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Balestrieri e Galee

I guerrieri medievali di Genova


nelle tavole di
Quinto Cenni
(1906-09)

from
Uniforms and Regimental Regalia:
The Vinkhuijzen Collection
of
Military Costume Illustration
The collection assembled by Hendrik Jacobus Vinkhuijzen (1843-1910), a Dutch physician, and presented to the Library by Mrs.
Henry Draper in 1911, consists in its entirety of over 32,000 pictures, from many sources, mounted in 762 scrapbooks.
Published online in 2009 by
www.digitalgallery.nypl.org
Image ID: 1528869 La Spedizione navale dei Genovesi in aiuto del Papa Giovanni VII nell’anno 878. Italy. Genoa, 878-1684 (878)

Image ID: 1528946 Italy. Genoa, 1685-1800 (1685-1800)


Image ID: 1528907 I Genoesi prendono la Croce in San Siro. Italy. Genoa, 878-1684 (11th century?)

Image ID: 1528870 – Marcia dei Crociati genoesi su Antiochia ottobre 1099. Italy. Genoa, 878-1684 (1097)
Image ID: 1528871 Il campo sotto Gerusalemme Guglielmo Embriaco capo dei Crociati Genovesi Italy. Genoa, 878-1684 (1099)

Image ID: 1528872 La città cogl’ultimi ingrandimenti (1159) ed il porto cogl’ultimi abbellimenti (1163-64). Navi da carico e da
guerra e galee (1155-91). Italy. Genoa, 878-1684 (1155-1191)
Image ID: 1528873 Il podestà in giro per la città. Italy. Genoa, 878-1684 (1191)
Image ID: 1528874 La Porta Soprana in stato di difesa. Il podestà Drudo Marullino (da un disegno a colori nella cronaca
dell’Oberto). Italy. Genoa, 878-1684 (1196)
Image ID: 1528877 Il Podestà Lazzaro Gherardini e l’assemblea delle Compagnie in Campo Sarzano (Monte Oregina, Torrioni
armati di Porta Soprana veduti dall’interno. Colle di Montesano. Italy. Genoa, 878-1684 (1227)

Image ID: 1528948 Italy. Genoa, 1685-1800 (1685-1800)


Image ID: 1528908 Italy. Genoa, 878-1684 (16th century?)

Image ID: 1528945 Italy. Genoa, 1685-1800 (1685-1800)


I
mage ID: 1528947 Italy. Genoa, 1685-1800 (1685-1800)

Image ID: 1528878 (1240) Italy. Genoa, 878-1684 (1240)


Image ID: 1528879 Italy. Genoa, 878-1684 (1241)

Image ID: 1528880 Italy. Genoa, 878-1684 (1242)


Image ID: 1528882 Autorità, cavalieri e militi della Repubblica nell’ultimo quarto del XIII secolo Italy. Genoa, 878-1684 (Quinto
Cenni 1909)

La torre della Meloria


Image ID: 1528881 Battaglia della Meloria 6 agosto 1284 Italy. Genoa, 878-1684 (1284)

Battaglia della Meloria


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Data: 6 agosto 1284


Luogo: presso le secche della Meloria (al largo di Livorno)
Esito: Decisiva vittoria genovese

Flotta genovese Flotta pisana


Comandanti
Podestà Morosini di Venezia, Ugolino della
Oberto Doria, Benedetto Zaccaria, Oberto Spinola
Gherardesca, Andreotto Saraceno
Effettivi
93 tra Galee da Guerra, Galeotte e Fuste 72 tra Galee da Guerra, Galeotte e Fuste
Perdite
sconosciute 5000-6000 morti, 11000 prigionieri, circa 50 galee affondate o catturate
La Battaglia della Meloria fu una storica battaglia navale che vide coinvolta la flotta della Repubblica di Genova e quella della
repubblica marinara di Pisa. La battaglia, che avvenne nell'agosto 1284 al largo delle coste di Livorno, indebolì fortemente la flotta
navale pisana dando inizio al lento declino di Pisa come potenza marinara in Italia durante il Medioevo.
Antefatti Dopo i grandi contrasti verificatisi nei secoli precedenti tra la Repubblica di Genova e la repubblica marinara di Pisa,
l'occasione per lo scontro definitivo avvenne nel 1284. Parte della flotta genovese era ormeggiata presso Porto Torres, in Sardegna,
allora territorio conteso tra le due repubbliche. Il piano dei pisani era di colpire in netta superiorità (settantadue galee) la flotta ligure
per poi affrontare la rimanenza e chiudere per sempre il conto con i genovesi. Benedetto Zaccaria, futuro doge di Genova, che
comandava quella parte di flotta (venti galee), eluse lo scontro, fingendo una ritirata verso il Mar Ligure. La flotta pisana lo incalzò,
ma fu raggiunta dalla restante parte della flotta genovese (68 galee), e ripiegò verso Porto Pisano, non senza lanciare una
provocazione ai genovesi, sotto forma di una pioggia di frecce d'argento.[1]
La battaglia La flotta della Repubblica di Genova raccolse la sfida, e il giorno 6 agosto 1284, giorno di San Sisto, patrono di Pisa
(che da quel giorno non fu più festeggiato) salpò verso Porto Pisano. L'ammiraglio genovese Oberto D'Oria, imbarcato sulla San
Matteo, la galea di famiglia, guidava una prima linea di 63 galee da guerra composta da otto "Compagne" (antico raggruppamento
dei quartieri di Genova): Castello, Macagnana, Piazzalunga e San Lorenzo, schierate sulla sinistra (più alcune galee al comando di
Oberto Spinola), e Porta, Borgo, Porta Nuova e Soziglia posizionate sulla destra. Benedetto Zaccaria, comandava invece una squadra
di trenta galee, lasciate volutamente in disparte per prendere di sorpresa la flotta pisana. Parte di essa era ormeggiata dentro Porto
Pisano, mentre un'altra parte sostava poco fuori dal porto. Si narra che durante la tradizionale benedizione delle navi, la croce
d'argento del Bastone dell'Arcivescovo di Pisa, si staccò. I pisani non si curarono di questa premonizione negativa: dopotutto era il
giorno del loro patrono, San Sisto, anniversario di tante gloriose vittorie, e quella era un'ottima occasione per eliminare
definitivamente i genovesi: contando 63 legni genovesi, i pisani forti di 9 navi in più decisero di uscire dal porto. Secondo le
consuetudini del Governo Potestale, i pisani avevano scelto un forestiero come Podestà, Morosini da Venezia. I Veneziani com'è noto
erano da sempre in rivalità contro Genova, ma in questo frangente avevano rifiutato l'appoggio alla repubblica toscana. Assistevano il
Morosini: il Conte Ugolino della Gherardesca (celebre perché cantato da Dante nel XXXIII canto dell'Inferno nella Divina
Commedia) e Andreotto Saraceno. I Pisani dopo una prima esitazione, decisero di attaccare la flotta genovese e si lanciarono sulla
prima linea. Entrambe le flotte erano in formazione a falcata ovvero a mezzo arco. Lo scontro era dunque frontale. I famosi
balestrieri genovesi, al riparo dietro le loro pavesate, tiravano contro i legni pisani, mentre questi tentavano, secondo le tattiche
dell'epoca, di speronare le navi con il rostro per poi abbordarle. Qualora l'abbordaggio non avesse luogo, gli equipaggi si colpivano
con ogni sorta di munizione scagliata da macchine belliche o dalle nude mani, come sassi, pece bollente e addirittura calce in polvere.
Le sorti della battaglia furono decise dopo ore dai trenta legni dello Zaccaria, che piombarono sul fianco pisano, colto completamente
impreparato dalla manovra, ed ignaro della stessa esistenza di quelle galee: fu uno sfacelo di legno, corpi e sangue. Dell'intera flotta
pisana, solo venti galee, quelle comandate dal Conte Ugolino, si salvarono. L'accusa di vigliaccheria, se non di tradimento, non
impedirà al conte di conquistare la signoria de facto e di restare al vertice del governo della città fino alla sua deposizione (1288) ed
alla celebre morte per inedia (1289). Alcuni storici riferiscono che il contingente di rinforzo genovese fosse nascosto dietro l'isolotto
della Meloria (allora un basso scoglio sopra il livello del mare), ma si tratta probabilmente di un fraintendimento, dato che una
squadra navale, anche piccola, non avrebbe assolutamente potuto evitare di essere visto. Secondo un'altra ipotesi le navi sarebbero
state in realtà nascoste alla fonda di un'isola dell'arcipelago.[senza fonte] Un'altra ragione della sconfitta pisana deve essere individuata
nell'ormai obsoleto armamento navale e individuale; le navi pisane, più vecchie e più pesanti, imbarcavano anche truppe armate con
armature complete, nonostante la calura agostana, e durante la lunghissima battaglia i genovesi, muniti di armature ridotte e più
leggere ne furono chiaramente avvantaggiati. La gloria della Repubblica Pisana s'inabissò in quel giorno nelle acque della Meloria
perdendo tra colate a fondo o cadute in mano nemica oltre 49 galere. Tra i cinque e i seimila furono i morti, e quasi undicimila furono
i prigionieri (alcune fonti citano fino a venticinquemila perdite tra morti e prigionieri) tra cui proprio il podestà Morosini, che fu
portato con gli altri a Genova nel quartiere che da allora si sarebbe chiamato "Campo Pisano". Tra i prigionieri anche l'illustre
Rustichello che aiutò Marco Polo a scrivere il suo Milione, nelle prigioni genovesi. Solo un migliaio di prigionieri pisani tornò a casa
dopo tredici anni di prigionia. Gli altri morirono tutti e sono sepolti sotto il quartiere genovese che tristemente porta ancora il loro
nome. La deportazione forzata di tante migliaia di prigionieri, depauperò spaventosamente la repubblica pisana non solo della sua
popolazione maschile, ma anche di gran parte del proprio esercito, lasciandola così indebolita e spopolata da causarne la progressiva
decadenza. In tale occasione, proprio in riferimento all'ingente numero di prigionieri pisani a Genova, nacque il detto " se vuoi veder
Pisa vai a Genova".
Conseguenze Pisa firmò la pace con Genova nel 1288, ma non la rispettò: fatto che costrinse Genova ad un'ultima dimostrazione di
forza. Nel 1290, Corrado Doria, salpò con alcune galee verso Porto Pisano, trovando il suo accesso sbarrato da una grossa catena
tirata tra le torri Magnale e Formice. Fu il fabbro Noceto Ciarli (il cognome è spesso riportato anche come Chiarli) ad avere l'idea di
accendere un fuoco sotto di essa per renderla incandescente in modo da spezzarla con il peso delle navi. Il porto fu raso al suolo e
sulle sue rovine fu sparso il sale, come accadde per Cartagine ai tempi di Scipione, la campagna circostante devastata e saccheggiata.
Con questo evento e, con la definitiva presa della Sardegna pisana da parte Aragonese nel 1324, il potere sul mare di Pisa si spense
definitivamente. Nel 1406 la città fu infine assoggettata da Firenze per la prima volta, ma solo dopo un lungo assedio che si concluse
con la vendita della città da parte del pavido Capitano del Popolo Giovanni Gambacorta. I danni apportati da questi novant'anni di
dominazione fiorentina furono incalcolabili per la città. La grande catena del porto di Pisa fu portata a Genova, spezzata in varie parti
che furono appese come monito a Porta Soprana a Genova ed in varie chiese e palazzi della città fino alla loro restituzione dopo
l'Unità d'Italia (Chiese di S. Maria delle Vigne, S. Salvatore di Sarzano, S. Maria Maddalena, S. Ambrogio dei Gesuiti, S. Donato,, S.
Giovanni in Borgo di Prè, S. Torpede, S. Maria di Castello, S. Martino in Val Polcevera, S. Croce di Riviera di Levante; ponte di S.
Andrea, Porta di Vacca, Palazzo del Banco di S. Giorgio, Piazza Ponticello). Sono attualmente conservati nel Camposanto
Monumentale di Pisa. Uno degli anelli è ancora presente a Moneglia, borgo ligure, che partecipò con sue imbarcazioni alla battaglia.
&ote
1. ^ D. G. Martini - D. Gori, La Liguria e la sua anima, Savona, Sabatelli Editori, 1965.
Voci correlate
• Storia di Genova
• Repubblica di Genova
• Storia di Pisa
• Repubblica di Pisa
• Porto Pisano
• Balestrieri Genovesi
• Medioevo
• Torre della Meloria
• Secche della Meloria
Image ID: 1528883 Cavalieri, militi, balestrieri e fanti della Repubblica di Genova 1300-1339 Italy. Genoa, 878-1684 (1909)
Image ID: 1528884 Il Porto di Genova e la marina della Repubblica al principio del secolo XIV. Italy. Genoa, 878-1684 (14th
century)
Image ID: 1528885 Italy. Genoa, 878-1684 (1510)
Image ID: 1528886 Italy. Genoa, 878-1684 (1905-1906)
Balestrieri genovesi

Affresco di Lazzaro Tavarone presso il Palazzo Cattaneo-Adorno di Genova raffigurante i balestrieri genovesi durante la Presa di
Gerusalemme. part of manuscript showing genoese crossbowmen. From a 15th-century illuminated manuscript of Jean Froissart's
Chronicles (BNF, FR 2643, fol. 165v).

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Distintisi in molte battaglie, sia a difesa della Repubblica di Genova, che come mercenari al soldo di altre nazioni, i balestrieri
genovesi furono uno dei corpi scelti più celebri del Medioevo, essendo stimati e schierati in battaglia da molti eserciti. Utilizzando la
balestra, costruita dai balistai della Repubblica, i balestrieri genovesi potevano essere impiegati sia sulla terra (durante gli assedi, ma
anche in battaglie campali), che durante le battaglie navali come nella battaglia della Meloria e in quella di Curzola. I balestrieri
venivano reclutati da ogni parte della Liguria, e allenati nel capoluogo, dove potevano approfondire l'arte bellica in questa potente
arma, antenato del fucile. Oggi il gruppo storico Compagnia Balestrieri del Mandraccio, con fedeli riproduzioni di vestiti, armi ed
accessori, rievoca periodicamente i fasti e l'abilita' di questo corpo militare.
Organizzazione ed equipaggiamento La regolamentazione del Corpo fu sancita nel XII secolo circa. I balestrieri venivano assoldati
in formazioni chiamate "bandiere", composte da di 20 uomini, comandati da un conestabile, fino a compagnie che potevano arrivare
da qualche centinaio di membri a poche migliaia, con un comandante in capo, in genere un rappresentante di una delle nobili famiglie
genovesi, che era responsabile del loro coordinamento in battaglia. L'arruolamento era di pertinenza di due persone, in genere nobili
anch'esse, che dovevano valutare ogni singolo uomo in parametri come il valore e la sua abilità visiva. Ogni candidato doveva
presentare una garanzia per essere assunto, e il suo garante si impegnava a rifondere la Repubblica in caso di disobbedienza o
diserzione. Tutti i balestrieri assunti giuravano fedeltà alla Repubblica ed erano stipendiati direttamente da essa, con una ferma a
scadenza variabile in genere inferiore ad un anno. Il balestriere genovese utilizzava una balestra a staffa chiamata manesca per via
della sua maneggevolezza che ne consentiva l'utilizzo anche in condizioni di instabilità, come sulla pavesata di una nave (ovvero il
muro di scudi utilizzato per proteggere le fiancate dove stazionavano i balestrieri). L'arma pesava circa 6kg. Gli artigiani che
producevano quest'arma, i balistai (con questo nome vengono però spesso indicati gli stessi balestrieri), furono riuniti in una
corporazione specifica nel XIII secolo. Il balestriere era equipaggiato inoltre con una daga, un elmo leggero in metallo, una gorgiera,
una cotta di maglia e un grande scudo, il pavese, usato come riparo durante le fasi di ricaricamento delle armi, sorretto da uno
scudiero all'occorrenza. Sembra che il tessuto utilizzato per le tuniche dei balestrieri, altro non fosse che l'antenato del moderno jeans
(vedi anche: Genova). Ogni balestriere doveva portare con sé almeno 20 quadrelli a punta piramidale o verrettoni a punta conica,
(con punizioni in caso di mancanza), e ogni galea genovese, in tempi di guerra, doveva avere a bordo almeno quattro balestrieri, i
quali erano esentati dai compiti di bordo. Va ricordato inoltre, che i balestrieri erano sempre alle dipendenze dirette della Repubblica
di Genova, e non potevano costituire compagnie di ventura prive di bandiera. Solo il governo della città poteva autorizzare l'impiego
di queste truppe fuori dai confini della Repubblica di Genova, ed era la stessa ad incassare il denaro derivato dal loro noleggio. Non
si può dunque parlare di loro come mercenari in senso stretto, (si pensi alle differenze con i capitani di ventura del tardo medioevo),
ma più appropriatamente di specialisti militari, anche se la definizione di mercenario è generalmente accettata, per indicare che essi
combattevano non sempre per difendere la propria patria, ma anche al soldo di stranieri.
&ote tattiche Il comandante concordava con il generale il posizionamento delle truppe: era preferibile schierare i balestrieri su un
terreno asciutto (la balestra, per essere ricaricata, andava piantata nel terreno per azionare la manovella o la leva che issava la corda
in posizione), possibilmente sopraelevato e senza ostacoli tra i balestrieri e il nemico; infatti a differenza degli archi che potevano
usufruire del tiro parabolico, le balestra potevano colpire un nemico soltanto in linea retta. Qualora non vi fossero terreni più alti,
spesso i balestrieri dovevano essere schierati in prima fila, per potere colpire. Durante le fasi di caricamento, che a volte richiedevano
più di un minuto, essi si riparavano dietro al grosso scudo pavese, piantato nel terreno o retto da uno scudiero. Questo impaccio
rendeva particolarmente difficile ai balestrieri una brusca ritirata, per cui un condottiero doveva utilizzare questo corpo con perizia
per evitarne la rotta. In genere, dopo alcune scariche di quadrelli, la compagnia poteva ritirarsi con calma nelle retrovie, o venire
oltrepassata da altre truppe terrestri. Dopodiché essa avrebbe potuto ricollocarsi in un'altra zona del campo di battaglia per insidiare
nuovamente il nemico. Spesso i contratti con i balestrieri genovesi erano molto specifici, ed avevano clausole, come il combattere in
determinate condizioni climatiche, o per un certo lasso di tempo. Si malignava che la proverbiale avarizia dei genovesi si
manifestasse anche in questi frangenti, quando i loro comandanti si rifiutavano di combattere per un solo minuto di più rispetto al
pattuito. Non si hanno però notizie certe di questi comportamenti, e anzi la Repubblica li inviò spesso a sue spese in aiuto agli alleati.
Le balestre potevano colpire e uccidere nemici corazzati a distanza di centinaia di metri, fino a 400 (da qui si spiega l'avversione
della nobiltà per quest'arma, che consentiva di perforare anche le pesanti armature della cavalleria), e vedere un vessillo di San
Giorgio elevarsi dal campo di battaglia, costringeva spesso gli eserciti nemici a cambiare strategia per evitare questa minaccia.
Storia Il periodo di massimo splendore di questo corpo militare andò dal XII al XVI secolo. Il primo banco di prova sulla scena
internazionale fu probabilmente nella prima Crociata, quando il comandante del contingente genovese Guglielmo Embriaco detto
"Testadimaglio" li utilizzò nell'assedio di Gerusalemme, per eliminare i pericolosi arcieri mammelucchi, prima di utilizzare due torri
d'assedio, costruite con il fasciame delle stesse navi che i genovesi avevano utilizzato per giungere in Terra Santa. L'impiego di
balestrieri alle dipendenze non dirette della Repubblica, e quindi come truppe mercenarie, risale come primo evento al 1173. Il
marchesato di Gavi ottenne con un contratto, alcuni balestrieri a scopo difensivo. Nel 1225 la città di Asti noleggiò 120 balestrieri, tra
cui 20 a cavallo, da utilizzare nella guerra contro Alessandria Numerose furono le rappresaglie di alcuni monarchi, dovute alle
ingenti perdite che subivano le loro truppe ad opera dei balestrieri, ma non solo: l'imperatore Federico II di Svevia fece mutilare i
prigionieri perché non potessero più tirare. Federico era furente per via di una sortita che nel 1247 aveva visto protagonisti 600
balestrieri che avevano in tal modo rotto l'assedio imperiale di Parma. Il più largo impiego dei balestrieri al soldo straniero si ha nella
guerra dei cent'anni. Durante tutto il suo corso, Genova seguì le sorti del Regno di Francia, e ne condivise le amare sconfitte iniziali a
caro prezzo. Durante la battaglia di Crécy (1346) , un certo numero (2000-6000 secondo diverse fonti) di balestrieri liguri furono
schierati dai francesi in prima linea, nonostante l'opposizione del loro comandante. Colpiti dalle frecce lanciate dal poderoso arco
lungo inglese, arma di gittata non superiore alla balestra, ma che non era di caricamento così lento, e vista la difficoltà di combattere
dopo una forte pioggia (le corde delle balestre erano fradice), il comandante dei balestrieri, Ottone Doria, fece ritirare le sue truppe:
la manovra fu accolta come segno di diserzione dal re Filippo VI di Francia che mandò i suoi cavalieri alla carica, nella speranza di
colpire velocemente gli arcieri inglesi, non curante dei balestrieri genovesi sul tragitto della cavalleria. Per di più la retroguardia
francese era formata da coscritti senza alcuna esperienza, che spinsero ulteriormente i cavalli, fino a travolgere ed uccidere la quasi
totalità dei balestrieri, compreso il loro capitano. Gli inglesi approfittando del caos generato, vinsero rapidamente la battaglia, che si
concluse col massacro dei transalpini. Esiste un'altra versione di questo fatto, nella quale Re Filippo avrebbe volutamente caricato i
genovesi in ritirata, considerandoli dei traditori. La vicenda tuttavia non appare chiara: sia il numero dei balestrieri in campo, sia
l'atteggiamento del monarca francese, varia da pubblicazione a pubblicazione. In ogni caso, a salvare le sorti della Francia ci provò
anni dopo Giovanna d'Arco. Nonostante questa sconfitta (che dipese in ogni caso dai gravissimi errori tattici francesi), i balestrieri
genovesi rimasero utilizzati come mercenari fino a circa due secoli dopo l'introduzione della polvere da sparo. L'arco lungo,
nonostante la sua ampia gittata e potenza, richiedeva un addestramento di anni per potere essere usato al meglio (difatti alcuni
monarchi inglesi ne promossero l'uso fin dalla tenera età), mentre era sufficiente relativamente poco tempo per padroneggiare l'uso
della balestra. Questa caratteristica non da poco fece sì che l'arco lungo fosse usato esclusivamene da inglesi e gallesi, mentre il resto
degli eserciti europei continuò ad affidarsi alla balestra. Infine, verso la metà del 1500, la balestra, come l'arco, vennero
definitivamente abbandonati dai tutti i campi di battaglia europei (sebbene l'arco rimase usato ancora nei paesi mediorientali); queste
armi furono sostituite dagli archibugi e più tardi dai moschetti; il loro uso venne riservato esclusivamente alla caccia, e il tramonto
della balestra, segnò anche quello del vetusto corpo militare genovese.
I balestrieri nei videogiochi I balestrieri genovesi sono presenti come unità reclutabili nel videogioco Medieval II: Total War. Per
ragioni di gameplay, la città di Genova e questo tipo di unità sono incluse nella fazione di Milano. Alcune modificazioni apportate da
appassionati di videogame a giochi come The Sicilian Vespers hanno successivamente ricreato la fazione genovese inserendola
correttamente nel contesto del gioco. Non si tratta della prima imprecisione storica della software house The Creative Assembly: nel
primo gioco della serie (errori spesso dovuti sempre ad esigenze di gameplay), i genovesi erano inclusi in una fazione chiamata Gli
Italiani, che includeva geograficamente tutto il nord Italia, ma erano chiamati genoese sailors, ovvero marinai genovesi, ed armati
con l'arco invece della balestra. Nel videogioco strategico "Knights of Honor", la fazione genovese ha la capacità di produrre
balestrieri leggeri e pesanti in tutte le città conquistate. In altri videogiochi dove è possibile impersonare la Repubblica di Genova,
come nella serie "Europa Universalis", non sono invece presenti.
Voci correlate Balestriere Balestra Compagnia Balestrieri del Mandraccio Prima crociata Repubblica di Genova Guglielmo
Embriaco Medioevo Storia di Genova Battaglia di Crecy
Bibliografia
Per approfondire, vedi la voce Bibliografia su Genova.
Collegamenti esterni I condottieri di ventura Storiain.net: I balestrieri, arma letale Genova: Balestrieri del mandraccio I
balestrieri della Repubblica di Genova alla battaglia di Crecy David &icolle: Failure of an Elite - The Genoese at Crécy

Compagnia Balestrieri del Mandraccio


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La Compagnia Balestrieri del Mandraccio di Genova, associazione storico-culturale senza fini di lucro, è nata nel 1987 dalla
passione di alcuni amici per le tradizioni della gloriosa Repubblica di Genova; la finestra rievocativa copre dall’XI al XV secolo con
particolare attenzione ai periodi 1250-1300 e 1350-1400. La Compagnia Balestrieri del Mandraccio conta oggi un numeroso gruppo
di soci che continuano le indagini studiando su fonti antiche per riprodurre più fedelmente possibile gli abiti, le armi e gli accessori
utilizzati in passato, con lo scopo di divulgare tradizioni usi e costumi in auge nel genovesato. Le ricerche della Compagnia hanno
particolare riguardo alla figura del balestriere genovese, soldato temuto e ricercato in tutta Europa durante il periodo di splendore
della Repubblica di Genova. I balestrieri della Compagnia ripropongono questa antica arte, costruendo fedeli riproduzioni della
balestra medievale genovese detta "manesca", caratterizzata dal ridotto ingombro e dall’assenza di dispositivi di mira. Tali
riproduzioni vengono utilizzate in dimostrazioni di tiro, palii e ricostruzioni di battaglie. Gli armati della Compagnia propongono
spettacolari duelli e scontri con spade, coltelli, alabarde, mazze, asce, scudi e bastoni secondo lo stile della "scrima" italiana che è
stato ricostruito da testi d’epoca. Allo scopo di aumentare la spettacolarità e la filologicità la Compagnia ha introdotto l'uso in
manifestazione della tripartizione dell'esercito medioevale; formazione molto usata nel XIII secolo formata da una fila di pavesari,
una di lanceri e una o due di balestrieri. Per rendere appieno il senso della vita quotidiana medievale, da diversi anni la Compagnia
sta sviluppando un progetto incentrato sul recupero di alcune arti e mestieri del Medioevo, con particolare riferimento, ove possibile,
al contesto genovese. (vedere la sezione dedicata alle Botteghe ). La Compagnia partecipa a manifestazioni a carattere locale,
nazionale ed internazionale. La Compagnia è anche chiamata ad organizzare manifestazioni di intrattenimento a scopo benefico in
istituti per anziani o disabili. La prestigiosa sede della Compagnia e‘, a due passi dall’Acquario, la Casa del Boia uno degli edifici
più antichi del centro storico genovese. Nel 1990 il Ministero dei Beni Culturali ha affidato questo monumento di interesse nazionale
ai Balestrieri del Mandraccio, che dopo due anni di lavori autofinanziati, lo ha restaurato in ogni sua parte e riarredato nello stile
medievale. La "Casa del Boia" è stata resa cosi‘ fruibile alla città e visitabile la prima Domenica di ogni mese dalle 15,00 alle 18,30
(salvo manifestazioni concomitanti) oppure su appuntamento per comitive o scolaresche. Al suo interno il pubblico puo‘ visionare il
piccolo ma completo “museo” di armi e abiti fedelmente riprodotti ed ascoltare le informazioni di carattere storico date dai soci in
abito dell’epoca (vedere la sezione dedicata a La Casa del Boia ). Nel 2001 la Compagnia è entrata a far parte del C.E.R.S.
(Consorzio Europeo Rievocazione Storica), intensificando cosi' il proprio cammino di ricerca su usi e costumi nella Genova
medievale. Nel 2003 la Compagnia ha sottoscritto il Regolamento Italiano per la Rievocazione Storica che è composto da un
insieme di norme chiare e semplici per sancire quali debbano essere i requisiti principali per una valida attività di rievocazione
storica; regolamento che ha quindi l'intento di tutelare l’azione dei gruppi che operano nel campo della rievocazione storica
attraverso la massima valorizzazione delle tradizioni storico-culturali italiane, rispetto a quanti propongono errati e superficiali
spettacoli di semplice intrattenimento del tutto svincolati da criteri di rigore e veridicità.
Organizza quindi manifestazioni ed eventi che divulgano e mantengono vivi usi e costumi di quell'epoca nel genovesato.
Collegamenti esterni Sito della Compagnia Balestrieri del Mandraccio

David &icolle

Failure of an Elite - The Genoese at Crécy


July 1, 2000 12:00 AM
The most widespread version of the battle of Crécy in the English speaking world describes the battle as a victory of steadfast
English longbowmen over hopelessly outclassed Genoese crossbowmen, after which the dismounted English defeated wave after
wave of overconfident French mounted knights. There is truth in this bald and oversimplified account, but what is rarely recognized
is the fact that, until the battle of Crécy, Genoese crossbowmen were an internationally recognized infantry élite. How, then, did they
come to fail against English infantry archers who, until Crécy, had little reputation beyond their own frontiers?
The most well-known infantry in Philip VI's army in 1346 were, of course, those Genoese. Like so many troops recruited from
regions just beyond the frontiers of medieval France, they have usually been described as mercenaries. In fact this is very misleading.
Most non-French troops in King Philip's army came from regions or countries which had close political or dynastic connections with
the French monarchy. Genoa was an ally of France, while most of the men responsible for recruiting the famous Genoese
crossbowmen, their pavesarii shield-bearers and the naval fleet in which they initially served, had long experience of serving the
French crown. Nor were the Genoese ever referred to as forming companies; in other words ready-formed mercenary units. Even
those mid-14th century French units which were called companies largely stemmed from, or were recruited by, the lords of regions
closely associated with the French crown.
France's weakness in archery had been recognised well before the battle of Crécy. In 1336 King Philip recruited crossbowmen in
Brabant in what is now Belgium. In 1345 he tried to do the same in Aragon but from then on French recruiting agents largely
concentrated on Italy, which had long been recognized as the main source of qualified crossbowmen in Europe, for service both on
land and at sea. At this time neighbouring Provençe, in what is now south-eastern France, lay within The Empire, as did Italy. To
some extent it was regarded as just another part of the politically fragmented southern part of The Empire, as was most of Italy itself.
Provençe was also just as significant a source of crossbowmen as was neighbouring Genoa.
Italian and Provençal crossbowmen had served in French armies since at least the early-14th century, and the so-called Genoese in
French service at the time of Crécy came from many places, apart from Genoa itself. Italy and England were in fact the two parts of
medieval Europe where archery played the most significant military role. But the reasons for this were different, as were the weapons
involved – crossbows and longbows respectively. Practice with the crossbow was an obligation for men throughout much of Italy,
both urban and rural. Consequently there were many qualified crossbowmen around. Italy was also the most densely populated part
of medieval Europe, having a notably large urban population.
The crossbow had already been responsible for a revolution in naval warfare in the 13th century, and partly as a result of this the
Italians had dominated trade and warfare in the Mediterranean. They were also a force to be reckoned with in the Atlantic and
northern seas. Their galleys carried large fighting crews and these 'marines' were used as a reserve of infantry for warfare on land. In
such cases the men would probably only have used their lighter crossbows, though many galleys carried both light and heavy
versions of this weapon. In 1340, for example, a large Genoese galley in French service carried 40 ballistae and it was normal for
there to be around 100 quarrels or arrows for each crossbow.
Though the men came from many different places, their leaders were mostly northern Italian and included individuals who had
considerable military experience. The same was true of the galley captains, who were very highly paid and had been promised half
the booty taken. According to the 1346-7 archives of the relatively newly-built Clos des Galées naval arsenal in Rouen, Normandy, a
galley called the Sainte Marie had as its master a certain Crestien di Grimault, a member of the famous Grimaldi family. The galley
had a crew of 210 men, consisting of 1 comite, 1 souz comite, 1 clerk, 1 under clerk and 205 crossbowmen and sailors, plus the
master, owner or captain. This ship left Nice in Provençe on 24 May 1346 and was contracted to serve until October (161 days) for
900 gold florins per month plus 30 florins per extra day, totalling 4,830 florins in all.
It is not clear how these men were organized when serving on land, as they clearly did, but presumably those from a single ship
would remain together. Perhaps they formed the equivalent of an Italian gonfaloni urban militia unit, with their naval officer standing
in for a militia officer. The ordinary gonfaloni militia unit seems, however, only to have been around 50 men, whereas a war-galley
had a much larger crew. Another model could be the mercenary bandi units which were operating around places like Lucca in the
1340s. These, like a militia gonfaloni or a galley's marines, included both crossbowmen and their shield-carrying pavesarii. The latter
were also sometimes referred to as spearmen, since this was their main weapon. It was used in a defensive manner, rather like a pike.
Records from late-13th century Venice refer to such weapons as being five metres long with shafts of ash or beech, and with hooks
added for use at sea.
Since there were usually more than three crossbowmen for each pavesari it would seem that the crossbowmen took turns to shoot
from behind the cover provided by the pavise shields or mantlets held by the pavesarii. Each man would then step back to span and
load his weapon before returning to shoot. This would also have solved the problem of elbow room caused by the fact that a
crossbow was held laterally while being shot. If this was in fact the Genoese crossbowmen's proper battlefield tactic, then their
failure at Crécy becomes much easier to understand. Here they were clearly operating without their pavise mantlet-shields. It was
traditional for Italian crossbow 'teams' to place their bows and pavises in baggage carts or on mules while on the march. At Crécy the
crossbowmen had their crossbows but the pavises were indeed in the baggage waggons. Quite what the pavesarii were expected to do
when the Genoese infantry were ordered forward at Crécy is unknown, though the written sources do mention spearmen advancing
together with the crossbowmen.
Here it is perhaps worth mentioning that, during this period, true light infantry were not a feature of Italian armies. The famous
Saracens of Lucera had been forced to convert to Christianity and had virtually disappeared from the military scene half a century
earlier. The only light infantry around were a handful of Aragonese mercenaries, though there were also numerous low status ribaldi
or 'ruffians.' Their role was primarily to devastate enemy agriculture rather than to fight in a battle.
Crossbowmen, whether Genoese or otherwise, were essentially a static, or at least a defensive, form of infantry. King Philip's
decision to send them forward against the English at Crécy, particularly as they were sent without their pavises, strongly suggests that
the men in command of the French army during this battle had no real idea of how to use what were at that time regarded as the finest
infantry in Christian Europe. The failure of the Genoese crossbowmen and their other infantry at Crécy was relatively brief and easily
explained. They were used to forming part of disciplined and structured armies in which they would be closely supported by equally
professional cavalry. Not surprisingly, therefore, the Genoese were not keen on advancing without proper preparation, without their
pavises and without adequate reserves of ammunition from the supply waggons. Furthermore, they would be attacking at the end of a
long day's march with the setting sun directly in their eyes. Their officers complained to the Count of Alençon, to whose battle or
division they appear to have been attached, but were ignored.
So the Genoese formed up under the immediate command of Ottone Doria, probably slightly to the left of the centre of the French
position, with the Prince of Wales' battle or division as their nearest target. The 2,000 to 6,000 Genoese were, of course, greatly
outnumbered by the opposing English longbowmen; perhaps even being outnumbered by the closest archers in the Prince of Wales'
division alone. With a sound of trumpets and drums the Genoese crossbowmen and their accompanying spearmen moved forward in
three stages, each pause being signalled by a shout which would have rippled along the Genoese front as the order was passed from
unit to unit. This enabled the foot soldiers to remain in formation and to adjust their dressing at each pause. Their role was to get
close enough to break up the enemy line with crossbow fire, whereupon the French cavalry would charge and take advantage of any
weakness in the English front. In fact, the Genoese only seem to have shot their crossbows the third time they halted, when they were
about 150 metres from the Prince of Wales' battle.
Later legend recalled two great black crows which flew over the battlefield as the infantry advanced. More significant was a sudden
and apparently intense shower of rain - the first in six weeks – which made the ground slippery. The bottom of the Vallée des Clercs
remains very muddy, even a day after rain, for at least 250 metres from its junction with the river Maye. More importantly, the
shower soaked the strings of the Genoese crossbows, making them stretch and thus lose power. The near contemporary chronicler,
Jean de Venette, clearly stated that the English longbowmen took the strings from their bows and kept them dry beneath their
helmets. This, however, could not be done with a crossbow which required a powerful piece of machinery to be unstrung and
restrung. The rain accounts for the ease with which the crude but effective longbows of the English archers outranged their
opponents.
In ordinary circumstances the only advantages that a longbow had over its more sophisticated opponent was the rapidity with which
it could be shot, and its ability to rain heavy arrows from high trajectory. In terms of accuracy, range and penetrating power, the
advantage should have lain with the Genoese crossbows. When the Genoese did shoot they had to do so uphill with a low sun either
in their eyes or slightly to their left. This was a particular disadvantage for men who aimed directly at their targets rather than
dropping arrows on them in showers. As they loosed their weapons the Genoese were almost simultaneously hit by an arrow storm
shot by archers in the Prince of Wales' division. A few English cannon apparently added to the noise, terror and casualties. Froissart
stated that the cannon made 'two or three discharges on the Genoese' but this must mean individual shots by two or three guns since it
was not possible to reload such primitive weapons any faster. Villani, another contemporary chronicler, agreed that their impact was
considerable, though he also indicated that the guns continued to fire upon French cavalry later in the battle: 'The English guns cast
iron balls by means of fire ... They made a noise like thunder and caused much loss in men and horses ... The Genoese were
continually hit by the archers and the gunners ... [by the end of the battle] the whole plain was covered by men struck down by
arrows and cannon balls.'
Without their pavises and outranged by their opponents the Genoese infantry suffered severe losses, wavered and then streamed back.
At this point they are said to have been attacked by the French cavalry who were supposedly supervising them. It is unlikely that the
Genoese officers did not understand why the crossbowmen broke, but it does seem that the Count of Alençon or some of his advisors
concluded that the Italians had been bribed into betraying King Philip. Again according to Jean de Venette, some French knights
attacked their own infantry; 'though all the while the crossbowmen were excusing themselves with great cries.' The fact that the
English shot further volleys into this confusion suggests that the cavalry in question had been riding close behind the Genoese during
their initial advance.
The idea that Philip VI would have intentionally ordered his horsemen to ride down the broken Genoese is inconceivable, as it would
have ruined the momentum of the French cavalry charge – their primary battle winning tactic. Clearly, however, the men-at-arms
took no care to avoid their scattered infantry and caused additional casualties as they rode over them, while some of the Genoese may
have shot back with their crossbows. English archers loosed further volleys of plunging arrows into the confusion when the French
came into range and many Genoese are said to have been wounded by falling horses.
Why then did the Genoese crossbowmen's own leaders agree to such a disastrous tactic, or did they have no say in the matter? One
reason might lie in the relatively low status of their commanders. These were not members of the senior French nobility. Nor, in fact,
were they even members of the highest echelons of the nobility of the neighbouring Empire. They may have been highly experienced
and professional soldiers, but to those who commanded the French army at Crécy they were probably 'mere soldiers' and, because of
their characteristic involvement in naval piracy, barely gentlemen.
by David Nicolle
Further reading
Allmand, C. T., The Hundred Years War, England and France at War c.1300-c.1450 (Cambridge 1988)
Allmand, C. T., Society at War, The Experiences of England and France during the Hundred Years War (revised ed. Woodbridge
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tenu a Calais en Septembre 1974 (Calais 1977) 29-44
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