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CIRCOLAZIONE DI ARTISTI E MODELLI NELLA SCULTURA BAROCCA 1

TRA LIGURIA E LOMBARDIA

Segnalazioni per Tomaso Carlone, Tomaso Orsolino,


Giovanni Battista Bissoni e Bernardo Orsati

Alessandra Casati

G li scambi artistici tra la Lombardia e la Li-


guria sono un tema già noto agli studi so-
prattutto per quanto concerne la pittura, ma
1. Confessionale. Sant’Alessandro in Zebedia,
Milano.
sempre un rapporto preferenziale, come indi-
cano gli esempi dei Casella e dei Carlone (5),
costituendo in questo modo una triangolazio-
che non manca di trovare riscontri sul territorio ne Lombardia-Piemonte-Liguria.
anche e soprattutto nel campo della scultura e Questi maestri del marmo portavano quindi la
della arti plastiche, come suggeriscono i recenti I miei ringraziamenti vanno a don Siro Cobianchi, direttore del- loro formazione, che spesso risentiva di una
l’Ufficio Beni Culturali della diocesi di Pavia, e a don Ernesto
rinvenimenti di opere nel pavese e in Lomellina Maggi, parroco del duomo di Pavia, per la disponibilità durante i
spiccata attenzione al dato naturalistico, pro-
(1). In modo particolare le segnalazioni che so- sopralluoghi. pria della produzione lombarda, sul territorio
no oggetto di questo contributo sollecitano in ligure dove si mescolavano con un gusto ac-
(1) Cfr. E. Gavazza, Stucco e decorazione tra Sei e Settecento a
apertura un approfondimento sulle modalità di Genova. Le connessioni di Lombardia, in Artisti lombardi e cen- centuato per il decorativismo, per la policro-
circolazione di artisti, opere e modelli iconogra- tri di produzione italiani nel Settecento. Interscambi, modelli, tec- mia, per il commesso e l’intarsio marmoreo,
niche, committenti, cantieri. Studi in onore di Rossana Bossaglia,
fici tra Genova, i centri liguri e la Lombardia a cura di G. C. Sciolla, V. Terraroli, Bergamo 1995, pp. 19-23. che assecondava le preferenze e le richieste
sud-occidentale, un’area quest’ultima che ha ca- Per alcune segnalazioni sul territorio della Lomellina cfr. A. Ca- della committenza, dando vita a uno stile in-
sati, La scultura lignea nel XVII e XVIII secolo, in Sculture lignee
ratteristiche proprie dei territori di confine. a Vigevano e in Lomellina, a cura di L. Giordano, Vigevano confondibile e ben riconoscibile, che non tra-
Un dato che riveste particolare importanza ri- 2007, pp. 112-113. diva mai le pratiche di bottega.
(2) M. C. Galassi, Organizzazione e funzioni delle botteghe, in La
guarda la massiccia presenza tra Cinquecento e scultura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, D’altro canto anche nella Lombardia tardocin-
Seicento e poi per tutto il Settecento di artefi- a cura di E. Parma Armani, M. C. Galassi, vol. II, Genova 1988, quecentesca il commesso marmoreo era già in
pp. 46-49, 53-63. Sul commercio di pietre e marmi preziosi si
ci dei laghi lombardi e ticinesi in Liguria. Essi segnala l’attività dei Carlone di Scaria che, oltre a essere maestri voga in una linea di diretta derivazione romana
detenevano il monopolio della produzione dei nell’intarsio, erano commercianti ed esportatori di marmi pre- con specifiche valenze antiquarie (6). Inoltre si
giati, in modo particolare nell’Italia centro-meridionale e inol-
manufatti scultorei, nonché del commercio dei tre erano attivi a Carrara dove avevano diverse proprietà. Lo deve rilevare che non mancano esempi anche in
marmi grezzi e lavorati e in alcuni casi avevano scultore a capo della bottega si occupava in egual misura della pieno Seicento, quando si collocano i due con-
produzione scultorea e della importazione ed esportazione di
anche l’appalto delle cave della Liguria e di materiali, non solo lavorati, ma anche grezzi, e della conduzio- fessionali in marmo in Sant’Alessandro a Mila-
Carrara (2). L’organizzazione del loro lavoro ne delle cave. no, realizzati tra gli anni trenta e gli anni cin-
(3) Lo stretto legame con i luoghi di origine per gli scultori in-
avveniva in botteghe a stretta gestione familia- telvesi è attestato anche dall’esempio di Ercole Ferrata, origina- quanta del XVII secolo (7), dove viene utilizzata
re, a volte legate fra loro da rapporti di colla- rio di Scaria, che trasferitosi definitivamente a Roma lasciò do- la tecnica dell’intarsio, opere che – dato il ricco
po la sua morte alcuni modelli al paese natale con l’esplicita
borazione, alunnato e parentela, all’interno funzione di formazione professionale delle future generazioni. impiego di pietre dure e preziose – ricordano
delle quali i membri mantenevano un forte le- Cfr. A. Casati, Il viaggio delle forme. Migrazione di maestri e mo- inevitabilmente le oreficerie, i mobili e gli og-
delli nella scultura barocca tra Roma e la Lombardia, in “Ricer-
game con le comunità di origine (3). che di s/confine”, vol. IV, n. 1, 2013, pp. 219-220 (con biblio- getti di arredo (fig. 1). In questo quadro, inol-
Per citare alcune delle principali botteghe che grafia precedente). tre, non si può prescindere dal citare anche il
(4) Per un panorama dell’attività di queste botteghe si vedano
ebbero una vita molto lunga a partire dal XVI le schede bibliografico-documentarie in La scultura a Genova, presbiterio, il ciborio a commesso marmoreo e
sino al XVIII secolo si possono ricordare quel- 1988 [cit. n. 2], pp. 69-83, 288-290. le scagliole dei fratelli Sacchi nella Certosa di
(5) Cfr. M. Di Macco, Quadreria di palazzo e pittori di corte. Le
le degli intelvesi Ferrandino di Casasco Intelvi scelte ducali dal 1630 al 1684, e G. Dardanello, Cantieri di corte Pavia, un cantiere dove non a caso, per conver-
(Como), attivi per tutto il Seicento, gli Orsoli- e imprese decorative a Torino, in Figure del Barocco in Piemonte. genza di gusto, l’intelvese Tomaso Orsolino rea-
La corte, la città, i cantieri, le province, a cura di G. Romano, To-
no originari di Ramponio (Como), attivi dal rino 1988, pp. 56-59, 168-199. Cfr anche le schede bibliografi- lizzerà non poche opere (fig. 2) (8).
Cinquecento al Settecento, i Carloni di Scaria co-documentarie in La scultura a Genova, 1988 [cit. n. 2], pp. Sembra utile esporre una casistica degli scambi
80-83.
attestati in Liguria dalla metà del Cinquecento, (6) Cfr. L. Giordano, Marmi antichi e moderni nella Milano ma- tra le due aree regionali, proponendo una di-
i Carloni di Rovio, di cui si dirà in seguito, i nierista, in Lombardia manierista. Arti e architettura, a cura di stinzione tra quelli che potremmo definire
M. T. Fiorio, V. Terraroli, Milano 2009, pp. 229-233.
Garrone e i Gaggini di Bissone, i Quadro, i So- (7) C. Marcora, Gli artistici confessionali di Sant’Alessandro in
scambi iconografici, ovvero iconografie diffuse
lari e gli Aprile. Inoltre tra i plasticatori si an- Milano, in “Diocesi di Milano”, 1968/7-8, pp. 411-414; J. Sta- su un territorio che passano a un altro per tra-
benow, La chiesa di Sant’Alessandro a Milano: riflessione liturgi-
noverano i Casella di Carona (4). Da questa ca e ricerca spaziale intorno al 1600, in “Annali di architettura”,
mite dell’artista o su richiesta del committente,
sintetica rassegna si evince l’entità della pre- 14, 2002, p. 229, nota 51. e scambi di tipologie, come nel caso che pre-
(8) A completare la decorazione della parte absidale della Cer-
senza lombarda sul territorio ligure a rimarca- tosa bisogna ricordare i due angeli reggiostensorio attribuiti a
senteremo qui di seguito, in cui una data forma
re il consolidato percorso dei maestri dei laghi Tomaso Orsolino, riccamente corredati di pietre preziose nelle di altare diffusa in Liguria viene riportata in
bordature delle vesti, nelle stole e nei diademi; cfr. S. Zanuso,
che, in alcuni casi, per arrivare in Liguria pas- La scultura seicentesca nel presbiterio, in Aa. Vv., Certosa di Pa-
Lombardia, in modo particolare nel pavese e in
savano dal Piemonte con il quale mantenevano via, Parma 2006, pp. 238-259. Lomellina, grazie all’opera dei maestri dei laghi.

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CIRCOLAZIONE DI ARTISTI E MODELLI NELLA SCULTURA BAROCCA 1

TRA LIGURIA E LOMBARDIA

Segnalazioni per Tomaso Carlone, Tomaso Orsolino,


Giovanni Battista Bissoni e Bernardo Orsati

Alessandra Casati

G li scambi artistici tra la Lombardia e la Li-


guria sono un tema già noto agli studi so-
prattutto per quanto concerne la pittura, ma
1. Confessionale. Sant’Alessandro in Zebedia,
Milano.
sempre un rapporto preferenziale, come indi-
cano gli esempi dei Casella e dei Carlone (5),
costituendo in questo modo una triangolazio-
che non manca di trovare riscontri sul territorio ne Lombardia-Piemonte-Liguria.
anche e soprattutto nel campo della scultura e Questi maestri del marmo portavano quindi la
della arti plastiche, come suggeriscono i recenti I miei ringraziamenti vanno a don Siro Cobianchi, direttore del- loro formazione, che spesso risentiva di una
l’Ufficio Beni Culturali della diocesi di Pavia, e a don Ernesto
rinvenimenti di opere nel pavese e in Lomellina Maggi, parroco del duomo di Pavia, per la disponibilità durante i
spiccata attenzione al dato naturalistico, pro-
(1). In modo particolare le segnalazioni che so- sopralluoghi. pria della produzione lombarda, sul territorio
no oggetto di questo contributo sollecitano in ligure dove si mescolavano con un gusto ac-
(1) Cfr. E. Gavazza, Stucco e decorazione tra Sei e Settecento a
apertura un approfondimento sulle modalità di Genova. Le connessioni di Lombardia, in Artisti lombardi e cen- centuato per il decorativismo, per la policro-
circolazione di artisti, opere e modelli iconogra- tri di produzione italiani nel Settecento. Interscambi, modelli, tec- mia, per il commesso e l’intarsio marmoreo,
niche, committenti, cantieri. Studi in onore di Rossana Bossaglia,
fici tra Genova, i centri liguri e la Lombardia a cura di G. C. Sciolla, V. Terraroli, Bergamo 1995, pp. 19-23. che assecondava le preferenze e le richieste
sud-occidentale, un’area quest’ultima che ha ca- Per alcune segnalazioni sul territorio della Lomellina cfr. A. Ca- della committenza, dando vita a uno stile in-
sati, La scultura lignea nel XVII e XVIII secolo, in Sculture lignee
ratteristiche proprie dei territori di confine. a Vigevano e in Lomellina, a cura di L. Giordano, Vigevano confondibile e ben riconoscibile, che non tra-
Un dato che riveste particolare importanza ri- 2007, pp. 112-113. diva mai le pratiche di bottega.
(2) M. C. Galassi, Organizzazione e funzioni delle botteghe, in La
guarda la massiccia presenza tra Cinquecento e scultura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, D’altro canto anche nella Lombardia tardocin-
Seicento e poi per tutto il Settecento di artefi- a cura di E. Parma Armani, M. C. Galassi, vol. II, Genova 1988, quecentesca il commesso marmoreo era già in
pp. 46-49, 53-63. Sul commercio di pietre e marmi preziosi si
ci dei laghi lombardi e ticinesi in Liguria. Essi segnala l’attività dei Carlone di Scaria che, oltre a essere maestri voga in una linea di diretta derivazione romana
detenevano il monopolio della produzione dei nell’intarsio, erano commercianti ed esportatori di marmi pre- con specifiche valenze antiquarie (6). Inoltre si
giati, in modo particolare nell’Italia centro-meridionale e inol-
manufatti scultorei, nonché del commercio dei tre erano attivi a Carrara dove avevano diverse proprietà. Lo deve rilevare che non mancano esempi anche in
marmi grezzi e lavorati e in alcuni casi avevano scultore a capo della bottega si occupava in egual misura della pieno Seicento, quando si collocano i due con-
produzione scultorea e della importazione ed esportazione di
anche l’appalto delle cave della Liguria e di materiali, non solo lavorati, ma anche grezzi, e della conduzio- fessionali in marmo in Sant’Alessandro a Mila-
Carrara (2). L’organizzazione del loro lavoro ne delle cave. no, realizzati tra gli anni trenta e gli anni cin-
(3) Lo stretto legame con i luoghi di origine per gli scultori in-
avveniva in botteghe a stretta gestione familia- telvesi è attestato anche dall’esempio di Ercole Ferrata, origina- quanta del XVII secolo (7), dove viene utilizzata
re, a volte legate fra loro da rapporti di colla- rio di Scaria, che trasferitosi definitivamente a Roma lasciò do- la tecnica dell’intarsio, opere che – dato il ricco
po la sua morte alcuni modelli al paese natale con l’esplicita
borazione, alunnato e parentela, all’interno funzione di formazione professionale delle future generazioni. impiego di pietre dure e preziose – ricordano
delle quali i membri mantenevano un forte le- Cfr. A. Casati, Il viaggio delle forme. Migrazione di maestri e mo- inevitabilmente le oreficerie, i mobili e gli og-
delli nella scultura barocca tra Roma e la Lombardia, in “Ricer-
game con le comunità di origine (3). che di s/confine”, vol. IV, n. 1, 2013, pp. 219-220 (con biblio- getti di arredo (fig. 1). In questo quadro, inol-
Per citare alcune delle principali botteghe che grafia precedente). tre, non si può prescindere dal citare anche il
(4) Per un panorama dell’attività di queste botteghe si vedano
ebbero una vita molto lunga a partire dal XVI le schede bibliografico-documentarie in La scultura a Genova, presbiterio, il ciborio a commesso marmoreo e
sino al XVIII secolo si possono ricordare quel- 1988 [cit. n. 2], pp. 69-83, 288-290. le scagliole dei fratelli Sacchi nella Certosa di
(5) Cfr. M. Di Macco, Quadreria di palazzo e pittori di corte. Le
le degli intelvesi Ferrandino di Casasco Intelvi scelte ducali dal 1630 al 1684, e G. Dardanello, Cantieri di corte Pavia, un cantiere dove non a caso, per conver-
(Como), attivi per tutto il Seicento, gli Orsoli- e imprese decorative a Torino, in Figure del Barocco in Piemonte. genza di gusto, l’intelvese Tomaso Orsolino rea-
La corte, la città, i cantieri, le province, a cura di G. Romano, To-
no originari di Ramponio (Como), attivi dal rino 1988, pp. 56-59, 168-199. Cfr anche le schede bibliografi- lizzerà non poche opere (fig. 2) (8).
Cinquecento al Settecento, i Carloni di Scaria co-documentarie in La scultura a Genova, 1988 [cit. n. 2], pp. Sembra utile esporre una casistica degli scambi
80-83.
attestati in Liguria dalla metà del Cinquecento, (6) Cfr. L. Giordano, Marmi antichi e moderni nella Milano ma- tra le due aree regionali, proponendo una di-
i Carloni di Rovio, di cui si dirà in seguito, i nierista, in Lombardia manierista. Arti e architettura, a cura di stinzione tra quelli che potremmo definire
M. T. Fiorio, V. Terraroli, Milano 2009, pp. 229-233.
Garrone e i Gaggini di Bissone, i Quadro, i So- (7) C. Marcora, Gli artistici confessionali di Sant’Alessandro in
scambi iconografici, ovvero iconografie diffuse
lari e gli Aprile. Inoltre tra i plasticatori si an- Milano, in “Diocesi di Milano”, 1968/7-8, pp. 411-414; J. Sta- su un territorio che passano a un altro per tra-
benow, La chiesa di Sant’Alessandro a Milano: riflessione liturgi-
noverano i Casella di Carona (4). Da questa ca e ricerca spaziale intorno al 1600, in “Annali di architettura”,
mite dell’artista o su richiesta del committente,
sintetica rassegna si evince l’entità della pre- 14, 2002, p. 229, nota 51. e scambi di tipologie, come nel caso che pre-
(8) A completare la decorazione della parte absidale della Cer-
senza lombarda sul territorio ligure a rimarca- tosa bisogna ricordare i due angeli reggiostensorio attribuiti a
senteremo qui di seguito, in cui una data forma
re il consolidato percorso dei maestri dei laghi Tomaso Orsolino, riccamente corredati di pietre preziose nelle di altare diffusa in Liguria viene riportata in
bordature delle vesti, nelle stole e nei diademi; cfr. S. Zanuso,
che, in alcuni casi, per arrivare in Liguria pas- La scultura seicentesca nel presbiterio, in Aa. Vv., Certosa di Pa-
Lombardia, in modo particolare nel pavese e in
savano dal Piemonte con il quale mantenevano via, Parma 2006, pp. 238-259. Lomellina, grazie all’opera dei maestri dei laghi.

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2. Tomaso Orsolino, Angelo reggiostensorio. (9) In origine vi doveva essere anche un paliotto marmoreo rap- tenere l’immagine venerata. La leggenda in quanto tale non 3
presentante la natività di Maria, che fu trafugato in anni recenti contiene dati storicamente verificabili, tuttavia registra il riferi-
Certosa di Pavia, chiesa del monastero, e sostituito da una copia moderna. mento a Genova per l’altare maggiore. Ancora Pianzola riferi-
presbiterio. (10) Su Canepanova cfr. E. Parma Armani, Riedificazioni e nuo- sce che l’altare era dono di una famiglia genovese (F. Pianzola,
ve chiese: traccia per l’arredo scultoreo in La scultura a Genova, Dorno. Memorie religiose, Pavia 1933, p. 17).
1988 [cit. n. 2], pp. 26-27; S. Zatti, Le arti a Pavia nel XVII e (12) ASDPv, I-349. La visita del 5 settembre del 1675 recita:
3. Bottega di Tomaso Carlone, altare. Dorno, XVIII secolo, in Storia di Pavia, vol. 4, tomo 2, Pavia 1995, pp. «Altare Magnum quod est decenter ornatus et in primis adest
930-931. Icona in cuius medio est imago B.M.V. et Icona est ex marmo-
santuario di Santa Maria del Boschetto. (11) D. Laboranti, Dorno. Appunti storici, Cilavegna 1996, pp. re albo, et marmore appellato mischio di franza, et alabastros.
59-60. Viene riportata la leggenda di un nobile genovese che, […] adsunt quattuor culomne marmoree diversij coloris signa-
avendo fatto voto alla Madonna di ritrovare il figlio, si sarebbe te ad forma salomonica».
impegnato a procurare il denaro per costruire l’altare per con-

2
ALTARI A TABERNACOLO TRA LIGURIA E sia l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria
LOMBARDIA: UNA PROPOSTA PER LA BOTTEGA di Canepanova a Pavia realizzato da Tomaso
DEI CARLONE A DORNO Orsolino nel 1634 (fig. 7) (10).
Per quanto concerne lo scambio di tipologie Il gusto per la policromia e la varietà materica
vorrei qui presentare un caso significativo, ov- è evidenziato dalla diversificata trattazione del
vero quello dell’altare che potremmo definire marmo, lucido per le figure, graffito e opaco
a tabernacolo, terminologia che viene impiega- per le nubi, e dal differente spessore dato al ri-
ta per strutture simili ai tabernacoli eucaristi- lievo, più aggettante per gli angeli che reggono
ci quattrocenteschi. Esso è costituito da due il cartiglio con l’iscrizione VIA VENIAE, deli-
binati di colonne che sorreggono un architra- catamente rilevato per le testine di putto che
ve sormontato da un timpano spezzato, in cui emergono dalle nubi.
è inserita un’edicola con l’immagine di Dio Il santuario di Dorno fu edificato nel 1666 sul
Padre. Le colonne inquadrano una cornice sito in cui si trovava un’edicola con l’immagine
marmorea con una specchiatura di marmo co- della Beata Vergine in trono con il Bambino,
lorato o alabastro sul quale sono riprodotte a detta del Boschetto. Questa antica icona co-
bassorilievo varie teorie angeliche che sorreg- nobbe un’importante devozione tanto che fu
gono una cornice che contiene a sua volta in un primo momento custodita in una piccola
un’antica immagine venerata. Gli altari appar- chiesa, edificata proprio allo scopo di conte-
tenenti a questa tipologia spiccano poi per l’u- nerla. In proseguo di tempo, grazie al concor-
tilizzo di marmi colorati a tarsia nel basamen- so dei fedeli si pensò di erigere un santuario
to e per l’alternanza di marmo bianco per le monumentale. La nuova chiesa si trovava sulle
figure e di alabastro per lo sfondo, con un proprietà del marchese Luigi Crivelli Scarampi
particolare gusto per la policromia e per i ma- di Dorno, il quale in cambio dell’occupazione
teriali pregiati. del terreno richiese lo iuspatronato da traman-
In territorio lomellino se ne ritrova un esem- dare ai suoi discendenti (11). Una visita pasto-
plare inedito nel santuario di Santa Maria del rale del 1675 registra la presenza dell’altare
Boschetto a Dorno, che contiene appunto maggiore e dà una descrizione abbastanza ac-
un’immagine venerata (fig. 3). Questo altare curata dei marmi (12). L’altare doveva essere
presenta un alto e imponente basamento rea- tuttavia compiuto prima di questa data, anche
lizzato a tarsia sul quale poggiano quattro co- se non esistono documenti di commissione.
lonne tortili in rosso di Francia, che sorreggo- Inoltre dall’analisi del monumento è possibile
no una trabeazione fortemente aggettante e un trarre informazioni che orientano, se non ad
timpano spezzato che contiene un’edicola con una precisa attribuzione, almeno all’inserimen-
la figura di Dio Padre, in marmo bianco su to in un contesto di bottega.
fondo di alabastro. L’altare è coronato da di- In primo luogo questa tipologia di altare non è
verse figure angeliche acroteriali (9). comunemente diffusa in Lombardia, ma come
Il pannello centrale (fig. 4), inquadrato da una anticipato trova riscontro a Pavia in Santa Ma-
cornice composta da rosso di Francia e da mar- ria di Canepanova ad opera di Tomaso Orsoli-
mo bianco, è costituito da angeli a tutta figura no. L’altare di Dorno è quindi di sicura deriva-
che reggono un cartiglio (figg. 5, 6) e da testine zione ligure-genovese da ascriversi all’ambito
angeliche che occhieggiano dalle nubi di mar- dei maestri intelvesi attivi alla metà del Seicen-
mo bianco applicate su una base di alabastro, la to. Le due opere si inseriscono pienamente in
cui maculazione tuttavia non è sfruttata a ren- una serie di altari lasciati da questi maestri in
dere motivi decorativi simmetrici, a differenza Liguria e documentano come questa tipologia
dell’esempio più prossimo territorialmente, os- abbia travalicato i confini regionali.

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2. Tomaso Orsolino, Angelo reggiostensorio. (9) In origine vi doveva essere anche un paliotto marmoreo rap- tenere l’immagine venerata. La leggenda in quanto tale non 3
presentante la natività di Maria, che fu trafugato in anni recenti contiene dati storicamente verificabili, tuttavia registra il riferi-
Certosa di Pavia, chiesa del monastero, e sostituito da una copia moderna. mento a Genova per l’altare maggiore. Ancora Pianzola riferi-
presbiterio. (10) Su Canepanova cfr. E. Parma Armani, Riedificazioni e nuo- sce che l’altare era dono di una famiglia genovese (F. Pianzola,
ve chiese: traccia per l’arredo scultoreo in La scultura a Genova, Dorno. Memorie religiose, Pavia 1933, p. 17).
1988 [cit. n. 2], pp. 26-27; S. Zatti, Le arti a Pavia nel XVII e (12) ASDPv, I-349. La visita del 5 settembre del 1675 recita:
3. Bottega di Tomaso Carlone, altare. Dorno, XVIII secolo, in Storia di Pavia, vol. 4, tomo 2, Pavia 1995, pp. «Altare Magnum quod est decenter ornatus et in primis adest
930-931. Icona in cuius medio est imago B.M.V. et Icona est ex marmo-
santuario di Santa Maria del Boschetto. (11) D. Laboranti, Dorno. Appunti storici, Cilavegna 1996, pp. re albo, et marmore appellato mischio di franza, et alabastros.
59-60. Viene riportata la leggenda di un nobile genovese che, […] adsunt quattuor culomne marmoree diversij coloris signa-
avendo fatto voto alla Madonna di ritrovare il figlio, si sarebbe te ad forma salomonica».
impegnato a procurare il denaro per costruire l’altare per con-

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ALTARI A TABERNACOLO TRA LIGURIA E sia l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria
LOMBARDIA: UNA PROPOSTA PER LA BOTTEGA di Canepanova a Pavia realizzato da Tomaso
DEI CARLONE A DORNO Orsolino nel 1634 (fig. 7) (10).
Per quanto concerne lo scambio di tipologie Il gusto per la policromia e la varietà materica
vorrei qui presentare un caso significativo, ov- è evidenziato dalla diversificata trattazione del
vero quello dell’altare che potremmo definire marmo, lucido per le figure, graffito e opaco
a tabernacolo, terminologia che viene impiega- per le nubi, e dal differente spessore dato al ri-
ta per strutture simili ai tabernacoli eucaristi- lievo, più aggettante per gli angeli che reggono
ci quattrocenteschi. Esso è costituito da due il cartiglio con l’iscrizione VIA VENIAE, deli-
binati di colonne che sorreggono un architra- catamente rilevato per le testine di putto che
ve sormontato da un timpano spezzato, in cui emergono dalle nubi.
è inserita un’edicola con l’immagine di Dio Il santuario di Dorno fu edificato nel 1666 sul
Padre. Le colonne inquadrano una cornice sito in cui si trovava un’edicola con l’immagine
marmorea con una specchiatura di marmo co- della Beata Vergine in trono con il Bambino,
lorato o alabastro sul quale sono riprodotte a detta del Boschetto. Questa antica icona co-
bassorilievo varie teorie angeliche che sorreg- nobbe un’importante devozione tanto che fu
gono una cornice che contiene a sua volta in un primo momento custodita in una piccola
un’antica immagine venerata. Gli altari appar- chiesa, edificata proprio allo scopo di conte-
tenenti a questa tipologia spiccano poi per l’u- nerla. In proseguo di tempo, grazie al concor-
tilizzo di marmi colorati a tarsia nel basamen- so dei fedeli si pensò di erigere un santuario
to e per l’alternanza di marmo bianco per le monumentale. La nuova chiesa si trovava sulle
figure e di alabastro per lo sfondo, con un proprietà del marchese Luigi Crivelli Scarampi
particolare gusto per la policromia e per i ma- di Dorno, il quale in cambio dell’occupazione
teriali pregiati. del terreno richiese lo iuspatronato da traman-
In territorio lomellino se ne ritrova un esem- dare ai suoi discendenti (11). Una visita pasto-
plare inedito nel santuario di Santa Maria del rale del 1675 registra la presenza dell’altare
Boschetto a Dorno, che contiene appunto maggiore e dà una descrizione abbastanza ac-
un’immagine venerata (fig. 3). Questo altare curata dei marmi (12). L’altare doveva essere
presenta un alto e imponente basamento rea- tuttavia compiuto prima di questa data, anche
lizzato a tarsia sul quale poggiano quattro co- se non esistono documenti di commissione.
lonne tortili in rosso di Francia, che sorreggo- Inoltre dall’analisi del monumento è possibile
no una trabeazione fortemente aggettante e un trarre informazioni che orientano, se non ad
timpano spezzato che contiene un’edicola con una precisa attribuzione, almeno all’inserimen-
la figura di Dio Padre, in marmo bianco su to in un contesto di bottega.
fondo di alabastro. L’altare è coronato da di- In primo luogo questa tipologia di altare non è
verse figure angeliche acroteriali (9). comunemente diffusa in Lombardia, ma come
Il pannello centrale (fig. 4), inquadrato da una anticipato trova riscontro a Pavia in Santa Ma-
cornice composta da rosso di Francia e da mar- ria di Canepanova ad opera di Tomaso Orsoli-
mo bianco, è costituito da angeli a tutta figura no. L’altare di Dorno è quindi di sicura deriva-
che reggono un cartiglio (figg. 5, 6) e da testine zione ligure-genovese da ascriversi all’ambito
angeliche che occhieggiano dalle nubi di mar- dei maestri intelvesi attivi alla metà del Seicen-
mo bianco applicate su una base di alabastro, la to. Le due opere si inseriscono pienamente in
cui maculazione tuttavia non è sfruttata a ren- una serie di altari lasciati da questi maestri in
dere motivi decorativi simmetrici, a differenza Liguria e documentano come questa tipologia
dell’esempio più prossimo territorialmente, os- abbia travalicato i confini regionali.

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4 4. Bottega di Tomaso Carlone, altare, particolare. Dorno, santuario 7. Tomaso Orsolino, altare. Pavia, Santa Maria di Canepanova.
di Santa Maria del Boschetto.
8. Tomaso Carlone, altare. Genova, San Siro, cappella della Madonna
5 - 6. Bottega di Tomaso Carlone, altare, particolari. Dorno, santuario della Guardia.
di Santa Maria del Boschetto.

5 6

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4 4. Bottega di Tomaso Carlone, altare, particolare. Dorno, santuario 7. Tomaso Orsolino, altare. Pavia, Santa Maria di Canepanova.
di Santa Maria del Boschetto.
8. Tomaso Carlone, altare. Genova, San Siro, cappella della Madonna
5 - 6. Bottega di Tomaso Carlone, altare, particolari. Dorno, santuario della Guardia.
di Santa Maria del Boschetto.

5 6

18 19
7 8 (13) Parma Armani, 1988 [cit. n. 10], pp. 24-25. Non è possibi-
le conoscere esattamente l’anno di esecuzione, ma fu iniziata si-
curamente a partire dal 1610. Nel 1639 l’altare risulta essere in
opera.
(14) Sul tema dell’impiego virtuosistico dell’alabastro Tomaso
Orsolino si discosterà da questi esempi utilizzandolo non solo
come fondale, ma sfruttando appieno, oltre che la texture, la ca-
ratteristica trasparenza del materiale nell’ancona marmorea di
San Siro nel Duomo di Pavia, che doveva trovarsi nella cripta.
Lo scultore crea un riquadro istoriato sia sul recto sia sul verso
dove ancora le figure sono in marmo bianco stagliate contro il
cielo formato da una sottile lastra di alabastro che, debitamen-
te illuminato, mostra le sue trasparenze dorate. Sull’utilizzo dei
materiali lapidei si veda M. C. Galassi, I materiali e la loro lavo-
razione, in La scultura a Genova, 1988 [cit. n. 2], pp. 64-67.
(15) Parma Armani, 1988 [cit. n. 10], pp. 25-26. Oggi quello
che rimane del riquadro centrale con gli angeli è murato all’e-
sterno di Palazzo Rocca sempre a Chiavari.

Tra i maestri che praticarono questa tipologia di


altare vi è Tomaso Carlone, dei Carlone di Ro-
vio, che tra il 1610 e il 1639 la utilizzò per la
cappella della Madonna della Guardia (o Spi-
6 nola) in San Siro a Genova (fig. 8) (13). L’altare
fu progettato per incorniciare la venerata im-
magine della Madonna delle Grazie, attualmen-
te sostituita. A differenza dell’altare di Dorno,
quello genovese è inserito in una cappella ricca-
mente placcata di marmi, dove non si presenta
isolato tanto che la trabeazione e il sistema di
colonne proseguono in tutto lo spazio. Inoltre si
osserva anche la mancanza dell’incorniciatura,
che potremmo definire a passepartout o so-
praffondo, in marmo rosso di Francia, che com-
pare negli altri esempi, come a Canepanova e in
un disegno di progetto di Giuseppe e Giovanni
Battista Ferrandino per il Santuario di Nostra
Signora dell’Orto di Chiavari che vedremo in
seguito (figg. 9, 10). Per il riquadro centrale
inoltre non vi è l’utilizzo dell’alabastro, ma del
marmo brocatello, che mantiene quindi la me-
desima differenziazione cromatica, venendo
meno quindi l’espediente virtuosistico di utiliz-
zare i disegni naturali della pietra (14).
La stessa tipologia si riscontra nuovamente nel
1629 nell’altare maggiore del santuario di No-
stra Signora dell’Orto a Chiavari, commissio-
nato già nel 1624 da Achille Costaguta a Giu-
seppe Ferrandino (fig. 11). Di quest’opera
esiste il disegno di progetto datato al 1627 e
firmato dai fratelli Ferrandino, Giuseppe e
Giovanni Battista (fig. 10). Per i Costaguta,
inoltre, Giuseppe utilizzò questa tipologia per
l’altare di famiglia in San Francesco a Chiavari
tra 1631 e 1632 (15).
È importante ricordare che i fratelli Ferrandino
collaborarono con Tomaso Orsolino in Santa
Maria di Canepanova a Pavia, per la decorazio-
ne della chiesa e per l’altare maggiore iniziato
nel 1634 e posto in opera nel 1648, dove venne
riproposta questa tipologia in area extraligure.
L’altare pavese si distingue per la particolare la-
vorazione dell’alabastro che sfrutta la macula-
zione per creare disegni speculari. Quasi con-

20 21
7 8 (13) Parma Armani, 1988 [cit. n. 10], pp. 24-25. Non è possibi-
le conoscere esattamente l’anno di esecuzione, ma fu iniziata si-
curamente a partire dal 1610. Nel 1639 l’altare risulta essere in
opera.
(14) Sul tema dell’impiego virtuosistico dell’alabastro Tomaso
Orsolino si discosterà da questi esempi utilizzandolo non solo
come fondale, ma sfruttando appieno, oltre che la texture, la ca-
ratteristica trasparenza del materiale nell’ancona marmorea di
San Siro nel Duomo di Pavia, che doveva trovarsi nella cripta.
Lo scultore crea un riquadro istoriato sia sul recto sia sul verso
dove ancora le figure sono in marmo bianco stagliate contro il
cielo formato da una sottile lastra di alabastro che, debitamen-
te illuminato, mostra le sue trasparenze dorate. Sull’utilizzo dei
materiali lapidei si veda M. C. Galassi, I materiali e la loro lavo-
razione, in La scultura a Genova, 1988 [cit. n. 2], pp. 64-67.
(15) Parma Armani, 1988 [cit. n. 10], pp. 25-26. Oggi quello
che rimane del riquadro centrale con gli angeli è murato all’e-
sterno di Palazzo Rocca sempre a Chiavari.

Tra i maestri che praticarono questa tipologia di


altare vi è Tomaso Carlone, dei Carlone di Ro-
vio, che tra il 1610 e il 1639 la utilizzò per la
cappella della Madonna della Guardia (o Spi-
6 nola) in San Siro a Genova (fig. 8) (13). L’altare
fu progettato per incorniciare la venerata im-
magine della Madonna delle Grazie, attualmen-
te sostituita. A differenza dell’altare di Dorno,
quello genovese è inserito in una cappella ricca-
mente placcata di marmi, dove non si presenta
isolato tanto che la trabeazione e il sistema di
colonne proseguono in tutto lo spazio. Inoltre si
osserva anche la mancanza dell’incorniciatura,
che potremmo definire a passepartout o so-
praffondo, in marmo rosso di Francia, che com-
pare negli altri esempi, come a Canepanova e in
un disegno di progetto di Giuseppe e Giovanni
Battista Ferrandino per il Santuario di Nostra
Signora dell’Orto di Chiavari che vedremo in
seguito (figg. 9, 10). Per il riquadro centrale
inoltre non vi è l’utilizzo dell’alabastro, ma del
marmo brocatello, che mantiene quindi la me-
desima differenziazione cromatica, venendo
meno quindi l’espediente virtuosistico di utiliz-
zare i disegni naturali della pietra (14).
La stessa tipologia si riscontra nuovamente nel
1629 nell’altare maggiore del santuario di No-
stra Signora dell’Orto a Chiavari, commissio-
nato già nel 1624 da Achille Costaguta a Giu-
seppe Ferrandino (fig. 11). Di quest’opera
esiste il disegno di progetto datato al 1627 e
firmato dai fratelli Ferrandino, Giuseppe e
Giovanni Battista (fig. 10). Per i Costaguta,
inoltre, Giuseppe utilizzò questa tipologia per
l’altare di famiglia in San Francesco a Chiavari
tra 1631 e 1632 (15).
È importante ricordare che i fratelli Ferrandino
collaborarono con Tomaso Orsolino in Santa
Maria di Canepanova a Pavia, per la decorazio-
ne della chiesa e per l’altare maggiore iniziato
nel 1634 e posto in opera nel 1648, dove venne
riproposta questa tipologia in area extraligure.
L’altare pavese si distingue per la particolare la-
vorazione dell’alabastro che sfrutta la macula-
zione per creare disegni speculari. Quasi con-

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9 9. Tomaso Orsolino, altare, particolare. 10. Giuseppe e Giovanni Battista Ferrandino, disegno per l’altare
Pavia, Santa Maria di Canepanova. del santuario di Santa Maria dell’Orto a Chiavari. Chiavari, Archivio
Notarile.

11. Giuseppe e Giovanni Battista Ferrandino, altare. Chiavari, santuario


di Santa Maria dell’Orto.

10 11

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9 9. Tomaso Orsolino, altare, particolare. 10. Giuseppe e Giovanni Battista Ferrandino, disegno per l’altare
Pavia, Santa Maria di Canepanova. del santuario di Santa Maria dell’Orto a Chiavari. Chiavari, Archivio
Notarile.

11. Giuseppe e Giovanni Battista Ferrandino, altare. Chiavari, santuario


di Santa Maria dell’Orto.

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12. Giuseppe Carlone, mensa d’altare. 13. Giuseppe Rusnati, mensa d’altare. (16) Parma Armani, 1988 [cit. n. 10], p. 26. Dal 1887 è murato vedano l’altare con il paliotto del Presepio (1625-1626) nella 14. Bottega di Tomaso Carlone, altare,
nella parte posteriore dell’altare. chiesa del Gesù e la mensa della cappella funebre di Claudio
Genova, San Siro, cappella Lomellini. Milano, Sant’Antonio Abate. (17) Parma Armani, 1988 [cit. n. 10], p. 26. Si segnala, come fu- Spinola e della famiglia (1651-1654) nella chiesa di Sant’Anna a particolare. Dorno, santuario di Santa Maria
tura pista di ricerca, che alla tipologia dell'altare a tabernacolo Genova. La tipologia è ripresa anche da Giovanni Domenico del Boschetto.
appartiene anche l'altare della cappella Paolina in Santa Mag- Casella e Giovanni Giacomo Porta nell’altare di Sant’Antonio
giore a Roma, realizzato da Pompeo Targone su disegno di Gi- nella chiesa dell’Annunziata a Genova (ca. 1645-1648).
rolamo Rainaldi, con angeli bronzei su fondo di lapislazzulo a (19) S. Coppa, Per il Rusnati, in “Arte Lombarda”, vol. 19, n.
reggere un'icona antica (1609-1613) (O. Ferrari, S. Papaldo, Le 40, 1974, pp. 130-146; M. C. Nasoni, Sant’Antonio Abate, in
sculture del Seicento a Roma, Roma 1999, pp. 243-244). Chiese di Milano, a cura di M. T. Fiorio, Milano 1985, p. 243.
(18) Galassi, 1988 [cit. n. 14], p. 59. Per citare alcuni esempi si

12 14

13 temporaneamente l’Orsolino, nel 1636, pre- con poche varianti nel tardo Seicento (1660- dro, intenti a sorreggere un cartiglio, mentre al
sentò dei conti per l’altare maggiore del santua- 80) in Sant’Antonio Abate a Milano nella cap- centro vi è l’immagine venerata riccamente con-
rio di Nostra Signora del Boschetto a Camogli, pella di San Gaetano da Giuseppe Rusnati (fig. tornata da una cornice composta da mensole
completato dopo il 1662, che ancora una volta 13) (19). È interessante come questo maestro antropomorfe e coronata da due volute entro
riprende la tipologia che si è indicata (16). recuperi a un secolo di distanza una tipologia cui è posto un putto che regge con una mano la
Da questa breve rassegna si deduce che le mac- che si inserisce ancora in un discorso di rap- corona e con l’altra un serto di rose (fig. 14).
chine d’altare a tabernacolo fossero comuni porti duraturi e di scambi serrati di forme tra Tutt’intorno al riquadro sono disposte nubi a
presso i santuari liguri, tra cui spiccano anche Lombardia e Liguria. cirri graffite da cui emergono numerose testine
altri esempi come l’incorniciatura ora presente Tornando all’altare di Santa Maria del Bo- a bassissimo rilievo. Se lo confrontiamo con il
sulla facciata di Santa Maria delle Grazie a Me- schetto di Dorno, è plausibile il suo inserimen- riquadro di Canepanova, si noterà una maggior
gli di Recco (17). Non è possibile allo stato at- to nell’ambito di una di queste botteghe di semplicità nella composizione messa a punto
tuale degli studi stabilire chi mise a punto que- lombardi attive a Genova. La struttura archi- dall’Orsolino. Infatti lo scultore realizza due an-
sta tipologia di altare, che forse si deve a tettonica si avvicina particolarmente a quella di geli che in volo sorreggono l’immagine sacra de-
Tomaso Carlone o a Giuseppe Ferrandino. Canepanova dell’Orsolino e a quella del dise- limitata semplicemente da una cornice a so-
Tuttavia non era insolito che le idee elaborate gno dei Ferrandino, fatta eccezione per le quat- praffondo in marmi colorati e nella parte alta
in una bottega venissero condivise e replicate tro colonne tortili in rosso di Francia e il mag- del riquadro pone due altri angiolini che sor-
da altri maestri: un caso è quello della mensa gior utilizzo dell’intarsio di marmi e di motivi reggono la corona sopra l’icona dipinta. Nono-
dell’altare sorretta da angeli proposta da Giu- decorativi come la fascia a racemi dell’architra- stante l’apparente semplicità lo scultore gioca,
seppe Carlone in San Siro a Genova nella cap- ve a marmo bianco e rosso. La composizione come di consueto, con i materiali, infatti com-
pella Lomellini (1597-1598) (fig. 12) e poi re- del riquadro centrale con le figure angeliche su pone dei disegni usando la naturale maculazio-
plicata da Tomaso Orsolino in più di una fondo di alabastro è diversificata in tutte le ope- ne dell’alabastro in un dinamica sapiente e vir-
occasione (18). Peraltro, curiosamente, questa re citate; l’altare di Dorno presenta due angeli a tuosistica, che è invece assente nell’altare di
tipologia degli angeli reggimensa fu ripresa tutta figura posti nella parte inferiore del riqua- Dorno, dove l’alabastro è applicato sull’intera

24 25
12. Giuseppe Carlone, mensa d’altare. 13. Giuseppe Rusnati, mensa d’altare. (16) Parma Armani, 1988 [cit. n. 10], p. 26. Dal 1887 è murato vedano l’altare con il paliotto del Presepio (1625-1626) nella 14. Bottega di Tomaso Carlone, altare,
nella parte posteriore dell’altare. chiesa del Gesù e la mensa della cappella funebre di Claudio
Genova, San Siro, cappella Lomellini. Milano, Sant’Antonio Abate. (17) Parma Armani, 1988 [cit. n. 10], p. 26. Si segnala, come fu- Spinola e della famiglia (1651-1654) nella chiesa di Sant’Anna a particolare. Dorno, santuario di Santa Maria
tura pista di ricerca, che alla tipologia dell'altare a tabernacolo Genova. La tipologia è ripresa anche da Giovanni Domenico del Boschetto.
appartiene anche l'altare della cappella Paolina in Santa Mag- Casella e Giovanni Giacomo Porta nell’altare di Sant’Antonio
giore a Roma, realizzato da Pompeo Targone su disegno di Gi- nella chiesa dell’Annunziata a Genova (ca. 1645-1648).
rolamo Rainaldi, con angeli bronzei su fondo di lapislazzulo a (19) S. Coppa, Per il Rusnati, in “Arte Lombarda”, vol. 19, n.
reggere un'icona antica (1609-1613) (O. Ferrari, S. Papaldo, Le 40, 1974, pp. 130-146; M. C. Nasoni, Sant’Antonio Abate, in
sculture del Seicento a Roma, Roma 1999, pp. 243-244). Chiese di Milano, a cura di M. T. Fiorio, Milano 1985, p. 243.
(18) Galassi, 1988 [cit. n. 14], p. 59. Per citare alcuni esempi si

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13 temporaneamente l’Orsolino, nel 1636, pre- con poche varianti nel tardo Seicento (1660- dro, intenti a sorreggere un cartiglio, mentre al
sentò dei conti per l’altare maggiore del santua- 80) in Sant’Antonio Abate a Milano nella cap- centro vi è l’immagine venerata riccamente con-
rio di Nostra Signora del Boschetto a Camogli, pella di San Gaetano da Giuseppe Rusnati (fig. tornata da una cornice composta da mensole
completato dopo il 1662, che ancora una volta 13) (19). È interessante come questo maestro antropomorfe e coronata da due volute entro
riprende la tipologia che si è indicata (16). recuperi a un secolo di distanza una tipologia cui è posto un putto che regge con una mano la
Da questa breve rassegna si deduce che le mac- che si inserisce ancora in un discorso di rap- corona e con l’altra un serto di rose (fig. 14).
chine d’altare a tabernacolo fossero comuni porti duraturi e di scambi serrati di forme tra Tutt’intorno al riquadro sono disposte nubi a
presso i santuari liguri, tra cui spiccano anche Lombardia e Liguria. cirri graffite da cui emergono numerose testine
altri esempi come l’incorniciatura ora presente Tornando all’altare di Santa Maria del Bo- a bassissimo rilievo. Se lo confrontiamo con il
sulla facciata di Santa Maria delle Grazie a Me- schetto di Dorno, è plausibile il suo inserimen- riquadro di Canepanova, si noterà una maggior
gli di Recco (17). Non è possibile allo stato at- to nell’ambito di una di queste botteghe di semplicità nella composizione messa a punto
tuale degli studi stabilire chi mise a punto que- lombardi attive a Genova. La struttura archi- dall’Orsolino. Infatti lo scultore realizza due an-
sta tipologia di altare, che forse si deve a tettonica si avvicina particolarmente a quella di geli che in volo sorreggono l’immagine sacra de-
Tomaso Carlone o a Giuseppe Ferrandino. Canepanova dell’Orsolino e a quella del dise- limitata semplicemente da una cornice a so-
Tuttavia non era insolito che le idee elaborate gno dei Ferrandino, fatta eccezione per le quat- praffondo in marmi colorati e nella parte alta
in una bottega venissero condivise e replicate tro colonne tortili in rosso di Francia e il mag- del riquadro pone due altri angiolini che sor-
da altri maestri: un caso è quello della mensa gior utilizzo dell’intarsio di marmi e di motivi reggono la corona sopra l’icona dipinta. Nono-
dell’altare sorretta da angeli proposta da Giu- decorativi come la fascia a racemi dell’architra- stante l’apparente semplicità lo scultore gioca,
seppe Carlone in San Siro a Genova nella cap- ve a marmo bianco e rosso. La composizione come di consueto, con i materiali, infatti com-
pella Lomellini (1597-1598) (fig. 12) e poi re- del riquadro centrale con le figure angeliche su pone dei disegni usando la naturale maculazio-
plicata da Tomaso Orsolino in più di una fondo di alabastro è diversificata in tutte le ope- ne dell’alabastro in un dinamica sapiente e vir-
occasione (18). Peraltro, curiosamente, questa re citate; l’altare di Dorno presenta due angeli a tuosistica, che è invece assente nell’altare di
tipologia degli angeli reggimensa fu ripresa tutta figura posti nella parte inferiore del riqua- Dorno, dove l’alabastro è applicato sull’intera

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(20) E. Parma Armani, Diffusione dei Santuari nel territorio del- sta del Seicento lombardo, catalogo della mostra (Milano, 2005), namento [2014], pp. 62-63. 15. Tomaso Orsolino, Madonna Assunta. 16. Annibale Fontana, Madonna Assunta. 17. Scultore ceranesco, Madonna.
la Repubblica e rinnovamento dell’iconografia mariana, in La a cura di M. Rosci, Milano 2005, pp. 140-141; S. Coppa, sche- (23) S. Coppa, Un’Assunta lignea poschiavina e il modello mila-
scultura a Genova, 1988 [cit. n. 2], pp. 20-21. L’opera è attri- da 22, in Il Seicento bergamasco, a cura di F. Rossi, Bergamo nese di Annibale Fontana sull’altare della Madonna dei Miracoli Genova, San Francesco da Paola. Milano, Santa Maria presso San Celso. Garlasco, santuario della Bozzola.
buita su base stilistica alla mano dell’Orsolino, tale ipotesi sem- 1987, pp. 122-123; B. Agosti, Contributo su Annibale Fontana, di San Celso, in “Bollettino della società storica valtellinese”, n.
bra trovare conferma anche dal fatto che i documenti segnala- in “Prospettiva”, n. 78, 1995, pp. 70-74. 58, 2005, pp. 271-278; A. Casati, Riflessioni sul naturalismo
no il coinvolgimento di Giovanni Orsolino, collaboratore e (22) M. Tanzi, La “Madonna” di San Celso e una proposta per Ce- lombardo e una proposta per Dionigi Bussola. Sculture in terra-
cugino di Tomaso, nella decorazione marmorea della cappella rano scultore, in “Prospettiva”, n. 78, 1995, pp. 75-83. M. Rosci, cotta in area lomellina nel Seicento, in “Viglevanum”, XXV,
tra il 1632 e il 1635. scheda 51, in Il Cerano, 2000 [cit. n. 21], pp. 99-100; M. Tanzi, 2015, pp. 46-48.
(21) M. Rosci, schede 87-88, in Il Cerano, Milano 2000, pp. 150- La Zenobia di don Alvaro e altri studi sul Seicento tra la bassa Pa-
152; A. M. Bava, scheda 20, in Il Cerano 1573-1632. Protagoni- dana e l’Europa, Milano 2015, pp. 57-63, in particolare Aggior-

15 16 17
superficie senza sfruttarne le venature. mente la sua bottega a Torino dal 1654, dove terracotta (Torino, collezione della Regione
Come è intuibile, l’altare di Dorno non è ascri- operò sino alla sua morte nel 1667, e quindi in Piemonte), un omaggio dell’artista all’opera di
vibile alla mano dell’Orsolino; infatti, se si con- prossimità con gli anni di esecuzione dell’alta- Annibale Fontana come ricorda Marco Tanzi a
frontano le figure angeliche, si noteranno le re di Dorno. cui si deve l’attribuzione del pezzo (22).
notevoli differenze stilistiche nella resa dei Si può ipotizzare che la committenza si sia ri- Il modello iconografico trova grande diffusio-
panneggi: più rigonfi e complessi quelli del- volta a questi maestri del marmo, che all’epoca ne in territorio lombardo sino alle valli svizze-
l’Orsolino, più lineari e composti, quasi sem- transitavano sul territorio durante i loro sposta- re e in Lomellina, dove è presente infatti una
plificati, quelli dell’altare di Dorno. Le capiglia- menti verso l’area piemontese e ligure, forse derivazione nella Madonna in terracotta del
ture degli angeli di Canepanova sono formate con lo scopo di riprendere il modello dell’alta- Compianto del Santuario della Madonna della
da piccoli ricci a ciocche ben separate, una ca- re del santuario pavese di Canepanova, oppure Bozzola a Garlasco (fig. 17) (23).
ratteristica dell’Orsolino che si osserva anche che la scelta sia stata dettata unicamente dalla L’Assunta dell’Orsolino risulta assolutamente
nelle fluenti chiome del Dio Padre, presente collocazione dell’opera in un santuario. Infatti, fuori dal contesto territoriale, addirittura è per
nell’edicola superiore, mentre gli angeli di Dor- come si è visto, questa tipologia di altare era in la Liguria un’iconografia assai rara se non uni-
no hanno corte capigliature costituite da brevi uso soprattutto nei santuari per contenere l’im- ca, che però testimonia ancora una volta lo
ma corpose ciocche, nel dettaglio meno rifinite. magine votiva. Tuttavia quello che significativa- stretto rapporto di scambi tra le due aree geo-
Una certa affinità si riscontra nella rigida ge- mente emerge è l’adozione di una tipologia e di grafiche in esame. Nel caso della Madonna di
stualità della figura di Dio Padre, dove tuttavia uno stile caratterizzato da un gusto accentuato San Francesco da Paola a Genova possiamo
si rilevano le stesse discrepanze stilistiche già per la policromia data dall’intarsio marmoreo parlare di una interpretazione fatta dall’Orso-
evidenziate soprattutto nella capigliatura e nel con precisi disegni e forme che erano sicuro ri- lino del modello del Fontana: infatti, sembra
panneggio. In questo caso però il maestro di chiamo all’ambito ligure. una ripresa in controparte e gli angeli ai piedi
Dorno utilizza un diverso e sapiente espediente della Vergine riprendono quelli del Fontana
realizzando le nuvole a morbidi cirri che debor- DIFFUSIONE E SCAMBI DI ICONOGRAFIE: tranne che per l’orientamento della testina di
dano illusionisticamente dalla cornice. TOMASO ORSOLINO E L’ASSUNTA DI ANNIBALE quello di sinistra. Inoltre vi è un dettaglio che
Altro confronto che è possibile istituire è con FONTANA rispecchia il gusto genovese per la policromia:
l’altare oggi murato in palazzo Rocca a Chiava- Come esempio di circolazione di un modello la nuvola con la singola testina angelica su cui
ri, opera di Giuseppe Ferrandino. In questo iconografico sembra di un certo interesse por- poggia la Vergine è in alabastro mentre la testa
caso tuttavia si nota un’assoluta divergenza per tare all’attenzione il caso della Madonna As- di cherubino è in marmo bianco, particolare
quello che riguarda le fisionomie degli angeli; sunta attribuita a Tomaso Orsolino e collocata che si differenzia dall’Assunta di Annibale Fon-
le figure inoltre risultano più dinamiche e i entro il 1635 nella cappella Ayrolo in San Fran- tana, realizzata interamente in marmo candido.
panneggi mossi e plissettati. cesco da Paola a Genova (fig. 15) (20). L’opera L’Orsolino ha poi riproposto nel panneggio lo
È più evidente una certa vicinanza con le figu- è una chiara derivazione dall’Assunta di Anni- stesso andamento del modello ma più semplifi-
re dell’altare di San Siro a Genova di Tomaso bale Fontana in Santa Maria presso San Celso cato, morbido e fluido, meno croccante e spez-
Carlone soprattutto nella corporatura degli an- a Milano (fig. 16). Quest’ultima scultura fu zato. La figura della Vergine è più sottile, con
geli, nelle fisionomie, nella leggera acromegalia collocata sull’altare nel 1589, dopo la morte una fisionomia differente rispetto all’Assunta
e in alcuni dettagli dell’andamento delle vesti, dello scultore, divenendo modello molto ripre- milanese; il volto perfettamente ovale è pervaso
anche se nel caso genovese vi è una maggior so in area lombarda. Grande opera di diffusio- da un’espressione sospesa e serena, dove viene
sensibilità nella lavorazione del marmo e nella ne fu posta in essere da Cerano che la tradusse meno l’estasi e il rapimento espresso mediante
resa dei dettagli come il piumaggio delle ali de- su tela nel dipinto I santi Carlo e Francesco in le labbra appena dischiuse nell’opera di Fonta-
scritto in ogni barba e le chiome, che seppure adorazione dell’immagine della Madonna dei na. È lecito interrogarsi se la scelta di questo
presentino ciocche ben separate sono maggior- Miracoli di San Celso (Torino, Pinacoteca Sa- modello iconografico sia dovuta allo scultore o
mente definite. Quindi, se non è possibile at- bauda), oppure ancora da Panfilo Nuvolone a un’espressa volontà della committenza, in
tribuire l’altare di Dorno direttamente alla ma- che nel 1607 dipinse I santi Nicola e Costanzo in quanto questa iconografia pare essere l’unico
no di Tomaso, è plausibile che esso possa adorazione dell’immagine della Madonna dei Mi- esempio in Liguria, né la si ritrova nel catalogo
essere ricondotto alla sua bottega; è anche da racoli in San Giovanni a Canonica d’Adda (21). dello scultore che non la riproporrà altrove, al-
sottolineare che il Carlone stabilì definitiva- A Cerano si deve anche una riproduzione in meno stando allo stato attuale degli studi.

26 27
(20) E. Parma Armani, Diffusione dei Santuari nel territorio del- sta del Seicento lombardo, catalogo della mostra (Milano, 2005), namento [2014], pp. 62-63. 15. Tomaso Orsolino, Madonna Assunta. 16. Annibale Fontana, Madonna Assunta. 17. Scultore ceranesco, Madonna.
la Repubblica e rinnovamento dell’iconografia mariana, in La a cura di M. Rosci, Milano 2005, pp. 140-141; S. Coppa, sche- (23) S. Coppa, Un’Assunta lignea poschiavina e il modello mila-
scultura a Genova, 1988 [cit. n. 2], pp. 20-21. L’opera è attri- da 22, in Il Seicento bergamasco, a cura di F. Rossi, Bergamo nese di Annibale Fontana sull’altare della Madonna dei Miracoli Genova, San Francesco da Paola. Milano, Santa Maria presso San Celso. Garlasco, santuario della Bozzola.
buita su base stilistica alla mano dell’Orsolino, tale ipotesi sem- 1987, pp. 122-123; B. Agosti, Contributo su Annibale Fontana, di San Celso, in “Bollettino della società storica valtellinese”, n.
bra trovare conferma anche dal fatto che i documenti segnala- in “Prospettiva”, n. 78, 1995, pp. 70-74. 58, 2005, pp. 271-278; A. Casati, Riflessioni sul naturalismo
no il coinvolgimento di Giovanni Orsolino, collaboratore e (22) M. Tanzi, La “Madonna” di San Celso e una proposta per Ce- lombardo e una proposta per Dionigi Bussola. Sculture in terra-
cugino di Tomaso, nella decorazione marmorea della cappella rano scultore, in “Prospettiva”, n. 78, 1995, pp. 75-83. M. Rosci, cotta in area lomellina nel Seicento, in “Viglevanum”, XXV,
tra il 1632 e il 1635. scheda 51, in Il Cerano, 2000 [cit. n. 21], pp. 99-100; M. Tanzi, 2015, pp. 46-48.
(21) M. Rosci, schede 87-88, in Il Cerano, Milano 2000, pp. 150- La Zenobia di don Alvaro e altri studi sul Seicento tra la bassa Pa-
152; A. M. Bava, scheda 20, in Il Cerano 1573-1632. Protagoni- dana e l’Europa, Milano 2015, pp. 57-63, in particolare Aggior-

15 16 17
superficie senza sfruttarne le venature. mente la sua bottega a Torino dal 1654, dove terracotta (Torino, collezione della Regione
Come è intuibile, l’altare di Dorno non è ascri- operò sino alla sua morte nel 1667, e quindi in Piemonte), un omaggio dell’artista all’opera di
vibile alla mano dell’Orsolino; infatti, se si con- prossimità con gli anni di esecuzione dell’alta- Annibale Fontana come ricorda Marco Tanzi a
frontano le figure angeliche, si noteranno le re di Dorno. cui si deve l’attribuzione del pezzo (22).
notevoli differenze stilistiche nella resa dei Si può ipotizzare che la committenza si sia ri- Il modello iconografico trova grande diffusio-
panneggi: più rigonfi e complessi quelli del- volta a questi maestri del marmo, che all’epoca ne in territorio lombardo sino alle valli svizze-
l’Orsolino, più lineari e composti, quasi sem- transitavano sul territorio durante i loro sposta- re e in Lomellina, dove è presente infatti una
plificati, quelli dell’altare di Dorno. Le capiglia- menti verso l’area piemontese e ligure, forse derivazione nella Madonna in terracotta del
ture degli angeli di Canepanova sono formate con lo scopo di riprendere il modello dell’alta- Compianto del Santuario della Madonna della
da piccoli ricci a ciocche ben separate, una ca- re del santuario pavese di Canepanova, oppure Bozzola a Garlasco (fig. 17) (23).
ratteristica dell’Orsolino che si osserva anche che la scelta sia stata dettata unicamente dalla L’Assunta dell’Orsolino risulta assolutamente
nelle fluenti chiome del Dio Padre, presente collocazione dell’opera in un santuario. Infatti, fuori dal contesto territoriale, addirittura è per
nell’edicola superiore, mentre gli angeli di Dor- come si è visto, questa tipologia di altare era in la Liguria un’iconografia assai rara se non uni-
no hanno corte capigliature costituite da brevi uso soprattutto nei santuari per contenere l’im- ca, che però testimonia ancora una volta lo
ma corpose ciocche, nel dettaglio meno rifinite. magine votiva. Tuttavia quello che significativa- stretto rapporto di scambi tra le due aree geo-
Una certa affinità si riscontra nella rigida ge- mente emerge è l’adozione di una tipologia e di grafiche in esame. Nel caso della Madonna di
stualità della figura di Dio Padre, dove tuttavia uno stile caratterizzato da un gusto accentuato San Francesco da Paola a Genova possiamo
si rilevano le stesse discrepanze stilistiche già per la policromia data dall’intarsio marmoreo parlare di una interpretazione fatta dall’Orso-
evidenziate soprattutto nella capigliatura e nel con precisi disegni e forme che erano sicuro ri- lino del modello del Fontana: infatti, sembra
panneggio. In questo caso però il maestro di chiamo all’ambito ligure. una ripresa in controparte e gli angeli ai piedi
Dorno utilizza un diverso e sapiente espediente della Vergine riprendono quelli del Fontana
realizzando le nuvole a morbidi cirri che debor- DIFFUSIONE E SCAMBI DI ICONOGRAFIE: tranne che per l’orientamento della testina di
dano illusionisticamente dalla cornice. TOMASO ORSOLINO E L’ASSUNTA DI ANNIBALE quello di sinistra. Inoltre vi è un dettaglio che
Altro confronto che è possibile istituire è con FONTANA rispecchia il gusto genovese per la policromia:
l’altare oggi murato in palazzo Rocca a Chiava- Come esempio di circolazione di un modello la nuvola con la singola testina angelica su cui
ri, opera di Giuseppe Ferrandino. In questo iconografico sembra di un certo interesse por- poggia la Vergine è in alabastro mentre la testa
caso tuttavia si nota un’assoluta divergenza per tare all’attenzione il caso della Madonna As- di cherubino è in marmo bianco, particolare
quello che riguarda le fisionomie degli angeli; sunta attribuita a Tomaso Orsolino e collocata che si differenzia dall’Assunta di Annibale Fon-
le figure inoltre risultano più dinamiche e i entro il 1635 nella cappella Ayrolo in San Fran- tana, realizzata interamente in marmo candido.
panneggi mossi e plissettati. cesco da Paola a Genova (fig. 15) (20). L’opera L’Orsolino ha poi riproposto nel panneggio lo
È più evidente una certa vicinanza con le figu- è una chiara derivazione dall’Assunta di Anni- stesso andamento del modello ma più semplifi-
re dell’altare di San Siro a Genova di Tomaso bale Fontana in Santa Maria presso San Celso cato, morbido e fluido, meno croccante e spez-
Carlone soprattutto nella corporatura degli an- a Milano (fig. 16). Quest’ultima scultura fu zato. La figura della Vergine è più sottile, con
geli, nelle fisionomie, nella leggera acromegalia collocata sull’altare nel 1589, dopo la morte una fisionomia differente rispetto all’Assunta
e in alcuni dettagli dell’andamento delle vesti, dello scultore, divenendo modello molto ripre- milanese; il volto perfettamente ovale è pervaso
anche se nel caso genovese vi è una maggior so in area lombarda. Grande opera di diffusio- da un’espressione sospesa e serena, dove viene
sensibilità nella lavorazione del marmo e nella ne fu posta in essere da Cerano che la tradusse meno l’estasi e il rapimento espresso mediante
resa dei dettagli come il piumaggio delle ali de- su tela nel dipinto I santi Carlo e Francesco in le labbra appena dischiuse nell’opera di Fonta-
scritto in ogni barba e le chiome, che seppure adorazione dell’immagine della Madonna dei na. È lecito interrogarsi se la scelta di questo
presentino ciocche ben separate sono maggior- Miracoli di San Celso (Torino, Pinacoteca Sa- modello iconografico sia dovuta allo scultore o
mente definite. Quindi, se non è possibile at- bauda), oppure ancora da Panfilo Nuvolone a un’espressa volontà della committenza, in
tribuire l’altare di Dorno direttamente alla ma- che nel 1607 dipinse I santi Nicola e Costanzo in quanto questa iconografia pare essere l’unico
no di Tomaso, è plausibile che esso possa adorazione dell’immagine della Madonna dei Mi- esempio in Liguria, né la si ritrova nel catalogo
essere ricondotto alla sua bottega; è anche da racoli in San Giovanni a Canonica d’Adda (21). dello scultore che non la riproporrà altrove, al-
sottolineare che il Carlone stabilì definitiva- A Cerano si deve anche una riproduzione in meno stando allo stato attuale degli studi.

26 27
18. Tomaso Orsolino, altare di San Siro. (24) Per la documentazione sugli altari del duomo di Pavia cfr. barda” a Genova e in Liguria dal sec. XIV al XIX, Genova 1985, 19. Tomaso Orsolino, Francesco Sala
L. Baini, Tre altari seicenteschi nella Cattedrale di Pavia. Note su pp. 144-147.
Pavia, duomo. Tomaso Orsolino e la sua committenza, in “Artes”, 2, 1994, pp. (27) Alfonso, 1985 [cit. n. 26], p. 145. e Bernardo Orsati, altare del Suffragio.
68-97. (28) Sul monumento Canevari cfr. G. Montanari, Tomaso Orso- Pavia, duomo.
(25) Le figure del basamento dell’altare del Suffragio vennero lino in Santa Maria di Castello, in "Paragone", LVII, 126 (793),
curiosamente replicate nell’iconografia e nella tecnica esecutiva, marzo 2016, pp. 25-44. A Orsolino sono attribuiti inoltre altri
sebbene con minore qualità, nei rilievi settecenteschi (1750) ritratti come il monumento funebre di tre fratelli Saluzzo (1630)
nella cappella della Madonna Immacolata nella chiesa di San in Nostra Signora al Monte a Genova (La scultura a Genova,
Marziano e San Martino a Mede Lomellina. 1988 [cit. n. 2], p. 44).
(26) L. Alfonso, Tomaso Orsolino e gli artisti di “Natione Lom-

18 19
TOMASO ORSOLINO A PAVIA: IL BUSTO
RITRATTO DEL VESCOVO SFONDRATI
Un maestro che ebbe sicuramente molta fortu-
na nel pavese fu Tomaso Orsolino, attivo pres-
so la Certosa di Pavia, il santuario di Santa Ma-
ria di Canepanova e la cattedrale, nella quale
progettò gli altari di San Siro, del Suffragio e
del vescovo Giovanni Battista Sfondrati
(figg.18-20) (24). Tutte queste opere presenta-
no una ricca profusione di marmi colorati e
particolari giochi di bravura, come è visibile
nelle parti figurate dell’altare del Suffragio, do-
ve l’artista con maestria combina la policromia
dei materiali con lo spessore dei rilievi (figg.21,
22) (25). È possibile in questa sede tentare di ri-
condurre alla mano di Orsolino un’opera sino
ad ora trascurata, ovvero il ritratto del vescovo
Sfondrati che oggi è immorsato nel pilastro a
fianco della cappella che ospita il citato altare.
Nel contratto del 5 agosto 1648 stipulato fra lo
scultore e Filippo Sfondrati, fratello del defun-
to presule, viene fatto riferimento al «ritratto di
marmo di Mons. Ill.mo già Vescovo di Pavia»
(26). Il documento fissa il termine di consegna
entro l’anno successivo e descrive l’opera se-
condo i disegni che furono approvati dal com-
mittente: «si farà il fondo del ritratto del Mons.
Ill.mo di verde e nero e nelli canti di d.o orna-
mento sarà commisso di brocatello di Spagna e
sotto alli frontespitij li sarà un’armetta del sud.o
Vescovo et il fondo sotto alli sud.i frontespitij
sarà di rosso. L’epitaffio sotto a d.o ritratto sarà
nero di pietra viva per intagliare le lettere a sua
disposizione» (27). Se si confronta il documen-
to con l’opera realizzata si riscontrano solo po-
che modifiche; infatti il ritratto è posto contro
un ovale di marmo nero, vi è la presenza del
marmo rosso di Francia e della lunga epigrafe
in marmo nero e nel timpano è inserita l’«ar-
metta».
Il ritratto a mezzo busto, confrontato con il ri-
tratto a tutta figura di Demetrio Canevari
(1626) nel monumento funebre in Santa Maria
di Castello (28), conferma l’Orsolino come
buon ritrattista capace di cogliere nella solen-

28 29
18. Tomaso Orsolino, altare di San Siro. (24) Per la documentazione sugli altari del duomo di Pavia cfr. barda” a Genova e in Liguria dal sec. XIV al XIX, Genova 1985, 19. Tomaso Orsolino, Francesco Sala
L. Baini, Tre altari seicenteschi nella Cattedrale di Pavia. Note su pp. 144-147.
Pavia, duomo. Tomaso Orsolino e la sua committenza, in “Artes”, 2, 1994, pp. (27) Alfonso, 1985 [cit. n. 26], p. 145. e Bernardo Orsati, altare del Suffragio.
68-97. (28) Sul monumento Canevari cfr. G. Montanari, Tomaso Orso- Pavia, duomo.
(25) Le figure del basamento dell’altare del Suffragio vennero lino in Santa Maria di Castello, in "Paragone", LVII, 126 (793),
curiosamente replicate nell’iconografia e nella tecnica esecutiva, marzo 2016, pp. 25-44. A Orsolino sono attribuiti inoltre altri
sebbene con minore qualità, nei rilievi settecenteschi (1750) ritratti come il monumento funebre di tre fratelli Saluzzo (1630)
nella cappella della Madonna Immacolata nella chiesa di San in Nostra Signora al Monte a Genova (La scultura a Genova,
Marziano e San Martino a Mede Lomellina. 1988 [cit. n. 2], p. 44).
(26) L. Alfonso, Tomaso Orsolino e gli artisti di “Natione Lom-

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TOMASO ORSOLINO A PAVIA: IL BUSTO
RITRATTO DEL VESCOVO SFONDRATI
Un maestro che ebbe sicuramente molta fortu-
na nel pavese fu Tomaso Orsolino, attivo pres-
so la Certosa di Pavia, il santuario di Santa Ma-
ria di Canepanova e la cattedrale, nella quale
progettò gli altari di San Siro, del Suffragio e
del vescovo Giovanni Battista Sfondrati
(figg.18-20) (24). Tutte queste opere presenta-
no una ricca profusione di marmi colorati e
particolari giochi di bravura, come è visibile
nelle parti figurate dell’altare del Suffragio, do-
ve l’artista con maestria combina la policromia
dei materiali con lo spessore dei rilievi (figg.21,
22) (25). È possibile in questa sede tentare di ri-
condurre alla mano di Orsolino un’opera sino
ad ora trascurata, ovvero il ritratto del vescovo
Sfondrati che oggi è immorsato nel pilastro a
fianco della cappella che ospita il citato altare.
Nel contratto del 5 agosto 1648 stipulato fra lo
scultore e Filippo Sfondrati, fratello del defun-
to presule, viene fatto riferimento al «ritratto di
marmo di Mons. Ill.mo già Vescovo di Pavia»
(26). Il documento fissa il termine di consegna
entro l’anno successivo e descrive l’opera se-
condo i disegni che furono approvati dal com-
mittente: «si farà il fondo del ritratto del Mons.
Ill.mo di verde e nero e nelli canti di d.o orna-
mento sarà commisso di brocatello di Spagna e
sotto alli frontespitij li sarà un’armetta del sud.o
Vescovo et il fondo sotto alli sud.i frontespitij
sarà di rosso. L’epitaffio sotto a d.o ritratto sarà
nero di pietra viva per intagliare le lettere a sua
disposizione» (27). Se si confronta il documen-
to con l’opera realizzata si riscontrano solo po-
che modifiche; infatti il ritratto è posto contro
un ovale di marmo nero, vi è la presenza del
marmo rosso di Francia e della lunga epigrafe
in marmo nero e nel timpano è inserita l’«ar-
metta».
Il ritratto a mezzo busto, confrontato con il ri-
tratto a tutta figura di Demetrio Canevari
(1626) nel monumento funebre in Santa Maria
di Castello (28), conferma l’Orsolino come
buon ritrattista capace di cogliere nella solen-

28 29
20. Tomaso Orsolino, altare Sfondrati. 21 - 22. Tomaso Orsolino, altare del Suffragio, (29) Il vero momento di svolta si verifica per opera di Ercole 23. Tomaso Orsolino, busto del vescovo
Ferrata. Lo scultore si formò nella bottega di Orsolino, come ri-
Pavia, duomo. particolari. Pavia, duomo. ferisce Baldinucci (F. Baldinucci, Notizie dei professori del dise- Sfondrati. Pavia, duomo.
gno... [1681-1728], a cura di F. Ranalli, vol. V, Firenze 1847, pp.
375-395), prima di allontanarsi alla volta di Napoli e soprattut-
to di Roma dove impiantò una bottega-museo che sarebbe di-
venuta tappa obbligata per gli artisti lombardi durante il loro
viaggio formativo nell’Urbe. Per Ferrata si veda G. Casale, vo-
ce Ferrata, Ercole, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 46,
1996, http://www.treccani.it/. Per la ricaduta della diffusione
dei modelli romani in Lombardia cfr. Casati, 2013 [cit. n. 3],
pp. 215-241.

20 21 nità della posa il dato naturalistico. È da rileva- 23


re la qualità elevata dell’opera contraddistinta
dall’attento modellato del volto pieno del pre-
sule, segnato da rughe e caratterizzato da un’e-
spressione concentrata e intensa evidenziata
dalla fronte corrugata (fig. 23). Con il ritratto di
Canevari condivide la lenticolare resa della bar-
ba e della capigliatura e le pupille graffite a sot-
tolineare maggiormente la profondità e l’inten-
sità dello sguardo del ritrattato. Tomaso
esprime particolare maestria nella trattazione
della superficie marmorea e nel rendere la dif-
ferenziazione materica dei paramenti vescovili,
come mostrano le decorazioni a racemi a bas-
sissimo rilievo su fondo zigrinato che imitano i
ricami del tessuto e si differenziano dalla lucen-
tezza che altrove l’artista aveva voluto imprime-
re al marmo per imitare il raso di seta. La stessa
sensibilità materica si riscontra anche nelle figu-
re di san Giovanni Battista e san Brunone nel
tramezzo del coro della Certosa di Pavia.
Il ritratto Sfondrati si presenta dunque nella
sua solennità come opera di particolare rifini-
22 tura in cui l’attenzione per il dettaglio che
contraddistingue la produzione dello scultore
si risolve in un perfetto equilibrio tra naturali-
smo e grazia, che non sconfina mai in eccessi-
vi sentimentalismi o particolari crudamente
realistici. Il tutto è sospeso, lontano dalle in-
fluenze del barocco romano che ebbero in
Lombardia grande importanza per gli scultori
della generazione successiva e che segnarono
la produzione del secondo Seicento e del Set-
tecento (29). Orsolino, maestro dei laghi, non
si distaccò mai dalla pratica di bottega e dalla
sua formazione tardocinquecentesca.

LA CIRCOLAZIONE DEI MAESTRI


DELLA SCULTURA LIGNEA
Il tema della circolazione di opere e maestri
tra Liguria e Lombardia non si esaurisce nei
casi sin qui esposti, che hanno lo scopo di pre-
sentare un fenomeno più ampio e sfaccettato,
che si svolge in un arco cronologico ampio e
che riguarda non solo la scultura lapidea, ma

30 31
20. Tomaso Orsolino, altare Sfondrati. 21 - 22. Tomaso Orsolino, altare del Suffragio, (29) Il vero momento di svolta si verifica per opera di Ercole 23. Tomaso Orsolino, busto del vescovo
Ferrata. Lo scultore si formò nella bottega di Orsolino, come ri-
Pavia, duomo. particolari. Pavia, duomo. ferisce Baldinucci (F. Baldinucci, Notizie dei professori del dise- Sfondrati. Pavia, duomo.
gno... [1681-1728], a cura di F. Ranalli, vol. V, Firenze 1847, pp.
375-395), prima di allontanarsi alla volta di Napoli e soprattut-
to di Roma dove impiantò una bottega-museo che sarebbe di-
venuta tappa obbligata per gli artisti lombardi durante il loro
viaggio formativo nell’Urbe. Per Ferrata si veda G. Casale, vo-
ce Ferrata, Ercole, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 46,
1996, http://www.treccani.it/. Per la ricaduta della diffusione
dei modelli romani in Lombardia cfr. Casati, 2013 [cit. n. 3],
pp. 215-241.

20 21 nità della posa il dato naturalistico. È da rileva- 23


re la qualità elevata dell’opera contraddistinta
dall’attento modellato del volto pieno del pre-
sule, segnato da rughe e caratterizzato da un’e-
spressione concentrata e intensa evidenziata
dalla fronte corrugata (fig. 23). Con il ritratto di
Canevari condivide la lenticolare resa della bar-
ba e della capigliatura e le pupille graffite a sot-
tolineare maggiormente la profondità e l’inten-
sità dello sguardo del ritrattato. Tomaso
esprime particolare maestria nella trattazione
della superficie marmorea e nel rendere la dif-
ferenziazione materica dei paramenti vescovili,
come mostrano le decorazioni a racemi a bas-
sissimo rilievo su fondo zigrinato che imitano i
ricami del tessuto e si differenziano dalla lucen-
tezza che altrove l’artista aveva voluto imprime-
re al marmo per imitare il raso di seta. La stessa
sensibilità materica si riscontra anche nelle figu-
re di san Giovanni Battista e san Brunone nel
tramezzo del coro della Certosa di Pavia.
Il ritratto Sfondrati si presenta dunque nella
sua solennità come opera di particolare rifini-
22 tura in cui l’attenzione per il dettaglio che
contraddistingue la produzione dello scultore
si risolve in un perfetto equilibrio tra naturali-
smo e grazia, che non sconfina mai in eccessi-
vi sentimentalismi o particolari crudamente
realistici. Il tutto è sospeso, lontano dalle in-
fluenze del barocco romano che ebbero in
Lombardia grande importanza per gli scultori
della generazione successiva e che segnarono
la produzione del secondo Seicento e del Set-
tecento (29). Orsolino, maestro dei laghi, non
si distaccò mai dalla pratica di bottega e dalla
sua formazione tardocinquecentesca.

LA CIRCOLAZIONE DEI MAESTRI


DELLA SCULTURA LIGNEA
Il tema della circolazione di opere e maestri
tra Liguria e Lombardia non si esaurisce nei
casi sin qui esposti, che hanno lo scopo di pre-
sentare un fenomeno più ampio e sfaccettato,
che si svolge in un arco cronologico ampio e
che riguarda non solo la scultura lapidea, ma

30 31
(30) Casati, 2007 [cit. n. 1], pp. 112-113. dia si veda Casati, 2013 [cit. n. 3], pp. 215-241. 24. Bottega di Giuseppe Arata, Madonna 26. Giovanni Battista Bissoni, Crocifisso. 27. Giovanni Battista Bissoni, Crocifisso.
(31) D. Sanguineti, Maragliano e Maraglianeschi, in Han tutta (33) D. Sanguineti, Progettazione ed esecuzione nella bottega di
l’aria di Paradiso. Gruppi scultorei di Anton Maria Maragliano Anton Maria Maragliano. Aggiunte al catalogo, in “Studi di sto- della Cintura. Cassolnovo, San Giorgio. Carpignago di Giussago, chiesa di Genova, chiesa dell’Immacolata.
tra Genova e Ovada, catalogo della mostra (Ovada, 2005), a cu- ria delle arti”, 8, 1995-1996, pp. 153-168. Per l’impiego di tec- San Giovanni Battista.
ra di F. Cervini, D. Sanguineti, Torino 2005, pp. 111-112; D. niche polimateriche in Lombardia cfr. A. Casati, «Composto di 25. Giuseppe Arata, Madonna del Rosario.
Sanguineti, Scultura a Genovese in legno policromo dal secondo diverse materie con portentoso artificio». Scultura polimaterica in
Cinquecento al Settecento, Torino 2013, pp. 387-88, tav. CV. area lombarda tra Sei e Settecento: alcune osservazioni, in Carta- Rapallo, San Pietro di Novella.
(32) L. Magnani, scheda 184, in Genova nell’età Barocca, a cura pesta e scultura polimaterica, atti del convegno (Lecce, 9-10
di E. Gavazza, G. Rotondi Terminiello, Genova 1992, pp. 304- maggio 2008), a cura di R. Casciaro, Galatina 2012, pp. 145-
306, dove si segnala un esemplare probabilmente dovuto a un 155.
artista genovese tratto dall’originale bronzetto algardiano. Co- (34) Casati, 2012 [cit. n. 33], pp. 163-164.
me sottolinea Magnani, la fortuna di questo modello a Genova (35) Per un profilo biografico cfr. Sanguineti, 2013 [cit. n. 31],
è direttamente testimoniato da diversi esempi come la scultura pp. 392-393.
di Parodi a Rossiglione e una Madonna policroma attribuita a (36) Sanguineti, 2013 [cit. n. 31], pp.152-159, 390-392.
Schiaffino, conservata presso il Museo di Sant’Agostino a Ge- (37) Sanguineti, 2013 [cit. n. 31], pp. 152-153, 390-393.
nova. Sul tema della circolazione di questo modello in Lombar- (38) Sanguineti, 2013 [cit. n. 31], pp.158-159 e nota 235, p. 256.

24 25 26 27
anche quella lignea policroma.
In questo settore si segnala la Madonna della
Cintura nella chiesa di San Giorgio a Cassolno-
vo, in Lomellina, che nello stile e nella tecnica
esecutiva mantiene delle specificità tutte liguri
(fig. 24) (30). A buon giudizio essa è ascrivibile
all’ambito di Giuseppe Arata, se confrontata
con la Madonna del Rosario nella chiesa di San
Pietro di Novella a Rapallo (fig. 25). L’Arata
appartiene a quella generazione di maestri che
lavorarono a cavallo tra Sei e Settecento e nella
sua bottega fu attivo anche il giovane Anton
Maria Maragliano. L’opera di Cassolnovo è col-
locabile al primo decennio del Settecento, an-
che se stilisticamente è ancora per certi versi an-
corata al secolo precedente, sia per la
compostezza, sia per la solidità della figura del-
la Vergine. La fisionomia della Madonna, come
la morbidezza del Bambino dall’addome pro-
minente, si avvicina molto alla Madonna dell’A-
rata a Rapallo (31). Entrambe le opere, oltre a
mantenere la stessa compostezza e frontalità, ri-
chiamano chiaramente il celebre modello algar-
diano, elaborato tra il 1651 e il 1652, che ebbe
larga circolazione nella penisola dalla seconda
metà del Seicento sino a tutto il Settecento tra-
mite una serie di fusioni in bronzo (32). L’opera
di Cassolnovo si distingue per il dinamismo del-
la nuvola popolata da diverse testine angeliche. può ascrivere al catalogo dello scultore Giovan- Crocifisso di Sestri Levante a lui attribuito, ma
Un dato interessante riguarda la resa degli occhi ni Battista Bissoni (morto nel 1657) (35). Il mae- soprattutto con quello di Santa Maria Immaco-
delle due figure che, a un’osservazione macro- stro fu attivo in Liguria insieme al padre Dome- lata a Genova, realizzato entro il 1643 (fig. 27)
scopica, sembrano realizzati con materiali lucidi nico dal quale ereditò una bottega (36), (38). Quest’ultimo, messo a punto per la cap-
e riflettenti per creare un effetto realistico, ri- denominata nelle fonti «accademia», dove lo pella Spinola in Santo Spirito a Genova e tra-
producendo l’umidità dei bulbi oculari. È plau- scultore continuò la tradizione paterna di una slato nella sede attuale alla fine dell’Ottocento,
sibile che possano essere state applicate faccette pratica scultorea basata sul disegno dal vero sembra offrire un perfetto termine di confronto
di vetro colorato, secondo una tecnica che veni- (37). I Bissone, come i maestri nominati in pre- nella delicata modulazione dell’anatomia del
va utilizzata comunemente nella produzione li- cedenza, appartengono alla folta schiera di fa- Cristo, così come nella fisionomia e nel detta-
gure, ma che è alquanto rara in Lombardia (33). miglie di artisti provenienti dai laghi lombardi e glio delle chiome e della barba a doppia punta
Un’altra opera che attesta la presenza sul terri- ticinesi e più precisamente da Bissone. Una ca- rese a piccole ciocche raggrumate. Il panneg-
torio lombardo di maestri attivi in Liguria è il ratteristica preponderante nella produzione di gio del perizoma di entrambe le opere è mosso
Crocifisso, collocabile alla prima metà del XVII Giovanni Battista è la forte connotazione reali- e modulato, quasi metallico, andando a forma-
secolo, nella chiesa di San Giovanni Battista a stica impressa alle figure, dato già evidente nel- re uno svolazzo laterale ed è sostenuto da una
Carpignago di Giussago (fig. 26), una grangia le opere paterne, con particolare sensibilità al corda, mancante nell’opera genovese. L’artifi-
della Certosa di Pavia (34). L’opera, che attual- disegno dal vero e all’opera dei pittori. I con- cio della corda è usato anche in altre opere del
mente versa in pessimo stato conservativo, si fronti più stringenti possono essere fatti con il Bissoni come i Crocifissi della chiesa di San

32 33
(30) Casati, 2007 [cit. n. 1], pp. 112-113. dia si veda Casati, 2013 [cit. n. 3], pp. 215-241. 24. Bottega di Giuseppe Arata, Madonna 26. Giovanni Battista Bissoni, Crocifisso. 27. Giovanni Battista Bissoni, Crocifisso.
(31) D. Sanguineti, Maragliano e Maraglianeschi, in Han tutta (33) D. Sanguineti, Progettazione ed esecuzione nella bottega di
l’aria di Paradiso. Gruppi scultorei di Anton Maria Maragliano Anton Maria Maragliano. Aggiunte al catalogo, in “Studi di sto- della Cintura. Cassolnovo, San Giorgio. Carpignago di Giussago, chiesa di Genova, chiesa dell’Immacolata.
tra Genova e Ovada, catalogo della mostra (Ovada, 2005), a cu- ria delle arti”, 8, 1995-1996, pp. 153-168. Per l’impiego di tec- San Giovanni Battista.
ra di F. Cervini, D. Sanguineti, Torino 2005, pp. 111-112; D. niche polimateriche in Lombardia cfr. A. Casati, «Composto di 25. Giuseppe Arata, Madonna del Rosario.
Sanguineti, Scultura a Genovese in legno policromo dal secondo diverse materie con portentoso artificio». Scultura polimaterica in
Cinquecento al Settecento, Torino 2013, pp. 387-88, tav. CV. area lombarda tra Sei e Settecento: alcune osservazioni, in Carta- Rapallo, San Pietro di Novella.
(32) L. Magnani, scheda 184, in Genova nell’età Barocca, a cura pesta e scultura polimaterica, atti del convegno (Lecce, 9-10
di E. Gavazza, G. Rotondi Terminiello, Genova 1992, pp. 304- maggio 2008), a cura di R. Casciaro, Galatina 2012, pp. 145-
306, dove si segnala un esemplare probabilmente dovuto a un 155.
artista genovese tratto dall’originale bronzetto algardiano. Co- (34) Casati, 2012 [cit. n. 33], pp. 163-164.
me sottolinea Magnani, la fortuna di questo modello a Genova (35) Per un profilo biografico cfr. Sanguineti, 2013 [cit. n. 31],
è direttamente testimoniato da diversi esempi come la scultura pp. 392-393.
di Parodi a Rossiglione e una Madonna policroma attribuita a (36) Sanguineti, 2013 [cit. n. 31], pp.152-159, 390-392.
Schiaffino, conservata presso il Museo di Sant’Agostino a Ge- (37) Sanguineti, 2013 [cit. n. 31], pp. 152-153, 390-393.
nova. Sul tema della circolazione di questo modello in Lombar- (38) Sanguineti, 2013 [cit. n. 31], pp.158-159 e nota 235, p. 256.

24 25 26 27
anche quella lignea policroma.
In questo settore si segnala la Madonna della
Cintura nella chiesa di San Giorgio a Cassolno-
vo, in Lomellina, che nello stile e nella tecnica
esecutiva mantiene delle specificità tutte liguri
(fig. 24) (30). A buon giudizio essa è ascrivibile
all’ambito di Giuseppe Arata, se confrontata
con la Madonna del Rosario nella chiesa di San
Pietro di Novella a Rapallo (fig. 25). L’Arata
appartiene a quella generazione di maestri che
lavorarono a cavallo tra Sei e Settecento e nella
sua bottega fu attivo anche il giovane Anton
Maria Maragliano. L’opera di Cassolnovo è col-
locabile al primo decennio del Settecento, an-
che se stilisticamente è ancora per certi versi an-
corata al secolo precedente, sia per la
compostezza, sia per la solidità della figura del-
la Vergine. La fisionomia della Madonna, come
la morbidezza del Bambino dall’addome pro-
minente, si avvicina molto alla Madonna dell’A-
rata a Rapallo (31). Entrambe le opere, oltre a
mantenere la stessa compostezza e frontalità, ri-
chiamano chiaramente il celebre modello algar-
diano, elaborato tra il 1651 e il 1652, che ebbe
larga circolazione nella penisola dalla seconda
metà del Seicento sino a tutto il Settecento tra-
mite una serie di fusioni in bronzo (32). L’opera
di Cassolnovo si distingue per il dinamismo del-
la nuvola popolata da diverse testine angeliche. può ascrivere al catalogo dello scultore Giovan- Crocifisso di Sestri Levante a lui attribuito, ma
Un dato interessante riguarda la resa degli occhi ni Battista Bissoni (morto nel 1657) (35). Il mae- soprattutto con quello di Santa Maria Immaco-
delle due figure che, a un’osservazione macro- stro fu attivo in Liguria insieme al padre Dome- lata a Genova, realizzato entro il 1643 (fig. 27)
scopica, sembrano realizzati con materiali lucidi nico dal quale ereditò una bottega (36), (38). Quest’ultimo, messo a punto per la cap-
e riflettenti per creare un effetto realistico, ri- denominata nelle fonti «accademia», dove lo pella Spinola in Santo Spirito a Genova e tra-
producendo l’umidità dei bulbi oculari. È plau- scultore continuò la tradizione paterna di una slato nella sede attuale alla fine dell’Ottocento,
sibile che possano essere state applicate faccette pratica scultorea basata sul disegno dal vero sembra offrire un perfetto termine di confronto
di vetro colorato, secondo una tecnica che veni- (37). I Bissone, come i maestri nominati in pre- nella delicata modulazione dell’anatomia del
va utilizzata comunemente nella produzione li- cedenza, appartengono alla folta schiera di fa- Cristo, così come nella fisionomia e nel detta-
gure, ma che è alquanto rara in Lombardia (33). miglie di artisti provenienti dai laghi lombardi e glio delle chiome e della barba a doppia punta
Un’altra opera che attesta la presenza sul terri- ticinesi e più precisamente da Bissone. Una ca- rese a piccole ciocche raggrumate. Il panneg-
torio lombardo di maestri attivi in Liguria è il ratteristica preponderante nella produzione di gio del perizoma di entrambe le opere è mosso
Crocifisso, collocabile alla prima metà del XVII Giovanni Battista è la forte connotazione reali- e modulato, quasi metallico, andando a forma-
secolo, nella chiesa di San Giovanni Battista a stica impressa alle figure, dato già evidente nel- re uno svolazzo laterale ed è sostenuto da una
Carpignago di Giussago (fig. 26), una grangia le opere paterne, con particolare sensibilità al corda, mancante nell’opera genovese. L’artifi-
della Certosa di Pavia (34). L’opera, che attual- disegno dal vero e all’opera dei pittori. I con- cio della corda è usato anche in altre opere del
mente versa in pessimo stato conservativo, si fronti più stringenti possono essere fatti con il Bissoni come i Crocifissi della chiesa di San

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28 30 28. Giovanni Battista Bissoni, Crocifisso. 31. Paolo Veronese, Crocifissione. Genova, (39) F. Franchini Guelfi, Le casacce. Arte e tradizione, Genova
1973, p. 60; Sanguineti, 2013 [cit. n. 31], p. 158.
Genova, San Luca. Palazzo Bianco.

29. Giovanni Battista Bissoni, Crocifisso. 32 - 33. Giovanni Battista Bissoni, Crocifisso,
Genova, San Bartolomeo degli Armeni. particolari. Carpignago di Giussago, chiesa
di San Giovanni Battista.
30. Giovanni Battista Bissoni, Crocifisso.
Albenga, Santa Maria in Fontibus.

Luca, della chiesa di San Bartolomeo degli Ar- Alessandro Algardi per il cardinale Giacomo lata a Genova e quello di Carpignago, si distin-
meni a Genova e quello della chiesa di Santa Franzone in San Carlo a Genova, da cui sem- guono tra loro solo per quanto riguarda l’ico-
Maria in Fontibus ad Albenga (figg. 28-30). bra attingere soprattutto la compostezza del nografia. Infatti entrambe le opere riprendono
Emerge la particolare attenzione alla mimesi volto. In questa sede propongo un confronto il modello del Cristo morto o spirante, ma è da
naturalistica che si coniuga in maniera più pa- anche con la Crocifissione di Paolo Veronese, segnalare che nel caso di Carpignago il Croci-
cata quasi classicheggiante nell’opera genove- oggi in Palazzo Bianco a Genova (fig. 31), ma fisso presenta quattro chiodi, mentre quello ge-
se, mentre è pregna di drammaticità nel Croci- proveniente dalla chiesa cittadina dei Santi novese solo tre. Altra differenza rilevabile è la
fisso di Carpignago. Giacomo e Filippo, un’opera molto studiata spiccata valenza drammatica del Crocifisso di
È già stata evidenziata da Sanguineti e dalla dai pittori genovesi e da sempre esposta al Carpignago, espressa anche tramite la polima-
Franchini Guelfi l’attenzione degli scultori ligu- pubblico. Questo dipinto dall’intonazione cu- tericità; le copiose colature di sangue sul corpo
ri verso i modelli pittorici come per esempio il pa, manifesta nel cielo plumbeo sul quale si del Cristo sono rese utilizzando diversi espe-
Cristo di Federico Barocci del 1596 per la cap- staglia il Crocifisso, può essere stato visto e stu- dienti tecnici tra cui l’utilizzo di elementi me-
pella Senarega nella cattedrale di San Lorenzo a diato anche dal Bissoni. Infatti, anche se non è tallici (figg. 32-33). Questo dato non esclude
Genova, dove si ravvisa in particolare, oltre a vi- un Cristo spirante, vi è la stessa sensibilità l’attribuzione a Giovanni Battista Bissoni in
cinanze compositive, anche la medesima assen- chiaroscurale nel modellato anatomico del cor- quanto poteva essere una richiesta esplicita del-
za di drammaticità (39). Lo scultore sembra po e curiosamente le due opere condividono il la committenza come per esempio la scelta del-
inoltre essere avvertito del classicismo romano e dettaglio del cordone che regge il perizoma. l’iconografia del Crocifisso a quattro chiodi o
in particolare del Cristo bronzeo realizzato da I due Crocifissi, quello di Santa Maria Immaco- del Cristo vivo o spirante (40). Bissoni, nel

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1973, p. 60; Sanguineti, 2013 [cit. n. 31], p. 158.
Genova, San Luca. Palazzo Bianco.

29. Giovanni Battista Bissoni, Crocifisso. 32 - 33. Giovanni Battista Bissoni, Crocifisso,
Genova, San Bartolomeo degli Armeni. particolari. Carpignago di Giussago, chiesa
di San Giovanni Battista.
30. Giovanni Battista Bissoni, Crocifisso.
Albenga, Santa Maria in Fontibus.

Luca, della chiesa di San Bartolomeo degli Ar- Alessandro Algardi per il cardinale Giacomo lata a Genova e quello di Carpignago, si distin-
meni a Genova e quello della chiesa di Santa Franzone in San Carlo a Genova, da cui sem- guono tra loro solo per quanto riguarda l’ico-
Maria in Fontibus ad Albenga (figg. 28-30). bra attingere soprattutto la compostezza del nografia. Infatti entrambe le opere riprendono
Emerge la particolare attenzione alla mimesi volto. In questa sede propongo un confronto il modello del Cristo morto o spirante, ma è da
naturalistica che si coniuga in maniera più pa- anche con la Crocifissione di Paolo Veronese, segnalare che nel caso di Carpignago il Croci-
cata quasi classicheggiante nell’opera genove- oggi in Palazzo Bianco a Genova (fig. 31), ma fisso presenta quattro chiodi, mentre quello ge-
se, mentre è pregna di drammaticità nel Croci- proveniente dalla chiesa cittadina dei Santi novese solo tre. Altra differenza rilevabile è la
fisso di Carpignago. Giacomo e Filippo, un’opera molto studiata spiccata valenza drammatica del Crocifisso di
È già stata evidenziata da Sanguineti e dalla dai pittori genovesi e da sempre esposta al Carpignago, espressa anche tramite la polima-
Franchini Guelfi l’attenzione degli scultori ligu- pubblico. Questo dipinto dall’intonazione cu- tericità; le copiose colature di sangue sul corpo
ri verso i modelli pittorici come per esempio il pa, manifesta nel cielo plumbeo sul quale si del Cristo sono rese utilizzando diversi espe-
Cristo di Federico Barocci del 1596 per la cap- staglia il Crocifisso, può essere stato visto e stu- dienti tecnici tra cui l’utilizzo di elementi me-
pella Senarega nella cattedrale di San Lorenzo a diato anche dal Bissoni. Infatti, anche se non è tallici (figg. 32-33). Questo dato non esclude
Genova, dove si ravvisa in particolare, oltre a vi- un Cristo spirante, vi è la stessa sensibilità l’attribuzione a Giovanni Battista Bissoni in
cinanze compositive, anche la medesima assen- chiaroscurale nel modellato anatomico del cor- quanto poteva essere una richiesta esplicita del-
za di drammaticità (39). Lo scultore sembra po e curiosamente le due opere condividono il la committenza come per esempio la scelta del-
inoltre essere avvertito del classicismo romano e dettaglio del cordone che regge il perizoma. l’iconografia del Crocifisso a quattro chiodi o
in particolare del Cristo bronzeo realizzato da I due Crocifissi, quello di Santa Maria Immaco- del Cristo vivo o spirante (40). Bissoni, nel

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34. Tommaso Orsolino e Bernardo Orsati, 35. Francesco Maria Schiaffino, Madonna 37. Bernardo Orsati, Madonna Assunta. Pavia, (40) Ci si può anche interrogare su un eventuale restauro del rara della Vergine Assonta opera di Bernardo Orsati genovese». rimontato nel 1768 e forse in quella occasione fu sostituito
Crocifisso genovese al momento del passaggio dall’originale (42) Il problema scaturisce da una visita pastorale del 1682 do- provvisoriamente anche il riquadro centrale con un’immagine
altare del Suffragio, particolare. Pavia, Assunta. Varazze, Sant’Ambrogio. duomo, altare del Suffragio. collocazione all’attuale chiesa neorinascimentale sul finire del- ve si fa riferimento a un’icona «ex marmore», mentre in una dipinta. Il Bertolasio, fonte solitamente affidabile, riferisce che
duomo. l’Ottocento, mediante un intervento che possa aver portato a successiva ricognizione del 1743 si fa riferimento a un’icona nel 1773 fu collocato un nuovo rilievo marmoreo. La seconda
36. Francesco Maria Schiaffino, Madonna un’epurazione di tutti quei dettagli ritenuti ormai non conformi d’altare «picta». Le ipotesi che si muovono sono due: la prima ipotesi sembra la più verosimile se si tiene conto anche del da-
al gusto corrente. vuole che probabilmente il visitatore avesse confuso «picta» to stilistico dell’opera.
Regina di Genova. Genova, Palazzo Ducale. (41) Biblioteca Universitaria di Pavia, Ms. Tic. 323: «Nell’alta- con «ficta» e che quindi l’icona sia da ritenersi opera di Orsoli- (43) F. Franchini Guelfi, “Architetti de marmi” e “marmorari”, in
re del Suffraggio, quale è di marmi liscij d’ordine composito, si no (F. Gianani, Il Duomo di Pavia, Pavia 1965, pp. 70-73), op- La scultura a Genova, 1988 [cit. n. 2], p. 288.
reggono gli due bellissimi Angeli, che sostengono gli capitelli, pure, ipotesi a mio giudizio più probabile, che vi fosse un rilie- (44) A. Casati, Giuseppe Sala, un maestro della scultura lignea in
intagliati in legno da […] Sala pavese. Nel detto altare nell’an- vo che fu distrutto nel 1743 quando l’altare fu smontato, Lombardia tra Sei e Settecento, in “Arte Lombarda”, 170-171,
no 1773: in nichia quadra fu collocata la scultura marmo di Car- circostanza nella quale andò perduta anche la mensa. L’altare fu 2014/1-2, pp. 78-79.

34 35 quarto decennio del XVII secolo, realizzò an- 37


che l’Ecce homo per il monastero della Santis-
sima Annunciazione e Incarnazione, a San Ci-
priano di Serra Riccò (Genova), dove si
ritrova il medesimo gusto per la drammaticità
che insiste su particolari cruenti, probabil-
mente in ragione di specifici intenti devozio-
nali e contemplativi delle monache turchine.

PRESENZE LIGURI ALLA FINE DEL SETTECENTO:


BERNARDO ORSATI E L’ALTARE DEL SUFFRAGIO
NEL DUOMO DI PAVIA
In chiusura, come ultima tappa di questo com-
plesso intreccio di scambi, si può portare all’at-
tenzione un esempio del tardo XVIII secolo.
Infatti, è possibile verificare, rileggendo con
maggiore attenzione le fonti, che il rilievo cen-
trale rappresentante la Vergine Assunta del già
citato altare orsoliniano del Suffragio nel duo-
mo di Pavia sia stato realizzato nell’avanzato
Settecento, ancora una volta da un maestro ge-
novese (fig. 34). La bibliografia aveva riferito il
36
rilievo all’Orsolino, ma dal punto di vista stili-
stico esso si allontana assolutamente dall’opera
dell’intelvese. La figura della Vergine aggraziata
e affusolata è memore della produzione di
Francesco Maria Schiaffino, come indica il con-
fronto con l’Assunta della chiesa di Sant’Am-
brogio a Varazze e con la Madonna Regina di
Genova in palazzo Ducale (figg. 35-36). Il ca-
nonico Bertolasio, il quale scriveva nel 1791
(41), ricorda che il bassorilievo era stato collo-
cato in situ nel 1773 e realizzato dallo scultore
genovese Bernardo Orsati (42). Quest’ultimo la-
vorò nella seconda metà del secolo al fianco di
Bernardo Gaggini, originario di Bissone, in un mantenere per quanto era possibile una linea di ai consolidati modelli tardobarocchi, che trova-
consolidato rapporto di collaborazione (43). La continuità. L’opera, tuttavia, come già osserva- vano le loro origini nella grande stagione del ba-
necessità di completare l’opera lasciata incom- to, non cerca una mimesi stilistica con il conte- rocco romano, si affiancavano soluzioni che an-
piuta dall’Orsolino si era già manifestata quan- sto orsoliniano: la Madonna, leggera ed eterea, ticipavano la temperie culturale neoclassica. È
do alla fine del Seicento furono commissionate circondata da vivaci angeli, si staglia su una la- pertanto singolare che in questo contesto stori-
le due canefore, dando incarico al milanese stra di marmo bianco leggermente venato, ben co culturale a Pavia venisse chiamato un geno-
Francesco Sala che le realizzò in legno dipinto a lontano dal gusto per i fondi di alabastro del- vese a portare a termine un’opera di ambito li-
finto marmo (fig.19) (44). Nel caso dell’icona l’Orsolino. Per la Lombardia l’ottavo decennio gure a testimoniare nuovamente, forse per
d’altare, manomessa nel corso del Settecento, fu del Settecento segna una tappa significativa nel l’ultima volta, l’intensità e la persistenza dei rap-
chiamato un maestro genovese nel tentativo di panorama della produzione scultorea, quando porti di scambio tra le due aree.

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34. Tommaso Orsolino e Bernardo Orsati, 35. Francesco Maria Schiaffino, Madonna 37. Bernardo Orsati, Madonna Assunta. Pavia, (40) Ci si può anche interrogare su un eventuale restauro del rara della Vergine Assonta opera di Bernardo Orsati genovese». rimontato nel 1768 e forse in quella occasione fu sostituito
Crocifisso genovese al momento del passaggio dall’originale (42) Il problema scaturisce da una visita pastorale del 1682 do- provvisoriamente anche il riquadro centrale con un’immagine
altare del Suffragio, particolare. Pavia, Assunta. Varazze, Sant’Ambrogio. duomo, altare del Suffragio. collocazione all’attuale chiesa neorinascimentale sul finire del- ve si fa riferimento a un’icona «ex marmore», mentre in una dipinta. Il Bertolasio, fonte solitamente affidabile, riferisce che
duomo. l’Ottocento, mediante un intervento che possa aver portato a successiva ricognizione del 1743 si fa riferimento a un’icona nel 1773 fu collocato un nuovo rilievo marmoreo. La seconda
36. Francesco Maria Schiaffino, Madonna un’epurazione di tutti quei dettagli ritenuti ormai non conformi d’altare «picta». Le ipotesi che si muovono sono due: la prima ipotesi sembra la più verosimile se si tiene conto anche del da-
al gusto corrente. vuole che probabilmente il visitatore avesse confuso «picta» to stilistico dell’opera.
Regina di Genova. Genova, Palazzo Ducale. (41) Biblioteca Universitaria di Pavia, Ms. Tic. 323: «Nell’alta- con «ficta» e che quindi l’icona sia da ritenersi opera di Orsoli- (43) F. Franchini Guelfi, “Architetti de marmi” e “marmorari”, in
re del Suffraggio, quale è di marmi liscij d’ordine composito, si no (F. Gianani, Il Duomo di Pavia, Pavia 1965, pp. 70-73), op- La scultura a Genova, 1988 [cit. n. 2], p. 288.
reggono gli due bellissimi Angeli, che sostengono gli capitelli, pure, ipotesi a mio giudizio più probabile, che vi fosse un rilie- (44) A. Casati, Giuseppe Sala, un maestro della scultura lignea in
intagliati in legno da […] Sala pavese. Nel detto altare nell’an- vo che fu distrutto nel 1743 quando l’altare fu smontato, Lombardia tra Sei e Settecento, in “Arte Lombarda”, 170-171,
no 1773: in nichia quadra fu collocata la scultura marmo di Car- circostanza nella quale andò perduta anche la mensa. L’altare fu 2014/1-2, pp. 78-79.

34 35 quarto decennio del XVII secolo, realizzò an- 37


che l’Ecce homo per il monastero della Santis-
sima Annunciazione e Incarnazione, a San Ci-
priano di Serra Riccò (Genova), dove si
ritrova il medesimo gusto per la drammaticità
che insiste su particolari cruenti, probabil-
mente in ragione di specifici intenti devozio-
nali e contemplativi delle monache turchine.

PRESENZE LIGURI ALLA FINE DEL SETTECENTO:


BERNARDO ORSATI E L’ALTARE DEL SUFFRAGIO
NEL DUOMO DI PAVIA
In chiusura, come ultima tappa di questo com-
plesso intreccio di scambi, si può portare all’at-
tenzione un esempio del tardo XVIII secolo.
Infatti, è possibile verificare, rileggendo con
maggiore attenzione le fonti, che il rilievo cen-
trale rappresentante la Vergine Assunta del già
citato altare orsoliniano del Suffragio nel duo-
mo di Pavia sia stato realizzato nell’avanzato
Settecento, ancora una volta da un maestro ge-
novese (fig. 34). La bibliografia aveva riferito il
36
rilievo all’Orsolino, ma dal punto di vista stili-
stico esso si allontana assolutamente dall’opera
dell’intelvese. La figura della Vergine aggraziata
e affusolata è memore della produzione di
Francesco Maria Schiaffino, come indica il con-
fronto con l’Assunta della chiesa di Sant’Am-
brogio a Varazze e con la Madonna Regina di
Genova in palazzo Ducale (figg. 35-36). Il ca-
nonico Bertolasio, il quale scriveva nel 1791
(41), ricorda che il bassorilievo era stato collo-
cato in situ nel 1773 e realizzato dallo scultore
genovese Bernardo Orsati (42). Quest’ultimo la-
vorò nella seconda metà del secolo al fianco di
Bernardo Gaggini, originario di Bissone, in un mantenere per quanto era possibile una linea di ai consolidati modelli tardobarocchi, che trova-
consolidato rapporto di collaborazione (43). La continuità. L’opera, tuttavia, come già osserva- vano le loro origini nella grande stagione del ba-
necessità di completare l’opera lasciata incom- to, non cerca una mimesi stilistica con il conte- rocco romano, si affiancavano soluzioni che an-
piuta dall’Orsolino si era già manifestata quan- sto orsoliniano: la Madonna, leggera ed eterea, ticipavano la temperie culturale neoclassica. È
do alla fine del Seicento furono commissionate circondata da vivaci angeli, si staglia su una la- pertanto singolare che in questo contesto stori-
le due canefore, dando incarico al milanese stra di marmo bianco leggermente venato, ben co culturale a Pavia venisse chiamato un geno-
Francesco Sala che le realizzò in legno dipinto a lontano dal gusto per i fondi di alabastro del- vese a portare a termine un’opera di ambito li-
finto marmo (fig.19) (44). Nel caso dell’icona l’Orsolino. Per la Lombardia l’ottavo decennio gure a testimoniare nuovamente, forse per
d’altare, manomessa nel corso del Settecento, fu del Settecento segna una tappa significativa nel l’ultima volta, l’intensità e la persistenza dei rap-
chiamato un maestro genovese nel tentativo di panorama della produzione scultorea, quando porti di scambio tra le due aree.

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