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De vita et moribus Iulii Agricolae

Clarorum virorum facta moresque posteris L'antica consuetudine di tramandare ai


tradere, antiquitus usitatum, ne nostris posteri le imprese e il sistema di valori degli
quidem temporibus quamquam incuriosa uomini illustri, benché i contemporanei
suorum aetas omisit, quotiens magna siano poco attenti a quelli oggi viventi, resta
aliqua ac nobilis virtus vicit ac supergressa valido anche per il presente ogni volta che
est vitium parvis magnisque civitatibus una manifestazione di virtù grande, anzi
commune, ignorantiam recti et invidiam. nobile, riesce a vincere e a cancellare un
Sed apud priores ut agere digna memoratu vizio comune alle piccole come alle grandi
pronum magisque in aperto erat, ita società: il disconoscimento del giusto valore
celeberrimus quisque ingenio ad e l'invidia. Tuttavia per gli uomini del
prodendam virtutis memoriam sine gratia passato era più agevole e facile compiere
aut ambitione bonae tantum conscientiae imprese memorabili e d'altra parte i più
pretio ducebantur. Ac plerique suam ipsi capaci erano tratti a celebrarne il ricordo
vitam narrare fiduciam potius morum quam non per spirito di parte o ambizione, ma
adrogantiam arbitrati sunt, nec id Rutilio et solo per dovere di coscienza. Anzi molti
Scauro citra fidem aut obtrectationi fuit: ritennero che narrare la propria vita fosse
adeo virtutes isdem temporibus optime segno di fiducia nei propri meriti più che
aestimantur, quibus facillime gignuntur. At gesto di presunzione, e l'averlo fatto non
nunc narraturo mihi vitam defuncti hominis tolse credibilità a Rutilio e a Scauro o
venia opus fuit, quam non petissem generò riprovazione: tanto credito ha la virtù
incusaturus: tam saeva et infesta virtutibus nei periodi in cui più spontanea si
tempora. manifesta. Oggi invece, nel momento in cui
mi accingo a narrare la vita di un defunto,
debbo invocare quell'indulgenza che non
chiederei se mi levassi accusatore: tanto
duri e ostili a ogni forma di merito sono i
tempi.

Legimus, cum Aruleno Rustico Paetus Abbiamo letto che Aruleno Rustico e
Thrasea, Herennio Senecioni Priscus Erennio Senecione, per aver lodato l'uno
Helvidius laudati essent, capitale fuisse, Trasea Peto e l'altro Elvidio Prisco, hanno
neque in ipsos modo auctores, sed in libros subito la condanna alla pena capitale. Né si
quoque eorum saevitum, delegato triumviris infierì solo sugli autori, ma perfino contro i
ministerio ut monumenta clarissimorum loro libri: i triumviri ebbero infatti l'ordine di
ingeniorum in comitio ac foro urerentur. bruciare nel comizio e nel foro gli scritti
Scilicet illo igne vocem populi Romani et esemplari di quei chiarissimi ingegni.
libertatem senatus et conscientiam generis Evidentemente con quel fuoco si pensava
humani aboleri arbitrabantur, expulsis di cancellare la voce del popolo romano, la
insuper sapientiae professoribus atque libertà del senato, la coscienza del genere
omni bona arte in exilium acta, ne quid umano, dopo aver cacciato in esilio i
usquam honestum occurreret. Dedimus maestri di sapienza e bandito ogni forma
profecto grande patientiae documentum; et onorevole di cultura, perché in nessun
sicut vetus aetas vidit quid ultimum in luogo si presentasse più davanti agli occhi
libertate esset, ita nos quid in servitute, qualche traccia di dignità morale. Abbiamo
adempto per inquisitiones etiam loquendi dato davvero grande prova di tolleranza e,
audiendique commercio. Memoriam quoque come tempi ormai passati hanno espresso
ipsam cum voce perdidissemus, si tam in nelle forme più piene cos'è la libertà, così
nostra potestate esset oblivisci quam noi cos'è la servitù, dato che per mezzo dei
tacere. delatori ci è stata tolta la possibilità di
parlare e di ascoltare. La memoria stessa
avremmo perso con la voce, se fosse in
nostro potere dimenticare come tacere.

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