Sei sulla pagina 1di 32

Das ist die Sehnsucht: wohnen im Gewoge

Und keine Heimat haben in der Zeit.


Und das sind die Wünsche: leise Dialoge
täglicher Stunden mit der Ewigkeit.

r.M. rilke2

§ 1. Arte e modernità

L’arte è e rimane per noi “ein Vergangenes”,


qualcosa di passato, con buona pace di chi
rimpiange i bei giorni perduti dell’arte greca:
essa, infatti, non soddisfa più “unser höchstes
Bedürfnis”, il nostro bisogno più alto.
È con queste poche parole che Hegel,
alle prime luci del ‘nuovo’ mondo tecnico-
scientifico, annuncia alla Modernità la
‘morte’ dell’arte – un annuncio spesso
frainteso nel suo significato profondo, quasi
come se si trattasse di una ‘necessità’ tutta
interna al sistema filosofico di un filosofo.
Nulla di più fuorviante. Questo ‘evento’,

2. “Questa è la nostalgia: abitare tra i flutti / e non


avere dimora nel tempo. / E questi sono i desideri:
lievi dialoghi / di quotidiane ore con l’eternità”,
rainer Maria rilke, Frühe Gedichte.
Federico Nicolaci

avverte lo stesso Hegel, non va interpretato


affatto come un “zufälliges Unglück”, una
disgrazia accidentale, e men che meno come
una forma di “corruzione” dei tempi, legata
all’affermazione della società borghese e
al sopravvento dei suoi piccoli e limitati
interessi, che impedirebbero all’uomo di
elevarsi verso i più alti scopi dell’arte.
tale ‘esito’ deve essere letto, invece, in
congiunzione con un “rivolgimento” che
investe le strutture portanti e i tratti stessi
del “tempo nuovo”, l’età moderna. Il fatto è
che le fondamenta della nostra epoca (“die
Neuzeit”), spiega Hegel, si sono posate su un
terreno più profondo, in confronto a quello
su cui posavano le epoche passate, quando
l’arte rappresentava ancora la forma suprema
con cui gli individui e i popoli si portavano
a coscienza del vero, dell’assoluto. Questo
terreno più profondo è, secondo Hegel, il
pensiero.
“Il pensiero e la riflessione hanno reso
la bella arte qualcosa di oltre-passato”.
E non c’è nulla da fare: noi non possiamo
fingere che l’arte sia per noi davvero il
modo supremo di essere e divenire coscienti
del divino, come invece accadeva presso
le civiltà passate3. Neanche isolandoci dal
3. E per questo, nota Hegel, non possiamo più
metterci a dipingere e rappresentare Santi e Madonne
con vera serietà.

34
Smisurata ou-topia

mondo potremmo ricreare artificialmente una


forma di solitudine “capace di ripristinare
ciò che è perduto”: la “formazione spirituale
del nostro tempo”, infatti, è tale che l’artista
si trova “immerso all’interno di questo
mondo della riflessione”, da cui non può
decidere di astrarsi – chi, infatti, potrebbe
pensare di “saltare giù” dal proprio tempo?
E ‘respirando’ questa centralità del pensiero,
spiega Hegel, l’artista è a sua volta indotto
a introdurre, nel suo produrre artistico,
“sempre più pensieri”.
Cosa significa che l’artista è spinto oggi, a
introdurre nel suo lavoro sempre più pensieri?
Forse che l’arte delle epoche passate, a
differenza di quella moderna, fosse priva di
pensiero? Nient’affatto. L’arte è come tale
una forma di pensiero: solo l’uomo, che è
essenzialmente colui che pensa, può produrre
e rimanere colpito dalle opere d’arte.
Ma se l’arte è una forma di pensiero, come
può Hegel suggerire che l’arte sia qualcosa di
oltrepassato dal pensiero stesso?
Solo sul presupposto, sul quale
‘poggia’ l’intera filosofia hegeliana, che la
determinazione suprema del ‘pensare’ sia il
‘sapere concettuale’: ovvero, che il “modo
supremo di essere coscienti del divino” sia
il suo dis-velamento concettuale. Poiché
però l’arte non può cogliere e concepire
‘scientificamente’ il vero – questo il senso del
35
Federico Nicolaci

discorso di Hegel – essa è destinata oggi ad


essere ‘superata’ dal sapere concettuale, con
cui l’uomo non si limita a intuire il vero, ma
a com-prenderlo e svelarlo. Questo sapere
(wissen) è la scienza (Wissenschaft).
Gli artisti, ha cioè intuito Hegel, sono
destinati ad avvertire tutta l’impotenza
dell’arte rispetto alla potenza del “concetto”
e a ‘rifletterla’ nelle loro opere, che finiscono
per esprimere, in fondo, sempre lo stesso:
la consapevolezza della perdita di centralità
dell’arte in quanto forma di pensiero
non-scientifico e il primato del pensiero
concettuale.
Questo noi non lo leggiamo solo in Hegel,
ma lo ‘vediamo’ con cristallina trasparenza
proprio nelle produzioni dell’arte moderna:
è impossibile, per esempio, comprendere
l’evoluzione dalla pittura di Cézanne, mossa
ancora da una ricerca della ‘cosa’ tutta interna
al piano ‘artistico-raffigurativo’, al cubismo
senza far riferimento alla fondamentale
influenza che ebbe su artisti come Picasso la
rivoluzione concettuale rappresentata dalla
teoria della relatività, sviluppata in quegli
stessi anni da Albert Einstein; il cubismo, con
la sua scomposizione spazio-temporale della
realtà, ‘deve’ essere spiegato come il tentativo
da parte degli artisti di tenere testa all’ormai
indiscutibile primato della scienza, mostrando
‘artisticamente’ ciò che il sapere concettuale
36
Smisurata ou-topia

aveva da parte sua compiutamente ‘svelato’


ed espresso in theoria.
da qui la tendenza dell’arte, profetizzata da
Hegel quasi due secoli fa, e oggi pienamente
compiuta, a farsi sempre più concettuale.
ovvero simbolica: arte, cioè, in cui significato
e forma tornano, proprio come nell’arte
primitiva, ad essere esterni l’uno all’altra,
con la differenza che adesso è “la soggettività
dell’artista a comandare sulla materia”, a
imporre ad essa “il suo significato”.
Ma nel momento in cui la forma artistica
tende a farsi solo più simbolo di un ‘pensare’
che l’artista vi introduce nei modi più
indifferenti, non solo – avverte chiaramente
Hegel – l’opera d’arte finisce per divenire “nur
ein Spiel mit den Gegenständen”, soltanto
“un gioco con gli oggetti”, in cui “il soggetto
creatore dà a conoscere e manifesta in realtà
solo se stesso”4, ma anche “l’impressione”
4. “L’esser vincolati a un contenuto specifico e a una
modalità di rappresentazione adatta solo a questa
materia costituisce per gli artisti odierni qualcosa
di passato, di modo che l’arte si è trasformata in
un libero strumento che l’artista può impiegare
ugualmente in base alla misura della propria abilità
soggettiva nei confronti di ogni contenuto, di
qualunque tipo esso sia. L’artista si pone quindi al di
sopra delle forma determinate e delle configurazioni
consacrate, muovendosi libero per sé, a prescindere
dal contenuto e dalle configurazioni nelle quali il
sacro e l’eterno si trovavano in precedenza di fronte

37
Federico Nicolaci

(der Eindruck) che questa produce su di noi


“è di tipo particolare” ed esige “una più alta
pietra di paragone”: esige di essere misurata
dal pensiero.
L’impressione di cui parla Hegel la possiamo
‘confermare’ osservando una tela di Kandinskij,
ma soprattutto ascoltando la “nuova musica”,
ovvero quella seriale: una musica ‘perfetta’
sulla carta (e per questo anche chiamata
“Augenmusik”, musica per gli occhi), ma il
cui ascolto risulta di per sé privo di significato
per chiunque, eccetto, come ricorda Adorno,
per l’ascoltatore “perfettamente consapevole”,
capace di seguirne concettualmente lo
svolgimento (ovvero la perfetta corrispondenza
a una norma esteriore arbitrariamente
autoimposta). Una musica che, ‘incorporando’
una concettualità estranea al fare musicale in
quanto tale (qui non ci interessa dire di più),
esige, per ammissione dei suoi stessi ‘teorici’,
“una più alta pietra di paragone”.
Cos’altro rimane infatti da rappresentare
all’artista ‘moderno’, pacificamente
consapevole di vivere in un mondo segnato dal
dominio del concetto? Solo il fatto che non c’è
davvero nient’altro all’infuori del concepire
alla coscienza. Nessun contenuto, nessuna forma
si trova più in identità immediata con l’interiorità,
con la natura, l’essenza sostanziale ancora priva di
coscienza dell’artista”, (Hegel, Estetica, Bompiani
2012, p. 1533).

38
Smisurata ou-topia

dell’uomo. L’uomo è divenuto “tristemente”


consapevole che il pensiero (“il concetto”)
‘può’ tutto, perché tutto, anche dio, ‘ricade’
nel pensiero: nessuna ‘alterità’ rispetto al
pensiero. Solo per questo non c’è più altro da
rappresentare, per l’artista moderno, se non la
coscienza della propria incondizionatezza.
risulta dunque chiaro perché, secondo
Hegel, i prodotti dell’arte che ‘riflettono’
questa consapevolezza “sollecitino il nostro
giudizio”. da questo punto di vista, l’arte
moderna ‘richiede’ di essere spiegata
concettualmente non perché gli individui
siano incapaci di fare un’esperienza artistica
(ovvero non concettuale!) delle opere d’arte,
ma proprio perché nel produrle gli artisti
hanno voluto ‘rappresentare’ qualcosa
che solo la riflessione può compiutamente
‘dire’: la certezza, cioè, dell’uomo divenuto
consapevole, nel sapere, di essere “libero” da
ogni presupposto, ovvero l’unica realtà.
Il senso dell’annuncio hegeliano della
“morte dell’arte”5 sta, in effetti, tutto qui:
l’arte muore non perché non si producano più
opere d’arte, ma perché queste, in un epoca
in cui dominante è un modo di comprendere
il vero come ciò che la scienza assicura al
dominio del soggetto, finiscono per essere
5. L’espressione non si trova nelle lezioni di Hegel,
ma ben esprime, comunque, l’idea dell’arte come di
qualcosa di oltrepassato.

39
Federico Nicolaci

nient’altro che ‘eco’ di una consapevolezza


che può trovare vera e compiuta espressione
solo nella “riflessione” – e cos’è per lo più
l’arte contemporanea se non un tentativo
‘imperfetto’ di presentare in forma sensibile ciò
che in realtà può essere espresso (manifestato!)
compiutamente non dall’opera d’arte, ma solo
dal discorrere riflessivo e concettuale?
Quasi come se gli artisti, in un mondo
dominato dalla scienza, non potessero
anch’essi che ‘ridere’ della possibilità di
mettere in-opera il vero. Perché? Ma – è
evidente – perché oggi noi abbiamo ormai
l’incorruttibile certezza che il ‘vero’ risiede
non certo in una poesia o in un quadro, ma
nella nostra conoscenza.
L’uomo contemporaneo non potrebbe
infatti che sorridere, suggerisce Hegel, di
chi ancora ponesse il senso di un pensiero
essenziale, o di una speranza, in una
raffigurazione: le nostre speranze oggi noi
non le riponiamo certo nelle opere d’arte, ma
nella scienza, quella misura suprema su cui
“regoliamo il particolare” riconducendo tutto
al nostro ‘sapere’ (alla nostra idea). dell’arte
come forma di pensiero non-scientifico non
sappiamo che farcene, a parte naturalmente
farne oggetto di mercificazione, e così
annientandola nella sua essenza.
Per questo motivo, d’altronde, le opere
d’arte sono oggi collocate nei musei (o nei
40
Smisurata ou-topia

caveaux): l’arte è una produzione inessenziale


(e perciò marginale) rispetto alle opere della
tecnica e della scienza, con le quali l’uomo
‘assoggetta’ la realtà e si assicura quale “maître
et possesseur de la nature”, riaffermando
incessantemente la propria signoria assoluta,
se non di fatto, in linea di metodo, su tutte le
cose. Non a caso le nostre più grandi ‘opere
d’arte’ sono le scoperte scientifiche e i prodotti
avanzati della tecnica: ciò in cui crediamo
e ciò di fronte a cui ci incantiamo sono i
modelli sempre più ‘potenti’ di macchine e
di Iphone (i “gioielli” della tecnologia), non
certo le Madonne e tantomeno le installazioni
dell’arte contemporanea, orpello mercificato
di un mondo tecno-scientifico.
Il senso della morte dell’arte è, in altre
parole, la “certezza”, avvertita da Hegel e
per noi ormai acquisita una volta per tutte,
che non in virtù delle opere d’arte ci è data
la possibilità di “comprendere” ciò che siamo
(“il vero”!), ma solo ‘elevandoci’ al sapere
scientifico: e di lassù scoprirci ‘fabbri’ di noi
stessi e del mondo intero.

§ 2. L’epoca del dominio del concetto

Hegel non è stato solo, come tutti, figlio


del suo tempo, ma anche colui che ha pensato
fino in fondo il proprio tempo (la propria
41
Federico Nicolaci

epoca!) con una profondità e chiarezza


di cui forse solo Nietzsche, a suo modo, è
stato altrettanto capace. Per questo, anche,
le sue lezioni di estetica, scritte nella prima
metà dell’ottocento, rimangono forse il più
valido ausilio per ‘leggere’ e comprendere
le produzioni dell’arte ‘contemporanea’,
dalle avantgardes di inizio Novecento fino
alle installazioni dei nostri giorni. Avendo
compreso l’anima della sua epoca, egli ha
anche compreso perfettamente la direzione
del suo sviluppo, le sue tendenze profonde –
e certe pagine hegeliane potrebbero davvero
essere estrapolate e ricopiate così come sono
per scrivere un ‘pezzo’ a commento di una
delle tante esposizioni d’arte all’ultimo grido
che “bisogna assolutamente vedere” per
essere aggiornati sulle tendenze culturali del
momento, esposizioni che musei e pubbliche
amministrazioni fanno a gara a organizzare
per assicurarsi i ritorni mediatico-
commerciali che esse apportano all’industria
del turismo.
Hegel coglie dunque nel vero, quando
descrive la tendenza dell’arte moderna a
farsi concettuale, e così a corrispondere
fino in fondo al carattere dell’epoca, con-
formandosi ai suoi tratti. Basta, appunto, fare
un giro per un museo d’arte contemporanea
(o forse solo per le nostre ‘nuove’ città?)
per ‘vedere’ ciò che Hegel aveva in mente
42
Smisurata ou-topia

nello scrivere le sue lezioni: un’arte che si


è compiutamente ‘adeguata’ all’indiscussa
centralità occupata dal sapere scientifico
quale determinazione suprema dell’essenza
del pensare – quella stessa ‘centralità’ pensata
e portata sistematicamente a ‘theoria’ proprio
da Hegel.
Un’arte, però, che in quanto ‘adeguata’
alla centralità della scienza, risulta
inevitabilmente marginale rispetto alle
‘potenze’ che governano il nostro tempo, in
cui dominante è un modo di com-prendere il
“vero” come ciò che la conoscenza assicura
al dominio del soggetto: qualcosa che, con
l’arte in quanto pensiero che non si risolve
in sapere concettuale, non ha più nulla a che
fare.
Ma è giunto il momento di chiederci: donde
proviene questa ovvia e indiscussa centralità
che il sapere concettuale, la conoscenza
scientifica, occupa nel nostro tempo, e che
Hegel avverte avere reso l’arte qualcosa di
superfluo? Si tratta di un carattere casuale del
Moderno-contemporaneo, oppure il “dominio
del concetto”, che Hegel riconosce essere la
cifra del proprio tempo, è semplicemente
un’altra ‘invenzione’ dei filosofi?
Nient’affatto. Il dominio del ‘concetto’,
o meglio la necessità di questo dominio,
scaturisce dal fatto che solo il sapere
concettuale può rispondere e cor-rispondere
43
Federico Nicolaci

a quel “bisogno supremo” che anima tutta


la nostra epoca: quello, come ricorda Hegel,
di “tenere fermi punti di vista universali”
(“allgemeine Gesichtspunkte festzuhalten”)6.
domanda: ma donde scaturisce a sua volta
questo “bisogno”?
Qui possiamo rispondere: dalla ricerca
di ciò che Hegel ha esplicitamente definito:
“die absolute Befriedigung”, l’appagamento
assoluto7.
Cosa sia e in cosa consista l’appagamento
assoluto ce lo dice lui stesso: “Quello che
l’uomo ricerca, immerso da ogni parte nella
finitezza, è la regione di una verità più alta e
più sostanziale, in cui tutte le contraddizioni
e i dissidi della finitezza possano trovare il
loro risolvimento ultimo e la libertà il suo
completo appagamento”8.
6. Hegel, Estetica, op. cit., p. 170. Tenere fissi punti di
vista universali significa tenere fissa una “immagine
del mondo” vincolante per tutti – cioè per tutti certa!
Non si può che rimandare qui al fondamentale
saggio di M. Heidegger, ‘L’epoca dell’immagine del
mondo’, in Sentieri Interrotti, La Nuova Italia.
7. E che Heidegger, nel Nietzsche, ha definito “la
ricerca dell’assicurazione assoluta dell’uomo in
mezzo all’ente”.
8. “Was der in dieser Beziehung von allen Seiten
her in Endlichkeit verstrickte Mensch sucht, ist die
region einer höheren substantielleren Wahrheit,
in welcher alle Gegensätze und Widersprüche des
Endlichen ihre letzte Lösung und die Freiheit ihre

44
Smisurata ou-topia

Proprio il superamento dell’infelicità e


del dolore che caratterizzano la finitezza
dell’esistenza umana e il raggiungimento
di un appagamento infinito e assoluto, in
cui si realizzi la libertà nel sapere e nel
volere (l’eticità nell’agire e la verità nel
pensare), è ciò in direzione di cui, spiega
Hegel, si muove la filosofia9. Poiché la
condizione della finitezza costituisce
l’essenza della contraddizione e del dolore,
il suo superamento richiede, per Hegel,
che lo spirito (dell’uomo) comprenda
(concepisca!) la finitezza stessa come il
negativo di sé, “guadagnando così la sua
infinità; questa verità dello spirito finito è lo
spirito assoluto” 10.
Questa com-prensione del reale è, dice
Hegel: “die wahre Enthüllung”, “il vero
dis-velamento di quello che è il mondo
dell’apparenza [il reale] secondo il suo
concetto”11.
Il disvelamento dell’assoluto (di ciò che
è!) da parte dello spirito consiste, cioè, nel
ricomprendere il sensibile come il negativo
volle Befriedigung finden können”, Hegel, Estetica,
op. cit., p. 380. Non si possono leggere queste pagine
senza provare le vertigini della grande filosofia, e
coglierne al contempo tutta la carica ‘passionale’.
9. Cfr. Estetica, op. cit., p. 375.
10. Ivi, p. 365.
11. Ibidem.

45
Federico Nicolaci

di sé, e proprio in questo ‘ri-comprendere’


lo spirito giunge a sapersi come l’unica
realtà, al punto da riconoscere il movimento
stesso della storia come il movimento della
soggettività incondizionata (questo è lo
spirito assoluto!) che perviene, nella filosofia
dell’età nuova, alla coscienza di sé in quanto
ab-soluta.
Solo questa co-scienza della propria
assolutezza può costituire secondo Hegel
“l’assoluto appagamento” dell’uomo, e
segnarne la compiuta liberazione dalla
finitezza, dalla contraddizione e dal dolore
– e solo per questa fondamentale ragione
Hegel ricorda altrove che “l’auto-coscienza
è momento essenziale del vero” (“das
Selbstbewußtsein wesentliches Moment des
Wahren ist”12).

12. La dialettica è il movimento dell’assoluto che


perviene a sé (autocoscienza) in quanto l’assoluto
è concepito da Hegel come soggettività: non
morta sostanzialità, ma ‘spirito’ (=qualcosa che
ha intenzione), e cioè movimento. E poiché la
soggettività è assoluto reale (ovvero il reale è
esistenza dell’assoluto: in questo senso l’idea è
concetto realizzato, identità di concetto e realtà), il
movimento dell’assoluto è il movimento stesso della
realtà. Solo per questo la dialettica (il movimento!)
della soggettività diviene in Hegel al contempo il
movimento stesso della storia, dialettica storica.

46
Smisurata ou-topia

§ 3. Necessità del sapere e oltrepassamento


dell’arte

Ma tutto questo che rapporto ha con il


discorso hegeliano sull’arte e l’annuncio
del suo presunto decesso? Un rapporto
essenziale. Se l’arte, infatti, deve essere
concepita secondo la sua essenza come un
modo di mettere in opera la verità, decisivo
è il modo in cui questa stessa verità sarebbe
stata ‘concepita’ all’interno delle coordinate
spirituali della Modernità, lungo le quali si
muove l’intera speculazione hegeliana. E
in questa prospettiva ‘epocale’ che abbiamo
tratteggiato, per cui la soggettività cerca e
trova la propria assicurazione nella misura
in cui giunge a sapersi come fondamento
assoluto del reale, verità diventa sinonimo di
certezza: il vero è la certezza a cui giunge lo
spirito assoluto di essere fondamento, ovvero
“assoluta negatività” – identità dell’identico e
del non-identico, di spirito e natura, soggetto
e oggetto.
Ma a questa coscienza di sé, la soggettività
perviene, appunto, nel sapere di sé: nella
Wissen-schaft, che è il nome della filosofia
giunta a dis-velare l’assoluto (il reale) ri-
conoscendo in esso i tratti del suo stesso
‘volto’. La filosofia, in quanto scienza, è
“l’ap-propriarsi e il concepire mediante il
pensiero sistematico [“cum-capere”=“be-
47
Federico Nicolaci

greifen”] ciò che altrimenti è soltanto


contenuto di sensazione e rappresentazione
soggettiva [=finita]”13.
All’arte è certo riconosciuta da Hegel
un’indiscutibile dignità, una “posizione
assoluta”: l’arte, questo il senso della sua
dignità, non va, à la manière bourgeoise,
liquidata come piacevole e innocuo
passatempo, un gioco che ci distrae dalla
serietà della vita, ma va riconosciuta come un
modo di ‘annunciare’ “das Wahre”, di dare e
riconoscere esistenza alla verità14.
13. “Als diese reinste Form des Wissens ist das freie
denken anzuerkennen, in welchem die Wissenschaft
sich den gleichen Inhalt zum Bewußtsein bringt und
dadurch zu jenem geistigen Kultus wird, der sich
durch systematisches denken dasjenige aneignet
und das begreift, was sonst nur Inhalt subjektiver
Empfindung oder Vorstellung ist”, Estetica, op. Cit.,
p. 390.
14. Il bello è manifestazione del vero – e la rivelazione
del vero è il bello, ‘ripete’ Hegel, riprendendo
un motivo chiaramente platonico. La bellezza è
manifestazione di dio, perché il bello è il “concetto”
(il vero) che non si pone in antitesi alla propria
oggettività, ma coincide con la propria oggettività,
e in questa immanente unità e compiutezza, dice
Hegel, è in se stesso infinito e libero. Nel bello, cioè,
l’antitesi tra oggettività (natura) e verità (spirito)
viene meno, manifestandosi ‘perfettamente’ la loro
unità: e per questo l’opera d’arte (l’opera dell’arte
bella!), a differenza delle altre determinazioni del
sensibile, ci colpisce, ci sorprende. ‘Sorprendendoci’,

48
Smisurata ou-topia

Ma lo spirito dell’uomo, questo il nocciolo


del discorso di Hegel, non può trovare nell’arte
l’appagamento del suo “bisogno supremo”,
perché nelle opere dell’arte bella il ‘vero’, in
quanto è ri-velato in forma sensibile, è ancora
‘nascosto’ -non è ancora saputo.
Solo nel sapere (filosofia ‘risolta’ in
Wissenschaft) la soggettività giunge a essere co-
sciente e certa della propria incondizionatezza.
L’arte è “presentimento” dell’assoluto, ma
non ancora suo disvelamento: “il divino, in
quanto spirito, è esclusivamente oggetto della
conoscenza pensante”15.
da qui la centralità del sapere e della
riflessione nella nostra epoca: ovvero la
centralità di quella Wissenschaft con cui
il soggetto ‘assoggetta’ e si “appropria”
(Begriff!) della verità (cioè del reale),
guadagnando, al culmine di questa auto-
coscienza (di questo sapere di sé che è il
sapere assoluto!), la certezza della propria
‘libertà’ e assolutezza.
In questo culmine che è il sapere l’assoluto,
la soggettività trova la più alta forma della
l’opera d’arte è capace di “risvegliarci” alla memoria
della verità del sensibile (=la sua non-autonomia
dallo spirituale, per Hegel) – ovvero farci intuire
una “ulteriorità” di quello stesso sensibile che
noi, innanzitutto e per lo più, cogliamo nella sua
immediatezza come semplice esteriorità autonoma,
‘fondo’ inanimato, natura contrapposta all’uomo.
15. Hegel, Estetica, op. cit., p. 549.

49
Federico Nicolaci

propria assicurazione, l’appagamento


assoluto, nella misura in cui è divenuta
consapevole di se stessa – di essere cioè essa
stessa l’assoluto.
Questa co-scienza pone in-fine il soggetto
nella quiete della verità: il sapere pone
termine al ‘movimento’ in cui consiste il suo
pervenire a sé, nel senso che d’ora in poi il
soggetto sta e agisce nel mondo a partire dalla
certezza di essere il fondamento stesso del
reale.
Questa ‘certezza’, che con Hegel ha
trovato la sua più alta fondazione metafisica,
è la stessa che informa ancora il nostro
rapporto con il mondo, e precisamente nella
forma della mentalità tecnico-scientifica in
cui siamo oggi immersi da ogni lato, per la
quale è ovvio e a tutti evidente il fatto che
l’uomo, dominando nel sapere la natura
(‘svelando’ le sue leggi), si afferma quale
centro e fondamento del reale: al centro
non sta affatto la ‘natura’, bensì la natura
‘si risolve’ interamente in ciò che la mente
dello scienziato via via ‘concepisce’ della sua
costituzione16.
L’arte è dunque ‘morta’ perché, come
esperienza, non corrisponde più allo spirito
16. La natura si risolve cioè interamente.
nell’immagine che di essa pone la soggettività: per
questo Heidegger ha potuto ‘descrivere’ la nostra
come l’epoca dell’immagine del mondo.

50
Smisurata ou-topia

del tempo: oggigiorno l’uomo è giunto, con


la scienza, alla co-scienza del vero, e cioè alla
certezza di se stesso. Una ‘verità’, questa, che
l’arte ‘immaginava’ soltanto. La nostra attuale
comprensione della non-sostanzialità del vero
è tale che oggi ci risulta impossibile – dice
Hegel – metterci seriamente a rappresentarlo,
proprio perché sappiamo della sua non-
autonomia dalla soggettività.
Questa ‘assolutezza’ della soggettività
costituisce la stessa precomprensione della
nostra epoca, l’interpretazione corrente che
guida in anticipo il rapporto che oggi gli
uomini hanno con se stessi e con il mondo.
ora, proprio a partire da tale
precomprensione è possibile spiegare la
tendenza, riscontrabile nelle produzioni
dell’arte (moderna e contemporanea)
‘pacificamente’ conciliata col proprio tempo,
alla dissoluzione di ogni contenuto (ironia!),
a rappresentare indifferentemente qualsiasi
cosa, nel più totale arbitrio soggettivo, allo
scopo, da ultimo, di affermare in realtà solo
l’assolutezza della soggettività dell’artista.
Una soggettività che afferma la propria
assolutezza fino al gesto ‘estremo’ di rendere
artistico non più l’oggetto presentato, ma
la stessa operazione (casuale) di scelta
dell’oggetto, come avviene per esempio nel
Ready-made. Una soggettività, in breve, che
può tutto.
51
Federico Nicolaci

Nel momento in cui l’opera d’arte non


crede affatto alla sostanzialità di ciò che
rappresenta, ma ciò che rappresenta è solo
simbolo del pensiero della soggettività, l’arte
ha come tale cessato di esistere: le opere
infatti non sono altro che modi imperfetti di
‘dire’ la soggettività. Non solo: ma essendo
concepite in modo concettuale, sollecitano il
nostro giudizio. L’arte diventa il pretesto per
suggestioni intorno ad un unico ‘pensiero’:
l’assolutezza e libertà della soggettività.
Con ciò si è fatto più chiaro il senso
hegeliano dell’oltrepassamento dell’arte ad
opera del pensiero concettuale, quello in cui
la soggettività trova la suprema espressione di
se stessa. Sembrerebbe, dunque, che il nostro
scopo – quello di spiegare la morte dell’arte –
si sia esaurito in questo chiarimento.
In realtà, a questo punto, abbiamo appena
preparato il terreno affinché il problema della
morte dell’arte possa essere posto in termini
più alti.

§ 4 La morte dell’arte ‘immagine’ della


morte di Dio

dobbiamo ora spingere il discorso ancora


più a fondo, proprio perché quanto è stato
fin qui detto ci ha portato a riconoscere che
la riflessione hegeliana sull’arte si muove
52
Smisurata ou-topia

all’interno di una comprensione moderna


dell’ente, per cui la sua verità si risolve
nella sua non-autonomia dalla soggettività.
La certezza di questa verità, come abbiamo
visto, transita necessariamente dal sapere di
sé (autocoscienza come momento necessario
del vero), da cui discende la necessaria
affermazione del primato della conoscenza
come ciò su cui si fonda l’auto-coscienza e
la certezza di sé del soggetto come “soggetto
trascendentale”.
Il ‘problema’ risiede nell’impostazione del
problema: il modo in cui l’estetica hegeliana
considera sin dall’inizio l’opera d’arte è sotto
l’influsso di una comprensione metafisica
del vero che avvolge le sue stesse strutture
concettuali.
da questo punto di vista, il pensiero di Hegel
è figlio della metafisica, e coglie i caratteri
fondamentali del Moderno-contemporaneo
(tra cui la progressiva inessenzialità dell’arte
e il dominio del sapere concettuale) nella
misura in cui la metafisica, nella forma del
pensiero della soggettività, ne ha plasmato gli
stessi tratti.
Qui bisognerebbe almeno indicare come
l’intera impostazione della filosofia hegeliana
rimandi alla teologia, e precisamente si ‘fondi’
su quella che per Hegel è un’acquisizione
“storica”: la rivelazione è accaduta – dio si è
rivelato attraverso il Figlio al mondo. Questo
53
Federico Nicolaci

‘evento’, che segna tutta l’epoca cristiano-


occidentale, ha rivelato dio non come
astratto al-di-là nei cieli, ma come spirito
che si realizza nella storia e si rivela nelle
determinazioni concrete del mondo.
Ma a chi si ‘rivela’ questa riconciliazione
di “cielo e terra”?
Allo spirito dell’uomo. È l’uomo che, per
essenza, può ‘vedere’ l’abisso di dio – la sua
paradossale ‘assolutezza’. L’uomo, infatti,
non è solo, come ogni cosa, “ek-sistenza” di
dio: in quanto ‘creato’ a immagine di dio,
egli partecipa anche allo spirito di dio (e
per questo non è semplicemente, ma ‘ek-
siste’!). da qui la possibilità per l’uomo di
‘inabissarsi’ in dio. Cioè di ri-conoscere
l’unità divina (identità di divino e realtà), e
quindi di intuirne l’abissalità (nulla è fuori
da questa ‘identità’).
Ma – ed eccoci al punto – l’assoluto non
si ‘riduce’ mai a ciò che di esso si manifesta
di volta in volta all’autocoscienza, per
quanto questa condivida con quello la stessa
essenza ‘spirituale’17. L’idealismo assoluto
17. Hegel fonda nella conoscenza come dominio il
senso della soggettività. Ma la stessa conoscenza,
nel suo procedere, è destinata a trasforma il modo
stesso in cui l’ente si manifesta e si ‘presenta’,
ovvero ad assorbirlo in un circolo senza fine. Questa
è la ragione per cui Husserl, avendo avvertito, nella
Crisi delle scienze europee, che il sapere sfuggiva ad
ogni reale dominio del soggetto, avrebbe cercato di

54
Smisurata ou-topia

ha ‘dimenticato’ – conformemente a uno


slittamento intervenuto con il Moderno nel
senso della domanda filosofica – che nessuna
esperienza vera (e ogni vera esperienza è
un’esperienza vera) potrebbe risolvere in sé
il vero: l’assoluto è impossibile si ‘esaurisca’
in ciò che l’autocoscienza sa di esso18.
Solo una radicale volontà di assicurazione
avrebbe potuto ‘pretendere’ che l’uomo
possa com-prehendere, nel sapere assoluto,
il proprio abissale fondamento: ‘esaurire’
l’Inizio in sé, ‘fingendo’ di potersi collocare
nel punto dell’Inizio. L’esito inevitabile di
quella ‘comprensione’ del vero è che l’io,
come quel raggio a cerchio infinito in cui è
‘assoggettata’ l’intera realtà, si ‘trasfigura’
riportare la conoscenza essenziale al soggetto.
18. E perché? Perché ciò significherebbe, tra l’altro,
affermare che l’assoluto è de-terminato dal senso
della soggettività: ma l’assoluto non può risolversi
e ridursi a ciò che dell’assoluto si manifesta
all’autocoscienza. Il fatto che l’autocoscienza
dell’uomo condivida con l’assoluto la stessa
essenza spirituale e il fatto che nella conoscenza
di sé, che procede di pari passo con la conoscenza
dell’ente e la sua trasformazione, si manifesti e si
realizzi lo spirito assoluto, questo non può implicare
che l’esserci possa contenere in sé tale assoluto
e ricondurlo così sotto il suo pieno dominio.
tale ipotesi richiederebbe, coerentemente con il
pensiero di Hegel, il dominio totale di ogni sapere
“essenziale”. Ma che cosa sia essenziale è difficile
stabilirlo.

55
Federico Nicolaci

in unbedingte Sub-jektivität (sub-iectum=ciò


che giace a fondamento del reale): ovvero
hypo-keimenon, dell’ente, l’esatto opposto
di quanto ‘ancora’ Aristotele teneva memoria
(e cioè che hypokeimenon, fondamento, è
unicamente la Physis). La scienza moderna
si ‘fonda’ interamente su questi presupposti
idealistico-umanistici (l’uomo è ‘soggetto’ del
reale), e cioè è ricompresa nel destino della
tecnica moderna come volontà di trasformare
ogni oggettività – l’intera natura – in un
positum, in un Gemachte (da qui l’epoca della
Machenschaft).
Ma, dicevamo, se l’Inizio non può esaurirsi
nel “sapere assoluto” – perché quello stesso
‘sapere’ non solo non può ‘aggirare’ mai il
proprio presupposto, lo stesso manifestarsi
dell’ente: ma neanche oltrepassare il proprio
essere ‘parte’ ed ‘evento’ dell’assoluto –,
allora la morte dell’arte, che abbiamo visto
essere ‘figlia’ di quel sapere, non avrà forse
a che fare con un altro ‘tremendo’ annuncio,
quello dello Zarathustra di Nietzsche?
Cos’è, infatti, l’affermazione idealista
della soggettività come assoluto reale se non il
senso metafisico più profondo dell’annuncio
della morte di Dio: annuncio del pieno,
assoluto dominio dell’uomo sul reale? La
morte dell’arte non sarà allora ‘immagine’
della morte di dio: ‘immagine’ di un mondo
risolto esso stesso in immagine?
56
Smisurata ou-topia

Abbiamo, con questa domanda, forse


raggiunto l’altezza dalla quale è possibile
intravvedere più chiaramente tutto il
significato della morte dell’arte, oltre la
stessa comprensione che ne aveva Hegel.
Quel ‘sapere’, infatti, che ha risolto in sé
ogni presupposto e che Hegel riconosce
avere reso l’arte un modo inadeguato di
‘concepire’ il vero – questo ora appare – ha
potuto ‘svelare’ l’assoluto solo nella misura
in cui l’ha radicalmente ri-velato e nascosto
in vista dell’assicurazione totale dell’uomo in
mezzo all’ente. Il ‘disvelamento’ che Hegel
crede abbia avuto luogo con la fondazione
metafisica dell’assolutezza della soggettività
coincide in realtà con la più radicale chiusura
dell’uomo all’evento a cui egli, come uomo,
è essenzialmente consegnato. Nel momento
stesso, infatti, in cui “l’assoluto” è risolto
in ‘immagine’, proprio allora esso si nega
e si ritira, e quanto più l’oggettivazione
tecnico-scientifica della natura sembra
averlo catturato, tanto più esso sfugge e
si nasconde all’uomo nella sua essenza.
d’altronde proprio ‘nasconderlo’ al fine di
assicurare metafisicamente la soggettività
della propria illimitata ‘potenza’, costituisce
l’intenzione profonda che avrebbe spinto
l’età del Figlio, ovvero la Modernità, al
tremendo ‘parricidio’: risolvere l’assoluto

57
Federico Nicolaci

nell’io19. o per dirla à la Nietzsche: l’uomo


ha ucciso dio.
La fondazione, che ha luogo nella
metafisica, dell’assolutezza della soggettività
coincide, dunque, con la morte di dio e il
ripiegamento dell’uomo su di sé nella certezza
– fondata sul sapere – di essere ‘fondamento’
(subiectum) del reale20. Ma questa ‘chiusura’,
per cui la soggettività giunge a ‘concepirsi’
come l’unica realtà, dice null’altro che la
solitudine dell’uomo contemporaneo e il
suo più intimo smarrimento. La ricerca di
assicurazione, infatti, che con descartes
mette per la prima volta piede su quella
terraferma che è la coscienza, non potrebbe
trovare l’illusione del proprio appagamento
se non ‘astraendo’ l’esserci dal suo rapporto
essenziale con “l’assoluto” (l’Essere),
alimentando la dimenticanza dell’originario.
Ma il prezzo di questa assicurazione totale
è altissimo: essa chiede in cambio ‘l’anima’
dell’uomo, la sua trascendenza. Perdere
19. La volontà di svelare l’assoluto coincide, in altre
parole, con la volontà di velarne l’abissalità, al fine
di risolvere la costitutiva inquietudine dell’uomo
in quanto esserci finito pienamente consegnato al
proprio abissale fondamento.
20. L’uomo pro-duce, cioè rap-presenta, l’ente: il
carattere fondamentale della Setzung è infatti la
produzione dell’ente in quanto re-praesentatio, dove
il ‘re’ rinvia all’io, al cogitare, che fa sì che qualcosa
si presenti e stia davanti (Ob-iectum, Gegen-stand).

58
Smisurata ou-topia

la ‘vita’ (la “psyche”!) significa proprio


questo: chiudersi al carattere ek-statico del
proprio esserci, fissandosi nella certezza e
nell’identità di sé come subiectum. In questa
“stabilizzazione” dell’essenza dell’uomo, per
cui egli si risolve interamente in soggetto e
rappresentante dell’ente, consiste l’essenza
dello smarrimento dell’uomo e in essa va
ricercata l’origine della sua alienazione
nell’età della tecnica dispiegata.
Lospettrodellaperditadelsenso,cheperseguita
incessantemente l’uomo contemporaneo oltre
la scintillante e tranquillizzante certezza del
suo dominio tecnico-scientifico sul mondo,
scaturisce proprio dalla ‘infinita’ (assoluta!)
solitudine dell’uomo che ha assunto su di sé
il ‘titanico’ compito della fondazione dell’ente
nel suo insieme – dominio che diventa la sua
‘maledizione’. Infatti la soggettività assoluta,
proprio dispiegando senza fine la sua ‘potenza’
e il suo pieno dominio sull’ente, non fa che
approfondire infinitamente il senso del proprio
smarrimento e della propria solitudine, e per
questo “il tempo dello smarrimento e della
solitudine” è il nome della nostra epoca.
Ma laddove accada, o è accaduto, che un
quadro, una poesia o una musica ci colpiscano,
lì accade un’esperienza che ‘sospende’ e
mette in crisi quella comprensione metafisica
del nostro rapporto con il mondo nella quale
siamo immersi. Quando l’arte accade ancora,
59
Federico Nicolaci

a morire è proprio la morte dell’arte: l’opera,


fendendo il nostro animo, infrange e manda in
mille pezzi l’immagine metafisica del mondo
e annulla nel suo accadere le ‘immagini’ di
quell’immagine – le produzioni ‘artistiche’
con cui la soggettività ‘immagina’ il proprio
delirio e la propria assolutezza.
L’opera d’arte s’insinua così nella
dimenticanza che informa il nostro rapporto con
il mondo e con noi stessi: in tale occasione la
concezione del vero metafisico viene sospesa,
e con essa viene sospeso per un attimo il nostro
ineludibile rapporto con tale vero. Anche
se poi tale rapporto riprende il suo dominio
non appena l’evento che si è manifestato
per mezzo dell’opera viene annullato dalla
sovrabbondanza del presente. Ma per il tempo
che l’opera ci colpisce, ad accadere è l’ou-topia
del ribaltamento della metafisica: l’arte sembra
infatti ricordarci qualcosa che il tempo della
metafisica dispiegata ci ha fatto dimenticare,
che siamo dei mortali che attraversiamo
un’esperienza piena di mistero. La grande arte
– e di questa soltanto qui si discorre – lascia
infatti balenare un ‘assoluto’ e una verità che
non possiamo ricondurre alla totalità del sapere
e che, come tale, sfugge in linea di principio al
nostro dominio. La certezza del mondo crolla
e l’illusione di stabilità che il sapere sembra
assicurare svanisce di fronte all’opera d’arte:
l’arte riapre l’esserci allo spaesamento.
60
Smisurata ou-topia

Allora, nel raccoglimento di un evento che


tocca la totalità dell’artista e lo espropria in
modo misterioso (divino!) nella sua essenza,
richiedendo la produzione dell’opera, la
concezione hegeliana, che pure porta alla
luce i tratti essenziali del Moderno, viene
meno. Il ribaltamento di una concezione del
vero nella quale siamo immersi e da cui siamo
dominati è impossibile dal punto di vista
delle linee generali di un’epoca. tuttavia,
laddove un’opera d’arte non conforme al
presente si manifesta, essa lascia tralucere la
possibilità di pensare in altro modo il vero e
di ribaltare il pensiero metafisico, che risolve
il vero nel dispiegamento attuale della totalità
del sapere, annullando in tale eterno presente
ogni ulteriorità.
L’arte rappresenta allora forse l’estrema
‘utopia’: quella di fare esperienza di una
verità che in alcun modo si lascia calcolare
e misurare scientificamente, riportandoci alla
consapevolezza della nostra umile essenza.
Smisurata è allora l’ou-topia che non dal
sapere, ma dalla fenditura di un’opera, che
fende la nostra anima, possa ad-venire la
riapertura del senso e l’appagamento che
‘libera’ la nostra finitezza.

61
Collana di perle di saggezza

diretta da Giuseppe GIrGENtI,


Erasmo Silvio Stor ACE, Elisa VIrGILI

1. PArMENIdE, DELL’ESSERE E DEL NULLA, A CUrA


dI M. doNà
2. PLAto NE, IL MITO DELLA CAVERNA, A CUrA dI
C. SINI
3. PLAto NE, IL MITO DEGLI ANDROGINI, A CUrA dI
M. VENEZIANI
4. K. MArX, LA SCIENZA E LE MACCHINE, A CUrA
dI d. FUSAro
5. GorGIA, L’ENCOMIO DI ELENA, A CUrA dI G.
GIrGENtI
6. ANASSIMANdro, IL FRAMMENTO ORIGINARIO, A
CUrA dI E. S. Stor ACE
7. AGoStINo, SUL tEMPo, A CUrA dI r. dE
MoNtICELLI
8. G. BrUNo, IL MITO DI ATTEONE, A CUrA dI G.
GIorELLo
9. CArt ESIo, COGITO ERGO SUM, CoN
UN’INTRodUzIoNE dI S. ŽIŽEK
10. ArIStotELE, SULL’ESSERE, A CUrA dI E. BErt I
11. EPICUro, IL PIACERE DI VIVERE, A CUrA dI d.
FUSAro
12. F. NIEtZSCHE, DIO è MORTO, CoN
UN’INtrodUZIoNE dI P. KLoSSoWSKI
13. A. SCHoPENHAUEr, SULLA MUSICA, A CUrA dI
E. MAtASSI
14. IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE, A CUrA dI G.
CoSMACINI
15. G. W. F. HEGEL, ANTIGONE, A CUrA dI E. VIrGILI
16. I. KANt, LO SPAZIO E IL TEMPO, A CUrA dI M.
MArASSI
17. G. W. F. HEGEL, LA MORTE DEL’ARTE, A CUrA dI
F. NICoLACI
18. M. doNà, ERRANZE, A CUrA dI A. GAtto

Potrebbero piacerti anche