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Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 la società europea vive un periodo di radicale cambiamento

dal punto di vista industriale, tecnologico, politico ed economico.

Le nuove scoperte scientifiche e tecnologiche (pensiamo alla corrente elettrica, alle prime
automobili, ai servizi domestici) furono accolte dalla società con entusiasmo, tanto che l’intera
civiltà europea subì un’ epocale trasformazione. Con le industrie che fornivano e vendevano il
prodotto alle persone, la società andava sempre di più a fondarsi su valori di mercato e di denaro,
con il costante arricchimento dei pochi gruppi capitalistici che si servivano del lavoro dei più
poveri.

Gli anni tra 1880 e 1900 sono considerati come gli anni della Belle Epoque, ossia il periodo in cui
ideologicamente la società viveva in pace con se stessa, godendo delle nuove scoperte
tecnologiche, e senza alcun conflitto. Dico ideologicamente perché come sappiamo negli anni
successivi alla guerra franco-prussiana, l’Europa vive una forte crisi economica di
sovrapproduzione, che porta dunque agli scontri fra le classi (proletariato e alta borghesia) e alla
crescita di forti tensioni fra le diverse nazioni che conseguiranno poi allo scoppio della prima
guerra mondiale.

E gli intellettuali come vivevano questa situazione? La maggior parte di loro non condividevano il
processo di modernizzazione, vedevano nella modernità la malattia peggiore dell’uomo che
l’avrebbe portato alla catastrofe. Molti degli intellettuali provenivano da classi sociali medio-
borghese, tanti hanno vissuto in prima persona il fenomeno della declassazione sociale ma tutti
erano legati da un ideale comune: farsi portavoce dei cambiamenti sociali attraverso la
letteratura.

Non tutti i poeti erano in contrasto con il progresso tecnologico, per esempio Carducci. Egli vede
nel progresso una svolta in positivo dell’umanità, la scienza e la tecnologia puntate a fornire
all’uomo una condizione di vita migliore. Con questa ideologia Carducci condivide pienamente gli
ideali espressi dal Positivismo, movimento diffuso in Francia nel 1870/80 che esalta i valori di
scienza e progresso scientifico-tecnologico. Questa visione positivista pone Carducci in stretto
contrasto con la chiesa e il papa, promotori di una visione metafisica e antiprogressista della
realtà. Si sviluppa così nel pensiero di Carducci un forte anticlericalismo espresso in molte sue
opere. L’Inno a Satana è il poema che più di tutti esprime il suo disprezzo verso il clero, un poema
dove l’autore oppone una concezione positivistica della realtà alla visione oscurantista della
chiesa. Anche nelle sue ideologie politiche, la chiesa viene vista come un organo corrotto e
ipocrita, indegno di assumere il potere sulla città di Roma, ovvero una antica città imperiale. A tal
proposito Carducci rimane deluso dal governo italiano nel periodo post-unitario, un governo
incapace di prendere una posizione dominante contro lo Stato della chiesa.

Negli stessi anni della pubblicazione dell’Inno a Satana nel nord-Italia nasce la Scapigliatura.
Possiamo definirla un’associazione formata da un gruppo di artisti intenzionati a riformare la
letteratura tradizionale italiana (in particolare Manzoni che è stato il capostipite della letteratura
italiana per gran parte dell’800). Gli Scapigliati si consideravano dei ribelli, lottavano contro il
progresso moderno che stava avanzando anche in Italia nella seconda metà dell’800. La loro
visione del mondo e il loro stile di vita prendono spunto dai Bohemiens, ossia artisti che rifiutavano
la vita regolare sostituita da un ritmo di vita disordinato e zingaro come segno di protesta alla
società moderna che li aveva emarginati. Principale esponente della Scapigliatura fu Emilio Praga
che nel 1878 scrisse una raccolta di poesie intitolata Trasparenze. Al suo interno una poesia
nominata “La strada ferrata” riesce a descrivere esattamente lo stato d’animo dell’artista nei
confronti della modernità. Da questa poesia emerge un atteggiamento bivalente dell’autore nei
confronti del progresso. Da una parte la concezione che la modernità possa in qualche modo unire
i popoli che accoglieranno con bisogno il progresso, dall’altra la consapevolezza che un mondo
nuovo, fondato su una rivoluzione industriale e tecnologica, distrugge inevitabilmente le bellezze
appartenenti al mondo passato.

Sempre nei primi anni dopo l’unità d’Italia, si sviluppa nel meridione un movimento letterario di
grande importanza che ebbe notorietà anche sulla scena europea. Stiamo parlando del Verismo, il
cui capostipite era Giovanni Verga con la sua poetica dell’impersonalità. Questa corrente culturale
nacque sulla scia del Naturalismo, in voga già da qualche anno in Francia con Emile Zola. E come il
movimento naturalista, la letteratura verista si impegnava a trattare tematiche sociali riguardanti
la classe proletaria e tutte quelle persone che vivevano in ambienti miseri e condizioni disumane.
La differenza più rilevante tra Verismo e Naturalismo sta nella tecnica, siccome Emile Zola aveva
una concezione positivista della vita, secondo lui anche la letteratura poteva contribuire al
progresso scientifico-sociale, proprio come la scienza (infatti nei suoi brani Zola conduce una
narrazione specifica che esprime anche il giudizio dell’autore stesso, che osserva dall’esterno la
scena descritta). Al contrario Verga non crede che la letteratura possa cambiare il mondo.
Secondo lui la letteratura è uno strumento molto potente per rappresentare la realtà, per
fotografarla e raccontarla, ma non per modificarla. Così arriviamo a giustificare la sua poetica
dell’impersonalità o dell’eclissi dell’autore, in cui lo scrittore non esprime il proprio giudizio, e
cerca in tutti i modi di evocare attraverso le parole la realtà che lo circonda, a volte utilizzando un
linguaggio grezzo e scabro, che da perfettamente l’idea di quel mondo proletario povero e
dimenticato.
L’anno della svolta verista di Verga coincide con l’anno della pubblicazione di Rosso Malpelo
(1878), storia di un ragazzo di miniera malvisto da tutti che vive in condizioni di vita pessime.
In questa novella, e in tutte le opere seguenti, l’autore cerca di descrivere l’ambiente e i
personaggi esattamente com’erano nella realtà. Un ambiente sporco e misero in cui i lavoratori
poveri e malandati erano costretti a condizioni di vita disumane. E per evocare al meglio questa
cruda realtà, Verga si avvale di un linguaggio popolare, talvolta con anche dei proverbi in dialetto,
capace di dare a noi lettori la sensazione di assistere in prima persona alla scena. Durante il suo
percorso letterario, Verga non si limitò a interpretare solo le classi proletarie, infatti
successivamente alle novelle degli anni 1870/80 pubblicò un ciclo di cinque romanzi detto dei Vinti
in cui tenta di tracciare un quadro sociale passando dalle classi proletarie a quelle più privilegiate.
Principio su cui si basano questi romanzi è la lotta per la sopravvivenza, concepita da Darwin nelle
sue teorie sull’evoluzione umana. Il principio secondo cui tutti gli esseri viventi lottano per
sopravvivere e per i propri bisogni naturali viene applicato alla società umana. Secondo verga la
società umana è caratterizzata da conflitti d’interesse fra le classi sociali.

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