Sei sulla pagina 1di 5

La favola dellessere.

Renata non ricorda bene come e quando, e ad interrogarla non potreste saperne di pi, ma un
bel giorno si trov, leggera come una nube azzurrina, sulla soglia di un palazzo di indescrivibile
spendore e di immensa grandezza. La fata dagli occhi di neve che regnava sul suo destino apparve
sulla soglia, circondata dai raggi di una maest abbagliante: Qualis videri Coelicolis et quanta
solet! Ella tocc dolcemente il viso di Renata con un ramo dolivo che teneva nella mano. Ed ecco
che Renata divenne capace di sostenere il fulgore divino di quellessere celeste, e di tutto ci che
ella doveva mostrarle.
Vedi disse la fata questo il palazzo dei destini, la pi smisurata delle regge: un
cavallo che fosse lanciato al galoppo sfrenato sarebbe scheletro prima di aver percorso un quinto
della strada, e un aquila che volesse posare il suo occhio su tutti gli angoli del palazzo sarebbe
piuma e vento, prima di averne conosciuto la met . Renata si alz timidamente sulle punte, sporse
appena la sua tenera testolina e vide. Vide pinnacoli vertiginosi perdersi nel cielo, colonnati creati
da una mano gigantesca susseguirsi in una fuga infinita, torce sfavillanti come comete catturate e
rinchiuse come anelli nei muri, e terrazze gettate sugli abissi, e finestre dai battenti doro
spalancarsi su brezze che promettevano uneterna primavera, e arazzi e marmi e fiori e ogni genere
di meraviglia racchiusa in una scena sfolgorante.
Il palazzo continu dolcemente la fata contiene tutto ci che di pi bello e di pi
splendente possa mai essere immaginato dalla mente di un uomo o di un dio. Quando vorrai, potrai
visitare tutti questi luoghi: basta che io dica una parola, e potrai vedere tutto un mondo compreso in
unimmagine di ineguagliabile bellezza. I mondi sono disposti a piramide, e diventano sempre pi
perfetti, a mano a mano che si procede verso il vertice. L potrai vedere, tra uninfinit di mondi
possibili, il migliore di tutti, la fonte di una gioia che mai non fina . E come per incanto, da tutti gli
angoli dello sconfinato palazzo, dai lunghi corridoi profumati e dalle odorose stanze, dalle
monumentali scale e dalle vetrate adorne e preziose di quella meravigliosa magione, mille e mille
voci si levarono in un canto altissimo e solenne per invitare Renata a gustare lincomparabile
felicit promessa dalle parole della fata. Al culmine di quel soavissimo concerto di voci, fu infine un
nobile signore dalla gran barba bianca, assiso su di un trono regale, che con un gesto ampio, insieme
ricercato e condiscendente, chinandosi lievemente verso la piccola Renata, con un grande, paterno
sorriso indic alla bimba il suo incantevole posto nellaugusta dimora. Di l, aggiunse, avrebbe
potuto avere in un batter docchio qualunque cosa avesse desiderato, la pi straordinaria delle sue
fantasie sarebbe stata soddisfatta immediatamente, e non vi sarebbe stata audacia del pensiero che
non avrebbe trovato la pi perfetta delle riuscite.
Orbene, le favole hanno a volte questo di strano, che proprio nei punti nei quali si
vorrebbero conoscere maggiori particolari e anzi tutti i dettagli, proprio l dove si vorrebbe che
linventore della favola fornisse tutte le ragioni, i motivi e le spiegazioni, proprio l tutto questo
viene misteriosamente meno: chi sa infatti come ha fatto Alice a violare lo specchio, e un piccolo
tcco di legno dimprovviso a parlare, o divenuto ragazzino, ad uscire sano e salvo dalla pancia di
una balena? E Cappuccetto Rosso dalla pancia del lupo?
Non lo sappiamo. Quel che sappiamo, che questo proprio uno di quegli strani punti, in
cui la storia conosce una svolta brusca e improvvisa, e prende una piega insospettata. Cos
linventore di questa storia non dice a noi poveri lettori se fu per la maestosit del palazzo o forse
per la melodia un po stucchevole che le mille voci del castello intonarono in coro, se fu soltanto il
capriccio di un momento o una scelta ben meditata, se fu con unalzata di spalle o scotendo
cocciutamente il capo, se a voce alta o piuttosto sommessamente, se per una singolare antipatia o
per una segreta nostalgia che la portava altrove (ma altrove dove?), fatto si che Renata disse di no.
Proprio cos: disse no. E siccome era una bimba gentile e bene educata non manc di aggiungere un
rispettoso grazie. Ma si trattava comunque di un no, grazie.
Poi si fece uno strano e lungo silenzio. Le voci tacquero, le luci si spensero, il dolce zafiro si
plac, e il vecchio re prese a grattarsi la gran barba bianca, pensieroso ed assorto. Renata trattenne il
fiato, sorpresa lei stessa dalle sue parole, e volse uno sguardo pieno di dubbi alla buona fata dagli
occhi di neve. E la fata cos le si rivolse:
Cara Renata, sei proprio sicura di quel che dici? Vedi quella rampa di scala a chiocciola di
cui nessuno conosce la fine, quei gradini di legno che scendono verso il basso e sembrano inghiottiti
dal nulla, vedi quella spessa coltre di nebbia brumosa che le avvolge? Sappi che laggi forse avrai
freddo, che l il terreno scabro e vi sono cose ruvide e aguzze, e avrai bisogno di aiuto e non
sempre lo avrai. Sei proprio convinta disse poi pi lentamente di volere lasciare la scena
lussuosa di questo palazzo? . Poi la fata con un largo sorriso avvicin i suoi candidi occhi ai grandi
occhi neri che si muovevano inquieti sul volto paffuto di Renata e ripet ancora pi lentamente,
cingendo le spalle della bambina con il suo manto fiammeggiante: Ne sei proprio convinta?
Renata fece di s con la sua piccola testolina, non una ma due e forse tre volte. Eppure era convinta
e insieme non lo era. Quella lunga e ripida scala in verit non la convinceva affatto, che non ne
vedesse la fine non le piaceva affatto, ma daltra parte sentiva come un peso che la spingeva verso il
basso, una strana attrazione che la portava laggi. Ecco, se mai vuol dire qualcosa, Renata
dipendeva da ci verso cui il suo peso pendeva. Pondus meum, amor meus. O forse, semplicemente,
Renata voleva essere. E lo disse: Ecco...veramente...non so come dire...ma mi piacerebbe, mi
piacerebbe tanto essere....
Limbarazzo e anzi lo sbigottimento percorse tutto il palazzo. Ognuno si volse verso ogni
altro per chiedersi cosa mai volesse dire essere. La parola corse di bocca in bocca, scandita da ogni
voce. E cos il vecchio re, dopo uno studiato borbottio che serv a tacitare le altrui perplessit, prov
ad interrogare pazientemente Renata. Ma invano. Linterrogatorio fu lungo e un poco estenuante,
come un dialogo tra sordi dal quale il re non pot cavarne granch. Renata disse di nuovo che
voleva essere, e seppe solo aggiungere che voleva essere per davvero, e poi che voleva proprio
essere, ma essere sul serio, e non cera modo n verso di farle dire altro. Lei stessa se ne
meravigliava: quella parola le piaceva, la intrigava e ci si baloccava volentieri. Le pareva che essere
fosse una specie di avventura, una strana perfezione, un sapore nuovo e una nuova scoperta, forse
una prova difficile s ma entusiasmante, bench tutto questo riuscisse incomprensibile - a lei stessa
incomprensibile - a cospetto della sfavillante bellezza che la circondava da ogni parte. E se Renata
avesse aggiunto: Vedi, mio buon re, io qui non so bene se sono oppure no. E se voi tutti siete, e se
vale la pena essere , pu credere il nostro lettore che il re avrebbe ben compreso cosa mai volesse
dire Renata? Perch il re, che da gran tempo regnava su mondi infiniti e infiniti destini, che
conosceva molte cose o forse le conosceva tutte, avrebbe certo inteso Renata se questa gli avesse
detto che cosa volesse essere, e le avrebbe potuto offrire qualunque cosa se solo Renata lavesse
chiesta, ma non riusciva a capire che cosa mai fosse lessere che Renata voleva essere, e quale
incanto potesse mai esercitare!
Vuoi essere? domand per lennesima volta il gran re. S, lo vorrei rispose ancora
Renata, sempre pi caparbia. E cosa, di grazia? ripet nuovamente il re, cui se non altro non
faceva difetto la tenacia. Vorrei essere, punto e basta disse ancora una volta Renata, e fra s e s
aggiunse: Ma perch sta sempre a domandarmi cosa? Questo re ben strano: dal momento che ha
tutto e pu promettermi ogni cosa, non riesce a capire che a me basta di essere semplicemente?
Dopodich disse ancora a voce alta: Insomma, mio buon re, mai possibile che non mi sia
permesso di essere senza essere qualcosa? .
Dal volto un poco accigliato del re, Renata si accorse che nelle auguste orecchie del monarca
le sue parole erano risuonate con una piccola nota di impartinenza e pens allora che fosse meglio
provare una buona volta a spiegarsi. Raccolse tutta la pazienza che a volte necessaria ai bambini
per spiegarsi con gli adulti i quali, presi da mille complicazioni, sembra proprio che non vogliano
capire le cose pi semplici, e poi disse:
Mio buon re, mia dolce fatina, a me piacerebbe tanto essere, cos almeno credo e cos mi
pare di capire, essere non soltanto lo sfavillo di una favola, o uno sgargiante colore su una tela, sia
pure la pi lucente, ma essere semplicemente. Avere, provo a dirla cos ma non sono sicura di dire
qualcosa di preciso, avere uno spessore, una specie di profondit. Avere lunica cosa che qui non
vedo: una piccola ombra tutta mia .
Da qualche parte nellimmenso palazzo, un bimbo con le ali che aveva perduto la sua ombra
e che non voleva crescere ebbe un improvviso sussulto, ma Renata non vi fece conto e prosegu:
Il mare, ad esempio, avete visto il mare? Il mare ha un fondo e una distesa, si avvicina con
piccole e calme onde e si distende verso lorizzonte, a volte si alza scuro e si abbassa e fa sentire
forte la sua voce. E il cielo? Anche il cielo ha un orizzonte lontano e forse irraggiungibile, anche il
cielo vive grazie alla distanza e le nuvole che lo percorrono disegnano sulla terra le loro buffe
ombre. E la foglia? Non ha forse un rovescio la piccola foglia sul ramo, che ora mi celato e forse
domani scoprir? E la carta non ha una piega, e il sole un oriente, e la penna una direzione e la
strada un lato e un altro lato? Qui, invece, non c oggi n domani, e neppure c il lontano e il
vicino, il prossimo e il distante, ma tutto posso averlo ora e subito. Non vi sono trame, n intrecci,
c il giorno ma non c la notte . Ma la notte buia! , non pot fare a meno di sbottare il re,
dallalto della sua bianchissima barba che mai nessuno avrebbe potuto vedere nelloscurit.
vero ammise Renata Ma senza la notte non posso vedere i colori sfumati del tramonto n lalba
dalle dita di rosa e si stup della prontezza della sua risposta, tanto pi che non aveva ancora
veduto n unalba n un tramonto! Ma tant, nelle fiabe cos: il narratore volentieri farebbe a
meno di rispettare la sintassi e la grammatica e persino lortografia, figuriamoci se pu preoccuparsi
di non violare la logica!
Ma quando c la notte, non c il giorno, non c la luce, e i colori fuggono via! Questa
volta era stata la fata a parlare, e Renata non pot fare a meno di pensare che la fata era tanto buona
e cara, cos gentile e bella, ma forse anche un po tonta. Lo so bene disse Renata, che prendeva
sempre pi coraggio Ma c lattesa del giorno, e la speranza della luce. Qui invece posso avere
tutto, ma cos presto, cos subitamente, che temo di perdere quel che pi mi piace: il tempo di
gustare le cose poco alla volta. Credo proprio che ci sia del gusto, ad essere, e bisogna assaporarlo
poco a poco .
Da dove Renata prendesse queste preziose pillole di saggezza difficile dirlo, dal momento
che era cos piccola e anzi che non era neppure! Di certo, non tocca a noi lettori spiegare un
garbuglio del genere. Dovrebbe farlo il narratore, ma ancora una volta non ci dice proprio nulla,
cosicch legittimo che noi si cominci a sospettare di essere capitati in una favola assai curiosa, per
non dire che una favola sbagliata. Ad ogni buon conto, non c dubbio che quelle strane e
sentenziose proposizioni riuscivano semplicemente insensate per i favolosi abitanti del palazzo. Il re
cominciava a preoccuparsi, arrotolava la barba fra le dita e mormorava: Non una cosa seria! Non
una cosa seria! . Avrebbe voluto togliere dalla testa di Renata quelle idee stravaganti, purtroppo
per non poteva: nel palazzo dei destini, dove tutto contenuto meravigliosamente in una volta
sola, nulla si pu infatti togliere e nulla aggiungere, nulla sottrarsi e nulla sommarsi, nulla pu
venire meno e nulla pu venire ad...essere!
Ma allora neppure Renata potr mai muoversi di l, dove labbiamo incontrata, sulla soglia
del palazzo, a cospetto del gran Re, assistita da una fata! .
Sulla soglia, caro lettore, sulla soglia. Questa favola sar strana, ma non del tutto
sconclusionata. Ed anche se il narratore non ci dice tante cose e si caccia in strani pasticci e
irresolubili contraddizioni, non poi cos sciocco da non riservarsi qualche via di fuga. Sulla soglia:
il narratore lha posta l perch il destino di Renata non fosse ancora tutto deciso, perch Renata
fosse posso fare il sapientone anchio? sul bilico dellessere. E non state ora a chiedere anche a
me cosa ci significhi: gi cos difficile dire cosa mai sia un bilico (che una ben strana parola:
il nome di che cosa? E dove poi si trova codesto bilico?)!
Sar difficile, per unimmagine che mi piace: la devo suggerire al narratore ed anzi sapete
che faccio? Il narratore non me ne vorr, ma provo ad inserirla io stesso in questa fiaba: Renata
stava dunque sospesa l, sulla soglia, in bilico come su una corda, e ad ogni nuova domanda
inclinava un po di pi da un lato. Pendeva ad ogni istante un pochino di pi, ma cos
impercettibilmente che nessuno di coloro che la osservavano pot accorgersene: n il re, n la fata,
n il ragazzo che lombra - tanto tempo prima - laveva perduta, anche perch tutti costoro neppure
sapevano come mai si potesse essere poco a poco. Solo Renata ad un certo punto si rese conto,
con sua grande sorpresa, che alle punte dei suoi minuscoli piedi stava comparendo, timida e incerta,
una piccola ombra. La luce che prima pioveva da ogni parte, sciabolando festosamente laria, si era
infatti ritirata perplessa verso lalto, e la piccola silhouette di Renata aveva cominciato lentamente a
disegnarsi sul terreno, via via che Renata aveva preso stranamente a pendere. Per un bel tratto,
Renata rimase a contemplare quella sua nuova compagna: muoveva il capo, alzava il braccio, apriva
e chiudeva la manina per osservare i movimenti fedeli dellombra. Rideva divertita ad ogni nuova
figura. Come non capirla?: per noi lettori, che da sempre abbiamo uno spessore e proiettiamo la
nostra ombra sulle cose, normale, ma per Renata, che scopriva per la prima volta di avere una
larghezza e unaltezza e insomma era la prima volta che stava l ad osservarsi, per Renata tutto ci
era affatto straordinario.
Tanto straordinario che, tutta assorta nella contemplazione della propria ombra, non si
accorse che questa nel frattempo si era allungata sul palazzo, ed aveva gi coperto i basamenti
delledificio. Presto o tardi avrebbe raggiunto i piani pi alti, e si sarebbe spinta anche allinterno,
fin sui gradini dellimmenso trono sul quale ancora sedeva, spaventato, il gran re. Nulla ormai
poteva arrestare lombra crescente della piccola Renata: quando finalmente stacc gli occhi da terra,
le fiamme che circondavano la fata dagli occhi di neve si erano gi spente, e della gran barba bianca
del re quasi nulla si distingueva nella sempre pi fitta penombra. Lo giorno se nandava, e laere
bruno volgea il gran palazzo dei destini dal vero in sogno, e dal sogno in fumo. In quella larga e
compatta oscurit, Renata si sarebbe forse spaventata se una mano non lavesse raggiunta. Da dove?
Renata non lo sapeva, perch ormai non distingueva pi nulla in quel vasto manto di tenebre:
sentiva per, in quella mano sicura e salda, un calore rassicurante e accogliente, al quale decise di
affidarsi. Dopo aver tenuta qualche tempo la manina di Renata posata e raccolta nel suo palmo, la
mano fece qualche passo insieme con Renata, finch non giunsero alla scala che le era stata indicata
dal vecchio re. In un lago di oscurit, in cui non sarebbe stato possibile tracciare alcuna linea n
riconoscere alcun punto, quella stretta e lunga scala a chiocciola aveva almeno il pregio di indicare
una direzione, e Renata non ebbe esitazioni a percorrerla, anche se per farlo dov lasciare la
mano che laveva condotta fin l. Ora Renata si allontanava, e anche questa volta era la prima volta.
La prima volta che conosceva la lontananza e, forse, il dolore della separazione. Era un dolore
sottile, che Renata non sapeva bene dove collocare: perch non era nella mano che sentiva il dolore,
e neppure negli occhi aveva male, eppure era la mano che non sentiva pi il calore dellaltra mano,
ed erano gli occhi che sempre pi a fatica la distinguevano in cima alla scala che stava scendendo.
Cap allora che il dolore non era una cosa. Il dolore era nella distanza stessa, e la distanza non una
cosa ma un rapporto tra cose, la vuota profondit che si distende tra le cose. Ma non era forse
questo che aveva detto al gran Re che avrebbe voluto conoscere ed essere? Voleva essere, e lessere
che Renata voleva essere non una cosa, perch sempre un essere a distanza. Renata non poteva
formularla cos, perch non aveva (ancora) letto i libri dei filosofi, ma insomma bisognava essere
di-stanza nella distanza.
Ma qui chiediamo al narratore di fermarsi un momento. Anche perch vi un disegnatore di
questa storia, a cui occorrerebbe che qualcuno spieghi come si disegna una distanza, e una stanza
nella distanza o qualcosa di simile. Forse il narratore vorrebbe che il disegnatore tracciasse qui la
cosa meno cosa che c, qualcosa che non somiglia ad una cosa, qualcosa che non una cosa ma
sta tra le cose? Laria, forse? Una musica? Oppure lalba di una cosa, una nascita? Che strana favola
ci tocca di leggere! Che almeno abbia un lieto fine!
E invece no. Invece di una fine, questa favola ha un lieto inizio, la favola di un inizio.
Renata scendeva gi per la ripida scala a chiocciola, piegata su se stessa a causa degli spazi angusti
in cui doveva intrufolarsi. Cominci a sentire dei rumori strani, mai uditi prima dallora. Poi
finalmente vide una luce molto fioca in fondo alla scala e prese nuovamente coraggio. Stava per
essere. Giunta in prossimit della luce, i rumori si fecero pi forti e per nulla rassicuranti. Renata
avrebbe voluto riconoscere almeno una voce amica, ma erano solo grida e lamenti e Renata ebbe
paura. Oppure no: visto che una favola, il narratore ha deciso che una voce amica Renata lha
potuta ascoltare. Questa voce disse: Avrai il potere di vedere il lontano come vicino: il lontano
potrai avvicinarlo, il remoto potrai approssimarlo (e qui noi lettori abbiamo tutto il diritto di
notare che avrebbe potuto far parlare questa voce in modo meno strambo e oracolare!). Figuriamoci
un po se Renata, in un cos difficile frangente, poteva mai prestare ascolto ad una voce del genere!
Non c niente da fare: a volte anche i narratori compiono degli spropositi nelle loro favole. E
comunque non cera voce che Renata avrebbe potuto sentire tra quelle terribili urla e quei lamenti.
Poi tutto prese a sobbalzare: scosse terribili fecero tremare la scala ed ogni gradino prese a
cigolare paurosamente. Sballottata di qua e di l, Renata riusc a gettare unocchiata nella livida
luce che ormai labbagliava. E vide. Vide per caso un altro palazzo? Eh no, cari i miei lettori,
costretta a chiudere quasi del tutto i suoi piccoli occhietti disabituati ad una luce cos forte, Renata
vide tuttavia un volto, vide il volto di una mamma. Chino su di lei, il volto aveva occhi lontani e
profondi, stanchi ma felici, che le sorridevano gentili. Non fece a tempo a riprendersi che unaltra
sorpresa doveva stupirla. Renata ud non soltanto una voce, ma ud il suo nome, proprio il suo nome
ben scandito: Re-na-ta! Re-na-ta! , e la voce proveniva da qualche cavit profonda allinterno di
un corpo lungo e grande che non conosceva. Era il pap. Renata trattenne allora il fiato, raccolse
tutte le forze e si mise ad urlare dalla felicit.
Solitamente qui i narratori scrivono qualcosa come: nghu, nghu, e fanno qualche moina.
Ma in questo caso, quanto alle moine, se ne sono forse fatte fin troppe, e la si tirata abbastanza per
le lunghe. Quanto invece al pianto di una neonata, non c fiaba che tenga e non questione di
onomatopea: bisogna che lo sentiate, che lo abbiate accanto, che lo ascoltiate mentre stringete a voi
quellincredibile, minuscolo esserino, cos pieno di promesse e di vita. Daltra parte, Renata ha fatto
cos tanto per essere, che ormai lavete con voi: volete ancora leggere di lei, o volete incontrare
finalmente il suo sguardo? Non sarete mica abitanti del palazzo?

Breve epilogo altrove

Stiamo perdendo pezzi


S, lo so. inevitabile, dal momento che non siamo. Nel giro di pochi miliardi di anni (o in un
battibaleno, perch qui il tempo non esiste) di questo palazzo non rimarrano che le rovine
Cosa pensi di fare?
Proprio nulla, non c nulla da fare. Non c neppure il fare, qui
il destino del palazzo dei destini
Gi, appena siamo, non siamo, e solo cos siamo
tanto che ti conosco, ma questa piroetta di parole non lho capita
Gi, quasi nessuno la capisce. Io stesso non la capisco fino in fondo, dal momento che mi limito
a non essere. come se ci tenessimo solo su un lato. Renata, ormai, sullaltro lato dellessere
Chiss se ne vale la pena. E chiss se mai si ricorder di noi
Ha la sua mamma e il suo pap: ci ha gi dimenticati. E cos ci ricorda: come dimenticati. Come
il sogno mai sognato della vita
Io, e tu, e questo palazzo, saremmo solo un sogno?
Di meno, mia cara fata, molto di meno. A meno che il narratore che scrive questa storia non ci
conceda una seconda chance
Credi che lo far?
Non so. So che mi ha lasciato parole sufficienti solo per unultima domanda, purtroppo per
non so qual
La scriver lui
S, certo: la scriver lui. Ma cosa mai scriver?

Potrebbero piacerti anche