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ZONA DI RILEVAZIONE
4. NAZIONALE :
5. REGIONALE :
6. PROVINCIALE : AREZZO
7. USL : N.8 AREZZO
8. ANNO RILEVAZIONE : 1996
9. NUMERO ADDETTI
9A. IMPIEGATI : 9236 uomini
9B. OPERAI :
12. REFERENTE
QUALIFICA :
NOME : STEFANO
COGNOME : BECCASTRINI
INDIRIZZO : VIA BARACCA, 9
CAP : 50127
CITTÀ : FIRENZE
PROVINCIA : FI
TELEFONO : 055/32061 - 055/3206357
FAX : 055/3206367
E-MAIL : g.banchi@arpat.toscana.it
NOTE:
1. GENERALITA’ SUL COMPARTO
La nostra indagine si riferisce alle aziende che effettuano la lavorazione dei metalli preziosi in
provincia di Arezzo.
Una stima dell’universo delle imprese riferita al primo semestre 1997, al netto delle imprese non
dichiaranti addetti alla camera di commercio, è riportata nella tabella seguente:
La natura distrettuale del polo produttivo aretino viene confermata anche sotto il profilo delle
relazioni interne. Infatti è minima la quota di decentramento produttivo al di fuori dell’area da parte
dei produttori dotati di marchio, mentre il 99,3% della produzione rimane nella provincia di Arezzo.
Data la complessità del ciclo produttivo e la specializzazione dei contoterzisti, sono relativamente
poche le aziende che svolgono l’intero ciclo.
Dalla rilevazione dell’andamento infortunistico nel comparto lavorazione dei metalli preziosi
effettuato dall’INAIL di Arezzo per le voci di tariffa 6251 e 6252 (lavorazione dell’argento e
dell’oro), si ricavano i seguenti dati:
Riportiamo un generico schema a blocchi delle lavorazioni nel comparto orafo. Data la complessità
e la varietà delle lavorazioni specifiche e delle relative combinazioni possibili nell’ordine di
esecuzione delle varie fasi, abbiamo ritenuto opportuno accorpare le lavorazioni nei seguenti cinque
grandi gruppi: Preparazione leghe, preparazione semilavorati, montaggio, finitura, operazioni
ausiliarie e di supporto. Ogni gruppo viene suddiviso in sottogruppi e questi a loro volta in fasi.
1. Preparazione leghe
Per prima cosa si deve preparare la lega di metallo prezioso con le caratteristiche desiderate
in forma di lingotto da poi avviare alla lavorazione. I lingotti possono avere forme diverse a
seconda degli utilizzi successivi. I metalli preziosi utilizzati per preparare la lega, possono
derivare dall’acquisto di materia prima oppure di recupero.
Il recupero dei metalli preziosi può avvenire da scarti di lavorazione oppure da prodotti di
varia natura (schede di circuiti elettronici, ecc...). La materia prima di recupero viene
sottoposta a trattamenti chimici di affinazione prima di essere sottoposta a trattamenti
metallurgici (fusione).
2. Preparazione semilavorati
Per ottenere il gioiello dal lingotto, sono necessari in genere vari passaggi che conducono a
prodotti intermedi chiamati semilavorati. Il lingotto, in forma di lastra o di filo, viene quindi
sottoposto a lavorazioni meccaniche (laminazione, trafilatura, tranciatura, taglio,
stampaggio, imbutitura, rovesciatura, produzione canna piena, produzione catene, ecc...) e/o
a lavorazioni chimiche / elettrochimiche (vuotatura, elettroformatura) e/o
chimicometallurgiche (saldatura catena, microfusione, ricottura detta anche tempra).
3. Montaggio
I semilavorati ottenuti possono poi essere assemblati tramite operazioni di saldatura a banco o
incastonatura.
4. Finitura
I trattamenti chimico fisici sono: lavaggio con detersivi, lavaggio con ultrasuoni, lavaggio
con solventi, lavaggi combinati (detersivi/ultrasuoni, solventi/ultrasuoni, ecc...), decapaggio
detto anche bianchimento o sbianca), brunitura, anticatura (per l’argento), smaltatura.
Per affinazione di metalli si intende in genere quella serie di operazioni che tendono a migliorare il
titolo dei singoli metalli. Nel caso delle leghe di metalli preziosi l’operazione di affinazione segue
differenti modalità a seconda del titolo in oro della lega. Di seguito consideriamo l’affinazione
secondo due diverse tecniche: mediante attacco con acqua regia e mediante rinquarto.
In un pallone da 10 litri possono essere introdotti fino a tre chilogrammi di oro puro. La reazione va
avanti tre ore circa. Metalli presenti: oro, argento, rame, zinco, cadmio, ecc... Si ha formazione di
ossidi di azoto e cloruri. Finita la reazione il tutto viene lasciato raffreddare una ora e mezza circa,
quindi il liquido viene filtrato sotto vuoto. Sul filtro rimane il cloruro di argento ed il rame cloruro.
Il liquido di filtrazione viene messo in un contenitore di PVC e, sotto cappa, viene effettuata la
precipitazione dell’oro tramite aggiunta di bisolfito.
L’aspirazione forzata sotto cappa è indispensabile per l’evacuazione della anidride solforosa che si
sviluppa durante l’operazione di riduzione del cloruro d’oro.
La soluzione contenente il solo rame cloruro viene sifonata, mentre la parte di liquido che rimane
in fondo al recipiente con l’oro precipitato viene filtrata sotto vuoto. Il liquido di filtrazione viene
riunito al resto della soluzione di rame cloruro precedentemente sifonata.
I fanghi di cloruro di argento rimasti sul filtro nell’operazione di cui si è parlato sopra vengono
sottoposti a cementazione. Nelle piccole e medie aziende orafe si procede manualmente: in un
recipiente (secchio della capacità di circa 10 litri) vengono posti i fanghi di cloruro di argento
insieme a dei pezzi di lamiera di ferro e circa 100 cc. di acido cloridrico. La preparazione di cui
sopra normalmente viene effettuata la sera alla fine dell’orario di lavoro ed il secchio viene lasciato
coperto fino alla mattina seguente. A questo punto la soluzione che ora è di cloruro ferrico insieme
ai fanghi di argento prodotti viene sottoposta a filtrazione (sempre sotto vuoto). Sul filtro rimane
l’argento mentre il cloruro ferrico in soluzione viene messo in una vasca di accumulo ed avviato
all’impianto di depurazione acque. Il trasferimento anche in questo caso viene effettuato per
sifonatura per non asportare l’argento che si deposita sul fondo. L’argento depositato che ha un
titolo intorno al 900 o/oo viene avviato alla fusione.
Torniamo alla operazione di precipitazione dell’oro con bisolfito. L’oro rimasto sul filtro viene
sottoposto a vari lavaggi con acqua calda prima e fredda poi e quindi, con un titolo di 999,9 o/oo
viene avviato alla fusione. Questo oro rientra nel ciclo di lavorazione insieme a quello acquistato
dall’esterno.
I principali fattori di rischio, oltre a quelli comuni relativi alla fusione descritti al paragrafo 3.3.3,
sono dovuti a:
1. Manipolazione di acidi: acqua regia, acido cloridrico, acido nitrico, durante le operazioni di
trasporto, travaso, dosaggio.
2. Esposizione a vapori di ossidi di azoto, sviluppati dall’attacco del rame tramite acido
nitrico.
3. Esposizione a vapori di anidride solforosa, durante la sotto - fase di precipitazione con
bisolfito. L’anidride solforosa ha un odore tipico di zolfo bruciato.
1. Il contatto con gli acidi cloridrico, nitrico e loro miscela, provoca irritazione della pelle
(dermatiti da contatto) e irritazione degli occhi (congiuntivite). Il caso di contatto
prolungato si possono verificare ustioni e necrosi dei tessuti.
2. La inalazione di vapori di acidi cloridrico, nitrico e loro miscela, provoca irritazione delle
prime vie aeree e dei bronchi.
3. L’esposizione a vapori di ossidi di azoto provoca irritazione delle congiuntive oculari e
dell’apparato respiratorio, fino a provocare, bronchite, bronchite cronica ed enfisema
polmonare.
4. La inalazione di vapori di anidride solforosa provoca irritazione dell’apparato
respiratorio, fino a provocare edema, nasofaringiti, alterazione del gusto e dell’odorato,
bronchite, bronchite cronica.
3.1.1.5.3 Per ridurre il rischio di contatto con gli acidi e per evitare
sversamenti è necessario utilizzare attrezzature idonee, in relazione
alle quantità utilizzate, per il travaso in sicurezza (contenitori, pompe,
montaliquidi, ecc...). Inoltre sono necessari D.P.I. (tute, guanti,
occhiali, scarpe, ecc.)
3.1.1.6 APPALTI A DITTE ESTERNE PER LA FASE "AFFINAZIONE CON ACQUA REGIA".
La fase è tipica di alcune aziende di medie e grandi dimensioni, pertanto le piccole aziende non
effettuano direttamente l’affinazione ma si avvalgono di ditte specializzate
• DPR 547/’55
• D.P.R. 303/’56
• D.Lgs. 626/’94
Il contributo delle emissioni di ossidi di azoto dovuti a questa fase lavorativa rispetto al
totale delle altre fonti di emissione, le quali sono costituite principalmente dal traffico
veicolare ed altri processi di combustione, è poco significativo e tale da non alterare la
qualità dell’aria se non localmente nel caso di inefficienza dell’impianto di abbattimento. In
tal caso il danno derivante da un episodio incidentale di inquinamento da ossidi di azoto è
individuabile in effetti nocivi di tipo acuto e reversibile sulla popolazione esposta. Dato che
gli effetti irritanti di questo inquinante sono subito percepibili e di inoltre per il fatto che le
quantità in gioco sono modeste, non si hanno generalmente esposizioni prolungate tali da
causare effetti irreversibili sulla popolazione circostante. Queste considerazioni valgono
anche per le emissioni di ossidi di azoto derivanti dalla fase di vuotatura della canna piena
con rame mediante acido nitrico e per la fase di rinquarto (si veda i relativi paragrafi).
L’impatto derivante dalle emissioni di acido cloridrico è meno significativo rispetto alle
emissioni di ossidi di azoto dato che gli impianti di abbattimento per l’acido cloridrico
hanno una efficienza più elevata. La soglia olfattiva dell’acido cloridrico è inferiore rispetto
all’anidride solforosa e superiore rispetto agli ossido di azoto. In caso di evento accidentale
per malfunzionamento dell’impianto di abbattimento valgono le stesse considerazioni del
punto precedente.
L’operazione di rinquarto interessa il vergato con titolo inferiore a 700 o/oo. Tale limite che porta
alla scelta di eseguire l’operazione dell’acqua regia o del rinquarto è legato fondamentalmente
all’argento che, se supera un certo titolo (in pratica 140 g/Kg) crea problemi durante l’operazione di
attacco con acqua regia. Questo perché l’argento ricopre le grane con una pellicola di argento
cloruro che impedisce la prosecuzione dell’attacco. Le grane sono piccoli granelli di forma rotondeggiante, in
cui il metallo viene ridotto per aumentare la superficie di attacco chimico.
Quando il titolo è inferiore a 700 o/oo si procede con un attacco di acido nitrico. Però per effettuare
questa operazione è opportuno che il titolo sia notevolmente inferiore al limite di 700 o/oo. In pratica
normalmente il titolo viene portato a 270 o/oo.
Per fare un esempio concreto se abbiamo una verga d’oro con titolo 500 o/oo che pesa 6 Kg e quindi contenente 3 Kg. di
oro fino, deve essere portata ad un peso complessivo di 11 Kg, perciò si deve aggiungere 5 Kg. di argento. Il motivo è
legato al fatto che più alta è la quantità di argento presente, migliore è l’attacco con acido nitrico.
La carica viene sottoposta a fusione in crogiolo (di solito a GPL o metano) poi colata nella vasca
d’acqua fredda in movimento di cui si è parlato al precedente paragrafo 3.1.2. In questa operazione
si formano le scaglie che vengono messe in un recipiente di acciaio inox detto cassola e trattate,
sotto cappa aspirata, con acido nitrico a 36 Bé (Baume’).
Per gli 11 Kg. di lega che abbiamo ipotizzato occorrono circa 20 litri di acido.
La soluzione viene riscaldata e la reazione va avanti 3 ore circa. Disciolta tutta la lega si ha oro
metallo precipitato oltre a nitrato di argento e rame.
La soluzione di nitrati viene messa in una vasca di accumulo nella quale vengono anche immerse
delle barre di rame. Il rame sposta l’argento dalla soluzione e lo fa precipitare sotto forma di argento
metallico. La soluzione di rame viene sifonata e va alla depurazione. L’argento viene filtrato, lavato
e fuso.
L’oro viene posto in una capsula di quarzo dove viene aggiunto acido solforico. L’acido toglie le
ultime tracce di argento portandolo in soluzione. La soluzione di solfato di argento va nella stessa
vasca del cloruro di ferro che di per sé contiene già un po’ di acido cloridrico, ma ne viene aggiunto
ancora. L’acido cloridrico sposta l’argento dal solfato formando cloruro di argento. Il cloruro di
argento precipita.
3.1.2.2.3 Pallone
3.1.2.2.4 Capsula di quarzo
1. Il contatto con gli acidi nitrico, cloridrico e solforico, provoca irritazione della pelle
(dermatiti da contatto) e irritazione degli occhi (congiuntivite). Il caso di contatto
prolungato si possono verificare ustioni.
2. La inalazione di vapori di acidi cloridrico, nitrico e solforico, provoca irritazione delle
prime vie aeree e dei bronchi
3.1.2.5.2 Per ridurre il rischio di contatto con gli acidi e per evitare
sversamenti è necessario utilizzare attrezzature idonee, in relazione
alle quantità utilizzate, per il travaso in sicurezza (contenitori, pompe,
montaliquidi, ecc...). Inoltre sono necessari D.P.I. (tute, guanti,
occhiali, scarpe, ecc.).
La fase è tipica di alcune aziende di medie e grandi dimensioni, pertanto le piccole aziende non
effettuano direttamente l’affinazione ma si avvalgono di ditte specializzate.
• D.P.R. 547/55
• D.P.R. 303/56
• D.Lgs. 626/94
1. Immissione in atmosfera di vapori acidi: I vapori acidi captati dalla cappa aspirante
vengono inviati ad una torre di abbattimento ad umido con soda. Valgono le stesse
considerazioni fatte per l’affinazione con acqua regia.
2. Immissione nelle acque di cloruro di rame: Le soluzioni di cloruro di rame proveniente
dalla operazione di precipitazione dell’oro, devono essere avviate all’impianto di
depurazione delle acque.
3. Immissione nelle acque di soluzioni di rame: Le soluzioni di rame provenienti dal
rinquarto devono essere avviate all’impianto di depurazione delle acque.
4. Immissione nelle acque di soluzioni alcaline: Le soluzioni alcaline che provengono
dall’impianto dalle torri di abbattimento ad umido devono essere inviate all’impianto di
depurazione delle acque.
La saggiatura è una operazione del ciclo lavorativo orafo che consiste nel valutare il contenuto in
metallo prezioso nella lastra di lega, da scarti di metallo della lavorazione stessa, o nelle ceneri
provenienti dalla combustione dei materiali di consumo.
Le varie fasi della saggiatura consistono, nel caso di verifica della quantità di metallo prezioso
contenuto in una lastra di lega, nelle operazioni di seguito descritte.
Si inizia con il prelievo di una piccola quantità di metallo, in genere un truciolo prelevato tramite un
trapano a colonna. Il materiale di prelievo viene quindi posto su un foglietto di piombo del peso di 5
grammi sul quale viene aggiunta anche una quantità nota di argento in modo da ridurre il rapporto
oro/argento contenuto nella lastra da 1/3 a 1/4 (rinquarto). Il foglietto di piombo viene quindi
accartocciato e introdotto in una coppella (piccolo contenitore di magnesite e fosfato di calcio). Le
coppelle vengono poste in una muffola (contenitore a forma di tunnel riscaldato mediante
resistenze elettriche) ad una temperatura di circa 1100 °C. La fusione del piombo determina la
produzione di ossido di piombo, che ingloba i metalli vili (rame, cadmio, zinco ecc. ..) contenuti
nella lega facendo emergere un "bottone" brillante (oro + argento). Tale bottone, dopo essere stato
opportunamente ripulito dalle scorie, è successivamente ricotto e trasformato in una fine lamina,
quest’ultima viene attorcigliata ed introdotta in uno spartitore (matraccio o vaschette), fatta bollire
per 10 minuti in acido nitrico prima a 22 Bé e poi a 32 Bé. Si ottiene il solo oro che è ricotto a 800
°C per eliminare l’umidità residua. Il materiale ottenuto è quindi raffreddato e pesato.
Dal rapporto in peso tra l’oro trovato e il peso del campione di partenza, si determina il titolo in
millesimi.
La saggiatura si applica anche per l’analisi delle ceneri che costituiscono il prodotto di combustione
di materiali che, per qualunque motivo, possono contenere metalli preziosi e che pertanto vengono
affidati a ditte specializzate per effettuare il recupero dei metalli preziosi presenti.
1. Trapano a colonna.
2. Bilance analitiche.
3. Forno a muffola.
4. Spartitore: E’ un reattore in vetro (matracci o vaschette) posto sotto riscaldamento.
1. Per ridurre l’esposizione ai fumi e polveri di ossidi di piombo durante la fase di fusione nel
forno a muffola, è necessario un impianto di aspirazione localizzata alla bocca del forno
stesso.
2. Per ridurre l’esposizione a vapori di ossidi di azoto durante la fase di spartimento (attacco
con acido nitrico), è necessario operare sotto cappa aspirante.
3. Per ridurre il rischio di contatto con gli acidi e per evitare sversamenti è necessario utilizzare
attrezzature idonee, in relazione alle quantità utilizzate, per il travaso in sicurezza
(contenitori, pompe, montaliquidi, ecc...). Inoltre sono necessari D.P.I. (tute, guanti,
occhiali, scarpe, ecc.)
2. Per il rischio di infortuni al trapano a colonna è necessario che il coperchio degli organi di
trasmissione del moto sia dotato di dispositivo di blocco, il pezzo deve essere assicurato al
piano di lavoro tramite un apposito fermapezzo, la zona di lavoro deve essere protetta
tramite schermo trasparente.
Questa fase è presente solo in alcune aziende, quindi la maggior parte delle aziende ricorrono a ditte
specializzate esterne.
7.
8. RIFERIMENTI NORMATIVI PER LA FASE "SAGGIATURA".
• D.P.R. 547/’55
• D.P.R. 303/’56 (Art. 20 e 21)
• D.Lgs. 277/’91 per il piombo.
I fumi, polveri e vapori aspirati in questa fase, pur trattandosi di emissioni poco significative,
vengono generalmente inviati all’impianto di abbattimento ad umido con soda. Le soluzioni alcaline
che provengono dall’impianto dalle torri di abbattimento ad umido devono essere inviate
all’impianto di depurazione delle acque.
1. FASE DI LAVORAZIONE : FUSIONE
2. COD.INAIL :
3. FATTORE DI RISCHIO : Rischi per la salute e igienico ambientali:
esposizione a fumi e vapori (metalli, prodotti di
combustione, scorificanti, fondenti, distaccanti);
esposizione a rumore;
esposizione a microclima sfavorevole;
esposizione a campi elettromagnetici;
Rischi per la sicurezza:
carenza di sicurezza su macchine (lavoro in prossimità
di organi meccanici in movimento);
lavoro in prossimità di superfici ad elevata
temperatura;
lavoro in prossimità di fiamme libere;
manipolazione di sostanze pericolose (sostanze acide e
caustiche).
Rischi trasversali o organizzativi:
movimentazione manuale dei carichi.
4. CODICE DI RISCHIO :
5. N.ADDETTI :
L’operazione di fusione viene effettuata con vari fini. In generale si può dire che tale operazione ha
lo scopo di preparare leghe di più metalli ai vari titoli desiderati e dare al prodotto di fusione la
foggia desiderata. La forma può andare dalle scaglie per i successivi attacchi acidi dei reparti di
microfusione e rinquarto, ai "lingotti filo" o "lingotti lastra" che, come vedremo più avanti,
vengono avviati alla preparazione dei semilavorati.
La fusione avviene in crogioli riscaldati secondo due sistemi principali: quello a fiamma
(combustione di GPL o metano) e quello elettrico (forni a induzione).
I forni a GPL presentano problemi di elevata rumorosità, principalmente alle basse frequenze e,
come quelli a induzione, problemi di fumi o meglio vapori metallici.
Le materie prime impiegate, oltre i metalli in produzione, sono di varia natura e ciascuna con un
preciso fine tecnologico. Come fondenti e scorificatori vengono utilizzati principalmente: acido
borico, borace, soda caustica e salnitro.
La fusione viene impiegata anche per preparare leghe di saldatura per ricavarne le bacchette per
saldare. Tali leghe sono costituite principalmente da oro, argento, rame, nichel, zinco e indio. In
particolare nelle fusioni delle leghe per filo/lastre di materiali d’apporto per saldatura viene
aggiunto l’indio come metallo basso bollente in percentuali del 5-10% o anche superiori. Una volta
veniva utilizzato anche il cadmio, oggi sostituto con l’indio perché meno pericoloso.
Una volta fuso, il metallo viene colato in staffe o lingottiere precedentemente trattate con
distaccanti (oli minerali, grafite) o con fosfato di calcio (fosfatazione staffe), al fine di consentire il
facile distacco dalla staffa dopo la colata del metallo che forma il lingotto.
1. Esposizione a fumi metallici (oro, argento, nichel, cadmio, indio, zinco, rame, ecc...). Dal
punto di vista tossicologico il metallo più pericoloso è il cadmio pertanto nell’ultimo
decennio è stato prevalentemente sostituito l’indio. Il cadmio e lo zinco hanno una
temperatura di fusione sensibilmente inferiore a quella degli altri metalli, e a volte questo
può essere causa di fumate di vapori metallici se introdotto nel crogiolo quando gli altri
metalli sono già fusi.
2. Esposizione a rumore derivante dai bruciatori dei forni.
3. Esposizione a fumi o vapori da scorificanti, fondenti e distaccanti (acido borico, borace,
soda caustica, salnitro).
4. Esposizione ai fumi di combustione dell’alimentazione dei forni a GPL o metano.
5. Esposizione a microclima sfavorevole (caldo), conseguente al calore radiante proveniente
dalle numerose sorgenti.
6. Esposizione a campi elettromagnetici, dovuti ai forni induzione
7. Manipolazione di materiali da alta temperatura, dovuto alla possibile proiezione di
metallo fuso durante la colata, oppure caduta o rottura dei crogioli durante l’estrazione
manuale degli stessi dai forni.
8. Lavoro in prossimità di superfici ad elevata temperatura, costituite da forni, condutture,
ecc…
9. Lavoro in prossimità di fiamme libere, costituite dalla fiamma di riscaldamento del
crogiolo.
10. Movimentazione manuale dei carichi, costituiti da crogioli, staffe, lingottiere, lingotti,
verghe.
3.3.5.5 Per ridurre il rischio di ustioni è necessario che le parti più calde dei
forni vengano rivestite con materiale termoisolante oppure segregate. Inoltre
devono essere a disposizione degli addetti pinze per la presa degli oggetti
caldi. E’ necessario indossare dispositivi di protezione individuale quali
guanti, grembiuli in cuoio e visiere, scarpe / gambali di protezione.
• D.P.R. 303/’56
• D.Lgs. 277/’91
• D.Lgs. 626/’94
Per quanto riguarda i limiti di esposizione ai fumi metallici riportiamo i valori ACGIH 1995:
Per il fatto che i processi fusori sono progettati in modo da ridurre l’emissione di fumi metallici
dato che sono costituiti dai metalli preziosi, l’impatto esterno in questa fase è poco significativo
anche se gli impianti sono soggetti ad autorizzazione per le emissioni.
LINGOTTI
3.4.1 DESCRIZIONE DELLA FASE DI LAVORAZIONE
Nella precedente operazione di fusione si è visto come si arrivi ad ottenere un lingotto che a
seconda dell’utilizzo successivo viene foggiato in maniera diversa e denominato "lingotto a lastra"
o "lingotto a filo". La fase di laminazione serve a deformare plasticamente il metallo al fine di
ottenere una riduzione di spessore delle lastre o dei fili.
Il "lingotto lastra" ha uno spessore che in genere va dai 15 ai 20 mm; tale spessore viene ridotto nel
laminatoio sbozzatore fino ad un valore che varia da 1,0 a 3,0 mm, a seconda degli impieghi
successivi. Per le fedi o simili lo spessore necessario va da 1,5 a 3,0 mm e quindi la lamina sbozzata
viene solo tagliata con una taglierina dopo essere stata ricotta. Per spessori inferiori la lamina viene
ricotta e poi passata nel laminatoio finitore che la porta a spessori dell’ordine di 0,15 - 1,0 mm.
Una volta laminata allo spessore desiderato la lastra deve essere rifilata ad una larghezza tale da
poter entrare nella trancia per poi ottenere gli oggetti o semilavorati desiderati. Per questa
operazione di rifilatura vengono utilizzate macchine denominate cesoie circolari o taglierine.
La ricottura consiste nell’introduzione della lastra nel forno, denominato appunto forno di ricottura
o anche forno a disossido dato che la ricottura avviene in ambiente riducente (disossidazione).
Nel caso di lastre della larghezza di 10 cm e lunghe un paio di metri, il tempo di permanenza nel
forno si aggira tra i 10 e i 15 minuti. Al fine di evitare l’ossidazione del rame presente nella lega,
l’ingresso dell’aria nel forno viene impedito tramite una fiamma a GPL posta davanti
all’imboccatura di entrata, mentre l’uscita è protetta grazie ad una chiusura idraulica. A fine
ricottura la lamina viene fatta cadere in una vasca di acqua fredda ai fini della tempra.
Il lingotto filo può avere varie dimensioni e forme: in genere comunque è a sezione quadrata e
lunghezza variabile. Con vari successivi passaggi di laminazione si riduce la sezione (sempre
quadrata) alle dimensioni volute, dopo di che si va al forno di ricottura e quindi si passa alla
trafilatura.
3.4.2.1 Laminatoi
I laminatoi sono costituiti da due cilindri scanalati sorretti da una robusta incastellatura i quali,
ruotando in sensi opposti, trascinano il filo o la lastra da laminare premendola tra di essi. Si tratta di
macchine non veloci ma potenti. I laminatoi possono essere di diversi tipi: laminatoio sbozzatore
lastra, laminatoio finitore lastra, laminatoio filo, treno di laminazione.
Le cesoie possono essere singole o multiple. La cesoia singola taglia una striscia per volta, mentre
con la cesoia multipla si ottengono più strisce della stessa larghezza in una sola passata.
All’avvio della macchina viene flussata la camera con azoto dato che durante l’interruzione del
lavoro notturno questa si è saturata di aria e quindi di ossigeno.
LINGOTTI"
A
A
In generale per tutti i tipi di laminatoi esiste il rischio di presa e trascinamento delle mani
tra i cilindri lavoratori contrapposti e tra gli ingranaggi di trasmissione del moto.
3.4.3.1.2 Nelle cesoie circolari singole il nastro deve essere guidato a mano, a differenza
delle cesoie circolari multiple le quali sono protette da un dispositivo guida - lastra; pertanto
il lavoro alle cesoie circolari singole comporta il rischio di infortunio per la mano che preme
sul nastro (Fig. Y-a).
3.4.3.2 Esposizione a microclima sfavorevole, dovuto alla presenza dei forni di ricottura
che generano calore radiante.
LINGOTTI"
1. Il danno atteso ai laminatoi è costituito dallo schiacciamento delle mani, con conseguenti
ferite, fratture e amputazioni.
2. Il lavoro in ambienti con microclima sfavorevole per l’elevata temperatura ambientale può
portare a disidratazione, crampi, vertigini, nausea, collasso.
3. La manipolazione di pezzi o superfici ad elevata temperatura può causare ustioni.
4. La manipolazione di materiali taglienti può provocare ferite da taglio alle mani.
5. Il rumore prodotto in questa fase causa disturbo.
6. L’esposizione a gas di combustione può provocare irritazione dell’apparato respiratorio.
7. I vapori di ammoniaca sono fortemente irritanti per gli occhi e le prime vie respiratorie.
8. Il contatto con oli lubrificanti può provocare irritazione della pelle (dermatiti da contatto).
9. Il lavoro alle macchine in posizioni fisse può essere causa di disturbi muscolo-scheletrici.
10. Il pavimento scivoloso può essere causa di infortuni per cadute.
• DPR 547/’55
• DPR 303/’56
• D.Lgs. 277/’91
• D.Lgs. 626/’94
8. IMPATTO ESTERNO PER LA FASE "LAMINAZIONE E PRIME LAVORAZIONI DEI
LINGOTTI"
L’impatto principale sull’ambiente esterno in questa fase è costituito dal rumore e dalle vibrazioni
prodotte dalle macchine per laminazione. Questo è un problema solo in caso di unità produttive
strutturalmente collegate con altri insediamenti civili.
Tutte le macchine in movimento lubrificate con oli emulsionabili, danno come rifiuto oli
emulsionabili esausti i quali, primi di essere inviati al recupero tramite ditte specializzate, devono
essere stoccati in modo idoneo cioè in contenitori in acciaio inox o plastica dura, con vasche di
contenimento per evitare gli sversamenti durante i travasi.
Considerando la ricottura come una fase comune alle linee di lavorazione della lastra e del filo,
vediamo ora dopo tale operazione alcune delle lavorazioni per le due linee di lavorazione.
Dopo la ricottura la lastra viene tranciata tramite presse eccentriche o oleodinamiche. Dopo la
tranciatura si hanno altre operazioni di stampaggio: nel caso delle fedine queste operazioni sono
la imbutitura, la rovesciatura, ecc... .
Proseguendo nella linea di lavorazione delle fedine, queste vengono allargate in una macchina
chiamata laminatoio per fedi. Le fedine vengono poi punzonate con marchio e titolo e quindi
portate a misura con apposita macchinetta allargatrice. Vengono poi attestate in un piccolo tornio
bloccandole sul mandrino con apposito utensile. Viene usato un olio emulsionabile per lubrificare il
mandrino; dopo l’attestatura si passa alla diamantatura che serve per eseguire un disegno sulla
superficie esterna del pezzo (in genere fedine), tramite un utensile ruotante ad alta velocità e dotato
di punta di diamante. Il lavoro di diamantatura è alquanto specializzato pertanto gli addetti, di
norma, non ruotano in più mansioni ma fanno spesso solo i diamantatori. Una operazione simile alla
diamantatura è la satinatura che differisce in pratica per il fatto che l’utensile non è diamantato ma
è costituito da acciaio al vidia. La satinatura spesso precede la diamantatura.
Dopo la ricottura il filo viene avviato alla trafilatura che lo rende di sezione rotonda con
dimensioni fino a 0,15 mm di diametro. Il filo viene principalmente utilizzato per la produzione di
catene tramite specifiche macchine da catena.
Le maglie della catena ottenuta con tali macchine devono poi essere saldate, quindi la catena viene
prima sottoposta a sgrassatura mediante un bagno di trielina, viene poi passata in una soluzione di
trielina e olio di ricino e quindi impastata nella polvere saldante. La polvere saldante contiene
zinco, rame, acido borico e fosforo, ma la composizione può variare.
La catena viene quindi sottoposta a "spogliatura" immergendola in polvere di talco per togliere
tutta la polvere saldante superflua; infatti deve restare polvere saldante solo tra le due facce
dell’anello da saldare. La spogliatura avviene in due fasi successive: la prima è effettuata
manualmente dentro un contenitore di talco, nel quale si ripulisce la matassa di catena; la seconda
fase è automatica e prevede il passaggio in continuo della catena in una vaschetta dove il talco
contenuto viene mantenuto in agitazione.
Dopo la saldatura la catena passa alla diamantatura che in questo caso può essere del tipo
cosiddetto "a ghiaccio" o "a secco".
Al fine di produrre oggetti in metalli preziosi ma meno pesanti e quindi di minor costo viene
utilizzata la cosiddetta "canna vuota". Le difficoltà di lavorazione meccanica che presenterebbe una
"canna" o tubicino di metallo prezioso vuoto all’interno e di limitato spessore hanno indotto i
produttori a ricorrere ad un passaggio intermedio: la preparazione della canna piena. Si tratta di un
tubicino di metallo prezioso (oro o argento) contenente una anima di metallo non pregiato (rame,
ferro o alluminio). In genere l’anima è di rame per leghe d’oro ad alto titolo, è di ferro per leghe a
basso titolo ed è di alluminio per l’argento. La canna piena viene realizzata in genere tramite
placcatura oppure trafilatura:
3.5.1.3.1 PLACCATURA: Una lastra di oro viene sovrapposta ad una lastra di "TOMBAC" (una lega a
base di rame) dopo aver accuratamente pulito le superfici che andranno a contatto. Le due lastre
sovrapposte, inserite fra altre due lastre di ferro con funzioni di supporto, vengono introdotte in
forno a 830 °C e mantenute in tali condizioni per un periodo di due ore e mezza circa, quindi
inserite sotto una pressa e sottoposte ad una pressione di 180 - 200 Kg./cm2. Sulle lastre di ferro che
andranno a contatto rispettivamente con TOMBAC e oro vengono prodotti distaccanti. La lastra
bimetallica viene poi laminata dello spessore voluto, quindi tagliata in strisce. Le strisce vengono
poi portate a forma cilindrica in appositi tiratoi lasciando la lega di rame all’interno della canna.
3.5.1.3.2 TRAFILATURA: Un altro procedimento per produrre la canna piena (ancora di oro e rame) è
il seguente. Una lamina d’oro, tagliata in strisce, viene chiusa fino ad avere forma cilindrica. La
generatrice di contatto del cilindro viene saldata (con saldatrice ad arco in gas inerte: argon). Quindi
dentro la canna viene introdotto un tubicino di rame di diametro leggermente inferiore e poi i due
tubetti concentrici vengono trafilati al tiratoio fino al diametro voluto, e comunque fino a far sì che i
due tubi siano a contatto forzato. Questo stesso metodo viene impiegato anche nella preparazione
della canna piena con anima di alluminio e ferro. Nel caso dell’anima di alluminio la canna è di
argento. L’anima di ferro viene invece impiegata per riempire canne d’oro quando la lega è a basso
titolo di oro. Infatti in questo caso l’acido nitrico (che come vedremo serve per la "vuotatura" della
canna con anima di rame) attaccherebbe in modo massiccio anche il rame della lega d’oro. Allora
viene utilizzata una anima in ferro e come mezzo di attacco l’acido cloridrico che non riesce ad
aggredire il rame della lega d’oro.
Presse e trance servono per deformare e tranciare a freddo i materiali. La differenza fondamentale
tra i due tipi di macchine è determinata dall’organo lavoratore che è costituito dal pressore o mazza
nelle presse, e da punzone o utensile nelle trance.
Queste macchine sono oleodinamiche o meccaniche ad eccentrico. Le prime sono più lente e
servono solo per stampare. Le seconde sono più veloci e più rumorose e possono svolgere entrambe
le funzioni di stampaggio e tranciatura.
Particolari presse vengono utilizzate per la battitura della catena. Si tratta di piccole presse,
normalmente autoprotette a causa della brevità della corsa, la cui frequenza del colpo è elevata
Altre particolari presse oleodinamiche (presse per placcato) vengono utilizzate per l’accoppiamento
della lastra d’oro con quella di rame ottenuta per l’azione combinata di temperatura elevata e
altissima pressione.
La trafila a banco riduce alle dimensioni volute nastri, tubi o tondini pieni. Può essere dotata di un
doppio sistema di tenaglie per l’eventuale estrazione dell’anima in ferro o rame.
Le trafile multiple sono macchine in cui il filo viene ridotto alla dimensione voluta tramite passaggi
successivi attraverso utensili chiamati filiere o trafile (dischetti di metallo con un foro centrale) di
diametro decrescente.
Si tratta di seghe a disco di piccole dimensioni per il taglio di piccoli particolari di metallo prezioso.
Servono per formare una catena a maglie partendo da un filo di vari diametri. Sono macchine
automatiche che non richiedono la presenza fissa dell’operatore. Ne esistono molti modelli diversi.
Vengono utilizzati per saldare le catene. Si tratta di forni in atmosfera riducente dello stesso tipo dei
forni di ricottura già descritti nella fase precedente.
Le diamantatrici a secco vengono utilizzate per eseguire disegni, smussature e decorazioni sul
pezzo (fedine), tramite asportazione di truciolo per mezzo di un utensile rotante ad alta velocità
dotato di punta di diamante. Quando l’utensile è invece di acciaio al vidia si parla di satinatura.
Le diamantatrici a ghiaccio eseguono la lucidatura della catena tramite un utensile diamantato con
il seguente procedimento: si avvolge la catena su un cilindro rotante cavo, al cui interno viene fatta
circolare una miscela frigorifera che ne porta la superficie esterna a temperature di circa -20 / -25
°C; una volta posizionata la catena sulla superficie del cilindro, viene spruzzata con acqua che,
congelandosi, fissa sul tamburo del cilindro la catena stessa. Il cilindro viene quindi posto in
rotazione e si procede alla lucidatura della superficie esposta della catena tramite l’utensile di
diamante. La catena viene quindi girata di 90° e si procede alla "diamantatura" del secondo lato, e
così via fino a che tutti i quattro lati, cioè le superfici laterali della catena, non sono stati lucidati.
1. Esposizione a rumore, nella tranciatura con presse eccentriche. Alcune macchine da catena
sono molto rumorose.
2. Esposizione a vapori di tricloroetilene (trielina), durante la fase di sgrassatura con
solventi.
3. Esposizione a fumi di saldatura, generati durante la saldatura nelle profilatrici-saldatrici e
nei forni di saldatura.
4. Esposizione e manipolazione di polvere saldante. Ultimamente è quasi stato abolito l’uso
di fosforo nella polvere saldante ed inoltre tende a non venire più utilizzata in quanto si sta
affermando la saldatura a laser (classe 4).
5. Esposizione e manipolazione di polvere di talco (inerti e silicotigeni).
6. Esposizione a radiazioni visibili, ultraviolette e infrarosse, generate durante la saldatura
alle profilatrici-saldatrici.
7. Esposizione a microclima sfavorevole (caldo), dovuta alla presenza dei forni di ricottura-
saldatura presentano problemi di calore radiante.
8. Manipolazione di materiali ad elevata temperatura, costituiti dal profilato in uscita dalle
profilatrici-saldatrici e dalle catena in uscita dai forni di saldatura.
1. Per il rischio di infortuni alle presse è necessario installare comandi a doppio pulsante e
dispositivi di sicurezza a scelta tra:
• barriere fotoelettriche.
• schermo trasparente fisso su tutti i lati che consenta il passaggio del materiale in lavorazione
ma non delle mani. Lo schermo se è mobile deve essere dotato di dispositivo di blocco.
• alette scansa mani: si tratta di due alette mobili comandate da un dispositivo pneumatico che
impediscono alle mani di avvicinarsi allo stampo da quando l’albero della pressa inizia la
sua discesa fino a che esso non è tornato in posizione di riposo al punto morto superiore.
Questa soluzione è oggi meno utilizzata.
Inoltre le parti mobili devono essere chiuse entro carter e le presse con innesto meccanico
devono essere dotate di dispositivo antiripetitore del colpo.
3.5.6 APPALTI A DITTE ESTERNE NELLA FASE "LAVORAZIONE DEI LINGOTTI (dopo la
ricottura)"
• DPR 547/’55
• DPR 303/’56
• D.Lgs. 277/’91
• D.Lgs. 626/’94
La canna piena non è altro che una lamina bimetallica, molto lunga e stretta, arrotolata fino a
formare un lungo cilindretto in cui il metallo pregiato viene a trovarsi all’esterno. L’inserimento
dell’anima ha il principale scopo di evitare problemi di natura meccanica durante la lavorazione.
Descriviamo di seguito una tipica operazione di vuotatura della canna con acido nitrico. In un
recipiente di acciaio inox viene posta dapprima circa 12-15 litri di una soluzione di acido nitrico (30
Bé) al 50%; il recipiente è posto all’interno di una cabina aspirata e viene riscaldato con una
fiamma a GPL. La soluzione acida viene portata fino ad una temperatura di circa 80-90 °C. Nella
soluzione viene calato un cestello, anch’esso in acciaio inox, contenente la catena d’oro già
realizzata e avente all’interno l’anima di rame. Da notare che il cestello non viene immerso quando
la soluzione è al massimo della temperatura per evitare che la reazione di attacco dell’acido sul
rame sia troppo violenta. A volte il cestello viene immerso quando la soluzione acida è ancora
fredda.
L’attacco sul rame prosegue per una - due ore, a seconda della quantità di metallo da asportare, del
tipo di catena e del livello di esaurimento della soluzione acida.
Una volta terminata la reazione il cestello viene estratto ed il suo contenuto risciacquato. Quindi le
mazzette di catene vengono immerse in un altro recipiente, anche questo di acciaio inox contenente
acido nitrico a 36 Bé, in soluzione acquosa all’80-90 % di acido. Questa operazione viene effettuata
per verificare che tutto il rame sia stato asportato dall’interno della catena. Anche in questo caso si
procede sotto cappa aspirante e con soluzione in temperatura.
In questo caso l’anima della catena è in ferro anziché in rame ed i recipienti contenitori, così come
il cestello, sono in PVC.
Per l’attacco dell’anima di ferro viene utilizzato acido cloridrico a 12-19 Bè.
La vuotatura con soda caustica viene utilizzata soprattutto per catene e orecchini in argento.
L’anima è costituita da alluminio. Il materiale viene immerso in una soluzione di NaOH con
concentrazioni comprese tra il 12 e il 15%. Il bagno viene portato sui 60°C e la durata
dell’immersione va dalle 8 alle 12 ore a seconda della quantità di alluminio da asportare.
In questi impianti viene utilizzato acido nitrico diluito a 12 Bè per la dissoluzione dell’anima di
rame o di ottone al fine di ottenere la canna vuota. La temperatura di esercizio è di 50 °C per gli
articoli in lega da 14 carati e all’ebollizione per leghe a 18 carati. Durante l’attacco si producono
notevoli quantità di ossidi di azoto (NOx) che vengono convogliati in un impianto di abbattimento
ad umido con soluzione di lavaggio alcalina (aspirazione primaria). L’impiego di una cappa di
aspirazione (aspirazione secondaria) serve ad evitare il diffondersi nell’ambiente di lavoro degli
ossidi sfuggiti alla aspirazione primaria (vedi disegni).
Come residuo di lavorazione si ottiene acido nitrico esausto oltre a nitrati di rame e zinco che vanno
alla depurazione che in genere consiste in una neutralizzazione con calce e/o soda e filtrazione.
La suddivisione del sistema aspirante in primario e secondario è motivata dal fatto che, come noto,
gli ossidi di azoto vengono abbattuti con il sistema di lavaggio con soluzione alcalina con una resa
molto maggiore se la loro concentrazione è più elevata.
Già da qualche anno sono stati introdotti impianti di vuotatura con acido nitrico a ciclo chiuso,
pertanto senza emissioni.
Per questi due tipi di vuotatura si utilizzano impianti simili e simili sono anche le bonifiche
realizzate, pertanto vengono descritti congiuntamente. Ovviamente non sono simili gli impianti di
abbattimento di fumi e vapori, in quanto, oltre alla diversità del reagente, l’efficacia dell’impianto
di abbattimento dell’acido cloridrico è maggiore e può raggiungere percentuali elevatissime.
Nella vuotatura con acido cloridrico (HCl) la canna da vuotare è d’oro e l’anima è di ferro; l’acido
viene impiegato ad una diluizione di 1:2 ed alla temperatura di ebollizione.
La vuotatura con soda caustica (NaOH) diluita al 10-20% viene utilizzata invece per la vuotatura di
canne con anima di alluminio.
Nel caso dell’acido cloridrico durante l’attacco si ha un notevole sviluppo di idrogeno. I vapori
acidi vengono trattati in torre di abbattimento con soluzioni alcaline. Come residuo di lavorazione si
hanno soluzioni cloridriche di cloruro ferroso che devono essere neutralizzate e filtrate.
Nel caso della vuotatura dell’anima in alluminio si ha un residuo di soluzioni di soda caustica e
idrato di alluminio che devono essere neutralizzate e filtrate.
3.6.4.2 L’inalazione di vapori caustici può provocare gravi lesioni del sistema
respiratorio.
3.6.4.4 Il contatto accidentale con alcali (soda caustica) può provocare ustioni
molto gravi dei tessuti (corrosivo).
PIENA"
3.6.6 APPALTI A DITTE ESTERNE PER LA FASE "VUOTATURA DELLA CANNA PIENA"
• DPR 547/’55
• DPR 303/’56
• D.Lgs. 626/’94
Si parte dalla progettazione del modello che viene realizzato in varie modalità:
Occorre considerare che anche se si parte da modelli in cera, prima di andare alla realizzazione di
stampi in gomma, è necessario ricavare un modello in metallo tramite fusione secondo il
procedimento che vedremo in seguito. Dal modello in metallo si deve poi ricavare uno stampo in
gomma.
Il modello deve essere progettato tenendo presenti tutte le fasi successive oltre che seguendo criteri
di economia (modelli vuoti, ecc...). Alcuni modelli ad esempio devono essere realizzati in più pezzi.
Una volta realizzati i modelli questi vengono dotati di canali (uno, due o più): si tratta di fili di rame
che poi lasciano il vuoto entro cui scorrerà la lega fusa. La disposizione del canale deve essere tale
da non presentare problemi, nella fase successiva a quella di vulcanizzazione della gomma, quando
cioè si va a tagliare la gomma stessa per poter estrarre il modello.
Occorre tenere inoltre in considerazione i problemi eventuali relativi alla iniezione della cera e del
metallo. In genere i canali non sono perpendicolari al piano contenente le maggiori dimensioni del
modello, ma paralleli ad una di queste ultime.
La quantità di gomma deve essere un po’ in eccesso rispetto allo spessore utile della staffa.
Sulla staffa, che era stata posizionata in precedenza sopra una piastra metallica, viene poggiata una
seconda piastra metallica di copertura. Da notare che all’interno della staffa, il canalicolo di flusso,
in un primo tempo per la cera e poi per il metallo, deve essere a contatto della parete laterale della
staffa, affinché durante la successiva vulcanizzazione non rimanga otturato dalla gomma fusa.
In certi casi, in corrispondenza del punto di appoggio del canalicolo sulla parete interna della staffa,
viene praticato un foro sulla staffa stessa, il quale viene poi filettato e quindi vi viene introdotta una
vite la cui estremità viene foggiata a forma di cono (vedi disegno 2). Sulla punta del cono andrà a
poggiare la estremità del canalicolo. Il foro conico che rimane nello stampo in gomma costituisce la
femmina per l’iniettore. Nei casi in cui non viene usata la vite, il cono in negativo sullo stampo in
gomma viene realizzato successivamente utilizzando un "bisturi".
Disegno 2: Sezione della vite per la creazione sullo stampo della femmina per l’iniettore.
Vite
La staffa con dentro la gomma a pezzi viene posta dentro un vulcanizzatore costituito da due
piastre riscaldate che vanno poi a stringere e riscaldare la staffa nel suo complesso. La gomma
naturale di riempimento a volte, nei casi in cui appaia visibilmente poco pulita, viene passata con un
batuffolo di cotone imbevuto di benzina. Solo in pochi casi (in genere modelli semplici, ad esempio
un chiodo) le due superfici degli strati di gomma, quella superiore e quella inferiore che
combaciano sul modello vengono spolverizzate con talco.
Le piastre del vulcanizzatore vengono strette sulla staffa, inizialmente senza pressione, e portate a
160-170 °C. Si rimane in queste condizioni per 3-4 minuti. Viene quindi data una pressione di 200-
250 atmosfere.
Sulle pareti dello stampo ci sono dei piccoli fori dai quali fuoriesce la gomma in eccesso.
L’operazione di vulcanizzazione ha una durata di circa 40 minuti. Si toglie quindi la staffa, se ne
estrae lo stampo in gomma, lo si fa raffreddare e quindi si procede al taglio tramite "bisturi".
Durante l’operazione di taglio vengono lasciati due dossi di riferimento che servono a far sì che la
gomma non subisca deformazioni durante l’operazione di iniezione.
La cera da iniezione viene fusa elettricamente all’interno di un cilindro e tenuta in pressione tramite
aria compressa (vedi disegno 3). Lo stampo tagliato, una volta tolto il modello, viene richiuso dopo
averne spolverato di talco le superfici interne. La spolveratura con talco avviene tramite battitura
sulle superfici di un piccolo sacchetto in stoffa contenente talco. Dopo la spolveratura l’operatore
soffia sullo stampo per asportare il talco in eccesso. Viene fatta l’iniezione, poi la cera viene lasciata
raffreddare per 3-4 minuti e infine viene aperto lo stampo ed estratto il pezzo di cera.
I pezzi vengono attaccati ad un "alberino" anch’esso di cera (che poi darà luogo al canale per la
fusione) utilizzando come agente di fusione della cera nei punti di contatto un piccolo saldatore del
tipo di quelli usati per saldare i circuiti stampati. Le estremità dei canalicoli dei pezzi vengono così
saldati a cera su l’alberino come tanti rametti. L’alberino viene fissato su di un fondello di gomma
entro il quale è praticato un foro al centro. Sul fondello viene poi montato un cilindro di acciaio
inox (vedi disegno 4).
Disegno 4: Alberino.
Da notare che sugli alberini di cera in produzione vengono fissati anche i modelli in cera (prototipi),
per ricavarne modelli in metallo che poi vanno a ripercorrere il ciclo delle gomme.
I cilindri vengono posti all’interno di un contenitore oscillante in cui è possibile fare un vuoto molto
spinto. Sopra il recipiente sotto vuoto c’è un piccolo mescolatore nel quale vengono miscelati gesso
silice e acqua. Anche il mescolatore lavora sotto vuoto. Una volta fatto il vuoto si riempiono i
cilindri con l’impasto di gesso, silice e acqua facendolo calare dal mescolatore superiore attraverso
un tubo di gomma che collega i due recipienti (vedi disegno 5).
Una volta che l’impasto gessoso si è solidificato si apre il recipiente contenitore ed i cilindri
vengono posti (in piedi) in un forno a 130 °C circa. Tale forno viene denominato "deceratore" Qui
la cera fonde e cola via dal nuovo stampo gessoso. La cera viene quindi filtrata per toglierne le
impurità di gesso e riutilizzata (in genere un paio di volte).
Il cilindro con ormai all’interno solo il gesso solido viene messo in un forno e portato ad una
temperatura funzione del metallo che vi dovrà essere colato.
Lo stampo viene preso con delle pinze e posto in una centrifuga contenente nel suo centro un
crogiolo posto a sua volta all’interno di un fornetto a induzione (vedi disegno 6). Prima di chiudere
il crogiolo, dentro di esso e sul coperchio, viene messa una piccola quantità di acido borico in
scaglie come disossidante. La centrifugazione costringe il metallo fuso a fuoriuscire dal crogiolo e
lo sospinge all’interno del cilindro contenitore dello stampo gessoso.
Disegno 6: Centrifuga.
Terminata l’operazione di colatura del metallo fuso, il cilindro viene estratto dalla centrifuga ed
immerso, ancora caldo, in una vasca d’acqua per raffreddarlo e soprattutto per sgretolare lo stampo
gessoso grazie al repentino salto di temperatura. Lo stampo gessoso sbriciolato cade quasi tutto in
acqua. In tale modo il metallo si libera dello stampo e resta in forma di "grappolo".
Nel frattempo il crogiolo della centrifuga viene ricaricato con il metallo per la successiva colata.
Proseguendo il ciclo di lavorazione, il grappolo viene tolto dal cilindro e, una volta raffreddato,
vengono staccati i vari pezzi di fusione.
Il distacco dei pezzi può essere manuale o meccanico utilizzando rispettivamente delle tronchesine
o una macchina detta "sgrappolatrice". Segue una operazione di smerigliatura per eliminare le
parti residue dell’attaccatura all’alberino.
I pezzi vengono ripuliti in una vasca ad ultrasuoni per togliere il gesso residuo. Eliminato il gesso
il pezzo viene sottoposto a decapaggio con acido solforico, quindi viene ripassato agli ultrasuoni.
La ricottura serve a far distaccare le residue particelle di gesso e anche a ridare malleabilità al
metallo.
La lega dei metalli che viene utilizzata nella microfusione viene preparata in genere in una quantità
di qualche chilo per volta, in un crogiolo riscaldato con fiamma a GPL. L’operazione viene
effettuata sotto cappa aspirante, in genere in un locale diverso, in modo analogo a quanto
precedentemente descritto per la fase di fusione.
Questa macchina è una centrifuga con internamente un forno a crogiolo. Con essa vengono
effettuate colate di metallo fuso in cilindri di gesso sfruttando la forza centrifuga. Il metallo è
portato a fusione in un crogiolo riscaldato per induzione. Il crogiolo è posto su di un albero rotante
dove viene posizionato anche il cilindro cavo da riempire. Il trasferimento del metallo avviene
appunto grazie alla forza centrifuga generata dalla rotazione veloce dell’albero.
3.7.2.2 SMERIGLIATRICE
Si tratta sostanzialmente di dischi abrasivi montati su un albero rotante, posta sotto aspirazione.
3.7.4.10 Il contatto accidentale con la lama del bisturi può causare ferite da
taglio.
3.7.5.8 Per ridurre il rischio di contatto con l’acido solforico utilizzato per il
decapaggio e per evitare sversamenti, i lavoratori devono essere formati a
seguire procedure corrette ed attrezzature idonee, in relazione alle quantità
utilizzate, per il prelievo ed il travaso in sicurezza (contenitori, pompe,
montaliquidi, ecc...). Inoltre sono necessari D.P.I. (tute, guanti, occhiali,
scarpe, ecc…)
• DPR 547/’55
• DPR 303/’56
• D.Lgs. 277/’91
• D.Lgs. 626/’94
Per quanto riguarda i limiti di esposizione alle polveri riportiamo i valori ACGIH 1995:
Per quanto riguarda i limiti di esposizione ai fumi di cera, riportiamo i valori ACGIH 1995:
3.7.8.1 Immissione di fumo e odore di cera bruciata in atmosfera, durante la fase di discerazione
(o disceratura o deceratura), quando la temperatura nel forno è troppa elevata e la cera anziché
fondere brucia. I forni, essendo chiusi, non provocano immissione di fumo nell’ambiente di lavoro,
i quali vengono inviati direttamente all’esterno. Per ridurre l’impatto di odore molesto sull’esterno è
necessario porre attenzione al fatto che la temperatura di deceratura non superi i 100-120 °C e che si
passi alla fase di ricottura (circa 700 °C) solo a deceratura completamente avvenuta. In insediamenti
produttivi che si trovino in prossimità di insediamenti civili, può comunque essere necessario un
impianto di abbattimento degli odori il quale può essere costituito o da un sistema a torre di
lavaggio dei fumi con acqua oppure da un sistema catalitico di postcombustione dei fumi.
3.7.8.2 Produzione di scarti di gesso e silice (rifiuti speciali). Costituiti dagli stampi sgretolati
composti da gesso e silice cristallina, a seconda dei casi, si trovano in forma di poltiglia pompabile,
fango palabile, forma solida in varie granulomentrie (pezzi e polvere). Questo rifiuto speciale viene
prodotto nella fase di raffreddamento e sgretolatura. E’ necessario che questo rifiuto venga smaltito
correttamente. Infatti, la poltiglia di gesso e silice, talvolta viene pompata in cisterne e scaricata
dolosamente lungo i fiumi ed i canali della zona, con conseguente inquinamento delle acque da
particelle sospese ed imbrattamento dei luoghi. Inoltre si può avere diffusione nell’ambiente di
polvere di silice libera cristallina (cancerogena). Per eliminare l’inconveniente è necessaria una
indagine che classifichi il rifiuto in base a quanta silice libera cristallina viene ceduta dal rifiuto
secco e conseguentemente stabilire idonoee procedure di smaltimento in discarica. E’ necessario
che gli Enti preposti prevedano la disponibilità di un modulo idoneo per tale rifiuto all’interno degli
impianti di discarica esistenti. Inoltre si auspica che quanto prima venga posto allo studio la
possibilità di sostituzione della silice nell’impasto di formatura dello stampo, con altro materiale
meno pericoloso.
3.7.8.4 Produzione di bagni esausti, contenenti indio, cadmio, rame, solfati, derivanti dalla fase di
decapaggio. I bagni esausti vengono inviati all’impianto di depurazione delle acque. Come per tutti
gli scarichi del comparto orafo, il problema è che gli scarichi generalmente vanno in fogna (secondo
i limiti della tabella C) e convogliati in modo promiscuo verso i depuratori a fanghi attivi,
provocando problemi di gestione all’impianto di depurazione a fanghi attivi (Impianto di Ponte a
Chiani, Impianto di Casolino) e l’accumulo di metalli pesanti nei fanghi stessi, i quali vengono resi
inutilizzabili per il compostaggio, pertanto devono essere smaltiti in discarica.
Le soluzioni sono due complementari tra loro: la prima è interna alle aziende, generalizzando il
riutilizzo delle acque di processo con l’uso di appropriate tecnologie (evaporatori, filtri, osmosi
inversa, ultrafiltri). L’altra soluzione riguarda la Pubblica Amministrazione che gestisce la raccolta
ed il trattamento degli effluenti, intercettando gli scarichi industriali in fogne separate da quelle
civili, interponendo prima dell’impianto di depurazione a fanghi attivi, un impianto di trattamento
chimico fisico per trattare gli scarichi industriali.
L’operazione di montaggio e saldatura riguarda molti momenti in cui vengono aggiunti dei
particolari ai pezzi già preparati meccanicamente.
Il materiale per saldare è in foggia di asticciola detta "paglione" ed è composto di oro, argento,
rame, zinco e cadmio (in gran parte ora sostituito con indio). La lega costituente il paglione viene
preparata in fonderia con le modalità già viste quando si è parlato della fusione, poi viene laminata
fino ad uno spessore di circa 0,15 - 0,20 mm ed infine viene ritagliata in striscioline con l’aiuto di
forbici. Comunque si tende sempre più ad acquistare leghe per saldare già preparate.
Il pezzo che deve essere saldato viene bagnato in una soluzione di acqua e borace.
Nell’operazione di saldatura l’operatore tiene il viso ad una distanza dalla fiamma di circa 20 - 25
cm, soprattutto per le operazioni più fini. I pezzi da saldare venivano posti su di un supporto di
materiale ceramico. Un tempo tale supporto era di amianto, oggi vietato. Con l’andare del tempo la
superficie della tavoletta di amianto si usurava e presenta sfaldature varie; ciascuna tavoletta di
amianto aveva una vita media di circa un mese.
La soluzione di borace è formata in genere da 120 g di borace disciolta in ½ litro d’acqua. Per
sciogliere il borace la miscela viene scaldata utilizzando la stessa fiamma della saldatura fino alla
ebollizione.
Abbiamo a che fare con una apparecchiatura di dimensioni molto ridotte composta da una cella
elettrolitica nella quale viene introdotta acqua distillata ed un elettrolita come trasportatore di
cariche (NaOH o KOH: in genere quest’ultimo per la maggiore conducibilità).
All’uscita i gas di elettrolisi sono arricchiti da borato di metile (acido borico trimetilestere) volatile.
Nella combustione il borato di metile riproduce metanolo che brucia ad anidride carbonica ed acqua
e acido borico. Quest’ultimo, attraverso la borace che si forma, scioglie gli ossidi metallici e quindi
favorisce la saldatura. Questo tipo di saldatura è del tipo a gas con metallo di apporto.
Nella saldatura a microfiamma i gas di combustione sono idrogeno e ossigeno. In questo tipo di
saldatura, a differenza di quella a cannello, la corrente dei due gas, combustibile e comburente,
trasporta anche il disossidante (vedi anche la descrizione del ciclo di lavorazione).
Nella saldatura a cannello i gas di combustione sono idrogeno e ossigeno come per la saldatura a
microfiamma. Nel caso del cannello però il gas combustibile può essere anche GPL.
E’ un forno elettrico in cui la catena passa in continuo dopo essere stata trattata con polvere saldante
e spogliata con talco.
3.8.3.1. Esposizioni a fumi (CO, CO2, NOx, vapori metallici: oro, rame, argento, cadmio o indio)
derivanti dalle operazioni di saldatura, sia a microfiamma, sia a cannello.
3.8.4.2. Nella nostra zona si sono verificati infortuni causati dal contatto della
fiamma di saldatura con i capelli delle operatrici, con ustioni gravi al volto e al
cuoio capelluto ed alle mani.
• DPR 547/’55
• DPR 303/’56
• D.Lgs. 277/’91
• D.Lgs. 626/’94
3.8.8.1 Immissione in atmosfera di CO, CO2, NOx , in quantità molto modesta, derivante
dall’aspirazione dei fumi di saldatura. Data la poca significatività dell’emissione non è richiesto un
impianto di abbattimento. In caso di insediamenti civili confinanti è necessario condurre i fumi
sopra il colmo del tetto.
Il tipico ciclo galvanico consiste nella sequenza di operazioni eseguite nell’ordine sotto riportato. Le
prime quattro sono comuni e preparatorie mentre la quinta e ultima operazione costituisce il
trattamento galvanico vero e proprio e si differenzia in base al tipo di finitura che si vuole ottenere:
doratura, argentatura, rodiatura, nichelatura, ramatura.
In genere il bagno è a base di sostanze fortemente alcaline (soda o potassa caustica) e tensioattivi.
La soluzione è in acqua demineralizzata. Esistono anche sgrassature al cianuro usate
prevalentemente nei trattamenti di metalli vili quali ottone e rame. Questi metalli difatti spesso
giungono ossidati e il cianuro svolge anche azione di decapaggio (per la formazione di complessi).
3.9.1.3 NEUTRALIZZAZIONE
Questa operazione viene effettuata immergendo i pezzi in una soluzione di acido solforico in acqua
(2% circa) a freddo. Il bagno acido serve ad eliminare i trascinamenti alcalini provenienti dalla
sgrassatura che inquinerebbero il bagno successivo.
3.9.1.5.1 DORATURA
Serve soprattutto per dare colore ad una lega. Comporta l’immersione del telaio con i
pezzi per 30 secondi circa nel bagno. Questo può essere alcalino se contiene cianuro
(0,2 %) ed ha una temperatura di 50 - 60 °C, oppure leggermente acido (al solfito).
Questi ultimi bagni, anche se esenti da cianuro nella composizione base, possono
essere reintegrati con cianuro d’oro.
I pezzi estratti dal bagno subiscono una o due sciacquature statiche e poi una in
acqua corrente. Nelle vasche di risciacquo statiche vi può essere accumulo di cianuri
se non cambiate frequentemente.
Sia nella doratura flash che nella doratura a spessore possono essere presenti altri
metalli additivi quali rame, argento, nichel che entrano nelle leghe, oppure cadmio,
selenio, cobalto, indio, ecc...).
Quando si dora su metallo più vile viene effettuata una operazione di pre-doratura
con lo scopo di evitare una deposizione chimica prima che venga data corrente.
Questa operazione viene effettuata utilizzando bagni con basse concentrazioni di sali
conducibili (cianuri). Fra la "pre-doratura" e la doratura non vi è risciacquo
intermedio.
3.9.1.5.2 ARGENTATURA
Si usano bagni al cianuro di potassio (100-150-200 g/l) poi si passa al ciclo di sciacquatura e
asciugatura.
Come nella doratura, quando si argenta su metalli più vili si attua prima una "pre-
argentatura" per la quale valgono le stesse considerazioni sopra riportare per la "pre-
doratura".
3.9.1.5.3 RODIATURA
Bagno leggermente acido per solforico o fosforico contenete sciroppo di rodio (solfato o
fosfato). Poi si procede con il risciacquo ed eventualmente con la asciugatura se si tratta di
un bagno finale.
3.9.1.5.4 NICHELATURA
Bagno acido per solforico. Il nichel viene impiegato come solfato o cloruro. Il bagno è a 50-
60 °C. Poi si passa al risciacquo e asciugatura.
3.9.1.5.5 RAMATURA
Bagno normalmente acido per solforico (60 - 70 g/l) e solfato di rame. Quindi si passa al
risciacquo e asciugatura. Chi tratta alluminio, zama, ecc..., usa bagni alcalini e
successivamente acidi.
3.9.1.6 brillantatura
Una operazione che pur rientrando nella galvanica non rientra di norma fra le operazioni di
finitura è la lucidatura o brillantatura. Il bagno è con cianuro di potassio (50 - 100 - 150 g/l).
(Nota :la brillantatura si può ritrovare anche nelle fasi di finitura ma con concentrazioni di
cianuro di potassio più modeste).
Per quanto riguarda i danni rilevati nella nostra area, si è registrato un infortunio mortale per
ingestione di cianuri da una bottiglietta di aranciata, recante ancora l’etichetta "aranciata" e che era
stata utilizzata come contenitore per il campione del bagno di cianuro d’oro da inviare all’analisi di
titolazione.
3.9.5.3 Utilizzo di coperture da porre sulle vasche durante i periodi di non utilizzo dei bagni.
Note:
C: "Ceiling", concentrazione che non deve essere superata neanche per breve tempo.
** In corso di modifica; per il Nichel sono in previsione i seguenti nuovi limiti: 0,05 A1.
3.9.8.2 Immissione in atmosfera di vapori acidi, basici, cianuri, derivanti dalla aspirazione delle
vasche dei vari trattamenti galvanici. Data la bassissima quantità degli inquinanti non è necessario
l’impianto di abbattimento anche se talvolta è presente una torre di lavaggio.
Questa fase serve per ottenere il pezzo finito pronto alla vendita, cioè pulito, brillante, privo di aloni
e senza imperfezioni. La prima operazione che in genere viene effettuata è il decapaggio per pulire
il pezzo. Ciò avviene mettendo il pezzo a bagno in una vasca contenente una soluzione di acido
solforico al 6-10% alla temperatura di 60°C, ove viene eliminato il borace.
Poi i pezzi vengono portati alla brillantatura. In tale bagno vi sono sali di cianuro di potassio (20 -
30 g/l). I pezzi sono montati su supporti ed immersi nel bagno di cianuro. Sotto una tensione di
circa 10 Volt la pellicola di oro ed impurità si stacca e va all’anodo. I pezzi vengono poi risciacquati
e poi asciugati tramite una apparecchiatura chiamata "burlone" e quindi avviati alle spazzole della
pulitura. Alcuni pezzi saltano il passaggio al "burlone".
Le paste di spazzolatura, chiamate anche "rossetti" sono di tre tipi:
a. rosso incartato.
b. rosso scartato.
c. bianco.
I prodotti a) e c) servono come paste abrasive; il prodotto b) serve per la lucidatura finale.
Dopo la spazzolatura i pezzi vengono messi in un bagno contenente una soluzione di sapone di
Marsiglia e poi inviati agli ultrasuoni.
Nella vasca ultrasuoni c’è ancora sapone di Marsiglia e una piccola quantità di soda caustica.
Infine il pezzo passa alla asciugatura ed è quindi finito oppure, per determinate lavorazioni, inviato
alla successiva fase di smaltatura (verniciatura finale con prodotti trasparenti allo scopo di rendere
gli oggetti meno ossidabili, o smalti per dare colorazioni).
La pulitura è una operazione prettamente manuale e serve a lucidare gli oggetti mediante attrito con
una serie di dischi di tela bloccati a pacco (spazzole) su di un albero rotante.
Le spazzole vengono impastate con cere abrasive. Il banco di lavoro è corredato da un motore
elettrico che porta due alberi filettati contrapposti sui quali vengono montate le spazzole. Il motore
gira solitamente a 2.500 - 3.000 giri/minuto.
Questi due impianti vengono considerati insieme perché sia l’impianto di lavorazione sia il sistema
di bonifica sono gli stessi per entrambi.
Il percloro viene usato per asciugare i pezzi di metallo dopo i lavaggi mentre la trielina viene usata
per asportare residui di oli o pece dopo le lavorazioni meccaniche.
L’impianto è costituito da una vasca atta a contenere il solvente (caldo o all’ebollizione) ed i suoi
vapori.
Nella parte alta è collocato il sistema di raffreddamento e condensazione dei vapori (serpentina) che
serve a mantenere costante il livello dei vapori del solvente (linea dei vapori) ed impedire che essi
fuoriescano dalla macchina
Nella serpentina viene fatta circolare acqua fredda o dei liquidi refrigeranti. Ultimamente sono
molto in uso le pompe di calore.
Al di sopra della serpentina le pareti della vasca si prolungano e qui c’è la zona di essiccamento
dove devono stazionare i cestelli prima della loro estrazione dall’impianto.
A bordo vasca esiste una aspirazione radente per captare eventuali residui di solventi nei pezzi.
Cestelli di dimensioni simili a quelle delle vasca possono causare l’effetto "pistone", pompare cioè i
vapori fuori dalla vasca.
3.10.2.5 BURATTI
Il buratto viene usato allo scopo di conferire una maggiore brillantezza agli oggetti. Si tratta di un
cilindro rotante riempito prevalentemente con sfere di acciaio inox, acqua e sapone. Comunque ne
esistono vari tipi e modelli: possono essere a secco o a umido, ed al posto delle sfere di acciaio
possono essere utilizzati diversi tipi di abrasivi (legnetti, composti plastici o ceramici, granulati,
ecc…)
3.10.2.6 VIBRATORI
Sono cestelli montati su di un albero verticale dotato di camma eccentrica che con la rotazione
induce il cestello stesso a vibrare. Viene usato per la finitura mettendo i pezzi nel cestello insieme a
conetti o altri materiali ceramici abrasivi.
La pulitrice ad ultrasuoni serve per pulire i pezzi sfruttando la capacità che hanno le vibrazioni ad
alta frequenza (dell’ordine dei 10-25 KHz) di distaccare le impurità dal pezzo per azione
meccanico-fisica. Il pezzo si trova immerso in una soluzione saponosa e soda caustica.
3.10.4.1 Ferite agli arti, alle dita e al cuoio capelluto in caso di presa e
trascinamento dalle parti rotanti del buratto e alle pulitrici.
3.10.4.8 Irritazione delle prime vie aeree e dei bronchi, edema, fibrosi,
enfisema sono i danni derivanti dall’inalazione di vapori di acido solforico.
Inoltre può provocare irritazione delle mucose e vomito.
• DPR 547/55
• DPR 303/56
• DLgs 626/94
Note:
A3: Cancerogeno per l’animale in studi sperimentali, ad alte dosi; non risulta
cancerogeno per l’uomo.
Per il decapaggio e la brillantatura valgono le stesse considerazioni fatte per il ciclo galvanico già
descritto, anche se in questo caso l’impatto sull’esterno è minore stante le minori quantità in gioco.
Il problema della diffusione di rumore all’esterno, dovuto alle macchine rotanti e vibranti, sussiste
nel caso di edifici strutturalmente collegati, comunque l’impatto esterno dovuto al rumore è ridotto
nel caso vengano utilizzate macchine nuove insonorizzate.
Le soluzioni saponose esauste derivanti dalle macchine ad ultrasuoni, vanno avviate ad impianti di
depurazione prima di essere scaricate, per evitare l’inquinamento da tensioattivi. Per ridurre
l’impatto sull’ambiente è comunque necessario utilizzare tensioattivi biodegradabili al 100% (il
sapone di Marsiglia va bene). Uno dei procedimenti innovativi di depurazione dei bagni esausti
delle macchine ad ultrasuoni, consiste nel processo di ultrafitrazione tangenziale, grazie al quale la
soluzione esausta attraversa un condotto formato da due membrane semipermeabili. Il liquido che
fuoriesce dai filtri può essere riutilizzato nel processo. I fanghi di filtraggio sono avviati al processo
di recupero delle particelle di metalli preziosi presenti per poi essere inviate alla affinazione.
3.11.1 DESCRIZIONE
La smaltatura viene eseguita secondo due diverse tecniche: smaltatura con smalti "a fuoco" o
smaltatura con smalti sintetici. Segue l’asciugatura.
Con questa tecnica l’oggetto viene ricoperto con una massa vitrea a vari colori.
Si usano smalti silicei mescolati con ossido di piombo e altri ossidi metallici, a seconda del colore
dello smalto.
La massa vitrea, dopo l’applicazione, deve essere cotta al alta temperatura (600 - 700 °C) in un
forno a muffola.
L’applicazione dello smalto avviene a pennello o attraverso applicatori idraulici a siringa, detti
iniettori.
La cottura avviene in un forno a bassa temperatura (70 - 80 °C) che dovrà essere dotato di efficace
sistema di aspirazione.
Anche in questo caso l’applicazione dello smalto avviene a pennello o attraverso applicatori
idraulici a siringa, detti iniettori.
Il forno a muffola è un piccolo forno elettrico con una apertura da un lato solo.
Sono cabine dove i pezzi smaltati vengono fatti asciugare, appesi ad alberi rotanti o appoggiati su
griglie.
3.11.3.1 Esposizione a fumi e vapori, derivanti dalla cottura degli smalti, e contenenti piombo.
Per ridurre l’esposizione a polveri, fumi e vapori, devono essere presenti idonei sistemi di
aspirazione generale e localizzata:
• DPR 303/’56
• D.Lgs. 277/’91 (piombo)
• D.Lgs. 626/’94
3.11.8.1 Immissione in atmosfera di polveri silice, derivanti dalla aspirazione localizzata nella
fase di preparazione dello smalto. Generalmente, data la poca significatività dell’emissione, non è
richiesto l’impianto di abbattimento.
Fra i prodotti ausiliari alla lavorazione dei metalli preziosi che vengono tenuti in magazzino vi sono
solventi, acidi, alcali, cianuri, preparati vari e gas compressi.
3.12.1.1 Solventi.
I solventi più comunemente usati sono: alcool denaturato, solventi e diluenti tradizionali per
vernici., acetone, idrocarburi alifatici idrogenati (trielina, percloroetilene, tricloroetano, una volta
veniva utilizzato anche il freon, oggi vietato).
L’acetone viene stoccato con le stesse modalità dei solventi e diluenti per vernici, in genere in latte
metalliche da 20 litri poste sopra un pallet.
Trielina e percloroetilene vengono stoccati in cisterne metalliche sopraelevate in modo da poter
prelevare il contenuto per gravità.
3.12.1.2 Acidi.
Gli acidi, a varie concentrazioni, di uso più comune nella lavorazione dei metalli preziosi sono: il
nitrico, il solforico, il cloridrico, il fluoridrico. Viene inoltre utilizzato bisolfato di potassio.
Gli acidi nitrico, solforico e cloridrico vengono stoccati in cisterne, sopraelevate, riempite mediante
pompa con pressione massima 1,5 atmosfere.
L’acido fluoridrico viene generalmente utilizzato ad una concentrazione del 40% e stoccato in
taniche di PVC della capacità di 25 litri posate su pallet di legno.
3.12.1.3 ALCALI.
3.12.1.4 Cianuri.
Sono sali di cianuro di sodio e di potassio. I cianuri sono di norma stoccati in contenitori di ferro a
chiusura ermetica regolarmente etichettati.
Borace, carbonato di sodio, nitrato di potassio, zolfo (per la conduzione della fusione), borato di
metile (per le microsaldature), solfuro di ammonio, sali di nichel, ecc… (per i bagni galvanici).
Idrogeno, azoto, ammoniaca, argon, ossigeno, propano. Sono contenuti in bombole le quali possono
essere stoccate singolarmente o in gruppi detti pacchi bombolari.
3.12.2.1 Serbatoi e cisterne resistenti alla corrosione per il contenimento degli acidi:
acciaio inox per acido nitrico, ferro per acido solforico non diluito, ferro ebanitato
per acido cloridrico, PVC per acido fluoridrico diluito.
• contatto ed inalazione di sostanze tossiche, caustiche, corrosive (irritazione della pelle, degli
occhi, delle vie respiratorie, ustioni, asfissia, morte).
• coinvolgimento in esplosioni / incendi (ustioni, morte).
• movimentazione dei carichi (ferite e contusioni in caso di caduta di contenitori, danni
all’apparato muscolo – scheletrico durante la movimentazione manuale).
• Nella zona di stoccaggio di tutti i solventi devono essere apposti cartelli con le istruzioni per
la sicurezza, divieto di fumare e di usare fiamme libere. In luogo accessibile devono essere
disposti estintori idonei.
• Evitare assolutamente il contatto dell’acido nitrico con materiali organici quali segatura,
carta, ecc....
• Le bombole di gas compressi devono essere conservate all’esterno dei locali di lavoro, in
aree ben ventilate, asciutte e protette da fonti di calore ed irriggiamento solare, il contenuto
deve essere regolarmente etichettato, i gas infiammabili devono essere separati dall’ossigeno
e da quelli non infiammabili.
3.12.5.2 Per il rischio di sversamenti è necessario che i serbatoi siano posti entro bacini di
contenimento in materiale idoneo.
Deve essere a disposizione degli addetti una doccia a comando bilaterale dotata anche di
vaschetta lava occhi.
3.12.5.3 La manipolazione dei sali di cianuro deve avvenire su banchi dotati di aspirazione
localizzata, utilizzando guanti di gomma e occhiali. I cianuri devono essere tenuti lontani
dagli acidi forti. Nell’eventualità di incidenti il personale deve avere immediata disponibilità
di maschera antigas per acido cianidrico. Gli addetti che manipolano cianuri devono essere
regolarmente patentati. Il locale per il deposito deve essere composto da due ambienti. Nel
primo cui si accede dall’esterno ci devono essere un lavabo, la maschera, il grembiule, gli
stivali, i guanti, gli occhiali. Nel secondo, cui si accede solo dal primo, vengono stoccati i
fusti di ferro sigillati contenenti il cianuro. Sulla porta esterna deve essere posto un cartello
con la scritta "CIANURO". La porta deve essere chiusa a chiave e l’accesso consentito
esclusivamente al personale munito di patentino. Aprendo la porta esterna deve venire
attivato un aspiratore posto sul tetto del secondo locale che opera il "lavaggio" dei due
locali. Il ventilatore deve assicurare circa 30 ricambi orari. Deve essere presente anche un
comando manuale dell’aspiratore.