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LA BATTAGLIA
RESPONSABILITA’
Nave Sydney
A sinistra: - Idrovolante sulla catapulta.
A destra: il fumaiolo colpito da un proietto del Bande Nere
Archivio Museo Australian War Memorial
Il giorno 17 luglio alle ore 09,30, Supermarina 2 ordina alla Seconda Divisione
di predisporsi per la partenza e trasmette all’Ammiraglio Casardi il messaggio:
“SEDICI TRASMISSIONI ERRATE”. Ciò significava che la partenza doveva
intendersi il 17 con destinazione Leros senza eseguire il previsto
bombardamento di Sollum.
Un successivo messaggio ordina:
«Ore 21,00 del 17 luglio partenza da Tripoli. Transito a 30 miglia a nord di
Derna alla velocità di 20 nodi; passaggio tra Cerigotto (Andikithira) e Creta.
Assicurazione ricognizioni aeree garantite da Egeomil 3. »
Arrivo a Portolago (Lakki) 19 luglio alle 14,30.»
Rotte alternative
IN NAVIGAZIONE
Un marinaio racconta:
«18 luglio 1940. La notte scende tranquilla. Davanti a noi la nera sagoma del
“Bande Nere” fende la linea d’orizzonte. Il profondo silenzio è rotto dalle onde
1
Portolago, oggi Lakki, base navale a Leros
2
Supermarina, Comando Supremo Marina. Roma
3
Egeomil, Comando Militare dell’Egeo – Rodi - Dodecaneso
che si infrangono, rompendosi contro la prora, e scivolano poi sui fianchi per
essere inghiottite dal mare.
Le ore suonano lente al cambio delle guardie. Uno scambio d’ordini, un
concitato salutarsi, un accordo per la prossima franchigia a Rodi, un affrettarsi
di passi e poi un vigile silenzio, silenzio di guerra.
E’ l’alba del 19 luglio e la nave si ridesta con i soliti rumori, là in fondo, la
linea di orizzonte è coperta da una densa foschia. Un’altra giornata ci attende
ma, all’improvviso, uno squillo di tromba lacera l’aria, seguito da un secco
comando “Posto di combattimento”. In un attimo siamo ai nostri posti: vigili, tesi,
pronti ai comandi.
Due caccia corrono sul filo d’orizzonte, le nostre batterie aprono il loro
frastuono di morte, la nave corre sicura sull’onda, ma da lontano giunge un
assordante boato, mille treni sferragliano sulle nostre teste, la morte risponde
alla morte, gli ordini sono gli stessi sui due fronti “Fuoco – Fire”. I boati si
susseguono forieri di distruzione ma dalle nostre bocche esce un grido di
rabbia.
La nave si è fermata, il suo cuore dilaniato ha cessato di battere; la morte
inizia a giocare la sua macabra danza nel verde prato delle nostre giovinezze
[…]
Dalla plancia, il comandante Novaro, nonostante sia ferito gravemente, si
prodiga per la salvezza dell’equipaggio e lancia il suo rauco grido di dolore “si
salvi chi può”, mentre la nave si inabissa con la bandiera spiegata. Era deciso a
rimanere al suo posto ma alcuni ufficiali gli infilarono, a forza, un salvagente e
lo spinsero in mare. […] Intanto la nave come creatura viva, si piega su un
fianco e scivola lentamente nell’abisso. »
Il
ALESSANDRIA D’EGITTO
«Il 18 luglio 1940, alle 4 del mattino. Ero a bordo del Sydney al comando del
Capitano J.A. Collins e salpammo insieme al cacciatorpediniere Havock da
Alessandria d’Egitto. Avevamo l’ordine di dare supporto alla flottiglia di
cacciatorpediniere Hyperion, Ilex, Hero ed Hasty impegnati nella caccia di
sottomarini nemici nelle acque di Creta e distruggere il naviglio nemico diretto
o proveniente dal Dodecaneso. Si sapeva che una nave avversaria era in
navigazione in quell’area. La flottiglia prese il mare poco prima di noi.
Avevamo trascorso un giornata priva di preoccupazioni. Sembrava che
stessimo in crociera nel Mediterraneo con i nostri cannoni. Alle 21,30
costeggiavamo il Dodecaneso. Era il punto più pericoloso per gli attacchi degli
aerei presenti negli aeroporti di quelle isole. Non accadde nulla. Le navi
procedevano zig-zagando per proteggersi dagli attacchi dei sottomarini. La
notte trascorse tranquilla.
Al mattino, ero appena andato a far colazione, giunse dall’Hiperion il
messaggio che annunciava l’avvistamento di due navi nemiche. Erano le 08,00
del 19 luglio. La scoperta reciproca delle navi sarebbe potuta avvenire ancor
prima se gli incrociatori si fossero serviti degli idrovolanti in dotazione per la
ricognizione. Il Sydney si trovò nell’impossibilità di farlo perché il suo aereo,
colpito nell’azione a Bardia, non era stato sostituito; da parte italiana un
prigioniero riferì che verso le 6 di quel mattino ci fu un tentativo di catapultare
un idrovolante ma l’operazione non riuscì a causa del suo malfunzionamento.
Alle 08,27 i due incrociatori nemici passarono dalla formazione in linea a
quella affiancata per poter utilizzare tutte le armi di bordo; aprirono il fuoco con
i cannoni da 6“alla distanza di 17.400 metri su due dei nostri cacciatorpediniere
più vicini a loro. Le nostre navi, anziché accettare il duello, invertirono la rotta
dirigendosi nel golfo di Atene per avvicinarsi a noi.
In questa prima fase del combattimento gli incrociatori italiani ebbero la
possibilità di sparare mantenendosi fuori portata dei cannoni delle nostre navi.
Queste, infatti, risposero al fuoco ma il tiro era corto; lanciarono anche dei siluri
che non raggiunsero l’obiettivo perché erano a distanza superiore della loro
gittata, intorno a 18.000 metri. Anche da parte italiana il tiro aveva scarsa
efficacia; con il sole abbagliante di fronte, le operazioni di punteria risultavano
difficoltose. Intanto le distanze si accorciavano perché i nostri
cacciatorpediniere erano più veloci, 35 nodi circa; le navi italiane navigavano a
32 nodi, quasi al massimo delle loro possibilità.
Tracce delle rotte delle navi impegnate nella battaglia di Capo Spada.
Archivio del Museum of the Australian War Memorial