini in più di mille luoghi da M. Francesco Sansovino. In
Venetia, appresso Iacopo Sansovino il Giovane, 1570 (in tre parti). –
Vite di Plutarco Cheroneo de gli huomini illustri greci et romani. Nuovamente
tradotte per M. Lodovico Domenichi et altri. Et diligentemente confrontate co’
testi Greci per M. Lionardo Ghini. In Venetia, appresso Felice Valgrisio,
1587. – Vite di Plutarco Cheroneo de gli huomini illustri greci et romani. Tra-
dotte per M. Lodovico Domenichi, et altri. Et diligentemente confrontate co’
Testi Greci per M. Leonardo Ghini. In Venetia, appresso Marco Ginami,
1620. – Vite di Plutarco Cheroneo degli uomini illustri greci et romani tradotte
già per M. Lodovico Domenichi, ed ora diligentemente corrette e confrontate col
Testo Greco stampato a Francofort l’anno 1599. In Verona, appresso Dio-
nigi Ramanzini, 1744.
23
Opere morali di Plutarcho, nuovamente tradotte, per M. Lodovico
Domenichi, cioè Il convito de’ sette savi. Come altri possa lodarsi da se stesso
senza biasimo. Della garrulità, ovvero Cicaleria. In Lucca, per Vincenzo Bu-
sdragho, 1560.
SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 95

letterari come autore di numerosissime opere storiche, an-


tiquarie, politiche, religiose o come traduttore di classici
greci e latini.
La traduzione delle Vite parallele apparve a Venezia nel
1564 per i torchi di Vincenzo Valgrisi. Dal punto di vista
grafico l’opera era realmente innovativa: il testo italiano, in-
fatti, è corredato a margine da note esplicative degli innu-
merevoli nomi di persone, luoghi e costumi ricorrenti nelle
biografie plutarchee24; altrettanto dettagliata è la Tavola delle
cose notabili et degne di memoria poste al termine di ciascuno
dei due tomi di cui si compone l’opera25. Ma solo leggendo
la lettera dedicatoria al senatore veneziano Giovanni Mat-
teo Bembo – il vincitore della celebre battaglia navale pres-
so il golfo di Cattaro, sulla costa dalmata, contro la flotta
turca del Barbarossa – si coglie veramente la diversa consa-
pevolezza, rispetto ai predecessori, con cui Sansovino aveva
condotto il proprio volgarizzamento.

24
Ecco qualche esempio tratto dal volgarizzamento della vita di
Teseo. Prima dell’incipit Sansovino scrive: «Theseo figliuolo d’Egeo, re-
gnò in Athene l’Anno del Mondo 2730. Et innanzi l’avvenimento di
Christo 1232. Parla di Costui Giustino nel secondo Libro. Diodoro nel
5. Libro. Ovidio nella 4. Epistola, et moltissimi altri scrittori». A margi-
ne della citazione eschilea in 1, 4 annota: «Questi versi sono nella Tra-
gedia il cui titolo è ἐπτα ἐπι θήβαις». A 3, 1 (discendenza di Teseo da
Pelope da parte di madre) spiega: «Pelopida (sic) fu potentiss. Re nel Pe-
loponneso, che hoggi si chiama la Morea», etc.
25
La straordinaria ricchezza dell’apparato documentario dell’edi-
zione sansoviniana è dichiarata sin dal frontespizio: Le vite de gli huomini
illustri greci e romani, di Plutarco Cheroneo sommo filosofo et historico, tradotte
nuovamente da M. Francesco Sansovino. Con le tavole copiosissime delle cose
notabili, che si contengono nella prima et seconda parte, poste nel fine. Con som-
marij, et utili postille, che dichiarano i luoghi oscuri de’ testi per via di discorsi.
Con una tavola di Monti, di Città, di Isole, di Fiumi, et di Mari, nella quale si
dichiarano i nomi antichi co’ moderni, come si può vedere nel fin delle tavole. Et
con le figure de Capitani, et de Re de quali si tratta, poste in disegno, et cavate
dalle medaglie antiche. In Venetia, appresso Vincenzo Valgrisi. 1564.
96 VIRGILIO COSTA

Nell’epistola, datata 22 Ottobre 1563, l’erudito vene-


ziano afferma preliminarmente di essere stato mosso a tra-
durre le Vite di Plutarco da due fattori: l’eccellenza dello
scrittore e «un’ardentissimo (sic) desiderio che io ho havuto
sempre di migliorarlo in più luoghi con questa mia tradut-
tione».
Quanto alla prima, egli quasi anticipa il dibattito mo-
derno sulla natura storica o etica degli exempla plutarchei26,
quando dopo aver osservato che non v’è libro più adatto
della storia plutarchea a dare utile e diletto all’animo dei
lettori, aggiunge che «questo Autore nel distender con tanta
dottrina l’operationi eccellenti di tanti segnalati Signori,
ordinò la sua Historia di modo, che è molto malagevole co-
sa à conoscere, se volle dichiarar la Filosofia morale con gli
essempi Historici, o se pur volle ornar la narratione delle
cose illustri fatte da i grandi con le disputationi filosofiche».
Quanto alla seconda, scrive Sansovino che «a me pa-
reva pur troppo mal fatta cosa ch’uno Autore di tanta ri-
putazione fosse così lacero, et guasto, et che leggendosi à
tempi nostri il testo di Plutarco più corretto che giamai
fosse, volessimo riportarci alla traduttione del Guarrino,
dell’Acciaiuolo, di Leonardo Aretino et di tanti altri che lo
hanno tradotto in Latino. Mi disposi adunque di far questa
nuova fatica, et di condurla a termine che stesse presso che
bene, perché conferendo questo pensiero con diversi amici,
tra quali un fu M. Paolo Manutio di quel nome honorato
che fa il Mondo, et l’altro M. Girolamo Magi d’Anghiari
homo di molto giuditio et di grandiss. letteratura et Greca,
et latina, mi misi all’impresa con l’aiuto loro». La menzione
degli amici che lo avevano incitato all’impresa ci aiuta a co-

26
Su cui cfr. ora, per tutti, F. MUCCIOLI, La storia attraverso gli e-
sempi. Protagonisti e interpretazioni del mondo greco in Plutarco, Milano - U-
dine 2012.
SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 97

gliere qualche dettaglio del lavoro compiuto da Sansovino:


innanzitutto, il testo greco utilizzato, che è quasi certamente
quello stabilito nel 1519 da Francesco Asolano per conto
Aldo Manuzio (il padre di Paolo – all’epoca non era peral-
tro ancora disponibile l’edizione plutarchea di Henri E-
stienne, che è del 1572); in secondo luogo, la rapidità con
cui Francesco Sansovino realizzò il volgarizzamento, visto
che il soggiorno di Girolamo Maggi a Venezia viene datato
a partire dal 156027.
Un altro pregio della traduzione sansoviniana consiste
nella dichiarata volontà – purtroppo non sempre sostenuta
da una reale acribia storico-filologica – di rispettare la strut-
tura originaria dell’opera plutarchea e di emendare, ove ne-
cessario, il testo tràdito:

«Si dee bene avvertire che quest’opera di Plutarco


(...) non si trova né si trovò giamai se non tronca et
imperfetta, perché non pur vi mancano i Paragoni
tra Themistocle et Camillo, tra Pirro et Mario, tra
Alessandro et Cesare, tra Focione et Catone, ma
non vi sono anco molte Vite che l’Autor medesi-
mo dice di havere scritte, come di Epaminonda ci-
tata da lui nella Vita d’Agide, di Metello Numidico
in Mario, di Scipione Emiliano in Tiberio Gracco,
et di Hercole in Theseo, in luogo delle quali vi fu-
rono aggiunte quelle d’Annibale et di Scipione
dall’Acciaiuoli, di Carlo Magno, di Pomponio At-
tico, et di Aristotele, da diversi altri scrittori mo-
derni. Et ancora che con sollecito studio et con ac-
curata diligenza io habbia atteso à dirizzar diversi

27
Su Girolamo Maggi, poligrafo, ingegnere, architetto, costrutto-
re di macchine militari, difensore della rocca di Famagosta accanto a
Marcantonio Bragadin nel 1571, e infine prigioniero dei Turchi a
Costantinopoli e da costoro barbaramente trucidato nel 1572, cfr. L.
CARPANÉ, s.v. Maggi, Girolamo, in DBI 67, Roma 2007, pp. 347-350.
98 VIRGILIO COSTA

concetti che erano sconciamente contrarij al senti-


mento di tutta la vita dove essi erano posti, et ad il-
lustrar molti luoghi oscuri, restituendo una infinità
di nomi di Provincie, di Città, et di huomini alla lor
vera et sana lettura, conferendo con gli amici i miei
dubbij, et i testi Latini co Greci, nondimeno non
niego ch’in così largo et profondo Mare di cose,
smarrendo qualche volta la via diritta, non abbia
percosso talhora in qualche duro scoglio con la pic-
ciola navicella del mio debole ingegno».

I risultati conseguiti dal Sansovino, pur essendo proba-


bilmente inferiori alle sue dichiarazioni e speranze, costitui-
scono malgrado tutto – lo si è già visto – un netto avanza-
mento rispetto ai predecessori. È dunque paradossale che
questo volgarizzamento non abbia quasi lasciato traccia nel-
la storia della cultura e dell’editoria italiana. Il maggior re-
sponsabile di tale fallimento fu il Sansovino stesso, il qua-
le a pochissimi anni di distanza dalla pubblicazione
dell’opera, nel 1570, curò una nuova edizione della ver-
sione di Lodovico Domenichi, con “più di mille” emen-
damenti a quel testo e nuove annotazioni esplicative a
margine, per la stamperia di Iacopo Sansovino il Giovane:
suo figlio. A tale sleale concorrenza rispose Felice Valgrisi –
il figlio di Vincenzo – pubblicando a sua volta la traduzione
del Domenichi con le correzioni e le note di Sansovino.
Grazie a ciò il volgarizzamento di Lodovico Domenichi,
come già detto, ebbe la ventura di essere ristampato sino al-
la metà del Settecento, mentre quello di Sansovino venne
completamente dimenticato.

5. Marcello Adriani il Giovane

La fine del XVI secolo vide finalmente apparire la pri-


ma traduzione italiana integrale dei Moralia, stampata in
SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 99

due tomi a Venezia, nel 1598, da Fioravante Prati. Si tratta


di una silloge – di valore abbastanza modesto – delle ver-
sioni dei singoli opuscoli curate da Marcantonio Gandi-
no28, Grazio Maria Grazi, Antonio Massa29 e il già citato
Giovanni Tarcagnota.
Con ben altre competenze filologiche e letterarie, nella
seconda metà del Cinquecento lavorò alla traduzione degli
opuscoli plutarchei e delle Vite parallele Marcello Adriani il
Giovane (1562-1604)30, docente presso lo Studio fiorentino
al pari del padre, Giovanni Battista (1511-1579), e del non-
no, Marcello Virgilio (che dal 1498 fu anche primo cancel-
liere della Repubblica di Firenze). La sua opera ebbe tutta-
via una sorte curiosa: pur essendo infatti noto che Marcello
il Giovane aveva tradotto tutto Plutarco, e che tale tradu-
zione era contenuta in due grossi volumi manoscritti in fo-
lio nella Biblioteca Riccardiana di Firenze31, quando tra il
1819 e il 1920 il bibliotecario Francesco Fontani pubblicò
una buona parte degli opuscoli plutarchei dell’Adriani32,
dichiarando di averli rinvenuti in tre volumi in quarto con-
servati proprio nella Riccardiana, si venne formando

28
Su Marcantonio Gandino († 1598) cfr. D. GIOVANNOZZI, s.v.
Gandino, Marcantonio, in DBI 52, Roma 1999, pp. 156-157.
29
Su Antonio Massa (1500-1568) cfr. F. SIGISMONDI, s.v. Massa,
Antonio, in DBI 71, Roma 2008, pp. 666-669.
30
Cenni biografici in G. MICCOLI, s.v. Adriani, Marcello, il Giovane,
in DBI 1, Roma 1960, p. 310.
31
Di ciò aveva dato notizia Antonfrancesco Gori nella prefazio-
ne (p. XXIV) alla traduzione del De locutione di Demetrio Falereo cu-
rata da Marcello Adriani il Giovane e stampata a Firenze nel 1738 da
G. Albizzini.
32
Opuscoli morali di Plutarco volgarizzati da Marcello Adriani il giova-
ne. I-VI, Firenze, dalla stamperia Piatti, 1819-1820. Da questa edizione
fu tratta una ristampa emendata: Opuscoli di Plutarco volgarizzati da Mar-
cello Adriani nuovamente confrontati col testo e illustrati con note da Francesco
Ambrosoli. I-VI, Milano, Francesco Sonzogno, 1825-1829.
100 VIRGILIO COSTA

l’opinione che il materiale edito costituisse tutto ciò che


l’umanista fiorentino era riuscito a tradurre: anche perché i
due quaderni in folio non erano mai stati rinvenuti.
La scoperta degli opuscoli mancanti e del volgarizza-
mento delle Vite si deve all’accademico della Crusca Luigi
Maria Rezzi, il quale nel 1852, in veste di bibliotecario della
Biblioteca Corsiniana di Roma – oggi parte della Biblioteca
dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana – rin-
tracciò in quella collezione libraria altri tre volumi in quar-
to, con numerazione continua rispetto a quelli della Ric-
cardiana, con il resto degli scritti morali salvo uno (che
molto probabilmente Adriani non tradusse mai) e l’intera
raccolta delle Vite fuorché la comparatio fra Timoleonte ed
Emilio Paolo. Del materiale rinvenuto Rezzi pubblicò sol-
tanto, a mo’ di saggio, la Vita di Focione, corredata della sto-
ria del ritrovamento33. A rendere finalmente disponibile al
pubblico il volgarizzamento delle Vite pensò l’editore Felice
Le Monnier; la trascrizione – essendo nel frattempo scom-
parso Luigi Maria Rezzi – fu curata da Francesco Cerroti e
Giuseppe Cugnoni34. L’edizione integrale dei Moralia, inve-
ce, non fu mai pubblicata.

33
Vita di Focione Ateniese scritta da Plutarco, tradotta dalla greca in
lingua volgare da Marcello Adriani il giovane, cavata da un ms. autografo
corsiniano, e la prima volta pubblicata per le stampe dal prof. don Luigi Ma-
ria Rezzi, bibliotecario corsiniano. Roma, Tipografia Salviucci, 1852. La
nota Ai leggitori eruditi, contenente la storia del ritrovamento e la de-
scrizione dei tre volumi in quarto, più la Vita di Focione volgarizzata
dall’Adriani, sono riprodotti anche nel «Giornale Arcadico di Scienze,
Lettere ed Arti» 126, Gennaio-Marzo 1852, pp. 186-193 (Ai leggitori
eruditi) e 193-232 (Focione).
34
Le Vite parallele di Plutarco volgarizzate da Marcello Adriani il Gio-
vane; tratte da un codice autografo inedito della Corsiniana, riscontrate col te-
sto greco ed annotate da Francesco Cerroti, Bibliotecario Corsiniano, e da Giu-
seppe Cugnoni, Scrittore della Vaticana. I-IV, Firenze, Felice Le Monnier,
1859-1865.
SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 101

6. Girolamo Pompei

L’ultima traduzione integrale delle Vite parallele prima


dell’età contemporanea si deve a Girolamo Pompei (1731-
1788), un letterato veronese autore di pregevoli versioni ita-
liane della poesia ellenistica e bizantina, nonché di tragedie
accademiche e numerosi saggi di vario argomento35. Dal
punto di vista strettamente cronologico l’opera appartiene a
una temperie culturale e storica del tutto differente rispetto
agli altri volgarizzamenti fin qui presi in esame; si è tuttavia
scelto di includerla in questa breve rassegna sia perché, co-
me è stato affermato, «sebbene sia monotono e ineguale e
spesso aspro (...), fu per lungo tempo la meno cattiva ver-
sione di Plutarco di quante si avessero in Italia»36, sia perché
lo stesso Pompei, nella prefazione al primo volume, discute
ampiamente dei pregi e (soprattutto) dei difetti delle ver-
sioni plutarchee anteriori alla propria.

Delle traduzioni che sono a mia notizia (parlando


dell’opera che contiene le Vite) ne abbiamo tre di
stampate. Ve n’ha una di Pierbattista Jaconello, il
quale apertamente confessa di aver tradotto da
un’altra traduzione latina: ma la traduzion sua è af-
fatto barbara nello stile e nella sintassi; e, in quanto
al cogliere nel vero sentimento dell’originale, sgarra,
si può dire, a ogni verso. Un’altra ve n’ha di mess.
Francesco Sansovino, della quale non trovo fatta
menzione nè nella Biblioteca del Fontanini, nè nel
Catalogo de’ traduttori del marchese Maffei. Nella

35
La parte più significativa dei suoi scritti letterari – salvo eviden-
temente la traduzione delle Vite plutarchee – fu edita in sei volumi (O-
pere del signor Girolamo Pompei gentiluomo veronese) a Verona fra il 1790 e
il 1791 a Verona per i tipi degli eredi Moroni.
36
Così C. CALCATERRA, s.v. Pompei, Girolamo, in EI XXVII, Roma
1935, p. 837.
102 VIRGILIO COSTA

dedicatoria a Gio. Matteo Bembo sembra che il


Sansovino dichiarisi di aver tradotto dal greco: giac-
che dice che a’ suoi tempi se ne leggeva il testo più
che mai corretto, e disapprova il riportarsi, nel vo-
lerlo volgarizzare, alle traduzioni latine del Guarino,
dell’Acciaiuolo, dell’Aretino e degli altri. Pure egli
presi vi ha sbagli tanti e sì gravi, e vi si ravvisa di
quando in quando sì poca inerenza, che si può ben
a ragion sospettare, che o non sia vero che tradotto
abbia a dirittura dal greco, o, se vero è, fatto abbia
ciò con grande trascuratezza, e senza intender ba-
stantemente la lingua, il che manifestasi sin dal bel
principio nella vita di Teseo, dove dicendo il testo:
Ὥσπερ ἐν ταῖς γεωγραφίαις, ὦ Σόσσιε Σενεκίων, οἱ
ἱστορικοὶ τὰ διαφεύγοντα τὴν γνῶσιν αὐτῶν τοῖς
ἐσχάτοις μέρεσι τῶν πινάκων πιεζοῦντες, αἰτίας πα-
ραγράφουσιν, ὅτι τὰ δ᾽ἐπέκεινα, θῖνες ἄνυδροι καὶ
θηριώδεις, ἢ πηλὸς ἀιδνής, ἢ Σκυθικὸν κρύος, ἢ πέ-
λαγος πεπηγός, κ. τ. λ., egli traduce: Sì come talora
sogliono gli scrittori, o Sosso Senecione, nel descrivere il si-
to della terra, poiché sono giunti alle parti estreme delle
tavole da loro non conosciute, affermar che in quei luoghi
vi sieno lidi abbandonati dall’acque, e assediati dalle fere,
o ripieni di fango, ovvero che terminino coi monti della
Scitia (leggeva ὄρος invece di κρύος, e così pur legge-
vasi dalla maggior parte degli altri traduttori e latini
e italiani) o col mare agghiacciato, ec. Senza far qui
tutte quelle osservazioni che far si potrebbero per
mostrare quanto poco felicemente tradotto sia que-
sto passo, basta solo che osservinsi quelle parole –
poiché son giunti alle parti estreme delle tavole da loro
non conosciute – in confronto delle greche – τὰ δια-
φεύγοντα τὴν γνῶσιν αὐτῶν τοῖς ἐσχάτοις μέρεσι
τῶν πινάκων πιεζοῦντες– e apertamente vedrassi
quanto sia ben fondato questo mio sospettare. Ma
la versione che più decantata viene e con più avidità
ricercata, quantunque universalmente peggiore di
SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 103

questa del Sansovino, quella si è del Domenichi. La


fece costui da prima sopra alcune versioni latine,
che allora correvano, ed essendone in appresso usci-
ta fuori non so qual’altra, pur latina, che a lui parve
migliore, riformar volle su questa la sua; e non più
fidandosi affatto di se medesimo ricorse anche
all’aiuto d’altri, e particolarmente di un certo Lio-
nardo Ghini, che passava per intendentissimo di la-
tino e di greco; e una tale versione stampata fu nel
MDLXVIII da Gabriel Giolito, il quale stampata a-
veva pur l’altra; ma questa seconda è appunto quel-
la, ch’è in maggior pregio tenuta. Di fatto ha un
frontespizio che promette assaissimo, e chi non vada
più avanti può crederla forse la miglior traduzione
del mondo; ma chi poi voglia mettersi a leggerla
troverà esser la cosa ben d’altra maniera che non si
aspettava. Improprietà e mala collocazion di parole
e strane forme di dire vi s’incontran continuo: spes-
sissimo vi si veggon fraintesi anche i sentimenti più
chiari: la stentata durezza dello stile vi apparisce
quasi da per tutto; e in moltissimi luoghi vi domina
una tale oscurità, che andar fa tentone anche
gl’ingegni più oculati e più penetranti.

L’opera del Pompei, in cinque volumi, fu impressa a


Verona dalla stamperia di Marco Moroni fra il 1772 e il
1773 ed ebbe innumerevoli ristampe, fra le quali quella ni-
tidissima pubblicata a Firenze in quattro tomi, tra il 1845 e
il 1846, da Felice Le Monnier; la più recente edizione a no-
stra conoscenza è quella stampata nel 1940 a Milano
nell’ambito della Biblioteca classica economica Sonzogno.
Probabilmente inferiore al volgarizzamento di Marcello
Adriani dal punto di vista stilistico, lo supera naturalmente
– ma non di molto – per fedeltà al testo plutarcheo.
Ed è anche questo, in fondo, uno dei tanti paradossi
della storia che abbiamo cercato brevemente di delineare.
104 VIRGILIO COSTA

Oggi, infatti, il Plutarco di Girolamo Pompei ci appare


meno pregevole esteticamente che per accuratezza gram-
maticale; mentre un amico e ammiratore del letterato ve-
ronese, il celebre Ippolito Pindemonte, pretendeva che
quello avesse superato il modello greco per qualità espres-
siva:

«Che dono non facesti all’Italia, la qual non avea


di un libro si aggradevole, sì instruttivo, si accomo-
dato ad ogni genio, età e sesso; che traduzioni, che
non ardiva nominare, ed or ne possiede, la tua
mercé, una di cui altamente si vanta. Quanto ci
contenta il Biografo di Cheronea con la importan-
za e la varietà delle cose, altrettanto ci manca nelle
parole, delle quali sembra poco sollecito: certo la
sua locuzione non va senza durezza, ineguaglianza
ed oscurità. Tu l’hai rivolto, oltre la fedeltà, ch’è
grandissima, con uno stile sì chiaro ed aperto, sì
purgato e leggiadro, sì uguale, sì nobile, sì mae-
stoso, che si desidererebbe ne adoperasse il biogra-
fo un simile nella sua lingua. Onde accade che da-
gli stessi Ellenisti si legge più volentieri la versione
che l’originale, e a quelli che ignorano la lingua
greca non incresce più, in riguardo a questo auto-
re, la loro ignoranza»37.

37
Opere complete del cavaliere Ippolito Pindemonte, II: Elogi di letterati
italiani, Napoli, R. Marotta e Vanspandoch, 1834, p. 160.
Appendice
Traduzioni plutarchee comparate

Plutarchus, Theseus 1, 1-3: ὥσπερ ἐν ταῖς γεωγραφίαις, ὦ


Σόσσιε Σενεκίων, οἱ ἱστορικοὶ τὰ διαφεύγοντα τὴν γνῶσιν
αὐτῶν τοῖς ἐσχάτοις μέρεσι τῶν πινάκων πιεζοῦντες, αἰτίας
παραγράφουσιν ὅτι “τὰ δ᾽ἐπέκεινα θῖνες ἄνυδροι καὶ
θηριώδεις”, ἢ “πηλὸς ἀιδνής”, ἢ “Σκυθικὸν κρύος”, ἢ
“πέλαγος πεπηγός”, (2) οὕτως ἐμοὶ περὶ τὴν τῶν βίων τῶν
παραλλήλων γραφὴν τὸν ἐφικτὸν εἰκότι λόγῳ καὶ βάσιμον
ἱστορίᾳ πραγμάτων ἐχομένῃ χρόνον διελθόντι, περὶ τῶν
ἀνωτέρω καλῶς εἶχεν εἰπεῖν· (3) “τὰ δ᾽ἐπέκεινα τερατώδη
καὶ τραγικά, ποιηταὶ καὶ μυθογράφοι νέμονται, καὶ οὐκέτ᾽
ἔχει πίστιν οὐδὲ σαφήνειαν”.

Battista Alessandro Iaconelli (L’Aquila 1482): Como nel


descrivere el sito del mondo sogliono fare li historici che ta-
cendo in le extreme parti de lor tabule quelle cose che loro
non possono intendere ad alchune agiongono esservi
grandissimi pagisci et arenosi et penuria de aqua da cielo
et da terra: o vero esservi limaccio da non posserse cami-
nar per esso: o vero monte sterile: o vero el mare gelato:
così medesmamente noi in la comparatione de questi ho-
mini con continuata historia et verità del facto havemo af-
firmato per vero quel che per probabile ragione havemo
possuto intendere recorrendo y tempi de quilli homini
quali havemo desopra memorati: ma le cose più antique
mostruose et aspere sonno occupate da poeti et scriptori
fabulosi: sì che non dimostrano più oltra alchuna certitu-
dine né fede.
106 VIRGILIO COSTA

Giovanni Tarcagnota (Venezia 1543): il capitolo introdut-


tivo della Vita manca già nell’Epithome di Dario Tiberti

Lodovico Domenichi (Venezia 1555): Sì come sogliono fa-


re coloro, i quali descrivono il sito del mondo: che nel-
l’ultime parti delle lor tavole coprendo quelle cose, alle qua-
li essi non possono pervenir con la cognitione, v’aggiun-
gono trovarvisi alcuni paesi grandissimi, sterili, et arenosi,
dove mai non cade acqua dal cielo, né ve ne risorge dalla
terra; o che le strade son fangose, in guisa che non vi si può
andare; o monti di Scithia, o mare agghiacciato dal freddo:
così anchora io in questo paragone d’huomini illustri con-
tinuando la historia de fatti loro, et discorrendo i tempi
quanto ho potuto con verisimili ragioni, veramente posso
dire di quelle cose che sono state sopra di noi; cioè che i
Poeti et Scrittori delle favole, occupano queste cose molto
antiche et molto vecchie, come tragiche, et mostruose, sì
ch’elle non hanno in sé fede né certezza alcuna.

Francesco Sansovino (Venezia 1564): Si come talhora so-


gliono gli Scrittori ò Sossi Senecione, nel descrivere il sito
della terra, poi che son giunti alle parti estreme delle tavole
da loro non conosciute, affermar che in quei luoghi vi sieno
lidi abbandonati dall’acque, ò assediati dalle fere, ò ripieni
di fango, overo che terminino co i monti della Scithia, ò
co’l mare agghiacciato, così io nel descrivere le vite de
Greci, et de Latini, che l’una risponda insieme all’altra,
passato quel tempo, ove ho potuto trarre l’oratione veri-
simile, et l’historia delle cose fatte, et giunto alle più anti-
che, poteva dir con ragione, che in queste vi fossero molte
cose che trapassassero la credenza altrui, et che altro non
fossero che tragiche fintioni, ritrovate da Poeti, et da favo-
losi scrittori, non essendo elle punto capaci, né di chiarezza,
né di fede (...).
SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 107

Marcello Adriani (Firenze 1859): Siccome i geografi, o Sos-


sio Senecione, nel descrivere la terra, riponendo le parti
non conosciute da loro ne’ lembi di lor tavole, vi scrivono
che di là da queste altro non è che diserti arenosi e senz’ac-
qua, pieni di fiere, lacune immense, gelo di Scizia, o mar
diacciato; così nell’opera del paragone delle Vite scorrendo
i tempi, le cui memorie sono ancora tali, che se ne può con
qualche verisomiglianza compilare verità di storia, posso
con ragione dir io a proposito del tempo antico e dal nostro
lontanissimo: «Quanto è di là tutto è mostruosa e tragica
invenzione trovata da’ poeti e favoleggiatori senza apparen-
za di vero, o di chiarezza».

Girolamo Pompei (Verona 1772): Siccome fanno, o Sossio


Senecione, gli storici nelle descrizioni geografiche, i quali
sopprimendo all’estreme parti delle lor tavole i paesi, che
son loro ignoti, notano in alcuni siti del margine, che le co-
se al di là sono arene secche e ferine, o torbida palude, o
freddo scitico, o mare agghiacciato; così pur io, dopo di es-
ser andato, nello scrivere queste Vite parallele, scorrendo il
tempo fin dove arrivar puossi con ragionevol discorso, e
con istoria a’ fatti inerente, dir potrei molto bene intorno a
ciò che v’è di più rimoto: «Le cose al di là tragiche e porten-
tose sono pascolo de’ poeti e favoleggiatori; e non v’ha in
esse fede né certezza veruna».

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