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Kaiserliche königliche
Kriegsmarine
1847
Marine Artillerie
Marine Infanterie
Francesco Bandiera
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Il barone Francesco Bandiera, talvolta citato anche in tedesco come Franz Freiherr von Bandiera (Venezia, 22 o 24 maggio 1785
– Carpenedo di Mestre, 16 settembre 1847), è stato un ammiraglio austriaco.Nato da Domenico Bandiera e Giovanna Donati di
Ancona; già ufficiale della Marina del Regno italico dove aveva militato, nel 1808 col grado di tenente di fregata è al comando della
cannoniera Incorruttibile[1], dopo aver partecipato ad uno scontro a fuoco con gli inglesi e da questi catturato viene successivamente
liberato.[2] Passato nella marina austriaca, nel 1826 raggiunge il grado di capitano di corvetta,[1] nel 1829, Bandiera, dopo che il Mulai
Abd ar-Rahman aveva ricostituito una piccola flotta corsara sequestrando e rilasciando poco dopo una nave britannica [3], per ottenere
il rilascio della nave mercantile austriaca il Veloce e del suo equipaggio, catturati dai pirati nel luglio precedente[4][5][2], varca lo
stretto di Gibilterra al comando di una forza navale composta dalle corvette Carolina e Adria, dal brigantino Veneto e dallo schoner
Enrichetta e nel giugno[6][7][8][9][10][11] bombarda El Araïch in Marocco[12][13][14] Raggiunge quindi il grado di capitano di vascello.[1] Il
19 marzo 1830 a Gibilterra è delegato da Francesco I d'Austria assieme a Guglielmo de' Pflügl[15], alla firma della pace col
Marocco.[4] Nel 1831, dopo il fallimento dell'insurrezione delle Marche e della Romagna, al comando di una squadra composta dalle
golette Enrichetta e Sofia[16] fu responsabile della cattura in mare dei 97[17][18] (secondo altri 98[19]) patrioti che tentavano di fuggire
da Ancona col trabaccolo Isotta, battente bandiera pontificia[20] nonostante il 26 marzo 1831 fosse stata firmata sempre ad Ancona la
capitolazione delle Province unite italiane e fosse stato rimesso nelle mani del legato card. Benvenuti il governo delle province
ancora libere in cambio della promessa di un'amnistia che non fu però mantenuta né dall'Austria né da papa Gregorio XVI (editto del
5 aprile).[21] Il 28 settembre[22] 1840 in qualità di contrammiraglio e comandante della squadra del levante[23][24] prese parte alla
conquista di Saïda[25] (od.Sidone).[26][27] Si dimise dalla Marina da guerra austriaca il 13 ottobre 1844[28] dopo che i figli Attilio ed
Emilio vennero fucilati con altri sette compagni nel Vallone di Rovito il 25 luglio 1844.[29] Muore nella sua villa di Carpenedo di
Mestre il 16 settembre 1847.[30]
Onorificenze Fonte:[4]
Fratelli Bandiera
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Attilio Bandiera ritratto da Giuseppe Pacchioni,compagno di spedizione,nel carcere di Cosenza prima dell'esecuzione Emilio
Bandiera ritratto da Giuseppe Pacchioni,compagno di spedizione,nel carcere di Cosenza prima dell'esecuzione
Attilio Bandiera (Venezia, 24 maggio 1810 – Vallone di Rovito, 25 luglio 1844) ed Emilio Bandiera (Venezia, 20 giugno 1819 –
Vallone di Rovito, 25 luglio 1844) sono stati due patrioti italiani. Nobili, figli del barone Francesco Bandiera, ammiraglio, e di Anna
Marsich; a loro volta ufficiali della Marina da guerra austriaca, aderirono alle idee di Giuseppe Mazzini e fondarono una loro società
segreta, l'Esperia (nome col quale i greci indicavano l'Italia antica) e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel
Sud Italia. Nel marzo 1844 a Cosenza, in Calabria scoppiò un moto durante il quale il capitano Galluppi, figlio del grande filosofo
Pasquale Galluppi, trovò la morte. In breve tempo ritornò la calma e con la calma il processo, dove furono condannate a morte 21
persone, delle quali solo sei furono giustiziate. Il 13 giugno 1844, i fratelli Emilio e Attilio Bandiera, disertori della marina austriaca,
partirono da Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla volta della Calabria seguiti da 17
compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe. Il 16 giugno 1844 sbarcarono alla foce del
fiume Neto, vicino Crotone e appresero che la rivolta scoppiata a Cosenza si era conclusa e che al momento non era in corso alcuna
ribellione all'autorità del re[1]. Pur non essendoci alcuna rivolta i fratelli Bandiera vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono
per la Sila. Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di
Crotone per denunciare i compagni. L'allarme dato, raggiunse anche la cittadina di San Giovanni in Fiore, e più precisamente
« ...giorno 19 giugno del 1844. In punto che corrono le ore 18 (ore 14 correnti), è quì che giunse la triste notizia che il bandito
Giuseppe Meluso di San Giovanni in Fiore, da molti anni rifugiò in Corfù, sia disbarcato nelle marine del Marchesato, con un
mediocre numero di persone abbigliate alla militare , ed introdottisi in tenimento di Cerenzia e Caccuri, limitrofo a questo
capuologo, col disegno di perturbare la pubblica quiete »
(ASCS Imputati politici - Inserito nel libro La spedizione in Calabria dei Fratelli Bandiera,di Salvatore Meluso, Rubbettino
editore, 2001)
Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche. Proprio quando il gruppetto si trovava alle porte
di San Giovanni in Fiore, vennero avvistati dalle guardi civiche partite dal paese, e in seguito ad alcuni scontri a fuoco, avvenuti
presso la località della Stragola (dove oggi si trova un ceppo in marmo commemorativo dell'eroiche gesta) nel comune di San
Giovanni in Fiore, vennero tutti catturati (meno il brigante Giuseppe Meluso che, buon conoscitore dei luoghi, essendo egli stesso
originario di San Giovanni in Fiore, riuscì a sfuggire alla cattura). Vennero prima portati presso le prigioni della cittadina silana,
tranne i feriti che vennero trasportati immediatamente a Cosenza. I catturati furono portati dinanzi la corte marziale, che li condannò
a morte. Il re Ferdinando II questa volta fu severo e ne graziò pochi; i fratelli Bandiera con altri sette compagni, Giovanni Venerucci,
Anacarsi Nardi, Nicola Ricciotti, Giacomo Rocca, Domenico Moro, Francesco Berti e Domenico Lupatelli, vennero fucilati nel
Vallone di Rovito il 25 luglio 1844[2]. Le salme dei nove fucilati, prima furono seppellite nella chiesa di Sant'Agostino e poi nel
Duomo di Cosenza. Quelle dei fratelli Bandiera e di Domenico Moro rientrarono a Venezia il 18 giugno 1867, circa un anno dopo la
liberazione della città al termine della Terza guerra di indipendenza. Le tre salme sono sepolte nella Basilica dei Santi Giovanni e
Paolo[3].
Note
1. ^ Istituto di storia del Risorgimento italiano Comitato cosentino, I martiri cosentini del 15 marzo 1844: celebrazione ad
iniziativa della consulta del comitato cosentino del Regio Istituto di storia del Risorgimento italiano: 15 marzo 1937,
Cosenza, SCAT, 1937.
2. ^ Felice Venosta, I fratelli Bandiera e loro compagni martiri a Cosenza: notizie storiche, Milano, C. Barbini, 1863.
3. ^ Alessandro Conflenti, Commiato di Cosenza alle ceneri dei fratelli Bandiera e Domenico Moro, Cosenza, SN, 1867.
Bibliografia
• Salvatore Meluso, La spedizione in Calabria dei Fratelli Bandiera. Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino Editore,
2001.
• Riccardo Pierantoni, Storia dei fratelli Bandiera e loro compagni in Calabria. Milano, Cogliati, 1909.
• Carlo Alberto Radaelli; Storia dello assedio di Venezia negli anni 1848 e 1849. Napoli, 1865.
• Mauro Stramacci; La vera storia dei fratelli Bandiera. Roma, Mediterranee, 1993.
• A. Conflenti, I fratelli Bandiera e i massacri di Cosenza del 1844, Cosenza, Tipografia Bruzia, 1862.
Collegamenti esterni Documenti sulla spedizione Bandiera
Il "Cippo della Stragola". Monumento commemorativo in ricordo della cattura dei Fratelli Bandiera avvenuta in questo luogo
Esecuzione dei fratelli Bandiera