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C A P I T O L O VII

Motori a combustione interna

VII.1 Generalità.

Comunemente si è abituati ad immaginare il motore a combustione interna come quel tipo di


motore che ci permette di far funzionare i più comuni veicoli che utilizziamo per la trazione.In
realtà esso è utilizzato anche in altri campi, ad esempio nella produzione di energia elettrica
mediante i gruppi elettrogeni, anche se una tale soluzione si rende necessaria per lo più in
condizioni di emergenza.
L’associazione motore a c. i. - trazione non è da ritenersi sbagliata ma anzi essa è ampiamente
giustificata dal reale e più comune uso che viene fatto di questo tipo di motore.
La prima caratteristica che viene subito posta in risalto è il campo di potenze, enormemente vasto,
che il motore a c. i. riesce a ricoprire; infatti, si va da potenze di pochi kW (i comuni motorini) fino
a potenze dell’ordine dei MW (40÷50 nella trazione navale). Analoga considerazione va fatta per
quanto riguarda il rendimento, infatti, anche per esso il range di valori è molto vasto: si va dai
0.10÷0.15 (motorini) fino a rendimenti che superano lo 0.50, quindi confrontabili con quelli degli
impianti combinati.
Rispetto agli impianti finora studiati (T.V., T.G., I.C.) il motore a c. i. ha un tipo di funzionamento
completamente diverso; infatti finora abbiamo visto che per ogni fase del ciclo da compiere vi era
un componente (diverso per le varie fasi) che la eseguiva: per intenderci si aveva una distribuzione
spaziale oltre che temporale della realizzazione del ciclo. Ora, invece tutto avviene in un sistema
pistone - cilindro in cui le fasi del ciclo termodinamico si susseguono nel tempo all’ interno di uno
stesso volume: ciò porta, come immediata conseguenza, la non stazionarietà di un tale sistema.
Infatti, nel pistone-cilindro le grandezze p, T, v variano continuamente nel tempo; questo non
avveniva per gli altri tipi di impianti studiati, infatti, se prendevamo una qualunque sezione di una
turbina a gas o di un impianto a vapore trovavamo i valori di pressione, temperatura, volume,
portata, ecc. costanti nel tempo (a meno di non effettuare una regolazione).
Dopo questa panoramica sugli aspetti fondamentali che caratterizzano il motore a c. i. , passiamo ad
un’analisi più dettagliata sia del suo funzionamento che della sua struttura. Innanzitutto quando si
parla di motori a combustione interna ci si riferisce a sistemi alternativi: si ha la presenza di un
cilindro nel quale scorre un pistone che si muove di moto rettilineo; attraverso un collegamento
meccanico costituito da una biella e una manovella il pistone è collegato all’albero motore: è
proprio attraverso tale collegamento che si può trasformare il movimento alternativo del pistone in
rotazione dell’albero motore. Il pistone è caratterizzato da un diametro D, detto anche alesaggio,
Tra la testa del pistone e il fondo del cilindro esiste sempre un certo spazio di volume non nullo che
viene detto camera di combustione.Quando la camera di combustione ha il suo valore minimo si
dice che il pistone si trova al PMS (punto morto superiore); quando ha valore massimo si dice che il
pistone è al PMI (punto morto inferiore).
La distanza tra il PMS e il PMI viene detta corsa del pistone e la si indica con s. Dalla conoscenza
dei due parametri che abbiamo appena introdotto (alesaggio e corsa) è possibile calcolare la
D2
cosiddetta cilindrata V che può essere espressa come: VMAX − VMIN = V = π s (siccome ci stiamo
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riferendo ad un solo cilindro è bene specificare che questa di cui stiamo parlando è la cilindrata
unitaria; un motore a combustione interna può essere costituito anche da più cilindri: parleremo di
motori pluricilindri e ci riferiremo alla cilindrata totale data dal prodotto della cilindrata unitaria per
il numero di cilindri.).

1
Un altro parametro fondamentale di un motore a combustione interna è il cosiddetto rapporto
volumetrico di compressione , detto anche rapporto geometrico, indicato con ρ definito come
rapporto tra il massimo volume del cilindro ( al PMI ) e quello minimo (al PMS)

VMAX V + VMIN V
ρ= = 1+
VMIN VMIN VMIN

Si vede dalla definizione di ρ , che al crescere del rapporto di compressione diminuisce la distanza
tra cilindro e pistone quando quest’ultimo si trova al PMS, ovvero diminuisce il VMIN della camera
di combustione.
E’ ovvio che ρ deve assumere valori diversi da zero perché se esso fosse nullo ciò comporterebbe
dei problemi di urto tra cilindro e pistone in quanto vi è da mettere in conto che oltre alle forze
esercitate dal fluido presente nella camera di combustione, vi sono delle forze di inerzia che
agiscono sul pistone e che possono portarlo ad urtare il cilindro.

VII.2 Classificazioni dei motori a combustione interna.

Vediamo quali sono le possibili classificazioni che si possono individuare per i motori a
combustione interna;
Una prima classificazione si può fare in base al sistema di accensione del combustibile: si parlerà
quindi di

• Motori ad accensione comandata


• Motori ad accensione per compressione

I primi sono i classici motori alimentati a benzina o a gas in cui il processo di combustione è
innescato mediante una scintilla che scocca tra gli elettrodi di una candela.
I secondi sono rappresentati invece dai motori diesel in cui il processo di combustione si innesca
spontaneamente a causa dell’elevata pressione e temperatura presenti nella camera di combustione.
Si ricorda che il gergo comune può trarre in inganno: infatti si è soliti parlare di motori benzina e
motori diesel. Tale modo di classificare i motori è scorretto, in quanto benzina e diesel sono i
combustibili usati, e non certamente delle caratteristiche dei motori a c. i.
Correttamente quindi si dovrà necessariamente parlare di motori a c. i. ad accensione comandata
oppure ad accensione per compressione.

Una seconda classificazione dei motori a combustione interna in base al ciclo operativo, cioè in
base al numero di fasi che sono necessarie per la realizzazione del ciclo termodinamico. Avremo
allora

• Motori a due tempi (2T)


• Motori a quattro tempi (4T)

Un motore 2T è caratterizzato da un ciclo termodinamico che si completa in due corse del pistone,
cioè in un solo giro dell’albero motore.
Un motore 4T è caratterizzato invece da un ciclo termodinamico che si completa mediante quattro
corse del pistone, cioè in due giri dell’albero motore.
Oggi tutti i motori sono a 2T o a 4T ma si possono ancora trovare motori di vecchia concezione a
6T in cui c’è una corsa in più del pistone legata a motivi di raffreddamento del motore 8oggi non si
realizzano più).

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I motori ad accensione comandata, a seconda del sistema di immissione del carburante, si
suddividono in:

• Motori a carburazione
• Motori ad iniezione

I motori a carburazione oggi non sono più utilizzati perché sono di vecchia concezione ed hanno
lasciato posto ai più moderni motori ad iniezione. Questi ultimi si differenziano in:
- motori ad iniezione indiretta in cui il combustibile è spruzzato in pressione, sottoforma di getti
finemente polverizzati, mediante gli iniettori, nel condotto di aspirazione prima di entrare nel
cilindro ( è la situazione che si verifica per i motori a benzina );
-motori ad iniezione diretta in cui il combustibile è spruzzato in pressione direttamente nel cilindro;
è questo il caso dei moderni motori diesel in cui non è presente la precamera ( nei vecchi diesel la
precamera era l’organo ricavato nella testa dei cilindri in cui veniva iniettato il gasolio e dove
iniziava la combustione ).
Oggi sono allo studio anche motori ad iniezione diretta di benzina, i cosiddetti motori GDI .

A seconda del sistema di alimentazione possiamo individuare:

• Motori aspirati, in cui l’aria immessa è prelevata a pressione atmosferica;


• Motori sovralimentati, in cui l’aria immessa è compressa mediante l’utilizzo di un
compressore volumetrico che permette di introdurre nella camera di scoppio una quantità di
miscela aria-benzina superiore a quella che il motore sarebbe in grado di aspirare da sé ( è la
situazione classica per i motori diesel mentre è più rara per i motori a benzina ).

Un’ ultima classificazione che si può fare è la seguente:

• Motori monocilindro, costituiti da un unico cilindro ( a 2T o a 4T );


• Motori pluricilindro, costituiti da più cilindri ( a 2T o a 4T ).

Le classificazioni per cui siamo passati possono essere combinate fra di loro in vario modo: ad
esempio si può parlare di un motore ad accensione comandata, 4t, aspirato, pluricilindrico; oppure
di un motore ad accensione per compressione, 2t, sovralimentato, pluricilindrico. Così si potrebbero
trovare tante altre soluzioni.

Facciamo ora delle considerazioni valide per tutti i tipi di motori a combustione interna.
Per permettere all’interno del cilindro lo scorrimento del pistone, quest’ultimo è ricoperto da uno
strato di olio lubrificante al fine di ridurre gli attriti: questo strato di olio deve avere uno spessore
ben preciso per garantire un perfetto funzionamento del motore e a tale scopo sul pistone sono
presenti delle fasce che garantiscono lo spessore ottimale. Se non c’è un sufficiente velo di
lubrificante le superfici in metallo del pistone e del cilindro, venendo a contatto tra loro, si
surriscaldano e, dilatandosi arrivano a impedire il movimento del pistone. Il motore quindi si blocca
totalmente e tale fenomeno è detto grippaggio. Tutti i cilindri sono posizionati nel monoblocco in
cui sono presenti le camicie: in queste vengono posizionati i cilindri in modo però che rimanga lo
spazio sufficiente per il passaggio di un fluido ( aria o liquido ) che garantisca il raffreddamento dei
cilindri durante il loro funzionamento ed uno scambio termico con l’olio lubrificante in modo che
quest’ultimo si mantenga alla giusta temperatura.
Sul monoblocco è fissata la testata ( è la parte superiore del motore: in essa sono alloggiate le
valvole, gli iniettori, i condotti di aspirazione e scarico, le candele ) mediante una guarnizione
che,compressa tra i due pezzi, si deforma garantendo una perfetta ermeticità.
Le valvole possono essere due o quattro per cilindro e regolano l’afflusso e l’uscita dei gas dai
condotti di aspirazione e di scarico attraverso la camera di combustione.

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La rotazione reciproca tra pistone e biella è garantita dallo spinotto; c’è poi l’albero a gomiti, su cui
sono fissate le bielle, che permette di rendere il movimento alternativo del pistone in moto rotatorio
sull’asse. Altri elementi fondamentali di un motore a combustione interna sono il filtro dell’aria ,
che serve per purificare l’aria utilizzata per la combustione, e l’albero a camme, che permette il
movimento delle valvole ( il suo movimento è garantito da ruote dentate collegate all’albero
motore: in un motore 4T la ruota dentata deve girare ad una velocità pari alla metà di quella
dell’albero in quanto le valvole devono aprirsi ogni due giri di quest’ultimi ).
Abbiamo detto che i motori sovralimentati presentano un compressore volumetrico: quest’ultimo è
mosso dall’albero motore. Si può realizzare anche una compressione con turbocompressore formato
da due elementi: un compressore centrifugo e una turbina che gira ad altissima velocità spinta dai
gas di scarico. Questa è una soluzione che migliora le prestazioni del motore ed inoltre non sottrae
potenza alla macchina come nel caso del compressore volumetrico.

La scelta di un motore 2T oppure 4T è basata sulla semplicità oppure sulla potenza; infatti un
motore 2T nei motorini viene privilegiato per la semplicità mentre su una nave è la potenza che ne
determina la scelta: infatti con un motore 2T, a parità di volume e numero di giri dell’albero motore,
abbiamo una potenza doppia rispetto ad un motore 4T in quanto nello stesso tempo il fluido compie
un numero doppio di cicli termodinamici.

In generale i cilindri di un motore vengono disposti uno accanto all’altro; tuttavia esistono anche i
motori boxer ( con cilindri contrapposti ) e i motori a V ( in cui i cilindri sono disposti in bancate ).
-

vista in trasparenza di un motore a benzina vista in trasparenza di un motore turbodiesel

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vista in trasparenza di un motore a V

VII.3 Cicli di un motore a combustione interna.

Per i motori ad accensione comandata il ciclo di riferimento è il CICLO OTTO o BEAU DE


ROCHAS.
Per i motori ad accensione per compressione il ciclo di riferimento è detto CICLO DIESEL.
Tutti questi cicli sono dei cicli di riferimento per il ciclo reale, e ci forniscono il rendimento ideale a
cui si dovrebbe tendere.
Vediamo come è fatto il ciclo Otto:

Questo è il ciclo di riferimento per un motore ad accensione comandata; è un ciclo ideale in quanto
si immagina che la combustione non sia interna al cilindro ma si suppone esterna ad esso. Questo
porta come conseguenza che il cilindro non ha bisogno delle valvole e quindi nel suo interno è
presente sempre la stessa quantità di massa per cui è possibile disegnare il ciclo in funzione del
volume specifico.
Supponiamo di partire dal punto 1 in cui il cilindro è pieno di aria alla pressione atmosferica ed il
pistone si trovi al PMI; il pistone poi sale iniziando la fase di compressione che si può assimilare ad
una trasformazione adiabatica e isoentropica: quindi v diminuisce mentre la pressione aumenta
finchè il pistone raggiunge il PMS (punto 2) . A questo punto inizia la fase di combustione esterna
che comporta una adduzione di calore a volume specifico costante; durante la fase di combustione,
supposta istantanea, dal punto 2 raggiungiamo il punto 3. Il pistone poi inizia a scendere dando
inizio alla fase di espansione, anch’essa adiabatica ed isoentropica, e ritorna al PMI (punto 4) con
una pressione superiore a quella di partenza. Segue quindi una sottrazione di calore isocora per
ritornare nelle condizioni di partenza.
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Le fasi del ciclo si possono riassumere nel seguente modo:

1-2 : compressione adiabatica isoentropica;


2-3 : adduzione di calore isocora;
3-4 : espansione adiabatica isoentropica;
4-1 : sottrazione di calore isocora.

Vediamo ora di analizzare il ciclo diesel:

Questo ciclo è il ciclo di riferimento per i motori ad accensione per compressione e per tale motivo
si differenzia dal ciclo otto; anche qui si suppone di partire dal punto 1 in cui il pistone è al PMI e il
cilindro è pieno d’aria. Inizia una fase di compressione adiabatica ed isoentropica seguendo le
stesse modalità di prima ma alla fine la pressione che si deve raggiungere è molto più elevata per
innescare il fenomeno di combustione. Questo risultato lo si può ottenere aumentando il valore del
rapporto di compressione e riducendo lo spazio morto tra il PMS del pistone e la testa del cilindro.
La fine della compressione si ha nel punto 2 e, vista l’elevata pressione raggiunta, si innesca il
fenomeno della combustione: esso è istantaneo e perciò lo si può considerare isobaro. Alla fine
della combustione (punto 3), si hanno una espansione isoentropica adiabatica e una sottrazione di
calore isocora con le stesse modalità del ciclo otto.

Le fasi del ciclo si possono così riassumere:


1-2 : compressione adiabatica isoentropica;
2-3 : adduzione di calore isobara;
3-4 : espansione adiabatica isoentropica;
4-1 : sottrazione di calore isocora.

La differenza fondamentale fra questi due cicli di riferimento è che nel ciclo otto abbiamo una
combustione isocora, mentre nel ciclo diesel abbiamo una combustione isobara.

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ciclo sabathè

C’è poi un ciclo, il ciclo sabathè , che è una sorta di ciclo riassuntivo in quanto include gli
andamenti sia del ciclo otto e sia del ciclo diesel; in tale ciclo infatti la fase di adduzione del calore
avviene in parte a volume costante ed in parte a pressione costante.
In virtù del fatto che con il ciclo sabathè riusciamo a ricoprire sia il campo dei motori ad accensione
comandata che quello dei motori ad accensione per compressione, facciamo su di esso una serie di
considerazioni generali. Una rappresentazione di questo ciclo, anch’esso ideale, è la seguente:

Cerchiamo, in riferimento a tale ciclo, di valutare i rendimenti che si possono ottenere per poi
particolarizzare l’espressione che si ricava per il ciclo otto ed il ciclo diesel.
Fissato il punto 1 vediamo come ricavare i parametri negli altri punti del ciclo in base anche alla
conoscenza dei volumi che li caratterizzano.

Essendo la trasformazione 1-2 una compressione adiabatica isoentropica si ricava che


T2=T1 ρk-1

Si definiscono poi due nuovi parametri dati dal rapporto di due valori di temperatura:

τ = T3 / T2 e b = T3’ / T3

τ e b danno delle informazioni sulla modalità con cui avviene la somministrazione del calore.
Per quanto riguarda la temperatura nel punto 4, essendo il punto 3 distinto da 3’, possiamo scrivere:

b = T3’ / T3 = v3’ / v3 quindi T4 = T3’ (v3’ / v4 ) k-1

Facendo delle opportune sostituzioni si ricava T4 = T1 ρk-1 τ b ( v3b / v4 ) k-1 = T1 τ bk

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A questo punto si può definire il rendimento ideale del ciclo come

ηid = ( Q1 – Q2 ) / Q1 = 1 – ( Q2 / Q1 )

Q1 rappresenta il calore fornito ed essendo il sistema chiuso è pari a: Q1 = cv ( T3-T2)+cp(T3’-T3)


Esso è somma di due aliquote di cui la prima è relativa al tratto a volume costante e la seconda è
relativa al tratto a pressione costante.
Q2 rappresenta il calore sottratto ed essendo il sistema chiuso è dato da : Q2 = cv ( T4 –T1 );
Possiamo finalmente ricavare l’espressione del nostro rendimento :

η id = 1 −
1

(τb−1 k
)
ρ k −1
[(τ − 1) + kτ (b − 1)]
Come si vede dall’espressione ricavata il rendimento dipende da tre parametri : il rapporto di
compressione (ρ), modalità con cui si adduce il calore ( b e τ ) e tipo di fluido (k).
Quest’espressione generale, come si può vedere, non è molto semplice ma essa si semplifica se la si
particolarizza per un ciclo otto e per un ciclo diesel.

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Per un ciclo otto infatti, essendo 3 = 3’ , b =1 quindi η id = 1 −
ρ k −1
Il rendimento cioè dipende solo dal rapporto di compressione e per avere motori di buon
rendimento bisogna dunque aumentare ρ.
L’aumento di rendimento all’aumentare di ρ è dovuto al fatto che il punto 2 del ciclo si sposta verso
l’alto e quindi si adduce calore ad una temperatura più elevata. Questa è una caratteristica
fondamentale di un motore ad accensione comandata e la ritroveremo anche nell’analisi del
funzionamento reale.

Per un ciclo diesel invece τ = 1 e quindi l’espressione del rendimento è :

1 bk −1
η id = 1 − ⋅
ρ k −1 k (b − 1)

Il rendimento in questo caso non dipende solo dal rapporto di compressione ma anche dalla
modalità con cui si effettua l’adduzione di calore.
In generale un motore diesel presenta dei valori di rendimento più elevati rispetto ad un motore a
benzina essenzialmente perché si possono raggiungere valori nettamente più elevati per il rapporto
di compressione. Valori così elevati di pressione non si possono mantenere in un motore ad
accensione comandata in quanto in tal caso si potrebbe innescare il cosiddetto fenomeno della
detonazione , si ha cioè l’accensione istantanea di tutto il combustibile che viene iniettato nel
cilindro. Questo fenomeno è sicuramente da evitare in quanto a lungo andare provoca dei seri
problemi al motore: quest’ultimo picchia in testa e si può provocare lo sfondamento del pistone.
La detonazione quindi è un fenomeno che non si deve assolutamente verificare per avere un corretto
funzionamento di un motore ad accensione comandata.

VII.4 Ciclo indicato di un motore quattro tempi

Iniziamo ora a fare un discorso più aderente alla realtà analizzando l’andamento del ciclo reale di un
motore a combustione interna, riferendoci in particolare ad un motore quattro tempi.La prima cosa
da specificare per ricavare questo ciclo reale, che è detto anche ciclo indicato, è che non possiamo

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più porci nelle stesse condizioni di funzionamento del motore che abbiamo considerato fino a
questo momento (condizioni di funzionamento ideali).
Innanzi tutto un motore reale è dotato sicuramente di valvole: attraverso il loro movimento di
apertura e chiusura, determinano una variazione del volume all’interno del cilindro nelle varie fasi
di funzionamento del motore; questo sta a significare che non possiamo più parlare in termini di
volume specifico ma, nella rappresentazione del ciclo, dobbiamo fare riferimento al volume totale
V.
Inoltre in questo caso non possiamo considerare più la combustione come un fenomeno che si
realizza all’esterno del cilindro ma dobbiamo supporre che tutto avvenga nella camera di
combustione per cui la situazione cambia notevolmente.
Per i motivi appena esposti, diagrammeremo il ciclo indicato in funzione della pressione e del
volume totale.
Un semplice schema di funzionamento di un motore 4T ad accensione comandata può essere così
rappresentato:

Il motore nel suo ciclo di funzionamento compie quattro fasi (aspirazione, compressione,
espansione e scarico) in un tempo equivalente a due giri dell’albero motore. Per tracciare il
diagramma indicato ad esso relativo bisogna vedere cosa succede fase per fase all’interno del
cilindro.
Supponiamo di partire dalle condizioni in cui il pistone è al PMI e nella camera di combustione
abbiamo fluido alla pressione atmosferica: inizia poi la fase di compressione che ora però non
possiamo più considerare adiabatica e cerchiamo di capire il perché; se supponiamo di partire da
una condizione di regime per il motore, il cilindro sarà caratterizzato dall’avere le pareti ad una
certa temperatura che indichiamo con Tw (è una temperatura che si mantiene pressocchè costante
intorno ad un valore di 450 K).Man mano che il pistone inizia a salire, l’aria contenuta nel cilindro
inizia ad essere compressa e quindi inizia a cambiare la sua temperatura T: in particolare a causa
degli attriti durante lo scorrimento del pistone la temperatura dell’aria tende ad aumentare.se in un
primo momento T< Tw (e quindi si ha del calore che dall’esterno entra nel cilindro, il che comporta
un andamento della compressione più ripido di un’isoentropica) poi essa tende ad aumentare fino a
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superare Tw (in tale situazione il calore è ceduto dal cilindro all’esterno e l’andamento della
compressione diventa meno ripido). Sono questi scambi di calore che rendono la compressione non
adiabatica. La fase di compressione dovrebbe finire al raggiungimento del PMS da parte del pistone
(come visto nel caso ideale) per poi passare alla fase di combustione: siccome la compressione nel
caso reale non può considerarsi istantanea ma richiede un certo tempo per verificarsi, se la
compressione terminasse al PMS e poi scoccasse la scintilla la combustione non avverrebbe nelle
condizioni ottimali in quanto l pistone tenderebbe già a scendere provocando un decremento di
pressione. Per evitare tale situazione si fa scoccare la scintilla con un po’ di anticipo in modo che la
combustione inizi quando il pistone è ancora in corsa verso il PMS: in tal modo la combustione
avviene in maniera ottimale in quanto nella camera di combustione si ha un’elevata pressione
dovuta al fatto che il pistone sta ancora comprimendo l’aria. Per far bruciare nel modo migliore il
combustibile bisogna mettersi a cavallo del PMS per minimizzare il volume della camera di
combustione.
Siccome la combustione avviene mentre il pistone sale e scende, abbiamo un andamento del ciclo in
cui volume e pressione sono entrambi fortemente variabili.
Terminata la combustione inizia la fase di espansione, anch’essa né isoentropica né adiabatica: in
tale fase infatti la temperatura dei gas combusti all’interno del cilindro è sempre maggiore di Tw e
quindi l’espansione è caratterizzata sempre da una sottrazione di calore. L’espansione non viene
fatta terminare al PMI come ci si potrebbe aspettare: l’apertura della valvola di scarico infatti non è
istantanea e quindi non si riuscirebbero ad eliminare tutti i gas dal cilindro in quanto il pistone
tenderebbe a risalire. Per tale motivo si anticipa l’apertura della valvola di scarico mentre il pistone
è ancora in fase di discesa. Ciò determina dapprima una fase di scarico spontanea (in quanto i gas
sono ad una pressione superiore a quella atmosferica) che fa diminuire notevolmente la pressione e
poi c’è una fase di scarico forzata dal pistone. In questo modo il lavoro del pistone sarà minore
rispetto al caso senza anticipo anche se ciò comporta una piccola perdita del lavoro di espansione.
L’angolo di anticipo di scarico ha un valore di 30 ~ 40° . La fase di scarico forzata dovrebbe
terminare al PMS: per svuotare completamente il cilindro dai gas di scarico si chiude la valvola di
scarico dopo che il pistone ha raggiunto il PMS; in tal modo si riesce a sfruttare l’inerzia che
possiede il fluido, in quanto spinto dal pistone, per farlo uscire completamente. Questo angolo di
ritardo ha un valore di 10°.
Alla fase di scarico deve seguire quella di aspirazione: per consentire l’entrata della maggiore
quantità possibile di aria fresca nel cilindro si deve aprire la valvola di aspirazione prima che il
pistone raggiunga il PMS; tale valvola si deve chiudere poi dopo che il pistone raggiunge di nuovo
il PMI (si sfrutta ancora una volta l’inerzia dell’aria, che ha ancora una certa velocità, per riempire
maggiormente il cilindro). La fase di aspirazione è spontanea perché avviene ad una pressione
minore di quella atmosferica e quindi si crea un risucchio dell’aria all’interno del cilindro.
Dopo l’aspirazione abbiamo una nuova compressione ed il ciclo ricomincia.
Il ciclo indicato ci consente di avere una visualizzazione di tutto ciò cha avviene all’interno del
cilindro e che abbiamo appena descritto.
Per un motore ad accensione comandate il ciclo indicato ha il seguente aspetto:

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Questo ciclo reale che abbiamo appena descritto è detto ciclo indicato in quanto può essere ricavato,
con estrema precisione, attraverso la valutazione del valore di pressione all’interno del cilindro per
mezzo di un trasduttore di pressione, detto indicatore, che millisecondo per millisecondo è in grado
di rilevare la pressione nella camera di combustione.
Un alto modo per arrivare alla determinazione di un ciclo indicato è quello di effettuare delle prove
su modelli del motore realizzati in laboratorio.

Le fasi che caratterizzano il funzionamento del motore che abbiamo appena descritto e che ci hanno
permesso di ricavare il ciclo indicato, possono essere visualizzate sul cosiddetto diagramma polare.
Una rappresentazione di quest’ultimo è la seguente :

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Da quanto appena descritto, durante il funzionamento del motore esiste un tempo durante il quale
sono aperte contemporaneamente sia la valvola di aspirazione che quella di scarico: tutto questo
avviene per un certo angolo detto angolo di incrocio valvole .
Su questo angolo di incrocio valvole si devono fare alcune considerazioni perché se esso è troppo
elevato si possono verificare due casi sfavorevoli:

1) si può verificare che la miscela aria-combustibile esca direttamente fuori dal cilindro senza
subir il fenomeno di combustione:si perde del combustibile incombusto e tutto ciò penalizza
sicuramente i consumi ma aumenta anche l’emissione di sostanze inquinanti;
2) i gas di scarico possono seguire un percorso anomalo e dirigersi verso il condotto di
aspirazione ricco di aria fresca da inviare al cilindro: questa è una situazione dannosa perché
innesca il fenomeno del ritorno di fiamma.

Nei moderni motori per evitare questi inconvenienti ed ottimizzare così l’angolo di incrocio valvole
si utilizza il cosiddetto sistema della fasatura variabile in cui l’apertura delle valvole è gestita
dall’elettronica.
Se osserviamo il ciclo indicato notiamo che esso è costituito da due aree: una che contribuisce
positivamente (quella superiore) ed una che invece contribuisce negativamente (quella inferiore):
l’area negativa, che per tale motivo è percorsa in senso antiorario, è detta area di pompaggio e
rappresenta il lavoro che deve compiere il pistone per aspirare e scaricare l’aria nelle fasi di
funzionamento del motore (rispettivamente aspirazione e scarico).
Una volta individuato il ciclo indicato relativo ad un motore, rimane individuato anche il lavoro
ottenibile da tale ciclo che è definito come lavoro indicato

Per definizione il lavoro indicato e dato da : Li =  L+  -  L- 

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Tale lavoro può essere definito anche nel seguente modo: Li = ∫ pdV = p miV , espressione ottenuta
applicando il teorema della media. In tale espressione V rappresenta la cilindrata mentre a pmi si dà
il nome di pressione media indicata.

Per definizione pmi = Li /V e rappresenta la pressione in grado di fornirci lo stesso lavoro indicato
al variare della cilindrata V.
In realtà per vedere uscire il lavoro indicato dall’asse della macchina bisogna attraversare tutta una
serie di meccanismi (sistema biella-manovella): a causa degli attriti che si manifestano durante il
loro funzionamento il lavoro disponibile all’asse è sicuramente minore di quello indicato.
In tal senso si parla di lavoro effettivo definito nel seguente modo:

Leff = Li ηm

Dove ηm rappresenta un rendimento meccanico che tiene conto non solo degli attriti ma anche
della presenza degli organi ausiliari necessari al funzionamento del motore stesso (ad esempio gli
organi per la lubrificazione).
Con l’introduzione del lavoro effettivo è possibile definire anche una

Pressione media effettiva pari a: pme = Leff / V

Il valore della pressione media effettiva è di rilevante importanza in quanto è collegato ai livelli di
potenza del motore.

VII.5 Potenza di un motore a combustione interna


Vogliamo affrontare ora un discorso relativo alla potenza che caratterizza un motore a combustione
interna.
Se indichiamo con z il numero di cilindri di cui è costituito il motore, con V la cilindrata e con pme
la pressione media effettiva, l’espressione della potenza effettiva Peff che il motore è in grado di
fornire è:
n n
Peff . = zLeff . = p meVz
60ε 60ε

n cicli
dove il termine Vz rappresenta il valore della cilindrata totale unitaria e = rappresenta il
60 ε s
tempo per compiere un giro dell’albero motore. Come si vede in questo ultimo termine compare il
parametro ε che tiene conto del tipo di motore che ci sta fornendo potenza.
In particolare ε=1 per un motore 2T ed ε=2 per un motore 4T.

Per determinare la potenza dunque dobbiamo vedere quante volte al secondo è possibile ottenere il
lavoro indicato e quindi quanti cicli al secondo possiamo effettuare.
Dall’espressione della potenza si nota che essa si può incrementare attraverso un aumento della
cilindrata.
p Peff .
Ma la relazione può essere scritta anche come: me = , dalla quale deduciamo che la p me è un
60ε Vzn
indice della potenza effettiva specifica per unità di cilindrata ed unità di numeri di giri del motore,
ovvero, a parità di cilindrata e numero di giri del motore, se vogliamo ottenere una potenza
maggiore, dobbiamo far aumentare p me . È proprio ciò che accade ad esempio nei motori di
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Formula 1 dove per motivi di regolamento non si può variare la cilindrata e quindi l’unico modo per
aumentare la potenza è agire sulla pressione media effettiva.

Un motore a combustione interna è caratterizzato anche da un valore di coppia effettiva data da:

Ceff = Peff / ω =(pmeVz)/(2πε)

Cerchiamo però adesso di ricavare per la potenza una espressione più generale che tenga conto di
tutti i parametri che possono influenzarla.
In generale per una qualsiasi macchina termica la potenza può essere espressa nel seguente modo:

P = mc Hi ηg

dove mc rappresenta la portata di combustibile, Hi il suo potere calorifico inferiore e ηg il


rendimento globale del motore.
La portata di combustibile è data dal rapporto tra la portata di aria inviata al motore e il coefficiente
α, cioè
mc = ma / α
(in particolare α = αstec per i motori ad accensione comandata mentre α> αstec per i motori ad
accensione per compressione come avremo modo di specificare meglio in seguito)
dalla relazione appena scritta si vede che, fissato α, la portata di combustibile da inviare al motore
dipende dalla portata di aria.
Da un punto di vista teorico la portata di aria a densità ambiente in grado di riempire tutta la
cilindrata è:
mat =Vzρa(n/60ε)

ma, siccome l’aria prima di poter entrare nel cilindro deve seguire tutto un percorso obbligato, si
hanno delle perdite di pressione e quindi la portata effettiva di aria che entra nel cilindro è diversa
da quella teorica. Si può scrivere cioè che

ma eff = λv mat

dove λv è detto coefficiente di riempimento e ci dà delle informazioni su come si sta riempiendo il


cilindro rispetto al caso teorico ottimale.

Alla luce di tutte queste considerazioni ed esplicitando i termini che compaiono nella espressione
generale della potenza per una macchina termica possiamo ottenere il seguente risultato.

L’espressione più generale per la potenza di un motore a combustione interna è:

P = Vzρa(n/60ε)(λv/α)Hiηg = [π (D2/4)s]zρa(n/60ε)(λv/α)Hiηg (*)

Dall’espressione appena ricavata si vede che per aumentare la potenza fornita dal motore si deve
necessariamente operare su uno dei parametri che compaiono nella formula in quanto non ci sono

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altre possibili strade. Vogliamo quindi vedere quali sono le possibilità per ottenere un incremento di
potenza.

La potenza può variare agendo ad esempio sulla cilindrata; si potrebbe ad esempio aumentare il
parametro z anche se non lo si può rendere troppo elevato in quanto non si realizzano motori
costituiti da un numero elevato di cilindri;anche l’alesaggio D non può assumere valori troppo
elevati in quanto in tal caso aumenterebbero troppo le forze agenti sul pistone;nemmeno la corsa s
infine può aumentare troppo in quanto come conseguenza abbiamo una diminuzione del numero di
giri del motore. Da quanto appena evidenziato si capisce che agendo sulla cilindrata si possono
realizzare solo variazioni modeste della potenza.

Per avere degli incrementi di potenza maggiori bisogna agire su un altro parametro e in particolare
sul coefficiente di riempimento λv. Abbiamo definito tale parametro come rapporto tra la portata di
aria effettiva entrante nel cilindro e la portata di aria teorica: tale coefficiente assume valore diverso
da 1 in quanto durante la fase di aspirazione del motore parte della cilindrata è occupata dai gas di
scarico del ciclo precedente e ciò penalizza λv rendendolo inferiore all’unità. Si deduce quindi che
per aumentare la potenza fornita bisogna aumentare il coefficiente di riempimento: vediamo come
si può ottenere un tale risultato.
Per aumentare il coefficiente di riempimento si devono progettare in maniera molto accurata il
collettore di aspirazione ed il collettore di scarico: questi si realizzano in modo da avere dei condotti
comuni, denominati plenum, opportunamente dimensionati per migliorare λv . Soffermiamoci ad
analizzare il condotto di aspirazione in cui è inviata l’aria che deve poi entrare nei cilindri. Quando
si apre la valvola di aspirazione del cilindro, l’aria presente nel collettore accelera in quanto è
risucchiata nel cilindro: questo significa che nel collettore di aspirazione si propaga un’onda di
depressione. Quando poi la valvola di aspirazione si chiude, l’aria nel collettore ha ancora una
velocità dovuta alla sua inerzia e quindi tende a comprimersi sulla valvola stessa: nel condotto cioè
si propaga questa volta un’onda di compressione. Da quanto appena esposto il collettore dunque è
sede del propagarsi di onde di pressione (per un motore 4T abbiamo quattro onde di depressione e
quattro onde di compressione in quanto come sappiamo l’apertura delle valvole è sfasata di 180°).
Se indichiamo con L la lunghezza del collettore e con a la velocità di propagazione del suono, il
tempo caratteristico di propagazione delle onde di pressione nel collettore è pari a (2L/a). Se si
riesce ad eguagliare la frequenza di queste onde di pressione con la frequenza di apertura e chiusura
delle valvole di aspirazione, si può far in modo che quando la valvola si apre si abbia in
corrispondenza un picco di compressione mentre quando si chiude una depressione: si può cioè
sfruttare questa particolare condizione di risonanza per riempire meglio il cilindro e di conseguenza
migliorare λv . Si può fare in modo che il massimo riempimento del cilindro si abbia per un
particolare numero di giri del motore n*: fissato n* è fissata la frequenza di apertura e chiusura delle
valvole f* (in quanto esse sono mosse dall’albero a camme collegato all’albero motore) e,
ponendoci nella condizione di risonanza appena descritta, è così possibile ricavare la lunghezza L*
ottimale per il collettore per rendere migliore il coefficiente di riempimento dalla relazione

(2L*/a) = (1/f*)

In questo modo è possibile tracciare gli andamenti del coefficiente di riempimento in funzione del
numero di giri del motore: sono degli andamenti differenti a seconda dell’utilizzo del motore. Ad
esempio per un motore di F1 il coefficiente di riempimento assume il valore più elevato in
corrispondenza di un numero di giri superiore rispetto a quelli di un motore realizzato per il
funzionamento cittadino. L’andamento di λv in funzione del numero di giri del motore è del tipo
riportato in figura.

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Come si è visto si può controllare il coefficiente di riempimento scegliendo opportunamente i
condotti di aspirazione e, in particolare, le loro dimensioni. Un discorso del tutto analogo lo si può
fare considerando la fase di scarico per svuotare il cilindro il più possibile dai gas combusti.
Per migliorare ulteriormente il coefficiente di riempimento si possono utilizzare particolari
accorgimenti: si possono utilizzare collettori di aspirazione a lunghezza variabile con il numero di
giri del motore (in particolare la lunghezza aumenta al crescere del numero di giri ), ma il metodo
più moderno ed efficace è la fasatura variabile. Con questo sistema, attraverso una centralina
elettronica, si gioca sui tempi di apertura e chiusura delle valvole e quindi si riesce ad ottenere dal
motore una potenza maggiore a parità di cilindrata : questo perché ciò che sta aumentando è la
pressione media effettiva.
Infatti P = pmeVz( n / 60ε ) e pme = δaλv ( Hi / α ) ηg e quindi aumentando λv aumenta pme.
Mediante la fasatura variabile è possibile rendere il coefficiente di riempimento addirittura
maggiore di 1: ciò significa che entra nel cilindro una quantità di aria maggiore rispetto a quella che
si riesce ad aspirare a pressione atmosferica. Si verifica cioè il cosiddetto fenomeno di
sovralimentazione per inerzia che è molto sfruttato ad esempio dai motori di formula 1.

Per aumentare il coefficiente di riempimento si deve necessariamente aumentare la quantità di aria


introdotta nel collettore di aspirazione e ciò lo si può ottenere mediante una sovralimentazione
meccanica: si utilizza un compressore mosso dall’albero motore per mandare più aria nel collettore.
Le conseguenze di ciò sul ciclo indicato sono le seguenti: siccome l’aspirazione avviene ad una
pressione superiore a quella atmosferica, quando si apre la valvola di aspirazione la pressione cresce
e l’area di pompaggio si può rendere positiva ( abbiamo cioè un’aria utile maggiore ).
Ciò che in realtà si riesce ad ottenere mediante la sovralimentazione meccanica è solo un
incremento di potenza: non si ha infatti un vantaggio sul lavoro di pompaggio in quanto tutto ciò
che in tal senso viene recuperato lo si perde per muovere il compressore. Siccome questo
compressore è collegato all’albero motore è caratterizzato dall’avere un numero di giri abbastanza
basso: questo sta a significare che non può essere un compressore dinamico bensì un compressore
volumetrico, che è l’unico in grado di svolgere la sua missione con un basso numero di giri.
Essendo collegato direttamente all’albero motore poi, questo compressore segue tutte le variazioni
subite dal motore: quando ad esempio il motore aumenta il numero di giri in fase di accelerazione,
la girante del compressore ruota più velocemente e quindi si riesce a fornire più aria al motore.
Questo sistema di sovralimentazione ha il vantaggio di entrare subito in azione nel momento più
opportuno fornendo una risposta molto rapida a seconda delle varie esigenze (questo è il suo
fondamentale pregio). Tutto ciò però toglie energia meccanica al motore.

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Per recuperare tale energia dal motore si è creato un diverso tipo di sovralimentazione, quella con
turbocompressore di cui qui di seguito c’è una figura che lo rappresenta.

Il turbocompressore è un particolare dispositivo di sovralimentazione che sfrutta parte dell’energia


dei gas di scarico, altrimenti persa, per pompare più aria nel motore di quanto esso sarebbe in grado
di aspirare. I gas di scarico del motore vengono inviati verso una turbina che è rigidamente
collegata alla girante del compressore: attraverso il movimento della turbina si può dunque
comprimere l’aria in ingresso nel motore. La turbina è posta a valle del collettore di scarico per cui
in tale ultimo dispositivo regna una pressione superiore a quella atmosferica (la pressione
atmosferica regna a valle della turbina): per tale motivo si verifica che lo scarico avviene ad una
pressione diversa da quella atmosferica e quindi nel ciclo indicato relativo al motore ricompare di
nuovo un’area di pompaggio negativa.
Quando allo scarico si verifica che i valori di pressione e temperatura dei gas sono troppo elevati si
potrebbe compromettere il funzionamento del compressore: per tale motivo dalla parte della turbina
esiste una valvola, detta waste gate, che, aprendosi, permette di inviare una certa quantità dei gas
combusti direttamente allo scarico, garantendo così la temperatura e la pressione ottimali per il
funzionamento del turbo.
Con questo tipo di sovralimentazione, turbina e compressore non sono collegati direttamente
all’albero motore e quindi possono girare più velocemente di quest’ultimo: ciò permette di
utilizzare un compressore dinamico, in particolare un compressore centrifugo. Il vantaggio
fondamentale della sovralimentazione con turbocompressore è la possibilità di svincolarsi dal
numero di giri del motore insieme al fatto che non si sottrae potenza al motore come nel caso di
sovralimentazione meccanica. Tuttavia questo sistema di sovralimentazione presenta un
inconveniente e cioè un certo ritardo alla risposta in quanto ora il collegamento con il motore non è
di tipo meccanico ma di tipo fluidodinamica e quindi, a causa dell’inerzia dei gas, non si riesce a
variare rapidamente il numero di giri del turbocompressore.
Se noi consideriamo una curva caratteristica del funzionamento di una turbina di sovralimentazione
essa varia al variare del numero di giri del motore: in corrispondenza di un certo rapporto di
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espansione si ha il relativo valore della portata massica alla turbina e di conseguenza anche un certo
valore del numero di giri del motore;se a parità rapporto di espansione e portata massica si cambia il
numero di giri non si ha più sovralimentazione in quanto ci spostiamo dalla curva caratteristica
suddetta. Se riuscissimo a far variare la curva fino a farla passare per il nuovo punto di
funzionamento otterremmo una sovralimentazione a velocità del motore molto più basse. Questo
risultato lo si può ottenere utilizzando i moderni turbocompressori con turbina a geometria
variabile: questi sono dotati di un sistema di parzializzazione della sezione di ingresso dei gas, così
da migliorare la risposta ai bassi regimi del motore. Il turbocompressore a geometria variabile segue
questa logica di funzionamento: modifica le sezioni di passaggio dei gas di scarico nella turbina in
funzione del carico e del regime del motore mantenendo alta la velocità di rotazione del
compressore, che pertanto fornisce una sufficiente pressione di sovralimentazione in ogni
condizione di funzionamento. In pratica è come se si disponesse di due turbo, uno più piccolo,che
funziona ai bassi regimi, e uno più grande, che lavora ai giri più alti. Nel dettaglio, il funzionamento
prevede il collegamento tra loro delle palette dello statore della turbina, che così possono ruotare
variando la sezione di ingresso dei gas. La figura sottostante mostra come ciò avviene: un attuatore
(3) sposta la corona (4) su cui sono imperniate le palette (2); a sinistra esse sono nella posizione di
maggior chiusura e, pur con una piccola portata, la velocità di passaggio dei gas è sufficientemente
alta. A destra c’è la situazione che si verifica quando il motore funziona a regimi elevati: l’attuatore
fa ruotare le palette in senso antiorario per lasciar passare la maggior quantità di gas di scarico
presenti. Nella maggior parte dei casi l’attuatore è di tipo pneumatico ed è controllato dalla
centralina d’iniezione. Con questo tipo di turbocompressore non è più necessaria la valvola waste
gate in quanto è sufficiente agire sulle palette per variare la sezione di passaggio dei gas per
compiere la stessa funzione della valvola

Da tutte le considerazioni che abbiamo fatto si deduce che l’utilizzo del turbocompressore migliora
solo la potenza ma non il rendimento in quanto, pur migliorando il coefficiente di riempimento,
aumentano i consumi perché si deve bruciare più combustibile (infatti P = mc Hi ηg ). Infatti la
sovralimentazione ci fa avere più aria e questo ci permette di bruciare più combustibile e quindi
aumenta la potenza, quindi se sovralimentiamo senza aumentare la portata di combustibile la
potenza non aumenta.

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VII.6 Motore a due tempi

Dall’espressione generale della potenza di un motore a combustione interna si può notare che essa
dipende anche da un parametro, che abbiamo definito ε, che varia a seconda del tipo di motori 2T o
4T. Dal valore di tale parametro in prima battuta si può affermare che con un motore a due tempi, a
parità di tutti gli altri parametri, è possibile avere una potenza doppia. Vediamo se tale affermazione
è vera affrontando uno studio più approfondito di un tale motore.
Un ciclo di funzionamento di un motore 2T può essere così rappresentato:

Anche per un motore a due tempi le fasi che ne caratterizzano il funzionamento sono quattro
(aspirazione, compressione, espansione e scarico) ma esse si realizzano in due sole corse del
pistone. Pertanto per la realizzazione del ciclo in un motore a due tempi è sufficiente un solo giro
dell’albero motore; per un ciclo a due tempi però occorre anche una fase supplementare, vale a dire
la compressione preventiva della miscela attiva che avviene nel carter, cioè fuori dal cilindro vero e
proprio. Come si può vedere dalla figura il motore è caratterizzato da una luce di immissione (I) e
una luce di scarico (S) comunicanti direttamente con l’interno del cilindro: esse restano scoperte
quando il pistone si trova al PMI; la terza luce è quella di aspirazione (A) attraverso la quale entra la
miscela attiva nel carter quando il pistone è al PMS. Il motore pertanto non è munito di valvole. Il
pistone poi sulla parte superiore è sagomato in modo tale da dirigere opportunamente il flusso della
miscela nel cilindro.
La successione delle fasi è la seguente: in un primo tempo il pistone sale, chiudendo le luci di
immissione e scarico, e comprime la miscela. Quando arriva al PMS scocca la scintilla alla candela
e avviene lo scoppio; contemporaneamente l’ascesa del pistone provoca una depressione nel carter
provocando in esse l’ingresso della miscela attiva. Avvenuto lo scoppio, il gas si espande e spinge il
pistone verso il PMI: durante questa fase prima si scopre la luce di scarico, consentendo ai gas
combusti di uscire dal cilindro a causa dell’elevata pressione ancora ivi regnante. Subito dopo si
scopre anche la luce di immissione e si dà inizio alla cosiddetta fase di lavaggio, durante la quale la
miscela fresca attiva, spinta dalla pressione creatasi nel carter a causa della discesa nel pistone,
entra nel cilindro e dirigendosi verso l’alto per la conformazione della parte superiore del pistone
completa lo scarico dei gas combusti. Le luci di lavaggio e scarico sono poste in parti opposte nel
cilindro. L’uscita dei gas bruciati e l’entrata della miscela fresca proseguono fino a che il pistone
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risalendo non chiude nuovamente le due luci. La fase di lavaggio è molto delicata perché serve a
sostituire nel cilindro, entro poco tempo, i prodotti di scarico con la miscela fresca evitandone il
mescolamento, curando che tutti i gas combusti escano e soprattutto che la miscela fresca non si
diriga direttamente verso lo scarico, innescando il cosiddetto fenomeno del corto circuito che
provocherebbe uno spreco inammissibile di combustibile. Per evitare quest’ultimo inconveniente
non si può fare altro che operare sull’anticipo all’accensione dato che, mancando le valvole,
nessuna regolazione è possibile per variare la durata delle fasi.
Per un motore a due tempi la miscela attiva è costituita da aria e combustibile insieme ad olio che
consente così la lubrificazione del pistone e del carter diminuendo gli attriti durante il
funzionamento. Inoltre un motore a due tempi è raffreddato ad aria.
Anche per questo motore è possibile ricavare un ciclo indicato che presenta il seguente aspetto:

Per un motore a due tempi, avendone spiegato il funzionamento, si verifica che il coefficiente di
riempimento λv è molto più piccolo in quanto nel cilindro rimangono spazi occupati dai gas di
scarico del ciclo precedente: possiamo quindi ottenere da tale motore una potenza doppia rispetto a
un 4T solo a parità di λv (cosa che nella realtà non si verifica).
Inoltre il fenomeno del cortocircuito, pur con tutti gli accorgimenti possibili, non si può evitare del
tutto e come conseguenza di ciò abbiamo dei consumi abbastanza elevati e, in termini specifici,
anche le emissioni inquinanti sono alte.

20
VII.7 Modalità di combustione nei motori a combustione interna
Abbiamo visto come nel funzionamento reale di un motore a combustione interna il fenomeno della
combustione si verifica all’interno del cilindro: è un fenomeno molto complicato che si realizza in
maniera diversa a seconda che il motore sia ad accensione comandata o ad accensione per
compressione. Ciò che vogliamo fare adesso è una descrizione delle modalità con cui si verifica la
combustione nelle due tipologie di motori.

Per quanto riguarda i motori ad accensione comandata, quando ne abbiamo descritto il principio di
funzionamento abbiamo detto che attraverso le valvole di aspirazione passa una miscela di aria e
combustibile. Per tale motivo questo tipo di motori sono anche denominati motori premiscelati, nel
senso che la miscela di aria e combustibile si crea prima dell’ingresso nel cilindro. Il combustibile
ha tutto il tempo di evaporare e formare con l’aria una miscela omogenea per cui una volta che
questa è entrata nella camera di combustione in ogni punto abbiamo lo stesso rapporto aria-
combustibile. La caratteristica di bruciare una miscela omogenea è comune sia ai più vecchi motori
con carburatore, sia ai più moderni motori ad iniezione. La quantità di combustibile che si deve
miscelare con l’aria dipende dal valore del parametro α, che per un motore ad accensione
comandata deve essere pari ad αstec .
Vediamo come si realizza la combustione: quando la miscela omogenea riempie la camera di
combustione, mediante la candela si fa scoccare una scintilla;si genera una fiamma per il valore di
temperatura raggiunto, che partendo dalla candela si propaga progressivamente a tutta la miscela
contenuta nella camera di combustione. La propagazione del fronte di fiamma ha una velocità non
elevata (12 ~13 m/s) e perciò le parti della miscela più lontane dalla candela bruciano trascorso un
certo tempo dallo scoccare della scintilla, dovendo ricevere calore dalle parti di miscela che
bruciano prima. Le parti bruciate inoltre espandendosi comprimono le parti della miscela ancora
incombuste le quali aumentano la temperatura fino al raggiungimento del valore di innesco per la
combustione.se queste parti che dovrebbero bruciarsi dopo ricevono calore in misura eccessiva, la
loro temperatura sale notevolmente e si verifica così un’autoaccensione: questo è il fenomeno che
dà origine alla detonazione ( la combustione avviene improvvisamente in tutta la massa gassosa).
La detonazione provoca un incremento brusco di pressione che produce un urto nel cilindro noto
come battito in testa: se un motore batte in testa significa che il combustibile non è adeguato al
rapporto di compressione.
L’immissione della quantità di combustibile nell’aria aspirata deve essere dunque molto precisa: nei
motori di vecchia concezione questo compito veniva svolto dal carburatore , di cui di seguito è
riportato uno schema:

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Il carburatore è un organo meccanico che provvede alla formazione della miscela aria-combustibile;
i sui elementi costitutivi fondamentali sono la vaschetta a livello costante, il diffusore, lo
spruzzatore e la valvola a farfalla. Nella vaschetta è contenuto il carburante proveniente dal
serbatoio. Il suo livello viene mantenuto costante, mediante un galleggiante ed una valvola a spina,
e più basso di alcuni millimetri rispetto al foro dello spruzzatore per impedire la fuoriuscita di
combustibile a motore fermo. Il diffusore è posto nel condotto di aspirazione del motore in
corrispondenza di un restringimento di quest’ultimo: quando l’aria passa attraverso questa strettoia
subisce una laminazione (aumenta la sua velocità e diminuisce la sua pressione) per cui crea una
depressione che provoca un richiamo di combustibile dallo spruzzatore posto in corrispondenza
della strozzatura.
Oggi il carburatore non e più adoperato in quanto non solo perché è un elemento costruttivamente
complesso ma anche perché presenta qualche difficoltà nel rilasciare combustibile in maniera
ottimale a seconda delle esigenze del motore: il motivo fondamentale che ne ha determinato
l’abbandono è il fatto che non può garantire un valore di α costante entro certi valori (fattore
fondamentale per il corretto funzionamento dei catalizzatori per abbattere le emissioni inquinanti);
il coefficiente α deve essere prossimo a quello stechiometrico perché, se si ha una miscela troppo
ricca, oppure troppo povera, il fronte di fiamma si propaga più lentamente, la combustione diventa
lenta ed instabile e facilmente possiamo avere la produzione di sostanze incombuste e quindi
inquinanti

Per questi motivi oggi i motori ad accensione comandata sono tutti ad iniezione: in essi la quantità
di combustibile da iniettare nell’aria aspirata è controllata da una centralina elettronica e la sua
immissione è garantita dall’utilizzo di iniettori. Questo metodo ci consente sempre di avere un
valore di α prossimo a quello stechiometrico con il vantaggio anche di poter utilizzare
correttamente i catalizzatori.

In un motore ad accensione comandata, sia con carburatore che ad iniezione, per potere ottenere
una variazione di potenza, ad esempio un abbassamento di quest’ultima, siccome il parametro α
non può variare per fare avvenire correttamente la combustione, bisogna agire sulla diminuzione del
coefficiente di riempimento; per ottenere questo risultato nel collettore di aspirazione è sistemato un
particolare organo meccanico la valvola a farfalla : a seconda della sua posizione si ha la possibilità
di inviare una quantità diversa di aria al cilindro. In particolare quando dal motore è richiesta poca
potenza la valvola a farfalla è quasi chiusa e lascia passare una certa quantità di fluido: se al motore
viene richiesta una potenza superiore allora la valvola si apre per consentire il passaggio di una
maggiore quantità di fluido in modo da garantire una combustione molto più rapida ed efficace.
Quando ad un motore chiediamo una diminuzione di potenza, il suo ciclo indicato tende a traslare
verso il basso con la conseguenza che diminuisce il lavoro utile all’asse ( infatti il lavoro positivo
tende a diminuire perché il motore brucia meno combustibile mentre quello di pompaggio tende a
diventare maggiore in quanto siamo nelle condizioni di farfalla chiusa ). Inoltre aumentano anche i
consumi e ciò è dovuto ad una cattiva regolazione in quanto deve essere α prossimo a quello
stechiometrico. Tutto questo è sgradito perché al limite l’area negativa potrebbe diventare anche
maggiore quella positiva, ottenendo complessivamente un lavoro negativo ovvero, il motore sta
funzionando da freno.

In questo modo si può ritenere concluso il discorso relativo all’analisi delle modalità di
combustione per un motore ad accensione comandata: vogliamo adesso affrontare un discorso
analogo per i motori ad accensione per compressione.

Per i motori ad accensione per compressione la modalità con cui avviene la combustione è
completamente diversa in quanto questa è un fenomeno spontaneo per cui non c’è bisogno di alcun
dispositivo per innescarla (come la candela nei motori del tipo precedente). Allo stesso tempo però
il fenomeno si presenta un po’ più complesso: l’aria aspirata nel cilindro viene fortemente
22
compressa fino a raggiungere un’elevata temperatura, tale da accendere il combustibile iniettato nel
cilindro alla fine della fase di compressione. Vediamo di capire più nel dettaglio come ciò avviene
per le due categorie di motori ad accensione spontanea.

Per i motori ad accensione indiretta con precamera, oggi non più utilizzati, la situazione era la
seguente: c’è la presenza della precamera ricavata nella testata del motore in cui era inviata l’aria
aspirata dal motore; sempre nella precamera ma in controcorrente all’aria veniva inviato il
combustibile creando in tal modo dei moti vorticosi che determinavano la miscelazione dei due
elementi. Nella precamera si raggiungevano valori di pressione e temperatura tali da innescare la
combustione: la precamera quindi si comportava come una camera di precombustione comunicante
con la camera di combustione vera e propria ricavata tra il pistone e la testata.
Con il progresso della tecnologia tale tipo di motore è stato quasi del tutto soppiantato dai moderni
motori ad iniezione diretta.

Per i motori ad iniezione diretta la situazione che si presenta è la seguente: essi non hanno più la
precamera e quindi il motore aspira solo aria e il pistone comprime solo aria; il combustibile è
iniettato direttamente nel cilindro per mezzo di un iniettore meccanico. Ancora una volta la
combustione nel cilindro avviene spontaneamente. Le prime goccioline di combustibile iniettate nel
cilindro si riscaldano superficialmente e quindi tendono ad evaporare e tale vapore si mescola
all’aria già presente nel cilindro. Attorno ad ogni gocciolina di combustibile si crea una zona in cui
il parametro α è fortemente variabile tra il valore zero (in corrispondenza della goccia ) ed il valore
infinito (in corrispondenza della zona non ancora raggiunta dal vapore del combustibile): data la sua
variabilità esso assumerà sicuramente un valore tale da innescare, con la pressione presente nel
cilindro, una combustione istantanea. Le goccioline che entrano successivamente trovano una
fiamma in un ambiente ad altissima temperatura ma già scarso di ossigeno che quindi non bruciano
in maniera ottimale. Per tale motivo il combustibile è inviato nel cilindro in pressione e viene
nebulizzato finemente polverizzato in quanto il processo di combustione deve essere molto rapido e
deve coinvolgere tutto il combustibile iniettato. La nebulizzazione del combustibile è tanto migliore
quanto più è elevata la differenza tra la pressione all’interno dell’iniettore e quella nella camera di
combustione.
L’iniezione diretta del combustibile avviene come mostrato nella seguente figura:

Abbiamo detto che in un motore ad iniezione diretta,l’iniettore è il dispositivo che serve a


polverizzare il combustibile e ad iniettarlo nella camera di combustione in modo che mescolandosi
all’aria, portata ad alta temperatura dalla compressione del pistone, si accenda spontaneamente;
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ogni cilindro del motore è provvisto di un iniettore fissato sulla testata; gli iniettori sono in
comunicazione con la pompa di iniezione,della quale ricevono il combustibile, e con una tubazione
di scarico in cui versano il combustibile non iniettato. La parte dell’iniettore che sporge entro la
camera di combustione presenta uno o più fori dai quali viene spruzzato il combustibile.
La schematizzazione del tipo più semplice di iniettore meccanico è la seguente:

come si nota dalla figura, l’iniettore è costituito da due pari principali: il polverizzatore, che è la
parte dotata del foro o dei fori di uscita del combustibile, e dalla parte fissata direttamente alla
testata del motore detta portapolverizzatore. Nel polverizzatore scorre una asticciola di acciaio detta
ago dell’iniettore collegata ad una molla fissata nel portapolverizzatore. Quando la pressione
esercitata dal combustibile all’interno dell’iniettore supera la forza di richiamo della molla, l’ago
viene spinto verso il basso aprendo i fori attraverso i quali il combustibile passa ad elevate velocità
e pressione e per tale motivo viene perfettamente nebulizzato. Il gasolio in eccesso che sfugge tra
l’ago e le pareti del polverizzatore a causa dell’elevata pressione viene immesso in una tubazione di
recupero che lo riporta nel serbatoio.

Abbiamo detto che l’iniettore riceve il combustibile dalla pompa di iniezione : vediamo come essa è
realizzata. La pompa di iniezione assicura la pressione necessaria per ottenere la polverizzazione del
combustibile e regola la quantità di combustibile da inviare ai cilindri in relazione alla potenza
richiesta dal motore. Notevole è quindi la precisione meccanica richiesta per tali dispositivi sia per
la piccola quantità di gasolio da inviare ad ogni mandata sia per il brevissimo tempo in cui ciascuna
mandata si compie. In sostanza si può affermare che una pompa ad iniezione è una macchina
operatrice costituita da un sistema pistone-cilindro. In esso il cilindro è dotato di una luce di
afflusso mentre il pistone è caratterizzato dall’avere una testa con una scanalatura opportunamente
sagomata in modo elicoidale; questa particolare configurazione è realizzata per risolvere problemi
di regolazione di potenza per il motore in quanto in tal caso si deve variare la quantità di
combustibile inviata al cilindro e ciò lo si ottiene proprio agendo sulla pompa di iniezione (in
particolare la sua portata). La portata della pompa infatti può variare facendo girare su se stesso il
pistoncino in modo che la scanalatura elicoidale incontri prima o dopo i fori di afflusso: se la

24
scanalatura verticale del pistoncino si dispone di fronte al foro di afflusso, si annulla la portata della
pompa e si ottiene l’arresto del motore.
La lubrificazione della pompa di iniezione è garantita dallo stesso combustibile.
Una rappresentazione della pompa di iniezione e delle varie posizioni che in essa assume il pistone
(a seconda della potenza richiesta) può ottenersi considerando la seguente figura:

Dall’analisi della modalità di combustione per un motore ad accensione comandata si possono trarre
alcune importanti conclusioni: prima di tutto in questo caso il fenomeno è più complesso perché la
miscela che brucia non è omogenea ed inoltre il parametro α è fortemente variabile (è un parametro
su cui si può operare per variare la potenza del motore). Poi non si ha la presenza della farfalla nel
condotto di aspirazione in quanto gli iniettori sono in grado di inviare la giusta quantità di
combustibile nel cilindro a seconda delle varie esigenze.

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Prima di concludere il discorso relativo alle modalità di combustione diamo un accenno ad un
nuovo sistema di iniezione diretta che negli ultimi anni si sta diffondendo sempre di più: il sistema
ad iniezione diretta common rail. La figura qui di seguito ne schematizza il principio di
funzionamento:

si ha la presenza di un diverso tipo di pompa, detta pompa rotativa, che invia il combustibile in un
condotto, detto appunto rail, da cui si dipartono gli iniettori, uno per ogni cilindro. Grazie alla
pompa rotativa si riescono a raggiungere valori molto elevati di pressione superiore ai1300 bar sia
nel condotto comune sia negli iniettori. Questi ultimi non sono più di tipo meccanico ma di tipo
elettronico ed il loro funzionamento è governato da una centralina elettronica che permette il
passaggio del combustibile finemente polverizzato dagli iniettori alla camera di combustione.
Spruzzando il combustibile ad una così elevata pressione si riesce ad ottenere una migliore
combustione con conseguenti migliori consumi e minore impatto ambientale.
L’unico svantaggio del common rail è che affinché il combustibile possabruciare del tutto si deve
avere un α > αstec :si penalizza in tal modo la potenza ma la perdita si può recuperare
sovralimentando il motore in quanto in tal modo si favorisce l’autoaccensione.
(la sovralimentazione dei motori a benzina è meno frequente in quanto, per evitare l’autoaccensione
del combustibile, bisogna avere un rapporto di compressione più basso:all’aumento di potenza
segue anche un aumento dei consumi).

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VII.8 Potenza e Coppia di un motore a combustione interna
Riscriviamo l’espressione della potenza di un motore a combustione interna:

P = Vzρa(n/60ε)(λv/α)Hiηg = [π (D2/4)s]zρa(n/60ε)(λv/α)Hiηg

Vogliamo capire quale sia l’andamento della potenza fornita dal motore al variare del numero di
giri di quest’ultimo e come varia l’andamento della coppia motrice
Infatti coppia è legata alla potenza dalla seguente relazione

P=Cω

Vediamo come si genera la coppia durante il funzionamento del motore.


Nel motore la spinta prodotta dalla combustione si esercita sul pistone e attraverso la biella viene
trasmessa all’albero motore. La forza (F nel disegno di seguito riportato) moltiplicata per il braccio
a (pari alla lunghezza della manovella) rappresenta la coppia motrice del nostro motore. Si può
quindi ricavare assieme alla curva della potenza anche la curva di coppia. Infatti, potenza e coppia
sono dipendenti tra loro, in quanto la prima è pari al prodotto della seconda per il regime di
rotazione.

Potenza e coppia sono tutte funzioni del numero di giri del motore. Infatti si può scrivere
P = k n (λvηg/α)

Supponendo che (λvηg/α) non cambi con il numero di giri, e quindi lo si può includere nella
costante k, ricaviamo che tra P ed n si stabilisce una relazione di tipo lineare.

Ma la situazione che si presenta nella realtà non è così semplice in quanto il coefficiente di
riempimento ha un andamento variabile con il numero di giri, come abbiamo già avuto modo di

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spiegare; per tale motivo un tipico andamento della potenza P fornita dal motore in funzione del
numero di giri n è il seguente

In n* la curva della potenza diventa tangente alla retta che schematizza il caso ideale (relazione
lineare tra P ed n). Se poi prendiamo in considerazione l’espressione del rendimento globale del
motore, in esso compare anche il rendimento meccanico che tiene conto non solo degli attriti della
catena cinematica ma anche degli organi che durante il funzionamento del motore assorbono
potenza: esso è basso e diminuisce al crescere di n. E’ proprio per il comportamento del rendimento
meccanico che la curva della potenza tende a diminuire in corrispondenza del numero di giri
massimo del motore (nmax ).
Inoltre come si può evincere dal grafico non si ha potenza nulla in corrispondenza di un numero di
giri del motore nullo in quanto anche quando non fornisce potenza il motore ha un numero di giri
nmin che consente la sua autoalimentazione.
Per un motore non esiste una sola curva di potenza in quanto esso può essere regolato agendo sul
coefficiente di riempimento.Tale coefficiente ha valori diversi a seconda della posizione della
valvola a farfalla nel collettore di aspirazione: in particolare la sua curva rappresentativa tende a
salire man mano che la valvola a farfalla si apre. Questo ci consente di dire che anche l’andamento
della potenza varierà al variare di tale coefficiente.

Dallo stesso grafico che abbiamo sopra riportato si può ricavare anche l’andamento della coppia
motrice: lo si può ricavare dall’andamento dell’angolo α, angolo che aumenta fino al punto A e poi
tende a diminuire. Si deduce che anche l’andamento della coppia motrice dipende dalla variazione
del coefficiente di riempimento perché è strettamente collegato all’andamento della potenza. Al
variare diλv ( diversa apertura della valvola a farfalla) abbiamo diverse curve di coppia.
Nei motori ad accensione per compressione non c’è la valvola a farfalla: tuttavia abbiamo curve
variabili di potenza e coppia al variare della posizione dell’organo di regolazione del motore.

I grafici rappresentativi dell’andamento di potenza e coppia sono come quelli riportati qui di
seguito:

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Da tali grafici si può notare che abbiamo un numero di giri del motore di massima coppia ed uno di
massima potenza (in genere non coincidenti tra di loro) e che gli andamenti sono differenti a
seconda che si considera un motore ad accensione comandata o ad accensione per compressione. La
coppia è un parametro molto importante per un motore: un motore con una grossa coppia è in grado
di compiere un grande lavoro; inoltre, come si evince dal grafico, un motore ad accensione per
compressione ha una coppia superiore a quella di un motore ad accensione comandata (a parità di
numero di giri). Più la velocità di rotazione del motore relativa alla coppia massima è bassa più il
motore è di buone prestazioni: per questo motivo i progettisti cercano di realizzare motori conla
curva di coppia abbastanza piatta o poco decrescente (se infatti la curva di coppia presenta dei tratti
decrescenti in loro corrispondenza si potrebbero verificare delle condizioni di funzionamento
instabile del motore ).

VII.9 Problema delle emissioni di sostanze inquinanti

Tra tutte le macchine termiche, i motori a combustione interna sono quelli che sono stati stravolti
completamente negli ultimi sei o sette anni e questo non per motivi di prestazioni ma per cercare di
ridurre i quantitativi di sostanze inquinanti che da essi vengono rilasciati nell’ambiente: i motori a
combustione interna sono le macchine termiche che inquinano di più in assoluto. A causa della
combustione molte sono le sostanze inquinanti che vengono emesse ma tra esse le più dannose sono
gli ossidi di carbonio, gli ossidi di azoto, gli ossidi di zolfo, idrocarburi e particelle sospese. Inoltre
viene rilasciata anche anidride carbonica che, pur essendo un gas innocuo, contribuisce però
all’effetto serra ( innalzamento della temperatura del nostro pianeta).

Questi gas emessi da un motore a combustione interna sono dannosi in quanto le loro quantità sono
superiori a quelle tollerabili dall’organismo umano. Nella tabella di seguito riportata vengono
evidenziati i limiti di tollerabilità per l’uomo alle suddette sostanze:

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I meccanismi che durante la combustione in un motore portano alla formazione di tali sostanze sono
diversi per ognuna di esse;
Il monossido di carbonio, che è una sostanza velenosa per l’uomo, lo si ha come prodotto quando la
combustione avviene con una miscela ricca e quindi con una combustione parziale del
carburante.Gli ossidi di azoto, che sono cancerogeni per l’uomo, si producono ad alte temperature
in base a dei meccanismi cinetici.Gli idrocarburi incombusti sono dovuti ad una parte del
combustibile che non riesce a bruciare: infatti quando il pistone scorre nel cilindro, le zone in
corrispondenza delle sue pareti laterali si riempiono di combustibile che però non viene raggiunto
dal fronte di fiamma e quindi si crea una miscela incombusta che viene poi spinta direttamente allo
scarico
Vediamo ora gli effetti che tali sostanze provocano sull’uomo. L’ossido di carbonio ha una
incidenza sulle affezioni cardiovascolari anche se il suo effetto principale è quello di provocare
l’avvelenamento. I meccanismi secondo cui le altre sostanze inquinanti risultano nocive all’uomo
sono più complessi, importante notare è che esse sono cancerogene, cioè provocano dei danni
irreversibili all’individuo; cosa che invece non fa il CO.
Vi è da dire però che se le emissioni dovute alla combustione sono la principale causa di
inquinamento, esse non sono l’unica ,infatti, vi è una percentuale di vapori di combustibile che
viene immessa nell’aria sotto forma di vapore, ciò è dovuto al fatto che il serbatoio essendo
soggetto a variazioni di temperatura provoca delle variazioni della tensione di vapore del
combustibile al suo interno e quindi quando viene aperto per effettuare il rifornimento vi è una
quantità dei vapori che fuoriesce e che quindi viene immessa nell’atmosfera; le stesse pareti del
serbatoio non sono perfettamente impermeabili ed inoltre vi sono delle perdite attraverso il
basamento del motore.

Oggi esistono delle particolari leggi che consentono l’immatricolazione degli autoveicoli solo se le
loro emissioni inquinanti sono contenute entro certi limiti prestabiliti; Le limitazioni da rispettare
per quanto riguarda le emissioni di CO, HC, NOx sono riportate nei grafici seguenti, in tali
rappresentazioni si vede che gli HC e gli NOx sono messi insieme, questo perché fino a poco tempo
fa si pensava che i veri inquinanti fossero solo gli ossidi di azoto, ora invece, constata la nocività
anche degli HC si è fatta una separazione tra le due sostanze, così gli idrocarburi incombusti oggi
sono soggetti a delle limitazioni proprie.

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Nelle tab. seguenti sono rappresentati i prossimi passaggi che subiranno le limitazioni delle
emissioni a partire da quelle attuali (Euro3) fino a quelle del 2005 (Euro4). Le due tab. si
riferiscono rispettivamente ai motori ad accensione comandata e ad accensione per compressione.

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Per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica, esse possono essere limitate diminuendo il
consumo specifico del motore a combustione interna: la commissione europea ha deciso di ridurre
del 25% le emissioni di tale gas entro il 2008.
Anche il problema relativo agli ossidi di zolfo è stato fortemente ridotto in quanto oggi sono
disponibili combustibili che non presentano nella loro composizione lo zolfo che è il responsabile
della formazione di tali ossidi (responsabili del fenomeno delle piogge acide).

La ricerca si è adoperata per cercare di capire i fenomeni che avvengono all’interno dei motori a
combustione interna , in particolare come variano le emissioni al variare dei parametri fondamentali
di funzionamento di tali motori: un esempio sperimentale è riportato nel grafico sottostante, in cui si
vedono gli andamenti delle varie sostanze inquinanti al variare del rapporto a aria/combustibile. In
base a tali andamenti si ci è orientati verso soluzioni che facessero avvenire la combustione nel
modo più corretto possibile scegliendo, con la regolazione della valvola a farfalla, un a ottimale che
mi garantisse l’abbattimento delle emissioni ma in realtà non si è riuscito a trovare un valore preciso
del rapporto aria combustibile in grado di abbattere egualmente tutte le sostanze nocive.

Un primo provvedimento per ridurre l’emissione di tali sostanze che è stato adottato è l’EGR
( Exhaust Gas Recirculation ): è un sistema di cui sono dotati alcuni motori per reimmettere, tramite
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una valvola, una certa quantità di gas combusti all’interno della camera di combustione e miscelarli
con l’aria fresca prelevata dall’esterno. Questi gas sono inerti e ritornando nel cilindro assorbono
una parte del calore e quindi si riescono a ridurre le emissioni degli ossidi di azoto in quanto questi
devono essere deossidati. La situazione però peggiora per l’ossido di carbonio e gli idrocarburi
incombusti in quanto abbassando la temperatura della combustione, il combustibile non brucia bene
e abbiamo sostanze incombuste che vanno direttamente allo scarico.

Siccome quindi anche con questo dispositivo i problemi di inquinamento comunque rimangono, si è
cercato un modo per reprimere i gas allo scarico mediante l’utilizzo del catalizzatore.
Essi sono costituiti da materiale ceramico ricoperto da materiali nobili quali rodio, palladio, platino:
questi metalli sono in grado di accelerare dei processi chimici sugli ossidi di azoto e di carbonio che
necessiterebbero di una elevate temperatura. Il palladio e il platino realizzano l’ossidazione di CO e
HC mentre il rodio è il responsabile della sottrazione di ossigeno ai NOx . L’unico inconveniente è
che il combustibile adoperato deve essere privo di piombo per non rovinare le caratteristiche
catalizzanti dei materiali nobili di cui il catalizzatore è costituito. Inoltre il funzionamento del
catalizzatore è garantito solo per un valore di α pari a quello stechiometrico o al massimo variabile
in una ristretta fascia di valori prossimi ad esso: per questo motivo, come già detto in precedenza, il
motore deve essere governato dalla centralina elettronica; il catalizzatore è dotato di una particolare
sonda, detta sonda λ, che è un rivelatore di ossigeno presente nei gas di scarico, in grado di valutare
se è la giusta quantità che può essere mandata al catalizzatore. E’ un sistema di controllo in
retroazione perché l’iniettore deve “capire” cosa succede allo scarico. I catalizzatori sono necessari
sia per i motori ad accensione comandata che per compressione.
Per i motori ad accensione per compressione la situazione è diversa perché in essi α è maggiore di
quello stechiometrico anche alla massima potenza (altrimenti si avrebbero problemi di consumo);
questo significa che nei gas di scarico abbiamo molta aria presente e quindi si producono molti
meno CO e HC . Il problema fondamentale quindi sono una maggiore produzione di ossidi di azoto
e le emissioni di particelle di nerofumo allo scarico conosciute con il nome di particolato. Questo si
produce in fase di accelerazione del motore quando cioè entra una maggiore quantità di
combustibile senza una variazione della quantità di aria: è come se le particelle di combustibile
subissero una cottura e si trasformano in carbone che poi ritroviamo allo scarico. Il processo di
formazione di una particella di particolato è il seguente:
- nucleazione;
- crescita;
- agglomerazione;
- ossidazione;
- assorbimento e condensazione.
Inoltre il particolato ha una granulometria tale da essere inalato dall’uomo e, una volta raggiunti i
polmoni, vi rimane intrappolato.
Per tale motivo la marmitta catalitica per un motore ad accensione per compressione deve ridurre
non solo gli ossidi di carbonio ma deve avere anche dei filtri in grado di bloccare le emissioni di
nerofumo(filtro che deve essere periodicamente rigenerato e quindi per non sostituire l’intero
catalizzatore, o lo si rende durevole quanto il motore oppure si sta cercando un’altra soluzione).

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Per risolvere i problemi di inquinamento appena suddetti si sono realizzati oggi i cosiddetti motori
ibridi, nati dall’accoppiamento di un motore termico e di uno elettrico in grado di funzionare
separatamente o assieme. Con questi motori si migliorano le emissioni allo scarico rispetto ai
motori convenzionali. L’accoppiamento dei due motori può avvenire in modo indipendente, in serie
o in parallelo. Nel primo caso i due motori sono completamente autonomi e funzionano in modo
alternativo;nel secondo caso il motore termico funziona a un numero di giri il più possibile costante
( così da ridurre consumi ed emissioni inquinanti ) e serve esclusivamente per ricaricare le batterie
del motore elettrico che determina la trazione; nel terzo caso il motore termico può anche svolgere il
compito di trazione.

Il futuro in termini di zero emissioni inquinanti è affidato all’idrogeno mediante l’utilizzo di un


dispositivo ancora in fase di studio rappresentato dalle cosiddette FUEL CELL ( celle a
combustibile ). Il dispositivo consente di generare elettricità disponendo di idrogeno e di ossigeno e
costituisce un mezzo promettente per il passaggio alla trazione elettrica superando i limiti dei
tradizionali accumulatori. Il principio di funzionamento è l’inverso dell’elettrolisi, cioè la scissione
dell’acqua in idrogeno e ossigeno mediante l’apporto di energia elettrica. Nella fuel cell entrano
idrogeno , immagazzinato in un serbatoio, e ossigeno, dall’aria, e viene prodotta elettricità e acqua
senza che si verifichi un processo termico.
I problemi principali, oltre ai costi di fabbricazione sono la conservazione o la produzione
dell’idrogeno a bordo della vettura: quest’ultima soluzione sembra la più fattibile partendo da
combustibili liquidi con un apposito impianto integrato nell’auto ( reformer ).

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