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Gli basta dire che «non è più il 1994, questa non è la Casa delle libertà, è una nuova storia

e la guidiamo
noi, il passato non torna!». Gli basta, perché è proprio così: non è il Novantaquattro.

Ma cos’era allora il Novantaquattro, quando il Cavaliere vinse clamorosamente le sue prime elezioni,
sbaragliando la macchina da guerra del centrosinistra di Achille Occhetto? Il berlusconismo era
un’emulsione di liberalismo e populismo. La parola è ben scelta: vuol dire che i due ingredienti si
mescolano, ma non si uniscono per davvero, e possono quindi separarsi di nuovo, in condizioni diverse. A
guardare il centrodestra di oggi, e la rappresentazione che ne ha offerto la piazza bolognese, l’impressione
è che le condizioni sono parecchio cambiate e che dei due ingredienti fondamentali uno, quello populista,
ha preso decisamente il sopravvento. Si scarica prevalentemente contro l’immigrazione, e nei tratti generali
somiglia molto poco a un progetto di governo in gradi di attrarre i ceti moderati. Così come mostra minore
capacità di attrazione nei confronti della società meridionale: per quanto Salvini abbia messo la sordina al
tema secessionista, e dirottato la polemica un tempo rivolta contro Roma e lo Stato centrale verso l’Europa
e Bruxelles, rimane quello che cantava a squarciagola i cori da stadio anti-napoletani. Così che quando dice
oggi che di tutto il federalismo di una volta gli sta a cuore solo un principio di politica fiscale – i soldi del
Nord al Nord e quelli del Sud al Sud –, si capisce che è per mollare la zavorra del Mezzogiorno al suo
destino, e rifiutare qualunque politica nazionale espressamente volta al superamento del divario fra Nord e
Sud.

Come potrà allora un centrodestra siffatto, a guida Salvini, rifare in Sicilia il mitico 61 collegi a zero che riuscì
a Berlusconi di rifilare al centrosinistra? Non era il 1994; era il 2001: era il Berlusconi che vinceva non dopo
il collasso della prima Repubblica ma dopo la prima esperienza di governo del centrosinistra. E vinceva
aggregando una vasta area di centro senza della quale tuttora molto difficilmente si è maggioranza
nell’isola, o nell’altra grande, popolosa regione del Mezzogiorno, la Campania. Ora la rappresentazione
politica del Sud è capovolta: è il centrosinistra a guidare le regioni. Berlusconi che va a Bologna con la Lega,
e accetta il ruolo di comprimario, sembra dunque aver rinunciato non solo alla leadership, ma anche a
riprendere voti e collegi al Sud.

L’emulsione del Novantaquattro riuscì perché un tratto comune teneva insieme i due segmenti del
populismo e del liberismo berlusconiano: il rifiuto di una concezione pedagogica e ortopedica della politica,
sposata dalla sinistra, dai tempi della «questione morale» di Berlinguer in poi. Il rifiuto del politicismo
moralistico di sinistra poteva farsi però secondo due linee principali: una, liberista, punta a liberare le
energie positive del Paese – i suoi spiriti animali – in nome di uno Stato minimo, più leggero, meno
burocratico; l’altra, populista, pesca nella retorica dell’antipolitica, del «tutti uguali» e della «casta», e però
anziché chiedere meno Stato chiede volentieri più Stato penale. Il declino del centrodestra dell’ultimo
quinquennio ha fatto sì che lungo le due linee si disponessero, con accenti diversi e secondo la propria
collocazione politica, nuovi soggetti: da una parte il Pd renziano, dall’altra il Movimento Cinque Stelle.
Ebbene, Salvini ha tagliato questo nodo con molta nettezza: il suo terreno di competizione è col Movimento
Cinque Stelle – magari sul versante dell’astensionismo, da riconquistare al voto. Non c’è un solo elettore
che abbia scelto Renzi al quale il leader leghista si sia rivolto parlando ieri in piazza.

Questa è dunque la partita che la Lega di Salvini impone. Berlusconi, andando a Bologna, dimostra di non
aver la forza per ridisegnare un centrodestra in cui il moderatismo di centro si senta a suo agio. L’emulsione
teneva insieme cose fra loro incompatibili grazie anche al carisma personale del Cavaliere. Quel carisma si è
appannato, e le due componenti ideologiche del berlusconismo si separano. Con quale fortuna elettorale è
difficile dire.

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